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SCHOPENHAUER COME EDUCATORE

Considerazioni inattuali, III 1874

Traduzione condotta sull'originale tedesco Unzeitgemsse Betrachtungen, Drittes Stiick. Schopenhauer als Erzieher, in Nietzsche Werke, Kritische Gesamtausgabe Dritte Abteilung, Herausgegeben von Giorgio Colli und Mazzino Montinari, Erster Band, Berlin, Walter De Gruyter & Co., 1972. Traduzione di Matilde de Pasquale

Nietzsche e Schopenhauer: autointerpretazione del pensiero innattuale

Elemento critico fondamentale per l'interpretazione dei rapporti storicotematici fra il pensiero d Nietzsche e il pensiero di Schopenhauer la ricerca di un princpio d formazione, e di conseguente comprensione, del corpus nietzscheano come totalit. L'opera di Nietzsche, pur nelle sue differenti e possibili versioni, nei suoi cicli costellari, nei suoi estremi, nelle sue figurazioni e nelle sue discontinuit, si pu ricostruire a partire da un unico principio di formazione e di interpretazione che, nell'egemonia strutturale delle versioni, mantenga tuttavia un rapporto essenziale con la cronologia, intesa non nel senso della semplice successione degli scritti e della conseguente costruzione e strutturazione della totalit pensata in tal caso come pura accumulazione, ma nel senso di luogo di rapporti temporali, destinato di volta in volta a una illuminazione particolare. Il principio di totalit del testo nietzscheano si chiarisce come principio genealogico, la genealogia essendo la scoperta ermeneutica di Nietzsche, il nucleo della sua teoria dell'interpretazione e, allo stesso tempo, possibile elemento-chiave di una autointerpretazione. Nietzsche stesso, cio, autore del modello genealogico, si autointerpreta attraverso il metodo genealogico. Che cos' la genealogia? certo un principio di formazione, un principio storico. Allo stesso tempo un principio ermeneutico, un modello e un sistema dell'interpretare. Nella Prefazione del settembre 1886 al secondo volume di Menschliches, Allzumenschliches fUmano, troppo untano^* (1878-1880), Nietzsche trac* Codice delle sigle delle opere di Nietzsche usate nelle note: KGA = Werke. Kritische Gesamtausgabe, hrsg. von G. Colli und M. Montinari, Berlin, De Gruyter, 1967 ff. OFN = Opere di Friedrich Nietzsche, ed. it. diretta da G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1964 e ss. NF = Nachgelassene Fragmente Fruhjahr-Herbst 1884. EH = Ecce homo, in F.W. Nietzsche, Opere 1882/1895, Roma, Newton Compton, 1993. UT = Umano, troppo umano, in F.W. Nietzsche, Opere 1870/1881, Roma, Newton Compton, 1993. NT = La nascita della tragedia, ed. cit., 1993. SE = Schopenhauer come educatore, in questo voi. [La prima traduzione italiana di Schopenhauer ais Erzieher fu pubblicata nel 1915 (Battelli & Verando Editori in Perugia) nella versione di Vincenzo Arangio-Ruiz con un'Introduzione di Vladimiro Arangio-Ruiz. L'interpretazione di Vladimiro Arangio-Ruiz in qualche modo all'origine della recezione e della Wirkunsgeschichte del primo Nietzsche in Italia: l'immagine fondamentale il pessimismo di Nietzsche, il suo pessimismo anti-inteliettuatistico. In questo libretto di Nietzsche scrive Arangio-Ruiz la parte che filosoficamente ha secondo me maggiore valore la critica alla scienza, o meglio la condanna dello spirito scientifico, "oggettivo", imperante nelle universit e nella filosofia universitaria. Anche qui nulla di veramente nuovo per noi, dice Nietzsche; questo suo atteggiamento contro la "scienza" comune a tutti, si pu affermare, i pessimisti, da Pascal a Michelstaedter, come comune a tutti i mistici e i pessimisti si potrebbero definire i mistici della ragione e della moralit, della ragione come moralit. (...). Per paura, per pigrizia, per mancanza di veridicit verso se

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eia le linee della propria autointerpretazione, o almeno, i suoi princpi fondamentali. Dice infatti che tutti i suoi scritti vanno retrodatati con una eccezione, unica e essenziale: Also sprach Zarathustra fCos parl Zarathustra^ (1883-1885), che quindi occupa un posto, non centrale, ma dichiaratamente unico, eccezionale, come evento fondatore di differenza fra il gi adempiuto e il non ancora compiuto: Zarathustra non centro ma fine del tempo, dell'opera; limite. Sembra allora possibile tracciare una linea di demarcazione fra un primo e un secondo Nietzsche, e non nel senso della periodizzazione problema connesso e che si affronter fra breve ma nel senso, per ora incerto e da definire, di una cronologia della decadenza, di un tempo del superamento e dell'interpretazione: il primo Nietzsche autore, il secondo Nietzsche interprete. Questa cronologia lacerata apparentemente mutua dal modello di totalizzazione temporale cristiano-occidentale il suo fondamentalismo, il prima e il dopo. Il primo Nietzsche sarebbe il Nietzsche di prima dello Zarathustra, // secondo Nietzsche il Nietzsche delle opere successive. In realt il suo fondamento sembra essere la forma dell'interpretazione, il rapporto tra testo finito e il carattere infinito dell'interpretazione, la contraddizione, la figura doppia dell'interpretare. L'ipotesi di autointerpretazione quindi legata al significato temporale, cronologico dello Zarathustra. Che cosa produce l "essere-fine dello Zarathustra, /'/ suo essere il limite del testo, la sua eccezionalit e unicit, se interpretato come semplice centralit? Semplicemente una scissione, una separazione tra un primo e un secondo periodo, il concetto di una svolta che non spiega in nessun modo come tutti gli scrittori nietzscheani siano da retrodatare tranne uno solo. Gli scrittori successivi allo Zarathustra sono cio omologhi agli scrtti precedenti, almeno nella loro determinazione temporale. Il problema allora quello di una figura doppia in cui da un lato sembrano porsi tutti gli scritti nietzscheani e all'altro lo Zarathustra. L'ipotesi della periodizzazione interna in due momenti, prima e dopo lo Zarathustra, non rende ragione di questo doppio perch produce una distinzione in periodi degli scritti e sembra cancellare le linee genealogiche dell'autointerpretazione. Il tema da cui si partiti il dominio del principio genealogico: esso non si radica nel dualismo temporale del prima e del dopo, ma ne rappresenta il superamento. La divisione del corpus nietzscheano in due tempi e in due spazi tematici impossibile in un modello genealogico di interpretazione. Cade qui l'esigenza di considerare nel suo complesso il problema della periodizzazione esteriore, storico-critica1.
stessi, gli uomini fabbricano le loro case in provvisorio. L'uomo vero, il filosofo, l'eroe (il superuomo, il solo uomo, chi crea in s l'uomo, l'individuo) dunque chi sia perfettamente, crudelmente veridico verso se stesso, chi sveli volta per volta la provvisoriet delle sue costruzioni, il non valore dell'attivit qualsiasi in cui mette la sua vita, per non mettere in essa la sua vita; chi svelando il non-valore della qualsiasi attivit in cui si trovi a mettere la sua vita, cos va in cerca, per questa via di negazione, del valore, del valore che sempre e per s valga: in una parola, il pessimista.y> (F. Nietzsche, Schopenhauer educatore, tr. it. di V. Arangio-Ruiz,
Perugia, 1915, pp. VHI-IX)].

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Epistolario di Friedrich Nietzsche, ed. it. diretta da O. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1977 e ss. O = Opere, ed. a cura di F. Masini, Roma, Newton Compton, 1977 ss. 1 Il problema della periodizzazione dell'opera di Nietzsche ha poco senso se viene posto al di fuori di una precisa interpretazione del significato di tutto il suo pensiero, come puro problema biografico. Qui si pu trovare la legittimazione di tutto un recente filone di letteratura

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Per ia periodizzazione delle opere di Nietzsche generalmente si rinvia al secondo capitolo di Nietzsches Philosophie der ewigen Wiederkehr des Gleichen di Karl Lowith2, interprete, insieme a Jaspers3, negli anni prima della seconda guerra mondiale, della filosofia nietzscheana. Lowith cerca le ragioni e il significato delle Prefazioni del 1886. In questi testi Nietzsche legittimerebbe la distinzione di tre periodi tematici o tempi fondamentali. Il primo periodo che possiamo chiamare precritico o sistematico comprende Die Geburt der Tragdie (La nascita della tragedia) (1872), Die Philosophie im tragischen Zeitalter der Griechen (La filosofia nell'et tragica dei Greci) (1873) e le Unzeitgemsse Betrachtungen (Considerazioni inattuali; (1873-1876). Il secondo periodo comprende Umano, troppo umano, Morgenrote (Aurora) (1881) e Die frhliche Wissenschaft (La gaia scienza) (1882). il periodo critico o illuminista, il periodo della chimica delle idee e dei sentimenti, e della critica della cultura. Il terzo periodo comprende lo Zarathustra, Jenseits von Gut und Bse (Al di l del bene e del male) (1886), Zur Genealogie der Moral (Per la genealogia della morale) (1887), Gtzen-Dmmerung (Crepuscolo degli idoli), Der Antichrist (L'anticristo), Ecce Homo, Nietzsche contra Wagner. la Umvertungszeit. 77 tempo della Experimental-Philosophie di Nietzsche scandito cos attraverso il passaggio da un periodo all'altro, da un momento all'altro, da una figura all'altra della soggettivit. Ai riferimenti testuali di Lowith che legittimerebbero questa periodizzazione (l'annotazione Der Weg zur Weissheit e il primo Discorso di Zarathustra, Von den drei Verwandlungen Delle tre metamorfosi) si pu aggiungere, con Masini, un frammento della primavera del 1884 per il Wille zur Macht, in cui lo stesso Nietzsche articola la dissoluzione della volont nella lezione prospettvistica (PerspektivenLehre) dello spirito libero, attraverso l'estatico passare della soggettivit dal Du sollst (Tu devi) del primo periodo, del tempo della comunit, al Ich will (Io voglio) del secondo periodo, tempo della solitudine, al Ich bin (Io sono) del terzo e ultimo periodo:
Tu devi obbedienza assoluta presso gli Stoici, negli ordini del Cristianesimo e degli Arabi, nella filosofia di Kant ( indifferente che si tratti di un superiore o di un concetto). Superiore al tu devi : Io voglio (gli eroi); superiore a io voglio io sono (gli di dei Greci)4.

Lo schema dei tre periodi generalmente accolto come il pi valido per un approccio sistematico al pensiero di Nietzsche, e certo lo schema ha lo scopo di comprendere e rappresentare l'evoluzione del pensiero nietzscheano e la sua stessa interpretazione. necessario, a questo punto, cercare un nesso, una relazione fra la periodizzazione critico-storica e l'autointerpretazione di Nietzsche cui abbiamo accennato. Eliminata perch improduttiva e metafisica l'ipotesi di una svolta pensata a partire dallo Zarathustra e fondata sull'eccezionalit dello scritto, ecnietzscheana, soprattutto francese, che, forse anche in nome di un antistoricismo di origine heideggeriana e strutturalista, trascura generalmente il problema dello svolgimento storico del pensiero di Nietzsche. Tuttavia, a noi pare che anche una lettura eminentemente "tematica" di Nietzsche non possa prescindere completamente dal proporre una ipotesi sull'effettivo concatenarsi e svolgersi delle sue tesi l'una dalla altra. G. Vattimo, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Milano, 1974, p. 92 n. 1 K. Lowith, Nietzsche Philosophie der ewigen Wiederkehr des Gleichen, Berlin, 1935. 3 K. Lowith, Nietzsche Philosophie der ewigen Wiederkehr des Gleichen, Berlin, 1935. 4 NF, KGA vii, 2, p. 101.

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cezionalit sulla quale si ritorner e che non sembra in grado di determinare una periodizzazione corretta, consideriamo pi da vicino l'ipotesi della successione dei tre periodi come prospettata da Lowith. Vediamo allora che la centralit dello Zarathustra rimane, ma che soltanto si sposta come spartiacque tra secondo e terzo periodo, tra il perodo critico e illuminista e il periodo cte/YTJmwertungszeit. A questi due periodi principali si antepone un primo periodo pre-critico, in qualche modo estraneo alla produzione centrata sullo Zarathustra, produzione matura nella quale, a vario grado di espressione, si possono rintracciare tutti i temi dominanti del pensiero nietzscheano: eterno, ritorno, nichilismo, Ubermensch, volont di potenza; temi che poi dominano, a loro volta, la critica nietzscheana, soprattutto la Nietzsche-Renaissance che data dagli anni Sessanta con la pubblicazione nel 1961 del Nietzsche di Heidegger (corsi universitari svolti tra il 1936 e il 1940) e nel 1964 dei primi volumi dell'edizione critica di Colli e Montinari. L'ipotesi di Lowith non rende ragione della figura doppia dell'autointerpretazione, in quanto l'eccezionalit dello Zarathustra vista come centralit periodizzante e in quanto tutti gli altri scritti sono distinti in tre gruppi in una prospettiva costruttivistica, totalizzante, dominata dal principio finalistico della messa in luce dei temi che sono fondamentali e ultimi a un tempo. Recentemente Vattimo ha gi posto il problema dell'equilibrio tra le opere di Nietzsche, a proposito della Gaia scienza5. Ma il problema si pone ancora di pi per le opere del cosiddetto primo periodo di cui fa parte Schopenhauer come educatore (1874). Ci sembra allora opportuno porre il problema della periodizzazione a partire dal concetto di retrodatazione che secondo Nietzsche riguarda tutti gli scritti tranne lo Zarathustra. L'unicit dello Zarathustra va allora interpretata al di fuori di ogni schema di temporalizzazione Nietzsche infatti ha parlato di unicit ed eccezionalit e non di centralit. Retrodatare un 'operazione ermeneutica: significa riferire l'opera a un tempo anteriore a quello in cui fu scritta e cio al tempo in cui un qualsiasi Factum o Factum proprio fu vissuto. Le opere infatti rappresentano ci che si gi superato, rappresentano per la conoscenza qualcosa di vissuto e di superato: I miei scritti parlano solo dei miei superamenti6. In tal senso retrodatare significa ricondurre all'origine l'interpretazione, fondarla genealogicamente. Retrodatare significa ancora la consapevolezza che le opere di Nietzsche sono state sempre dietro Nietzsche, che la sua
5 Sia l'interpretazione lukacsiana, sia quella nazista, sia quella di Heidegger pongono dunque al centro della loro attenzione-idee e dottrine sviluppate da Nietzsche nell'ultimo periodo della sua vita di pensatore, cio a partire da Cos parl Zarathustra. A ci si deve aggiungere che anche l'edizione crtica curata da Colli e Montinari tende a richiamare l'attenzione sugli scritti dell'ultimo periodo, giacch proprio questi, soprattutto i frammenti postumi che erano stati utilizzati dalla sorella di Nietzsche per comporre La volont di potenza, appaiono, dopo la messa a punto filologica, in una luce diversa e nuova. In tale situazione, rileggere La gaia scienza pu avere anzitutto il senso di un ristabilimento di equilibrio: mentre nelle opere dell'ultimo periodo, e nelle interpretazioni che ad esse principalmente si rifanno, la dottrina di Nietzsche si presenta spesso in uno stato di metafisica rarefazione, o tende a irrigidirsi in vere e proprie "tesi" ontologiche (...), qui esse si presentano ancora nel loro legame originario con gli aspetti "illuministici'' dell'opera di Nietzsche, con la sua riflessione di "moralista" e di critico della cultura. G. Vattimo, Introduzione a F. Nietzsche, La gaia scienza, tr. it. di F. Masini, Torino, 1979, pp. xn-xm. 6 UT JI, O, p. 7 (KGA, iv, 3, p. 3) (cfr. p. 216 nel n voi. di questa edizione).

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scrittura7 scrittura del superato, dell'oltrepassato: il primo Nietzsche allora l'autore, il secondo l'interprete di se stesso. Queste considerazioni sul problema della periodizzazione e del suo significato ci permettono un nuovo inquadramento della Terza Inattuale, inquadramento che particolarmente importante per stabilire il rapporto Nietzsche-Schopenhauer. Nella prefazione del 1886 qui considerata, Nietzsche retrodata la Terza Inattuale, la rimanda a un periodo anteriore al tempo in cui nacque La nascita della tragedia (1872).
Quando poi, nella terza Considerazione Inattuale, espressi il mio profondo rispetto per il mio primo e unico educatore, il grande Arthur Schopenhauer oggi lo manifesterei in termini ancora pi fervidi, e anche pi personali , ero per quanto mi concerneva, gi entro la scepsi e la dissoluzione moralistica, in una fase cio sia di critica che di approfondimento di ogni precedente pessimismo, e gi non credevo pi a nulla, come dice la gente, nemmeno a Schopenhauer8.

Questa retrodatazione ha un profondo significato perch fa risalire la venerazione di Schopenhauer a un tempo anteriore alla Nascita della tragedia in cui gi in un linguaggio non proprio s conduce una critica a Schopenhauer. Nietzsche con il modello della retrodatazione, sembra avere in qualche modo ribaltato lo schema cronologico, apparentemente contraddittorio: critica-venerazione nella successione genealogica: venerazione-critica. Va intanto dimostrato il superamento del pensiero di Schopenhauer gi nello scritto sulla tragedia. Quali i termini del superamento e della critica di Schopenhauer in Die Geburt der Tragdie? Una risposta la d lo stesso Nietzsche nel Versuch einer Selbstkritik ^Tentativo di autocritica^ (1886), prefazione alla terza edizione della Nascita della tragedia, uno dei testichiave dell'autointerpretazione di Nietzsche. I concetti di apparenza, di pessimismo e di volont rappresentano i versanti tematici sui quali si consuma la critica di Schopenhauer. Nel Versuch possibile rintracciare alcuni elementi di questa critica: essi risultano particolarmente importanti non solo per l'interpretazione della concezione nietzscheana del tragico, ma alla luce del modello genealogico e del criterio della retrodatazione anche per l'interpretazione del rapporto Nietzsche-Schopenhauer. Il concetto di apparenza e quello di pessimismo sono al centro del Versuch; nella Nascita della tragedia si annuncia un pessimismo "al di l del bene e del male", giunge a espressione e formulazione la perversit di sentimento ^Perversitt der Gesinnung/, contro cui si scaglia SchopenPer l'analisi della scrittura nietzscheana rinviamo al libro di Ferruccio Masini Lo scriba del caos. In particolare per l'analisi della scrittura di Also sprach Zarathustra rinviamo al capitolo I "campi di significato" del Cos parl Zarathustra (2 della Parte terza: Metafore della danza), in cui la scrittura dello Zarathustra, definita metasemantica o totale, nel senso che le parole rinviano al di l di se stesse, a quell'orizzonte in cui l'articolazione ritmica della tensione espressiva stabilisce la misura di una totalit rispetto alla quale chi parla, cio chi pronuncia quella totalit, lo fa nella maniera involontaria, "necessaria" di chi, invero, da quella totalit "posseduto", viene posta, nei suoi moduli retorico-stilistici, in relazione con la letteratura mistica preprotestante: Certi procedimenti retorici, tipici nella mistica (...) mirano a creare nello Zarathustra una sorta di ebbrezza ritmica in cui si costruisce un'architettura del periodo perfettamente commisurata alla linea ondulatoria-circolare di quel dialogo dell'anima con se stessa [parlare per Nietzsche un interrogarsi] (lo Zarathustra in fondo l'autoconfessione tragico-estetica di un solitario) che caratteristico della letteratura mistica. F. Masini, Lo scriba del caos. Interpretazione di Nietzsche, Bologna J978, p. 256 e pp. 275-276. Il saggio apparve nella sua originaria versione nelle Nietzsche-Studien, 1973, 2. 8 UT li, O, pp. 7-8 (KGA, iv, 3, p. 4) (cfr. pp. 216-7 nel u voi. di questa edizione). 9 La dissoluzione dell'etica del Du solisi era gi in atto fin dal tempo della Geburt der
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hauer nei Parerga e Paralipomena; si annuncia un pensiero che pone la morale nel mondo dell'apparenza, e, non solo fra le apparenze ^Erscheinungen) nel senso del terminus technicus idealistico, bens fra gli "inganni" fTaschungen^ come parvenza ^Schein^, illusione (V/ahn), errore flrrthum interpretazione fAusdeutungJ, accomodamento fZurechtmathungj e arte (Kunst/0. La Nascita della tragedia una controdottrina fX3egenlehre^, formula una controvalutazione della vita, anticristiana, dionisiaca. chiaro che, pur accettando la suggestione della retrodatazione, il criterio rigidamente cronologico in rapporto allo svolgimento storico del pensiero di Nietzsche ha una sua validit. Si tratta allora di comprendere il significato genealogico della retrodatazione, che cosa cio essa produce al livello interpretativo. Il criterio cronologico vede prima la critica, La nascita della tragedia (1872), poi la venerazione, Schopenhauer come educatore (1874), e poi ancora la critica, cio i Frammenti postumi del 1876-1878 e del 1878-1879; il criterio genealogico, retrodatando la in Inattuale, capovolge lo schema. L'anticipazione genealogica significa uno stravolgimento cfe/nnattuale, una autointerpretazione. in Ecce homo che Nietzsche traccia le linee di una interpretazione della in Considerazione Inattuale che egli ha sempre considerato con benevolenza, quasi con predilezione11: in Schopenhauer come educatore e in Richard Wagner a Bayreuth (1876) si presentano due immagini di egoismo e di autodisciplina, tipi inattuali par excellence (...) Schopenhauer e Wagner, ovvero, in una parola, Nietzsche...12. 11 significato genealogico della m Inattuale risiede nell'appropriazione di una semiotica per se stesso, di segni, strumenti linguistici di autodeterminazione. In modo simile Platone si servito di Socrate come di una semiotica (Semiotik> per Platone. ". L'appropriazione di s si compie attraverso l'appropriazione dell'altro, dell'opposto. In Schopenhauer come educatore dove infondo non si tratta di Schopenhauer ma del suo opposto fGegensatz>, Nietzsche inscritta la storia di Nietzsche, il suo divenire, il suo compito, il suo sentimento o senso della distanza fdas Distanz-Gefhl^ termine questo non del linguaggio delle Inattuali, ma successivo; d'altra parte, Nietzsche inevitabilmente accentua o rende pi coerenti certi aspetti della sua storia1*. L'appropriazione, attraverso l'opposto, di una semiotica per se stesso l'autointerpretazione del rapporto Nietzsche-Schopenhauer, momento di una interpretazione genealogica della propria opera. La critica di Schopenhauer, latente nella Nascita della tragedia e poi sistematicamente compiuta
Tragdie e anche nella seconda Unzeitgemsse questo pensiero costituiva una motivazione di fondo (...). Una Perversit! der Gesinnung posta alla base nella prefazione del 1886 alla Geburt der Tragdie del pessimismo nietzscheano (...). Il dio della Nascita della tragedia un dio artista, "gnzlich unbedenklicher und unmoralischer Kunst-Gott"', che ad una teodicea di tipo cartesiano (la veracitas Dei) o comunque di tipo cristiano, e quindi ad una interpretazione "morale" dell'esistenza oppone una redenzione tragico-estetica del negativo (...). In questa prospettiva, che tende a trasferire il problema della giustificazione dell'esistenza in una sfera extramorale, devono collocarsi anche altri scritti del primo periodo come la Vorrede sulla "gara omerica" (1872) e il saggio Ober Wahrheit und Lge im aussermoralischen Sinne (1873). F. Masini, Alchimia degli estremi, Parma, 1967, p. 125, ora in Lo scriba del caos, op. cit. pp. 151-152. 10 NT, pp. 120-1 (KGA, HI, 1, p. 12). " OFN ni, 1, p. 466 {Notizie e note). 12 EH.O, p. 81 (KGA, vi, 3, p. 315) (cfr. p. 870 nel ti voi. di questa edizione). 13 EH, O, p. 84 (KGA, vi, 3, p. 318) (cfr. p. 872 nel n voi. di questa edizione). 14 G. Morel, Nietzsche, i, Paris, 1970, p. 93.

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fino ai frammenti del 1876-78 e 1878-79, viene allora a congiungersi con lo scritto del 1874 che rappresenta l'origine, punto genealogico di una interpretazione dei propri segni. Sembra cos cadere la tesi di una conversione del primo Nietzsche a Schopenhauer e di un successivo rinnegamento di Nietzsche, e farsi strada la tesi di un rapporto semiologico fra Nietzsche e Schopenhauer dove Schopenhauer segno, e segno e nel senso dell'opposto di Nietzsche, e nel senso efe//'annunciatore e nel senso di immagine del filosofo. La scoperta di Schopenhauer si fa risalire all'inverno 1865-1866 trascorso a Lipsia, dove Nietzsche segu il filologo Ritschl. Non si hanno documenti epistolari che commentino direttamente questo avvenimento. In una lettera dell'll luglio 1866 all'amico Hermann Mushacke, Nietzsche scrive: da quando Schopenhauer ci ha tolto dagli occhi le bende dell'ottimismo, lo sguardo si fatto pi acuto. La vita pi interessante, sebbene pi brutta15. E in una pagina dello scritto autobiografico postumo Sguardo retrospettivo sui due anni trascorsi a Lipsia;
... ogni riga [del Mondo come volont e rappresentazione] ... gridava rinuncia, negazione, rassegnazione; qui vedevo uno specchio nel quale potevo scorgere il mondo, la vita, il mio animo in una grandiosit terribile. Qui mi contemplava l'occhio disinteressato dell'arte, qui vedevo la malattia e la guarigione, la messa al bando e il rifugio, l'inferno e il paradiso. Fui violentemente afferrato dal bisogno d autoconoscenza, anzi di autocorrosione .

