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Tu sei il tuo paziente
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Tu sei il tuo paziente

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Passiamo gran parte della vita alla ricerca di qualcosa, riempiendo spesso le mancanze che questa insoddisfazione crea con scelte e conseguenti comportamenti che ci fanno sentire impegnati, ma che non riescono comunque a farci fare un passo avanti verso quello che vogliamo veramente. Molto spesso ce ne allontanano.

"Tu sei il tuo paziente" è un viaggio o una minima rappresentazione di esso. È metafora di una richiesta d'aiuto che viene fatta ad un professionista, in questo caso un nutrizionista, ma che è fatta in realtà a se stessi. Questo perché nella maggior parte dei casi conosciamo bene cosa vogliamo, ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi le spalle mentre ci districhiamo in quel groviglio di rovi che è la nostra emotività e che non fa altro che graffiarci con le paure, le insicurezze e le debolezze che rendono la nostra vita un susseguirsi di ostacoli sempre più alti.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 22, 2019
ISBN9788831621748
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    Tu sei il tuo paziente - Marco Mereu

    Mattia

    PREFAZIONE

    Cosa significa cambiare?

    Si parla spesso di cambiamento, di quello che ognuno di noi si aspetta dalla vita e del tentativo più o meno reale di raggiungerlo. Ma se la meta è conosciuta, o si è convinti di conoscerla, quale strada bisogna intraprendere per arrivare a tale destinazione? Come affrontare gli imprevisti, come rialzarsi dalle innumerevoli cadute?

    Passiamo gran parte della vita alla ricerca di qualcosa, riempiendo spesso le mancanze che questa insoddisfazione crea con scelte e conseguenti comportamenti che ci fanno sentire impegnati, ma che non riescono comunque a farci fare un passo avanti verso quello che vogliamo veramente. Molto spesso ce ne allontanano.

    Tu sei il tuo paziente è un viaggio o una minima rappresentazione di esso. È metafora di una richiesta d’aiuto che viene fatta ad un professionista, in questo caso un nutrizionista, ma che è fatta in realtà a se stessi. Questo perché nella maggior parte dei casi conosciamo bene cosa vogliamo, ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi le spalle mentre ci districhiamo in quel groviglio di rovi che è la nostra emotività e che non fa altro che graffiarci con le paure, le insicurezze e le debolezze che rendono la nostra vita un susseguirsi di ostacoli sempre più alti.

    Le pagine che seguono non sono una soluzione ma forse la rappresentazione di uno specchio in cui vedersi riflessi, riscoprirsi e darsi una diversa chiave di lettura, reinterpretandosi attraverso le storie dei protagonisti.

    Lo stile narrativo utilizzato vede il sottoscritto come voce narrante per i primi sei capitoli. Solo nel settimo e ultimo capitolo lo stile narrativo cambia e non c’è più il racconto di un paziente, non ci sono più i dialoghi fra questo e l’esperto. C’è solo un protagonista che conclude la parabola sul cambiamento.

    I sette capitoli parlano sì di storie umane, ma ognuno ha di fondo una tematica scientifica, un modo di apprendere diverse nozioni che vengono dal mondo della nutrizione umana e della prevenzione. Riga dopo riga si esporranno argomenti diversi, e si spera di suscitare l’interesse del lettore tanto da spingerlo a documentarsi ulteriormente, o quantomeno di riuscire a sfatare diversi miti che la fanno da padrone ancora oggi nel mondo dell’alimentazione.

    Tu sei il tuo paziente vuole essere uno stimolo in questo senso, anche perché in ognuno di noi esiste o è esistito, almeno in parte, uno dei protagonisti del libro: mi auguro quindi che dalle critiche che il lettore si troverà inevitabilmente a rivolgere ai vari personaggi possa scaturire un’analisi e una messa in discussione del proprio comportamento, non solo alimentare.

    Perché se tutti stiamo percorrendo la stessa strada spetta a noi stessi e a nessun altro portare a termine il percorso nel miglior modo possibile, prendendoci cura di noi stessi per poterci prendere cura di quello che ci sta più a cuore.

    I fatti narrati sono un mix di vicende realmente accadute durante la pratica professionale, accostati a riadattamenti frutto dell’invenzione narrativa. I nomi utilizzati per i personaggi sono puramente di fantasia e nessun paziente potrà mai riconoscersi nelle storie raccontate perché nella realtà non esistono.

    MI SENTO BENE

    Buongiorno Stefy,

    me lo ripeto ogni mattina appena apro gli occhi. Anche questa mattina sveglia presto e anche in questo risveglio l’angoscia mi preme forte sul petto, mi schiaccia e mi tiene attaccata al letto, oggi più pesantemente del solito. Non so che cazzo mi prende, sto diventando realmente un cassonetto, anzi sono proprio da buttare. Questa cosa che mi sto abituando perfino alla sensazione di bloccarmi la mattina mi paralizza ancor di più; che poi mi spaventa da una parte ma dall’altra quasi mi tranquillizza, ormai ci ho fatto il callo, come una cosa che già conosci, che hai già assaporato e non ti ha avvelenato la prima volta, quando mai potrebbe esserti letale la seconda?

