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La conversione dell'arcobaleno
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La conversione dell'arcobaleno

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About this ebook

La conversione dell’arcobaleno è un romanzo che si ispira a una vicenda di vita vissuta.
Vari quadri dal sapore cinematografico strutturano la narrazione, che inizialmente si sviluppa quasi come un romanzo di formazione, per poi, con un brusco ritorno alla realtà, addentrarsi via via in storie personali di dolore e di redenzione, di sesso e di liberazione.
Di ritorno da un viaggio avventuroso e di “educazione sentimentale” in Messico, Davide si ritrova costretto per volontà della madre, che ha da poco scoperto la sua omosessualità, a seguire un percorso terapeutico all’interno di un importante istituto religioso. Lo scopo è quello di ricondurlo alla “normalità”, attraverso la cosiddetta Terapia Riparativa o Terapia di Conversione.
All’interno dell’istituto, che è anche un pontificio ateneo, nonché la casa generale della potente Congregazione deiSoldati di Cristo Re, il ragazzo per la prima volta capisce che una parte di mondo lo considera un malato, un giocattolo rotto che va riparato a tutti i costi.
È subito collisione di due mondi separati e distinti: quello solare del diciassettenne, armato solo della propria naturalezza e quello claustrofobico e reazionario di un certo fondamentalismo cristiano.
Fuori ci sono le vite di coloro che direttamente o indirettamente partecipano alla vicenda, tra cui i genitori di Davide, sua nonna, i suoi amici e personaggi senza scrupoli, pronti a qualsiasi cosa pur di mantenere all’interno delle mura dell’istituto imbarazzanti e pericolosi segreti.
La conversione dell’arcobalenoè un libro che, pur parlando della Terapia Riparativa, pone l’accento sui legami familiari e amicali, sulla fiducia e il tradimento, focalizzando un frammento per parlare del mondo in generale.
Niente nel romanzo è lineare. I personaggi si muovono sul loro palcoscenico, in uno svelarsi di situazioni impreviste e in un continuo aprirsi e chiudersi di sipari, in cui a tratti l’azione si tinge di giallo.
LanguageItaliano
Release dateApr 18, 2019
ISBN9788832581225
La conversione dell'arcobaleno

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    La conversione dell'arcobaleno - Maurizio Valtieri

    Maurizio Valtieri

    La conversione dell'arcobaleno

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    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    © 2019 Edizioni Libreria Croce di Fabio Croce

    via Gaetano Mario Columba 60/D

    00179 - Roma

    tel. 06 4746780

    edizionicroce@libero.it

    edizionicroce.com

    Progetto grafico: E’llecì

    In copertina: Maurizio Pometti, L’uomo a tre gambe, 2014

    Quante fantasticherie essi sanno

    architettare per sconvolgerti la vita

    e turbare col terrore ogni tua gioia.

    Lucrezio

    L'isola

    Se gli eventi di questa storia fossero narrati in un film, ciò che vedremmo nella sequenza d’inizio sarebbe un’isola umana devastata da uno tsunami, come se prima di allora, prima di quel giorno non fosse mai successo niente di rilevante. L’isola è Eleonora, la madre di Davide, seduta in cucina, verso le quattro di un pomeriggio d’estate. I suoi capelli scomposti sono ciò che rimane della vegetazione, dopo che le acque si sono ritirate. Il suo volto è fatto di case abbattute, di frane, solchi nel terreno, sul quale giacciono corpi senza vita. Non si è mai sentita in quel modo o forse una volta, al funerale di suo fratello, la cui morte l’aveva colta di sorpresa, causando il collasso del suo intero sistema esistenziale. Era rimasta stordita per mesi, chiusa nella stanza di quando era bambina, fino al momento in cui aveva cominciato a conversare con Dio, il quale, ne era convinta, l’aveva chiamata e risvegliata. Quella volta si riprese, vide la luce, scoprì una fede al limite della psicosi e la sua vita cambiò radicalmente a cominciare dalle domeniche.

    Quando Davide si affaccia alla cucina, attirato dal troppo silenzio che regna in casa, la donna che vede ha una camicetta pervinca con bordature in pizzo sangallo, la gonna beige con il minuscolo spacco laterale, che mette solo nei giorni in cui si sente di buonumore e che, non ha mai capito il perché, le procura un brivido di impudicizia. Al collo il filo di perle che suo marito le ha regalato due giorni dopo il fidanzamento e che diventa argomento di dibattito ogni volta che si tenta di ricordarne il prezzo: lui sostiene di averlo pagato una vera fortuna, lei lo rimprovera di essere il solito esagerato.

