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Cabal - Il Sangue di Lilith: Cabal 1
Cabal - Il Sangue di Lilith: Cabal 1
Cabal - Il Sangue di Lilith: Cabal 1
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Cabal - Il Sangue di Lilith: Cabal 1

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About this ebook

Horror - romanzo (452 pagine) - Roma, la cui bellezza è ormai appassita negli occhi dei suoi abitanti, è spogliata del suo passato e nel freddo abbraccio dell’inverno. La pioggia battente che allaga le strade si unisce al pianto di una ragazza, lacrime alle quali un demone presterà ascolto.

L’inferno è al nostro fianco, non c’è bisogno di andare a cercarlo nelle profondità della terra. I Mydian sono il tramite tra questa realtà e il buio che attende oltre la soglia. Nelle loro vene scorre il sangue di Lilith, la prima donna creata da Dio quando l’umanità era ancora un soffio di brezza sulle sabbie del tempo.
Sonia è la protagonista di questa storia. La cicatrice che l’infanzia le ha lasciato è la scusa perfetta per giustificare la propria ribellione, consumando gli anni dell’adolescenza fra eccessi e pessime compagnie. Del resto, però, è una ragazza come tante, l’unica vera differenza tra lei e voi è una soltanto: voi siete vivi e lei è morta.
In una sudicia terrazza nella periferia di Roma, gli occhi immortali di chi la osserva morente ai suoi piedi, carezzano quella supplica di aiuto soffocata nel pianto.

Claudio Votini, marito e padre, lavora nel settore del commercio, occupandosi della nascita di nuove imprese. Sin da ragazzo ha sempre voluto portare la propria fantasia a un livello nuovo, tangibile, così da mostrare agli altri le sue idee. Mettendo da parte quel sogno, durante l’adolescenza ha maturato tramite il gioco di ruolo la propria creatività, esprimendola da adulto tramite il teatro e dando vita a numerose piccole storie che un giorno avrebbero gettato le basi per l’ambientazione di un libro. Dopo anni di lavoro, ha finalmente stretto il coraggio nel palmo della mano e ha scritto il suo primo romanzo, Cabal – Il Sangue di Lilith.
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJun 4, 2019
ISBN9788825409215
Cabal - Il Sangue di Lilith: Cabal 1

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    Book preview

    Cabal - Il Sangue di Lilith - Claudio Votini

    9788825409628

    Nota dell'autore

    Il libro che state per leggere, ha il merito di avermi avvicinato ancor più

    a persone le quali non posso esimermi dal ringraziare con piacere.

    Perciò un grazie alla mia famiglia.

    Grazie a Roberta Cavalleri per la sua gentilezza e professionalità nel creare la copertina del libro e grazie a Luigi Boccia per i suoi consigli e per il lavoro di correzione del testo.

    Grazie ad amici, parenti, vicini e grazie a chi ormai fa parte del mio passato,

    ma ha lasciato qualcosa di suo in queste pagine.

    Fra tutti però, il merito più grande è della magnifica donna che ho sposato.

    A lei va infatti la mia infinita gratitudine per aver creduto

    nelle idee di un sognatore.

    Dedico infine questa storia a mio figlio Lorenzo e che sia per lui una fiaba

    di grigio cristallo sui difetti e la bellezza umana.

    Tavole di zagros

    (1) In quei giorni, vivevamo oltre la terra del Dilmun, alle pendici delle montagne che lambiscono i confini ad ovest. (2) La natura ci aveva concesso una parvenza d'ingegno, ma esso non ci distingueva dalle bestie, nascosti in branco fra polvere e pietra e restavamo così, a metà tra quello che saremmo potuti essere e ciò che non saremmo mai stati. (3) E vidi il cielo precipitare essere strappato e cadere sulla terra. Le salde montagne vennero sconvolte e tutti noi fuggimmo e la notte durò più del giorno. (4) l'unica luce esistente in quella terra era piccola e pungeva il buio oltre la steppa tingendola di rosso.

    (5) Lasciai le montagne e camminai per trenta cicli di luna, poiché il sole rifiutava i suoi raggi al Dilmun e non c'era che arido deserto da calpestare. Allora caddi e senza più forze lasciai il mio corpo alla polvere. (6) E morente udii la voce che lenì la fatica dire così: io dico a te, figlio di questo mondo, non cercare oltre in questo luogo, non troverai altro che rimpianto e colpa. Bevi e sfamati e lascia che il castigo porti su di me il terrore. (7) Allora mi alzai e implorai di capire le parole che non sapevo pronunciare e lui mi rispose: privo di bene è il nome mio, Adamo, primo degli uomini. Afflitto per colpa e con essa Re di questa terra inospitale. (8) E con Adamo divenni vecchio senza invecchiare e disse: così come quelle montagne da cui sei nato ti chiamerai Zagros, esule della pietra". E io imparai dall'uomo la lingua scritta e domai la terra e le piante e il fuoco. Ascoltai del Creatore suo, padre del sole e degli astri e delle creature che vennero e che sarebbero venute.

    (9) Vidi poi la bellezza farsi carne e giungere da est portando con sé fili d'oro come capelli e il pallore della luna sulla pelle. Allora interrogai Adamo che stava con me e dissi: chi è questa creatura che così beata giunse a noi?. E egli mi rispose: questa è la compagna che il Creatore mio mi ha donato e con lei persi il suo amore e piansi e rifiutai perché corrotta e corruttrice di buone intenzioni. (10) E perciò allora l'interrogai su di lui e sulla condanna di tutti loro e dissi: perché foste separati l'uno dall'altra?. E mi rispose e disse: "nell'Eden a metà fra cielo e terra al di sopra di questa terra sacra, frutti abbondanti crescono rigogliosi. Allo stesso modo ne crescono su di un albero caro al Creatore mio e che legge fu di non toccare, allorché muoiono ai suoi occhi coloro che lo fanno. (11) Allora io mi feci da parte e lasciai i due ritrovarsi e vidi il loro amore farsi vita.

