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Mattinate Napoletane
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Mattinate Napoletane

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Salvatore Di Giacomo (Napoli, 12 marzo 1860 – Napoli, 5 aprile 1934) è stato un poeta, drammaturgo e saggista italiano. Fu autore di notissime poesie in lingua napoletana (molte delle quali poi musicate) che costituiscono una parte importante della cultura popolare partenopea. Fu molto apprezzato anche come novelliere. Nei suoi racconti descrive la vera Napoli dei vicoli, un brulicante calderone di umanità,

Molte delle poesie di Salvatore Di Giacomo sono state musicate da vari compositore (ad esempio dall'abruzzese Francesco Paolo Tosti, e dal musicista tarantino-napoletano Mario Pasquale Costa). Per ricordare le più famose canzoni in lingua napoletana, citiamo “Marechiaro”, “Era de maggio”, in cui due giovani innamorati ricordano il loro primo incontro, in un giardino profumato di rose; “Luna Nova”, e la spensierata “Oilì oilà” che irritò non poco i benpensanti milanesi che non si spiegavano il motivo di tanta ilarità in una città appena colpita da gravi epidemie.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 15, 2019
ISBN9788831620864

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    Mattinate Napoletane - Salvatore Di Giacomo

    INDICE

    Salvatore Di Giacomo

    Biografia

    I successi

    Il teatro

    MATTINATE NAPOLETANE

    VULITE ‘O VASILLO?…

    SERAFINA

    L’ABBANDONATO

    GLI AMICI

    FORTUNATA LA FIORISTA

    L’AMICO RICHTER

    SENZA VEDERLO

    LA REGINA DI MEZZOCANNONE

    L’IMPAZZITO PER L’ACQUA

    NOTTE DELLA BEFANA

    SCIROCCO

    SUOR CARMELINA

    DOCUMENTI UMANI

    LE BEVITRICI DI SANGUE

    ALBA

    Note

    Salvatore Di Giacomo


    MATTINATE NAPOLETANE

    Il presente ebook è composto di testi di pubblico dominio.

    L’ebook in sé, però, in quanto oggetto digitale specifico,

    dotato di una propria impaginazione, formattazione, copertina

    ed eventuali contenuti aggiuntivi peculiari (come note e testi introduttivi), 

    è soggetto a copyright. 

    Immagine di copertina: Opera di Karl Bryullov (1799–1852); immagine di pubblico dominio: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Karl_Brullov_02.jpeg 

    This is a faithful photographic reproduction of a two-dimensional, public domain work of art. The work of art itself is in the public domain for the following reason: 

      This work is in the public domain in its country of origin and other countries and areas where the copyright term is the author's life plus 100 years or less. 

    Elaborazione grafica: GDM.

    Salvatore Di Giacomo

    Salvatore Di Giacomo (Napoli, 12 marzo 1860 – Napoli, 5 aprile 1934) è stato un poeta, drammaturgo e saggista italiano. Fu autore di notissime poesie in lingua napoletana (molte delle quali poi musicate) che costituiscono una parte importante della cultura popolare partenopea. È molto apprezzato come novelliere nero.

    Insieme ad Ernesto Murolo, Libero Bovio e E. A. Mario è stato un artefice della cosiddetta epoca d’oro della canzone napoletana.

    Biografia

    Salvatore Di Giacomo nacque a Napoli il 12 marzo 1860, figlio primogenito del medico Francesco Saverio e di Patrizia Buongiorno, il cui padre insegnava al Conservatorio di San Pietro a Maiella. Dopo aver conseguito la licenza liceale presso il Vittorio Emanuele, frequentò per volere del padre la facoltà di Medicina. Di Giacomo non aveva alcun interesse per gli studi cui era stato indirizzato, tanto che nell’ottobre 1880 abbandonò l’università in seguito a un celebre episodio che egli stesso descrisse sei anni più tardi.

    Un giorno, recatosi ad assistere a una lezione di anatomia, rimase nauseato alla vista del cadavere di un vecchio, sul cui volto il professore aveva tracciato «cinque o sei linee di demarcazione», in modo da spiegare la composizione del cranio. Corso fuori dall’aula, si trovò suo malgrado protagonista di una scena raccapricciante. Il bidello, che scendeva portando in una tinozza membra umane, scivolò riversando il macabro contenuto, mentre il giovane si diede alla fuga, abbandonando l’edificio di Sant’Aniello a Caponapoli e il percorso accademico.[1]

    Di Giacomo si sentiva attratto dalla letteratura e dalla critica letteraria. Alleggerito del fardello di studi coatti, poté cercare di realizzare i propri desideri. Si rivolse così al Corriere del Mattino, diretto da Martino Cafiero. La collaborazione cominciò con «alcune novelle di genere tedesco», ispirate principalmente alla coppia Erckmann-Chatrian.[2]  Cafiero e Federigo Verdinois, che si occupava della parte letteraria, sospettarono potesse averle tradotte. Di Giacomo fu costretto a scriverne altre per dimostrarne l’autenticità, e al tempo stesso ricevette uno sprone a proseguire nell’attività di novelliere. Dopo alcuni mesi diventò ordinario collaboratore del Corriere, assieme a Roberto Bracco, con cui instaurò una profonda amicizia, e Giuseppe Mezzanotte.[3]

