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Il canto di Dante: Aspetti di estetica musicale nel Medioevo
Il canto di Dante: Aspetti di estetica musicale nel Medioevo
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Ebook194 pages2 hours

Il canto di Dante: Aspetti di estetica musicale nel Medioevo

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Dove si situa l’ascolto del Bello musicale nell’universo dantesco della Commedia? Quali sono le premesse storiche, culturali e filosofiche che sottintendono l’estetica del Poeta? Che ruolo svolge la musica nell’itinerario di Dante, pellegrino verso Dio? A queste ed altre domande l’autore cerca di dare delle risposte nei quattro capitoli in cui è articolata la trattazione.
Mentre nella Cathédrale parigina echeggiano ancora gli organa di Perotino, i due teologi Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio svolgono regolarmente le loro lezioni a pochi passi da Notre-Dame, presso una giovane Sorbona. È proprio in queste aule che il Dottore Angelico e il Dottore Serafico approfondiscono la problematica relativa ai trascendentali e al ruolo spettante al pulchrum quindi all’estetica — all’interno della speculazione scolastica.
A fungere da sintesi tra il pensiero razionalista dell’Aquinate e quello mistico ed estatico della scuola francescana sarà proprio Dante il quale, affidando alla musica un originale rilievo teologico, percorrerà un itinerario che lo porterà alla piena facoltà dei propri sensi e alla conseguente ebbrezza ineffabile dell’excessus mentis.
Matteo Macinanti
Diplomato in Clarinetto al Conservatorio S. Cecilia di Roma e laureato in Letteratura Musica e Spettacolo, attualmente sta concludendo il percorso magistrale in Musicologia presso l’Università di Roma “Sapienza”. Ha studiato all’Università Paris VIII ed è caporedattore della rivista di musica Quinte Parallele.




 
LanguageItaliano
PublisherChorabooks
Release dateMay 20, 2019
ISBN9789887961833
Il canto di Dante: Aspetti di estetica musicale nel Medioevo

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    Il canto di Dante - Matteo Macinanti

    Ringraziamenti

    Prefazione

    Antonio Rostagno

    La sinfonia di Paradiso

    L’esperienza musicale nella Terza Cantica fra Tommaso e Bonaventura

    Le esperienze musicali che Dante agens compie attraverso la Commedia articolano un organico itinerarium animae. Secondo una lettura ormai consolidata, il percorso musicale si estende in un’unica narrazione simbolica lungo l’intera Commedia: dal suono-rumore dell’ Inferno, alle esperienze acustico-musicali del Purgatorio (dal II canto, vv. 112-114, con la colpevolmente acquietante canzone Amore che ne la mente mi ragiona, al Te Deum laudamus che accoglie il viator alle porte fra l’Antipurgatorio e il Purgatorio nel IX canto, vv. 139-144, al canto-danza delle tre virtù teologali, l’«angelico caribo» «Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi» nel XXXI canto, vv.132-135), [1] fino all’ excessus mentis e il conseguente trasumanar della Terza Cantica. [2] Ed è su quest’ultima, la più ricca di esperienze d’ascolto musicale, che si concentra l’attenzione di Matteo Macinanti.

    La recente musicologia ha compiuto poderosi e indiscutibilmente utili sforzi per meglio definire la fonosfera in cui Dante avrebbe potuto fare esperienza d’ascolto nella vita reale, il mondo sonoro realmente risuonante alle orecchie di Dante, oltre ad aver chiarito le sue possibili conoscenze teorico-filosofiche. Come i linguisti hanno indagato la presenza della teoria musicale nei trattati danteschi, [3] così la musicologia ha tentato di ricostruire il paesaggio sonoro, le concrete esperienze d’ascolto che Dante avrebbe potuto verosimilmente avere in Santa Reparata a Firenze o più tardi nelle cattedrali di Siena, Pistoia, Padova, Trento, Bologna, Verona e (forse) di Parigi. Il merito di questi studi è di aver fornito un quadro assai più particolareggiato che un tempo; da questo quadro risulta più giustificata e credibile l’importanza che Dante ha assegnato all’ascolto, alla musica concretamente risuonante, insomma alla musica instrumentalis (non solo alla musica scientia). È un atteggiamento che non ha precedenti nella produzione letteraria medioevale, [4] dove la musica genericamente intesa rientrava nella sistematica trattazione delle artes del quadrivio, ma senza riferimenti al suono fisicamente percepibile né quindi al senso estetico e all’esperienza percettiva.