    (12) E di là tornai ad occidente fino ai confini del Dilmun alle montagne che portano il mio nome e vidi lo scorrere dei cicli, notte e giorno, proprio così e la mia schiena curvarsi e il crine farsi canuto. Da lì osservai la terra di Adamo e i suoi figli, le loro case moltiplicarsi fino al giorno in cui il cielo tutto pianse la sua morte. (13) Addolorato e solo, piansi anche io col mondo della mia casa di pietra, quando dall'alto delle cime più fredde e aspre vidi la pioggia raccogliersi come torrente e risalire contro legge. (14) E lì pregai e cantai benedizioni alla gloria di Adamo che sentii al mio fianco. Il vigore della gioventù tornò nelle mie braccia e forte salii l'impervio pendio per dare forma alla gioia e alla pace discesa sul mio cuore nel saperlo ancora con me. (15) E di là vidi una donna la cui pelle era scura come argilla e la testa corvina e ribelle. E chiesi: "chi sei e da dove vieni e perché ti attardi verso il Dilmun nel giorno del suo cordoglio?. (16) E mi rispose e mi disse: tu, che non sei figlio di Adamo, ma amato da lui come se lo fossi, conosci già quello che vai cercando. Nascemmo pari nella gloria, ma lo persi e non fu per me compagno, né io fui per lui compagna. Lilith mi chiamò il Creatore mio e piango oggi colui che mi ha dimenticato".

    (17) Caddi io in ginocchio a tanto dolore e il vento soffiò forte da franare la roccia e da una sola lacrima sua nacque una fonte e attorno fiori sbocciarono rigogliosi ed ebbi spavento e dissi: ho vissuto con Adamo e parlerò di lui, di come il tuo nome mi è noto e che di sole lodi i suoi racconti ti hanno innalzato sopra tutte le meraviglie che ha visto e conosciuto. (18) Allora una nuvola e una tempesta mi rapì dalla faccia della terra e mi pose al confine del cielo e colà vidi l'intero Dilmun, terra di Adamo e a sud le maree indomite e a occidente e oriente picchi senza nome e valli sconfinate. (19) E dopo ciò fui di Lilith nelle mie montagne e frenò la morte e la vecchiaia, fino all'avvento dell'uomo che ottenne il suo cuore.

    Parte I

    1

    I capelli bagnati dalla pioggia vennero afferrati e tirati indietro con forza.

    Mentre le dita si avvolgevano ai nodi, l’altra mano raggiunse l’esile collo, stringendo la gola fino a sbattere la schiena contro il muro esterno di un vecchio palazzo fatiscente.

    La differenza di statura metteva vittima e carnefice su piani completamente differenti, l’uno rivolto verso il basso e l’altra in alto a specchiarsi negli occhi di un incubo dai lunghi capelli neri, non più che trentenne e dai tratti orientali.

    Un lampo e poi un tuono possente spaccarono il cielo di Roma sopra il quartiere popolare di Don Bosco, illuminando la piccola via interna in cui l’aveva infine raggiunta. Un angolo di strada che il temporale aveva reso maleodorante, con mura coperte da squallidi graffiti, spazzatura e i resti di affissioni abusive ormai strappate; il contorno perfetto per quella tragedia consumata nella più completa indifferenza.

    Il respiro stentato dell’adolescente venne trattenuto dal palmo serrato sulle labbra, che soffocava le urla e la costringeva a ricambiare impotente quelle iridi scure screziate di un rosso così vivo da risultare quasi incandescente.

    Le pulì il viso dal sangue, passando con forza il pollice sulla parte destra della bocca, poi, le gambe tremule cedettero su uno strato di ghiaccio che in quei giorni aveva avvolto la città. Non cadde, ma quello stallo inatteso terminò bruscamente quando venne voltata di peso e schiacciata con la faccia sui mattoni.

    Con lo sguardo appannato dalle lacrime, bloccata in quel modo riusciva a distinguere soltanto una fila di auto poco distante e il lampeggiare di un semaforo fuori servizio, forse un possibile incrocio che comunque non avrebbe mai raggiunto.

    Continuò a maledire se stessa per aver istigato con le amiche i ragazzi della sua comitiva.

    Se non avessero insistito a dar noia a quel tipo fin troppo strano, forse tutto sarebbe stato diverso, ma quando dalle parole passarono ai fatti, la normale serata fatta di schiamazzi e alcool venne sconvolta dalla follia.

    L’abbigliamento gotico e una camminata trascinata, furono motivi più che validi per attaccare briga con chi, in un primo momento, non sembrò neppure rispondere alle provocazioni. Quando poi il più giovane di loro gli si avventò contro, due piccole lame ricurve recisero di netto la carotide del ragazzino, facendo schizzare in aria un fiotto di sangue che raggiunse quasi tutti i presenti.

    Aveva ancora ben impresso quando l’amico morente venne afferrato, sbattuto sull’asfalto e pestato brutalmente fino a spaccare le ossa del cranio, suonando come rami secchi spezzati.

    Dopo quel raccapricciante spettacolo, tutti si dispersero come mosche verso la salvezza, ma quel pazzo li massacrò uno dopo l’altro.

    Nel giro di pochi attimi, attorno a lei non ci fu altro che silenzio e corpi senza vita.

    Bloccata dalla paura, forse proprio quell’impotenza la tenne in salvo, lasciando al carnefice il divertimento di inseguire chi al contrario fuggiva come topi impazziti; e probabilmente lei sarebbe stata l’ultima se dalla strada parallela, un altro ragazzo, inusuale almeno quanto il primo, non fosse intervenuto.

