Briciole
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About this ebook
Una silloge a tratti aspra, a tratti agrodolce che si ricompone con levità e padronanza stilistica in un quadro impressionista le cui pennellate ora dense ora decise ora suggerite restituiscono un’esperienza di vita condivisa.
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Book preview
Briciole - Elena Marrassini
stampata.
L’alba nuova di Isa
Sai cosa,
disse Isa con l’aria fra il rassegnato e l’arrabbiato, ci sono momenti nella vita in cui pensi molto di più ai tuoi morti che ai tuoi vivi, e di solito questi momenti coincidono con la primavera,
aggiunse toccandosi il labbro.
Stava continuando a parlare con lo specchio quella mattina di fine marzo col sole fuori già tiepido e insistente che filtrava dalle persiane socchiuse. Forse stava impazzendo, chi lo sa. O forse stava semplicemente tornando normale, come da un lungo viaggio dentro lo specchio durato chissà quanto. Magari solo alcuni minuti. Abbassò gli occhi e vide il monte dei panni sporchi, nella sua impietosa evoluzione. Era lì da giorni perché lei non puliva e non cucinava. Dormiva. Dio mia madre e i suoi segreti, pensò Isa. Le macchie di sangue dell’epistassi notturna sulle lenzuola, le macchie di vino rosso sulla tovaglia, gli aloni delle nuche sulle federe. Le risolveva tutte, lei. Le annientava.
Con quei gesti di affetto pratico e incessante, costante, zitta nel sottofondo fisso delle loro quotidianità. E ora lei, ad appoggiarci gli occhi le poche volte che si sforza di stendere una lavatrice. Non vanno via, le macchie, restano. E la mancanza, resta, che l’avvolge e l’arrotola come la lavatrice.
Sua madre era morta di infarto davanti a quello specchio proprio un anno prima in una mattina di marzo, mentre si stava dando il rossetto. Era morta lasciando una scatoletta di plastica piena di rossetti, tutti iniziati, alcuni quasi nuovi. Aveva lasciato quella scatoletta di plastica verde trasparente in mezzo a un’altra infinità di cose di quelle che non si possono toccare con le mani ma solo col cervello e con l’anima, a parte scarpe e vestiti e borse, che lei e suo padre si erano premurati di togliere di casa, pian piano.
A Isa piacevano i rossetti. Quelli almeno si potevano lisciare sulle labbra e se ne poteva sentire il sapore buono. Quando avrebbe terminato anche l’ultimo rossetto di sua madre sarebbe finito il sapore e il colore di lei e le sarebbero rimaste solo le cose che non si possono toccare né con le mani né con le labbra, forse solo qualche foto. E non sapeva se ci sarebbe riuscita. Era certa di una cosa sola quella mattina: era il giorno del rientro, ma non sarebbe andata a lavoro per tempo, non ne aveva la furia necessaria, la furia sorda di sempre. Aveva bisogno di riordinare la sua vita lì, in quella luce di sole filtrato. Lì davanti allo specchio, lì alle sei e cinquanta di mattina, e poco male se il riordino sarebbe durato una mattinata intera o una giornata, andava fatto.
Iniziò a sfidare lo specchio. Cominciò a dirgli che gli avrebbe vomitato dentro tutti i suoi fallimenti, tutti i suoi dolori. E se lui non aveva né voglia né tempo di risponderle poco male, chi se ne frega. Che poi non sarebbe mica stata una cosa lunga eh, gli disse scrutandolo con sguardo supplichevole: ci aveva pensato per giorni e aveva preso appunti, fino a stilare una lista di soli otto punti. Solo otto specchio, quindi puoi anche portare pazienza qualche minuto.
Tirò fuori il blocchettino e cominciò.
"Quella volta che il prof. di Calcolo mi disse di interrompere l’esame perché Così non ci siamo, così non ha capito un concetto importantissimo signorina e io sentii le orecchie fischiare forte, le gambe molli e poi caddi a terra perché capii di non avere capito. E nulla andava bene nelle scelte che avevo fatto."
Con sua sorpresa la risposta dello specchio non si fece attendere, e le disse, pronto: Quella volta che hai intravisto poesia e genialità nell’Analisi e nella Logica Matematica e allora hai pensato che sì, in fondo andava bene così.
E allora lei: Quella volta che son rimasta devota a fianco di un uomo possessivo e complessato, infilando la mia testa di struzzo sotto la tenerezza e il senso di protezione perché tanto da sola ma dove volevo andare e poi non si fa del male alle persone, ci si deve pensare prima
.
E subito lui: Quella volta che hai mandato a fanculo un uomo possessivo e complessato fottendotene della tenerezza e del senso di protezione perché era l’ora di andare da sola nel mondo e l’amore doveva per forza essere qualcos’altro se ci scrivevano tanti libri sopra e ci inventavano dei film.
E lei, ancora: Quella volta che non ho buttato giù il telefono e ho continuato ad ascoltare l’arroganza che mi parlava dall’altro capo e ho annuito e ho fatto finta di capire e son stata gentile, tenendo la rabbia lì dove stava, avvolta nel mio colon irritabile
.
E lui: Quella volta che hai chiamato tu e hai parlato ti sei sfogata hai gridato tutta la tua ragione e la tua rabbia senza dare nemmeno il tempo di replicare all’arroganza dall’altra parte, che è rimasta muta e, per una volta, ha ascoltato.
Di nuovo, lei: Tutte quelle volte che ho dovuto prendere doppia dose di Xanax
.
E lui: Tutte quelle volte che non hai preso lo Xanax e hai fatto tutto da sola.
E lei, sempre più veloce: Quella notte in cui non ce l’ho fatta nemmeno a raccattare il vomito e maledivo chi non era lì con me, nonostante fosse solo colpa mia
.
E lui, insistente: Quella notte in cui hai raccattato il vomito di tuo