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Niki - Oltre lo specchio
Niki - Oltre lo specchio
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Niki - Oltre lo specchio

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Gambe lunghe, vita sottile e spalle larghe, capelli castani folti e fluenti, grandi occhi di un nocciola che sfuma nel verde: una bella donna per chi la guarda, ma non abbastanza quando è lei a guardarsi allo specchio.
Niki è figlia del suo tempo, frutto intrigante di due culture, padre senegalese e madre italiana. Niki è italiana, la sua prima lingua è l’italiano, la sua cultura è italiana. Ma, nonostante tutto, Niki si sente combattuta, mai veramente apprezzata e costantemente fuori posto. Franca, sua madre, sembra volersi occupare del mondo intero ma, di lei, veramente e nel modo in cui avrebbe avuto bisogno, non si è mai occupata. E, come per riscattarsi, Niki, intelligente e tenace, mette l’anima in tutto ciò che fa. Diventata psicologa, entra a far parte di un'associazione che si occupa di dare una seconda possibilità a donne che cadono nel tunnel della droga e della prostituzione.
Arrivata in Spagna per convincere una ragazza a tornare a casa, Niki, sotto falsa identità, va a lavorare come cameriera alla “Cáscara de oro”. A fatica entra in confidenza con Antonella, ragazza discreta e quasi invisibile che fa tutto quello che le ordina Antonio, suo compagno e proprietario del ristorante. Ma Antonio gestisce anche un giro di prostituzione e di droga. E, così, Antonella, sotto uno strato di trucco pesante, va agli incontri con gli uomini che Antonio le procura, senza protestare perché con Antonio non si scherza. Il referente di Niki è Diego, poliziotto spagnolo che non vede di buon occhio il compito che gli è stato affidato ma che, occupandosi di lei, alla fine se ne innamora.
In una Venezia grigia e cupa, dove ha sede l'associazione per cui lavora Niki, inizia e termina la sua avventura. Tra le vie congestionate di Barcellona, città frizzante e piena di vita, nell'ovattata tranquillità notturna della Rambla, dove voci alterate si rincorrono veloci, sotto le luci soffuse che vestono i palazzi antichi del Barrio Gotico, si intrecciano le vicende di Niki, Diego, Antonella e Antonio. Ma Niki non è pronta ad affrontare quel mondo duro e crudele e, quando viene rapita da Antonio e costretta a diventare quella che mai avrebbe immaginato, deve fare i conti con le sue paure e con i suoi limiti.
LanguageItaliano
Release dateMay 30, 2019
ISBN9788834128206
Niki - Oltre lo specchio

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    Niki - Oltre lo specchio - Cristina Toniolo

