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Oltre quel cancello
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Oltre quel cancello

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About this ebook

Basta oltrepassare un cancello perché Chiara riesca a rinascere. Man mano che si lascia trasportare dalla vita, il peso dei diciotto anni che le sono stati rubati sembra sgretolarsi.
L'incontro casuale con Manuel riporta a galla il passato e con esso speranze e timori per un futuro inaspettato si materializzano in un valzer di emozioni che travolgono il cuore di Chiara. Solo due cose la spingono a sopportare l'ignoto: il desiderio della verità e la ricerca della libertà.
LanguageItaliano
Release dateJul 7, 2019
ISBN9788834153192
Oltre quel cancello

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    Oltre quel cancello - Federica Lavinia

    MAMME

    NON VOLTARTI INDIETRO

    Gli occhi di Chiara rimasero a fissare il grigio dell’asfalto bagnato da una lieve ma incessante pioggia. I l ticchettio delle gocce si sovrappo neva al battito del suo cuore.

    Sulle spalle l’impercettibile peso dello zaino, piccolo ed unico contenitore della sua vita, divenne il testimone del vuoto che aveva permeato la sua esistenza. I pochi vestiti che possedeva , una bottiglietta d’acqua, un coltellino multiuso, un quaderno ed una penna era tutto ciò che aveva pensato che le sarebbe potuto servire. Il resto lo aveva lasciato in quell’angolo di mondo dove la vita scorreva ovattata dalla certezza di essere lì solo perché qualcuno non ti ha voluto e che arriverà il giorno in cui dovrai andartene.

    Le ci volle un po’ per trovare la forza di sollevare lo sguardo. La curiosità di vedere cosa si sarebbe trovata davanti combatteva con la paura di scoprire una realtà diversa da quella che aveva sognato in quei diciotto anni.

    Si trattenne dalla voglia di girarsi e guardare il cancello dell ’orfanotrofio . Quel cancello, che fino a qualche attimo prima aveva segnato il confine del suo mondo, ora era diventato, in un solo istante, un intreccio di ferro battuto oltre il quale sarebbe calato il buio del passato.

    Bloccata, fra la gioia della fine ed il timore dell’inizio, rimase paralizzata con i piedi puntellati in terra, come anc o re di una barca pronta per allontanarsi dall’isola del naufragio e per salpare nell’incertezza di una mare agitato.

    Erano passati diciotto anni.

    Diciotto anni sono un bel po’ di tempo. Nonostante ciò, ora lì, immobilizzata dalle sue emozioni, le sembrava di nascere proprio in quel momento. Completamente sola, doveva trovare dentro di sé la forza di tagliare quel cordone ombelicale che ancora la teneva legata a quel cancello.

    All’improvviso tutti i suoi ricordi si unirono nella sua mente in un girotondo di sentimenti che, come soldati, combattevano l’uno contro l’altro per conquistare il suo corpo diventato, in un solo istante, territorio privo di padrone.

    E così ecco apparirle il primo viso che ricordava.

    Non aveva compiuto ancora tre anni. Suor Irma la teneva in braccio, e con il sorriso sulle labbra, le mostrava il manto di neve fuori dalla finestra. Il cortile si era coperto di un’aria magica che con una bacchetta incantata calava la gioia sul volto dei bambini. Le mani di quei bimbi avevano trasferito abilmente la felicità dei loro cuori per quell a inaspettata soffice sorpresa caduta dal cielo, in un pupazzo di neve gigante dall’aria un po’ stramba. L’immagine del contrasto fra quel bianco accecante ed il nero della tonaca, era ancora nitida nella sua mente. S e chiudeva gli occhi, riusciva a sentire il calore della tenerezza sprigionato dal contatto con quel corpo spigoloso ma inaspettatamente morbido di quella che, con il tempo, a vrebbe identificato come la sua suora preferita.