Altro documento della scoperta di Schopenhauer e del significato del suo pensiero una lettera della fine dell'agosto del 1866 a Cari von Gersdorff:
Infine merita d'essere ricordato anche Schopenhauer, al quale sono legato ancora con tutta la mia simpatia. Ci che egli rappresenta per noi, l'ho capito con molta chiarezza soltanto di recente, grazie a un altro scritto, eccellente nel suo genere e molto istruttivo: Storia del materialismo e critica del suo significato per il presente di A. Lange, 1866. Siamo di fronte qui a uno studioso di Kant e della natura profondamente illuminato. Le sue conclusioni sono riassunte nelle tre seguenti proposizioni: 1. il mondo dei sensi il prodotto della nostra organizzazione. 2. i nostri organi visibili (corporei) sono, cos, come tutte le altre parti del mondo dell'apparenza, soltanto immagini di un oggetto sconosciuto. 3. la nostra organizzazione vera e propria rimane quindi per noi sconosciuta, cos come gli oggetti reali al di fuori di noi. Noi abbiamo davanti, sempre e unicamente, il prodotto di entrambi. Non soltanto la vera essenza delle cose, la cosa in s, ci sconosciuta, bens anche il concetto di questa n pi n meno che l'ultimo prodotto di un principio opposto condizionato alla nostra organizzazione del quale non sappiamo se abbia un qualche significato al di fuori della nostra esperienza. Di conseguenza, pensa Lange, si lascino liberi i filosofi, premesso che questi d'ora innanzi ci elevino. L'arte libera, anche nella sfera dei concetti... . Come vedi, persino attenendoci a questo rigidissimo principio critico ci rimane sempre il nostro Schopenhauer, anzi egli diventa per noi quasi qualcosa di pi ...; se la filosofia ha il compito di elevare, allora non conosco nemmeno un filosofo che elevi pi del nostro Schopenhauer17.

Attraverso Schopenhauer e Lange, Nietzsche incontra la tradizione kantiana; nel 1868 conosce il Kant di Kuno Fischer, divenendo cos per lui di un 'evidenza accecante che la metafisica stata per sempre privata, alle radici, delle sue pretese scientifiche16.
Il regno della metafisica, e con esso l'area della verit assoluta, stato innegabilmente inserito in un'unica categoria insieme con la religione e la poesia. Chi vuole conoscere qualco15 E, i, p. 441. 16 E, i, pp. 706-707. 17 E, 1, pp. 462-463. 18

G. Morel, op. cit., p. 55.

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sa, si limita ora a una conoscenza della cui relativit egli stesso consapevole .... Per alcuni la metafisica appartiene dunque alla sfera dei bisogni dell'animo, essenzialmente edificazione. Per altro verso essa arte, quella cio della poesia concettuale. Una cosa certa per: la metafisica, sia come religione che come arte, non ha nulla a che vedere con il cosiddetto vero o essere in s19.

Kant considerato un precursore di Schopenhauer10: rivel come lo spazio, il tempo e la causalit servissero solo ad elevare la semplice apparenza fErscheinung) a unica realt, ponendola al posto della vera essenza delle cose, e a rendere cos impossibile la conoscenza di quest'ultima, cio secondo un'espressione di Schopenhauer, ad addormentare ancra di pi il sognatore21. La centralit tragica della tesi fenomenologica kantiana ritorna anche nella in Inattuale: Nietzsche cita una famosa lettera di Kleist, il poeta del Principe di Homburg e del Teatro delle marionette, il poeta travolto dal disperare della verit ^Verzweiflung an der Wahrheit):
Poco tempo fa ho conosciuto la recente cosiddetta filosofia kantiana e ora ti devo far partecipe di un pensiero, poich non temo che ti possa scuotere cos profondamente e dolorosamente, come stato per me .... Se tutti gli uomini al posto degli occhi avessero vetri verdi, dovrebbero giudicare che gli oggetti visti attraverso di essi sono verdi e non potrebbero mai decidere se l'occhio mostri loro le cose come sono o non aggiunga ad esse qualche cosa che non appartiene a loro, ma all'occhio. Lo stesso avviene per l'intelletto. Noi non possiamo decidere se ci che chiamiamo verit sia veramente verit o soltanto cos ci appaia .

// disperare della verit, l'isolamento f'Vereinsamung) e l'indurimento morale o intellettuale r'Verhrtung, im Sittlichen oder im intellectu elleno rappresentano dopo Kant i pericoli della costituzione che, con i pericoli del tempo, minacciano ogni formazione filosofica e spirituale. Nietzsche pone in tal modo il problema della visibilit ^Sichtbarkeit^ e dell'unicit del filosofo, termini che rimandano alla visibilit di Zarathustra. La generazione del filosofo in noi e fuori di noi il compito della cultura. La generazione del filosofo, la generazione dell'uomo liberatore un 'anticipazione genealogica di Zarathustra. Morel segnala un inedito del tempo della ni Inattuale in cui c' un oscuro presentimento del problema fondamentale che porter un giorno il nome di eterno ritorno23: Questo filosofo deve (...) rinascere ancora infinite volte ^Dieser Philosoph muss (...) noe unendliche Male wiedergeboren werden>. Con la sua fragile apparizione in Schopenhauer niente ancora veramente avvenuto24. Anticipazione dello Zarathustra e presentimento dell'eterno ritorno dell'eguale rappresentano possibili linee interpretative, tuttavia ancora legate, teleotogicamente, alla Umwertungszeit, alla tesi della trasvalutazione. Qua! allora la versione del valore, la sua figura particolare nella m Considerazione Inattuale, vista come testo compiuto, pur nel suoi rapporti genealogici con i testi nietzscheani sul valore e sulla inversione dei valori? Il problema del valore posto nei termini della questione metafisica del senso dell'esistenza.
" E, i, pp. 575-576. O. Reboul, Nietzsche critique de Kant, Paris, 1974, p. 7. NT, p. 167 (KGA, ni, 1, p. 114). H. v Kleist, Smtliche Werke und Briefe, hrsg. von H. Sembdner, Miinchen, 1961, II, p. 634 (An Wilhelmine von Zeuge, Berlin, den 22. Mrz 1801). Sul rapporto Kleist-Kant cfr. E. Cassirer, Heinrich von Kleist und die Kantische Philosophie, in Idee und Gestalt, Darmstadt, 1975 (reprint della u ediz., Berlin, 1924), pp. 158-202. 23 G. Morel, op. cit., p. 92. 24 F. Nietzsche, Werke, ed. Naumann, 1903, t. x, p. 319, 86.
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Immaginiamoci l'occhio del filosofo indugiare sull'esistenza: egli vuole stabilirne di nuovo il valore; che valore ha in assoluto l'esistenza?2$. Quale la risposta di Schopenhauer? La risposta di Empedocle. Nella Gaia scienza (1882) Nietzsche invece dir che la risposta di Schopenhauer fu soltanto un accomodamento, un arrestarsi alla prospettiva ascetico-cristiana:
Mentre respingiamo in tal modo da noi l'interpretazione cristiana, condannandone il senso come un'opera di falsari, ecco che subito ci si viene avvicinando, spaventosamente, il quesito di Schopenhauer: ha dunque l'esistenza in generale un senso? quel quesito che soltanto per essere compreso e sentito in tutta la sua profondit avr bisogno di un paio di secoli. Quel che lo stesso Schopenhauer ha risposto a tale quesito fu mi sia concesso dirlo qualcosa di prematuro, di giovanile; fu soltanto un accomodamento, un arrestarsi e un arenarsi proprio in quelle prospettive ascetico-cristiane, alla fede nelle quali era stato dato il ben servito insieme alla fede in Dio...2*.

Nei paragrafi 4, 5 e 6 della in Inattuale si configura, nelle sue linee essenziali, una versione del valore, in certa misura autonoma della teorizzazione e della comprensione ulteriori del valore quale problema fondamentale del nichilismo. Il problema del valore sembra posto nei termini della questione metafisica del senso dell'esistenza. La relazione di valore e senso, come corrispondenza classica che conduce a una traduzione immediata del luogo dell'in-s nel luogo del per-s, sembra connotare di una valenza esistenzialistica questo testo nietzscheano. Anche il concetto di unicit, di individuazione la proposizione svelata dall'artista individualista che scopre e demistifica l'infinit cattiva della norma, dell'adattabilit (Bequemlichkeity secondo cui ogni uomo un miracolo irripetibile21 sembra giustificare una interpretazione esistenzialistica, dove l'unicit appare come un carattere esistenziale. In realt senso dell'esistenza e unicit dell'esistenza rimandano a una versione del valore, in qualche modo pre-nichilista, e, comunque, originaria, nella quale giocano un ruolo determinante i concetti di umano, di natura e di cultura. Nietzsche vuole cogliere il rapporto che lega il filosofo specie d'uomo la cui teleologia transpolitica^, e la cultura totalit considerata, a sua volta, nella sua transpoliticit e indipendenza dallo stato: il rapporto si definisce come sensibilit della malattia, consapevolezza della distruzione, coscienza della crisi. I sintomi della malattia generale, gli elementi della crisi sono la retrocessione della religione, la dissoluzione scientifica della tradizione e della credenza, l'economia del denaro. Tutto serve alla barbarie ventura, comprese l'arte e la scienza attuali29. L'immagine della crisi il disgelo. Il moto devastatore storico e mette capo alla rivoluzione atomistica, al caos atomistico, cio alla distruzione delle parti elementari e invisibili della societ umana. La devastazione micrologica cominciata con la crisi delle unit storicopolitiche e culturali del medioevo, con la crisi storica dell'umano. La sepaSE, O, pp. 51-52 (KGA, in, 1, p. 356) (cfr. pp. 412-3 in questo voi.). OFN, v, 2, pp. 229-230 (KGA, v, 2, pp. 282-283). SE, O, p. 33 (KGA, HI, 1, p. 333) (cfr. p. 400 in questo voi.). Ogni filosofia che creda rimandato e risolto il problema della esistenza da un avvenimento politico una filosofia da farsa o una pseudofilosofia. SE, O, p. 55 (KGA, ni, 1, p. 29 (c.n.) (cfr. p. 414 in questo voi.). 361) SE, O, p. 56 (KGA, in, 1, p. 362) (cfr. p. 415 in questo voi.).
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razione ^Scheidung> atomistica, la disgregazione dell'umano, dell'umanit (Menschlichkeit) il moto di decadenza che dall 'immagine fBild^ dell'uomo conduce all'immagine cfe//'animalit e della meccanicit. Contro tale decadenza la cultura moderna ha eretto tre immagini dell'uomo: l'uomo di Rousseau, l'uomo di Goethe, l'uomo di Schopenhauer. Attraverso i principi di antropologie filosofiche fortemente opposte, possiamo cogliere le linee della visione nietzscheana dell'umano, nella sua figura doppia: la critica di un antropologismo illuministico e naturalistico, la decostruzione di un umanismo della conoscenza e della coscienza, e, attraverso la tesi schopenhaueriana della vita eroica, la formulazione di un umanismo dei non-pi-animali ^Nicht-mehr-Thiere^, di un umanismo geniale. L'uomo di Rousseau la coscienza socialista per la quale solo l'uomo naturale fnatrliche Menscty umano, /'uomo attivo. L'uomo di Goethe /'uomo contemplativo: un'interpretazione del Faust che mette capo all'immagine goethiana dell'umano; Faust pu apparire come il vero genio del rivolgimento, come ribelle e liberatore, immagine, a sua volta, dell'immagine rousseauiana dell'uomo attivo. In realt Faust, il liberatore del mondo, soltanto l'immagine del viaggiatore che attraversa le epoche passate, le arti, le mitologie, le scienze; l'immagine del desiderio; una forza conservatrice e tollerante che non rovescer mai alcun ordine fOrdnung^. La degenerazione dell'uomo attivo il catilinario; quella dell'uomo contemplativo il filisteo si scopre qui, in qualche modo, la genealogia del filisteismo, fondamento della critica di tutte le Inattuali. L'uomo schopenhaueriano assume su di s il volontario soffrire della veridicit.30 Attraverso il dolore per la professione di verit contro il filisteismo l'uomo eroico vince la volont individuale, preparando il rovesciamento fUmwlzung) e la conversione (UmkhTung) della propria esistenza. Questo movimento, questa trasvalutazione dell'umano anticipazione genealogica del movimento di fuga dal centro, dall'io come soggetto grammaticale e finzione, "come se osserva ancora Nietzsche molti stati simili in noi fossero l'effetto di un unico substrato": allo stesso modo con cui il mondo "questo abissale, ricco mare", questo mondo "non divino, non morale, non umano", questo mondo, "crudele, contraddittorio, carico di seduzioni e senza senso" un mondo prospettico, un mondo per l'occhio11. Alle tre immagini (classiche) dell'uomo, Nietzsche oppone in questa Inattuale solo in via negativa e storico-monumentale (elogio di Schopenhauer) una quarta immagine: "il quarto uomo" (...) l'uomo con la "perdita del centro" (...). L'uomo senza contenuto morale e filosofico, che vive per i principi della forma e dell'espressione32. Il movimento, iniziato dal rovesciamento e dalla conversione dell'uomo schopenhaueriano nel quarto uomo nietzscheano, non nasce da una decisione individuale, da una metnoia del singolo; vuole una preparazione di generazione13. il problema della differenza fra lo spirito libero fFreiSE, O, p. 60 {KGA, ni, 1, p. 367) (cfr. p. 417 ih questo voi.). " F. Masini, Lo scriba del caos, op. cit. p. 313. G. Benn, Nietzsche-Nach funfzig Jahren, (Essays Reden Vortrg), in Gesammelte Werke in vier Bnden, hrsg. von D. Wellershoff, Wiesbaden, 1958-1963, i, p. 493. 33 G. Vattimo, Tramonto del soggetto e problema della testimonianza, in La testimo32 30

NIETZSCHE E SCHOPENHAUER... INTRODUZIONE DI GIULIO RAIO

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geist> che pi vicino all'uomo eroico, alla matrice schopenhaueriana, e /'oltreuomo fUbermenscty la cui posizione filosofica presuppone il superamento dell'orizzonte del soggetto borghese-cristiano e del dominio logico della coscienza. La versione inattuale del valore abbiamo detto si forma come schema dei concetti-chiave di uomo, d natura e di cultura. Per comprendere l'impostazione nietzscheana, il concetto di uomo come problema dell'umano e anticipazione del problema tfe//'oltre-umano va decostruita in senso antiumanistico o pre-antiumanistico attraverso la messa in luce del significato della natura e della cultura per l'immagine dell'uomo (schopenhaueriano prima, nietzscheano poi). Partendo dalla possibile obiezione all'uomo schopenhaueriano della condizione in termini goethiani limitata dell'uomo, della sua destinazione alla comunit politica che contrasta con l'immagine dell'uomo di Schopenhauer, capace soltanto di porci al di fuori di noi e della comunit degli uomini attivi, Nietzsche tematizza la differenza fra la condizione animale e la condizione umana.* la vita attiva Fortsetzung der Thierheit, continuazione dell'animalit, opposizione-educazione alla rovescia alla disposizione metafisica rmetaphysische Anlage^, alla riflessione (TesinnungA L'immagine dell'uomo di Schopenhauer allora l'immagine del non-pi-animale, un'immagine negativa (il filosofo, l'artista, il santo), antiumanistica, nel senso della dissoluzione della coppia metafisica uomo attivo-uomo contemplativo, classica composizione dei principi tradizionali dell'etica e della gnoseologia. La determinazione pi specifica della antropologia schopenahueriana semiotica per l'antropologia nietzscheana, orientata in senso antiumaniustico il legame con una teoria della natura, con una teleologia della natura, con un 'estetica della natura che realizza la propria destinazione: all'apparire dei non-piJ-animali la natura comprende che deve disimparare ad avere mte, e che ha giocato troppo alto il gioco della vita e del divenire34; esprime allora, nella sua bellezza termine di autovalutazione e autoconoscenza della natura, la grande illuminazione ^Aufklrung^ sull'esistenza. Questa concezione del rapporto uomo-natura apollineo-goethiana secondo la definizione di Thomas MannS. Il suo significato nietzscheano sta nel carattere antiumanistico e antisoggettivistico della generazione del filosofo, dell'artista e del santo. La generazione dell'uomo liberatore non soltanto il mezzo attraverso cui si attua la destinazione estetico-conoscitiva della natura, ma soprattutto crisi del soggetto, generazione del quarto uomo, decostruzione dell'io.
Non c' dubbio, tutti noi siamo affini e legati col santo cos come lo siamo col filosofo e coll'artista; vi sono momenti, e quasi scintille del pi limpido amoroso fuoco, alla cui luce non intendiamo pi la parola io; al di l del nostro essere (jenseits unseres Wesens) c' qualcosa che in quei momenti diventa al di qua (Diesseits) e perci dal pi profondo del cuore noi bramiamo il ponte tra qui e l (den Brucken zwischen hier und dort)u.

La generazione continua, sempre nuova, il compito della cultura. La


nianza. Atti del Convegno indetto dal Centro internazionale di Studi umanistici e dall'Istituto di Studi filosofici, a cura di E. Castelli, Roma, 1972, p. 136. 34 SE, O, p. 67 (KGA, tu, 1, p. 376) (cfr. p. 421 in questo voi.). 35 Th. Mann, Adeldes Geistes. Sechzehn Versuche zum Problem der Humantt, Stockholmer Gesamtausgabe der Werke con Th. M., Stockholm, 1948 (Schopenhauer, pp. 329-387). 36 SE, O, p. 69 (KGA, m, I, pp. 378-379) (cfr. p. 422 in questo voi.).

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concezione della cultura, con /'umano e la natura il terzo elemento nietzscheano-schopenhaueriano di quella che abbiamo chiamato versione inattuale del valore, per indicare lo stato autonomo di elaborazione di una teoria del valore del tempo delle Inattuali. In antitesi a un'idea di cultura come formazione di uomini correnti, come Stato di cultura, come manierismo e formalismo, e come scientismo, Nietzsche elabora in Schopenhauer come educatore un concetto metafisico, esistenziale di cultura. La cultura figlia dell'autoconoscenza del singolo e dell'insoddisfazione di s.
Colui che le si riconosce devoto, si esprime cos: sopra di me vedo qualcosa di pi elevato e pi umano (etwas Hheres und Menschlicheres) di quanto io stesso sono, aiutatemi tutti a raggiungerlo, cos come io voglio aiutare chiunque conosca le stessa cosa e ugualmente ne soffra: affinch finalmente risorga l'uomo che sente se stesso pieno e infinito nel conoscere e nell'amare, nel contemplare e nel potere, e che in tutta la sua totalit si affida e confida nella natura, come giudice e misura del valore delle cose (Werthmesser der Ding)vP.

La centralit del soggetto viene in un certo senso riaffermata nella definizione preplatonica dell'umano come misura del valore; tuttavia il significato antisoggettivistico e antiumanistico del pensiero inattuale racchiuso, ancor pi profondamente che nella destinazione estetico-conoscitiva dei non-pi-animali, nella metafisicit della cultura, nel desiderio di guardare oltre s e cercare con tutte le energie un se stesso superiore, ancora nascosto da qualche parte1*'. La ricerca del rapporto fra il filosofo uomo impolitico e ia cultura totalit infinita e non politica sfocia, nel paragrafo 8, ultimo della ni Inattuale, nella contrapposizione tra stato e filosofia, che sviluppa una teoria catastrofica19 dei rapporti tra stato moderno e filosofia, dove lo stato moderno, come il sovrano medievale che, per essere incoronato, all'occorrenza nominava un antipapa fGegenpapst), nomina per essere legittimato, un 'antifilosofia fGegenphilosophie>, e dove la filosofia, quando appunto non antifilosofia, un tribunale superiore, giudice della cultura che la circonda.
GIULIO RAIO

SE, O, p. 71 (KGA, in, 1, p. 381) (c.n.) (cfr p. 424 in questo voi.). SE, O, p. 71 (KGA, in, 1, p. 381) (cfr. p. 42 in questo voi.). Ma alla fine a che ci serve l'esistenza di uno Stato, l'incremento dele universit, se innanzitutto in gioco l'esistenza della filosofia sulla terra! SE, O, p. 102 (KGA\ ni, 1, p. 421) (cfr. p. 446 in questo voi.).

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1. Un viaggiatore che aveva visto molti paesi e popoli e pi continenti, interrogato su quale qualit degli uomini avesse ovunque ritrovato rispose: essi sono inclini alla pigrizia. A molti parr che, pi giustamente e pi validamente, avrebbe potuto dire: sono tutti pavidi. Si nascondono dietro costumi e opinioni. Ogni uomo, in fondo, sa bene di essere al mondo solo per una volta, come un unicum, e che nessun caso, per quanto straordinario, riuscir una seconda volta a mescolare insieme quella molteplicit cos eccentricamente variopinta nell'unit che egli ; questo l'uomo lo sa, ma lo nasconde come una cattiva coscienza perch? Per paura del prossimo che esige la convenzione e in essa si nasconde. Ma cosa costringe il singolo a temere il prossimo, a pensare e agire come il gregge, a non essere lieto di se stesso? Per alcuni, ma sono rari, forse il pudore. Per la grande maggioranza poltroneria, indolenza, in breve quell'inclinazione alla pigrizia di cui il viaggiatore parlava. Egli ha ragione: gli uomini ancor prima che pavidi sono pigri e soprattutto temono gli incomodi che procurerebbe loro una nudit e una sincerit incondizionata. Soltanto gli artisti odiano questo indolente incedere ostentando maniere d'accatto e opinioni posticce e svelano il segreto, la cattiva coscienza di ognuno, il principio cio che ogni uomo un miracolo irripetibile; essi soltanto osano mostrarci l'uomo nella sua peculiarit e unicit fin nel pi piccolo movimento muscolare e, ancor pi, osano mostrarci come, in questa rigorosa coerenza della sua unicit, bello e degno di osservazione, nuovo e incredibile come ogni opera della natura, e niente affatto noioso. Il grande pensatore che disprezza gli uomini, ne disprezza la pigrizia: poich a causa di questa essi appaiono simili a prodotti di fabbrica, indifferenti, indegni di contatti e di ammaestramenti. L'uomo che non voglia far parte della massa non ha che da smettere di essere accomodante con se stesso; segua piuttosto la propria coscienza che gli grida: sii te stesso! Tu non sei certo ci che fai, pensi e desideri ora. Ogni giovane anima sente giorno e notte questo appello e ne trema; infatti presagisce, rivolgendo il pensiero alla sua reale liberazione, la misura di felicit destinatale dall'eternit; felicit che non riuscir mai a raggiungere se incatenata dalle opinioni e dalla paura. E quanto assurda e desolata pu divenire l'esistenza senza questa liberazione! Nella natura non c' creatura pi vuota e ripugnante dell'uomo che sfuggito al suo genio e ora volge di soppiatto lo sguardo a destra e a sinistra, indietro e ovunque. Un tale uomo alla fine non lo si pu neppure attaccare: solo esteriorit senza nucleo, un marcio costume, pitturato e rigonfio, un fantasma agghindato che non pu ispirare paura e tanto meno compassione. E se a ragione si dice del pigro che ammazza il tempo, allora ci si deve preoccupare sul serio che un tempo che pone la propria salvezza nelle opinioni pubbliche, e cio nelle pigrizie private, sia ucciso una buona volta: venga, intendo dire, can-

