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Base Orso Bianco
Base Orso Bianco
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Base Orso Bianco

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About this ebook

“L’ho vista! Sembra intermittente ed è accompagnata a qualcosa di rosso, però la nebbia limita molto la visibilità, ora la luce è scomparsa!”
Dichiarò Lars con eccessivo entusiasmo forse più per compiacere l’amico che per l’avvistamento in sé.
Stig riprese il binocolo e osservò con rinnovata attenzione.
“Si, ora la vedo! E’ ancora lì. Cosa potrà essere? Non c’è ragione che qualcuno si sia spinto nel bel mezzo del niente. Non capisco.”
Il quel momento Stig sentì un desiderio inarrestabile di andare a vedere. Si fece avanti il dubbio mai rimosso che forse sarebbe stato loro dovere informare la Polizia. Chiese di nuovo consiglio a Lars e lui trovò una soluzione salomonica...

Questo ritrovamento sarà l’inizio di una avventura inaspettata!
LanguageItaliano
Release dateMay 3, 2019
ISBN9788832597264
Base Orso Bianco

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    Book preview

    Base Orso Bianco - Laura Vedova

    vetro

    Joe Altieri

    Capitolo 1

    Si lasciò andare. Lentamente e inesorabilmente iniziò a sprofondare come in un gorgo sabbioso che gli avvolse dapprima i piedi, le gambe fino al ginocchio, poi sempre più su. In breve raggiunse l’ombelico, e qui si accorse che il comodo torpore era diventato spaventoso. Non l’aveva previsto. Credeva di poterlo fare aggirando la sua stessa consapevolezza, invece il sistema di allarme era entrato in funzione infischiandosene di quella incongruente quanto inspiegabile certezza.

    Non poté fare a meno di reagire, le braccia e le mani non erano ancora state raggiunte dalla debolezza e con uno sforzo intenso prese un ampio respiro e poi un altro ancora, si divincolò sulla poltrona e scivolò a terra. Ormai il suo desiderio si era trasformato, aveva decisamente cambiato idea proprio all’ultimo. Riuscì ad avvicinarsi al tavolino e con un rigurgito di speranza afferrò il telefono e invece di finire lì, in quegli istanti fu l’artefice del proprio salvataggio.

    Non era così facile farla finita, un’entità sconosciuta ma compenetrata nel suo essere glielo aveva proibito. Capì solo allora di non possedere davvero così tanta determinazione.

    Joe Altieri era stanco e probabilmente un po’ depresso, gli ultimi giorni erano trascorsi quasi senza che se ne rendesse conto, chiuso nella stanza del suo albergo a Kjølen in quel posto sperduto nella neve. Aveva trascorso una gran quantità di tempo a rivedere gli articoli che aveva scritto e le foto che lui stesso aveva scattato. Il lavoro non era stato completato, doveva raccogliere ancora l’intervista più importante per il suo servizio ma l’appuntamento veniva regolarmente rimandato. Il professor Frankenstein non era mai disponibile e lui era costretto ad aspettare. Gli aveva appioppato quel soprannome dopo il quarto rinvio ricevuto senza nemmeno la creanza di tentare una minima giustificazione. Solitamente riusciva a superare questo genere di inconveniente con notevole disinvoltura ma questa volta, inspiegabilmente, qualcosa gli si era incantato nella mente e gli aveva giocato un brutto tiro.

    Un insieme di circostanze, forse la mancanza della luce del giorno o la solitudine, oppure semplicemente la prolungata lontananza dalle sue abitudini gli avevano causato un profondo ed ineluttabile sconforto. Quel giorno, improvvisamente, si era alzato dal tavolo dopo aver chiuso con uno scatto nervoso il computer portatile, aveva passeggiato avanti e indietro per la stanza senza una precisa intenzione, poi si era diretto al piccolo frigo e si era scelto un drink alcolico. Lo aveva finito in poche generose sorsate per poi prenderne subito un altro. Il suo corpo era stato immediatamente invaso da un piacevole calore accompagnato da un frainteso senso di forza che gli aveva fatto balzare in testa un’idea strampalata. Poteva sfruttare quel momento in cui si sentiva abbastanza forte e coraggioso per trangugiare tutta la confezione di sonnifero che aveva appena acquistato per recuperare le notti insonni. Per fare ciò si era messo comodo in poltrona e aveva buttato giù le pillole con un whiskey, senza ripensamenti.

    Per questo motivo Joe si trovò in volo verso Tromsø con una maschera per l’ossigeno sul volto e con il personale del soccorso indaffarato a stabilizzarlo. Là dove si trovava non c’erano ospedali e quel giorno Rick, il portiere, aveva risposto subito ed era stata una fortuna poiché non accadeva di frequente. Con questo pensiero consolante si lasciò scivolare nel sonno.