    Il grande orologio bianco e nero, appeso alla parete dietro al bancone, segnava le due. Ad intervallo regolare, mandava bagliori accecanti. L'atmosfera era densa di odori e rumori e da un faretto, posto sul soffitto, venivano lanciate, a tutta velocità, luci colorate che lo colpivano come saette infuocate. Niki aveva le caviglie gonfie, le gambe pesanti come macigni, le spalle doloranti ma, forse, avrebbe fatto prima a dire quello che non le faceva male. Dopo essersi stirata i muscoli del collo, si massaggiò la zona lombare con forza. Era da tanto che non si sentiva così stanca, quasi che il logorio fisico di quel lavoro stesse prendendo possesso anche del suo sistema nervoso facendole provare rabbia e insoddisfazione. Era stanca nel fisico e nella mente, mai aveva creduto che un semplice lavoro di cameriera fosse così massacrante. Era assetata. Aveva corso per tutta la sera e solo in quel momento si era resa conto di avere la gola secca. Si avvicinò al bancone, prese un bicchiere e lo riempì con dell'acqua fresca. Non aveva mai trovato della semplice acqua così deliziosa. Anche se il suo turno era finito, non era ancora arrivato il momento di andare via. Anche se avrebbe voluto correre a stendersi, non poteva ancora farlo. Si lasciò scivolare voluttuosamente su uno degli sgabelli che stavano addossati al grande bancone in marmo policromo e posò i piedi sul tubo di ottone che lo proteggeva da avventori incauti. Di clienti, nella sala, ce n'erano ancora molti e non sarebbe stato facile farli scollare dalle sedie. Con aria assorta, puntò lo sguardo verso il grande specchio che si stendeva orizzontalmente lungo una parete e in cui si rifletteva quasi tutta l'ampia stanza. Posò gli occhi sul proprietario del locale, un italiano dal fisico atletico e alto più di un metro e ottanta, e lo trovò attraente, anche se non avrebbe dovuto. Poi lasciò vagare lo sguardo finché trovò quello che cercava: una giovane donna dai lineamenti infantili e dal corpo esile, un volto sorridente che non riusciva, però, a mascherare del tutto un profondo disagio. Passando accanto ad Antonio, il proprietario del ristorante, lei sorrise e lui le circondò la vita con un braccio, e Niki ebbe la sgradevole sensazione di trovarsi di fronte ad un cane che marchiava il territorio. A prima vista, Antonella era libera di muoversi in quel locale come le pareva, in fin dei conti era la donna del capo, ma c'era qualcosa nel modo di fare della ragazza, nel suo sguardo vacuo e anche nel tono sempre spaventato e quasi impercettibile della sua voce che diceva che in lei covava una certa inquietudine. Niki lo aveva capito subito, la prima volta che le aveva appoggiato gli occhi addosso, e lo avrebbe capito anche se non le avessero spiegato quello che accadeva in quel ristorante alla moda sempre pieno di gente e che faceva soldi a palate. Il locale era bellissimo, elegante e raffinato, un posto magnifico in cui lavorare, un posto splendido in cui cenare, un locale che si apriva sulla via più frequentata e alla moda di Barcellona, la Rambla. Quando era arrivata a Barcellona, quattro giorni prima, aveva amato subito quell'ampia via pedonale che portava al mare. Ne aveva amato la vivacità, quell'essere sempre affollata, i suoi artisti di strada, i caffè, le bancarelle.

    – Sono solo pochi minuti da qui – le aveva spiegato la donna che gestiva il piccolo albergo in cui soggiornava.

    E, in effetti, non ci volevano neanche cinque minuti per raggiungere il ristorante dalla via laterale e anonima in cui aveva trovato alloggio Niki.

    – Se ti piace il movimento, amerai passeggiare lungo quella via, è sempre piena di gente, gente che cammina, gente che mangia, gente che fa spettacolini improvvisati, chioschi di souvenir – aveva continuato, decantando le bellezze della sua città con tanto orgoglio, quella donna di mezza età non riuscendo, però, a mascherare un sorriso triste prima di continuare la spiegazione, solo dopo qualche attimo, con lo sguardo carico di nostalgia, – anche se tutta quella gente, ormai, ci ha rubato la città e non ci permette più di viverla come nostra.

    Quella donna ha proprio ragione si era detta Niki che non aveva visto quella strada deserta neanche a tarda notte quando tornava dal lavoro. Poi Niki riportò la sua mente al ristorante in cui si trovava, al lavoro che aveva svolto e a quello che doveva ancora svolgere. Aveva creduto che bastasse una manciata di ore per risolvere la questione, ma era lì da tre giorni e non era arrivata a nulla. Stava perdendo la pazienza. Da quando aveva messo piede dentro a quel locale aveva sempre faticato, corso e sudato, e aveva avuto poche occasioni per scambiare qualche parola con Antonella e con le altre ragazze che ci lavoravano. Però, si stava facendo un'idea precisa di quello che accadeva lì dentro. E, quello che accadeva, non le piaceva. Aveva cercato di fare qualche domanda, di dare un'occhiata in giro, ma era sempre stata fermata e nessuno parlava apertamente. Tutti temevano qualcosa, ma tutti tenevano i nervi saldi. Prima o poi si sarebbero fidati di lei, lo sapeva. Lei era una persona che ispirava fiducia, di questo era sicura, bastava avere ancora un po' di pazienza. Pazienza, era stufa di sentir parlare di pazienza.