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celiato dalla storia della vera liberazione della vita. Con quanta ripugnanza si occuperanno le generazioni future dell'eredit di un'epoca in cui a governare non erano uomini viventi ma parvenze di uomini con un'opinione pubblica; per questo forse la nostra epoca apparir a una qualche lontana posterit il periodo della storia pi oscuro e pi ignoto perch pi inumano. Vado per le nuove strade delle nostre citt e penso che di tutte queste orribili case, che la generazione dell'opinione pubblica si costruita, tra un secolo non rimarr nulla, e che saranno finalmente crollate anche le opinioni dei costruttori di tali case. Quante speranze debbono nutrire, invece, tutti coloro che non si sentono cittadini di questo tempo; se lo fossero, infatti, si adoprerebbero a uccidere il proprio tempo e a perdersi con esso mentre vogliono piuttosto ridestare alla vita il tempo per continuare essi stessi a vivere in questa vita. Ma anche se il futuro non ci lasciasse speranze la nostra straordinaria esistenza proprio nel suo ora ci d forza pi di ogni altra cosa a vivere secondo una legge e una misura nostra: quel qualcosa d'inesplicabile per cui noi viviamo, proprio oggi, pur avendo avuto il tempo infinito per nascere, per cui nuli'altro possediamo se non un oggi brevissimo e in esso dobbiamo mostrare perch e a che scopo siamo nati proprio ora. Noi siamo responsabili davanti a noi stessi della nostra esistenza; quindi vogliamo essere i veri timonieri di questa esistenza e non permettere che assomigli a pura accidentalit senza pensiero. Con essa bisogna saper trattare con audacia, esponendosi al rischio: tanto pi che, sia nel migliore che nel peggiore dei casi, la perderemo. Perch allora essere attaccati a questa zolla, a questo mestiere, perch drizzare le orecchie per sentire ci che dice il prossimo? cos provinciale sentirsi vincolati a opinioni che a distanza di qualche centinaio di miglia gi non sono pi vincolanti. Oriente e occidente sono segni di gesso che qualcuno traccia davanti ai nostri occhi per prendersi gioco della nostra pavidit. Voglio tentare di raggiungere la libert, si dice la giovane anima: ed ecco che dovrebbero impedirglielo due nazioni che per caso si odiano e si combattono, o un mare che divide due continenti, o il fatto che ovunque si insegna una religione che duemila anni fa ancora non esisteva. Tu non sei tutto questo, si dice la giovane anima. Nessuno pu costruirti il ponte sul quale tu devi attraversare il fiume della vita, nessuno se non tu stessa. Ci sono s infiniti sentieri e ponti e semidei pronti a portarti oltre il fiume; ma solo al prezzo di te stessa: tu daresti in pegno te stessa e ti perderesti. Nel mondo esiste una sola strada che nessuno, se non tu, pu percorrere: dove conduce? Non domandare, ma seguila! Di chi era la frase Mai uomo si innalza tanto come quando non sa dove pu condurlo la sua strada? Ma come possiamo ritrovare noi stessi? Come pu l'uomo conoscersi? una cosa oscura e velata; e se la lepre ha sette pelli l'uomo pu toglierne sette volte settanta e neppure allora potr dire: questo ora sei realmente tu, non pi scorza. Inoltre, scavare se stessi in questo modo e sprofondare cos per la via pi diretta nel pozzo della propria esistenza, un inizio tormentoso e azzardato. Con che facilit ci si possono produrre cosi delle ferite che nessun medico pu sanare. E per giunta: a che scopo ci sarebbe necessario, quando tutto testimonia del nostro essere: le nostre amicizie e le nostre inimicizie, il nostro sguardo, la nostra stretta di mano, la nostra memoria e ci che dimentichiamo, i nostri libri e i tratti della nostra penna. Ma ecco il mezzo per realizzare l'interrogatorio pi importante. Guardi la giovane anima indietro nella propria vita, e si chieda: che cosa hai veramente amato finora, che cosa ha attratto la tua anima, che cosa l'ha domi-

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nata e allo stesso tempo resa felice? Allinea davanti a te questi venerati oggetti ed essi, forse, con il loro essere e la loro successione, ti daranno una legge, la legge fondamentale di te stesso. Confronta questi oggetti e osserva come l'uno completi l'altro, lo ampli, lo superi e lo trasfiguri fino a formare una scala su cui tu finora ti sei arrampicato alla conquista di te stesso; la tua vera essenza infatti non sta profondamente celata dentro di te, ma smisuratamente al di sopra di te o, almeno, al di sopra di ci che tu sei solito considerare il tuo io. I tuoi veri educatori e formatori ti svelano il senso originario e la materia fondamentale del tuo essere, qualcosa che non si pu assolutamente educare n formare, ma in ogni caso di difficile accesso, perch legato, paralizzato: i tuoi educatori non possono essere nient'altro che i tuoi liberatori. E questo il segreto di ogni formazione: essa non d membra artificiali, nasi di cera, occhi occhialuti doni che solo la falsa immagine dell'educazione pu dare. Essa vera liberazione, rimozione di tutte le erbacce, rifiuti e parassiti che minacciano i delicati semi delle piante, emanazione di luce e di calore, tenero scroscio di pioggia notturna, essa imitazione e venerazione della natura, quando questa si mostra materna e misericordiosa, e ne perfezionamento, quando ne previene gli attacchi terribili e spietati volgendoli al bene, quando stende un velo sulle manifestazioni del suo animo matrigno e della sua triste follia. Certo esistono altri mezzi per ritrovarsi, per rinvenire dall'intontimento in cui, come in una fosca nube, si vive normalmente: io per non conosco nulla di meglio che ricordarsi dei propri educatori e formatori. Pertanto oggi voglio essere memore di quell'educatore e maestro severo, del quale posso vantarmi, che fu Arthur Schopenhauer, per ricordarne, in seguito, altri.
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Per descrivere quale avvenimento fu per me il primo sguardo gettato agli scritti di Schopenhauer mi sia concesso soffermarmi su un'immagine che, nella mia giovent, fu frequente e insistente come nessun'altra. Quando un tempo mi abbandonavo, a mio piacimento, ai desideri, pensavo che il destino mi avrebbe esonerato dalla tremenda fatica e dal dovere di autoeducarmi purch trovassi, al momento giusto, un filosofo come educatore, un vero filosofo, a cui si potesse ubbidire senza ulteriori ripensamenti, perch si sarebbe riposta in lui una fiducia pi grande di quella in se stessi. Cos mi chiedevo: quali saranno mai i princpi secondo cui ti educher? e riflettevo su che cosa avrebbe detto circa le due massime dell'educazione che sono in voga nel nostro tempo. La prima richiede che l'educatore riconosca subito la forza precipua dei suoi allievi e, quindi, indirizzi tutte le energie e tutte le linfe, e ogni raggio di sole proprio in quella direzione, per aiutare quell'unica virt a raggiungere la giusta maturazione e fecondit. La seconda massima, invece, richiede che l'educatore faccia crescere tutte le forze a disposizione, le curi e le porti a un rapporto armonico tra loro. Ma per questo si dovrebbe forse costringere alla musica chi ha una spiccata attitudine all'arte dell'orafo? Si deve dunque dare ragione al padre di Benvenuto Cellini che affliggeva di continuo il figlio con il lascivissimo cornetto che il figlio chiamava quel maledetto sonare? Nel caso di attitudini s forti e che si manifestano decisamente non si pu considerare giusto questo tipo di educazione; e forse allora quella massima dell'educazione armonica sar da applicarsi alle nature pi deboli in cui s presente un'intera nidiata di bisogni e inclinazioni che, per, presi nella loro complessit o singolarmen-

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te, non vogliono poi significare molto. Ma dove troviamo in un'unica natura quella totalit armonica e consonanza polifonica, dove ammiriamo pi armonia, se non proprio in quegli uomini, del tipo di Cellini, nei quali tutto, conoscere, desiderare, amare, odiare, tende verso un centro, verso una forza radicale, dove appunto per il sovrappotere cogente e dominante di questo centro vitale si forma un sistema armonico di movimenti in tutte le direzioni? E cos forse le due massime non sono affatto dei contrari? Forse l'una dice soltanto che l'uomo deve avere un centro, mentre l'altra afferma che deve avere anche una periferia? Quel filosofo educatore, che vagheggiavo per me, non solo avrebbe scoperto quella forza centrale, ma avrebbe, anche, saputo impedire che essa avesse un'azione distruttrice rispetto alle altre forze: anzi, compito della sua educazione sarebbe stato almeno cos ritenevo trasformare l'uomo nella sua totalit fino a farne un sistema solare e planetario vivo e in movimento e riconoscere la legge della sua meccanica superiore. Frattanto un tal filosofo mi mancava e io tentai invano con questo e con quello; scoprii cos quanto sia misera la nostra condizione rispetto ai Greci e ai Romani, anche solo dal punto di vista di una concezione seria e rigorosa dei compiti dell'educazione. Con un tal bisogno nel cuore si pu correre per tutta la Germania, andando, perfino, in tutte le universit e non si trover ci che si cerca; anzi, desideri molto pi semplici e meno elevati vi rimangono inadempiuti. Chi, per esempio, tra i Tedeschi volesse seriamente formarsi come oratore o chi intendesse recarsi in una scuola per scrittori, non troverebbe n scuola n maestri; sembra che qui non si sia mai riflettuto sul fatto che parlare e scrivere sono arti che non si possono acquistare senza la pi accurata direzione e i pi faticosi anni di apprendistato. Nulla rivela in modo tanto chiaro e allo stesso tempo tanto umiliante il presuntuoso autocompiacimento dei contemporanei come la meschinit, per met taccagna e per met priva di pensiero, delle loro pretese verso educatori e maestri. Di che cosa non ci si contenta, persino tra la nostra gente pi nobile e meglio istruita, sotto il nome di precettori: quale guazzabuglio di teste stravaganti e di istituzioni invecchiate viene spesso indicato come ginnasio ed considerato buono; di che cosa non ci accontentiamo noi tutti, come supremo istituto di istruzione, come universit: quali guide, quali istituzioni, paragonati alla difficolt del compito di educare un uomo ad essere un uomo! Perfino il modo degli eruditi tedeschi di dedicarsi alla scienza, pur se tanto ammirato, mostra soprattutto come essi, nel far ci, pensano pi alla scienza che all'umanit, che sono addestrati a sacrificarsi ad essa come una perduta schiera per spingere a loro volta nuove generazioni ad immolarvisi. Il commercio con la scienza, se non guidato, n limitato da una massima superiore dell'educazione, ma sempre pi scatenato secondo il principio tanto pi tanto meglio, certamente dannoso per i dotti quanto lo la teoria economica del laisserfaire per la moralit di popoli interi. Chi sa ancora che l'educazione del dotto, la cui umanit non deve essere abbandonata o fatta insecchire, un problema di grandissima difficolt? Eppure tale difficolt salta agli occhi, basta fare attenzione ai numerosi esemplari, che per una dedizione sconsiderata e troppo precoce alla scienza, si sono incurviti o si distinguono per la gobba. Ma ben altra testimonianza esiste per l'assenza di ogni educazione superiore, testimonianza pi importante e pi pericolosa, ma soprattutto pi generale. Se immediatamente chiaro perch oggi non si pu educare un oratore o uno scrittore appunto per il motivo che per loro non esistono educatori ; se quasi altrettanto chiaro perch oggi un dotto deve essere de-

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forme e contorto perch la scienza, quindi un'inumana astrazione, lo deve educare ci si chieda infine: dove sono tra i nostri contemporanei, propriamente per noi tutti, istruiti ed ignoranti, nobili e di semplice nascita, i nostri modelli e le nostre celebrit morali, quel compendio visibile di tutta la morale creativa della nostra epoca? Dove andato a finire, in realt, tutto quel riflettere sui problemi morali, di cui in ogni tempo ogni societ nobile e evoluta si sempre occupata? Non esiste pi nessuna riflessione o celebrit di questo tipo; in effetti consumiamo quel capitale di moralit, accumulato dai nostri predecessori, che noi non sappiamo certo pi accrescere ma solo dissipare; di queste cose, nella nostra societ, o non se ne parla affatto, o se ne parla con una goffaggine e imperizia naturalistica, che non pu che suscitar disgusto. Cos si arrivati al punto che le nostre scuole e i nostri maestri semplicemente prescindono da una educazione morale o se la cavano con formalismi: e virt una parola che non evoca pi n nel maestro n negli scolari alcun pensiero, una parola antiquata di cui si sorride e se non si sorride un male, perch in tal caso si ipocriti. La spiegazione di questa fiacchezza e del basso livello di tutte le forze morali difficile e complessa; tuttavia nessuno che consideri l'influenza del cristianesimo vittorioso sulla moralit del nostro mondo antico, potr trascurare la reazione del cristianesimo soccombente, quindi la sorte per esso sempre pi probabile nella nostra epoca. Con l'altezza del suo ideale il cristianesimo ha soverchiato gli antichi sistemi morali e la naturale schiettezza, in tutti ugualmente presente, in modo tale che rispetto ad essa si divenuti ottusi e schifiltosi; pi tardi per, quando ancora si riconosceva ci che era migliore e superiore, ma non si era pi in grado di realizzarlo, non si pot pi tornare al buono e all'elevato, cio a quella antica virt, per quanto lo si volesse. In un tale oscillare tra cristianesimo e antichit, tra una cristianit dei costumi intimidita o menzognera ed un ritorno all'antico, altrettanto scoraggiato e impacciato vive l'uomo moderno, e in questa situazione si trova male; il timore ereditato di ci che naturale e il rinnovato fascino del naturale, il desiderio di trovare un punto fermo qualsiasi, l'impotenza del suo conoscere, che vacilla tra ci che bene e ci che meglio, tutto ci produce una irrequietezza, una confusione nell'anima moderna, che la condanna ad essere sterile e priva di gioia. Mai furono tanto necessari educatori morali e mai fu tanto improbabile trovarne! Nei momenti in cui il bisogno dei medici altissimo, cio durante le grandi epidemie, essi sono i pi esposti al pericolo. Dove sono, infatti, i medici della moderna umanit, capaci di stare ben saldi e sani sui propri piedi, cos da sostenere un altro e condurlo per mano? Un'atmosfera scura e tetra aleggia anche intorno alle personalit migliori della nostra epoca, un'eterna scontentezza per la lotta tra ipocrisia e lealt che si combatte nel loro petto, una irrequietezza nel confidare in se stessi per tutto questo non possono assolutamente pi essere guide e allo stesso tempo maestri severi per gli altri. Era, quindi, proprio un cullarsi nei miei desideri, quando mi immaginavo di poter trovare come educatore un vero filosofo, che fosse capace di sollevare una persona al di sopra dell'insoddisfazione insita nell'epoca e che di nuovo insegnasse a pensare e a vivere con semplicit e sincerit, ad essere cio inattuale, nel significato pi profondo della parola; oggi infatti gli uomini sono diventati cos molteplici e complicati che devono essere insinceri quando parlano, sostengono delle opinioni e vogliono agire in conseguenza ad esse. In questo stato di angustie, bisogni e desideri conobbi Schopenhauer.

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Faccio parte di quei lettori di Schopenhauer che, dopo averne letto la prima pagina, sanno con sicurezza che leggeranno e ascolteranno ogni parola da lui comunque detta. Subito si determin in me fiducia in lui, fiducia che a tutt'oggi la stessa di nove anni fa. Lo intendevo come se avesse scritto per me: per esprimermi in modo chiaro anche se non privo di immodestia e di follia. Da ci deriva il fatto che non ho mai trovato in lui un paradosso, anche se qua e l qualche piccolo errore; infatti che cosa sono i paradossi se non affermazioni che non ispirano fiducia, fatte senza fiducia dallo stesso autore, per poter, grazie a loro, essere brillante, sedurre o comunque far bella figura? Schopenhauer non vuole mai far bella figura: egli infatti scrive per s e nessuno ama essere ingannato, meno di tutti un filosofo che addirittura si impone la legge: non ingannare nessuno, neppure te stesso! Neppure con quell'inganno sociale ben accetto, che quasi ogni conversazione comporta e che gli scrittori quasi inconsapevolmente imitano, tanto meno con l'inganno consapevole del palco oratorio e con i mezzi artificiosi della retorica. Schopenhauer invece parla con se stesso: o, se proprio si vuole pensare a un destinatario, si pensi al figlio che il padre istruisce. un esprimersi onesto, vigoroso, benevolo, rivolto a un uditore che ascolta amorevolmente. Scrittori simili ci mancano. Il vigoroso senso di benessere di colui che parla ci afferra al primo risuonare della sua voce: una sensazione simile a quella che si prova entrando in un bosco di alberi ad alto fusto; respiriamo profondamente e ci sentiamo tutto a un tratto di nuovo bene. Qui c' sempre un'aria egualmente corroborante, cos sentiamo; qui c' una certa inimitabile libert e naturalezza, propria di quegli uomini che dentro di s si sentono a casa, e in una casa molto ricca: al contrario di quegli scrittori che ammirano soprattutto se stessi per essere stati, una volta, geniali e la loro esposizione, proprio per questo, ha un che di inquieto e innaturale. Tanto meno, quando Schopenhauer parla, penseremo all'erudito, che per natura ha membra rigide e impacciate ed di torace stretto e perci avanza angoloso, goffo o arrogante; mentre, d'altra parte l'anima ruvida e un po' burbera di Schopenhauer insegna non tanto a rimpiangere quanto, piuttosto, a disprezzare l'agilit e la grazia gentile dei buoni scrittori francesi e nessuno scoprir mai in lui quell'imitata indoratura pseudofrancese, di cui vanno orgogliosi gli scrittori tedeschi. Il modo d'esprimersi di Schopenhauer, in alcuni punti, mi ricorda un poco Goethe, altrimenti nessun altro modello tedesco. Perch egli sa dire le cose profonde con semplicit, quelle commoventi senza retorica, le cose rigorosamente scientifiche senza pedanteria: da quale Tedesco avrebbe potuto apprendere ci? Egli non ha neppure nulla della maniera troppo cavillosa, a volte troppo movimentata e se mi permesso dirlo abbastanza poco tedesca di Lessing; il che un grande merito; Lessing, infatti, per quanto riguarda la scrittura in prosa tra i Tedeschi l'autore che suscita le maggiori tentazioni. E per dire subito il massimo che si possa dire del suo modo di esporre riferisco a lui la sua frase: un filosofo deve essere molto sincero per non servirsi di espedienti poetici o retorici. Che la sincerit sia qualcosa, addirittura una virt nell'epoca delle opinioni pubbliche, fa parte di quelle opinioni private che sono proibite; e perci non avr lodato ma solo caratterizzato Schopenhauer ripetendo che egli sincero anche come scrittore; e cos pochi scrittori lo sono, che in realt bisognerebbe diffidare di tutti coloro che scrivono. Un solo scrittore conosco che per sincerit posso mettere allo stesso livello se non addirittura pi in alto di Schopenhauer: Montaigne. Il solo fatto che un uomo simile abbia scritto, ha aumentato, in verit, la gioia di vivere su questa terra. quanto, perlomeno, succede a me

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da quando conosco quest'anima liberissima e vigorosissima, tanto che di lui debbo dire quanto egli dice di Plutarco: non appena ho gettato uno sguardo su di lui, mi subito cresciuta una gamba o un'ala. Con lui mi intenderei se fosse posto il compito di trovarsi una patria sulla terra. In comune con Montaigne Schopenhauer ha, oltre alla sincerit, anche una seconda qualit: una serenit veramente rasserenante. Aiiis laetus, sibi sapiens. Vi sono invero due specie di serenit molto diverse. Il vero pensatore rasserena e allieta sempre, sia che esprima la sua seriet o il suo scherzo, la sua perspicacia umana o la sua divina indulgenza; senza gesti pieni di cipiglio, mani tremanti, occhi acquosi, ma con sicurezza e semplicit, con coraggio e forza, forse un po' cavallerescamente e con durezza, ma, comunque, come un vincitore: e questo proprio ci che rasserena nel pi profondo e nel pi intimo: vedere il dio vittorioso accanto a tutti i mostri che ha abbattuto. La serenit invece che, talvolta, si incontra in scrittori mediocri o in pensatori molto limitati ci immiserisce nel leggerli: come ho avvertito ad esempio nella serenit di David Strauss. Ci si vergogna a buon diritto di avere simili sereni contemporanei, perch essi compromettono presso i posteri la nostra epoca e noi uomini in essa. Questi falsi sereni non vedono affatto i dolori e i mostri che come pensatori pretendono di vedere e di combattere; e perci la loro serenit suscita disgusto, perch un inganno: infatti vuol indurre a credere che si sia conquistata una vittoria. In fondo v' serenit solo dove c' vittoria, e ci vale sia per le opere dei veri pensatori che per ogni opera d'arte. Per quanto il contenuto sia terribile e serio, come lo appunto il problema dell'esistenza: l'opera avr un effetto opprimente e tormentoso soltanto se il mezzo pensatore o il mezzo artista vi avr effuso i vapori della propria insoddisfazione; mentre per l'uomo non vi sar nulla di pi gaio e di pi bello che poter stare vicino ad uno di quei vittoriosi, che, proprio per aver pensato le cose pi profonde, devono appunto amare ci che pi vivo e, come saggi, infine, aver predisposizione al bello. Essi parlano veramente, non balbettano n chiacchierano a vanvera; essi si muovono e vivono realmente, non certo al modo di sinistre maschere, come sono soliti vivere gli uomini: perci, nella loro vicinanza, ci sentiamo davvero umani e naturali e vorremmo esclamare come Goethe che cosa meravigliosa e preziosa un vivente! quanto adeguato alla sua condizione, quanto vero, quanto esistente! Io non descrivo altro che la prima e quasi fisiologica impressione suscitata in me da Schopenhauer, quel magico irradiare della pi profonda forza di un frutto della natura su di un altro, che si ha al primo e pi lieve contatto; e, se analizzo ulteriormente quell'impressione, trovo che formata da tre elementi, dall'impressione della sua sincerit, della sua serenit e della sua fermezza. sincero perch parla e scrive a se stesso e per se stesso, e fermo perch cos deve essere. La sua forza si innalza come fiamma, quando l'aria ferma, diritta e leggera in alto, sicura, senza tremoli e incertezze. Trova la sua strada in ogni caso, senza che noi neppure ci accorgiamo che l'ha cercata; ma, come costretto da una legge della gravit, vi accorre cos fermo e agile, cos inevitabile. E se qualcuno ha mai inteso che cosa significhi, nella nostra attuale umanit di ircocervi, trovare una natura tutta intera, univoca, ben salda nei propri cardini e tuttavia in movimento, disinvolta e senza impacci, comprender la mia felicit e la mia meraviglia, allorch trovai Schopenhauer: sentivo di aver trovato in lui quell'educatore e filosofo da tanto tempo cercato. E tutto ci soltanto sotto forma di libro: il che fu certo una grande privazione. Tanto pi mi affannai di vedere attraverso il libro e di immaginarmi l'uomo vivente, di cui

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dovevo leggere il grande testamento in cui prometteva di fare suoi eredi solo coloro che volessero e potessero essere pi che suoi semplici lettori: cio suoi figli e discepoli.
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La mia valutazione di un filosofo dipende dalla misura in cui egli in grado di dare un esempio. Non c' dubbio, infatti, che con l'esempio si possa trascinare interi popoli: la storia indiana, che quasi la storia della filosofia indiana, lo dimostra. Ma l'esempio deve esser dato dalla vita visibile e non solo dai libri, e pertanto, come insegnavano i filosofi della Grecia, pi con l'impressione, il comportamento, il vestito, il cibo e i costumi che non con il parlare o addirittura con lo scrivere. Da noi, in Germania, manca tutto per avere questa coraggiosa visibilit di una vita filosofica; qui i corpi si liberano a poco a poco, quando sembra che gi da molto gli spiriti si siano liberati; e tuttavia solo un'illusione che uno spirito sia libero e indipendente, se questa illimitatezza raggiunta che in fondo autolimitazione creativa non sempre di nuovo dimostrata da ogni sguardo e da ogni passo, dalla mattina alla sera. Kant rimase attaccato all'universit, si sottomise ai governi, rimase nell'apparenza di una fede religiosa, la sopport tra colleghi e studenti: quindi naturale che il suo esempio abbia prodotto soprattutto professori di universit e filosofia professionale. Schopenhauer ebbe poco a che fare con le caste dei dotti, se ne separ, mir all'indipendenza dallo Stato e dalla societ ecco il suo esempio, il suo modello per prendere qui le mosse dagli elementi pi esteriori. Ma molti gradi della liberazione della vita filosofica tra i Tedeschi sono ancora sconosciuti e non potranno rimanere tali in eterno. I nostri artisti vivono in modo pi audace e sincero; e l'esempio che pi potente si offre ai nostri occhi, quello di Richard Wagner, mostra come il genio non debba temere di entrare nella contraddizione pi ostile con gli ordinamenti e le forme esistenti, se vuole mettere in piena luce l'ordine superiore e la verit che vivono in lui. La verit per di cui i nostri professori tanto parlano, in realt ci appare come un qualcosa senza grandi pretese, da cui non c' da aspettarsi n disordini n cose straordinarie: una creatura tranquilla e benevola che si affanna a rassicurare tutti i poteri esistenti che nessuno, a causa sua, avr dei fastidi; in fondo non che pura scienza. Dunque, io volevo dire che la filosofia in Germania deve sempre di pi disimparare a essere scienza pura: e appunto questo l'esempio dell'uomo Schopenhauer. niente meno che un miracolo, che egli sia riuscito ad acquistare la dimensione di esempio per gli uomini: era assalito, infatti, dai pi tremendi pericoli, sia dall'esterno che dall'interno, pericoli da cui qualsiasi creatura pi debole sarebbe stata oppressa e mandata in frantumi. V'era tutta l'apparenza, credo, che l'uomo Schopenhauer sarebbe tramontato lasciando dietro di s come residuo, nel migliore dei casi, scienza pura: ma anche questo solo nel migliore dei casi; molto pi probabilmente non sarebbe rimasto n l'uomo n la scienza. Cos un inglese moderno descrive il pericolo pi comune per uomini straordinari, che vivano in una societ legata a ci che banale: Questi strani caratteri dapprima si piegano, poi si immalinconiscono, quindi si ammalano e, infine, muoiono. Uno Shelley non avrebbe potuto vivere in Inghilterra, e una razza di Shelley non sarebbe stata possibile. I nostri Hlderlin e Kleist e tanti altri, perirono per la loro straordinariet e non sopportarono il clima della cosiddetta cultura tedesca; solo nature di ferro