    Sgranò gli occhi appena prima di essere afferrata per i fianchi e sentire la lama del coltello carezzare sotto la gonna, per poi tagliare il tessuto delle calze. Per la seconda volta quella notte pregò Dio di veder comparire il suo miracolo; non ricordava quasi nulla di lui a causa della confusione, eccetto la voce che le ruggì di scappare.

    Mentre gli ultimi istanti della sua vita le scorrevano davanti, la presa che la tratteneva ancorata in quel modo umiliante venne meno, proprio nel momento in cui un’ombra si avventò contro l’assassino strappandolo dal suolo.

    Il corpo scagliato contro un’auto vicina piegò le lamiere dello sportello, ed esplose i vetri del finestrino, accasciandolo a terra in una pozza di acqua stagnante. Non vide altro, né cosa si era scontrato contro l’uomo asiatico, né le sue effettive condizioni, perché corse via senza mai guardare indietro.

    Attraversò un piccolo incrocio deserto e si avventò contro il primo portone visibile colpendolo con tutta la forza che aveva, finché l’ostacolo arrugginito non cedette. Urlò gettandosi dentro il piccolo atrio interno e salì le quattro rampe di scale veloce come il vento, spalancando infine la porta arrugginita della terrazza con uno schianto.

    Di nuovo sotto la pioggia e illuminata dalla luce artificiale dell’altana, il fumo del suo respiro compariva incessante dalla bocca e l’odore acre del sangue intriso nei vestiti le riempiva la gola. Riusciva ad ascoltare le pulsazioni battere come un tamburo nelle orecchie, assieme a un senso di vertigine che l’accompagnò verso la ringhiera; e lì, riprese respiro.

    Si guardò attorno alla ricerca di un posto dove nascondersi e nel farlo fece caso alle proprie scarpe, così come la gonna e la felpa strappata, uno dei pochi regali di sua madre che più amava. Nello stesso istante in cui decise di usare la scala d’emergenza e salire ancora più in alto però, gli occhi turchesi della sventurata si aprirono al frastuono proveniente dalla tromba delle scale.

    Arresa alla stanchezza, si accovacciò vicino al parapetto, perdendo un battito del cuore alla comparsa della sua nemesi, che varcò la soglia con un piccolo salto calcolato.

    Stessi occhi ardenti, stessi capelli bagnati aderenti al viso e alle spalle, tutto era uguale, eccetto una maschera di sangue causata da alcuni tagli verticali dalla fronte al mento, che lo rendevano ancora più spaventoso.

    Avanzò, facendola ricominciare a piangere.

    La ragazza tentò di arretrare ancora, ma la protezione glielo impedì, ponendo le braccia avanti in un futile tentativo di allontanarlo. Era ormai così vicino da poterla sfiorare quando gli occhi della vittima si schiusero stupiti davanti a una grossa pietra scagliata contro l’assassino e schivata con un gesto semplice della testa.

    Quasi a rivedere il proprio angelo custode oltre l’uomo in nero, guardando in alto sulla tettoia dell’entrata, chi l’aveva spinta a fuggire adesso se ne restava lì appollaiato nella penombra.

    Alla luce artificiale della terrazza, finalmente riuscì a vederlo distintamente; nella prima metà dei vent’anni, era seduto sulle ginocchia quasi ci fosse davanti a lui lo spettacolo più normale del mondo. Lineamenti dai tratti nordici, con zigomi alti e un mento squadrato, una carnagione chiara, un accenno di barba al massimo di qualche giorno e capelli mossi del colore del grano. Indossava sulle spalle un pesante soprabito militare arrotolato sugli avambracci e un paio di jeans logori, con solo una leggera maglia nera ormai fradicia a coprire il torso.

    Conciato in quel modo, come potesse resistere al freddo dell’inverno non seppe spiegarselo, però, quando notò le sue mani, restò basita.

    Nere come la notte.

    Persino a quella distanza riusciva a distinguere la spessa pelle scura delle braccia, solcata da venature rossastre che dal dorso si insinuava nelle cuspidi ossee trasformate in grotteschi artigli ferali.

    Nonostante quella deformità disumana e la sempre più vivida speranza che fosse tutto l’orrido frutto della sua immaginazione, l’attenzione tornò presto su chi avesse vicino, il quale le scagliò uno sguardo omicida prima di lasciarla stare.

    Dopo aver tolto qualche punta di capelli dal viso e tornato al centro della terrazza, fissò quella spina nel fianco che continuava a guardarlo indisturbato, mentre un primo fiocco di neve si posò sulle labbra della ragazza. Alzò gli occhi al cielo oscurato dalle nubi. Il freddo pungente sembrò farsi improvvisamente più accentuato, non a causa del vento, bensì per quello strano fenomeno per cui attorno stava inspiegabilmente nevicando. – Dimmi, come ci si sente a passare da cacciatore a preda?

    L’ultimo arrivato ruppe il silenzio e saltò giù allo stesso livello dei presenti, per poi alzare i capelli bagnati con la mano artigliata e rivelare lo sguardo rovente di un inspiegabile bagliore rossastro. Tuttavia, la ragazza non attese alcuna risposta e, approfittando della distrazione dell’uomo, corse verso la porta, nel momento esatto in cui quattro spari spezzarono la notte, conficcando tre proiettili di una semiautomatica nel petto del giovane, mentre l’ultimo centrò il vero bersaglio.

    Si arrestò, vacillando fino al muro e continuò a guardare fisso davanti a lei le scale che l’avrebbero portata in salvo; poi, si girò lentamente verso chi era stato ferito mortalmente.

    Lo sconosciuto restava in piedi, quasi a ignorare i fori sulla maglia, poi, un mancamento improvviso le impedì di ragionare sul possibile o l’impossibile, mentre un rivolo di sangue le scese dalle labbra.