    Insieme al filo di perle, Eleonora indossa una croce francescana, tenuta da un cordino di cuoio.

    È immobile, mentre gli oggetti intorno a lei la osservano.

    Seguendo la linea immaginaria dello sguardo, che dai suoi occhi vuoti conduce fino alle mani, appaiono tenuti stretti, quasi volesse stritolarli, due fogli. Così Davide capisce che da quel momento niente sarà più lo stesso in quel suo mondo familiare.

    Messico

    Finito il quarto anno di liceo scientifico, Davide può ritenersi soddisfatto, perché non ha deluso nessuna delle aspettative nei suoi confronti: ha ottenuto ottimi voti, fa del suo meglio, affinché i genitori si sentano gratificati, è sano e, per una fortunata combinazione genetica, bello. Insomma, è il figlio che tutti vorrebbero e che i suoi mettono in mostra, senza fare volutamente caso a un certo disagio, che provano in sua presenza.

    Ospitano in casa Armando, il figlio della zia Carla. Non è una vera zia, ma una cugina di primo grado di Eleonora, che da molti anni se ne è andata a vivere in Messico, dopo essersi sposata con un commerciante di Cabo San Lucas. Lì ha avuto tutti e cinque i figli, il maggiore dei quali, raggiunti i ventuno anni, è stato spedito in Italia a fare conoscenza con parte delle sue origini.

    Il giorno in cui Armando è arrivato, Sandro Trani, il padre di Davide è andato a prenderlo all’aeroporto, mentre lui e sua madre sono restati in attesa, cercando di porre un freno alla propria curiosità: Davide, in quanto figlio unico, stava per incontrare la persona più prossima alla figura di un fratello; per Eleonora si trattava semplicemente di un confronto, per decidere quale stile di vita avesse prodotto la migliore progenie.

    Così hanno conosciuto Armando. Pelle leggermente scura, altezza oltre la media, muscolatura già pronunciata, a fare da contrasto con il viso ancora da ragazzo, occhi neri dal taglio indio e capelli lisci e scomposti, sistemati continuamente, seguendo il ritmo di una certa andatura sgraziata. A Eleonora basta dare un’occhiata per decidere, in base ai propri canoni estetici, di aver vinto la sfida tra madri.

    Per quanto riguarda Davide, da subito non può fare a meno di sentirsi attratto da lui. Evita di guardarlo direttamente negli occhi e per istinto innato nasconde i suoi sentimenti.

    Superato il primo impatto, tutto rientra nella consuetudine della più normale ospitalità. Davide fa da guida al cugino, che a sua volta sembra poco interessato alle bellezze artistiche della città, preferendo conoscere gente e stare in luoghi affollati.

    Appena può, Eleonora lo sottopone a interrogatorio per farsi raccontare nei minimi particolari la vita messicana della cugina: come se la passa, come va il suo matrimonio, come cresce i figli, e via dicendo. Dopo ogni domanda fa delle smorfie a seconda che la risposta ottenuta le piaccia oppure no. Per esempio, una volta è rimasta circa venti secondi immobilizzata, dopo che Armando, con un certo dissimulato sadismo, le ha detto che sua madre, ovvero la cugina in esame, ha perso l’abitudine di andare in chiesa regolarmente, anzi, preferisce di gran lunga frequentare insieme al marito un locale dove si scatena in sensualissimi balli latino-americani.

    Poi per Armando, la cui presenza ha regalato a Davide ore di fantasie difficilmente ripetibili, arriva il momento di lasciare Roma. È così che, del tutto inaspettatamente, Sandro Trani propone a suo figlio di partire per il Messico insieme al cugino, come regalo per aver concluso brillantemente l’anno scolastico. Tiene a sottolineare che non è stato facile convincere la mamma, ma che alla fine si sono trovati d’accordo.

    Davide non se lo fa ripetere due volte e, fatte le dovute promesse di rito, lascia l’Italia insieme ad Armando.