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come Beethoven, Goethe, Schopenhauer e Wagner sono capaci di non cedere. Ma anche in loro, si mostra l'effetto della lotta e dello spasimo pi defatigante in molti tratti e rughe: il loro respiro si appesantisce, e il tono della voce diventa con facilit troppo violento. Un esperto diplomatico, che aveva visto Goethe e parlato con lui solo di sfuggita, disse: Voil un homme, qui a eu de grands chagrins! tradotto da Goethe con la frase: ecco qua un altro che si reso la vita dura!. Se nei tratti del nostro viso egli aggiunge non si pu cancellare il segno della sofferenza superata, dell'attivit svolta, non c' da meravigliarsi se tutto ci che rimane di noi e delle nostre aspirazioni porta la stessa traccia. E questo Goethe, che i nostri filistei della cultura indicano come il pi felice dei Tedeschi, per provare, cos, che doveva pur essere possibile una vita felice tra loro con il pensiero recondito che non si deve perdonare a nessuno che, tra loro, si senta infelice e solo. Pertanto, con massima crudelt, hanno posto e spiegato praticamente l'assioma, secondo cui, in ogni isolamento, ci sarebbe sempre una colpa segreta. Dunque il povero Schopenhauer aveva sul cuore una colpa segreta, e cio di apprezzare la sua filosofia pi dei suoi contemporanei; e per giunta fu cos sfortunato da sapere, proprio da Goethe, di dover difendere ad ogni costo la sua filosofia, per assicurarne l'esistenza, dall'indifferenza dei contemporanei; esiste infatti un tipo di censura da inquisizione in cui i Tedeschi, secondo il giudizio di Goethe, si sono spinti molto avanti; essa si chiama: scrupoloso silenzio. E con ci si era gi ottenuto, se non altro, che la maggior parte della prima edizione della sua opera principale fosse inviata al macero. Il pericolo incombente che la sua grande opera scomparisse per pura disattenzione, lo port a una terribile e difficilmente dominabile inquietudine; nemmeno un seguace di qualche rilievo si faceva avanti. Ci rende tristi vederlo alla ricerca di una qualche traccia della sua notoriet; e il suo grande, clamoroso trionfo finale perch veramente era letto (legor et legar) ha qualcosa di dolorosamente commovente. Proprio tutti quei tratti in cui egli non fa scorgere la dignit del filosofo, mostrano l'uomo sofferente, in apprensione per i suoi beni pi nobili; cos lo tormentava la preoccupazione di perdere il suo piccolo patrimonio e forse di non poter mantenere la sua posizione, pura e veramente antica, rispetto alla filosofia; e cos nella sua ricerca di uomini fidati e compassionevoli spesso si sbagli, per ritornare sempre con sguardo desolato al suo cane fedele. Egli fu in tutto e per tutto un eremita; non ebbe un solo amico che lo consolasse e veramente sentisse come lui e tra uno e nessuno, c' veramente un infinito, come tra qualcosa e nulla. Chi ha veri amici non sa cosa sia la vera solitudine, anche se tutto il mondo intorno a lui gli fosse ostile . Oh, ben m'accorgo che voi non sapete che cosa sia l'isolamento. Dove si sono avute potenti societ, governi, religioni, opinioni pubbliche, in breve, ovunque ci fu una tirannia, essa ha odiato il filosofo solitario; infatti la filosofia offre all'uomo un asilo a cui nessuna tirannide pu accedere, la caverna dell'intimo, il labirinto del petto: e questo irrita i tiranni. L i solitari si nascondono: ma l si apposta anche il maggior pericolo per loro. Questi uomini, che hanno messo in salvo nell'intimo la propria libert, devono vivere anche esternamente, diventar visibili, farsi vedere; essi hanno infiniti legami per nascita, residenza, educazione, patria, caso, indiscrezione degli altri; e cos anche infinite opinioni sono presupposte in loro, solo perch sono quelle dominanti; ogni espressione che non sia un diniego vale come approvazione; ogni movimento della mano, che non distrugge, viene interpretato come accondiscendimento. Essi sanno, questi solitari e liberi nello spirito, di apparire continuamente e

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ovunque in modo diverso da come pensano: e, pur non volendo altro che verit e sincerit, intorno a loro s'intreccia una rete di malintesi; e la loro veemente aspirazione non pu impedire che sulle loro azioni permanga una nube di false opinioni, di adeguamento, di mezze ammissioni, di pietosi silenzi e di interpretazioni errate. Tutto ci addensa una nube di malinconia sulla loro fronte: tali nature infatti pi che la morte odiano l'apparenza che diventa necessit; e l'amarezza continua che ne deriva li rende vulcanici e minacciosi. Di tanto in tanto si vendicano del loro forzato nascondersi, della riservatezza imposta. Escono dalle loro caverne con espressioni tremende: allora le loro parole e le loro azioni sono esplosioni ed possibile che causino la loro stessa rovina. In tanta pericolosit visse Schopenhauer. Proprio questi solitari hanno bisogno di amore, di compagni con cui poter essere aperti e semplici come con se stessi, alla cui presenza lo spasimo del silenzio e della finzione abbia tregua. Se togliete loro tali compagni, aumenterete il pericolo. Heinrich von Kleist per per non essere amato; il pi terribile antidoto contro uomini straordinari infatti respingerli nel profondo di se stessi in modo tale che ogni nuova sortita debba avvenire come un'esplosione vulcanica. Tuttavia c' sempre un semidio che sopporta di vivere a queste tremende condizioni e di vivere vittoriosamente; e se volete ascoltare i suoi canti solitari, ascoltate la musica di Beethoven. Il primo pericolo all'ombra del quale Schopenhauer crebbe fu dunque l'isolamento. Il secondo il disperare della verit. Questo pericolo accompagna ogni pensatore che, partendo dalla filosofia kantiana, percorra una strada propria, premesso che sia un uomo possente e completo, nel dolore come nelle aspirazioni, e non soltanto una strepitante macchina per pensare e calcolare. Ora noi tutti sappiamo bene in che stato vergognoso ci si trovi con questa premessa. A me sembra addirittura che Kant sia penetrato in modo vivo solo in pochissimi uomini trasformandone sangue e linfa. Certo, come si pu leggere ovunque, dall'epoca dell'azione di questo silenzioso dotto sarebbe scoppiata in tutti i campi dello spirito una vera e propria rivoluzione, ma io non posso crederci. Infatti non lo vedo con chiarezza in uomini, che anzitutto avrebbero dovuto essere rivoluzionati loro, prima che tale rivoluzione potesse avvenire in interi campi dello spirito. Non appena, per, Kant dovesse incominciare ad esercitare un'influenza popolare, questa la percepiremmo nella forma di uno scetticismo e relativismo corrosivo, che manda tutto in briciole; e solo negli spiriti pi attivi e pi nobili, che non sono mai riusciti a vivere nel dubbio, subentrerebbe invece quello sgomento e quel disperare di ogni verit, quali, ad esempio, li visse Heinrich von Kleist, come effetto della filosofia kantiana. Di recente scrive in quel suo stile che coinvolge ho fatto conoscenza con la filosofia kantiana e devo comunicarti un pensiero che me ne nato, non dovendo temere che possa scuoterti cos profondamente e dolorosamente come me. Noi non possiamo decidere se ci che chiamiamo verit sia veramente verit o se solo ci sembri tale. Se si tratta della seconda ipotesi allora la verit che noi qui raccogliamo, dopo la morte che non pi nulla e ogni aspirazione e affanno per conquistarci una propriet, che ci segua anche nella tomba, vano. Se la punta di questo pensiero non ti trafigge il cuore, non sorridere di chi invece se ne sente ferito nel pi sacro del suo intimo. II mio unico e massimo fine caduto ed io non ne ho pi alcuno. S, quando di nuovo gli uomini sentiranno in questo modo kleistianamente naturale, quando impareranno di nuovo a misurare il senso di una filosofia sulla loro pi sacra intimit? Eppure tutto ci della massima necessit per poter valutare cosa significhi per noi, dopo Kant, proprio Schopenhauer

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la guida, cio, che dalle caverne del malumore scettico e della rinuncia critica conduce in alto, verso la sommit della contemplazione tragica, il cielo notturno con le sue stelle infinitamente sopra di noi e che, per primo, ha condotto su questa strada se stesso. Questa la sua grandezza: nell'essersi posto di fronte al quadro della vita come di fronte ad un tutto, per interpretarlo come un tutto; mentre le teste pi acute non riescono a liberarsi dall'errore che a questa interpretazione si possa giungere solo analizzando minuziosamente i colori e la materia su cui questo quadro stato dipinto; col solo risultato, forse, che si tratta di una tela dalla tessitura intricatissima e di colori che non si possono analizzare chimicamente. Bisogna indovinare il pittore per poterne intendere il quadro, e Schopenhauer questo lo sapeva. Ora tutta la congrega di tutte le scienze si sforza di capire quella tela e quei colori, ma non il dipinto; si pu, anzi, dire che solo colui che ha compreso e fissato nei suoi occhi il quadro generale della vita e dell'esistenza, potr servirsi, senza suo danno, delle varie scienze, giacch senza questo quadro d'insieme regolatore, esse non sono che fili che non portano mai alla fine e rendono lo svolgersi della nostra vita ancor pi confuso e labirintico. Proprio in questo come ho detto Schopenhauer grande, perch persegue quel quadro come Amleto lo spirito, senza farsi mai distrarre, come fanno gli eruditi, o senza rimanere impigliato nella scolastica concettuale, sorte questa dei dialettici sfrenati. Lo studio di tutti i mezzi-filosofici attraente soltanto per conoscere che essi, nella costruzione di grandi filosofie, si fermano subito dove accademicamente il pr e il contro, dove permesso rimuginare, dubitare, contraddire, e, cos, sfuggono all'esigenza di ogni grande filosofia che, in quanto totalit, afferma sempre e soltanto: questo il quadro di tutta la vita, e da ci impara il senso della tua. E per converso: leggi soltanto la tua vita e da essa comprendi i geroglifici della vita universale. E cos anche dovrebbe essere, in primo luogo, interpretata la filosofia di Schopenhauer: individualmente dal singolo, cio, solo per se stesso, per prendere coscienza della propria miseria e dei propri bisogni nella propria limitatezza, per imparare a conoscere i rimedi e le consolazioni: cio sacrificio dell'Io, sottomissione ai pi nobili scopi, soprattutto a quelli della giustizia e della misericordia. Egli ci insegna a distinguere tra le fonti reali e quelle illusorie della felicit umana: come n l'arricchirsi, n l'essere onorati, n l'essere dotti possa sollevare il singolo dalla amarezza per la mancanza di valore della propria esistenza, e come, invece, l'aspirazione a questi beni abbia senso solo se inserita in uno scopo globale superiore e trasfigurante: conquistare potere per aiutare con esso la physs, correggendone un po' le follie e goffaggini. Dapprima certo ancora per se stessi soltanto; ma attraverso se stessi, infine, per tutti. un'aspirazione questa che certo porta, nel profondo del cuore, alla rassegnazione: che cosa, infatti, e di quanto, pu ancora esser migliorato sia nel singolo che nel generale! Se applichiamo queste parole proprio a Schopenhauer, tocchiamo il terzo e pi caratteristico pericolo in cui egli visse e che era insito in tutta la struttura e ossatura del suo essere. Ogni uomo solito trovare in se stesso una limitazione sia della sua attitudine che della sua volont morale, che Io riempie di struggente desiderio e di malinconia; e, come dal sentimento della propria inclinazione al peccato aspira al Santo, cos in quanto essere intellettuale, ha in s un profondo anelito al Genio. Ecco la radice di ogni vera cultura; e intendendo con questo l'anelito degli uomini a rinascere come Santi o come Geni, so perfettamente che non c' bisogno di essere buddisti per intendere questo mito. Quando troviamo il talento senza quell'a-

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nelito, nella cerchia degli scienziati o semplicemente nelle persone istruite, proviamo una certa avversione e ripugnanza; infatti presagiamo che tali uomini, con tutto il loro spirito, non favoriscono una cultura in divenire o la creazione del Genio che lo scopo di ogni cultura ma anzi la ostacolano. una condizione di indurimento, uguale per valore a quella virtuosit abitudinaria, fredda e orgogliosa di se stessa, che la cosa che pi di tutto lontana e allontana dalla vera santit. La natura di Schopenhauer, dunque, presentava una strana e pericolosissima duplicit. Pochi pensatori hanno sentito, allo stesso modo e con la stessa incomparabile.determinazione, agitarsi in loro il Genio; e il suo Genio gli prometteva il massimo: che non ci sarebbero stati solchi pi profondi di quelli scavati dal suo aratro sul suolo dell'umanit moderna. Cos egli poteva considerare una met del suo essere sazio e appagato, senza brame, certo della sua forza e comp cos, con dignit e grandezza la sua missione, come colui che vittoriosamente si realizzato. Nell'altra met viveva un impetuoso anelito; noi lo capiamo ripensando alle parole che disse, volgendo lo sguardo dolente dal ritratto di Ranc, il grande fondatore della Trappa: Questa opera della Grazia. II Genio, infatti, anela pi profondamente alla santit, perch egli, dal suo osservatorio, ha visto pi lontano e pi chiaramente di ogni altro uomo, fino alla conciliazione dell'essere con il conoscere, fino al regno della pace e della volont negata, e, oltre ancora, verso l'altra riva, di cui parlano gli ind. Ma proprio qui il miracolo: quanto incomprensibilmente integra e infrangibile doveva essere la natura di Schopenhauer, se neppure da questo anelito pot essere distrutta e neppure indurita. Che cosa ci significhi ognuno lo capir secondo la misura di ci che egli stesso , ma nessuno di noi potr capirla in tutta la sua gravit. Pi riflettiamo sui tre pericoli descritti e pi ci stupisce con quanta forza Schopenhauer si sia difeso da essi e come sia uscito integro e a testa alta dalla lotta. Certo anche con molte cicatrici e ferite ancora aperte; e in uno stato d'animo che a volte pu apparire un po' troppo brusco o anche troppo battagliero. Anche al di sopra dell'uomo pi grande si innalza il suo proprio ideale. Che Schopenhauer possa essere un modello, rimane fermo nonostante tutte quelle cicatrici e macchie. Si potrebbe anzi dire: ci che nel suo essere era imperfetto e troppo umano, ci avvicina a lui proprio in senso umano, perch lo vediamo sofferente e compagno di dolore e non soltanto nell'altezza sprezzante del Genio. Quei tre pericoli, propri della sua costituzione, che minacciavano Schopenhauer, minacciano tutti noi. Ognuno ha in s una unicit produttiva, che costituisce il nucleo del suo essere; quando, per, diventa consapevole di questa unicit, intorno a lui appare uno splendore insolito, tipico di ci che straordinario. Per i pi ci qualcosa di insopportabile: perch, come ho detto, sono pigri e perch a quella unicit legata una catena di affanni e di pesi. Non c' dubbio che, per chi straordinario e si grava di questa catena, la vita deve perdere quasi tutto ci che ci si aspetta da lei nella giovent: serenit, sicurezza, leggerezza, onore; la sorte dell'isolamento il regalo che gli fanno gli altri uomini; deserto e caverna gli si offrono ovunque voglia vivere. Allora stia ben attento a non farsi soggiogare, a non deprimersi o immalinconirsi. Perci si circondi delle immagini di bravi e valorosi combattenti, quale fu lo stesso Schopenhauer. Ma anche il secondo pericolo, che minacciava Schopenhauer, non poi tanto raro. Qua e l si incontra qualcuno dotato per natura di sguardo acuto, i suoi pensieri seguono volentieri il doppio andamento dialettico: quanto facile allora, se abbandona imprudentemente le redini al proprio talento, che co-

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me uomo vada in rovina e conduca una vita quasi da fantasma nella pura scienza; o che, abituato a ricercare nelle cose il pr e il contro, si smarrisca completamente di fronte alla verit e debba, quindi, vivere senza coraggio e senza fiducia, nella negazione e nel dubbio, in uno stato d'animo corrosivo, scontento, in una mezza speranza, e nell'attesa della delusione: neanche un cane potrebbe vivere a lungo cos!. Il terzo pericolo l'irrigidimento nella morale e nell'intelletto: l'uomo lacera il vincolo che lo legava al suo ideale, smette di essere fecondo in questo o in quel campo, smette di trapiantarsi; diventa, ai fini della cultura, gracile e inutile. L'unicit del suo essere divenuto atomo indivisibile, incomunicabile, fredda pietra. E cos possibile andare in rovina per la propria unicit come per la paura di essa, per se stesso o per la rinuncia a se stesso, per l'anelito e per l'irrigidimento: e vivere, in generale, significa essere in pericolo. Oltre a questi pericoli di tutta la sua costituzione, a cui Schopenhauer sarebbe stato comunque esposto, in qualsiasi altro secolo fosse vissuto vi sono per altri pericoli, che incombevano su di lui dal suo tempo', e questa distinzione tra pericoli della costituzione e pericoli dell'epoca essenziale per comprendere l'elemento esemplare e pedagogico della natura di Schopenhauer. Immaginiamoci l'occhio del filosofo indugiare sull'esistenza: egli vuole stabilire di nuovo il valore. Questo stato infatti il lavoro proprio di tutti i grandi pensatori, essere legislatori per la misura, la moneta e il peso delle cose. Come sar imbarazzante per lui se l'umanit, che vede per prima, un gracile frutto divorato dai vermi! Quanto dovr aggiungere al non valore dell'epoca per essere comunque giusto verso l'esistenza! Se occuparsi della storia di popoli passati o stranieri ha valore, lo ha soprattutto per il filosofo che voglia dare un giudizio equo su tutta la sorte umana, non quindi solo su quella media, ma anche e soprattutto su quella suprema, che pu toccare ai singoli come a interi popoli. Ora per tutto ci che presente importuno, opera e condiziona l'occhio anche quando il filosofo non vuole; e, involontariamente, nel conto complessivo sar sopravvalutato. Perci il filosofo deve ben valutare la sua epoca nella sua differenza rispetto alle altre e, mentre supera per s il presente, deve superarlo anche nel quadro che da della vita, rendendolo cio impercettibile e ridipingendovi sopra. Compito difficile e quasi inassolvibile. Il giudizio degli antichi filosofi greci sul valore dell'esistenza dice tanto di pi di un giudizio moderno, perch essi avevano, davanti e intorno a s, la vita stessa nella sua rigogliosa perfezione e perch in essi, a differenza che da noi, il sentimento del pensatore non si confonde nel dissidio tra il desiderio di libert, bellezza, grandezza di vita, e l'anelito alla verit che chiede soltanto: che valore ha in assoluto l'esistenza? Per tutti i mezzi resta importante sapere ci che Empedocle, nel mezzo della gioia di vivere pi vigorosa e pi esuberante della cultura greca, disse sull'esistenza; il suo giudizio di gran peso, tanto pi che non fu contraddetto da nessun giudizio contrario di un qualche altro grande filosofo della stessa grande epoca. Egli forse quello che si esprime con maggior chiarezza, ma in sostanza cio se si aprono un po' le orecchie dicono tutti la stessa cosa. Un pensatore moderno soffrir sempre come ho detto di un desiderio inappagato: pretender che gli si mostri di nuovo soltanto la vita, una vita vera, vermiglia, sana, affinch possa far cadere su di essa il suo verdetto. Almeno per se stesso considerer necessario essere un uomo vivo, prima di credere di poter essere un giudice equo. Questo il motivo per cui proprio i filosofi moderni appartengono ai pi forti fautori della vita, della volont di vivere, ed il motivo per cui, dal loro tempo infiacchito, anelano ad una cultura, a una

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physis trasfigurata. Questo anelito per anche il loro pericolo, in essi il riformatore della vita combatte con il filosofo, vale a dire con il giudice della vita. Qualunque sia la parte verso cui la vittoria inclina, si tratta sempre di una vittoria che include una sconfitta. E come pot dunque Schopenhauer sfuggire anche a questo pericolo? Se ogni grande uomo, di preferenza, considerato proprio come l'autentico figlio del suo tempo e comunque soffre di tutti i suoi malanni con maggiore intensit e sensibilit di tutti gli altri uomini pi piccoli la lotta di un tale grande contro la sua epoca solo apparentemente una battaglia insensata e deleteria contro se stesso. Ma appunto solo apparentemente; poich nel suo tempo egli combatte ci che gli impedisce di essere grande, e ci in lui non significa altro che essere liberamente e completamente se stesso. Ne consegue che la sua inimicizia in fondo indirizzata contro ci che s in lui stesso, ma che per non propriamente lui stesso, cio contro l'impuro mescolarsi e coesistere di ci che immescolabile e non unificabile in eterno, contro la falsa saldatura dell'attuale al suo inattuale; e alla fine il presunto figlio si rivela figliastro del suo tempo. Cos Schopenhauer fin dalla prima giovent si ribell a quella falsa, vana e indegna madre che era la sua epoca, e mentre, per cos dire, la cacciava via da s, purificava e sanava il suo essere e ritrovava se stesso nella salute e nella purezza che gli erano proprie. Perci gli scritti di Schopenhauer si debbono utilizzare come specchio del tempo: e certamente non dipende da un difetto dello specchio se in esso ogni attualit appare solo come una malattia deturpante, come magrezza o pallore, come occhi incavati e volti spossati, quasi sofferenze riconoscibili di quell'essere figliastro. La nostalgia per una natura forte, per una umanit sana e semplice, in lui era nostalgia di se stesso; e non appena in s ebbe vinto il tempo, dovette anche vedere, con occhio anche stupito, il Genio che era in lui. Ora il segreto del suo essere gli era svelato, resa vana l'intenzione di quella matrigna l'epoca di nascondergli il Genio: il regno della physis trasfigurata era scoperto. Ora volgendo lo sguardo impavido alla domanda: qual il valore in assoluto dell'esistenza? non doveva pi condannare un'epoca confusa e sbiadita insieme alla sua vita torbida e ipocrita. Ben sapeva che su questa terra si pu trovare e raggiungere qualcosa di pi alto e pi puro di una simile vita attuale e che chiunque giudichi e conosca l'esistenza solo sulla base di questa odiosa forma, le fa una amara ingiustizia. No, ora il genio stesso viene invocato per sentire se questo, il supremo frutto della vita, possa forse giustificare la vita in generale; l'uomo magnifico e creatore dovr rispondere alla domanda: approvi tu dunque, nel profondo del tuo cuore, questa esistenza? Ti sufficiente? Vuoi esserne il difensore e il redentore? Soltanto un unico e sincero s! dalla tua bocca e la vita cos pesantemente sotto accusa sar libera. Quale sar la sua risposta? Quella di Empedocle.
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Non ha importanza se quest'ultimo accenno rimarr per ora incompreso: ora mi interessa qualcosa di molto pi accessibile, e cio spiegare come noi tutti attraverso Schopenhauer possiamo educarci contro il nostro tempo poich abbiamo il vantaggio, grazie a lui, di conoscerlo veramente. Ammesso che sia un vantaggio! certo tuttavia che tra un paio di secoli ci non sarebbe proprio pi possibile. Mi diverto all'idea che gli uomini ben presto saranno finalmente stufi di leggere e cos pure gli scrittori; che

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un bel giorno lo scienziato si ravveder e far testamento disponendo che il suo cadavere sia bruciato nel bel mezzo di tutti i suoi libri, anzi delle sue proprie opere. E se i boschi dovessero divenire sempre pi rari, non si potrebbe forse arrivare al momento in cui si utilizzeranno le biblioteche come legno, paglia e sterpi? Che forse la maggior parte dei libri non nata dal fumo e dal vapore delle teste: ritornino quindi a essere fumo e vapore. E se in loro non vi era fuoco, appunto il fuoco li dovr punire per questo. Sarebbe dunque possibile che, per un'epoca futura, forse proprio il nostro secolo debba essere considerato, un saeculum obscurum; appunto perch con i suoi prodotti, si sarebbero alimentate pi a lungo e con pi solerzia le stufe! Come siamo quindi fortunati a poter conoscere ancora questa epoca! Se infatti ha in generale un senso occuparsi del proprio tempo, comunque una fortuna potersene occupare il pi a fondo possibile, tanto da dissipare ogni dubbio su di esso: e proprio questo ci garantisce Schopenhauer. Certo, cento volte maggiore sarebbe la nostra fortuna se da questa analisi risultasse che, finora, non c'era stata nessuna altra epoca cos orgogliosa e ricca di speranza come la nostra. Del resto anche attualmente esistono persone ingenue in un qualche angolo della terra, per esempio in Germania, disposte a credere una cosa simile, anzi con la massima seriet affermano che da un paio di anni il mondo si sarebbe corretto, e che colui che forse ha sull'esistenza gravi e tenebrose riserve, sarebbe contraddetto dai fatti. I fatti starebbero cos: la fondazione del nuovo impero tedesco avrebbe dato il colpo decisivo e annientatore contro ogni filosofare pessimistico e su questo non si potrebbe nemmeno discutere. Chi invece voglia rispondere proprio alla domanda circa il significato del filosofo come educatore del nostro tempo, deve rispondere a questa concezione molto diffusa e perfino molto seguita nelle universit, in questo modo: uno scandalo e una vergogna che una adulazione cos ripugnante e cos idolatrica del tempo possa essere espressa e ripetuta dai cosiddetti benpensanti e degni di onore una prova di come non si abbia pi la minima consapevolezza della distanza che esiste tra la seriet della filosofia e la seriet di un giornale. Tali uomini hanno perduto l'ultimo residuo non solo di un sentire filosofico, ma anche religioso, e tutto ci non l'hanno barattato certo con l'ottimismo ma con il giornalismo, con lo spirito, o non-spirito, del giorno e dei quotidiani. Ogni filosofia che creda rimandato e risolto il problema dell'esistenza da un avvenimento politico una filosofia da farsa o una pseudo-filosofia. Pi volte ormai, da quando il mondo esiste, si sono fondati gli Stati; questa una vecchia storia. Come dovrebbe un rinnovamento politico essere sufficiente a rendere, una volta per tutte, gli uomini appagati abitatori della terra? Ma se qualcuno nel profondo del suo cuore crede veramente che ci sia possibile, allora si faccia avanti: merita in verit di diventare professore di filosofia in una universit tedesca, come Harms a Berlino, Jurgen Meyer a Bonn e Carrire a Monaco. Quindi subiamo, tuttavia, le conseguenze di quella dottrina predicata di recente da tutti i tetti, secondo cui il fine supremo dell'umanit sarebbe lo Stato e per un uomo non ci sarebbe pi alto dovere del servire lo Stato: in ci io non vedo una ricaduta nel paganesimo ma nella stupidit. Pu essere che un uomo, che vede nel servizio allo Stato il suo dovere supremo, non conosca realmente altri obblighi superiori; ma proprio perci dall'altra parte esistono altri uomini e altri doveri e uno di questi doveri, che per me almeno vale pi del servire lo Stato, esige che si distrugga la stupidit in ogni sua forma, quindi anche questa stupidit. Perci in questa sede mi oc-