    Il giorno seguente nel tardo pomeriggio fu dimesso, andò a prenderlo Hanuki che era contemporaneamente un collaboratore e un amico. Gli aveva fatto da guida e autista in passato e aveva avuto anche l’occasione di fare con lui avventurose traversate con la slitta trainata dai cani ma, in quell’occasione, lo riaccompagnò con un più confortevole fuoristrada. Hanuki era un uomo essenziale e di poche parole, un autentico Sami.

    Discreto come sempre non gli chiese il perché del suo gesto ma gli fece una sola raccomandazione, gli disse di non provarci ancora, non sarebbe più stato suo amico. E Joe ne fu certo, Hanuki non parlava mai a vanvera, era un uomo affidabile che sapeva mantenere le promesse.

    Comunque Joe non aveva davvero intenzione di ripetere quell’esperienza che a dire il vero non sapeva spiegarsi. Di quella sera ricordava soltanto un profondo sfinimento e in seguito il suo istinto a reagire, ma in quanto ad una motivazione specifica non sapeva rispondere nemmeno a se stesso. Era perciò cosciente di aver dato una bella botta al suo fisico e di aver avuto una notevole fortuna, proprio come i medici gli avevano confermato.

    Proseguirono il viaggio di ritorno in silenzio fino a quando avvistarono le luci del piccolo paese immerso nella neve. Ancora non riusciva a farsene una ragione di come gli abitanti del luogo si fossero abituati a vivere isolati al confine del mondo. Eppure il Natale era passato anche di lì e le luci delle candele alle finestre lo testimoniavano.

    Accidenti! Ho rischiato di perdermi l’anno nuovo!

    Pensò.

    Si lasciò sfuggire un risolino nervoso e Hanuki lo guardò di traverso scuotendo la testa.

    Domani sera passo a prenderti, devi aiutarmi ad accendere il fuoco per l’ultimo dell’anno e poi cerca di sapere quando dovremo tornare laggiù. Preferirei organizzarmi in anticipo!

    Fermò l’auto davanti al suo albergo e appena Joe scese, ripartì senza attendere la risposta e si fece inghiottire dal buio perlaceo che perforò con i fari.

    Joe si sentì grato dell’amicizia di Hanuki, aveva già avuto modo di conoscere la sua famiglia ed ora era stato formalmente invitato a trascorrere l’ultimo dell’anno a casa sua. Nonostante gli avesse dimostrato un grande disappunto, probabilmente aveva compreso meglio di lui le ragioni del suo gesto.

    Entrò nella modesta hall e fu accolto dall’imperturbabile Rick.

    Hey Joe, non hai una gran cera ma puoi migliorare!

    Gli disse con la consueta ironia.

    Joe non si preoccupò di rispondere, stava già per passare oltre quando la voce del portiere si fece più alta ed efficiente.

    Mentre eri via, ho preso una telefonata per te. Era un certo professor Balti, ha detto che per quell’incontro va bene il primo di gennaio, non ha specificato l’ora ma ti chiede di arrivare al più presto possibile

    Rick ammiccò e sfoderò un sorriso beffardo.

    Joe camuffò la sorpresa annuendo con noncuranza ma in realtà sentì montare il disappunto.

    Incredibile, il gran bastardo aveva scelto proprio il Capodanno per rendersi disponibile e in più faceva anche dell’umorismo sull’ora. Riflettendo però comprese che dopotutto non faceva differenza, non aveva un granché da festeggiare e Hanuki sarebbe stato comunque disponibile. Lo era sempre, quello era il suo lavoro.

    Entrò nella sua camera e la trovò perfettamente rassettata, non era rimasta alcuna traccia della sua follia, aprì il frigo e trovò i drink rimpiazzati.

    Non era rimasta in giro nemmeno la scatola vuota dei sonniferi. Niente. Come se nulla fosse accaduto. Si diresse al tavolo e riaprì il portatile, lo accese e guardò la posta.

    Trovò il messaggio del prof. Balti che gli confermava l’incontro e lo pregava di non mancare all’appuntamento perché lo considerava di estrema importanza. Rimase stupito dalle parole usate dal professore, fino ad allora lo aveva considerato un ricercatore particolarmente spocchioso che amava farsi desiderare e non riusciva ad immaginare il motivo di tanta urgenza e di tale rilevanza. Comunque lo avrebbe scoperto incontrandolo, inutile continuare a congetturare. Pensò invece di organizzare il viaggio. Come prima cosa chiamò Hanuki, gli annunciò che doveva trovarsi alla base scientifica delle isole Svalbard proprio per il primo di gennaio. Si scusò in anticipo perché la circostanza mandava a monte i suoi preparativi con la famiglia. Tuttavia Hanuki, da perfetto professionista del genere, rispose che era sempre pronto quando necessitava. Inoltre sarebbe anche stato possibile festeggiare, seppure brevemente, il nuovo anno prima di partire. Concluse raccomandandogli di essere pronto per l’indomani alle venti, sarebbe passato a prenderlo come stabilito.

