Il cammino e la pietate.: Cinque lezioni sulla struttura narrativa della Divina Commedia
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Il cammino e la pietate. - Ferdinanda Cremascoli
In limine
Queste cinque lezioni sulla struttura narrativa della Divina Commedia derivano dalla mia attività di insegnante di Storia della Letteratura Italiana
nei Licei italiani.
Ho ritenuto di raccoglierle qui a beneficio degli studenti che nella scuola superiore o anche nei corsi universitari si incontrano con la figura e l’opera di Dante Alighieri, il padre della nostra lingua e il modello di riferimento in ogni epoca per tanti poeti italiani ed europei.
In queste lezioni non sono date le notizie generali sulla Divina Commedia, sull’epoca della sua composizione, sulla trasmissione dell’opera, sulla sua fortuna critica, sui temi che essa sviluppa. Neppure vi sono notizie sulle altre opere di Dante che pure costituiscono esperienze capitali che il poeta rielabora nella sua opera maggiore.
Mi sono concentrata invece sulla struttura narrativa del poema: la Divina Commedia è infatti un grande racconto, coloratissimo nei paesaggi, affollatissimo di personaggi, splatter
nel racconto dei castighi dei peccatori, impressionista
nel dipingere i cieli dei beati. E, poiché è un racconto in versi, una lezione è dedicata all’analisi del metro di Dante: la terzina a rima concatenata.
Un ringraziamento di cuore va alle colleghe e ai colleghi che hanno letto in anteprima la bozza di queste lezioni e con le loro osservazioni hanno reso migliore il testo. In particolare ringrazio per la pazienza e la disponibilità Laura Brambilla, Claudia Sala e Silvia Bugatti.
Ho scritto nei giorni in cui nel flusso indistinto delle non notizie ci arrivavano dall’altro lato del Mediterraneo immagini vere di distruzione e disperazione. Il racconto di Dante sembra in confronto, anche nei punti più orrorosi e volutamente eccessivi, un’oasi di razionalità.
Ma noi?
Eindhoven, settembre 2015 - aprile 2016
Nota alle lezioni
Nelle lezioni che seguono il poema di Dante sarà chiamato col nome che usò il poeta: Commedia.
Divina Commedia, come titolo del poema, comparve solo nel Cinquecento in un’edizione a stampa dell'opera curata da Lodovico Dolce nel 1555 presso Giovanni Giolito di Venezia. Dante chiamò il suo poema semplicemente Commedia, anzi Comedìa, come dice in due passi dell'Inferno.
e per le note
di questa comedìa, lettor, ti giuro,
Inf, XVI, 127-128
Così di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedìa cantar non cura,
Inf, XXI, 1-2
Anche nell’Epistola a Cangrande, che accompagnava la prima parte del Paradiso, compare questo titolo:
Incipit Comoedia Dantis Alagherii Florentini natione, non moribus.
(Inizia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino per nascita, non per costumi.)
Perché Dante abbia scelto questo titolo si può spiegare secondo i precetti della retorica medievale, ereditate dalla cultura classica: l'opera si chiama Comedìa perché la sua materia ha un inizio triste e un lieto fine; perché la sua lingua è il volgare e perché il suo stile è umile e dimesso.
Comedìa
cioè un genere letterario che per materia, lingua e stile si oppone a tragedìa
, il genere sublime che Dante aveva già descritto nel De vulgari eloquentia, il trattato sul volgare, scritto qualche anno prima del poema. In realtà Dante nella Commedia torna spesso sulla definizione del suo lavoro. Nell’ottavo cielo, quello delle stelle fisse, il poeta ha la visione del trionfo di Cristo e chiama la sua opera «sacrato poema » (Par. XXIII, 61/62). E poco dopo, mentre il poeta sostiene un esame sulle tre virtù teologali, egli definisce la sua opera come :
'l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
Par, XXV, 1-2
Nel De vulgari eloquentia già emergeva un giudizio del tutto positivo sul volgare, una lingua popolare, ma intesa da tutti e che per questo pone ai letterati la sfida di renderla raffinata e perfetta come il latino.
Perché allora Dante chiama Commedia la sua opera?
Quando il poeta scrive la lettera a Cangrande e sta ultimando il poema, ha ormai maturato una concezione dei generi letterari molto originale, non svincolata, ma autonoma dai precetti retorici correnti che egli aveva fatto propri in passato.