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cupo di un tipo di uomini la cui teleologia addita un po' oltre il bene di uno Stato, cio dei filosofi, e anche di questi solo riguardo a un mondo a sua volta abbastanza indipendente dal bene dello Stato, quello della cultura. Dei molti anelli che, messi alla rinfusa, formano la comunit umana, alcuni sono d'oro altri di similoro. Com' dunque che il filosofo considera la cultura nella nostra epoca? Certo in modo diverso da quei professori di filosofia soddisfatti del loro Stato. Se considera la fretta generale, la crescente velocit di caduta, la fine di ogni contemplativit e semplicit, quasi come se avvertisse i sintomi di una completa distruzione e sradicamento della cultura. Le acque della religione si ritirano lasciando acquitrini e paludi; di nuovo le nazioni si dividono nella massima ostilit e bramano dilaniarsi. Le scienze, esercitate senza alcuna misura e nel pi cieco laisser faire, sminuzzano e dissolvono ogni salda credenza; i ceti e gli stati civili vengono travolti da una economia del denaro enormemente spregevole. Mai il mondo fu pi mondo, pi povero di amore e di bont. I ceti colti non rappresentano pi il faro o l'asilo in mezzo a tutta questa inquietudine di secolarizzazione; essi stessi, giorno per giorno, si fanno pi irrequieti, privi di pensiero e di amore. Tutto serve alla barbarie ventura, comprese l'arte e la scienza attuali. La persona colta degenerata ormai nel nemico pi grande della cultura, perch vuole negare la malattia generale ed di impedimento ai medici. Questi poveri diavoli, ormai allo stremo delle forze, si amareggiano se si parla della loro debolezza o se ci si oppone al loro dannoso spirito menzognero. Anche troppo volentieri vorrebbero far credere di aver riportato la vittoria su tutti i secoli e si muovono con artificiosa allegria. Il loro modo di fingere felicit ha intanto qualcosa di toccante, perch la loro felicit del tutto inconcepibile. Non si vorrebbe neppure porre loro la domanda di Tannhuser a Biterolf: Che cosa hai mai goduto tu, disgraziato?. Infatti, ohim, noi stessi gi sappiamo tutto meglio e diversamente! Su di noi incombe un giorno invernale, e noi abitiamo sugli alti monti, pericolosamente e nella miseria. Breve ogni gioia e pallido ogni raggio di sole che sulle bianche montagne scivola fino a noi. Ma ecco risuonare della musica: un vecchio gira un organetto, i ballerini volteggiano a questa vista il viandante sconvolto: cos selvaggio, cos chiuso, cos incolore, cos privo di speranza il tutto, ed ecco, qui, un suono di gioia, di vera gioia spensierata! Ma gi avanzano furtive le nebbie della prima sera, il suono si smorza, il passo del viandante scricchiola; fin dove il suo sguardo si spinge, non vede che il volto desolato e terribile della natura. Ammesso, per, che mettere in risalto solo la debolezza delle linee e l'ottusit dei colori nel quadro della vita moderna sia troppo unilaterale, l'altro lato non affatto pi rallegrante, ma anzi tanto pi inquietante. Vi sono certo forze, forze enormi, ma selvagge, primordiali e del tutto impietose. In angosciosa attesa si guarda ad esse come al crogiuolo della cucina di una strega: da un momento all'altro pu esserci un sussulto o un lampo ad annunciare apparizioni tremende. Da un secolo siamo preparati a vere e proprie scosse dalle fondamenta; e se di recente si cercato di contrapporre a questa profondissima tendenza moderna a rovinare o a esplodere, la forza costitutiva del cosiddetto Stato nazionale, anche questo, per molto tempo ancora, non sar altro che un incremento alla insicurezza e alla minaccia generale. Che i singoli si comportino come se non sapessero nulla di queste angosce, non ci induce in errore: la loro inquietudine testimonianza di quanto invece ne siano pienamente consapevoli; essi pensano a se stessi con una furia ed una esclusivit con cui mai degli uomini hanno pen-

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sato a se stessi. Essi costruiscono e piantano per il loro giorno, e la caccia alla felicit non potr mai essere pi grande di quando dev'essere afferrata tra l'oggi e il domani: perch dopo domani, forse, la stagione della caccia sar definitivamente chiusa. Noi viviamo l'epoca degli atomi, del caos atomistico. Le forze ostili nel medioevo furono, pi o meno, tenute insieme dalla Chiesa e, per la forte pressione esercitata da questa, assimilate in qualche modo l'una all'altra. Quando il vincolo si spezza e la pressione diminuisce, ognuno insorge contro l'altro. La Riforma dichiaro molte cose come adiaphora, mbiti cio che non dovevano essere determinati dal pensiero religioso; questo fu il prezzo a cui le venne concesso di vivere: come gi il cristianesimo, opponendosi alla ben pi religiosa antichit, afferm la sua esistenza a un pari prezzo. Da quel momento (a spaccatura and allargandosi sempre di pi. Ora quasi tutto sulla terra determinato dalle forze pi rozze e peggiori, dall'egoismo degli affaristi e dai tiranni militari. Lo Stato, nelle mani di questi ultimi cos come l'egoismo degli affaristi fa certo il tentativo di riorganizzare tutto di sua iniziativa ed essere, quindi, vincolo e pressione per tutte quelle forze ostili: desidera, cio, che gli uomini abbiano verso di lui la stessa idolatria che prima riservavano alla Chiesa. Ma con quale successo? ancora da vedersi; ancora ci troviamo in ogni caso nella corrente trascinatrice di ghiacci del Medioevo; cominciato il disgelo e un violento movimento devastatore ha avuto inizio. Lastre di ghiaccio precipitano su lastre di ghiaccio, tutte le rive sono inondate, minacciate. Non si pu assolutamente evitare la rivoluzione, quella atomistica; ma quali sono gli elementi pi piccoli e indivisibili della societ? Non c' dubbio che con l'avvicinarsi di tali periodi l'umano forse in un pericolo maggiore che non durante il crollo e il vortice caotico stesso, e che questa angosciosa attesa e lo sfruttamento avido del minuto fanno emergere tutte le vilt e i pi egoistici istinti dell'anima. Mentre la reale calamit e, soprattutto, la generalit di una grande calamit, di solito, migliora e riscalda gli uomini. Chi dunque, in questi pericoli della nostra epoca, dedicher i suoi servigi di guardia e di cavaliere sY umanit, al sacro e inviolabile tesoro del tempio, che le pi diverse generazioni, a poco a poco, hanno raccolto? Chi terr alta Ymmagine dell'uomo, mentre tutti gli altri sentono in s soltanto il verme dell'egoismo e la vile paura, e tanto sono decaduti da quell'immagine da ridursi alla bestialit o addirittura alla rigida meccanicit? Tre sono le immagini dell'uomo che la nostra epoca moderna ha innalzato, l'una dopo l'altra, e dalla cui vista i mortali, certo per molto tempo ancora, prenderanno l'impulso per una trasfigurazione della propria vita: queste sono l'uomo di Rousseau, l'uomo di Goethe e infine l'uomo di Schopenhauer. Di queste, la prima immagine ha il fuoco maggiore e certamente l'effetto pi popolare; la seconda fatta solo per pochi, cio per quelle nature contemplative in grande stile, mentre fraintesa dalla massa. La terza pretende di essere considerata dagli uomini pi attivi: solo costoro la possono contemplare senza danni; infatti estenua i contemplativi e terrorizza la massa! Dalla prima immagine venuta fuori una forza tale da spingere, allora e tuttora, a tempestose rivoluzioni; in qualsiasi sommovimento o terremoto socialista, infatti, sempre l'uomo di Rousseau che si muove come il vecchio Tifone sotto l'Etna. Oppresso e quasi schiacciato da caste superbe, da una ricchezza spietata, guastato dai preti e da una cattiva educazione, umiliato davanti a se stesso da ridicoli costumi, l'uomo nel suo bisogno invoca la santa natura e improvvisamente sente che essa lontana da lui quanto una qualche divinit epicurea. Le sue preghiere

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non la raggiungono: tanto egli sprofondato nel caos della non-natura. Sprezzante getta via da s tutti i variopinti ornamenti che fino a poco prima gli apparivano come le sue caratteristiche pi umane: le sue arti e scienze, i privilegi della sua vita raffinata; colpisce con il pugno le mura alla cui ombra si cos degenerato e invoca la luce, il sole, il bosco e la roccia. E quando grida solo la natura buona; solo l'uomo naturale umano, disprezza se stesso e anela al di l di se stesso: uno stato d'animo in cui l'anima pronta a terribili decisioni, ma che evoca dalle sue profondit anche ci che c' di pi nobile e raro. L'uomo di Goethe non una forza cos minacciosa, anzi in un certo senso, perfino un correttivo e un calmante proprio di quelle pericolose irrequietezze a cui l'uomo di Rousseau abbandonato. Goethe stesso nella sua giovent, con tutto il suo cuore pieno d'amore, ha aderito al vangelo della natura buona; il suo Faust fu l'immagine pi alta e pi ardita dell'uomo di Rousseau, almeno in quanto si doveva rappresentarne la fame cocente di vita, la scontentezza e l'anelito, la sua familiarit con i demoni del cuore. Ma ora si guardi che cosa pu scaturire da tutte queste nuvole che si sono addensate non certo un lampo! E proprio qui si manifesta l'immagine nuova dell'uomo, dell'uomo goethiano. Si potrebbe pensare che Faust fu condotto attraverso la vita, ovunque repressa, come ribelle insaziabile e liberatore, come forza negatrice per bont, come vero e proprio genio della rivolta, quasi religioso e demoniaco, all'opposto del suo accompagnatore nient'affatto demoniaco, sebbene non possa liberarsene e debba utilizzare, e disprezzare a un tempo, la sua scettica malvagit e negazione quanto tragica la sorte di ogni ribelle e liberatore! Ma ci si sbaglia aspettandosi qualcosa del genere; l'uomo di Goethe qui evita l'uomo di Rousseau; giacch egli odia ogni forma di violenza, ogni salto il che significa per: ogni azione; e cos Faust, liberatore del mondo, diventa quasi soltanto uno che viaggia per il mondo. Tutti i regni della vita e della natura, tutte le epoche passate, le arti, le mitologie, tutte le scienze se lo vedono passare davanti, contemplatore insaziabile, la brama pi profonda eccitata e placata, la stessa Elena non lo trattiene a lungo ed ecco venire il momento che il suo sarcastico accompagnatore aspetta in agguato. In un punto qualunque della terra il volo ha fine, le ali si abbassano, ed ecco qui Mefistofele. Se il Tedesco smette di essere Faust non v' pericolo pi grande di quello di diventare un filisteo e cadere in potere del diavolo solo forze celesti possono salvarlo. L'uomo di Goethe come ho detto l'uomo contemplativo in grande stile che non langue sulla terra solo perch raccoglie per il suo nutrimento tutto ci che di grande e di memorabile vi stato e vi ancora, e cos vive, anche se soltanto un vivere passando da una brama all'altra; egli non l'uomo attivo: anzi se in qualche luogo si inserisce negli esistenti ordinamenti degli uomini attivi, si pu essere certi che non ne verr fuori nulla di buono come il caso di tutto lo zelo che Goethe stesso mostr per il teatro e soprattutto che nessun ordinamento verr rovesciato. L'uomo di Goethe una forza conservatrice e tollerante con il pericolo per, come ho detto, che degeneri nel filisteo cos come l'uomo di Rousseau pu facilmente trasformarsi in un catilinario. Un po' pi di forza muscolare e di naturale selvatichezza e tutte le sue virt sarebbero pi grandi. Sembra che Goethe sapesse dove era il pericolo e la debolezza del suo uomo e vi accenna nelle parole che Jarno rivolge a Wilhelm Meister: Voi siete seccato e amareggiato, e questa una cosa bella e buona: ma se almeno una volta riusciste ad essere veramente cattivo, allora sarebbe ancora meglio.

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Dunque, parlando senza perifrasi: necessario essere una buona volta veramente cattivi, perch sia meglio. A ci ci deve incoraggiare l'immagine dell'uomo di Schopenhauer. L'uomo schopenhaueriano assume su di s il volontario soffrire della veridicit, e questo soffrire gli serve a uccidere la sua propria volont e preparare cos quel completo capovolgimento e rovesciamento del suo essere, il cui raggiungimento il senso vero e proprio della vita. Questo affermare francamente la verit appare agli altri uomini come un effetto della malvagit, poich essi considerano un dovere dell'umanit conservare le loro sciocchezze e le loro bubbole e pensano che si debba essere malvagi per distruggere cos i loro giocattoli. A un tale uomo essi sono tentati di gridare ci che Faust dice a Mefistofele: Ecco tu opponi il freddo pugno del diavolo alla potenza sempre viva e salutarmente creatrice; e chi invece volesse vivere schopenhauerianamente, somiglierebbe forse di pi a un Mefistofele che a un Faust proprio per i pi deboli occhi moderni, che nella negazione vedono sempre il marchio del maligno. Ma c' una modo di negare e di distruggere che invece proprio l'emanazione di quel potente anelito alla santificazione e alla salvezza di cui Schopenhauer fu il primo filosofico maestro, tra noi uomini dissacrati e secolarizzati. Ogni esistenza che pu essere negata, merita anche di esserlo; e essere veritiero significa credere ad un'esistenza che non potrebbe essere assolutamente negata e che essa stessa vera e senza menzogna. Perci colui che veritiero avverte nella sua attivit un significato metafisico, spiegabile secondo le leggi di una vita diversa e superiore, e, nel senso pi profondo, affermativo: anche se tutto ci che fa appare come un distruggere e un infrangere le leggi di questa vita. In ci il suo agire deve diventare una continua sofferenza, ma egli sa ci che anche Meister Eckhart ben sapeva: l'animale pi veloce che ci porta alla perfezione la sofferenza. Dovrei pensare che a chiunque si ponga davanti all'anima una tale direzione di vita, si allarghi il cuore e nasca in lui un desiderio ardente di essere un tale uomo schopenhaueriano: cio pure per s e per il suo personale benessere, di una tranquillit meravigliosa, nella sua conoscenza pieno di fuoco vigoroso e divoratore e molto lontano dalla fredda e sprezzante neutralit del cosiddetto uomo di scienza, molto al di sopra di una contemplazione tetra e annoiata, pronto sempre a offrire se stesso come prima vittima della verit riconosciuta, e compenetrato nel profondo della consapevolezza di quali dolori e sofferenze debbano nascere dalla sua veridicit. Certo egli distrugge la sua felicit terrena con il suo eroismo, deve essere ostile anche verso gli uomini che ama, verso le istituzioni dal cui grembo uscito; non pu risparmiare n uomini n cose, anche se, nel ferirle, soffre con loro; sar misconosciuto e considerato a lungo alleato di quelle forze che egli pi disprezza, dovr, secondo una misura umana della sua visione, essere ingiusto, con tutta la sua aspirazione alla giustizia: tuttavia potr prendere coraggio e consolazione dalle parole che Schopenhauer, suo grande educatore, una volta ha usato: Una vita felice impossibile, il massimo che l'uomo pu raggiungere una vita eroica. Questa la vita che conduce colui che, per un motivo qualsiasi, combatte tra difficolt enormi per tutto ci che, in un modo qualsiasi, sia un bene per gli altri, e alla fine vince, ma in questo male o per niente ricompensato. Alla fine rimane come il principe del Re corvo di Gozzi: pietrificato, ma in nobile atteggiamento e magnanimo aspetto. La sua memoria rimane ed celebrata come quella di un eroe; la sua volont, mortificata durante tutta la vita da fatica e lavoro, dall'insuccesso e dall'ingratutidine del mondo, si dissolve nel Nirvana. Una vita eroica siffatta, unita alle mortificazioni subite nel suo corso, certamente

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ben poco corrisponde al meschino concetto di coloro che vi spendono la maggior parte delle loro parole e celebrano feste in commemorazione dei grandi uomini e pensano che il grande uomo sia appunto grande, come loro sono piccoli, quasi per un dono per proprio piacere, o per un meccanismo e in cieca obbedienza a questa intima costrizione: cos, chi non ha ricevuto il dono o non avverte la costrizione, avrebbe lo stesso diritto a essere piccolo che ha quello a essere grande. Ma ricevere un dono o essere costretto sono espressioni disprezzabili, con cui si vuole sfuggire a un avvertimento interiore, insulti per coloro che hanno prestato ascolto a questo avvenimento, quindi per il grande uomo: proprio lui, infatti, meno di tutti, permette che gli si faccia un dono o una costrizione sa bene, quanto un piccolo uomo, come si possa prendere la vita alla leggera, e quanto morbido sia il letto in cui potrebbe distendersi se si comportasse con se stesso e con i suoi simili con garbo e secondo le consuetudini: e tutti gli ordinamenti dell'uomo tendono proprio a questo, a far s che la vita, in una continua distrazione dei pensieri, non venga avvertita. Perch egli allora vuole con tanta forza il contrario, sentire cio proprio la vita, vale a dire soffrire della vita? Perch egli si accorge che lo si vuole defraudare di se stesso, e che c' una specie di accordo per strapparlo alla sua caverna. Allora recalcitra, drizza le orecchie e decide: voglio rimanere mio!. una decisione terribile; e solo poco alla volta se ne accorge. Ora infatti deve tuffarsi nel profondo dell'esistenza con una serie di domande insolite sulle labbra: perch vivo? Quale lezione devo apprendere dalla vita? Come sono diventato cos come sono, e perch soffro di questo esser-cos? Si tormenta: e vede che nessuno si tormenta cos, che le mani dei suoi simili sono appassionatamente tese ai fantastici avvenimenti che il teatro politico mostra; oppure che essi stessi vanno girando tronfi in cento maschere, come adolescenti, uomini, vecchi, padri, cittadini, preti, impiegati, commercianti assiduamente preoccupati della loro comune commedia e niente affatto di se stessi. Alla domanda a che scopo vivi? tutti risponderanno senza esitare e con orgoglio: per diventare un buon cittadino o un buono studioso o un buono statista, eppure essi sono qualcosa che non pu diventare nulla di diverso; e perch sono proprio questo? E, purtroppo, niente di meglio? Chi intende la propria vita solo come un punto nello sviluppo di una generazione o di uno Stato o di una scienza e vuole, quindi, appartenere completamente al racconto del divenire, alla storia, non ha compreso la lezione impartitagli dall'esistenza e deve impararla un'altra volta. Questo eterno divenire un ingannevole teatrino di marionette, per il quale l'uomo dimentica se stesso; la vera e propria distrazione che disperde l'individuo a tutti i venti, l'infinito e sciocco giuoco che il tempo, grande fanciullo, giuoca davanti a noi e con noi. L'eroismo della veridicit consiste dunque nello smettere un giorno di essere il giocattolo del tempo. Nel divenire tutto vuoto, ingannevole, piatto e degno del nostro disprezzo; l'enigma che l'uomo deve sciogliere, lo pu risolvere solo partendo dall'essere, nell'essere cos e non in altro modo, in ci che non soggetto al trapasso. Ora egli comincia a esaminare in quale misura sia concresciuto con il divenire, e in quale misura con l'essere un compito immane si erge davanti alla sua anima: distruggere tutto ci che diviene, portare alla luce tutto ci che vi di falso nelle cose. Anche egli vuole conoscere tutto, ma lo vuole in modo diverso dall'uomo goethiano, non per una nobile debolezza, per conservare se stesso e dilettarsi della molteplicit delle cose; anzi egli stesso la prima vittima che offre a s. L'uomo eroico disprezza il suo benessere o il suo malessere, le sue virt e i suoi vizi e comunque il misurare le cose su se stes-

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so; da se stesso non si aspetta pi nulla e in tutte le cose vuole penetrare con lo sguardo fino a raggiungere questo fondo privo di speranza. La sua forza nel dimenticare se stesso; e se si ricorda di s, misura la distanza tra il suo sommo fine e se stesso, ed come se vedesse dietro e sotto di s un meschino ammasso di scorie. Gli antichi pensatori cercarono con tutte le loro forze la felicit e la verit ma mai l'uomo trover ci che costretto a cercare, cos suona il malvagio principio della natura. Ma per chi cerca in tutte le cose la non verit e volontariamente si fa compagno dell'infelicit, si prepara forse un altro miracolo della delusione: qualcosa di indicibile, di cui felicit e verit non sono che idolatriche imitazioni, gli si avvicina, la terra perde la sua gravit, gli eventi e le forze della terra diventano elementi di un sogno come nelle sere di estate, intorno a lui tutto si trasfigura. Per chi sta a osservare come se proprio allora cominciasse a svegliarsi, come se ancora le nubi di un sogno che si dilegua giocassero intorno a lui. Ma anche queste saranno dissipate: e allora sar giorno. 5. Tuttavia ho promesso di rappresentare Schopenhauer come educatore secondo le mie esperienze, a tal scopo non basta certo che io dipinga, per di pi con espressione imperfetta, quell'uomo ideale che domina dentro e intorno a Schopenhauer, quasi fosse la sua idea platonica. Rimane ancora la cosa pi difficile: cio, come si possa acquisire da questo ideale un nuovo ambito di doveri e come ci si possa mettere in relazione con uno scopo cos esaltante mediante una attivit regolare: dimostrare in breve che quell'ideale, appunto, educa. Si potrebbe altrimenti pensare che non si tratti altro che di quella visione beatificante e inebriante che alcuni momenti ci riservano, per poi, subito dopo, abbandonarci di nuovo e lasciarci in balia di una scontentezza ancor pi profonda. pur certo che cos inizia il nostro rapporto con questo ideale, con questi improvvisi stacchi di luce e oscurit, di rapimento e di ripugnanza, ripetendosi cos un'esperienza che antica quanto gli ideali stessi. Ma non dobbiamo indugiare oltre sulla porta, e veloci dobbiamo bens oltrepassare la soglia. E cos si deve chiedere con seriet e determinazione: possibile avvicinarsi tanto a quel fine incredibilmente alto, in modo che esso ci educhi mentre ci innalza? Affinch in noi non si compia la grande massima di Goethe: l'uomo nato per una condizione limitata, riesce a scorgere fini determinati, semplici e vicini, e si abitua a utilizzare i mezzi che gli sono a portata di mano; ma non appena si spinge oltre non sa n quel che vuole n quel che deve, e per lui del tutto indifferente che sia distratto dalla quantit degli oggetti o che l'altezza e la dignit di questi lo pongano al di fuori di s. La sua sventura sta sempre nell'essere indotto ad aspirare a qualcosa con cui riesce a collegarsi mediante un'attivit autonoma e regolare. E questo, con una certa parvenza di ragione, si potrebbe obiettare proprio a quell'uomo di Schopenhauer: che la sua dignit e grandezza possono solo porci al di fuori di noi stessi, e quindi al di fuori anche da tutte le societ degli uomini attivi; connessione dei doveri, flusso della vita, sono finiti. Forse qualcuno finir per abituarsi a scindersi a malincuore e a vivere secondo due direttive, cio in contraddizione con se stesso, vagando incerto qua e l, e quindi ogni giorno pi debole e sterile; mentre qualcun altro rinuncia, addirittura in linea di principio, ad operare con gli altri e a malapena sta ancora a guardare gli altri che agiscono. I pericoli sono sempre grandi quando per l'uomo il compito diventa troppo difficile ed egli non pi in grado di adempiere ad alcun do-