    Joe si sentì insolitamente bene e provò anche un inesprimibile senso di sollievo allo scampato pericolo. Ma adesso era arrivato il momento di fare i conti con sé stesso. Per la prima volta affrontò veramente la domanda che era rimasta nel limbo. Perché? Cosa l’aveva spinto? Rimase sconcertato, non sapeva darsi una risposta. La perplessità generò inquietudine e per porre fine a quello spiacevole stato emotivo decise di relegare la questione ad una sfortunata coincidenza di sensazioni. Concluse che era stata colpa dell’alcool. Era un po’ giù e si era ubriacato, perciò non sapeva quello che stava facendo. Tuttavia in un angolo della mente persisteva il dubbio. Forse, in quei pochi secondi scellerati, aveva realmente deciso di farla finita e per questo si era aiutato con gli alcolici.

    Avrebbe voluto parlarne con qualcuno di fiducia. Un pensiero fuggevole sfiorò la figura di suo padre ma subito scartò l’idea. I loro rapporti non erano mai stati dei migliori in passato e di recente erano anche peggiorati tanto che non si vedevano da mesi.

    Suo padre, il prof. Edoardo Altieri, lo considerava un mezzo fallito. Non riusciva a capacitarsi del fatto che a scapito del suo dottorato in Biodiversità Marina Artica avesse preferito dedicarsi al giornalismo per riviste scientifiche. La verità era che Joe non voleva vivere all’ombra dell’illustre genitore, si sarebbe sentito schiacciato e spesso giudicato. Meglio una scelta di libertà. In fondo scrivere articoli e preparare servizi fotografici lo affascinava, era comunque un modo per realizzarsi con successo e mantenere un’indipendenza psicologica.

    A quelle latitudini la sua scelta aveva però delle controindicazioni. Non aveva più una vita personale, era costretto ad una specie di isolamento sociale per dei tempi difficilmente calcolabili. Come questa volta, a causa dei continui rinvii di Balti, era stato costretto ad una attesa prolungata.

    Una cosa però poteva farla, chiamare un vecchio amico, la persona giusta con la quale confidarsi. Con Lucas Schaeffer aveva condiviso un alloggio durante gli anni di studio poi lui aveva scelto la didattica, ed ora era diventato titolare di una cattedra a Toronto. Anche se lontani avevano mantenuto lo stesso rapporto confidenziale, appena possibile si incontravano in videoconferenza per lunghe chiacchierate annullando la distanza e il tempo.

    Tuttavia non sempre era possibile trovarlo disponibile, gli impegni all’ università lo assorbivano più di quanto non desiderasse ed era necessario rimandare l’incontro sul web. Ma questa volta fu fortunato, lo trovò in linea e poco dopo gli apparve il viso un po’ sciupato dell’amico. Mostrava più dei suoi quarant’anni anni , l’espressione grave era accentuata da occhiali massicci e da una precoce stempiatura e in generale il viso era solcato da linee profonde. Si era trasformato, al contrario di Joe che invece si riconosceva sempre con un aspetto giovanile.

    Lucas apparve sorridente, si aggiustò gli occhiali e si sporse in avanti per avvicinarsi ancora di più, il suo viso riempì interamente lo schermo.

    Joe finalmente! Pensavo che fossi diventato un gustoso dessert per qualche orso del posto!

    Rise Lucas.

    Però a guardarti meglio non mi sembri così appetitoso, stai bene Joe?

    D’un tratto si fece serio.

    Lucas aveva la facoltà di percepire all’istante il suo stato d’animo e Joe ne approfittò per vuotare il sacco di getto senza badare alle parole.

    Lucas mi è successo qualcosa di inspiegabile, ieri ho tentato di farmi fuori senza un perché.

    Joe si ammutolì per qualche momento conscio di aver sconcertato l’amico, lasciò che assorbisse la frase e poi gli raccontò tutto. Gli confidò anche il suo timore di poter ricadere nuovamente, suo malgrado, in quella oscura follia.

    Lucas lo ascoltò attentamente senza mai cambiare espressione, non mostrò disagio ma Joe riconobbe un’ombra di preoccupazione sul suo viso. Tuttavia reagì con la consueta concretezza, analizzò la situazione e concluse che la causa scatenante doveva ricercarsi nella frustrazione del momento.

    Non dare troppo peso a questo evento. Non permettere che diventi un’ossessione, avresti bisogno di cambiare aria per un po’ ma non hai ancora portato a termine questo lavoro. Sei frustrato perché Balti sta ritardando l’incontro e riconosco che non è un personaggio facile. L’ho conosciuto un anno fa circa, in occasione di una sua presentazione qui in università. E’ noto per il suo proverbiale carattere ruvido peggiorato da una caparbietà monumentale, però resta pur sempre uno scienziato di valore. In fondo ti piacerà quando riuscirai ad incontrarlo.