    – Devi avere pazienza – le aveva detto solo quella mattina Diego, e lui sicuramente ne sapeva più di lei.

    – Io non sono mai stata molto paziente. Quando devo arrivare alla meta ci vado per la via diretta e non permetto a nulla e a nessuno di farmi cambiare strada – gli aveva risposto innervosita.

    Niki si scrollò quei pensieri dalla testa, aveva finito il bicchiere d'acqua e non c'erano più scuse per fermarsi. Allungò una gamba snella verso il pavimento, formato dalle minuscole tessere di un mosaico, al centro del quale troneggiava un toro sinuoso nell'atto di incornare un uomo dall'abito variopinto, e vi appoggiò un piede sentendo una fitta che le partiva dalla punta delle dita e arrivava fino all'anca. Stringendo i denti, e sorridendo ad Antonio che stava passando proprio in quel momento, si diresse verso lo stanzino che usavano come spogliatoio sperando di trovarvi qualche ragazza, ma era deserto. Aprì l'armadietto, si sfilò le scarpe e provò un brivido di freddo piacere quando appoggiò la pianta dei piedi bollenti sul pavimento di ceramica, mise una gomma alla menta in bocca, le sembrava si sentire ancora l'aroma di affumicato che aveva aleggiato nella sala per tutta la serata, si sfilò la maglietta viola scuro che presentava macchie di sudore alle ascelle e si passò sulla pelle sudata una salvietta profumata e umida per lenire l'odore di tante ore di faticoso lavoro. Fece tutto questo con la massima calma, sperando nell'arrivo di qualche ragazza, ma dalla sala giungevano solo rumori sordi, rumori di bicchieri che venivano riposti, di sedie che venivano messe sui tavoli, voci che si erano fatte flebili in quella tarda ora notturna. Dandosi per vinta, lasciò il camerino e si diresse verso la porta. Uscendo, scorse con la coda dell'occhio Antonella. Avrebbe voluto tornare indietro per salutarla, almeno, ma quando si girò notò Antonio che andava verso di lei, la prendeva per un braccio e la trascinava verso il suo ufficio. Anche quel giorno non aveva concluso nulla e si ritrovò in mezzo alla strada. A prima vista, poteva sembrare semi deserta, ma a guardare meglio si potevano scorgere figure che si muovevano avvolte dall'oscurità. L'aria notturna era fresca, finalmente dopo una giornata torrida, e Niki non sarebbe tornata subito in albergo se non fosse stata stanca morta. Camminò con calma, assaporando ogni attimo di libertà in quella ovattata tranquillità notturna, anche se, con discontinuità, le giungeva ancora la voce di qualcuno che aveva bevuto decisamente troppo. Arrivò senza rendersene conto all'albergo, salì in camera, aprì la porta, stando attenta a non fare rumore, ed entrò. Dentro, l'aria era pesante, le finestre erano state chiuse per tutto il pomeriggio, e corse ad aprire la porta che dava sul minuscolo terrazzo. Quel piccolo e modesto albergo non disponeva di aria condizionata. Poi, quando stava per entrare in bagno, si ricordò che non aveva guardato il telefono per tutta la sera e controllò se c'erano messaggi. Uno solo le interessava e diceva:

    Ci vediamo domani mattina alle 11,00 al solito posto. Diego.

    Da quando era arrivata, aveva incontrato Diego tutti i giorni alle 11,00.

    Diego non le aveva fatto una buona impressione già nell'istante in cui le era andato incontro con aria diffidente e arrogante, facendola sentire come uno di quei cagnolini piccoli e dalla voce stridula affidatagli solo per creargli fastidi.