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vere; anche le nature pi forti ne possono essere distrutte, le pi deboli e le pi numerose sprofondano in una ignavia contemplativa e alla fine, sempre per ignavia, perdono anche la capacit di contemplare. A tali obiezioni, ora, voglio opporre solo che il nostro lavoro appena all'inizio e che, dopo le mie esperienze, solo una cosa vedo e so gi con determinatezza: partendo da quell'immagine ideale possibile attaccare sia a me che a te una catena di doveri assolvibili, e alcuni di noi gi ne sentono il peso. Ma per esprimere senza esitazioni la formula con cui vorrei riassumere quella nuova cerchia di doveri, ho bisogno delle seguenti considerazioni preliminari. Gli uomini pi profondi hanno sempre provato compassione per gli animali, perch essi soffrono della vita e tuttavia non possiedono la forza di volgere contro se stessi l'aculeo della sofferenza e intendere la propria esistenza metafisicamente; certo vedere la sofferenza insensata, suscita indignazione nel pi profondo dell'anima. Perci nacque, e non in un solo luogo della terra, la supposizione che le anime degli uomini colpevoli, fossero nascoste in questi corpi animali e che quel dolore senza senso, che al primo sguardo suscita indignazione, acquisti pieno significato alla luce della giustizia eterna, cio come pena e espiazione. certo una pena ben grave vivere cos, come una bestia, tra fame e cupidigia, e senza giungere mai ad alcuna consapevolezza di questa vita; n si potrebbe pensare sorte pi dura di quella della bestia da preda che spinta nel deserto da un tormento che la rode al massimo; di rado appagata, ma se lo , lo solo nel momento in cui l'appagamento diventa pena, cio nella lotta dilaniante con altri animali o per l'avidit e la saziet pi disgustose. Essere cos ciecamente e stoltamente attaccati alla vita, senza alcuna prospettiva di un premio superiore, ben lontani dal sapere che cos si puniti e perch, bens anelare a questa pena, come a una felicit con la stoltezza di una orribile brama questo significa essere una bestia; e se vero che tutta la natura tende all'uomo, essa cos ci fa capire che l'uomo necessario alla sua liberazione dalla condanna della vita bestiale e che, infine, l'esistenza in lui ha dinanzi a s uno specchio, sul cui fondo la vita non appare pi senza senso, ma in tutto il suo significato metafisico. Riflettiamo dunque: dove finisce la bestia e dove comincia l'uomo? Quell'uomo che solo importa alla natura! Finch si aspira alla vita come a una felicit, non si ancora sollevato lo sguardo al di sopra dell'orizzonte della bestia, si vuole soltanto con maggiore consapevolezza ci che la bestia cerca spinta da cieco istinto. Ma cos succede a noi tutti per la maggior parte della vita: in genere non usciamo dalla bestialit, noi stessi siamo le bestie che sembrano soffrire senza senso. Ci sono momenti, per, in cui ce ne rendiamo conto: allora le nuvole si squarciano e vediamo come, insieme con la natura, tendiamo verso l'uomo, come verso qualcosa che al di sopra di noi. Rabbrividendo, in quell'improvviso chiarore ci guardiamo indietro e intorno: l corrono le raffinate bestie da preda e noi in mezzo a loro. L'immenso agitarsi degli uomini sul grande deserto della terra, il loro fondare citt e Stati, il loro guerreggiare, il loro instancabile adunarsi e disperdersi, il loro correre confusamente, il loro apprendere l'uno dall'altro, il loro reciproco ingannarsi e calpestarsi, il loro gridare nella disgrazia e il loro ululare di gioia nella vittoria tutto continuazione della bestialit: come se l'uomo dovesse intenzionalmente essere educato alla rovescia ed essere defraudato della sua disposizione metafisica, come se anzi la natura, dopo aver desiderato e lavorato tanto a lungo per l'uomo, adesso si ritiri tremante da lui e preferisca

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ritornare all'inconsapevolezza dell'istinto. Oh, essa ha bisogno di conoscere, ma inorridisce davanti alla conoscenza che le veramente necessaria; cos la fiamma vacilla inquieta qua e l, quasi spaventata di se stessa, e afferra mille cose prima di afferrare ci per cui la natura in generale ha bisogno della conoscenza. Noi tutti sappiamo, in singoli momenti, che le pi vaste imprese della nostra vita vengono realizzate solo per sfuggire al nostro vero compito, e che volentieri nasconderemmo da qualche parte la nostra testa, come se, cos, la nostra coscienza dai cento occhi non potesse coglierci; che, frettolosamente, doniamo il nostro cuore allo Stato, al guadagno, alla socievolezza o alla scienza soltanto per non possederlo pi, e che ci abbandoniamo al pesante lavoro quotidiano con pi impeto e sconsideratezza di quanto non sia necessario per vivere: perch ci sembra pi necessario non giungere alla riflessione. Generale la fretta perch ciascuno in fuga da se stesso, generale anche il pavido nascondere questa fretta, perch si vorrebbe apparire contenti e ingannare gli osservatori pi acuti circa la propria miseria; generale il bisogno di nuove sonanti parole, adornata delle quali la vita dovrebbe ricevere un po' di clamore e solennit. Ognuno di noi conosce quella particolare condizione in cui, improvvisamente, ricordi spiacevoli si affollano e noi ci sforziamo, con gesti e suoni violenti, di scacciarli dalla mente: ma i gesti e i suoni della vita comune lasciano indovinare che noi tutti ci troviamo sempre in una condizione del genere, nel timore del ricordo e dell'interiorizzazione. Ma cos' che ci aggredisce cos spesso, quale zanzara non ci lascia dormire? Intorno a noi c' un'atmosfera spettrale, ogni attimo della vita vuol dirci qualcosa, ma noi non vogliamo ascoltare queste voci di fantasmi. Temiamo, quando siamo soli e in silenzio, che qualcosa ci venga bisbigliato all'orecchio e cos odiamo il silenzio e ci stordiamo con la vita in societ. Di tanto in tanto, come ho detto, capiamo tutto questo e ci meravigliamo molto di tutta la vertiginosa paura e furia, di tutta la condizione di sogno della nostra vita, che sembra aver orrore del risveglio e che sogna con tanta pi vivacit e inquietudine quanto pi si avvicina a questo risveglio. Ma allo stesso tempo sentiamo di essere troppo deboli per sopportare a lungo quei momenti del pi profondo raccoglimento e di non essere mai quegli uomini, verso cui tutta la natura tende per la sua redenzione; gi molto se, in qualche modo, riusciamo a emergere un po' con la testa e ci accorgiamo in quale corrente siamo profondamente immersi. Ma anche questo non ci riesce con la nostra propria forza questo emergere e svegliarsi per un fugace momento dobbiamo bens essere sollevati e chi sono coloro che ci sollevano? Sono quei veri uomini, quei non-pi-bestie, i filosofi, gli artisti e i santi; al loro apparire e per il loro apparire, la natura, che non fa mai salti, fa il suo unico salto e cio un salto di gioia, perch per la prima volta si sente vicina alla mta, l dove, cio, intende che deve disimparare ad avere mte, e che ha giocato troppo alto il gioco della vita e del divenire. In questa conoscenza essa si trasfigura ed una soave stanchezza serale, ci che gli uomini - chiamano la bellezza, riposa sul suo volto. Quanto essa ora esprime con questi lineamenti trasfigurati la grande illuminazione sull'esistenza; e il massimo desiderio, che mai mortali possano avere, di partecipare di continuo e con orecchie bene aperte a questa illuminazione. Se si riflette, per esempio, a tutto ci che Schopenhauer, nel corso della sua vita, deve aver udito, si pu ben dire dopo a se stessi: Ah, le tue sorde orecchie, la tua ottusa testa, il tuo vacillante intelletto, il tuo cuore raggrinzito, tutto ci che io chiamo mio! Come lo disprezzo! Non poter volare, ma solo sbattere le

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ali! Ah, veder al di sopra di s e non potersi innalzare! Conoscere, e quasi intraprendere, il cammino che conduce a quell'incommensurabile libero sguardo del filosofo, ma dopo pochi passi ritornare indietro barcollando! E se esistesse solo un giorno in cui quel gran desiderio si adempisse, quanto volentieri si offrirebbe in cambio il resto della vita! Innalzarsi, quanto mai pensatore si innalz, fin alla pura aria delle Alpi e dei ghiacciai, l dove non esistono pi nebbie o foschie, dove la costituzione fondamentale delle cose si esprime rudemente e rigidamente, ma con inevitabile intellegibilit! Nel solo pensiero di ci l'anima diventa solitaria e infinita; ma se il suo desiderio si adempisse, il suo sguardo cadrebbe sulle cose diretto e illuminante come un raggio di luce, se morisse la vergogna, la paura e le bramosie quali parole potrebbero definire la sua condizione, quella nuova e enigmatica emozione senza eccitazione con la quale essa, come l'anima di Schopenhauer, riposa e si diffonde sull'immenso ideogramma dell'esistenza, sull'insegnamento pietrificato del divenire, non come notte, ma come luce rovente e vermiglia che inonda il mondo. E quale sorte, al contrario, presentire la destinazione e la beatitudine proprie del filosofo, tanto da intendere tutta l'incertezza e l'infelicit del non filosofo e di colui che brama senza speranza! Sapersi come un frutto sull'albero che per la troppa ombra non potr mai maturare e vedere davanti a s, vicinissimo, il raggio del sole, di cui si ha bisogno!. Questo sarebbe un tormento sufficiente a rendere invidioso e maligno un uomo cos malamente dotato, ammesso che possa diventare invidioso e maligno; ma forse finir per volgere altrove la sua anima, perch non si consumi in un vano anelito e scoprir quindi una nuova cerchia di doveri. Eccomi dunque giunto a rispondere all'interrogativo se sia possibile, mediante una regolare attivit autonoma, collegarsi al grande ideale dell'uomo di Schopenhauer. Prima di tutto questo certo: quei nuovi doveri non sono i doveri di un isolato; con loro si parte integrante di una potente comunit, che tenuta insieme non da forme e leggi esteriori, bens da un pensiero fondamentale. Questo il pensiero fondamentale della cultura in quanto sa dare a ognuno di noi un compito: favorire il formarsi del filosofo, dell'artista e del santo in noi e fuori di noi e cos collaborare al perfezionamento della natura. Infatti, come la natura ha bisogno del filosofo, cos ha bisogno dell'artista, per uno scopo metafisico, e cio per la propria illuminazione su se stessa, sicch finalmente le si ponga di fronte, come immagine pura e compiuta, ci che non riesce a vedere chiaramente nell'irrequietezza del suo divenire dunque per l'autoconoscenza. Fu Goethe a far notare, con parole superbamente profonde, come tutti i tentativi servano alla natura perch l'artista alla fine ne intuisca il balbetto e le vada incontro e esprima ci che ella, veramente, intende con i suoi tentativi. L'ho gi detto spesso esclama egli una volta e lo ripeter ancora spesso, la causa finalis dell'agire dell'uomo e del mondo la poesia drammatica. Altrimenti tutta questa roba completamente inutilizzabile. E cos, infine, la natura ha bisogno del santo, in cui l'io completamente fuso e la cui vita sofferente non pi, o non quasi pi avvertita individualmente, bens come un profondo sentimento di eguaglianza, partecipazione e unit con tutto ci che vivente: del santo nel quale si manifesta quel miracolo della metamorfosi, che il gioco del divenire non coglie mai, quel finale, supremo processo di umanizzazione a cui tutta la natura tende e incalza, per la sua redenzione da se stessa. Non c' dubbio, tutti noi siamo affini e legati col santo cos come lo siamo col filosofo e coll'artista; vi sono momenti e quasi scintille del pi limpido amoroso fuoco, alla cui luce non in-

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tendiamo pi la parola io; al di l del nostro essere c' qualcosa che in quei momenti diventa un al di qua e perci dal pi profondo del cuore noi bramiamo il ponte tra qui e l. Nella nostra condizione abituale non possiamo certo contribuire in niente alla generazione dell'uomo redentore, perci in questa condizione ci odiamo, un odio che la radice di quel pessimismo che solo Schopenhauer doveva insegnare di nuovo nella nostra epoca, ma che antico quanto lo l'anelito alla cultura. Le sue radici, ma non i suoi bocci, in un certo modo il suo piano pi basso, ma non il suo frontone, l'inizio del suo cammino, ma non il suo fine; infatti, in un dato momento, dobbiamo pur imparare a odiare qualche altra cosa, qualcosa di pi generale, non pi il nostro individuo e la sua misera limitatezza, i suoi mutamenti e la sua inquietudine: in quello stato elevato in cui ameremo anche qualche cosa diversa da ci che ora possiamo amare. Solo quando, nell'attuale nascita o in una fortuna, noi stessi faremo parte di quel sublime ordine dei filosofi, degli artisti e dei santi, sar noi dato anche un nuovo scopo al nostro amore e al nostro odio per il momento noi abbiamo il nostro compito e la nostra cerchia di doveri, il nostro odio e il nostro amore. Infatti sappiamo cos' la cultura. Essa vuole, per applicarla all'uomo di Schopenhauer, che ne prepariamo e ne favoriamo una sempre nuova generazione, imparando a distinguere e eliminando dal nostro cammino tutto ci che le ostile in breve vuole che noi combattiamo instancabilmente contro tutto ci che ci ha fatto perdere il massimo adempimento della nostra esistenza, impedendoci di divenire uomini schopenhaueriani. 6. Talvolta pi difficile ammettere un fatto che comprenderlo; ed appunto quanto pu accadere a molti che riflettono sulla frase: l'umanit deve adoperarsi di continuo per generare singoli grandi uomini questo e nessun altro il suo compito. Quanto volentieri si vorrebbe applicare alla societ e ai suoi scopi un insegnamento, che si pu ricavare dall'osservazione di una qualsiasi specie del regno animale o vegetale, che, cio, in questa specie ci che importa soltanto il singolo esemplare superiore, pi straordinario, potente, complicato e fecondo quanto sarebbe bello tutto ci, se illusorie idee, inculcate con l'educazione, sulle finalit della societ, non vi si opponessero con tenacia! In verit facile comprendere che l, dove una specie giunge ai suoi confini e al suo trapassare in una specie superiore, c' lo scopo del suo sviluppo, non per nella massa degli esemplari e del loro benessere, o addirittura negli esemplari che, in ordine di tempo, sono gli ultimi, bens, proprio in quelle esistenze apparentemente disperse e casuali che, talvolta, in condizioni favorevoli si realizzano qua e l: e altrettanto di facile comprensione dovrebbe essere anche l'esigenza che l'umanit, per giungere a essere consapevole del proprio fine, deve ricercare e produrre quelle condizioni propizie, in cui possono nascere quei grandi uomini redentori. Ma non so quante cose si oppongono a ci: qui quest'ultimo fine dovrebbe trovarsi nella felicit di tutti o dei pi, l nello sviluppo di grandi collettivit; e cos colui che velocemente si decide a sacrificare la propria vita, ad esempio, a uno Stato, si comporterebbe invece con lentezza e cautela se tale sacrificio lo pretendesse non uno Stato ma un singolo. Sembra una cosa insensata che un uomo possa esistere per un altro uomo: piuttosto per tutti gli altri, o almeno per il maggior numero possibile!. O galantuomo! come se fosse pi sensato far decidere al numero, laddove si tratta di valore e di significato! Il problema infatti : co-

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me pu la tua vita, vita di un singolo, acquistare il valore supremo e il significato pi profondo? In che modo pu essere meno sprecata? Certo vivendo soltanto a vantaggio degli esemplari pi rari e pi preziosi e non a vantaggio dei pi, degli esemplari cio che, singolarmente presi, hanno minor valore. Proprio questa determinazione dovrebbe essere inculcata e coltivata in un giovane in modo che intenda se stesso quasi come opera mal riuscita della natura, ma allo stesso tempo come testimonianza delle maggiori e pi meravigliose intenzioni di questo artista: questa volta l'opera le riuscita male dovrebbe dirsi ma voglio far onore alla sua grande intenzione, mettendomi al suo servizio perch possa riuscire un'altra volta. Con questo proposito egli si pone nell'ambito della cultura', essa infatti figlia dell'autoconoscenza di ogni singolo e dell'insoddisfazione di s. Colui che le si riconosce devoto, si esprime cos: sopra di me vedo qualcosa di pi elevato e pi umano di quanto io stesso sono, aiutatemi tutti a raggiungerlo, cos come io voglio aiutare chiunque conosca la stessa cosa e ugualmente ne soffra: affinch finalmente risorga l'uomo, che sente se stesso pieno e infinito nel conoscere e nell'amare, nel contemplare e nel potere, e che in tutta la sua totalit si affida e confida nella natura, come giudice e misura del valore delle cose. difficile porre qualcuno in questa condizione di intrepida autoconoscenza, perch impossibile insegnare l'amore: solo nell'amore infatti l'anima acquista, non solo quello sguardo chiaro, analizzatore e sprezzante per se stessa, ma anche quella brama di guardare oltre s e cercare con tutte le energie un se stesso superiore, ancora nascosto da qualche parte. Pertanto solo chi con il suo cuore attaccato a un grande uomo riceve la prima consacrazione della cultura; ne segno il vergognarsi di s senza malumore, l'odio verso la propria ristrettezza e miseria, la simpatia per il genio, che riuscito sempre di nuovo a strapparsi da questa nostra tetraggine e aridit, il presentimento di tutti coloro che verranno e combatteranno, e la pi profonda convinzione di incontrare quasi ovunque la natura nella sua condizione di bisogno, mentre urge verso l'uomo; mentre sente dolorosamente fallire ancora una volta la sua opera, mentre, tuttavia, ovunque le riescono gli spunti e i lineamenti e le forme pi mirabili: cos che gli uomini con cui viviamo sono simili a un campo di macerie dei pi preziosi abbozzi figurativi, in cui tutto grida verso di noi: venite, aiutateci, completate, riunite ci che deve stare insieme, ci struggiamo immensamente di divenire un tutto. L'insieme di questi stati d'animo interiori ci che io ho chiamato la prima consacrazione della cultura; ora per debbo descrivere gli effetti della seconda consacrazione e so bene che il mio compito si fa pi difficile. Infatti ora si deve compiere il passaggio dall'accadimento interiore al giudizio sull'accadimento esteriore, lo sguardo deve spingersi fuori per ritrovare nel grande, movimentato mondo, quella brama di cultura, che egli conosce dalle sue prime esperienze; il singolo deve utilizzare le sue lotte e il suo anelito come l'alfabeto con cui egli pu ora decifrare le aspirazioni degli uomini. Ma anche qui non gli lecito fermarsi, da questo gradino deve salire a quello superiore, la cultura pretende da lui non solo quell'esperienza intima, non solo il giudizio sul mondo esterno che scorre intorno a lui, ma, infine e soprattutto, l'azione, cio la lotta per la cultura e una presa di posizione ostile verso influenze, abitudini, leggi, istituzioni in cui non riconosce la sua mta: la generazione de! genio. Chi riesce a salire al secondo gradino colpito innanzitutto da quanto straordinariamente limitato e raro sia il sapere di quel fine e come invece generale sia il darsi da fare per la cultura e quanto indicibilmente grande

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sia la massa delle energie che si consumano al suo servizio. Ci si chiede stupiti: forse questo sapere non affatto necessario? Forse la natura raggiunge anche cos il suo fine, anche se, cio, i pi sbagliano nel porre uno scopo al loro proprio affannarsi? Chi si abituato ad avere una grande considerazione della finalit inconsapevole della natura, potr forse rispondere senza alcuna esitazione: S, e cos! Lasciate che gli uomini pensino e dicano ci che vogliono sul loro ultimo fine, nel loro oscuro impulso per ben sanno qual la retta via!. Per poter qui controbattere, bisogna avere vissuto qualcosa; chi per realmente convinto che scopo della cultura sia favorire la nascita dei veri uomini e niente altro, e ora osservi a paragone come, ancor oggi, nonostante tutto lo sfarzo e lo sfoggio di cultura, la nascita di tali uomini sia poco diversa da un maltrattamento continuo di animali, trover di massima necessit che, in luogo di queh"oscuro impulso, sia posta una volont consapevole. E questo anche per un secondo motivo: perch non sia pi possibile adoperare questo istinto impreciso circa la sua finalit, cio quel famoso oscuro impulso, per scopi di tutt'altro genere e indirizzarlo su strade che mai condurranno al raggiungimento di quel sommo fine: la generazione del genio. Esiste infatti un tipo di cultura abusata e asservita basta guardarsi intorno! E proprio le potenze che, con maggior zelo, ora favoriscono la cultura, lo fanno con secondi fini e non la praticano con sentimenti puri e disinteressati. Vi in primo luogo l'egoismo degli affaristi che ha bisogno del sostegno della cultura e che, per ringraziamento, a sua volta l'aiuta ma in pari tempo vorrebbe, in ci, prescriverle sia lo scopo che la misura. Da questa parte deriva quell'affermazione e quella concatenazione di concetti, oggi molto in voga, che pi o meno dice cos: quanta pi conoscenza e istruzione possibili, e quindi quanto pi bisogno possibile, e quindi quanta pi produzione possibile, e quindi quanto pi guadagno e felicit possibili cos suona la formuletta tentatrice. L'educazione verrebbe definita dai suoi stessi sostenitori come quel discernimento per cui si diventa completamente attuali, nei bisogni e nella loro soddisfazione, con cui, per allo stesso tempo, si pu disporre di tutti i mezzi e di tutte le vie per guadagnare denaro nel modo pi facile possibile. Formare il maggior numero possibile di uomini courant, nel senso in cui diciamo courant di una moneta, sarebbe dunque lo scopo, e un popolo, stando a questa concezione, sar tanto pi felice quanti pi uomini courant possiede. Perci l'intento dei moderni istituti di istruzione deve senz'altro consistere nell'incoraggiare ognuno, per quello che nella sua natura, a divenire courant, nell'educare ognuno in maniera tale che abbia dal proprio grado di conoscenza e sapere la massima misura possibile di felicita e di guadagno. Il singolo dovrebbe, cos si pretende, con l'aiuto di una tale istruzione generale, saper valutare esattamente se stesso, per sapere ci che deve esigere dalla vita; e infine si afferma che esiste un'alleanza naturale e necessaria tra intelligenza e possesso tra ricchezza e cultura, anzi, ancor di pi, che questa alleanza una necessit morale. Cos ogni educazione che isoli, che ponga dei fini al di l del denaro e del profitto, che consumi molto tempo, esecrata; si soliti, anzi, vituperare questi pi seri tipi di educazione come un pi sottile egoismo, come un immorale epicureismo educativo. Certo, secondo la moralit attualmente in vigore, apprezzato proprio il contrario, cio una istruzione rapida per diventare presto un essere che guadagna denaro, e tuttavia un'educazione approfondita quel tanto sufficiente a diventare un essere che guadagna moltissimo denaro. All'uomo si concede quel tanto di cultura quanto nell'interesse del profitto generale e del commercio mondiale,

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ma altrettanto se ne pretende da lui. In breve l'uomo possiede una aspirazione necessaria alla felicit terrena, perci l'educazione necessaria, ma soltanto perci! In secondo luogo vi l'egoismo di Stato che a sua volta aspira alla pi ampia possibile diffusione e generalizzazione della cultura e dispone degli strumenti pi efficaci per soddisfare i suoi desideri. Premesso che si consideri abbastanza forte non solo per liberare ma anche per mettere, al momento giusto, sotto il giogo, premesso che le sue fondamenta siano abbastanza solide e larghe per poter sostenere tutta la volta della cultura, la diffusione dell'istruzione tra i suoi cittadini torna sempre a suo vantaggio nella gara con gli altri stati. Ovunque oggi si parla di Stato di cultura, si vede che gli posto il compito di liberare le forze spirituali di una generazione in modo che esse possano servire ed essere di vantaggio alle istituzioni esistenti: ma anche solo in questa misura; come un ruscello boschivo viene in parte deviato con dighe e argini, per far girare la sua forza, cos diminuita, i mulini mentre tutta la sua piena forza sarebbe per il mulino pi dannosa che utile. Quella liberazione allo stesso tempo e ancor pi un gettare in catene. Basta pensare cosa divenuto il Cristianesimo, poco alla volta, sotto l'egoismo dello Stato. Il Cristianesimo certo una delle pi pure rivelazioni di quella spinta verso la cultura e pi precisamente in direzione di una sempre rinnovata generazione del Santo; poich, per, esso fu utilizzato, in cento derivazioni, per spingere i mulini dei poteri statali, lentamente si ammalato fino al midollo, divenuto ipocrita, falso e degenerato fino a contraddire il suo fine originario. Persino l'ultimo suo evento, la Riforma tedesca, non sarebbe stato niente pi che una improvvisa fiammata subito spenta, se non avesse attinto dalla lotta e dall'incendio degli Stati nuove energie e fiamme. In terzo luogo la cultura viene favorita da tutti coloro che, consapevoli di un contenuto brutto e noioso vogliono nasconderlo con la cosiddetta bella forma. Con l'esteriorit, la parola, il gesto, la raffinatezza, il lusso, la manieratezza, l'osservatore dovrebbe essere indotto ad una conclusione sbagliata sul contenuto: nel presupposto che si sia abituati a giudicare l'interno dall'esterno. Mi sembra, talvolta, che gli uomini moderni si annoino smisuratamente l'un l'altro e che alla fine trovino necessario rendersi interessanti con l'aiuto di tutte le arti. Allora si fanno servire dai loro artisti cibi stuzzicanti e forti, si cospargono con tutte le droghe dell'Oriente e dell'Occidente, e, certo, ora emanano un odore molto interessante, l'odore appunto di tutto l'Oriente e l'Occidente. Si preparano allora a soddisfare tutti i gusti; e ognuno deve essere servito, sia che desideri un qualcosa di profumato o di maleolente, di sublime o di contadinescamente grossolano, di greco e di cinese, sia che ami le tragedie o le sconcezze messe in dramma. I pi famosi cuochi di questi uomini moderni, che vogliono essere ad ogni costo interessanti e interessati, noto, si trovano tra i Francesi, i peggiori tra i Tedeschi. Il che, in fondo, per questi ultimi pi consolante che per i primi; non prendiamocela, quindi, troppo se i Francesi si fanno beffe di noi proprio per la mancanza di cose interessanti ed eleganti, se il singolo Tedesco, con il suo desiderio di eleganza e buone maniere, li fa pensare all'Indiano che desidera un anello al naso e grida per essere tatuato. A questo punto nulla mi trattiene dal fare una disgressione. Dall'ultima guerra con la Francia qualcosa si cambiato e spostato in Germania e si pu vedere che anche per la cultura tedesca nuove aspirazioni sono state importate. Quella guerra per molti fu il primo viaggio nella parte pi elegante del mondo; che magnificenza la disinvoltura del vincitore che non