    Lucas fece una pausa e bevve un sorso d’acqua.

    Se vuoi il mio parere Joe, il tuo problema è che ti sei dedicato soltanto al tuo lavoro. Sei lontano e isolato, hai poche distrazioni ed è probabile che ti sia sentito smarrito in uno spiacevole vuoto. Perciò se ti fidi di me, avrei una soluzione. Ti posso affidare ad una amica psicologa che saprà indagare e aiutarti a superare questo momento. Lei è Greta Veltrier ed è una mia collaboratrice. Da un paio d’anni si occupa degli studi di adattamento biologico nelle zone artiche e abbiamo tenuto di recente insieme un convegno proprio qui a Toronto. Ha fatto parte di un gruppo di controllo sulle reazioni alle condizioni restrittive della vita nelle basi artiche. Che ne dici?"

    Joe non si sentì molto entusiasta ma conosceva Lucas, era inarrestabile. Era partito deciso con la sua proposta e non avrebbe accettato un rifiuto, perciò presto avrebbe conosciuto Greta Veltrier.

    Ti metterò in contatto con lei! Tranquillo è simpatica e anche carina! Ora però devo andare.

    Gli strizzò l’occhio e concluse la videoconferenza.

    Joe sospirò ma si sentì più sollevato, inoltre lo stomaco lo avvisò che era ora di andare a mangiare un boccone, controllò l’orologio e decise di prepararsi per andare alla tavola calda di fronte all’albergo, subito dopo voleva farsi una bella dormita, si sentiva sfinito.

    Rimandò all’indomani i preparativi per la partenza che, di fatto, non erano poi così impegnativi. Si vestì con gli abiti pesanti davanti allo specchio dell’ingresso e si valutò. Appariva più ingombrante per via del giaccone a doppio strato e del berretto spesso. Era convinto di non essere affatto in sovrappeso anche se negli ultimi due mesi non aveva fatto molta attività fisica, di certo bastava quel maledetto freddo a far bruciare le calorie in eccesso. Poi avvicinò il viso allo specchio e osservò l’alone scuro che colorava le palpebre inferiori degli occhi, con un dito abbassò prima una e poi l’altra per osservare meglio la rete di minuscole vene rosse che si erano formate nelle ore precedenti. L’aspetto non era dei migliori ma presto sarebbe passato.

    Sull’altro lato della strada spiccava la vetrina illuminata dell’unico ristorante e bar del paese, oltre a quella, a fare luce, c’erano solo i lampioni. Attraversò stando attento a non scivolare sul ghiaccio, e in più stava ricominciando a nevicare. Appena entrò nel piccolo locale, fu avvolto dal consueto profumo di zuppa di salmone. Alcuni clienti si voltarono a guardarlo, loro erano pescatori del posto e lui uno straniero, ma subito si distolsero tornando alle loro conversazioni. Per Joe erano ormai facce note e anche loro si erano abituati alla sua presenza e per questo motivo non destava più una particolare curiosità. Sapevano chi fosse e che cosa fosse venuto a fare ma, nonostante ciò, non avevano mai mostrato l’intenzione di andare oltre ad un impercettibile cenno di saluto con il capo. Quella sera però era diverso, l’elicottero dell’ospedale era un avvenimento raro e per questo degno di un accurato approfondimento, la notizia si era sparsa e probabilmente in paese non c’era un’anima che non sapesse ciò che aveva tentato di fare. Joe emise un leggero sospiro mentre si dirigeva al solito tavolo in fondo al locale vicino alla cucina. Mentre si accomodava rumorosamente sulla sedia pensò che presto, compiuta l’intervista, avrebbe potuto lasciare quel posto inospitale sotto tanti aspetti. Sentì gli sguardi su di sé e gli incomprensibili commenti che lo riguardavano, pensò che era meglio così, non comprendere la loro lingua era un buon motivo per non preoccuparsi di quello che avevano da dire.

    Quella sera decise di lasciar perdere il salmone, le aringhe e la renna, era stanco di quei sapori; aveva voglia di un semplice piatto di uova e pancetta e poi di un dolce.

    Non se ne rese conto immediatamente perché gli sembrò che il vecchio in piedi cercasse un posto per sé. Invece, incredibilmente, era interessato a sedersi proprio al suo tavolo e questo fece senza chiedere nulla. Scostò la sedia e sedette di fronte a lui. Il vecchio aveva lo stesso aspetto rude dei pescatori, il viso era solcato da rughe profonde, gli occhi azzurri affondati in palpebre cadenti sopra le quali spiccavano ispidi cespugli bianchi. Lo fissò per alcuni lunghi istanti, poi si protese verso Joe e, in un discreto inglese, gli parlò in tono confidenziale.