    In altre sedi (e in un prossimo libro) ho indagato le ben note e spesso evidenti ascendenze tommasiane, la questione dei trascendentali, [5] la via alla rivelazione attraverso lo splendore anche sonoro, percettivo, uditivo. [6] Sappiamo come, sulla traccia dello Pseudo-Dionigi ( De divinis nominibus, IV 7) Tommaso indichi le tre condizioni della bellezza in ordine d’importanza: la perfectio- integritas, la proportio sive consonantia, la claritas (che traduco appunto con splendore); e vedremo come proprio la claritas assuma un determinante significato nel sistema teologico, nella conoscenza del divino tanto in Tommaso quanto nella Terza Cantica. È la claritas che accende non il disio verso qualcosa di ignoto da raggiungere, conquistare e possedere, ma rivela una vita intégra d’amore e di pace, che Dante ritrae nel sintagma sanza brama sicura ricchezza. E siamo in Par. XXVII, come vedremo, ossia non all’inizio dell’ itinerarium animae verso qualcosa di ignoto e non conoscibile, ma al termine di un percorso verso il divino. È grazie alla claritas che l’iniziale disio, la forza innata e non di ragione che sospinge il viator sin dai primi versi del Paradiso, si trasforma in appagamento, portando al raggiungimento della meta e del suo termine. In questo complesso percorso, la claritas si manifesta in modo potentissimo attraverso le esperienze d’ascolto che il Dante-personaggio compie, e passa attraverso la memorizzazione, grazie alla quale il Dante-poeta è via via in grado di far tesoro e di ridire (ossia scrivere) tali esperienze del trascendente. In tal senso l’esperienza d’ascolto del canto-danza delle milizie celesti diviene il simbolo supremo di quel terzo trascendentale che Tommaso dissemina per allusioni nei suoi scritti.

    Macinanti parte proprio da questi argomenti. Ma ad essi apporta un contributo aggiunto, scaturito dalle discussioni che abbiamo condotto durante il lavoro di ricerca comune per la stesura della sua dissertazione di laurea. In specifico, ‘oltre’ Tommaso, vengono qui tematizzati i collegamenti con il pensiero dei mistici pre-tommasiani e in particolare con Bonaventura da Bagnoregio, che alla percezione, alla via sensoriale al divino ha riservato continue riflessioni. Non solo l’argomentazione è convincente e fondata su prove molto plausibili, ma sul piano della storia culturale questa parte del pensiero dantesco necessita di una trattazione dal punto di vista dell’esperienza sonora, trattazione che la musicologia non ha finora indagato a sufficienza. Detto questo, che mi sembra il principale valore di questo libro, voglio ora estendere alcune riflessione che integrano quanto si legge nelle pagine successive. Quanto segue non è quindi tanto (o non solo) un’ Introduzione, quanto un capitolo a sé, una integrazione che spero costituisca una forma di dialogo e di riflessione comune, che porti avanti il ragguardevole e proficuo lavoro che abbiamo svolto finora con Matteo; lavoro che spero (anzi sono certo) continuerà su questo campo ancora così ricco di sviluppi.

    La novità del suono, l’ascolto, la memoria

    Nel canto proemiale del Paradiso la novità del suono e l’armonia che il desiderato tempra e discerne accendono nel viator con un disio per la causa ultima; [7] e tanto forte è questo disire di conoscenza che dietro la memoria non può ire. In pochi versi Dante ha ripercorso i gradi sui quali Tommaso d’Aquino sviluppa la sua noetica: senso, intelletto e memoria. [8] Le esperienze musicali, proprio per l’immaterialità del loro oggetto, sono particolarmente significative del processo di avvicinamento al disire, all’ineffabile causa ultima inizialmente solo intuita dal senso; e la memoria diviene via via lo strumento che più chiaramente potrà far tesoro e ridire quelle esperienze. Questo percorso nell’esperienza musicale, tuttavia, non può essere esaminato autonomamente, isolandolo dalle altre componenti, ma si colloca all’interno del complesso sistema della Commedia. L’interesse per la musica concretamente risuonante e percepita (le varie esperienze reali del canto celeste) dev’essere posto in parallelo con altri strumenti della narrazione, dalla modulazione linguistica [9] alle consimili esperienze visuali, che ugualmente acutizzano o sfuocano la vista del viator; e il tutto trova collocazione in una regìa organica, unitaria e coerente, secondo una raccomandazione più volte ripetuta. [10] D’altronde porre l’assunto di una percorribilità organica della struttura musicale del Paradiso può apparire tanto necessario quanto ovvio; tuttavia la consolidata lettura organicista della Commedia non sembra aver finora particolarmente attratto l’interesse della musicologia, che di solito concentra l’attenzione anche con notevole profondità su passi limitati, isolandoli dal sistema narrativo in cui Dante li ha collocati e dal sistema in cui essi prendono forma e senso.