    Tossì, sentendolo spandersi sulla schiena. Le sembrò di udire una risata, poi, una profusione di parole ovattate la accompagnarono in ginocchio e da lì fino a terra.

    Lo scatto improvviso del ragazzo ferito fu talmente irruento da far scoppiare l’acqua sotto gli anfibi, avventandosi contro l’uomo che fu bravo a seguirne i movimenti, ma non altrettanto a reagire.

    Gli artigli raggiunsero con facilità le ossa delle braccia, per poi affondare nella carne e tranciare di netto i muscoli fino alla spalla. Una serie di orrendi strattoni e quella lotta impari terminò con un terribile suono di membra lacerate, con buona parte dell’arto gettato in un angolo.

    Prima di poter terminare l’opera però, fra le urla di dolore, uno sbuffo di tenebra investì ogni cosa, ghiacciando parte della terrazza, così da costringere il vincitore ad arretrare; poi, mutilato, l’assassino arrancò nella penombra fino a gettarsi oltre il parapetto, lasciando dietro di sé solo una lunga scia di oscurità.

    E terminò così. Quelle manifestazioni soprannaturali, le grida, tutto cessò come era iniziato, un qualcosa che sarebbe potuto accadere molto prima di giungere a quel punto. L’improbabile eroe di quella scena si attardò per scrollarsi di dosso lo strato di ghiaccio dal soprabito e far tornare alle fattezze originali le proprie estremità intorpidite.

    Con la dipartita della sua preda, anche la neve era cessata, così come la pioggia, ma un tuono non troppo lontano prometteva ancora precipitazioni. L’attenzione viaggiò infine sull’unica vera vittima di quella notte.

    L’aveva notata in mezzo al delirio causato da quel macellaio, immobile, rassegnata alla fine. Quello spiazzo deserto vicino una delle tante scuole della zona, era diventato di colpo il luogo perfetto per sfogare l’istinto di un sadico bastardo. Se quei mocciosi l’avessero provocato poco importava, se non loro, di certo qualcun altro sarebbe stato scannato come un maiale, l’unica differenza era che lui si trovasse a passare proprio lì in quel preciso momento.

    Era rimasto alquanto sorpreso, pensò nel rimuovere da solo un bossolo esploso dal costato. Dopo averla messa in fuga, non avrebbe puntato neppure un centesimo sulla sopravvivenza di quella ragazzina, invece, tutto sommato, l’aveva fatto divertire.

    Con uno spiraglio di luna a illuminare per qualche secondo chi giaceva lì vicino, sospirando, il ragazzo tirò in aria il proiettile estratto come se fosse una moneta e infilò le mani in tasca avviandosi verso l’uscita passandole accanto.

    Non perse altro tempo con lei, almeno finché non la vide tendere una mano nella sua direzione, dimostrando invero una certa tempra e sforzandosi persino di dar fiato alla voce.

    Il proiettile aveva mancato di poco il cuore, in compenso però, non c’era stata nessuna resistenza nella scapola che aveva spezzato, arrestando la sua corsa nel polmone sinistro.

    Sperava al massimo che la droga in circolo nella ragazza perlomeno le riservasse un trapasso indolore e proseguì verso l’uscita. Poco prima della soglia però, un bisbiglio sofferto e poi una vera e propria richiesta d’aiuto soffocata dalle lacrime, lo costrinse a voltarsi infastidito.

    Quella vista non gli donava pietà, non gli interessava affatto. Eppure, qualcosa lo teneva lì a fissarla con la faccia a terra premuta contro il pavimento.

    Quando tornò indietro fino ad averla ai suoi piedi, sembrava ormai incosciente. Si chinò in ginocchio su di lei e, seccato, scelse di andare oltre il velo dei sensi, scrutandone l’anima appesa a un filo.

    L’Aura cangiante che si irradiava da quel corpo morente era deformata dal terrore. Su di essa, gli occhi incandescenti del giovane ne osservarono la debolezza, ma ciò che lo colpì maggiormente fu trovarci una rabbia sopita di difficile spiegazione.

    Non era qualcosa legato al presente, bensì, quelle braci spirituali avevano una radice precedente, ma talmente forte da farla restare aggrappata alla vita pur di non estinguersi.

    Il cuore cessò infine di battere. Poco a poco, anche il groviglio di emozioni visibile in quel modo soprannaturale si disperse e del fuoco interiore restò soltanto l’eco di una giovane vita spezzata.

    Con un nuovo sospiro, le mani del ragazzo seguirono un gesto meccanico che le aprì la felpa e strappò la maglia sottostante.

    Quando le dita solcarono la pelle morbida dai fianchi fino alle spalle, la pressione disegnò alcuni cerchi nel sangue attorno alla ferita, prima di mutarle in artigli acuminati e affondare nelle carni.

    Gli occhi della ragazzina restarono prigionieri della morte, mentre la ferita veniva allargata senza alcuna delicatezza, fino a raggiungere il proiettile esploso nell’organo compromesso; poi, dopo averlo estratto, la tirò a sé fino ad abbracciarla e lì, in un barlume di coscienza fin troppo umana, trattenne il respiro nell’infondere la propria anima corrotta in quel corpo morente.

    La mente venne svegliata bruscamente e obbligata ad ascoltare i propri sensi disorientati.

    Come un mare in tempesta, immagini di luoghi lontani, forse mai esistiti, di monti ghiacciati, cupi villaggi, enormi città e notti stellate, la sommersero completamente.

    Mentre accadeva tutto questo, qualcosa ardeva in lei come fuoco nelle vene e l’unico sentimento che riuscì a discernere fu l’odio. Viscerale, crudele, distruttivo, capace di colpire chiunque, liberandola di colpo da ogni limite che fino ad allora l’aveva resa schiava della sua stessa morale.