Già i commentatori trecenteschi trovavano difficile dire a che genere appartenesse quest’opera, perché non somiglia a nessuna. Uno dei più acuti, Benvenuto da Imola, notava che in questo libro c’è tragedia, satira e commedia: tragedia, perché tratta le gesta di personaggi illustri, re, pontefici, baroni; satira, perché denuncia coraggiosamente ogni vizio, senza aver riguardo per il potere; commedia, perché la sua materia all’inizio è triste (l'inferno) e alla fine è lieta (il paradiso). Questo antico commentatore coglie quindi l’originalità del poema dantesco che mescola stili diversi.
Occorre anche ricordare che l’accezione medievale di comedìa
si iscrive nel contesto della cultura cristiana, che conosce bene e ammira lo stile sublime dei classici, se ne appropria e lo ripropone nei propri testi. Ma tra il sublime antico e quello cristiano c’è una profonda differenza. Nella tragedìa
classica il mondo è dominato dal fato e il tema centrale è nella lotta tra eroe e destino; nel sublime cristiano al fato si sostituisce il disegno provvidenziale di Dio misericordioso e la lotta si svolge tra l’uomo e il peccato. Per questo il racconto della morte di Cristo, che, data la nobiltà dell'argomento, è certamente degno dello stile alto, è sostanzialmente sentito dalla cultura cristiana come comedìa
, perché l'esito della storia è la vittoria sul male, è la resurrezione.
Questo spiega perché la comedìa
per il cristiano non è un genere letterario minore, al contrario solo in esso si realizza la dialettica cristiana tra vita e morte, tra umiltà e grandezza.
Ecco perché Dante pensa la propria opera come comedìa
: essa è insieme sublime ed umile, racconto di uomini e fatti non solo grandiosi, ma anche quotidiani, il cui senso è in ogni caso nobile, perché non solo l’evento o l’uomo o lo stile grande e alto, ma anche il piccolo e modesto e umile hanno insito in sé il senso profondo della storia umana: la lotta contro il peccato alla ricerca della salvazione.
E’ così che Dante intende il suo più illustre modello: l’Eneide di Virgilio. Egli legge «l’alta tragedìa» del suo maestro come comedìa
perché l’Eneide è già, anche secondo alcuni commentatori cristiani che Dante conosce bene, imitazione della vita umana, proprio come la Commedia: il viaggio di Enea infatti è il cammino faticoso dell’umanità che torna alla propria antica patria, proprio come il viaggio di Dante dalla selva oscura alla rivelazione della Trinità, attraverso una guerra imposta dalle ardue prove del cammino
e della pietas
.

ImmagineLEZIONE 1

ImmagineLa storia
La Commedia è un poema che narra una storia di viaggio, il viaggio di un uomo che si smarrisce nei propri errori e si mette in cammino per un sentiero eccezionale, che attraversa il mondo dei morti, alla ricerca della propria salvezza.
L’eroe di questa storia vive la sua avventura, attraversando luoghi bui e spaventosi, chiari ed aspri, splendenti e gioiosi, incontrando un'umanità varia per carattere, comportamento, scelte di vita. Nel dialogo con le sue guide e con tante anime trapassate, in cui s’avvertono accenti di pietà, di collera, di disprezzo, di paura, di ammirazione, egli compie la sua ricerca sul senso della vita umana, dell'universo di cui è parte, del suo destino personale.
In una selva oscura Dante, il protagonista, si smarrisce. Vorrebbe uscirne, salendo sulla sommità di un colle illuminata dal sole, ma una dopo l’altra tre bestie feroci, una lonza un leone e una lupa, gli sbarrano il cammino. Quando ecco appare Virgilio, l’antico poeta latino: per uscire dalla selva «aspra» e «selvaggia», egli dice, bisogna passare attraverso il mondo dei morti. Dante accetta, ma ha paura. Virgilio allora gli rivela che dal paradiso «tre donne benedette», Maria, Lucia e Beatrice lo hanno incaricato di raggiungerlo nella selva e di prestargli soccorso. Beatrice è discesa nel limbo dove Virgilio si trova e gli ha comunicato il desiderio che viene dal cielo.
Sono dunque due i motivi causali che mettono in moto l’azione: lo smarrimento nella selva ed il soccorso celeste. Per queste ragioni inizia il cammino del protagonista alla ricerca della propria salvezza, assistito dal cielo lungo un tempo che il racconto stesso definisce.
Dopo aver trascorso la notte smarrito nella selva, il giorno successivo Dante incontra prime le tre fiere e poi Virgilio e quella sera stessa i due viandanti si trovano davanti alla porta dell’inferno. L’oltrepassano, incontrano la