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si vergogna di imparare un po' di cultura del vinto! Soprattutto il mestiere dell'arte sempre di nuovo spinto alla gara con il vicino pi colto, l'arredamento della casa tedesca deve essere assimilato a quello francese, la stessa lingua tedesca, grazie ad una accademia fondata sul modello francese, deve appropriarsi del sano gusto e annullare la pericolosa influenza esercitata su d lei da Goethe secondo quanto ha sentenziato recentemente l'accademico berlinese Dubois-Reymond. I nostri teatri gi da tempo, in tutto silenzio e decoro, hanno perseguito lo stesso fine, gi si inventato perfino l'elegante erudito tedesco dunque c' ormai da aspettarsi, anzi, che tutto ci che finora non voleva a ragione adattarsi a quella legge di eleganza la musica, la tragedia e la filosofia tedesca sia d'ora in poi messo da parte come non tedesco. In verit, per, non ci sarebbe da muovere neppure un dito in favore della cultura tedesca, se il Tedesco con il termine cultura, che ancora gli manca e che ora dovrebbe cercare di raggiungere, non intendesse altro che le arti e le buone maniere che abbelliscono la vita, inclusa tutta l'inventiva dei maestri di danza e dei tappezzieri; se volesse, anche nella lingua, preoccuparsi solo di regole sancite dall'accademia e di una certa manieratezza generale. Tuttavia quest'ultima guerra e il personale confronto con i Francesi non sembra aver suscitato maggiori ambizioni, anzi sempre pi mi viene il sospetto che il Tedesco adesso voglia con forza sottrarsi a quegli antichi obblighi, impostigli dal suo straordinario talento, dal senso di profondit e seriet proprio della sua natura. Egli preferirebbe giocherellare, scimmiottare, imparare maniere ed arti con cui rendere divertente la vita. Maggior offesa non si potrebbe fare allo spirito tedesco di quanto non si faccia trattandolo come se fosse di cera, e si potesse, un bel giorno, impastarlo d'eleganza. E anche se, purtroppo, vero che una buona parte dei Tedeschi, di buon grado, si lascia modellare e forgiare, contro di ci ancor pi spesso si deve ripetere, fino a farsi sentire: in voi non ha pi dimora quell'antica maniera tedesca, che s dura, ruvida e resistente, ma che tuttavia il materiale pi prezioso sul quale solo i massimi scultori possono lavorare, perch essi soli ne sono all'altezza. Ci che invece c' in voi un materiale molle e papposo, fatene ci che volete, fatene pupazzi eleganti e interessanti idoli e ancora una volta sar valido ci che Richard Wagner dice: Il Tedesco angoloso e impacciato quando vuole apparire manierato; ma sublime e superiore a tutti quando prende fuoco. E hanno ben ragione gli eleganti a guardarsi da questo fuoco tedesco, un giorno potrebbe divorarli, con tutti i loro pupazzi e i loro idoli di cera. Certo quella tendenza predominante in Germania alla bella forma si pu derivare anche diversamente, ed in modo pi profondo, da quella fretta, quell'affannoso afferrare l'attimo, da quella precipitazione che spezza dal ramo tutti i frutti ancora troppo verdi, da quel continuo correre e cacciare, che oggi scava dei solchi nel volto degli uomini e quasi vi imprime, come un tatuaggio, i segni di tutto ci che fanno. Quasi agisse dentro di loro un filtro che non li lascia pi respirare tranquillamente, . avanzano tumultuosi con indecorosa premura come i tormentati schiavi delle tre M: il momento, la mentalit e la moda; sicch la mancanza di dignit e decoro salta davvero agli occhi, in modo anche troppo penoso, rendendo di nuovo necessaria una menzognera eleganza con cui poter mascherare la malattia della fretta pi indecorosa. Infatti la avidit, oggi di moda, per la bella forma in relazione col brutto contenuto dell'uomo attuale: quella deve nascondere, questo deve essere nascosto. Essere colto significa dunque: non lasciare capire la propria miseria e la propria cattiveria, la propria rapacit nell'aspirazione, la propria insaziabilit nell'accumulare il

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proprio egoismo e la propria spudoratezza nel godere. Pi volte a me che mettevo davanti agli occhi di qualcuno l'assenza di una cultura tedesca stato ribattuto: ma questa assenza del tutto naturale perch finora i Tedeschi sono stati troppo poveri e modesti. Lasci che i nostri compatrioti diventino ricchi e consapevoli e allora avr anche una cultura!. Ammesso pure che la fede renda beati, questo tipo di fede mi danna, poich sento che quella cultura tedesca nel cui futuro qui si crede cio quella della ricchezza, della raffinatezza, della manierata finzione il pi ostile opposto di quella cultura tedesca in cui io credo. Certo, chi deve vivere tra i Tedeschi, soffre molto per il famigerato grigiore della loro vita e dei loro sentimenti, per la mancanza di forma, per la sordit e ottusit, per la grossolanit nei rapporti pi delicati, e ancor pi per una certa animosit e per una certa furtivit e impurit del carattere; soffre e l'offende il radicato piacere per il falso e l'autentico, per le cose imitate e male imitate, per la traduzione di buone cose straniere in un brutto linguaggio nostrano; ora per che si sono aggiunte come le peggiori sofferenze anche quella irrequietezza febbrile, quella ricerca di successo e di guadagno, quella sopravvalutazione del momento, ci si ribella profondamente al pensiero che tutti questi malanni e debolezze non saranno mai fondamentalmente guariti ma solo coperti di belletto mediante appunto una tal cultura della forma interessante!. E questo in un popolo che ha prodotto Schopenhauer e Wagner. E ancora dovr produrre! O ci illudiamo nel modo pi sconfortante? Coloro che abbiamo appena nominato non sarebbero, forse, pi una garanzia che forze come le loro sono ancora disponibili nello spirito e nel sentimento dei Tedeschi? Costituirebbero essi delle eccezioni, quasi gli ultimi rampolli e discendenti di qualit che una volta si consideravano tedesche? A questo punto non so cosa dire e torno quindi sulla via della mia considerazione generale da cui, anche troppo spesso, dubbi pieni di preoccupazione mi vogliono distogliere. Ancora non sono state elencate tutte quelle potenze, dalle quali viene certo favorita la cultura, senza che tuttavia se ne riconosca il fine, e cio la generazione del genio; tre le abbiamo dette: l'egoismo degli affaristi, l'egoismo dello Stato e l'egoismo di tutti coloro che hanno motivo di fingere e di nascondersi mediante la forma. In quarto luogo indico Vegoismo della scienza e la natura tutta particolare dei suoi servitori, gli scienziati. La scienza sta alla saggezza come la virtuosit alla santificazione: essa fredda e asciutta, non ha amore e non sa nulla di un sentimento profondo di insoddisfazione e nostalgia. Essa tanto pi utile a se stessa quanto nociva per i suoi servi, in quanto trasferisce su di loro il proprio carattere e, per cos dire, ne fossilizza l'umanit. Finch come cultura si intender essenzialmente l'incremento della scienza, essa passer impietosa e fredda davanti agli uomini sofferenti perch la scienza vede ovunque solo problemi di conoscenza, e perch il dolore nel suo mondo qualcosa di inappropriato e incomprensibile, e, al massimo, ancora un altro problema. Ma basta abituarsi a tradurre ogni esperienza in un gioco dialettico di domanda e risposta e in un fatto puramente intellettuale ed strabiliante in quanto breve tempo l'uomo con un'attivit del genere si inaridisca e rapidamente si riduca a un mucchio di ossa scricchiolanti. Chiunque lo sa e lo vede: come dunque possibile che ciononostante i giovani non indietreggi* no inorriditi di fronte a questi uomini ossificati, e continuino ad abbandonarsi ciecamente, senza scelta e senza misura, alle scienze? Ci non pu certo derivare da un presunto impulso alla verit: come potrebbe infatti esistere un impulso per la conoscenza fredda, pura e priva di conseguenze!

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Quali siano invece le vere e proprie forze motrici nei servitori della scienza appare anche troppo chiaramente allo sguardo spregiudicato: ed molto consigliabile analizzare e sezionare anche gli studiosi dopo che essi stessi si sono abituati a maneggiare sfacciatamente e a scomporre tutto ci che al mondo, anche ci che vi di pi nobile. Se devo esprimere ci che penso, dir: lo scienziato fatto di un complicato intreccio di stimoli assai diversi, un metallo assolutamente impuro. Si consideri, dunque, prima di tutto una forte e sempre pi acuita bramosia di novit, il desiderio di avventure della conoscenza, la forza sempre stimolante del nuovo e del raro in opposizione al vecchio e noioso. A ci si aggiunga un certo istinto dialettico per l'indagine e il gioco, il piacere del cacciatore per astute mosse volpine del pensiero, cos che in realt non si ricerca la verit ma il ricercare in s, il piacere principale consiste nell'astuto avvicinarsi strisciando, nell'accerchiare, nell'uccidere a regola d'arte. A questo si aggiunga ancora l'impulso alla contraddizione; la personalit vuole, contro tutti gli altri, sentire se stessa e farsi sentire; la lotta diventa piacere e il fine la vittoria personale, mentre la lotta per la verit ne solo un pretesto. Per una buona parte, ancora, nello scienziato mescolato l'impulso a trovare determinate verit, cio per sudditanza rispetto a persone, caste, opinioni, chiese e governi dominanti perch avverte di giovare a se stesso portando la verit dalla loro parte. Con minor frequenza, ma tuttavia abbastanza spesso, nello scienziato si manifestano le seguenti qualit. In primo luogo, onest e senso di semplicit, che debbono apprezzarsi moltissimo se non sono soltanto mancanza di duttilit e di perizia nella finzione, per la quale del resto occorre un certo spirito. Infatti, ovunque lo spirito e la duttilit danno molto nell'occhio, bisogna stare attenti e dubitare un po' della rettitudine del carattere. D'altra parte, per lo pi, quell'onest di poco valore e anche per la scienza solo di rado feconda, poich essa attaccata a ci che abituale ed solita dire la verit soltanto a proposito di cose semplici o in adiaphoris; infatti in questo caso, corrisponde pi all'accidia dire la verit che tacerla. E poich tutto ci che nuovo rende necessario l'imparar daccapo, l'onest, quando in qualche modo possibile, rende onore all'antica opinione e rimprovera a chi annuncia il nuovo la mancanza di sensus recti. Perci oppose resistenza alla dottrina di Copernico, perch aveva dalla sua l'apparenza e l'abitudine. L'odio molto frequente degli scienziati nei confronti della filosofia soprattutto odio verso le lunghe concatenazioni di concetti e la ricercatezza delle dimostrazioni. In fondo ogni generazione di scienziati ha una inconsapevole misura dell'acume permessole', ci che va oltre questa misura messo in dubbio e quasi utilizzato come motivo di sospetto nei confronti dell'onest. In secondo luogo, l'acutezza dello sguardo per le cose vicine legata a una grande miopia per le cose lontane e per ci che generale. Il suo campo visivo in genere molto limitato, i suoi occhi devono rimanere assai vicini all'oggetto. Se uno scienziato vuole spostare la sua attenzione da un punto appena studiato a un altro, fa convergere tutto il suo apparato visivo su quel punto. Scompone un'immagine in vere e proprie zone, come chi adopera il binocolo da teatro per vedere la scena ed ora vede una testa ora un pezzo di costume ma non riesce ad abbracciare il tutto con lo sguardo. Non riesce a vedere mai quella singola zona nella sua connessione, ma ne rende soltanto accessibile il contesto; perci, di fronte a tutto ci che generale, non ha alcuna forte impressione. Non potendolo valutare nella sua totalit, giudica, ad esempio, uno scritto da alcuni brani o frasi o errori; sarebbe indotto ad affermare che un dipinto ad olio un selvaggio guazzabuglio di scarabocchi. In terzo luogo, la

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moderazione e la mediocrit della sua natura nelle inclinazioni e avversioni. Con questa qualit egli ha particolare fortuna nella ricerca storica, in quanto va sulle tracce dei motivi degli uomini passati sulla base dei motivi a lui noti. Una talpa si trova bene pi di tutto in una tana di talpa. Cos protetto da tutte le ipotesi artificiose e eccessive; se tenace, scava tutti i banali motivi del passato perch li sente affini. Certo, per lo pi incapace, proprio per questo, a valutare e capire ci che raro, importante e inconsueto. In quarto luogo, la povert di sentimenti e aridit. Essa lo abilita proprio alla vivisezione. Non immagina il dolore, che un tipo di conoscenza comporta, e non teme di avanzare in campi dove ad altri trema il cuore. freddo e perci appare facilmente spietato. Alcuni lo considerano temerario, ma non lo , proprio come il mulo che non sa cosa siano le vertigini. In quinto luogo, una limitata considerazione di se stesso, anzi la modestia. Bench costretti in un misero cantuccio, non sentono affatto di essere sacrificati, sprecati, spesso sembra che sappiano nel loro intimo di non essere animali alati ma striscianti. Con questa qualit essi appaiono perfino commoventi. In sesto luogo, fedelt ai loro maestri e guide. Li vogliono aiutare con tutto il cuore, e ben sanno che li aiutano nel modo migliore con la verit. Infatti sono disposti alla gratitudine, perch solo grazie a loro hanno potuto accedere nei nobili atri della scienza, dove non sarebbero mai giunti per strade proprie. Chi al giorno nostro, come maestro, in grado di schiudere un campo in cui anche le teste pi limitate possono lavorare con un certo successo, diventa in brevissimo tempo un uomo famoso: tanto grande la folla che subito si accalca intorno a lui. Certo chiunque tra questi fedeli e riconoscenti una calamit per il maestro, perch tutti costoro lo imitano, e proprio le sue magagne appaiono ora smisuratamente grandi ed esagerate, perch spiccano in individui cos limitati, mentre, al contrario, le virt del maestro appaiono rimpicciolite, nella stessa proporzione, nello stesso individuo. In settimo luogo, il procedere per abitudine nella strada su cui lo scienziato stato avviato, il senso della verit per mancanza di idee, secondo l'abitudine acquisita una volta. Tali nature sono quelle di collezionisti, illustratori, compilatori di indices e di erbari; studiano e ricercano in un campo solo perch non hanno mai pensato che esistono altri campi. La loro diligenza ha qualcosa dell'immensa stupidit della forza gravitazionale: motivo per cui, spesso, realizzano molto. In ottavo luogo, la fuga dalla noia. Mentre il vero pensatore non aspira ad altro che all'ozio, lo scienziato comune rifugge da esso, perch non sa come utilizzarlo. I suoi consolatori sono i libri: cio ascolta come qualcuno pensa qualcosa di diverso e cos si fa intrattenere per tutto il lungo giorno. In particolare sceglie libri in cui in qualche modo venga sollecitata la sua partecipazione personale, dove egli possa, per inclinazione o avversione, provare qualche affetto: libri cio in cui lui stesso o il suo ceto fatto oggetto di osservazione, la sua dottrina politica o estetica, oppure anche soltanto grammaticale: se possiede una propria scienza non gli mancheranno mai i mezzi di intrattenimento e scacciamosche contro la noia. In nono luogo, il movente del procacciarsi il pane, in sostanza cio i famosi borborigmi di uno stomaco che langue. Si serve la verit se essa in condizione di favorire direttamente stipendi o posizioni pi elevate, o almeno di assicurarsi i favori di coloro che debbono elargire pane e onori. Ma si serve solo questa verit; perci si traccia un confine tra le verit vantaggiose, a cui molti servono, e le verit non vantaggiose: a queste ultime solo pochissimi si dedicano perch per esse non vale il principio ingenii largitor venter. In decimo luogo, il rispetto verso i colleghi, la paura del loro di-

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sprezzo; un movente pi raro ma pi elevato del precedente, ma sempre molto frequente. Tutti i membri della corporazione si sorvegliano reciprocamente con la massima gelosia, affinch la verit da cui tanto dipende, pane, cariche, onori, venga realmente battezzata col nome di chi l'ha trovata. Rigorosamente si fa tributo all'altro del proprio rispetto per la verit che ha scoperto, per pretendere, a nostra volta, un tale tributo nel caso che si dovesse trovare una verit. La falsit, l'errore viene fatto esplodere con frastuono, affinch il numero dei concorrenti non diventi troppo elevato; tuttavia qua e l, ogni tanto, anche la vera verit viene fatta esplodere per far posto, almeno per un po' di tempo, agli errori pi tenaci e sfacciati; del resto ovunque, e anche qui, non mancano gli idiotismi morali, che altrimenti sono chiamati bricconate. In undicesimo luogo, lo scienziato per vanit, una specie che gi pi rara. Questo, se possibile, vuole un campo tutto per s e perci sceglie curiosit, soprattutto se queste rendono necessarie spese insolite, viaggi, scavi, numerosi collegamenti in diversi paesi. Si accontenta per lo pi dell'onore di essere considerato egli stesso come una curiosit e non pensa di guadagnarsi il pane per mezzo dei suoi studi eruditi. In dodicesimo luogo, lo studioso per gioco. Il suo divertimento consiste nel cercare, nelle scienze, dei piccoli nodi e di scioglierli; e in questo non si vuole affaticar troppo, per non perdere il sapore del gioco. Perci non va diritto in profondit, e tuttavia, spesso, coglie cose che colui che fa lo studioso per vivere, non vede mai col suo sguardo faticosamente strisciante. Se infine indico, in tredicesimo luogo, come motivazione dello scienziato l'impulso alla giustizia, mi si potrebbe contrapporre che questo impulso nobile, anzi gi da intendersi in senso metafisico difficilmente distinguibile dagli altri e in fondo inafferrabile e indeterminabile per l'occhio umano; perci aggiungo questo ultimo motivo. Col pio desiderio che tale impulso possa essere tra gli studiosi pi frequente e pi efficace di quanto non sia visibile. Infatti una scintilla del fuoco della giustizia, caduta nell'anima di uno studioso, sufficiente a rendere incandescente e a consumare tutta la sua vita e le sue aspirazioni purificandole, cos che egli non ha pi pace e si libera per sempre dallo stato d'animo accidioso o freddo in cui i comuni studiosi svolgono la loro attivit quotidiana. Si pensino, dunque, tutti questi elementi, nella loro pluralit o singolarmente, fortemente mescolati e agitati insieme: cos si ottiene la nascita del servitore della verit. molto strano che a vantaggio di un fatto in sostanza extra e sovraumano, cio il conoscere puro e senza conseguenze e quindi anche privo di impulsi, si fondano insieme una quantit di piccoli o piccolissimi istinti assai umani, per dar luogo a una combinazione chimica e che il risultato, cio lo scienziato, nella luce di quel fatto ultraterreno, alto e assolutamente puro, appare cos trasfigurato, da far dimenticare il sovrapporsi e il mescolarsi di elementi, che sono stati necessari per generarlo. Eppure vi sono momenti in cui bisogna pensarci e ricordarlo: cio proprio quando ci si chiede l'importanza dello scienziato nella cultura. Chi sa osservare, nota, infatti, che lo studioso secondo la sua essenza infecondo una conseguenza della sua nascita! e che nutre un certo odio naturale per gli uomini fecondi; perci in tutti i tempi i genii e gli studiosi sono stati in conflitto. Questi ultimi vogliono uccidere la natura, sezionarla e comprenderla, i primi invece vogliono accrescere la natura con una nuova natura vivente; e cos c' un conflitto di intenzioni e di attivit. Tempi del tutto felici non hanno avuto bisogno dello scienziato e non lo hanno conosciuto, epoche completamente malate e svogliate lo hanno apprezzato come l'uomo migliore e pi degno, dandogli il primo posto.

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Quali siano le condizioni della nostra epoca, se sia sana o malata, chi sarebbe abbastanza medico da saperlo? Certo anche oggi in molte cose la considerazione di cui gode lo scienziato troppo alta e quindi ha effetti dannosi, soprattutto per tutto ci che concerne il divenire del genio. Per le necessit del genio Io scienziato non ha affatto cuore, e lo liquida parlandone con voce fredda e aspra, e anche troppo velocemente, scrolla le spalle, come di fronte a un palazzo originale e per cui non ha n tempo n interesse. Neppure in lui si trova la consapevolezza del fine della cultura. Ma, infine, da tutte queste considerazioni che cosa ci si chiarito? Che ovunque, dove ora la cultura sembra essere incoraggiata con maggiore alacrit, non si sa nulla di quel fine. Per quanto lo Stato faccia valere ad alta voce i suoi meriti verso la cultura, la promuove per promuovere se stesso e non comprende un fine che sia superiore al suo benessere e alla sua esistenza. Ci che gli affaristi vogliono quando incessantemente chiedono istruzione e cultura, alla fin fine proprio un affare. Se coloro che hanno bisogno delle forme si ascrivono il vero e proprio lavoro per la cultura e, per esempio, credono che tutta l'arte sia cosa loro e debba servire alle loro esigenze, chiaro allora che essi, nel momento in cui affermano la cultura, affermano solo se stessi: e cio neppure loro sono usciti da un equivoco. Dello scienziato stato parlato abbastanza. Per quanto zelo le quattro potenze dimostrino nel riflettere tra loro su come giovare a se stesse con l'aiuto della cultura, altrettanto fiacche e prive di idee si dimostrano quando non viene eccitato questo loro interesse. Questo il motivo per cui nell'epoca moderna non si sono migliorate le condizioni per la nascita del genio, mentre l'ostilit nei confronti degli uomini originali aumentata talmente che Socrate tra noi non avrebbe potuto vivere, e in ogni caso non avrebbe raggiunto i settanta anni. Adesso voglio ricordare ci che ho detto nel terzo capitolo: tutto il nostro mondo moderno ha un'apparenza nient'affatto solida e duratura tanto che si possa profetizzare al suo concetto di cultura una esistenza eterna. Si deve addirittura ritener verosimile che il prossimo millennio avr un paio di nuove idee, per le quali a ogni vivente di oggi gli si rizzerebbero i capelli in testa. La fede in un significato metafisico della cultura alla fine non sarebbe poi tanto terrificante: ma certo alcune conseguenze si potrebbero trarre per l'educazione e l'istituzione scolastica. necessario compiere uno straordinario sforzo di riflessione, distogliendo una buona volta lo sguardo dalle attuali istituzioni educative e guardare oltre, verso istituzioni di genere del tutto diverso ed estraneo, quali forse appariranno necessarie a una seconda o terza generazione. Mentre infatti con gli sforzi degli attuali educatori accademici si produce o lo scienziato o il funzionario statale, o l'affarista, o il filisteo della cultura o infine e di solito una mescolanza di tutti questi, quelle istituzioni, ancora da scoprire, avrebbero certo un compito pi difficile in verit non pi difficile in s, poich sarebbe comunque il compito pi naturale e in quanto tale anche pi semplice; e per esempio pu qualcosa essere pi difficile dell'ammaestrare contro natura, come accade oggi, un giovane per farne un erudito? Ma per gli uomini la difficolt consiste nell'imparare daccapo e porsi un nuovo fine; e coster fatica indicibile cambiare con una nuova idea fondamentale i princpi del nostro attuale sistema educativo, che ha le sue radici nel medioevo e che vede, come scopo della perfetta educazione, proprio il dotto medioevale. Gi ora tempo di porsi davanti agli occhi questi contrasti; infatti una generazione dovr pure cominciare la lotta nella quale

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una generazione successiva vincer. Gi oggi il singolo che ha inteso quella nuova idea fondamentale della cultura, posto di fronte ad un bivio: percorrendo una strada ben accetto alla sua epoca, non gli mancheranno corone e ricompense, potenti partiti lo sosterranno e alle sue spalle, come davanti a s, vi saranno tanti che la pensano allo stesso modo, e quando il capofila pronuncia la parola d'ordine, essa riecheggia in tutte le file. Il primo dovere qui : combattere allineati, il secondo, trattare come nemici coloro che non vogliono allinearsi. L'altra strada gli offre pi rari compagni di viaggio, pi ardua, contorta, ripida: coloro che percorrono la prima Io deridono perch l avanza con pi fatica e spesso si trova in pericolo, e tentano di attirarlo sul loro cammino. Se le due strade si incrociano, egli viene maltrattato, gettato da parte, oppure isolato con un timoroso trarsi da parte. Che significa dunque per questi diversi viandanti delle due strade una istituzione della cultura? Quella enorme folla che sulla prima strada preme verso il suo fine, intende per cultura istituzioni e leggi, grazie a cui essa stessa mantenuta in ordine e pu avanzare, e per cui tutti i ribelli solitari, tutti coloro che guardano a fini superiori e pi lontani, sono messi al bando. Per quest'altra pi piccola schiera una istituzione dovrebbe certo adempiere a uno scopo del tutto diverso: essa stessa vuole prevenire, al riparo di una salda organizzazione, di essere sopraffatta e dispersa da quella folla, vuole che i suoi singoli individui non vengano meno per un precoce esaurimento o siano sviati dal loro grande compito. Questi singoli devono compiere la loro opera questo il senso della loro coesione; e tutti coloro che partecipano alla istituzione devono adoperarsi con una continua purificazione e con una reciproca premura a preparare, in s e attorno a s, la nascita del genio e la maturazione della sua opera. Non pochi, anche tra coloro che sono dotati di un talento di secondo o terzo ordine, sono destinati a coadiuvare, e solo assoggettandosi a questa destinazione, giungono a sentire di vivere per un dovere e di vivere con uno scopo e un significato. Ma adesso proprio questi talenti vengono distolti dalla loro strada proprio dalle voci tentatrici della cultura alla moda e resi estranei al loro istinto; questa tentazione si rivolge alle loro tendenze egoistiche, alle loro debolezze e vanit; lo spirito del tempo sussurra loro con insinuante assiduit: Seguitemi e non andate l! Infatti l siete servi soltanto, aiuti, strumenti, offuscati da nature superiori, mai contenti della vostra personalit, tirati per il filo, messi in catene, come schiavi, anzi automi; con me invece voi godete, da padroni, la vostra libera personalit, le vostre doti possono risplendere per se stesse, voi stessi potrete stare nelle prime file, un grandissimo seguito vi cortegger e l'acclamazione della pubblica opinione dovrebbe rallegrarvi assai pi dell'approvazione aristocratica elargita dalla fredda, eterea sommit del gemo. A tali seduzioni perfino i migliori soggiacciono: e qui in fondo decide poco la variet e la forza dell'inclinazione, ma l'influenza di una certa fondamentale disposizione eroica e il grado di intima affinit e congenialit con il genio. Ci sono uomini infatti che, quando vedono il genio lottare con fatica e col rischio di distruggersi, o quando le sue opere vengono messe da parte con indifferenza dall'egoismo miope dello Stato, dalla superficialit degli affaristi, o dall'arida sufficienza degli scienziati, sentono tutto ci come la propria disgrazia: e cos spero che esista anche qualcuno in grado di comprendere ci che voglio dire presentando la sorte di Schopenhauer e a che cosa, secondo la mia rappresentazione, Schopenhauer come educatore deve propriamente educare.

