L'amore negato
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Book preview
L'amore negato - Maria Messina
Indice
Copertina
L’AMORE NEGATO
I
II
III
IV
Maria Messina
L’AMORE NEGATO
Non negare il bene a quelli a cui è
dovuto quando è in tuo potere di farlo.
SALOMONE, Il Libro dei Proverbi
Il presente ebook è composto di testi di pubblico dominio.
L’ebook in sé, però, in quanto oggetto digitale
specifico,
dotato di una propria impaginazione, formattazione, copertina
ed eventuali contenuti aggiuntivi peculiari (come note e testi introduttivi),
è soggetto a copyright.
Immagine di copertina: In the Orchard, from a painting by Edmund C. Tarbell (West Groton, 26 aprile 1862 – 1º agosto 1938). Immagine di pubblico dominio: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Edmund_Charles_Tarbell_-_Au_verger.jpg
This work is in the public domain in its country of origin and other countries and areas where the copyright term is the author’s life plus 70 years or less.
This work is in the public domain in the United States because it was published (or registered with the U.S. Copyright Office) before January 1, 1924.
Elaborazione grafica: GDM.
Maria Messina
Maria Messina (Palermo, 14 marzo 1887 – Pistoia, 19 gennaio 1944) è stata una scrittrice italiana (zia di Annie Messina, figlia del fratello di Maria, Salvatore).
Nacque ad Alimena, in provincia di Palermo, da Gaetano, ispettore scolastico, e Gaetana Valenza Traina, discendente di una famiglia baronale di Prizzi. Cresciuta a Messina, trascorse un’infanzia isolata, con i genitori ed i fratelli. Durante l’adolescenza, viaggiò molto nel Centro e Sud dell’Italia, per via dei continui spostamenti del padre, finché, nel 1911, la sua famiglia si stabilì a Napoli. Maria Messina si autoeducò e fu, in seguito, incoraggiata dal fratello maggiore a iniziare una carriera come scrittrice.
All’età di ventidue anni, iniziò una fitta corrispondenza con Giovanni Verga, e tra il 1909 e il 1921, pubblicò una serie di racconti. Grazie all’appoggio di Verga, inoltre, una sua novella uscì sull’importante rivista letteraria, La Nuova Antologia
; un’altra, La Mèrica, uscita su Donna
, vinse il premio Medaglia d’Oro.
Fatta esclusione per i fratelli, la corrispondenza con Verga rappresentò l’unico contatto amichevole e l’unico legame con il mondo letterario. In totale, questa scrittrice produsse diversi volumi di racconti brevi, cinque romanzi e una selezione di letture per bambini, che le diedero una modesta fama. Nel 1928, uscì il suo ultimo romanzo, L’amore negato, mentre la sclerosi multipla, che le era stata diagnosticata a vent’anni, si stava complicando. Maria Messina morì, a Pistoia, nel 1944, a causa di questo male.
Visse molti anni a Mistretta, città in provincia di Messina, nel cuore dei monti Nebrodi, dove ambientò molti suoi racconti. Le sue spoglie mortali, assieme a quelle della madre, sono state traslate, il 24 aprile 2009, proprio a Mistretta, considerata come una sua seconda patria. Maria Messina è divenuta cittadina onoraria
dell’antica capitale
dei Nebrodi.[1] Inizialmente non era molto conosciuta come autrice, soltanto successivamente venne riscoperta da Leonardo Sciascia[2] che ripubblicò numerose opere di Maria Messina in case editrici di prestigio.
La scrittura
La scrittura di Messina si concentrò soprattutto sulla cultura siciliana e, come temi principali, l’isolamento e l’oppressione delle giovani donne siciliane.[3] Inoltre, la sua scrittura si focalizzò sulla dominazione e sub missione inerente alle relazioni sentimentali tra uomini e donne.[4] Per di più, una delle sue novelle più riconosciute, La casa nel vicolo, segnò un punto di svolta nella scrittura di Messina, verso lo sfruttamento delle condizioni psicologiche.[5] Nella sua narrazione, Messina ritrasse l’oppressione delle donne come inevitabile e ciclico nella sua scrittura e, a causa di questo, alcuni sostengono che lei non fu una femminista.[3] Ciononostante, le donne che ritrasse furono la rappresentazione di potenti dichiarazioni di atteggiamento di sfida.[6]
Le Autrici della Letteratura Italiana
Maria Messina è tra le scrittrici basilari della storia della letteratura italiana del primo Novecento; è quindi censita in Le Autrici della Letteratura Italiana.
Opere
Novelle
Pettini fini e altre novelle, Sandron, Palermo, 1909; Sellerio, Palermo, 1996
Piccoli gorghi, Sandron, Palermo, 1911; Sellerio, Palermo, 1988
Le briciole del destino, Treves, Milano, 1918; Sellerio, Palermo, 1996
II guinzaglio, Treves, Milano, 1921; Sellerio, Palermo, 1996
Personcine, A. Vallardi, Milano, 1921; Sellerio, Palermo, 1999
Ragazze siciliane, Le Monnier , Firenze, 1921; Sellerio, Palermo, 1997
Casa paterna (1944), Sellerio, Palermo, 1981 (con una nota di Leonardo Sciascia).