    I due cugini arrivano a Chihuahua, via Tucson, dopo essere atterrati due giorni prima a Los Angeles. La città messicana è avvolta in un’aria tiepida e non si presenta scalcinata, sonnolenta o polverosa, come la si può immaginare, dopo aver visto certi film di una volta. Al contrario, ovunque ci si giri, mostra grattacieli a specchio, automobili chilometriche, motel bassi con luci al neon e decine di negozi di scarpe. Scarpe di tutti i generi, fedeli riproduzioni di quelle che si possono comprare nei centri eleganti delle città italiane, ma a un prezzo in dollari dieci volte inferiore.

    Percorrendo la parte più vecchia della città e sbucando da una strada secondaria, si arriva in una piazza, quasi interamente occupata dalla vecchia cattedrale, decrepita nel suo colore rossiccio, apparentemente fatta di polvere. Davide la osserva con affascinata curiosità e pensa che se avesse abbastanza fiato, potrebbe spazzarla via semplicemente soffiando.

    Restano a Chihuahua solo una notte. Appena mette piede sulla sua terra, Armando si trasforma in un dio di eccezionale bellezza, potenza e sicurezza, al cui fascino nessun essere umano potrebbe resistere. Tutte le donne che lo incrociano sembrano non desiderare altro che lui. Davide lo trascina dentro ogni negozio di scarpe che vede e vuole che gli faccia da interprete, mentre chiede informazioni sui prezzi e sulla qualità della pelle a commesse distratte dalla presenza dell’altro. Una in particolare non gli stacca gli occhi di dosso per tutto il tempo che restano nel negozio. Sorride, si aggiusta i capelli, apre un po’ la camicetta simulando ripetuti attacchi di caldo, mentre Armando percorre con gli occhi ogni curva del suo corpo. Davide sta lì, geloso, a fissare la scena, domandandosi come faccia quella ragazza a portarsi davanti tutto quel peso, fino a quando suo cugino paga il paio di scarpe che ha comprato solo per compiacere quella bellezza locale, gli consegna la busta e gli dice di aspettarlo fuori, nel suo italiano con un accento forte e buffo.

    Tres Hermanosè la scritta che campeggia sulla maggior parte dei negozi di quella via e tutti sono rigorosamente negozi di scarpe, zapatos. Così, per non pensare al cugino che rimorchia una commessa di Chihuahua, Davide inizia a fantasticare su quella famiglia, formata solo da tre uomini che passano tutta la giornata nella loro fabbrica di scarpe, con centinaia di operai, intenti a rispettare le scadenze di produzione. Poi li vede ritornare a casa di sera (ha deciso che abitano insieme), stanchi e sudati, con il desiderio di farsi una doccia. Si spogliano e si infilano tutti e tre sotto l’acqua, insaponandosi e strofinandosi l’uno con l’altro. L’immaginazione lo indurrebbe a visualizzare tutto ciò che i suoi genitori riterrebbero certamente pornografico, se la mano calda del cugino sulla spalla non lo riportasse indietro, contribuendo a completare un’erezione già in atto.

    « Muy bonita, no?» gli dice Armando con la faccia di chi ha appena vinto un premio.

    «Chi?»

    «Come chi? La commesa del negosio…»

    «Commessa, con due esse e negozio, con la zeta», Davide cerca di apparire il meno stizzito possibile, mentre l’erezione di prima si trasforma in ricordo.

    «Sì, quella là, chico! È fantastica e ha due tette da metterci sopra la panna e leccarle per ore», continua lui.

    «Ma sei proprio un maniaco, come ti vengono in mente certe cose», gli fa Davide, assumendo un’aria vagamente scandalizzata.

    «Frena, chico» e mima il segno della croce un paio di volte, «ho capito: italiano, elPapa e tutte quelle facce di santi appese per casa. Sei un po’, come si dice, puritano, è giusta la parola, no?»

    Non c’è che dire, lo sta veramente innervosendo, soprattutto perché è così ottuso da non riuscire a vedere il vero senso delle cose. Allora gli dice con una voce stridula da farsi venire i brividi da solo:

    «Non sono puritano e l’Italia e il Papa non c’entrano niente...»