    Odiò con tutto il cuore la propria vita, la sua infanzia, ogni persona che le aveva fatto del male spingendola a essere la ragazza che era diventata. Nei suoi ricordi si riversarono però, anche quelli di qualcun altro; un vortice di sensazioni discordanti che giravano tutte attorno a una donna, il cui volto restava celato da uno scherzo beffardo di luci e ombre.

    Vivendo quei momenti come fosse lei la protagonista, venne investita dalla solitudine, una vecchia amica conosciuta anni fa quando perse la persona a lei più cara, ma anche fedele compagna di chiunque fosse il proprietario di quel passato appena vissuto.

    Una boccata d’aria la svegliò di colpo.

    Nella confusione più completa, gli spasmi la portarono a fuggire dalle braccia dello sconosciuto che l’aveva stretta e scivolare in preda al panico sul pavimento bagnato.

    Strisciò distante e ricordò tutto; giù nella strada era scampata alla morte, poi la corsa, gli spari e il proiettile che l’aveva raggiunta, ma, guardandosi intorno, dell’uomo dagli occhi a mandorla non c’era più traccia.

    Quando il freddo tornò a farsi sentire, si accorse di essere praticamente nuda, chiudendo il seno con entrambe le braccia col terrore di aver subito ben altri tipi di violenza; ma il poggiarsi del ragazzo al muro dietro di lui e il lasciarsi cadere esausto, mise un freno al suo delirio.

    L’aveva salvata? Se sì, come? Era stata tutta un’allucinazione quelle mani deformi che ora non sembravano esistere? Ed era sempre stato lui a fermare il pazzo e metterlo in fuga? Tutte domande che si spensero nel momento in cui le fu rivolta parola. – Che hai da guardare? Sparisci prima che cambi idea…

    Le sorrise cinicamente, per poi allungare le gambe squadrandola con diffidenza. – Scommetto che quelle pasticche che hai in circolo saranno una bella scusa quando diventerai più grande. Sono sorpreso che nonostante tutto il cuore non sia esploso.

    – C-chi sei? Io sono stata…

    Focalizzò il suono degli spari e subito si toccò sotto la spalla sinistra, ma le dita non saggiarono altro che una brutta cicatrice unta di sangue ancora fresco. – S-sei stato tu! Ma… come?!

    Ancora scossa, la giovane si tirò su facendo leva sulle gambe tremule. Notò distrattamente che nel quasi perfetto italiano dello sconosciuto c’era un accento singolare, forse del nord Europa, ma sentiva anche qualcos’altro.

    Il suo istinto continuava a dirle di fuggire il più in fretta possibile, eppure, qualcosa la tratteneva. Un senso di agitazione le ribolliva dentro smorzando la paura e trasformandola in qualcosa di indefinito, eccitazione sarebbe stata la parola corretta, anche se non ne aveva alcun motivo.

    Mosse qualche passo avanti per ringraziare di averla salvata, ma la reazione successiva la gelò. – Vattene! Se fai un altro passo ti ammazzo!

    Sulle note di un ruggito rabbioso, venne investita da una rabbia immotivata capace di spaventarla di nuovo e farla restare immobile. – Io sto soltanto cercando di ringraziarti! Perché diavolo devi trattarmi così?

    Quando si rese conto di aver detto quanto neppure aveva osato pensare, si portò subito una mano alla bocca, specchiandosi negli occhi sorpresi del tipo seduto. – Senti, non so cosa è successo, ti vedo là che te ne stai fermo e io mi sento strana, i miei amici sono…

    Marcò un’inflessione di supplica per un briciolo di empatia e trattenne malamente un singhiozzo in gola, che divenne poi un pianto silenzioso. – Guarda là che teatrino, sono troppo stanco per vomitare quindi apri le orecchie Caso-Umano: se solo potessi ti avrei già mollata qui da un pezzo e la cosa migliore che puoi fare è smettere di frignare e andartene dando tutta la colpa alle anfetamine.

    Purtroppo era vero. Non poteva andarsene e il perché era presto detto; quelli come lui non erano concepiti per aiutare qualcuno e forzare in questo modo la sua natura lo aveva fortemente debilitato, molto più di quanto sarebbe servito a lui per guarire quei tre fori nel torace. Senza contare che quanto compiuto, avrebbe per sempre lasciato una traccia sull’anima della ragazza e di un primo assaggio ne era già stato testimone. – Posso restare?

    – …

    – Solo per un po’, non ti darò fastidio…

    – Abbiamo un concetto diverso di fastidio, evidentemente. Se vuoi restare fallo, per quanto mi riguarda ti ho già visto abbastanza.

    Cercò di alzarsi, ma un senso di spossatezza lo costrinse a ricadere nell’esatto punto da cui era partito, imprecando nel pulire l’orologio al polso da qualche goccia di sangue.

    Segnava le quattro e dodici del mattino.

    Si sarebbe ripreso a breve, ma fino ad allora era bloccato con quella lattante che continuava a fissarlo incredula. – Sai che ti dico? Stai dove ti pare. Dai almeno un’occhiata se arriva la polizia.

    Rise della sua ingenuità, vedendola goffamente andare ad affacciarsi alla ringhiera, dopo aver chiuso la zip della felpa e tirato su il cappuccio per coprirsi.

    Così vicina al vuoto, sarebbe bastato un soffio per farla cadere giù e, in effetti, aveva forze sufficienti per farlo, ma osservandola di profilo alla luce tenue della terrazza, mandò giù quella tentazione. – Dammi retta, faresti meglio a comportarti come chiunque altro invece di sembrare quello che non sei. Pensi che provo pena per te? Che ti ho salvato per compassione? Ti sbagli di grosso.