    Compiutamente organico è invece l’ itinerarium delineato dalle esperienze della sinfonia di paradiso, correlato significante nel contesto dell’elevazione dell’anima. Tale itinerarium si estende dall’iniziale stato di desiderio, o appetito per ricorrere alla terminologia tomista, verso una causa ineffabile, fino alla esperienza dell’ineffabile stesso attraverso la percezione sensoriale. È un processo unitario, che si articola con calibrata simmetria (ordine per usare ancora un termine tomista), frutto evidente di un’organica pianificazione. Ho parlato di esperienze musicali intendendo gli ascolti concreti del Dante agens, percezioni sensoriali descritte nel loro reale risuonare, riconoscimenti dei canti delle milizie celesti. Ma oltre a questo, il percorso si sviluppa verso una sempre più chiara e distinta memorizzazione della musica ascoltata (quindi la possibilità di ridire), grazie a una facoltà che è stata più volte chiamata intuizione estetica. [11] Ho detto musica ascoltata: infatti nel percorso non credo che si debba prestare attenzione solo alla musica evocata come correlato oggettivo dal Dante auctor per via di similitudini, e neppure alla musica come oggetto di speculazione secondo le due prime categorie boeziane della musica mundana e della musica humana, [12] due categorie teoriche che non hanno effetti sul piano dell’esperienza sensoriale del Dante agens. [13]

    Cinque sono gli argomenti sui quali propongo (nelle altre sedi cui ho già fatto cenno) di condurre la lettura dell’ascolto musicale nel Paradiso, argomenti che permettono di ripercorrere l’ itinerarium animae attraverso le esperienze percettive di ciò che i romantici, non richiamati qui per caso, chiameranno himmlische Gesänge:

    - il percorso della emendatio animae e, dopo l’ excessus mentis di Par. XXIII, di ascesa alla luce è scandito anche da un’iniziale minorità sensoriale per cui il viator non è in grado di distinguere le esperienze musicali percepite dai suoi sensi, minorità progressivamente superata

    - lo stesso itinerario porta dalla iniziale fallacia di memoria alla suprema qualità conoscitiva di una memoria musicale chiara e distinta (come vedremo, di tratta di una diretta applicazione dei principi della noetica tomistica che, anticipo, proprio alla memoria assegna il ruolo di facoltà suprema)

    - il pulchrum, nel sistema di riferimento dantesco, è implicitamente incluso fra i trascendentali dell’essere: [14] con questa posizione Dante offre un’implicita conferma in un dibattito teologico-filosofico circa i trascendentali (o modi generali dell’essere nel linguaggio tomistico); la musica ascoltata ha anche la funzione di testimoniare la forma più alta di pulchrum, perché immateriale ( intellectibilium) ma al tempo stesso sensibile ( sensibilium), [15] oggetto di conoscenza sensoriale e di elevazione spirituale

    - la claritas diviene la qualità essenziale del pulchrum; se si condivide questo principio interpretativo della musica nella terza Cantica (e in generale del bello sensibile uditivo e visivo), ne consegue sic et simpliciter il ridimensionamento dell’interpretazione proto-strutturalista della bellezza come astratta proportio. Questa era la convinzione Umberto Eco; dopo quasi mezzo secolo credo sia lecito ridimensionarne la validità

    - la bellezza in quanto esperienza dei sensi diventa una via di transito privilegiata per l’uomo verso l’ineffabile valore. Questo passaggio dalla concezione del bello intellettuale e astratto (la consonantia sive proportio), alla concezione di un bello sensibile che colpisce i sensi superiori con qualità indefinibili (la claritas), è il sintomo di quella nuova mentalità: la sinfonia di Paradiso è la voce dell’ineffabile. E di qui è aperta la via verso una moderna concezione della bellezza anche artistica come conoscenza superiore.