    «C’entrano, eccome se c’entrano. Mia madre e tua madre sono cugine e anche la mia era come la tua, ma poi mio padre le ha fatto capire che è meglio parlare con la carne», ha l’aria di un adulto che istruisce un adolescente. Infine, come farà spesso durante tutto il viaggio, sembra passare oltre e si guarda intorno come se fossero nel pieno di una cospirazione e continua:

    «A proposito, adesso ce ne andiamo a mangiare qualcosa, così ti riempi la pancia di cibo messicano favoloso. Poi rientriamo in albergo e ci laviamo per bene e tu te ne vai a letto, che domani ci si alza presto», gli mostra un pezzo di carta con su scritto un numero di telefono. «Io devo uscire e rientrerò tardi. Spero di fare un lungo discorso con la carne della chica».

    È notte fonda quando Armando rientra in albergo. Davide capisce dai rumori ogni sua azione: si spoglia, fa su e giù tre, quattro volte dal bagno alla camera, poi si fa una doccia rapida. Si infila nell’unico letto matrimoniale. Porta solo le mutande e si addormenta, senza preoccuparsi del ginocchio che involontariamente preme contro i glutei di Davide.

    Appena la luce dell’alba li sveglia, si alzano e si preparano per prendere il treno delle sette, che tutte le mattine parte da Chihuahua e dopo quattordici ore arriva a Los Mochis, sul Pacifico, correndo per 652 chilometri, attraverso ponti, gallerie, foreste montane e distese di cactus.

    Sistemano le loro cose e scendono per fare colazione, senza dirsi una parola. Mentre bevono un caffè che non sembra tale, ma piuttosto acqua sporca aromatizzata, è Armando a rompere il silenzio:

    «Allora, sei pronto per la Barranca del Cobre?»

    Davide si limita a un cenno svogliato di assenso con la testa, ma l’altro non si lascia scoraggiare.

    «Viaggeremo in primera especial, quella più comoda, quella dei ricchi», dice, «niente a che vedere con la prima classe dei treni in Europa, ma sempre meglio della segunda clase. Se ti va, puoi riprendere a dormire, ma ti consiglio di guardare il panorama».

    A questo punto tocca a Davide, visto che non può continuare a rimanersene zitto:

    «Ci vorrà molto fino al Pacifico?» chiede, tanto per chiedere.

    «Un bel po’ di ore», gli risponde, «ma faremo tappa a Creel, più o meno a metà strada, a 2300 metri di altezza. Vedrai, ti piacerà e io ci devo incontrare anche una persona».

    Il suo sorrisetto ammiccante costringe Davide a domandare:

    «È una ragazza?»

    «Una speciale, especial», fa Armando.

    « Primera especial, come il treno», dice la bocca di Davide in piena autonomia dal suo cervello e non si ferma: «A proposito, ieri sera com’è andata? Spero che te la sei goduta tutta».

    Spero che te la sei goduta tutta! Riesce, contemporaneamente all’emissione di quelle parole, a sentirsi un vero idiota e non ha nemmeno usato il congiuntivo. E suo cugino non lo aiuta, aprendo un baratro generazionale tra loro, quasi avesse un lungo vissuto alle spalle e fosse già un uomo maturo, in possesso di tutte le qualità positive del genere umano. Davide sente la sua voce addosso, calma e comprensiva, penetrargli attraverso la pelle:

    « Chico», lo guarda dritto negli occhi, «ho capito quello che provi per me, stai sicuro che anche tu mi piaci, ma non potrei mai fare a meno di un paio di tette sode. Entiendes? Ma tu non comportarti diversamente, non ti preoccupare… solo non tenermi il muso per quello che sono, ok cugino?»

    Davide è pietrificato, mentre Armando ritorna ad essere un ragazzo di ventuno anni: si alza sorridente, gli mette un braccio intorno al collo, gli dà un paio colpetti in testa e lo trascina verso la stazione, come fossero due amici in cerca di avventura.

    Puntuale il treno comincia il suo lento cammino, sull’unico binario, disteso su una terra apparentemente piatta. La primera especial, in verità, non è nulla di speciale, somiglia a uno di quei vecchi treni che si usavano una volta, abbastanza rumoroso, carico di vibrazioni che ti fanno venire la pelle d’oca. L’unico vantaggio è rappresentato dalle carrozze semivuote, dove la lingua, più comunemente parlata dai pochi viaggiatori, è l’inglese.