    Lasciato il Corriere, passò dapprima al Pro Patria, quindi alla Gazzetta letteraria diretta da Vittorio Bersezio. In seguito andò al Pungolo. Il 21 settembre 1884 perse il padre nell’epidemia di colera che colpì la città. Quell’anno pubblicò per l’editore Tocco la già copiosa produzione poetica in lingua napoletana, che apparve con il titolo Sonetti. Seguirono, nel giro di pochi anni, le raccolte poetiche ‘O Funneco verde (1886), Zi’ munacella (1888) e Canzoni napoletane (1891). Nel 1892 fu tra i fondatori, assieme a Benedetto Croce, Vittorio Spinazzola e altri intellettuali, della nota rivista di topografia ed arte napoletana Napoli nobilissima.

    Dal 1893 ricoprì l’incarico di bibliotecario presso varie istituzioni culturali cittadine (Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Maiella, Biblioteca Universitaria, Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III). Nel 1902 divenne direttore della Sezione autonoma Lucchesi-Palli della Biblioteca nazionale e dal 1925 al 1932 fu bibliotecario capo. Nel 1925 aderì al manifesto degli intellettuali fascisti e fu nominato accademico d’Italia nel 1929.

    Fino al 1903 Di Giacomo aveva goduto di notevole popolarità e pressoché unanimi consensi, ma la sua produzione continuava ad essere segnata dall’etichetta di poesia dialettale. Uno studio di Benedetto Croce, apparso quell’anno su La Critica, giovò alla reputazione dell’artista presso i critici e cercò di dissolvere un equivoco frequente. Secondo Croce un autore è innanzitutto poeta, e Di Giacomo aveva dimostrato di eccellere scrivendo in versi. Si era impadronito della poesia tout court, per cui la lingua in cui l’aveva espressa era un aspetto secondario.[4] Francesco Gaeta, citando lo scritto crociano, ne enucleava efficacemente le linee essenziali: «Salvatore Di Giacomo è, sic et simpliciter, un poeta. Quanto all’aggettivo grande, esso traspariva dall’intero contesto dello studio».[5]

    Il 20 febbraio del 1916 sposò a Napoli Elisa Avigliano[6] (Nocera Inferiore, 13 ottobre 1879[7] - 15 giugno 1962[8]).

    Il giornalista napoletano Roberto Minervini, ricordando Salvatore Di Giacomo, scrisse: «Alle trattorie di lusso preferiva nascoste osterie ove tra una pietanza e l’altra rimaneva trasognato, né valevano a ridestarlo le sue canzoni, sonate e cantate per fargli onore dai posteggiatori di quei pittoreschi locali. Non amava Marechiaro, la più celebre di tutte, perché veniva indicato non come l’autore di Ariette e Sunette o  Assunta Spina, ma come l’autore di Marechiaro. Il puntuale riferimento lo infastidiva e lo innervosiva: una sera al Gambrinus, abituale convegno di letterati, giornalisti e uomini politici, gli fu presentata una signora che non gli risparmiò il dolore: poco dopo fu visto allontanarsi, salutando appena con un gesto».[9]

    Molto chiacchierata la relazione con la celebre cantante napoletana Emilia Persico,[10] ed a causa della sua ricerca ed originalità linguistica nell’ambito della lingua napoletana, subì attacchi da parte della Accademia dei filopadriti.[11] Era nonno del percussionista Gegè Di Giacomo.

     I successi

     L’esordio dell’autore risale al 1882, quando la casa editrice Ricordi lo mise sotto contratto e fece pubblicare Nannì e E ghiammoncenne me’. Alcuni suoi versi del 1885, non particolarmente amati dall’autore (tanto da non essere inseriti nelle raccolte da lui curate personalmente), sono stati musicati dal compositore abruzzese Francesco Paolo Tosti per quella che resta una delle più famose canzoni in lingua napoletana, Marechiaro, e dal musicista tarantino-napoletano Mario Pasquale Costa  di cui ricordiamo anche Era de maggio, in cui due giovani innamorati ricordano il loro primo incontro: a maggio, in un giardino profumato di rose. C’è poi Luna Nova e la spensierata Oilì oilà che irritò i benpensanti milanesi che non si sapevano spiegare il motivo di tanta ilarità in una città appena colpita da gravi epidemie.[12]

    Marechiaro si rivelò un ritratto per questo villaggio tra le rocce di Posillipo, nel quale Di Giacomo immaginò una bella ragazza, di nome Carolina, che si affaccia da una finestra ricca di piante di garofano. Sempre nello stesso anno Di Giacomo e Costa produssero un altro successo, la canzone appassionata Oje Carulì. Nel 1888 pubblicò la scanzonata Lariulà e scrisse la celeberrima ‘E spingule francese, musicata da Enrico De Leva, riproduzione quasi integrale di un canto popolare di Pomigliano d’Arco[13].

    Il teatro

    Fu anche autore di opere teatrali, tra cui  Assunta Spina, probabilmente il suo dramma più noto, tratto dalla sua novella omonima, ripetutamente rappresentato e poi adattato per il cinema e per la televisione. Altra opera importante fu ‘O mese mariano, tratta dalla novella "Senza

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