    In realtà la prima ad accoglierla era stata Suor Serafina, che in una calda mattina di agosto, la trovò avvolta in una tovaglia a quadri blu e bianca davanti al grande cancello. Quel pianto straziante penetrava nelle orecchie della suora. Con il peso dei suoi molti anni si chinò per raccogliere quel fagottino, espressione perfetta della purezza dell’innocenza. Gli occhi di Suor Serafina, contornati da rughe lunghe e profonde incontrarono quelli grandi e curiosi della bimba che, per qualche attimo, si tranquillizzò lasciandosi cullare da quella figura dai lineamenti duri e mascolini.

    Fu la sola volta che la vista di quella suora riuscì a calmarla.

    In seguito imparò a riconoscere che la durezza di quei lineamenti rifletteva la durezza del suo cuore.

    Una volta se la ritrovò addosso mentre giocava con altre bambine nel cortile antistante l’ingresso di quel maestoso edificio, la cui aria cupa era esaltata da tralci d’edera che ne contornavano le mura. Il suo naso aquilino e gli occhi scuri incavati nel labirinto delle rughe, le avevano fatto aggiudicare il soprannome di befana. E furono proprio quegli occhi ad oltrepassare il cuore di Chiara, che, colta di sorpresa dalla ferocia di quello sguardo, si paralizzò ripiegandosi su s é stessa nel tentativo di scomparire. A scatenare l’ira della vecchia era stata la notizia, giunta alle sue orecchie, che Chiara quella mattina a colazione aveva lasciato metà del tozzo di pane. Tutti i bambini si erano ormai abituati a mandar giù il cibo che riempiva a mala pena metà del piatto adattando il loro gusto a quegli insipidi sapori ed a quelle insolite consistenze. Ma quella mattina Chiara aveva lo stomaco chiuso e non ce l’aveva fatta a mandar giù quel pezzo di pane duro come il marmo. Le mani di Suor Serafina afferrarono i capelli di Chiara trascinandola al centro del cortile, in modo che tutti potessero vedere. Il palmo di quella mano ossuta schioccò sulla guancia della bambina, annunciandole una delle punizioni che più spaventavano i piccoli orfani: quattro ore in piedi, senza muoversi, al centro del cortile. Il sole padroneggiava nel cielo azzurro ed i suoi raggi piombavano su quel corpicino esausto sulla cui superficie cominciarono a comparire goccioline di sudore. La vista di Chiara iniziò ad annebbiarsi e le sue gambe a reclamare il riposo. Ma lei non cedette e raccolse le sue forze per non spostarsi da quella scomoda posizione. Cominciò quindi ad immaginare di essere una grossa quercia, le cui radici erano ben salde nel terreno ed i cui grandi rami si opponevano con successo alla forza del vento. La folta chioma la proteggeva da quel caldo insopportabile e gli uccellini che svolazzavano attorno la distraevano dalla lentezza dello scorrere del tempo. A poca distanza da lei, sotto l’ombra di un porticato, Suor Serafina la controllava con aria di sfida. Il suo sguardo soddisfatto, invaso da una cattiveria che le procurava gioia, sarebbe rimasto per sempre nei ricordi di Chiara.

    Se l’immagine di Suor Serafina la spingeva ad allontanarsi da quel cancello, il pensiero del distacco da Valeria, invece, la inchiodava lì, bloccandole i piedi a terra ed impedendole di incamminarsi sul sentiero della vita.

    Valeria era più piccola di lei di due anni. Arrivò all’orfanotrofio una sera gelida di un rigido inverno. Chiara allora aveva sette anni e, sebbene fosse una bambina socievole, non aveva ancora legato con qualcuno in particolare. Appena vide gli occhi tristi ed impauriti di quella bambina, qualcosa dentro di lei la spinse ad avvicinarsi. Senza dire una parola, prese la sua mano e le diede un bacio sulla guancia. I tanti ricci rossi e la miriade di lentiggini sul suo viso, la resero subito simpatica a Chiara. Bastò quel gesto per trasformare la tristezza della nuova arrivata in serenità e la sua paura in speranza.