    – Lo so, ho capito… ma non voglio tornare a casa, tutto qui.

    Rispose abbassando gli occhi, dopo che una folata di vento le mandò sul viso i capelli umidi.

    Una smorfia sulle labbra del ragazzo segnò un limite di sopportazione per quella piccola drogata con chissà quali prevedibili problemi; tralasciò quindi le banalità e le chiese semplicemente il nome.

    Si chiamava, Sonia. Un nome come tanti, abbastanza usuale da non essere innovativo e altrettanto fuori dall’ordinario per non essere del tutto banale, pensò, seguendola avvicinarsi alla sua stessa parete, con solo la soglia dell’entrata a separarli.

    Anche lei si sedette, scaldandosi le mani gelide con il calore del respiro, mentre tutta la stanchezza di quella terribile nottata arrivava impietosa, ricambiando con un filo di voce la semplice domanda.

    Ironico sulla certezza che l’indomani non se ne sarebbe nemmeno ricordata, lo scontroso personaggio si presentò in modo svogliato come Kael, beandosi del nuovo silenzio che seguì quegli inutili convenevoli.

    Nell’udire un nome tanto singolare, Sonia creò un ovvio collegamento al fatto che non fosse italiano, ma zittendola ancor prima di proseguire, le parlò sopra. – NO, non sono del tuo paese. NO, non ammazzo per mestiere e ancora NO, non stai sognando. Se vuoi sfinirmi di domande ridicole, puoi benissimo chiudere la bocca.

    Era rude, i suoi modi lo erano, così come quella continua espressione risentita come se la sua sola presenza fosse per lui un problema. Non sembrava avere il minimo rispetto per ciò che le era capitato e la sufficienza con la quale la trattava rasentava la cattiveria. Quindi, con le braccia strette attorno alle gambe, Sonia decise semplicemente di chiedere chi fosse, nel senso più generale della domanda. – È un segreto che ti costerebbe la vita per cui mi sono dato tanto da fare: e poi, ti assicuro che è una storia davvero lunga.

    – Non voglio annoiarti con domande ridicole… quindi è meglio che parli solo tu.

    La sprezzante risposta bastò a farlo scoppiare in una sonora risata. – La tua vita fa già schifo così com’è e dopo stanotte ti suggerisco di andare da un qualche strizzacervelli per i prossimi dieci o quindici anni. Non ti serve altro.

    – Ti preoccupi un po’ troppo per essere uno che a starlo a sentire avrebbe preferito vedermi morta… sei la persona che mi ha salvato la vita Kael e magari le tue parole potrebbero aiutarmi a capire.

    Lo sguardo dei due si allineò per un attimo. – Fa' un po’ come ti pare, a ogni modo d’accordo… ci sto.

    Sonia sgranò gli occhi sorpresa, ma, balbettando qualcosa, fu subito interrotta da uno sguardo torvo. – Zitta. Sentire i tuoi inutili ragionamenti è l’ultima cosa che voglio. Se io parlo tu ascolti fino alla fine mi sono spiegato? E ora guardami, ti sembro uno che ha voglia di scherzare?

    – N-no…

    – Esatto. A me non frega niente di quello che penserai dopo, ma ho una storia che potrebbe anche piacerti e avrai voglia di interrompermi. Fallo e non appena mi rimetto in piedi ti apro la testa in due e getto i tuoi resti giù di sotto. Se invece starai buona, te ne andrai via tutta intera.

    Forse fu una folata di vento a farla rabbrividire, oppure quella minaccia così violenta, ma Sonia deglutì chinando il capo in segno di assenso.

    Dopo aver poggiato la testa sulla parete, Kael fece in tempo a guardare la luna scomparire di nuovo fra le nuvole e schiarirsi la gola. – Come ti ho già detto il mio nome è Kael, Kael Larsen precisamente e appartengo a questo mondo solamente in parte…

    2

    Se questo inverno ti sembra freddo, avresti dovuto sentire quelli della terra dove sono nato. Il gelo minava costantemente l’esistenza della gente. Spesso, camini o stufe non bastavano a scaldare le case e la neve bloccava quasi ogni anno i passi montani; ma, nonostante tutto, la Danimarca, era e rimane un posto incantevole sotto molti punti di vista.

    Boschi infiniti, monti e valli tra le più belle d’Europa circondavano il paese dove sono nato.

    Come talvolta avveniva, io e mia sorella Julia fummo abbandonati da piccoli davanti una casa fra tante. Stessa età, del tutto uguali, tranne il sesso: due gemelli, lasciati al freddo in una gelida notte d’inverno… farebbe venire le lacrime a chiunque, no? Ma si dà il caso che fossero tempi molto diversi dalla bella vita che tutti fanno oggi e ficcarsi in casa due pargoli, implicava solo spese aggiuntive e di soldi non ce n’erano.

    Detto questo, chi scelse di lasciarci lì forse si mise una mano sulla coscienza, impegnandosi a cercare l’unica coppia con abbastanza cuore da non buttarci in un fosso o venderci a qualche orfanotrofio.

    Le giornate erano sempre uguali.

    Aiutavo mio padre con la mandria, facevo qualche lavoretto in casa e per il resto ero libero di andare ovunque volessi, finché quel Dio che vi guarda ogni giorno morire un po’ di più, non decise di cambiare le cose.

    Avevo solo undici anni e ricordo che cominciarono a girare strane voci nella zona.

    Qualcuno si stava lasciando dietro una lunga coda di cadaveri, seguendo una traiettoria ben delineata che puntava dritto a dove vivevo.

    La cronaca arrivò anche a noi, ma mio padre non se ne preoccupava. Era un uomo alto e forte e per di più abile cacciatore; a sentir lui, quale che fosse stato il problema, non avrebbe avuto difficoltà a sistemarlo e io da ignorante la pensavo esattamente così.