Gente che passa, Sellerio, Palermo, 1989
Dopo l’inverno, a cura di Roswitha Schoell-Dombrowsky, Sellerio, Palermo, 1998
Romanzi
Alla deriva, Treves, Milano, 1920
Primavera senza sole, Giannini, Napoli, 1920
La casa nel vicolo, Treves, Milano, 1921; Sellerio, Palermo, 1982
Un fiore che non fiorì, Treves, Milano, 1923
Le pause della vita, Treves, Milano, 1926
L’amore negato, Ceschina, Milano, 1928; Sellerio, Palermo, 1993
Letteratura per l’infanzia
I racconti di Cismè, Sandron, Palermo, 1912
Pirichitto, Sandron, Palermo, 1914
Cenerella, Bemporad, Firenze, 1918
I figli dell’uomo sapiente, Sandron, Palermo, 1920; Mondadori, Milano, 1939
II galletto rosso e blu e altre storielle, Sandron, Palermo, 1921
II giardino dei Grigoli, Treves, Milano, 1922
I racconti dell’Avemmaria, Sandron, Palermo, 1922
Storia di buoni zoccoli e di cattive scarpe, Bemporad, Firenze, 1926
Altro
Un idillio letterario inedito verghiano: lettere inedite di Maria Messina a Giovanni Verga, a cura di Giovanni Garra Agosta, introduzione di Concetta Greco Lanza, Greco, Catania, 1979
Bibliografia
Giovanni Garra Agosta (a cura di), Un idillio letterario inedito verghiano: lettere inedite di Maria Messina a Giovanni Verga, Greco, Catania, 1979
Lucio Bartolotta, Maria Messina, Il centro storico, Mistretta, 2009
Maria Messina
L’AMORE NEGATO
Non negare il bene a quelli a cui è
dovuto quando è in tuo potere di farlo.
SALOMONE, Il Libro dei Proverbi
I
La piazza di Santa Maria, un po’ isolata, non aveva niente di bello. Pure Miriam passava volentieri quasi l’intera giornata a lavorare fitto fitto davanti la finestra bassa che si apriva proprio di faccia alla chiesa. Mentre infilava l’ago o cercava le forbicine da ricamo dentro il cestino si divagava per qualche minuto a dare un’occhiatina fuori.
Non si vedeva niente di bello, in verità, e Severa non aveva torto quando diceva che a star lì seduta pareva di guardare dalla grata d’un convento.
La piazza, di solito poco popolata, era chiusa di qua dal palazzo dei nobili Renzoni, alto alto, col muro color di rosa che diventava rossiccio appena pioveva e il nespolo che nascondeva due finestre; di là da un casone, maestoso e cadente, che doveva essere atterrato per ingrandire la strada, la rua di Carlomagno (e i lavori non erano mai cominciati per non voler distruggere un ponticello a colonnini sul quale si diceva avesse posato i piedi Carlomagno in carne e ossa); dirimpetto al casone c’era la chiesetta di Santa Maria Inter Vineas, col campanile mozzato da un fulmine, il forno allato al campanile, e, attaccata alla chiesa, la canonica (con l’ultima finestra sulla imboccatura della stradina che se n’andava ai Cappuccini, tutta storta e ciottolosa, accompagnata dal brontolio del Tronto).
Davanti alla chiesa si fermavano i funerali: funerali poveri accompagnati da poca gente con pochi ceri accesi; funerali pomposi, con corone di fiori freschi, carrozze, gente in quantità, e qualche volta la banda, seguita da un codazzo di monelli che pareva passasse la processione. Un po’ prima si vedeva entrare in sacrestia il curato che andava a vestirsi. All’imboccatura molti ceri andavano spenti, l’accompagnamento si assottigliava, e il carro spariva in fretta nella stradina, traballando sui ciottoli, ricco o povero che fosse.
Non era spettacolo malinconico e insolito: perché, essendo quella la chiesa più vicina ai Cappuccini, i mortori si fermavano tutti lì e c’era l’abitudine di vederne passare tanti.
Anche a dare un’occhiata alle esequie e domandare poi chi fosse morto, aprendo la finestra, era una specie di distrazione per Miriam che stava a lavorare sola sola.
Quasi nel mezzo della piazza stava la fontana che continuamente si affrettava a riempire qualche recipiente, continuamente aspettata da due o tre donnette che spettegolavano tenendo pronte le corpacciute conche di rame. Qualche vecchia si portava la calza per non perdere tempo mentre aspettava.
Fra una gugliata e l’altra, Miriam guardava anche verso la fontana, divertita con certe scenette che non si ripetevano sempre alla stessa maniera.
Ora una ragazzina non riesciva a caricarsi la conca piena e aspettava il pietoso aiuto di