    Diego era entrato nelle forze di polizia con la convinzione che solo facendo parte di un'istituzione regolare si avesse il potere di intervenire per riportare l'ordine e la pace nella società. Secondo lui, solo persone ben addestrate, con un'arma addosso e con il benestare delle autorità, avevano facoltà di risolvere al meglio qualsiasi questione. Irrequieto, insolente, convinto che il suo modo di agire fosse l'unico giusto, e le sue convinzioni sempre esatte, non aveva mai dato molta retta a tutti quelli che avevano cercato di convincerlo che il bene del prossimo si fa anche collaborando con chiunque abbia la voglia e i mezzi per mettersi in gioco. Fin dai suoi primi incarichi si era dimostrato abile e onesto, ma anche un lupo solitario che faticava a lavorare in gruppo. Sei mesi prima, a causa della sua brutta abitudine di voler sempre agire a modo suo e da solo, per poco non aveva mandato a monte un'operazione importante costringendo il suo comandante ad impartirgli una sinistra punizione. Anche se per il momento gliela aveva fatta passare solo con una sonora e umiliante lavata di capo, un mese prima era stato informato che, con altri agenti, si sarebbe occupato di un giro di prostituzione ad alti livelli. Fin qui la cosa gli era andata anche bene, conosceva tutti i membri del gruppo e sapeva che loro non gli sarebbero stati troppo addosso, ma l'ira si era impossessata di lui quando aveva scoperto che avrebbe dovuto fare da balia ad una volontaria di un'organizzazione internazionale a difesa delle donne. Aveva sbraitato che mai si sarebbe occupato di una donna di mezza età frustrata, per di più straniera, che non aveva nulla di meglio da fare, nella vita, che cercare guai e mettere gli altri nei guai. Aveva sbraitato così forte che era stato rauco per diversi giorni, ma alla fine aveva vinto il suo comandate e lui si era rassegnato a fare da balia a quell'italiana solo perché, tra le ragazze immischiate, era presente una sua giovane connazionale la cui famiglia aveva chiesto l'intervento dell'organizzazione di cui faceva parte.

    Il lunedì mattina, alle 11,00, si era diretto all'appuntamento con l'italiana, stringendo le labbra e mordendosele fino a farle sanguinare. Se fosse tornato indietro non avrebbe più fatto sciocchezze simili, sciocchezze che comportavano uno svilimento del genere. Se avesse potuto rifiutare quell'incarico lo avrebbe fatto senza pensarci due volte, ma il suo comandante non gli aveva dato scelta e adesso aveva solo voglia di strozzare quella donna che gli era stata imposta.

    Niki, quella stessa mattina, era uscita con largo anticipo, non le era mai piaciuto arrivare tardi agli appuntamenti, e aveva lasciato scorrere il tempo girovagando per il Barrio Gotico, costeggiando le antiche mura della città fino a raggiungere l'imponente mole della Cattedrale.

    Però, quando si trovò sul luogo dell'appuntamento, si accorse con stizza che era ancora molto presto. Superando l'ampia piazza, si era diretta con gambe tremanti verso il chiostro di gusto gotico. Doveva incontrare lì il suo referente spagnolo e non aveva idea di che aspetto avesse, di che tipo si trattasse, sapeva solo che sarebbe stato lui a contattarla e, per farsi riconoscere, aveva indossato due sciarpe intrecciate, una bianca e una nera. Fece qualche passo e passò in rassegna le cappelle che si aprivano intorno ad una vasca centrale dalla quale spiccava il candore di splendide oche dalle cosce grasse e dalla voce tonante. L'incedere placido dei pennuti, incuranti dei turisti che li osservavano e li fotografavano, stavano incantando frotte di persone. C'era tanta pace lì dentro, anche se intorno a lei si aggirava molta gente.