    Accadde una sera, nei pressi del bosco. Qualcosa mi spaventò a morte, ma non era un animale e neppure una persona, era soltanto una sensazione, come il sentirsi improvvisamente indifeso con la certezza che nulla sarebbe accorso ad aiutarmi.

    Corsi via fra sterpaglia e alberi certo di essere seguito e più correvo, più davo forza alle gambe, più la paura e il freddo aumentavano.

    La cosa si calmò solo quando superai il fossato che arginava il confine della radura. Caddi a terra voltandomi, ma dietro di me non c’era nulla tranne la folta boscaglia. Pensai a come quelle storie mi avessero suggestionato, risi persino di me guardando il sole tramontare dietro i picchi innevati e decisi di tornare.

    Casa mia non era niente male. Non c’era la merda che tutti hanno oggi, ma sapeva scaldarti e aveva un fuoco sempre acceso, ed essendo solo in quattro, capitava raramente di saltare i pasti.

    Forse potresti immaginare la mia sorpresa quando avvicinandomi non trovai alcuna luce all’interno, né fumo dal camino. Aprii la porta e fui pervaso da un odore pungente, che anticipò la vista di due corpi riversi a terra al centro della stanza.

    Anche nella penombra riconobbi i miei genitori e l’intera abitazione ridotta a sfacelo. Tutto era sotto uno strato di brina che dal pavimento saliva sulle pareti, sul tavolo, sulle sedie distrutte, sul fucile ancora stretto nelle mani di mio padre.

    Ti risparmio i dettagli. Certo provai a gridare aiuto, ma chi mai sarebbe venuto isolati come eravamo? Me ne restai lì stringendoli e solo allora ricordai che qualcuno mancava all’appello.

    Frignando, arrivai col fiato corto alla nostra camera e urlai il nome di mia sorella, con metà delle sillabe che morivano in gola.

    Guardai nell’armadio e sotto il letto, nella speranza che avesse trovato riparo da chi aveva compiuto quello scempio, ma, considerato che di lei non ci fosse traccia, scappai fuori cercandola all’esterno.

    Sull’uscio della stanza però, urtai contro qualcosa che ostruiva il passaggio.

    Di nuovo quel freddo intenso entrò nelle ossa come era accaduto nel bosco e mi ritrovai a terra, specchiandomi nel buio del corridoio.

    Persino oggi è difficile descriverlo; guardare fuori la finestra e distinguere ancora i colori tenui del crepuscolo e confrontarli con l’oscurità più fitta che tu abbia mai visto. Era del tutto innaturale.

    Il silenzio si perse nel lento avvicinarsi di passi, che sul legno del pavimento scricchiolarono sinistramente come la scena madre di un qualche film scadente.

    Da quel vuoto oltre la porta, sapevo che presto sarebbe uscito qualcosa di terribile e la mia previsione si concretizzò nelle fattezze di un uomo.

    Per quanto abbia provato negli anni, non sono mai riuscito a scordare quel volto scarno e la lunga veste nera che indossava. La sua pelle era talmente pallida da sembrare porcellana e gli occhi bruciavano di pazzia.

    Arretrai fino a toccare la parete, con la speranza di svegliarmi da un momento all’altro, ma alla fine me lo ritrovai davanti, inesorabile e con la mano tesa verso di me.

    Nel tentativo di gridare, solo per puro caso notai qualcun’altro proprio oltre l’uomo in nero; immersi nel buio infatti, due piccole fiamme bluastre brillavano silenziose.

    Quel bastardo seguì il mio sguardo e, nell’istante esatto in cui si girò, la sagoma indistinta di una qualche belva feroce gli fu addosso, sprofondandolo nel legno e nell’intonaco.

    Davvero un bello spettacolo, le parole non renderanno mai l’effetto. Peccato che io non riuscii a godermelo neanche un po’, terrorizzato com’ero a fissare una donna vestita di rami e foglie, che teneva con forza la faccia del tizio piantata nel muro.

    Sai che fece? Mi guardò un secondo, con i muscoli delle braccia tesi al limite e mi urlò di scappare… ti suona familiare?

    Restai imbambolato ovviamente e quella furia lasciò l’uomo per afferrarmi e gettarsi con me oltre la finestra.

    Anche se non seguivo una sola parola di quel che diceva, quella tizia si fece capire benissimo, indicandomi di fuggire e stavolta non dovette ripetersi.

    Ero appena a qualche decina di metri quando un tonfo sordo, distrusse gran parte della parete di casa, liberando proprio l’uomo che la ragazza aveva steso, ma c’era un particolare; di lui ora riuscivo a distinguere solo il suo volto bianco e il resto era circondato da ombre, che lo rendevano un vero e proprio mostro.

    Si vede che tutti gli idioti fanno le stesse cose, perché proprio come te, volli credere ancora che tutto fosse un sogno e chiusi gli occhi più forte che potevo. Riaprendoli però, non ci fu né un letto, né il conforto di mia madre; solo la realtà, che peggio di un treno mi aveva investito in pieno.

    Inginocchiato nell’erba e illuminato dalla luce spettrale sparsa attorno a quella strega, la vidi scattare contro il demonio senza esitazione.

    Aveva coraggio da vendere. Si massacrarono davanti a me in modi che non saprei nemmeno raccontarti; tutto era talmente assurdo, che quando mi ritrovai in mezzo a un branco di lupi giunti chissà da dove, non ne ebbi neppure paura, ma solo meraviglia. Non so come, ma ero certo che non fossero lì per farmi del male.

    Morirono tutti, uno dopo l’altro. Dilaniati, trafitti o schiacciati da quell’oscurità che proteggeva l’uomo e solo dopo lunghi minuti interminabili le cose cambiarono.