    Hai avuto fortuna! Sei riuscito a resistere al destino del Tuunngait. Non sei il primo, ma devi stare in guardia perché ci riproverà e non so se ce la farai a scampare un’altra volta!

    Detto ciò il vecchio si riappoggiò allo schienale della sedia e rimase ad osservarlo con un’espressione indefinibile.

    Joe finì di deglutire il boccone che era rimasto in sospeso.

    Il Tuunngait?

    Domando sbigottito più per l’invadenza che per l’argomento.

    L’uomo abbassò lo sguardo circospetto e rispose sottovoce.

    E’ uno spirito e, quando lo spirito sceglie, di solito ottiene ciò che vuole! Non pensare che io sia pazzo, qui in paese si è parlato molto di te, dimmi, volevi veramente fare quello che hai fatto?

    Joe davvero non sapeva che pensare di quel bizzarro individuo, tuttavia si trovò a confidargli che effettivamente anche lui stesso non sapeva darsi una spiegazione di quanto accaduto e che in verità la cosa gli destava una certa preoccupazione.

    Il vecchio sembrò compiaciuto dalla risposta.

    E’ così che succede! Le vittime prescelte perdono la ragione per quel tanto che serve ma tu sei stato più forte, hai reagito, ma non basta! Devi fare qualcosa per metterti al sicuro e, credimi, non basterà lasciare il paese. Ovunque andrai potrai essere di nuovo attaccato!

    Finì la frase con il dito indice vicino al naso di Joe.

    Perciò cosa dovrei fare per mettermi al sicuro da questo spirito?

    Joe decise di stare al gioco, chissà dove voleva andare a parare il suo strampalato interlocutore.

    Il vecchio lo scrutò con severità. Sembrò accorgersi del lieve tono canzonatorio di Joe, perciò si alzò e concluse sbrigativamente.

    Se credi che io sia folle lascia perdere, altrimenti ci vediamo domani alle 14.00 qui davanti, ti accompagnerò da un Angatkuq.

    Il vecchio si alzò e se ne andò così come era venuto.

    Joe lo seguì con lo sguardo, lo vide uscire dal locale e svanire lungo la strada inghiottito dalla neve che ora scendeva fitta.

    Joe scosse la testa e si alzò masticando l’ultimo boccone di strudel, pagò il conto e uscì sentendosi addosso gli sguardi degli altri clienti. Appena fuori dal ristorante aspirò l’aria gelida e poi la emise in una nuvola di vapore. Adesso che era nuovamente solo si sentì sollevato ma continuò a rimuginare su quell’incontro strambo per tutto il tratto che lo separava dall’albergo.

    Entrò in camera con il pensiero di preparare i bagagli per la partenza del mattino. Per un attimo valutò allo specchio lo stato della propria persona e notò che aveva un aspetto un po’ arruffato, perciò decise di provvedere subito. Uscì in accappatoio dal bagno in tempo per sentire il cicalino di avviso di persona in linea.

    Joe andò al suo portatile e sorrise. Era Lucas.

    Hey, finalmente non hai il solito aspetto selvatico, oggi mi sembri più in forma che mai! Volevo dirti che ho contattato Greta e si farà viva domani.

    Disse Lucas un po’ canzonatorio.

    Grazie amico mio! Sai bene che non ho modo di frequentare centri di estetica ma vedrò di migliorare e cercherò di non dare una prima brutta impressione alla tua amica! Comunque questa sera ho ricevuto un invito molto particolare. Mai sentito parlare di Tuunngait e del suo improbabile rimedio, uno stregone con un nome altrettanto astruso come Ang…e qualche cosa?

    Joe fu contento di avere l’insperata occasione di raccontarlo all’amico. Per questo gli venne voglia di mettersi comodo con un drink in mano e simulare di trovarsi insieme in un locale di Toronto ma ricacciò subito l’idea di aprire il frigo e si accontentò di ascoltare la risposta dell’amico.

    Oh, non sono stupito! Da quelle parti sono credenze molto diffuse e per gli abitanti hanno un fondamento reale. Non le conosco a fondo, ma so di storie di spiriti e di sciamani che le popolazioni nordiche si tramandano con molta cura. Perciò è possibile che nelle intenzioni di quell’uomo ci fosse l’effettivo desiderio di aiutarti, pur sapendo che per te tutto ciò ha un valore folkloristico. A mio parere ha avuto il coraggio di sfidare la tua derisione, quindi a te la scelta. In questo caso potresti parlarne con Therese che ha titolo per dare suggerimenti di questo tipo. Sai meglio di me quanto ha scritto sulla vita dei Sami e sicuramente conosce profondamente la loro cultura.