    Ora basta, Chiara vai a giocare insieme agli altri bambini. Valeria ora deve sistemarsi nella sua stanza.

    Con quelle parole Suor Anna separò le due bambine. Ma il suo fu solo un vano tentativo di ostacolare il desiderio già nato nei cuori di entrambe quelle piccole creature di unirsi in una sincera amicizia.

    Valeria era stata colpita dalla dolcezza e dalla generosità di Chiara. Si era accorta fin da subito del suo naturale istinto di correre in aiuto ogni volta che qualcuno si trovava in difficoltà. Aveva modi garbati e delicati che sprigionavano serenità e fiducia.

    D’altro canto anche Chiara era stata subito attratta dalla timidezza e dalla sensibilità di Valeria. La sua fragilità, se da un lato innescava in Chiara un senso di protezione, dall’altro la rendeva semplice e sincera.

    Il legame fra quelle due creature si rafforzava giorno dopo giorno sostenuto da una complicità e da un affetto reciproco che rendevano meno insignificanti i giorni in quel posto dove si erano trovate a vivere loro malgrado. Le loro vite si sovrapposero riempiendo i fabbisogni dell’una con il sostegno dell’altra, i difetti dell’una con i pregi dell’altra, le paure dell’una con il conforto dell’altra.

    Si sostenevano a vicenda sia psicologicamente che materialmente nelle difficoltà che incontravano giornalmente.

    Per fronteggiare la rigidità dell’orfanotrofio avevano escogitato degli espedienti di sopravvivenza. Uno dei momenti più tristi era durante i pasti. Nessuno poteva fiatare e gli occhi dovevano guardare solo il piatto. Chiara odiava il pesce, Valeria il formaggio. E così, quando a pranzo c’era il pesce Chiara lo cedeva di nascosto alla sua amica. La sera poi Valeria passava, senza farsi vedere dalle suore, il suo formaggio nel piatto di Chiara.

    Fra quelle anonime mura, i giorni erano tutti uguali e difficilmente la speranza riusciva a fortificare e mitigare i caratteri. Valeria era insicura di sé e questo la rendeva vulnerabile facendola cadere spesso vittima degli scherzi degli altri bambini. Chiara era però sempre pronta ad intervenire prendendo le difese della sua amica e non lasciandosi intimorire dall’atteggiamento spavaldo dei ragazzini più grandi.

    Un giorno, mentre tutti gli altri erano impegnati a giocare a pallavolo, loro due si sedettero sul muretto, desiderose di condividere i loro pensieri senza essere disturbate dagli eventi che con monotonia si ripetevano senza generare alcun entusiasmo. Chiara aveva notato quel velo di tristezza che ogni tanto compariva negli occhi di Valeria. Con maestria cominciò ad infonderle speranza, progettando una vita al di fuori di quel cancello. Chiara era convinta che appena fosse andata via da lì, avrebbe trovato la felicità. Ed in cuor suo, le sarebbe piaciuto sinceramente scoprire la vita insieme a Valeria, anche se sapeva che sarebbe stato improbabile dal momento che sarebbe andata via da lì prima dell’amica. Su quel muretto le sue parole, espressioni del tentativo di trasmetterle fiducia nel futuro, penetrarono nel cuore di Valeria. Il velo sui suoi occhi si dissolse lasciando il posto ad una luce profonda che le permetteva ora di vedere al di là di quei confini entro i quali era costretta a muovere il suo corpo in balia di una mente che avrebbe invece voluto correre e saltare oltre quei confini.

    Ora Chiara era oltre quei confini.

    L’opportunità di trovare la tanto attesa felicità era lì e la stava chiamando a braccia aperte. D’altro canto in quel momento la sensazione di stare abbandonando la sua amica contribuiva a renderle difficile compiere il primo passo verso un nuovo inizio.

    C’era anche qualcos'altro che si frapponeva fra lei e la libertà: il distacco da Suor Irma.