    – Me la farei anch'io una nuotata con questo caldo. Ma senza piumino, però.

    Una voce profonda, interruppe i pensieri di Niki. La ragazza si girò di scatto, presa alla sprovvista, e cercò il volto di chi le aveva rivolto quelle parole.

    Anche Diego era arrivato con un certo anticipo, gli piaceva avere sempre la situazione sotto controllo e sapere con chi aveva a che fare. Aveva cercato tra i turisti curiosi la donna con la sciarpa intrecciata bianca e nera e non si era aspettato di trovare una ragazza. Vista da dietro, dimostrava una trentina d'anni. Avvicinandosi con calma, la osservò meglio: fisico asciutto e slanciato, un fondoschiena spettacolare e una cascata di riccioli castano scuro che le scendeva fino ad oltre metà della schiena. Forse, da quella fastidiosa situazione avrebbe ricavato anche qualcosa di buono. C'era solo una cosa che non gli piaceva della donna che gli dava le spalle: la sua altezza. Sarà stata alta più di un metro e settantacinque, più di lui anche se di poco. Per fortuna che la donna indossava sandali senza tacco. Restò ad osservarla per qualche minuto, era completamente assorta ad osservare le oche che spiluccavano grandi foglie di lattuga, prima di avvicinarsi e rivolgerle quelle parole che la colsero di sorpresa facendo sussultare lei e brillare gli occhi di lui.

    – Diego? – chiese Niki con il cuore che le batteva in gola.

    – E tu devi essere Nicole.

    – Niki – lo corresse lei decisa. – Qui sarò solo Niki.

    – E vada per Niki, allora. È quasi ora di pranzo, mangiamo insieme e ti spiego tutto. – Il tono di Diego era quello di un uomo abituato a dare ordini, ordini ai quali non ci si tirava mai indietro. E, appunto, quello che lui aveva appena detto aveva tutta l'aria di essere un ordine più che un invito, ma Niki non aveva voglia di discutere, soprattutto durante la sua prima missione, come venivano chiamate dalla sua associazione quelle uscite.

    – Fa' strada – gli disse mostrando una falsa accondiscendenza.

    Niki seguì Diego. Camminarono solo per qualche minuto e lui la fece svoltare in una via laterale per poi entrare in un bar di certo non alla moda, quasi un self-service frequentato per la maggior parte da locali per la pausa pranzo. Niki si guardò attorno, attonita del posto in cui era stata condotta, lasciando che dal suo volto trapelasse un non troppo velato disappunto.

    – Tranquilla, lo so che il posto non è bellissimo, ma si mangia discretamente e staremo tranquilli. Qui non vengono turisti, solo locali, e tutti si fanno i fatti loro. Sediamo in fondo – indicandole un tavolo d'angolo, in fondo alla sala male illuminata e con le pareti di un color crema poco invitante, Diego si avvicinò al banco per ordinare. Credeva che la ragazza fosse andata a sedersi e fu sorpreso quando la sentì fare la sua ordinazione in un perfetto spagnolo.

    – Parli molto bene la nostra lingua.

    – Insegno lingue. Oltre allo spagnolo parlo anche inglese, francese, tedesco e greco. Ma spero di impararne altre, il russo magari, anche se i caratteri cirillici non sono semplicissimi. – Sul volto di Niki si dipinse una nota di soddisfazione nel rimettere al suo posto quell'uomo che non aveva fatto altro che soppesarla e trattarla da cretina fin dal primo momento in cui si erano incontrati.

    Si diressero verso il tavolo in silenzio e restarono a lungo a soppesarsi a vicenda. Diego dovette ammettere che quella donna era veramente bella, anche se non se la sarebbe mai aspettata così. Dal canto suo, anche Niki riconobbe che l'uomo arrogante che le sedeva di fronte non era niente male, se non fosse stato che era un po' basso ma, d'altronde, erano molti gli uomini più bassi di lei. Ormai non ci badava più molto.

