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Lo sport fa male
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Lo sport fa male

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About this ebook

La storia è ambientata in una palestra della capitale, dove Giuliana (una giovane, ironica, determinata donna dai tratti mediterranei e dalle forme generose) insieme alle sue amiche si scambieranno confidenze personali e commenti sugli aspetti delle attività presenti nello Sportgym2000 e sulla vita in generale; il tutto arricchito dall’ironia e dalla professionalità degli istruttori e delle istruttrici. Nel frattempo ci sarà una simpatica amicizia tra una delle allieve e un giovane uomo che frequenta la sala pesi insieme alla sparizione di un prezioso anello.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateMay 10, 2019
ISBN9788867829446
Lo sport fa male

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    Lo sport fa male - Francesca Papa

     Francesca Papa

    Lo sport fa male

    Francesca Papa

    Lo sport fa male

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio d'Adda-Mi

    Ogni riferimento descritto nel seguente romanzo a cose luoghi o persone sono da ritenersi del tutto casuali.

    Copertina reperita dal sito di pixabay 

    CAPITOLO 1

    Giuliana scese con energia dallo step e fissò il soffitto per qualche minuto. Era esausta, dopo mezz’ora di aerobica e un quarto d’ora di addominali, obliqui e frontali. Le piacevano le lezioni di Balance, functional fitness & tone, quello che molto più semplicemente il suo istruttore, Simone, chiamava BFT. Ma mettevano a dura prova il suo fisico; nonostante ciò, non ne avrebbe fatto a meno neppure sotto tortura; tanto che, quando andava alla Sport Gym 2000, un elegante palestra nel cuore di Roma, in zona Prati, si sentiva molto meglio con il suo corpo. 

    All’inizio aveva accettato con un po’ di riluttanza. Non era mai stata un’appassionata di sport, forse perché il suo fisico – altezza media e una corporatura prorompente – non ne aveva mai avuto bisogno. Col tempo, però, quelle due ore che dedicava alla palestra, due o tre volte a settimana, erano diventate imprescindibili. Le servivano non solo per sentirsi meglio fisicamente, ma anche per scaricare la tensione accumulata dopo una giornata di lavoro con i bambini. 

    Giuliana, infatti, lavorava in un asilo nido e doveva correre tutto il tempo dietro a bambini piccoli che non facevano altro che strillare, sbattere i giocattoli per terra, piangere e farsi la pipì addosso. Era un lavoro snervante e quando usciva dal nido sentiva come se le avessero infilato la testa in un alveare. Ma non lo avrebbe cambiato per nulla al mondo. Adorava infatti i suoi piccoli marmocchietti e per loro avrebbe fatto di tutto. Ma ciò non toglieva che il tempo passato in palestra la ricaricava in vista della successiva giornata di lavoro.

    «Su, un ultimo esercizio e poi vi lascio andare a casa!»

    Giuliana alzò la testa. Simone aveva portato il microfono alle labbra e aveva ripreso a dare il ritmo agli esercizi. Lei socchiuse gli occhi un istante, poi li riaprì e si diede la spinta per rimettersi in piedi.

    «Guardate me e poi cominciamo. Sono solo tre serie!» disse ancora Simone, prima di mettersi in ginocchio e distendere le gambe, mantenendo la parte addominale in tensione e la schiena dritta come una tavola da surf. Tese quindi un braccio verso l’alto prima a destra, poi a sinistra, contando di volta in volta. 

    «E adesso gridate, forza!» spronò ancora l’istruttore, in direzione del gruppetto.

    Giuliana eseguì, cercando di non pensare alla fatica. E soprattutto a un sinistro scricchiolio che udì venire dal gomito. Si fermò pensando che quella sera avrebbe dovuto chiedere a Michele, il suo ragazzo da quando andavano tutti e due nello stesso liceo, di darle un’occhiata. Nell’attesa si voltò verso una ragazza di una decina d’anni più grande di lei, con un fisico magro e scattante, un fascio di nervi pronti a guizzare e una coda bionda che si muoveva al ritmo con gli esercizi.

    «Cate secondo te è normale che ho sentito uno scricchiolio al gomito?» le domandò Giuliana.

    L’altra ragazza si voltò a guardarla.

    «In che senso?»

    «Sì», sussurrò Giuliana. «Qualcosa ha scricchiolato più o meno qua», e indicò il punto che le faceva male.

    «Ma stai tranquilla, se ci fosse qualcosa che non va urleresti per il dolore. Te lo dico io che cos’è: Simone ci sta mettendo sotto. Sto soffrendo anch’io e lui ci gode, guardalo come sogghigna, il bastardo!»

    «Ok, mi stavo già preoccupando.»

    «Ma non ci pensare, non è nulla. Piuttosto, sbaglio o ti vedo dimagrita?»

    Giuliana represse a fatica un sorriso. Finalmente qualcuno se ne accorgeva, dato che Michele sembrava non rendersi conto mai di niente, anche perché il loro rapporto stava diventando abitudinario e a tratti noioso.