    Una volta lei le aveva confidato di aver compiuto quella scelta dopo essere stata violentata quando ancora era un’adolescente. Da allora aveva cominciato ad aver paura della vita e fu così che le era venuta l’idea di rifugiarsi in quel mondo che ai suoi occhi appariva fuori da ogni logica e da ogni realtà. La sua era stata una scelta non per vocazione, bensì per sopravvivenza. Era l’unico modo per sfuggire a quel mondo che la spaventava a tal punto da non volersi più alzare dal letto, sentendosi sicura solo nell’incoscienza dei sogni. Con il tempo si era adattata a quella vita assurda le cui regole mal si conciliavano con il suo modo di pensare. Le falsità e le contraddizioni che permeavano la vita in quel posto che lei chiamava l’isola che non c'è facevano spesso vacillare la sua convinzione di aver fatto la scelta giusta. Ma le bastava riportare a galla i ricordi di quel mondo che l’aveva privata del diritto di essere l’unica padrona del suo corpo e della sua mente, che il suo cuore la rassicurava di essere nell’unico luogo dove poteva perlomeno vivere senza la paura che le potesse ricapitare ciò che aveva già dovuto affrontare una volta. Non era facile per lei recitare una parte che non le veniva per nulla naturale e più di una volta aveva rischiato di essere smascherata. Doveva continuamente sforzarsi di fingere di condividere quegli assurdi comportamenti che sembravano invece essere del tutto spontanei per le altre suore. La cosa peggiore era quando doveva reprimere il suo carattere generoso e dolce per non destare alcun sospetto e per non rischiare di essere sbattuta fuori.

    Chiara considerava quelle suore come ombre talmente insoddisfatte delle loro vite, che riuscivano a godere di un’apparente serenità solo infliggendo pene nei più deboli. Per lei, fra quelle ombre, solo Suor Irma era una persona vera, un raggio di luce nel buio della cattiveria. Conosceva il suo segreto e, immaginando la sofferenza che doveva turbare il suo cuore, le veniva spontaneo offrirle, in maniera velata, la spalla della confidenza. Solo con lei Chiara aveva conosciuto sentimenti quali l’affetto ed il rispetto. Suor Irma aveva un debole per quella ragazzina dai grandi occhi neri e l’aveva eletta a sua orfana preferita, forse perchè in lei vedeva quel carattere che avrebbe desiderato per poter affrontare gli ostacoli e le gioie della vita.

    Tutto ciò aveva portato al naturale nascere fra loro di una complicità mai palesemente dichiarata, ma sincera.

    Negli ultimi tempi Chiara aveva tentato di convincerla ad abbandonare quella vita che vita non era. Ma Suor Irma aveva ormai trovato un suo equilibrio e non si sentiva pronta per affrontare l’incognito della vita.

    Chiara, ignara di cosa il mondo le avrebbe presentato sulla sua strada, era comunque certa che non potesse esistere un posto peggiore di quell’orfanotrofio. Sebbene lì avesse avuto modo di incontrare Suor Irma e Valeria che le avevano fatto conoscere il valore dell’amicizia ed avevano alleviato il dolore della solitudine, la rigidità e la totale mancanza di rispetto ed altruismo che regnavano fra quelle mura avevano l’inevitabile effetto di inasprire gli animi.

    Chiara sospirò.

    Finalmente era arrivato il giorno dell’ agognata libertà.

    I suoi occhi da quel momento avrebbero potuto esplorare altre forme ed altri colori, le sue gambe camminare su un suolo diverso, le sue orecchie ascoltare voci e suoni sconosciuti, la sua anima trovare sé stessa.

    Doveva assolutamente guardare avanti.

    Non poteva lasciarsi condizionare da quei sentimenti malinconici.

    Doveva assolutamente provare a vivere.

    Il piede destro si mosse in avanti.

    Il piede sinistro si mosse in avanti.

    Ancora il destro.

    Poi il sinistro.

    Man mano che i passi si materializzavano e la terra scorreva sotto il suo sguardo, il macigno che

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