    Lucas era felice di quell’occasione perfetta per suggerirgli di parlare con la madre. Da troppo tempo Joe aveva diradato le comunicazioni con la sua famiglia. Gli dispiaceva soprattutto per sua madre Therese , lei non aveva particolari colpe se non quella di essersi legata ad un uomo dal carattere difficile, di questo Joe ne aveva inevitabilmente sofferto e sviluppato un rapporto conflittuale con entrambi ma con il padre ancora di più.

    Ci penserò Lucas, lo sai bene quanto siano controversi i rapporti tra noi. Ti farò sapere, buonanotte!

    Joe congedò l’amico sbrigativamente, ogni riferimento alla sua famiglia lo metteva di cattivo umore e in più si sentiva molto stanco.

    Poco prima di addormentarsi tornò con la memoria al tempo del loro dottorato. Ricordò il piccolo appartamento condiviso con Lucas, non avrebbe potuto avere un amico migliore, erano come fratelli. Qualche volta andavano a far visita a sua madre Therese che, dopo il divorzio, si era trasferita a Toronto. Ora la ricordava con un po’ di nostalgia ma all’epoca era scontroso con lei, solo Lucas sapeva apprezzare quei momenti piacevoli, soprattutto quando lei leggeva ad alta voce una storia che aveva appena terminato di scrivere. Non aveva capito la sua sofferenza, solo più tardi si rese conto di quanto le era stato difficile lasciarsi alle spalle la vita precedente. Amava i paesaggi della Toscana ma amava anche le lande ghiacciate, per questo scriveva storie intessute di faticosa sopravvivenza con un alone di mistero. I ricordi, gli interessi e la fantasia erano il materiale che lei manipolava per costruire le trame dei suoi libri, ed era proprio incantevole lasciarsi trasportare in pochi minuti nelle sue magiche realtà.

    Subito dopo il pensiero corse a suo padre, il prof. Edoardo Altieri, illustre biologo marino. Di lui aveva presente la sua mancanza. Notevolmente impegnato nel lavoro e spesso in viaggio per conferenze. Dopo il loro divorzio era tornato in quella che era stata la casa della sua infanzia, un antico podere in Toscana, soltanto poche volte e per poco tempo. Si era sentito quasi un estraneo però quella casa gli piaceva, era situata su una collina e dominava un campo di ulivi e una vigna rigogliosa. Peccato. Non riusciva a stare da suo padre, lo ricordava anaffettivo, sbrigativo e a volte molto irritabile

    Ultimamente, per quanto ne sapeva, si stava occupando di colonie di microorganismi e biofilms prelevati nelle acque artiche. L’ultima volta che si erano sentiti risaliva all’incirca a due mesi prima e per un motivo banale, era stato proprio suo padre a chiamarlo e soltanto per chiedergli il recapito telefonico del capo ricercatore di genetica antropologica molecolare della Base Artica di Ålesund. Ricordò con tristezza la breve e banale conversazione conclusa con un distratto ringraziamento.

    La stanchezza lo distolse dai pensieri, lanciò un’occhiata al video e decise di spegnere. Meglio dormire.

    Prof.Balti

    Capitolo 2

    Sollevò gli occhiali sulla testa e si massaggiò gli occhi chiusi con il pollice e l’indice della mano destra, era sfinito ma era scoccata una nuova scintilla di entusiasmo.

    Con difficoltà il prof. Balti si alzò dalla sedia, era anchilosato dalla posizione tenuta per parecchio tempo e lui stesso non avrebbe saputo dire nemmeno da quanto, poiché quando lavorava era scarsamente interessato ad ogni altra cosa. Afferrò il bollitore e si accorse che di caffè ne era rimasto davvero poco, imprecò sottovoce e si versò nella tazza ciò che ne era rimasto. Si prese il tempo per guardare oltre il vetro della finestra e si accorse che era in corso una tempesta di neve. La luce dei due lampioni interrompeva il buio e mostrava i fiocchi fittissimi che si scagliavano al suolo.

    Balti non se ne preoccupò, era una delle tante, il prefabbricato dove operava con i suoi collaboratori era stato progettato secondo precise norme per resistere al clima del luogo, come lo erano d’altra parte tutte le costruzioni che avevano funzione di Base scientifica.

    Era impegnato in quel luogo estremo da un paio di anni e aveva fatto una scoperta eccezionale. Benché lui e la sua squadra ci stessero lavorando sodo, la società finanziatrice mordeva sul tempo e gli aveva proposto di mandare altri collaboratori che però aveva rifiutato. I componenti della squadra li aveva messi insieme lui stesso, aveva bisogno di fidarsi e perciò non avrebbe permesso a nessun’altro di mettere le mani sul suo lavoro. Sapeva che era una scelta rischiosa ma non era capace di scendere a compromessi. In passato la sua caparbietà gli era costata cara. Era stato costretto a rinunciare alle ricerche in un’altra base scientifica alle Svalbard perché era entrato in conflitto con le idee di Nicholas Segel, il suo capo ricercatore. Era stato esonerato con un motivo semplicemente ignobile, ovvero non era più adatto, troppo vecchio. Tuttavia a dispetto dei suoi sessantasette anni, la Coral corp. aveva apprezzato la sua notevole reputazione e gli aveva affidato l’attuale ricerca.