    «Si nota?»

    «Sì, sì, eccome.»

    «Bene, almeno tutta questa fatica serve a qualcosa. Ho perso già un bel po’ di chili, ma non basta ancora. Devo stare attenta quando mangio e soprattutto continuare con questi esercizi massacranti. Ma sono soddisfatta.»

    «E fai bene», le disse ancora Caterina, facendole l’occhiolino.

    Giuliana le sorrise. Cate era una ragazza in gamba, una giornalista da poco assunta in una rivista online che si chiamava Start&Go o una roba del genere, Giuliana non lo ricordava con esattezza. Era molto bella, con la sua coda bionda, la carnagione chiara e gli occhi luminosi. 

    «Piuttosto», riprese Giuliana. «Hai saputo di Isabella?»

    «Isa? No, che cos’è successo?»

    «Pare che abbia…»

    «Ehi voi due! Meno chiacchiere e più esercizi!» le riprese Simone. Le due ragazze infossarono la testa nelle spalle. «Vogliamo fare stretching, insieme?» gli domandò poi raggiungendole e mettendosi le mani sui fianchi.

    «Certo, non aspettavamo altro…» ironizzò Caterina strizzando gli occhi per la fatica.

    *

    Giuliana rientrò negli spogliatoi gettandosi un asciugamano sulla spalla. Si sedette su una panca e si passò il tessuto sul viso per asciugare il sudore. Era stanca e lo specchio le rimandava indietro un volto paonazzo per lo sforzo. Ma si sentiva bene. La lezione di BFT le aveva dato la giusta carica e ora era pronta alla giornata che l’attendeva. 

    Fece mente locale, rendendosi conto che doveva tornare a casa e rivedere il piano delle attività per il giorno successivo. Si batté le mani sulle cosce, ancora poco toniche, e si alzò in piedi. Andò al suo armadietto e prese la propria sacca, quella che aveva comprato in palestra subito dopo l’iscrizione e su cui campeggiava lo stemma della Sport Gym 2000.

    Caterina fece il suo ingresso in quel momento. Reggeva una bottiglietta d’acqua quasi del tutto vuota. Si salutarono con un cenno, poi l’amica la raggiunse.

    «Non vedo l’ora di entrare nella sauna. Mi ci vuole proprio per rilassarmi.»

    «Sì, avessi tempo ti seguirei. Ma oggi sono un po’ di corsa.»

    «Peccato. Ma piuttosto, che cosa mi stavi dicendo prima di Isabella?»

    «L’altro giorno è venuta e sfoggiava all’anulare un anello magnifico! Dio come vorrei che anche Michele me ne regalasse uno così…»

    «Era davvero tanto bello?»

    «Scherzi?! Quando lo vedrai mi dirai! Ti dico solo che sfoggiava un solitario così grosso che mi domando come faccia a portarlo in giro senza pesargli sulla mano.»

    «Deve valere un sacco di soldi.»

    «Poco ma sicuro. Io però non credo che avrei mai il coraggio di portarlo in giro con tanta disinvoltura. Con tutta la gente strana che gira… Senza contare che qui in palestra non mi pare il luogo migliore.»

    «La penso come te», le fece eco Caterina facendo canestro nel cestino adibito alla plastica. «Nemmeno io lo porterei in giro» e si chiuse la cintura di cotone dell’accappatoio. «Vabbè che con quello che guadagno, quando mai me lo potrei permettere?» e scoppiò in una risata.

    Giuliana rise con lei. Poi, non appena la risata cessò, le chiese:  

         «Scusa, ma non ti pagano bene alla rivista?»

    «Insomma. Considera che ho dovuto anche accettare un contratto di sei mesi rinnovabile in una piccola casa editrice dei Castelli. Vorrei fare solo la redattrice, ma in realtà sono l’assistente operativa, quindi mi tocca coordinare tutte le fasi della produzione editoriale. E mi pagano pochissimo.»

    «Ma chi te lo fa fare, allora?»

    Caterina si strinse nelle spalle. 

            «La passione», rispose. «Mi trovo bene, è un ambiente dinamico e accattivante. In verità spero di restare proprio in questo settore, magari in una realtà più grande. Vabbè, vedremo.»

    «Eh, vedremo… Che palle, però. Una si fa un mazzo tanto per studiare e poi si deve accontentare di lavori saltuari e con stipendi da fame! Figurati che io faccio la stagista in un asilo nido. Mi piace da morire stare in mezzo ai bambini, vedessi le cose che sono capaci di inventare, per loro è sempre tutto nuovo. Ma ovviamente mi pagano una miseria…»

    «Quindi è questo che vorresti fare nella vita? L’insegnante d’asilo nido?» le chiese Caterina, alzandosi per andare in direzione del suo armadietto.

    «Per ora mi va bene così. Ma il mio sogno è aprire una ludoteca: non solo giochi, ma anche letture, teatro, corsi vari per più piccoli, divertimenti all’aperto in estate. Sarebbe bellissimo!»

