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#Populeconomy: L’economia per le persone e non per le élites finanziarie
#Populeconomy: L’economia per le persone e non per le élites finanziarie
#Populeconomy: L’economia per le persone e non per le élites finanziarie
Ebook99 pages1 hour

#Populeconomy: L’economia per le persone e non per le élites finanziarie

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About this ebook

“A partire dal rapporto tra vita quotidiana e i grandi fenomeni della globalizzazione, passando per l'analisi puntuale delle sofferenze più evidenti del nostro Paese nel settore delle infrastrutture, delle banche, delle relazioni sociali e istituzionali, quello che emerge sconfessa finalmente ogni tentazione ideologica di ridurre il mondo ad uno slogan o peggio ad un dogma, ma al contrario restituisce al nostro tessuto produttivo la sua dignità di organismo complesso, fondato sul valore delle persone e non certo sui freddi parametri di Bruxelles.” 
Dalla prefazione di Matteo Salvini.
LanguageItaliano
Release dateJun 4, 2019
ISBN9788894458305
#Populeconomy: L’economia per le persone e non per le élites finanziarie

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    #Populeconomy - Francesco Paolo Capone

    Francesco Paolo Capone

    #POPULECONOMY

    L’economia per le persone e non per le élites finanziarie

    Supplemento a LaMetaSerale

    (Reg. Trib. Roma Aut. n.25 del 5/1/1988)

    Copyright © 2019

    Edizioni Sindacali

    ISBN: 9788894458305

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    RINGRAZIAMENTI

    PREFAZIONE

    QUEI POVERI IN GIACCA E CRAVATTA SONO LAVORATORI

    RIPENSARE L’ECONOMIA

    PERCHÉ ANCORA AUSTERITÀ?

    VERSO IL CAMBIAMENTO

    CONCLUSIONI

    RINGRAZIAMENTI

    Questo libro nasce nei luoghi di lavoro, nelle piazze e nelle strade. Ha preso forma con le parole, le speranze e i timori delle migliaia di persone che ho incontrato in questi mesi.

    È a tutti loro, anzi a tutti voi, che vanno i miei ringraziamenti più sinceri.

    Ringrazio i miei colleghi della UGL.

    Il confronto quotidiano e il percorso congressuale ha rappresentato un tracciato fondamentale, pagina dopo pagina.

    Un ringraziamento particolare a Carlo Buttaroni.

    Le nostre lunghe serate passate a parlare di economia, occupazione e del mondo che cambia sono state il presupposto scientifico e metodologico indispensabile a dare vita a questo lavoro.

    Infine, un grazie alla mia famiglia per la pazienza e il supporto che mi ha dato in tutti questi anni.

    PREFAZIONE

    Ad un panorama politico e sindacale dove tutti sembrano avere delle certezze in tasca, il libro di Paolo Capone ha il grande merito di opporre l'arma del dubbio.

    Dubita senza tregua il segretario generale U.G.L. che in questo volume passa in rassegna non solo tutti gli ultimi interventi nel campo dei diritti del lavoro, ma si spinge ad un’analisi di contesto che pone domande essenziali sul sistema economico in cui viviamo. A partire dal rapporto tra la vita quotidiana e i grandi fenomeni della globalizzazione, passando per l’analisi puntuale delle sofferenze più evidenti del nostro Paese nel settore delle infrastrutture, delle banche, delle relazioni sociali e istituzionali, quello che emerge sconfessa finalmente ogni tentazione ideologica di ridurre il mondo ad uno slogan o peggio ad un dogma, ma al contrario restituisce al nostro tessuto produttivo la sua dignità di organismo complesso, fondato sul valore delle persone e non certo sui freddi parametri di Bruxelles.

    La principale domanda, implicita, che anima le pagine che state per leggere è sempre la stessa: A quale scopo?.

    Di per sé rappresenta abbastanza per parlare di un approccio nuovo rispetto agli studi a cui siamo abituati, generalmente talmente ripiegati sul passato, sulle cause storiche di questa o quella misura, da finire per perdere di vista il metro di valutazione più importante: quello che guarda al futuro. Capone ricerca sì le cause, ma soprattutto le collega e su ogni tematica propone una soluzione.

    Osa scostare il sipario dietro i titoli dei giornali. Non si accontenta di un punto di vista parziale, benché emerga giustamente tutta la forza di un sindacato da sempre lontano dalle logiche tradizionali del conflitto tra le classi.