    Riassumendo: superamento della minorità sensoriale come potenziamento dell’udire e viso ( auditus e visio), potenziale gnoseologico della memoria, riconsiderazione del binomio pulchrum-pulchritudo, qualità della claritas portata al centro della considerazione del bello, processo estetico verso l’ineffabile divino; queste sono le cinque vie percorse dal pellegrino nella musica della terza Cantica. L’ itinerarium animae per intellectum musicae giunge fino all’intuizione estetica (percettiva, non-logica) dello splendore divino nel Gloria che provoca ebbrezza in apertura del c. XXVII (mia ebbrezza/ intrava per l’udire e per lo viso, vv. 5-6): è l’idea che non solo l’ordinata struttura riducibile a proportio numerica (intellettiva), ma anche l’abbagliante bellezza sensibile sia attributo divino della musica e del bello in generale. [16]

    Il nuovo valore conoscitivo assegnato all’intuizione estetica, alla bellezza sensibile come fondamento della memorizzazione dell’ineffabile essenza, testimonia la nuova mentalità i cui fondamenti si trovano nell’estetica di Tommaso.

    Visio, auditus

    La visio e l’ auditus, l’atto che vede e quello dell’ascolto, attraverso la cantica seguono un percorso unitario e interdipendente, che prende avvio dalla citata terzina del Primo canto descrivente la debolezza e insufficienza iniziale dei due sensi superiori:

    "La novità del suono [udito] e ’l grande lume [vista]

    di lor cagione mi accesero un disio

    non mai sentito di cotanto acume."

    ( Par. I, vv. 82-84)

    Da questa iniziale minorità sensoriale e dalla parallela fallacia di memoria, [17] l’ itinerarium termina quando entrambi i sensi superiori raggiungono lo stato di contemplazione pacificatrice, nella terna di canti XXVI-XXVIII:

    "Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso

    De l’universo; per che mia ebbrezza

    intrava per l’udire e per lo viso.

    Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!

    oh vita intègra d’amore e di pace!

    oh sanza brama sicura ricchezza!"

    [ Par., XXVII, vv. 4-9]

    Ritrovo qualcosa di affine a quanto sto dicendo in un commento di Giovanni Getto, certo datato, forse oggi persino scontato, ma utile a quanto sto argomentando: [18]

    "Dante lungo la Commedia vede, ascolta e ragiona per ricavarne un ammaestramento per sé e per gli altri: ma soprattutto vede. Il poema sacro, come è stato osservato più volte (fin dai primi commentatori), è soprattutto una visione, una visione che ha un suo limite di trascendenza, e che proprio per questo limite acquista una sua verità ed assume un suo accento profetico. Su questo carattere visivo insiste l’inizio del canto [ Par. XXVI]. Ed in effetti in ognuna della prime cinque terzine ritorna con singolare e sintomatica insistenza una parola che accenna al vedere: ‘viso’, ‘vista’, ‘sguardo’, ‘occhi’." [il canto inizia con la cecità di Dante abbagliato dalla fiamma di San Giovanni in Par. XXV]."

    Se la visio è stata oggetto di riflessione, non altrettanto si può dire dell’ auditus. L’itinerario dell’anima verso la progressiva chiarezza percettiva si snoda con uguale forza e rigore tanto per lo viso quanto per l’udire: in tal senso la musica esperita, che concretamente il viator ascolta (non le similitudini, estranee al mio obiettivo) manifesta l’elevazione alla claritas intesa come nome divino, tanto quanto la vista potenziata rilevata da Getto. È quindi singolare che né i commentatori-filologi (sempre poco interessati al valore della musica come atto di pensiero) né i commentatori-musicologici (sempre troppo attenti al teoria musicale, e altrettanto restii a considerare la musica pratica come elemento di un sistema più ampio) abbiano tentato di cogliere questa funzione, [19] questa percorribilità organica che Dante assegna alle esperienze di ascolto della sinfonia di paradiso.

    Con l’ammirato ascolto del Gloria collettivo (cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, Par. XXVII v. 2) il percorso di maturazione dell’udito giunge a compimento; la claritas suprema de lo viso, la visione della luce (= nome divino), inizia nel canto immediatamente successivo. L’ itinerarium sensus è un itinerarium cognoscendi, è un’apoteosi della facoltà d’intuizione trascendentale a partire dall’esperienza sensoriale, secondo il principio del così di grado in grado si procede, sintomo di quella mentalità ben distante dalla concezione degli intellectibilia divini di Boezio. È

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