    «E allora ti ci vorrebbero tanti anelli come quello!» ridacchiò Caterina.

    «Sì, avrei bisogno di una ventina di quelli. Meglio che la smetto di sognare! Che anche se lo ritrovo ovviamente glielo riconsegno.»

    «In che senso ritrovi, scusa?»

    «Ah, giusto, non ti ho detto la cosa più importante! L’altro giorno pare che sia sparito.»

    «Sparito?!»

    «Eh già.»

    «Vuoi dire che l’hanno rubato?»

    «Non si sa», disse Giuliana stringendosi nelle spalle. «Però dopo l’allenamento Isabella non l’ha più trovato e quindi i sospetti sono alti.»

    «Che brutta storia!»

    «Sì, infatti. Senti Cate, io scappo a farmi la doccia, che poi ho un mucchio di cose da fare, come ti dicevo.»

    «Ma certo, scusa se ti ho trattenuta, vai pure. Ci vediamo alla prossima.»

    *

    «Ragazze, vi volevo dare un’informazione prima di cominciare la nostra lezione di Macumba», esordì Michel col suo tono impostato e il forte accento francese. «Sabato verrà qui alla Sport Gym 2000 una troupe televisiva di alcuni miei amici. Faranno delle riprese per fare un po’ di pubblicità alla palestra. Vi creerebbe problemi comparire in tv?»

    La sala si riempì di un brusio sommesso, mentre lo stereo caricava il primo pezzo musicale. Poi, una voce si levò sopra tutte le altre.

    «Come ci dobbiamo vestire? Perché magari, visto che vengono le telecamere, io pensavo di truccarmi e aggiustarmi un po’ i capelli, che ne dici?»

    Tutti, a cominciare dall’istruttore, si voltarono verso la donna che aveva parlato. Si trattava di Iolanda, un «donnone» alto e dal fisico imponente, che svettava su quasi tutte le altre presenti in sala, sia quelle giovani, sia quelle più mature.

    Michel inspirò per rispondere, ma fu anticipato da Giuliana. «E i passi?» domandò un po’ agitata. «Che passi dovremo fare? Ce li dirai, vero?»

    «Ma sì, stai tranquilla Giuliana, sono i soliti che facciamo ogni sabato.»

    «E se dovessimo sbagliare?» domandò ancora la ragazza, guardando a turno le amiche che la circondavano e poi l’istruttore, che sfoggiava come al solito la sua maglia bianca aderente, capace di mettere ancor più in risalto il suo fisico scolpito e la sua pelle color cioccolato.

    «Facciamo così: li proveremo prima di iniziare le riprese, va bene per tutte?»

    Una dopo l’altra le donne annuirono, con piena soddisfa-zione di Michel, che riprese quindi a parlare.

    «Ora vi faccio vedere il primo ballo, lentamente», poi si spostò al centro della stanza, accompagnato dall’ondeggiare delle sue treccine. Non appena lo stereo mandò le prime note, l’istruttore cominciò a dare le sue indicazioni: «Quattro passi a destra, alzando le mani fino al soffitto, poi torniamo indietro nello stesso modo. Quindi ci fermiamo e allarghiamo le gambe in uno squat, movimento del bacino sensual. E poi ancora un knee up a destra e uno a sinistra. A questo punto Merengue, cioè passo avanti e indietro, destro e poi sinistro, quindi rotazione del bacino a tempo di musica. Tutto ok?»

    Giuliana fissava Michel cercando di memorizzare i passi. Le piacevano molto le lezioni di Macumba, così tanto che si era andata a documentare e aveva scoperto che si trattava di un’attività aerobica inventata dal trainer italo-brasiliano Max Imperoli, che aveva avuto l’intuizione di fondere insieme danze brasiliane e fitness ad alto e basso impatto, per tonificare la parte inferiore del corpo.

    «‘Tutto ok’ mi sembra una parola grossa», ridacchio Iolanda. «Diciamo che cerchiamo di ripetere quello che fai tu», concluse con la sua solita voce carica.

    Giuliana la guardò e la invidiò. Aveva quasi cinquant’anni, ma una vitalità tale che era quasi impossibile ingabbiarla. L’aveva sentita chiacchierare anche per ore, durante tutta la lezione, con il suo tono gioviale e la risata sempre pronta. Le stava simpatica, anche se a volte la trovava un po’ troppo esuberante.

    Un movimento di Michel attirò di nuovo la sua attenzione. Era la prima lezione di Macumba cui Giuliana partecipava, ma non vedeva l’ora di provare. Dopo essersi documentata, infatti, si era convinta che anche quella sarebbe stata una lezione utile a mantenersi in forma, divertendosi allo stesso tempo.

    Seguì i passi di Michel per un quarto d’ora, stando bene attenta a imparare i movimenti. Non voleva fare brutta figura quando fosse venuta la troupe televisiva a intervistarli, quel sabato. 

    Aveva ormai il fiato corto, quando Michel diede loro

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