    Un sindacato fieramente altro e proprio per questo particolarmente prezioso.

    Matteo Salvini

    QUEI POVERI IN GIACCA E CRAVATTA SONO LAVORATORI

    1. Populeconomy, l’economia del buonsenso. 2. La questione sociale. 3. Il sindacato nell’Italia che cambia.

    1. Populeconomy, l’economia del buonsenso

    A giugno del 2012 il Financial Times pubblicava il manifesto di Paul Krugman e Richard Layard sul buonsenso economico, una critica durissima alla visione del rigore e dell’austerità. "Molti responsabili politici – scrivevano i due economisti - insistono sul fatto che la crisi è stata causata dalla gestione irresponsabile del debito pubblico. Con pochissime eccezioni questo è falso. […]. In un momento in cui il settore privato è impegnato in uno sforzo collettivo per spendere meno, la politica pubblica dovrebbe agire come una forza di stabilizzazione, nel tentativo di sostenere la spesa.

    Per lo meno non dovremmo peggiorare le cose tramite grandi tagli della spesa pubblica o grandi aumenti delle aliquote fiscali sulle persone comuni.

    Purtroppo, questo è esattamente ciò che molti governi stanno facendo […]. Nessuno si sognerebbe di arruolare Krugman (Nobel per l’economia) o Layard tra i populisti o i sovranisti. Eppure, oggi come allora, per l’Italia che ha davanti l’orizzonte zero della crescita per il 2019, ritorna fuori la ricetta del rigore. Come se gli effetti collaterali delle ricette lacrime e sangue non li avessimo già sperimentati, scoprendo, a nostre spese, che la luce in fondo al tunnel" di Mario Monti era un treno che ci stava venendo addosso. Ecco perché occorre tornare a un’economia a favore della persone e del lavoro.

    Appunto la populeconomy.

    Un’economia che guardi anche nella direzione di tutti quegli italiani che sono poveri senza sembrare tali. Perché hanno un lavoro, quasi sempre un cellulare e un’automobile. Allo stesso tempo, però, non hanno soldi a sufficienza per tirare avanti fino alla fine del mese, per mandare avanti la famiglia. Sono i poveri grigi, in bilico tra normalità e miseria, che vivono la povertà dei non-poveri.

    Una povertà che ha radici non nella mancanza del lavoro, ma nel lavoro stesso.

    Le storie sono tante: dipendenti con reddito fisso che hanno visto scemare il loro potere d'acquisto, anziani che percepiscono pensioni troppo basse, lavoratori precari o flessibili, famiglie numerose. Sono 18 milioni gli italiani che non possono permettersi alcun tipo di progetto o semplicemente far fronte agli impegni economici se sopravviene una spesa imprevista superiore a 800 euro.

    Ecco perché servono politiche economiche con al centro lavoro, equità e sicurezze. Populismo? No, semplicemente buonsenso.

    2. La questione sociale

    La questione sociale rappresenta un passaggio chiave intorno al quale la politica è chiamata a misurarsi.

    Ed è proprio l’emergenza della massa di lavoratori poveri a imporre nuove unità di misura della ricchezza che non facciano più riferimento solamente al prodotto interno lordo quale indicatore dello stato di salute di un Paese, ma anche al tasso di equità, più idoneo a misurare il grado di ricomposizione delle fratture sociali ed economiche che sembrano oggi caratterizzare l’Italia.

    Non si tratta, cioè, soltanto di spingere verso l’alto il PIL, ma di dar luogo a scelte volte a ridurre le distanze economiche e sociali attraverso una ri-valorizzazione del lavoro e un ri-orientamento delle politiche sociali verso l’uscita da una condizione di fragilità, passando dall’idea di sostegno a quello di affiancamento.

    La spesa sociale in Italia è da sempre stata più bassa rispetto alla media europea e le politiche di austerità l’hanno costantemente ridimensionata.

    Eppure, le politiche sociali rappresentano uno straordinario volano per la crescita economica; si dia uno sguardo a chi c’è in testa alla classifica degli investimenti sociali per capire he un robusto sistema di welfare rende più forti, non più deboli.

    Francia, Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Finlandia e Svezia hanno, infatti, storicamente redditi pro-capite più elevati e tassi di crescita superiori a quelli italiani, pur destinando quote maggiori di PIL al sistema di protezione

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