    L’orologio alla parete segnava le 3.18, e questo era il suo momento migliore per concentrarsi. La sua squadra era formata da tre giovani laureati e da una speleologa esperta. Tutti dotati di entusiasmo e profondamente onorati di essere stati scelti da un ricercatore del suo calibro.

    Didier Montreau geologo, un francese alto, allampanato e piuttosto riservato. Svolgeva il suo lavoro con instancabile precisione.

    John Walesky chimico, californiano di origini polacche. Simpatico e naturalmente estroverso, dotato di ironia e con l’abitudine di canticchiare sottovoce.

    Attilio Weiss, tecnico strumentista, un robusto ragazzone di bell’aspetto adottato da una famiglia di Berlino. Il suo colore ambrato rivelava le origini messicane e il suo fisico mostrava dedizione a interessi sportivi. Si occupava sia del posizionamento che della manutenzione degli apparecchi scientifici della Base.

    Infine Jenny Fischer esperta speleologa americana, unica donna della squadra con alle spalle diverse spedizioni scientifiche.

    A quell’ora i suoi collaboratori dormivano. All’alba li avrebbe riuniti per renderli partecipi della sua nuova teoria, che se corretta, avrebbe dato alla Base ben due obiettivi.

    Per questo motivo aveva convocato Joe Altieri, l’idea era di fargli preparare un articolo da pubblicare con il corretto tempismo, anche se ora gli frullava in testa qualcosa di più elaborato. Pensava ad un diario di bordo che notificasse le attività giornaliere al fine di avere una traccia incontestabile del suo lavoro. Aveva ancora qualche ora per pensarci, si distolse dalla finestra e lanciò un’ultima occhiata afflitta al bollitore, riconosceva che era ridicolo non saperlo usare. Sospirò e tornò a sedersi alla scrivania pensando che presto Attilio avrebbe preso servizio, la sua routine comprendeva la verifica delle apparecchiature e la preparazione del primo caffè della giornata. Lanciò un’ultima occhiata alla finestra di fronte, la tempesta imperversava più che mai.

    Così non va professore, perfino lei deve riposare ogni tanto!

    Balti trasalì ma riconobbe il tono premuroso.

    Jenny appoggiata allo stipite della porta lo stava osservando con aria di rimprovero goffamente infagottata in una vestaglia blu da cui spuntavano i pantaloni del pigiama. Anche così appariva carina. Era una donna intorno ai quarant’anni autorevole e insieme gentile e ora che i biondi capelli le ricadevano sciolti alle spalle sembrava anche più giovane.

    Posso chiederti che ci fai in piedi a quest’ora?

    La rimproverò bonariamente Balti.

    Un attacco di insonnia credo. Sono scesa per anticipare la colazione, mi è venuta fame.

    Ridacchiò Jenny.

    Beh, egoisticamente non potevi capitare più a fagiolo! Prendiamo un caffè insieme.

    Jenny annuì e si avvicinò al bollitore.

    Nonostante il carattere burbero Balti trattava i suoi collaboratori con affettuosa familiarità. Presto l’aroma della bevanda si diffuse nella stanza e Jenny si avvicinò al professore con due tazze fumanti. Lanciò uno sguardo allo schermo e notò che stava guardando immagini di grandi crostacei, enormi aragoste dalla corazza scura e lucente come guerrieri alieni.

    Quel reperto faceva parte di un carotaggio recente e sapeva che era stata una vera fortuna trovare un pezzo così significativo, motivo per il quale Balti era così entusiasta. Da giorni aveva intensificato le ricerche ed era quasi completamente convinto di portare avanti due progetti insieme.

    Jenny, penso che tu e Attilio dovrete tornare a raccogliere altro ghiaccio al più presto. E’ necessario trovare altri reperti, dobbiamo raccogliere più pezzi possibili di questo esoscheletro. Ho inviato l’immagine ad un mio collega paleontologo e mi ha confermato il sospetto. Si tratta di un invertebrato della classe dei crostacei, senza dubbio, presente sul pianeta nel Paleozoico. Si tratta di una scoperta straordinaria e ora che ne ho avuto la conferma voglio come prima cosa informare il resto della squadra appena sarà mattina .

    Jenny riuscì soltanto ad annuire senza poter intervenire, Balti sembrava un fiume in piena per l’entusiasmo.

    Inoltre ho convocato un giornalista per dopodomani, credo sia opportuno incominciare ad impostare un’intervista per documentare il nostro lavoro.