    Mi giro verso l’altra parte del letto e lui dorme ancora, penso che bello che sei André. Ormai non ci tocchiamo neanche più. Lo osservo, lui sempre così sereno, sempre accaldato dorme solo in mutande mentre io crepo sempre dal freddo; che bella pelle… abbronzato anche a dicembre e più lo guardo più vedo tutti i progressi fatti in palestra scolpiti sul corpo… chissà cosa pensa… So che mi ama, lo vedo e lo sento, mi farà a breve quel mezzo sorriso come a dire eccomi ci sono anche oggi, questo ho nella vita e questo mi tengo; mi verrebbe voglia di urlargli che può scappare, che è giusto, che questa zavorra di grasso con cui dorme ogni notte non la vorrebbe nessuno, non la vorrei nemmeno io, ma lui ha una via di fuga almeno. Io no, io sono bloccata.

    Corro in bagno. Ho sempre avuto il ciclo dolorosissimo e abbondante, ma ormai è diventato al limite del sopportabile. Se non posso avere figli tanto vale che arrivi sta benedetta menopausa, ma ho 44 anni e dovrò ancora sopportare. Esco dalla doccia, cerco anche oggi di evitare lo specchio almeno finché non mi butto qualcosa addosso. Mi odio, mi odio tantissimo e ci ricasco, mi peso… 125 porca puttana, sto salendo ancora.

    buongiorno amore

    buongiorno André, scappo al lavoro…

    buona giorn… mi chiudo la porta alle spalle. Scappo, corro veloce allontanandomi da ciò che odio, da qualsiasi situazione, da qualsiasi confronto visivo, spero solo che al lavoro oggi i bambini abbiano pietà di me.

    -

    Ho conosciuto Stefania anni fa, ricordo ancora quel giorno perché avevo avuto una serie di pazienti con storie particolarmente forti ed ero emotivamente provato, fui contento di rendermi conto che fosse l’ultima paziente e che poi sarei potuto andare a casa.

    Quando Stefania entrò dalla mia porta mi fece un bellissimo sorriso, ed esordì con una battuta autoironica sul fatto che a malapena passasse dall’ingresso, e quindi mi sarebbe stato chiaro il perché fosse da me. Mi strappò un sorriso e devo dire che in quella circostanza mi fece bene. Notai immediatamente che, se il tono di voce e la sua bocca emettevano la più potente fra le risate, i suoi occhi lanciavano un altro messaggio, un misto fra malinconia e dolcezza, un cielo sereno ma cupo all’orizzonte.

    Gentile dottor Marco, voglio riprovarci. Voglio migliorare la mia situazione fisica, non so se ci riuscirò ma il minimo che io possa fare è riprovarci un’ennesima volta

    Ma, Stefania, dammi del tu, Marco va bene

    no lei è il dottore e io una sua paziente, quindi al massimo la chiamo Dottor Marco

    Si presentò parlandomi un po’ di lei, del suo lavoro di maestra alle scuole materne, di essere sposata con Andrea da 20 anni e di non essere mai riuscita ad aver figli per via di alcune problematiche alle ovaie e degli interventi a dei fibromi all’utero che le avevano portato non pochi problemi. Stefania era in forte sovrappeso, un’obesità di terzo grado avanzato. Un rapporto con il cibo che, tra passato e presente, era sempre stato un continuo amore e odio, da abbuffate a diete drastiche; un interminabile rapporto di sofferenza e piacere che non le aveva mai permesso di riprendere in mano la sua forma fisica.

    Bella Stefania, con quegli occhi smeraldo che trasmettevano dolcezza e richiesta di aiuto. Mi travolse completamente e mi appassionai alla sua storia. Credo realmente che, ad un certo punto del nostro percorso durato ben due anni, ci sia stato un reciproco scambio di insegnamenti.

    All’apparenza sembrava il classico caso di donna sui 40 anni sovrappeso con un’emotività borderline, che le impediva di prendersi cura di se stessa, ma davanti a quegli occhi blu e dietro a quella copertina di Linus che volutamente o involontariamente si era cucita, si nascondeva tutto un mondo di sentimenti inespressi, di cose non dette e di occasioni mancate.

    Lo stato d’animo di Stefania inizialmente non mi fu del tutto chiaro. La donna passava da una sana autoironia ad un continuo commuoversi e sprofondare nella tristezza, ogni qual volta venivano toccati tasti dolenti durante la descrizione del suo vivere.

    Stefania si descrisse come una persona sempre con il sorriso sulle labbra, quella figlia che non aveva mai dato grane ai genitori; la sorella alla quale mollare i nipoti senza preavviso; l’amica che corre da te se ti serve

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