    Tornai a osservare dopo una pausa prolungata. Erano entrambi feriti.

    Parlarono tra loro, poi seguì una risata dello straniero che scomparve nella notte come uno spettro alla luce del sole.

    Senza fiato e coperta di sangue, la strega prese ad avvicinarsi. Più lo faceva, più vedevo come quella lotta l’avesse ridotta e come potesse anche solo restare in piedi, era l’ennesimo mistero che si aggiungeva al resto di quella storia.

    Giunta a pochi passi da me, cadde a terra e non si mosse più.

    Forse la cosa giusta da fare sarebbe stata quella di filarsela; in fondo ero vivo e libero di raccontare un incubo a cui nessuno avrebbe mai creduto. Invece, mi avvicinai con circospezione.

    Cercai di sentirle il polso. Un battito debole, talmente lieve da sembrare assente e con tutta probabilità stava morendo. Non la lasciai da sola. Stupidamente, la trascinai in casa adagiandola vicino ai miei genitori.

    Credo che non fossi più io in quei momenti. La paura si era talmente impossessata di me da rendermi quasi sconnesso da tutto il resto e, tremolante, afferrai qualcosa per illuminare la strada, deciso a morire di fame pur di trovare mia sorella.

    Non ricordo quanto vagai per i campi, forse sperando in realtà di essere trovato da quel bastardo così da raggiungere chi ormai non c’era più; ma di lui o di Julia non trovai traccia.

    Stanco e arreso all’inevitabile verità che avessi perduto per sempre anche lei, raggiunsi la cantina interrata dietro l’abitazione.

    Una sola entrata, una sola uscita e con il fucile in braccio, scesi lentamente.

    Mobilia di poco valore, ferri da lavoro e l’odore del fieno e della terra. Tutto come sempre, tranne il suono per il quale imbracciai l’arma col cuore in gola.

    Conoscevo quei singhiozzi, così, corsi a scostare la ruota di un carro, per trovare dietro di essa proprio Julia rannicchiata in un angolo.

    Era scossa e parlava mangiando le parole abbracciandomi forte. Nella confusione del suo racconto, compresi solo che nostro padre le aveva detto di fuggire quando lo straniero era entrato in casa.

    La strinsi a me dicendole quanto fosse stata brava a nascondersi lì dentro, però mi corresse; era stata una donna dai capelli rossi ad averla condotta lì. Senza dubbio, quella che giaceva in casa era la stessa di cui parlava, ragionai, sedendomi senza avere il coraggio di dirle cosa ne era stato della nostra famiglia.

    Più che sonno restai in un dormiveglia continuo aspettando l’alba, quando il cigolio dell’entrata mi spinse a scattare in piedi, restando a bocca aperta nel vedere proprio la strega che ci aveva salvato la vita scendere i piccoli scalini. Ero certo di aver sentito un cuore morente, eppure era lì, ancora in pessime condizioni, ma viva.

    Si sedette alla fine della scala in pietra. Aveva uno sguardo intenso e perdeva molto sangue, poi, parlò maldestramente la mia lingua, chiedendomi di avvicinarmi.

    Senza giri di parole chiese di essere coraggioso un’ultima volta, poiché l’assassino sarebbe potuto tornare e lei non doveva farsi trovare in quello stato. Per evitare questo, le sarebbe servito il mio corpo.

    Già, feci anche io una faccia come la tua. Ero giovane, ma non stupido e ovviamente la fraintesi del tutto. Non perse tempo a darmi alcuna spiegazione, semplicemente, aggiunse che non avrebbe preso da me più di quello di cui avesse bisogno.

    Forse mi sentivo in colpa per le sue condizioni, ma andai comunque.

    Fra le sue braccia non ci fu altro che un profumo di fiori insanguinati, poi più nulla. Una stanchezza sfiancante vinse poco a poco sui sensi e, quando li ripresi, giacevo disteso vicino mia sorella che dormiva profondamente.

    Provai a muovermi. Mi agitai temendo per me, ma la vista della sconosciuta seduta sulle scale, in qualche modo seppe rassicurarmi.

    Immagina come restai quando trovai dei folti fili d’erba e arbusti cresciuti in cerchio intorno a lei. Uscivano dal pavimento e dai gradini da dove ci vegliava e non le trovai addosso altro che graffi e qualche livido. Per fortuna avevo smesso di farmi domande e accettai quella guarigione miracolosa con semplice stupore.

    Disse che per un po’ mi sarei sentito debole e che non appena fosse sorto il sole, saremmo dovuti andare lontano dal villaggio. Dal canto mio avrei voluto chiamare le autorità per trovare l’uomo che aveva ammazzato la mia famiglia, invece venni zittito.

    A sentir lei, chiunque ci avrebbe ucciso o peggio, che noi eravamo il vero problema e che l’unica soluzione era scappare. Non ci capii niente ovviamente, ma in quegli occhi ramati compresi che un briciolo di pensiero per la nostra sorte lo avesse.

    Non indagai sul fatto che fossimo noi il problema, né le chiesi altro. Semplicemente, mi uscì dalla bocca una specie di supplica per convincerla a portarci con sé.

    La pregai di più a ogni suo rifiuto, fino ad alzare così forte la voce da svegliare Julia. Quella strega era la nostra unica salvezza e io lo sapevo. Anche solo per attraversare la valle fino al villaggio più vicino ci avremmo impiegato diversi giorni e sarebbe potuto accadere di tutto.

    Difficile dire cosa cambiò la sua idea a un certo punto.

    Disse di chiamarsi Nita. La destinazione erano le montagne oltre la valle e chiarì che non poteva prendere quella decisione da sola. Non avremmo fatto soste non necessarie e ci sarebbe stato un solo passo, il suo.

    Beh, non era una tipa incline

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