    Capisco. Tuttavia non crede che potremmo attirare qualche inopportuna curiosità troppo presto?

    Chiese Jenny con un velo di preoccupazione.

    Vero Jenny, però ho pensato di non far pubblicare niente finché non saremo a buon punto. Voglio chiedere a questo giovane giornalista di rimanere con noi e di tenere la cronaca del nostro lavoro con l’impegno da parte sua di mantenere l’assoluto riserbo fintanto che sarà necessario ma certamente, se non accetterà non gli affiderò il lavoro.

    Jenny rimase perplessa ma non replicò. Il vero problema era che spesso alcuni reperti cosiddetti speciali rimanevano inspiegabilmente pezzi unici e non portavano a nulla. Ma questo lo aveva certamente considerato anche Balti e perciò rimase in silenzio per non adombrare il suo fervore.

    Invece incominciò a pensare a come organizzare la prossima spedizione, molto dipendeva dal meteo e lo sguardo si spostò alla finestra. Al momento era in corso una tempesta di neve che, secondo le previsioni, si sarebbe protratta ancora per un giorno e mezzo, perciò una data utile avrebbe potuto essere il due di gennaio.

    La sede delle ricerche era situata all’interno di una vecchia miniera di carbone abbandonata nei dintorni di Barentsburg che negli anni sessanta era stata teatro di un terribile incidente con parecchie vittime tra i minatori russi. L’esplosione aveva squarciato una importante porzione della montagna rendendola inagibile.

    Tuttavia i soccorritori annotarono nei loro rapporti che a causa dell’incidente si era formata una via di accesso per una grotta sotterranea inesplorata. La cosa però fu subito dimenticata, la miniera venne chiusa per sempre e la storia della grotta divenne una specie di leggenda. Un paio di decenni più tardi un paio di avventurosi speleologi si cimentarono in una ricerca autonoma e non autorizzata. Trovarono ed esplorarono la grotta e documentarono gli strani vegetali che abitavano un ambiente dalle caratteristiche non comuni. Inoltre nella grotta c’era anche un lago. Balti ne venne a conoscenza per un caso fortuito, fiutò la pista e contattò gli speleologi ma questi non si lasciarono convincere ad effettuare una nuova spedizione. L’accesso si era mostrato pericolosamente impervio già allora, attualmente considerarono che, secondo una probabilità molto elevata, i sedimenti in naturale accumulo potevano averlo reso assolutamente impraticabile. Ma Balti non si arrese e armato della documentazione fotografica e di argomenti convincenti ottenne dalla Coral corp. il sostegno necessario per impiantare una base scientifica e approfondire le ricerche.

    Nel frattempo si erano fatte le cinque di mattina, Jenny decise di tornare nel suo alloggio per cambiarsi e incrociò Attilio in corridoio.

    Il caffè è pronto!

    Disse strizzandogli l’occhio e continuando a camminare senza dargli il tempo di replicare. La vita alla Base era scandita da tempi precisi ma per rompere la routine qualche volta andavano a mangiare a Longearbyen che distava poco più di una decina di chilometri, si spostavano con le slitte a motore e facevano i turni per non lasciare mai la Base deserta. Nella consuetudine però si avvicendavano nella preparazione dei pasti e John era convinto di avere più talento degli altri.

    L’unico escluso da questa incombenza era il professore, sempre così immerso nel lavoro che talvolta occorreva perfino ricordargli di mangiare qualcosa. Quel giorno toccava a Didier fare il cuoco di giornata ma, considerando che si trattava anche dell’ultimo dell’anno, tutti i collaboratori di Balti decisero che avrebbero unito le forze per mettere insieme una cena degna di un festeggiamento.

    Subito dopo colazione Balti riunì la squadra nel suo ufficio e li informò che aveva la realistica speranza che il campione ritrovato risalisse a cinquantacinque milioni di anni circa, quando il clima al Polo Nord era mite. Il Dna riscontrato nel frammento confermava la tesi e Balti mostrò a tutti la figura completa della gigantesca aragosta vissuta a quella latitudine in un tempo lontanissimo.

    Il soggetto era classificato come crostaceo decapode, in tutto somigliante ad un grosso gambero ma di dimensioni straordinarie, le zampe potevano raggiungere la lunghezza presumibile di otto metri circa.

    Attilio sgranò gli occhi ed emise un fischio soffocato.

    Caspita, aragosta alla brace a volontà!

    "Come fai ad essere così sicuro che non saresti invece diventato la sua deliziosa tartare?"

    Lo schernì Didier in un coro di risatine. Ma Balti riprese subito il filo del discorso.

    "Domani arriverà un giornalista della rivista Artic, voglio che scriva del nostro progetto e non solo, intendo proporgli di redigere una cronaca giornaliera del nostro lavoro. Questo significa

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