    Dopo qualche minuto, Diego le spiegò tutto con accuratezza, ma la mise anche in guardia: se avesse creato problemi durante l'operazione, l'avrebbe sospesa da quel compito immediatamente. Lui ne aveva pieno potere. E le sue parole sembrarono al limite della minaccia. Almeno così le prese Niki, provando ancora più antipatia per lui, ma solo perché aveva la facoltà di mettere fine alla sua carriera di volontaria in qualsiasi momento. E non le piaceva che fossero altri a decidere per lei, non lo aveva mai permesso neanche quando era una ragazzina, figurarsi se cominciava proprio alla soglia dei trent'anni.

    – Non ti piace dover lavorare con me, vero? – gli chiese Niki, a bruciapelo, uscendo dal locale ormai vuoto.

    – Si vede così tanto? – lui scoppiò a ridere ancora prima di risponderle. – Non è una questione personale, neanche ti conosco, ma non mi piace che civili si intromettano in questioni come questa.

    – Io sono stata addestrata per questo genere di cose.

    – Tu fai parte solo di un'associazione umanitaria. Che razza di addestramento puoi avere?

    – Difesa personale, per cominciare. E poi io sono qui in veste di psicologa e per aiutare Antonella, non dimenticarlo. Il mio è il lavoro più difficile. Devo far sì che quella ragazza si fidi e devo aiutarla ad uscire da questa situazione. Devo farle capire che può ancora rifarsi una vita, una vita che sia degna di essere vissuta. Ti sembra facile? Una donna può non riprendersi mai da esperienze come quella che sta vivendo quella povera ragazza.

    – Ma non insegnavi lingue? – le chiese lui sarcastico.

    – Sì, insegno lingue perché nessuno ha avuto il coraggio di farmi lavorare come psicologa. La mia prima laurea l'ho presa in psicologia, solo quando ho visto che non trovavo un lavoro decente nel campo ne ho presa una anche in lingue. Dobbiamo pur vivere.

    – Non dirmi che fai volontariato perché ti senti una povera vittima della nostra società? – A Diego quelle parole erano scappate senza rifletterci e si pentì quasi subito di tutta la sua indelicatezza. Sapeva che per molte donne non era facile entrare nel mondo del lavoro, sapeva che molte dovevano scendere a compromessi perché la società non permetteva loro di ricoprire determinati ruoli, ma non pensava che anche in un paese come l'Italia avvenissero ancora cose del genere.

    Niki gli rivolse uno sguardo di traverso. Come si permetteva quel perfetto sconosciuto di credere di conoscerla così bene da sapere perché lei aveva fatto determinate scelte.

    – Scusa, non dovevo parlarti così. Mi dispiace, ho parlato senza riflettere, sono stato stupido.

    – Certo che lo sei stato. Io non ho potuto fare quello che amo perché sono fuori dagli standard, perché non sono esattamente come la massa si aspetta che sia una psicologa e questo ti sembra giusto? Se una donna come me, con una buona istruzione, voti molto alti, una famiglia economicamente abbiente alle spalle, nata in Italia da madre italiana, ma leggermente con la pelle più scura di quanto ci si aspetti, non può fare quello che desidera, allora cosa dovrebbero dire tutte quelle donne che partendo svantaggiate si trovano a dover lottare per sopravvivere? A volte penso che la colpa, delle bruttezze di questo mondo, sia tutta degli uomini. Scusami per la franchezza, ma adesso devo andare.

    Con quelle parole acide e dolorose, Niki si allontanò da Diego per tornare in albergo. Quel suo primo incarico non sarebbe stato facile, lavorare con Diego non sarebbe stato facile, ma finalmente stava facendo quello in cui credeva di più e per cui aveva lottato per gran parte della sua vita: mettersi al servizio di un mondo tutto al femminile che non la smetteva di annaspare nelle difficoltà.

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