    Armando è seduto di fronte a Davide. Ogni tanto guarda lo scorrere di luoghi che sembra conoscere benissimo, oppure lancia qualche sorrisetto, prima di mettersi a scrivere l’ennesimo messaggio col suo telefono. Davide ha un leggero senso di stordimento, dovuto alle poche ore di sonno e a quella strana combinazione tra una dichiarazione d’amore (così almeno ha interpretato il discorso fattogli a colazione) e l’avvertimento di non entrare in un territorio proibito. Cerca di non fissare suo cugino, si allaccia una scarpa, poi la slaccia, poiché la sente stretta e la riallaccia di nuovo. Compie azioni automatiche per distrarsi, ma in realtà vorrebbe unicamente sedersi dall’altra parte, stare attaccato al fianco di Armando e lasciarsi andare, magari poggiargli la testa sulla spalla, con il naso vicinissimo al collo, così da sentirne l’odore.

    Infine, la stanchezza prende il sopravvento o è semplicemente un meccanismo di autodifesa a farlo addormentare, fatto sta che il suo cervello si spegne. Quando riapre gli occhi, sono passate circa due ore e questa volta è Armando che dorme. Sorseggia un po’ d’acqua dalla bottiglia che si è portato dietro e decide di vedere cosa c’è fuori da quel vagone.

    Il paesaggio piatto e brullo, costellato di qualche casa bassa dalla porta colorata, che hanno percorso dopo la partenza, ha lasciato spazio a una vegetazione decisamente più rigogliosa, il massimo del verde possibile a quelle altezze. Quando si affaccia dal finestrino, la ferrovia si sta arrampicando per la Sierra Madre, poggiata e apparentemente sospesa tra pareti a strapiombo. È lì che, con l’aria pulita, con le foglie che sfiorano le rotaie e il dio messicano che giace poco lontano, Davide sente che il suo luogo di appartenenza è ogni luogo tanto lontano da non essere contaminato da ciò che gli vorrebbero cucire addosso. Fin da quando ha cominciato a usare una parvenza di ragione, si è rifugiato in un mondo suo, in una sorta di infantile solipsismo, dove ogni elemento della realtà diventa pura proiezione di ciò che ha dentro. Senza averlo razionalmente deciso, si è da subito chiamato fuori, sentendosi diverso e, allo stesso tempo, speciale e il fatto che gli piacciano quelli del suo stesso sesso, non è, a suo avviso, il connotato più forte della propria diversità. Inoltre, l’ostilità percepita frequentemente dimostra ai suoi occhi che anche il resto del mondo prova una primordiale paura nei confronti di quelli come lui, anche se da ragazzino non si è posto il problema di inserire quelli come me in una ben precisa categoria. Quel suo mondo corazza è col tempo divenuto un racconto fantasioso, che giorno dopo giorno si arricchisce di nuove pagine e lui ne è l’unico protagonista dalle molteplici identità, quasi sempre venuto da mondi lontani, spedito come Superman su una terra aliena.

    Su quel treno, lontano dalla famiglia, spesso immaginata come affidataria, non sente prediche, è solo e libero, anche se la presenza del cugino mette in luce una stanza nuova del suo spirito. Certo stargli accanto gli procura ripetute erezioni, ma il sesso non gli è sconosciuto e lo pratica, con modalità via via sempre meno infantili, fin dall’età di sei anni, a volte in modo compulsivo con chiunque sia disposto a farlo. Con Armando sta succedendo qualcosa di diverso, che va esplorato, perché gli alieni vengono mandati sulla Terra per vivere ogni esperienza possibile ed è esattamente ciò che Davide si è ripromesso di fare, senza preoccuparsi dei costi.

    Arrivati alla stazione di Creel, su un altipiano in mezzo alle montagne, a metà strada tra Chihuahua e il Pacifico, scendono dal treno.

    Armando comincia subito a illustrare le bellezze del luogo, ma Davide non lo ascolta e lascia che l’aria limpida di quelle montagne gli entri nei polmoni, faccia tutti i giri consueti e poi se ne esca calda dal naso o dalla bocca. È semplicemente incantato e per il resto della vita conserverà nitide quelle immagini e quelle del giorno dopo a El Divisadero, a circa mezzora dal paese, dove, sotto un cielo di un azzurro intenso, con le poche nuvole tanto vicine da avere l’illusione di poterle toccare, si stende un dipanarsi di duecento canyon che, come affluenti di un fiume, si riversano in altri più grandi. Al centro, i fianchi rocciosi e rossastri della Barranca del Cobre si tuffano in basso per più di millecinquecento metri, mentre lo spirito di chi si trova a passare da quelle parti sussulta di emozione di fronte a un territorio

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