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Ma lasciando da parte, per una volta, tutti i pensieri di un lontano futuro e di un possibile rovesciamento del sistema educativo, che cosa si dovrebbe attualmente augurare e, in caso di necessit, procurare a chi diventa filosofo, affinch possa almeno respirare e, nel caso pi favorevole, giunga almeno all'esistenza, certo non facile, ma almeno possibile di Schopenhauer? Che cosa inoltre si dovrebbe trovare per rendere pi probabile la sua influenza sui contemporanei? E quali ostacoli dovrebbero essere rimossi, affinch il modello raggiunga prima di tutto una piena efficacia e il filosofo educhi altri filosofi? A questo punto la nostra considerazione si svia in ci che pratico e urtante. La natura vuole sempre essere di utilit comune, ma non in grado di trovare, a questo scopo, i mezzi e gli strumenti migliori e pi adatti. Questa la sua grande sofferenza, e perci malinconica. Che volesse, con la generazione e del filosofo e dell'artista, rendere l'esistenza agli uomini chiara e significativa certo, dato il suo impulso assetato di redenzione; ma quanto incerto, quando debole e opaco l'effetto che essa per lo pi ottiene con i filosofi e gli artisti! Quanto di rado, in generale, giunge a un effetto! Soprattutto rispetto al filosofo grande il suo imbarazzo nell'utilizzarlo a vantaggio della comunit; i suoi mezzi appaiono come tentativi disorientati, idee casuali, cos come innumerevoli volte fallisce nella sua intenzione e la maggior parte dei filosofi non divengono di utilit comune. Il procedimento della natura ha l'aspetto di uno spreco; tuttavia non lo spreco di una oltraggiosa abbondanza, ma dell'inesperienza; si deve ammettere che se essa fosse un uomo non riuscirebbe a superare la stizza per s e per la propria inettitudine. La natura scaglia il filosofo tra gli uomini come una freccia, non prende la mira, ma spera che la freccia rimanga infissa da qualche parte. Moltissime volte per si sbaglia e se ne indispettisce. Con Io stesso spreco si comporta nel campo della cultura, come nel piantare e seminare. Adempie ai suoi scopi in un modo generico e goffo, sacrificando in ci troppe energie. L'artista e, dall'altra parte, i conoscitori e gli appassionati della sua arte, stanno tra loro nello stesso rapporto di un grossolano pezzo di artiglieria e uno sciame di passeri. opera di semplicioneria spostare una grande slavina per spazzar via un po' di neve, uccidere un uomo per colpire la mosca sul suo naso. L'artista e il filosofo sono prove contro la finalit della natura nei suoi mezzi, pur essendo allo stesso tempo la miglior prova della saggezza dei suoi fini. Essi riescono a centrare solo pochi, mentre dovrebbero centrare tutti ma anche questi pochi non vengono colpiti con la forza con cui filosofo e artista sparano il loro colpo. triste dover valutare in modo cos diverso l'arte come causa e l'arte come effetto: quanto immensa essa come causa tanto paralizzata e fievole come effetto! L'artista compie la sua opera secondo la volont della natura per il bene degli altri uomini, su questo non c' dubbio alcuno: tuttavia sa che, a sua volta, nessuno di questi uomini sapr intendere e amare la sua opera come lui l'ama e l'intende. Quell'alto e unico grado di amore e di comprensione necessario, secondo la disposizione maldestra della natura, perch vi sia un grado inferiore; e il pi grande e il pi nobile usato come mezzo per la nascita del minore e dell'ignobile. La natura non governa con saggezza, le sue spese sono molto maggiori del profitto che ricava: con tutta la sua ricchezza, a un certo momento dovr andare in rovina. Molto pi saggiamente si sarebbe organizzata se la regola della sua amministrazione

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fosse stata: pochi costi e ricavi centuplicati; se per esempio vi fossero soltanto pochi artisti e questi fossero di pi deboli energie, ma, in compenso, numerosi coloro capaci di accogliere e ricevere l'arte e, proprio questi di tempra pi forte e potente di quella degli artisti stessi: cosicch l'effetto dell'opera d'arte, in rapporto con la causa, sarebbe un'eco cento volte amplificato. O ci si dovrebbe aspettare che almeno causa e effetto fossero di uguale forza: ma quanto la natura delude questa aspettativa! Spesso sembra che un artista o, ancor pi un filosofo, capiti per caso nel suo tempo, come eremita o come un viandante disperso o rimasto indietro. Si provi solo a sentire veramente con il cuore quanto grande, in tutta la sua persona e in tutto, Schopenhauer e quanto piccolo e assurdo il suo effetto! Per un uomo di questo tempo che sia onesto nulla pu essere pi mortificante del rendersi conto di quanto sia casuale l'apparizione di Schopenhauer in questa epoca e da quali forze e non forze sia dipeso, sinora, che il suo effetto sia stato tanto limitato. Per prima cosa, e a lungo, gli fu ostile la mancanza di lettori il che sia di perenne vergogna per la nostra epoca letteraria! , poi, quando i lettori vennero, l'inadeguatezza dei suoi primi pubblici seguaci: ancor pi, come mi sembra, l'ottusit di tutti gli uomini moderni verso libri, che essi non vogliono assolutamente pi prendere sul serio; inoltre, a poco a poco, si aggiunto un nuovo pericolo, nato dai vari tentativi di adattare Schopenhauer alla debolezza dell'epoca e di usarlo come si usa una droga stupefacente e eccitante, quasi come una specie di pepe metafisico. E cos, pian piano, certamente divenuto noto e famoso e credo che gi oggi vi siano pi persone che conoscono il suo nome di quante conoscono quello di Hegel: ci nonostante ancora un eremita, e il suo effetto ancora non si avvertito! Meno di tutti, i veri e propri oppositori letterari e coloro che abbaiano contro di lui, hanno l'onore di aver impedito finora questo effetto: in primo luogo, perch ci sono pochi uomini che sopportano di leggerli e, in secondo luogo, perch essi portano colui che riesce a leggerli immediatamente a Schopenhauer; infatti chi si far convincere da un asinaio a non montare un bel cavallo per quanto questo esalti il suo asino ai danni del cavallo? Chi dunque ha riconosciuto l'irragionevolezza nella natura di questa epoca, dovr pensare ai mezzi per porvi qualche rimedio; il suo compito sar allora di far conoscere Schopenhauer agli spiriti liberi, a coloro che profondamente soffrono per il nostro tempo, di riunirli e con loro creare una corrente con la cui forza si dovr superare l'inettitudine che la natura, di solito e anche oggi, mostra nell'utilizzare il filosofo. Tali uomini si renderanno conto che sono gli stessi ostacoli, quelli che impediscono l'effetto di una grande filosofia e che si oppongono alla generazione di un grande filosofo; ecco perch devono stabilire come loro fine di preparare la rinascita di Schopenhauer, cio del genio filosofico. Ma ci che fin dal principio si oppose all'effetto e alla diffusione della sua dottrina, ci che infine con tutti mezzi tenta di rendere vana anche una tale rinascita del filosofo , per dirla in breve, la stortura della natura umana attuale: perci tutti coloro che diventano grandi uomini debbono sprecare un'energia incredibile solo per salvare se stessi da questa stortura. Il mondo, in cui oggi fanno il loro ingresso, avvolto nelle fandonie: non necessariamente dogmi religiosi, ma anche concetti bubboleschi come progresso, educazione universale, nazionale, Stato moderno, Kulturkampf: si pu dire anzi che tutte le parole generali oggi portano in s un addobbo artificioso e innaturale; pertanto una posterit pi illuminata rimproverer al nostro tempo soprattutto di essere contorto e deforme per quanto andiamo cos su-

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perbi della nostra salute. La bellezza degli antichi vasi dice Schopenhauer deriva dal fatto che essi esprimono in modo cos ingenuo la loro funzione e la loro essenza, e lo stesso vale per tutti gli altri strumenti dell'antichit; si ha l'impressione che se la natura avesse prodotto vasi, anfore, lampade, tavoli, sedie, elmi, scudi, corazze ecc., quello sarebbe stato il loro aspetto. Al contrario, chi oggi osserva come quasi tutti armeggiano con l'arte, lo Stato, la religione, la cultura per tacere, per ovvi motivi dei nostri vasi trova gli uomini abbandonati ad un arbitrio quasi barbarico e in un eccesso di espressioni e il maggior ostacolo per il divenire del genio sta nel fatto che nel suo tempo siano di moda concetti cos strampalati ed esigenze cos capricciose da costituire quel peso di piombo che spesso, non visto e inspiegabile, blocca la sua mano, che vuole condurre l'aratro. E cos anche le sue opere maggiori, poich sono state ottenute con la violenza, debbono portare con s in una certa misura l'espressione di questa violenza. Se cerco ora di riassumere tutte le condizioni, con l'aiuto delle quali, nel caso pi felice, un filosofo nato almeno non venga schiacciato dalla stortura dell'epoca ora descritta, osservo qualcosa di strano: in parte, almeno da un punto di vista generale, si tratta proprio delle condizioni in cui Schopenhauer stesso crebbe. Certo non gliene mancarono di condizioni contrarie: ad esempio in sua madre vanitosa e amante delle belle lettere, la stortura dell'epoca gli fu paurosamente vicina. Ma il carattere fiero e di libero repubblicano del padre lo salv, per cos dire, dalla madre e gli diede la prima cosa di cui un filosofo ha bisogno: una virilit rude e inflessibile. Questo padre non era n un funzionario n uno scienziato; col figlio adolescente viaggi pi volte in paesi stranieri tutto ci costituisce una condizione fortemente favorevole per chi deve conoscere non libri ma uomini e deve onorare non un governo ma la verit. Ben presto egli divenne insensibile alle grettezze nazionali o anche troppo sensibile: visse in Inghilterra, in Francia e in Italia non diversamente da come avrebbe vissuto nel suo paese e nutr una non piccola simpatia per lo spirito spagnolo. Insomma non considerava un onore l'essere nato proprio tra i Tedeschi: e non so se l'avrebbe pensata diversamente nelle nuove condizioni politiche. Dello Stato come noto pensava che i suoi unici scopi fossero la difesa verso l'esterno, la difesa verso l'interno e la difesa dai difensori, e che se qualcuno gli voleva attribuire altre finalit oltre quella della difesa, ci avrebbe potuto compromettere seriamente il suo vero scopo : perci lasci, con grande scandalo di tutti i cosiddetti liberali, il suo patrimonio ai familiari dei soldati prussiani caduti nel 1848 nella lotta per l'ordine. probabile che d'ora in poi sar sempre pi segno di superiorit spirituale, se qualcuno sapr intendere in maniera semplice lo Stato e i suoi doveri: infatti colui che ha in corpo il furor phiiosophicus non trover mai il tempo per il furor politicus e saggiamente si guarder dal leggere ogni giorno i giornali o addirittura dal servire un partito: pur non esitando un momento, nel caso di reale necessit della patria, ad essere al suo posto. Tutti gli Stati infatti in cui, oltre agli uomini politici, altri si debbono occupare di politica, sono male organizzati e meritano, proprio a causa dei numerosi politicanti, di andare in malora. Schopenhauer ebbe anche un altro grande vantaggio: non fu, fin dall'inizio, destinato ed educato per essere uno studioso, ma lavor realmente per un po' di tempo, anche se malvolentieri, in un ufficio commerciale e, comunque, per tutto il tempo della sua giovent respir l'aria pi libera di una grande ditta commerciale. Uno studioso non pu mai diventare un fi-

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losofo, lo stesso Kant non ci riusc, ma, fino alla fine, rimase, nonostante l'innato impeto del suo genio, quasi nello stato di una crisalide. Chi pensa che io con queste parole faccio torto a Kant, non sa che cosa un filosofo, e cio non solo un grande pensatore, ma anche un vero uomo; e quando mai da uno studioso si sarebbe sviluppato un vero uomo? Chi lascia che tra se stesso e le cose si frappongano concetti, opinioni, antichit, libri, chi insomma nato, nel senso pi ampio, per la storia, non vedr mai le cose per la prima volta, n sar mai egli stesso una tale cosa vista per la prima volta. Tutti e due gli aspetti sono invece certamente presenti nel filosofo, poich egli deve trarre da se stesso la maggior parte degli insegnamenti e poich serve a se stesso come immagine e compendio di tutto il mondo. Se qualcuno si osserva servendosi di opinioni altrui, non c' da meravigliarsi se in s non vedr altro che opinioni altrui! Cos sono, vedono e vivono gli studiosi. Schopenhauer ebbe invece l'indescrivibile fortuna, non solo di osservare da vicino il genio in s, ma anche al di fuori di s, in Goethe: mediante questo duplice rispecchiamento, egli fu radicalmente istruito e reso saggio su tutte le culture e le finalit degli studiosi. Grazie a questa esperienza sapeva come deve essere fatto l'uomo forte e libero, a cui aspira ogni cultura artistica; poteva mai, dopo questa visione, avere ancora molta voglia di occuparsi della cosiddetta arte alla maniera dotta o ipocrita dell'uomo moderno? Inoltre aveva visto qualcosa di pi elevato: una terribile scena ultramondana del Giudizio in cui ogni vita, anche la pi alta e perfetta, era pesata e trovata troppo leggera: aveva visto il Santo come giudice dell'esistenza. Non si pu affatto stabilire quanto precocemente Schopenhauer debba aver contemplato questa immagine della vita, quale tent, pi tardi, di riprodurre in tutti i suoi scritti; si pu dimostrare che l'adolescente, e, si potrebbe credere, gi il fanciullo, abbia avuto questa tremenda visione. Tutto ci che poi egli apprese dalla vita e dai libri, da tutti i campi della scienza, per lui fu quasi soltanto colore e mezzo espressivo; la stessa filosofia kantiana fu da lui utilizzata soprattutto come uno straordinario strumento retorico, grazie a cui credeva di potersi esprimere in modo ancor pi chiaro su quell'immagine: cos come, allo stesso scopo, occasionalmente si serv anche della mitologia buddhista e cristiana. Per lui esisteva un solo compito e centomila mezzi per adempierlo: un solo significato e innumerevoli geroglifici per esprimerlo. Faceva parte delle splendide condizioni della sua esistenza il fatto che pot veramente vivere per questo compito secondo la sua massima: vitam impendere vero e che nessuna delle vere e proprie volgarit della miseria della vita l'abbia prostrato: noto quanto, per questo, fosse grande la sua gratitudine verso il padre mentre in Germania l'uomo teoretico attua la sua destinazione scientifica per lo pi a spese della purezza del suo carattere, come uno straccione pieno di riguardi, avido di posti e di onori, cauto e duttile, adulatore verso le persone influenti e i superiori. Purtroppo niente ha pi offeso gli scienziati del fatto che Schopenhauer non somigliasse a loro. 8. Cos abbiamo elencato alcune condizioni in cui il genio filosofico, nella nostra epoca pu, nonostante i nocivi effetti contrari, almeno nascere: la franca virilit del carattere, una precoce conoscenza degli uomini, niente educazione dotta, nessuna grettezza patriottica, nessuna costrizione a guadagnarsi il pane, nessun rapporto con lo Stato in breve libert e ancora

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libert: lo stesso meraviglioso e pericoloso elemento in cui i filosofi greci poterono crescere. Chi vuole rimproverargli ci che Niebhuhr rimproverava a Platone, di essere stato un cattivo cittadino, lo faccia e si limiti a essere lui un buon cittadino: cos sar nel giusto lui e anche Platone. Un altro interpreter quella grande libert come presunzione: anche questo ha ragione, poich egli stesso non in grado di far nulla di buono con quella libert e, nel caso che la pretendesse per s, sarebbe certamente assai presuntuoso. Quella libert realmente una grave colpa e si pu scontare solo con grandi azioni. In verit ogni figlio comune della terra ha il diritto di guardare con astio ad una persona favorita in cotal misura: possa un dio preservarlo dall'essere altrettanto favorito, cio cos terribilmente obbligato. Per la sua libert e per la sua solitudine andrebbe subito in rovina e diventerebbe pazzo, un pazzo cattivo, per la noia. Da quanto stato detto finora qualche padre forse pu imparare qualcosa e utilizzarlo in qualche modo per l'educazione privata di suo figlio; bench, in verit, non c' da aspettarsi che i padri desiderino proprio avere per figli soltanto dei filosofi. Probabilmente in tutti i tempi i padri saranno coloro che pi si opporranno all'inclinazione filosofica dei loro figli come contro la pi grande pazzia. Socrate si sa fu vittima dell'ira dei padri per la corruzione della giovent, e Platone, per gli stessi motivi, considerava necessaria l'edificazione di uno Stato del tutto nuovo, per rendere autonomo il nascere dei filosofi dall'irragionevolezza dei padri. Sembra quasi che Platone abbia raggiunto realmente qualcosa. Infatti lo Stato moderno considera oggi tra i suoi compiti l'incremento della filosofia e in ogni tempo cerca di regalare a un certo numero di uomini quella libert, che per noi rappresenta la condizione essenziale per la genesi del filosofo. Ma Platone ha avuto nella storia una singolare sfortuna: non appena sorgeva un organismo che corrispondeva essenzialmente alle sue proposte, si trattava sempre, ad una osservazione pi attenta, del figlio di un coboldo sostituito a quello vero, di un odioso mostriciattolo: come, ad esempio, lo Stato medievale dei preti a paragone del dominio dei figli degli Di da lui vagheggiato. Lo Stato moderno, certo il pi lontano possibile dal voler fare dei filosofi i sovrani. Dio sia lodato! aggiunger ogni buon cristiano : ma bisognerebbe, almeno una volta, vedere se lo Stato intende l'incremento della filosofia in senso platonico; voglio dire: con tanta seriet e onest, come se il suo fine sommo fosse di generare nuovi Platoni. Se di solito il filosofo appare nella sua epoca come per caso ora lo Stato si prefigge realmente il compito di tradurre questa casualit in necessit, e aiutare in questo la natura? L'esperienza purtroppo ci informa meglio o peggio: ci dice che per quanto riguarda i grandi filosofi per natura, nulla si oppone alla loro creazione e propagazione e pi dei cattivi filosofi per grazia dello Stato. Argomento penoso, non vero? quello stesso, come noto, su cui Schopenhauer per primo ha attirato l'attenzione nel suo famoso trattato sulla filosofia delle universit. E io ci ritorno sopra: perch bisogna costringere gli uomini a prenderlo sul serio, cio a lasciarsi indurre, mediante esso, ad un'azione e ritengo scritta inutilmente ogni parola dietro la quale non vi sia un tale invito all'azione; in ogni caso bene dimostrare che le proposizioni di Schopenhauer, valide per sempre, lo sono ancora una volta e proprio in relazione ai nostri contemporanei pi prossimi, perch un ingenuo potrebbe pensare che, dal tempo delle pesanti accuse di Schopenhauer, tutto in Germania si sia volto al meglio. Neppure su questo punto per quanto insignificante, la sua opera compiuta.

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Osservata pi da vicino quella libert di cui lo Stato ora, come ho detto, fa grazia ad alcuni uomini in favore della filosofia, in realt non libert, ma un ufficio che nutre il suo uomo. L'incremento della filosofia dunque consiste solo nel fatto che al giorno d'oggi almeno un certo numero di uomini messo in condizione dallo Stato di vivere della propria filosofia, potendo con essa guadagnarsi il pane; mentre gli antichi saggi della Grecia non erano stipendiati dallo Stato, ma al massimo furono una volta, come Zenone, onorati con una corona d'oro e con un monumento funebre sul Ceramico. Se cos si serve la verit, mostrando cio una via per trarre sostentamento da essa, non sono in grado di affermarlo in generale, perch qui tutto dipende dalla natura e bont del singolo, a cui si indica questo cammino. Io potrei immaginarmi benissimo un grado di orgoglio e di autoconsiderazione per cui un uomo dica ai suoi simili: pensate voi a me, perch io ho di meglio da fare, cio pensare a voi. In Platone e Schopenhauer una tale magnanimit di intenti e di espressioni non dovrebbe stupire; perch essi potrebbero essere perfino filosofi di universit, come del resto Platone fu, per qualche tempo filosofo di corte, senza mortificare la dignit della filosofia. Ma gi Kant fu, come noi studiosi di solito siamo, pieno di riguardi, ossequioso e privo di grandezza nel suo rapporto verso lo Stato, in modo tale che comunque, se la filosofia dell'universit dovesse essere messa sotto accusa, non potrebbe giustificarsi. Se esistono per nature in grado di farlo appunto nature come quella di Schopenhauer e Platone uno solo il mio timore: non ne avranno mai l'opportunit, perch mai uno Stato oserebbe favorire tali uomini e metterli in quelle posizioni. Perch poi? Perch ogni Stato li teme, e favorir sempre quei filosofi da cui non teme nulla. Succede, infatti, che lo Stato ha comunque paura della filosofia e, se cosi stanno le cose, cercher di attirare a s quanti pi filosofi gli possibile, che gli diano la parvenza di avere la filosofia dalla sua parte perch cos ha al suo fianco questi uomini che ne portano il nome e, tuttavia, non incutono alcun timore. Ma se dovesse comparire un uomo che faccia veramente atto di affrontare tutto con il coltello della verit, anche lo Stato, allora Io Stato, poich prima di tutto afferma la propria esistenza, in diritto di escludere da s un tipo simile e di trattarlo come nemico; proprio allo stesso modo in cui esclude una religione e la tratta come elemento ostile, quando questa si ponga al di sopra di lui e ne voglia essere giudice. Se qualcuno, dunque, sopporta di essere filosofo per grazia dello Stato, deve anche sopportare di essere considerato dallo Stato come se avesse rinunciato a perseguire la verit in ogni angolo pi nascosto. Almeno finch favorito e ha un posto, deve riconoscere al di sopra della verit qualcosa di pi elevato, lo Stato. E non solo quello, ma tutto ci che lo Stato richiede per il suo bene: ad esempio una determinata forma della religione, dell'ordinamento sociale, dell'organizzazione militare su tutte queste cose c' scritto noli me tangere. mai accaduto che un filosofo di universit abbia compreso con chiarezza tutta l'estensione dei suoi doveri e delle sue limitazioni? Non lo so; se qualcuno l'ha fatto, rimanendo ugualmente funzionario statale, certo come minimo un cattivo amico della verit; se non l'ha mai fatto allora, dovrei pensare, anche in questo caso non un amico della verit. Questa la perplessit pi generale, ma, certo, in quanto tale per uomini come quelli di adesso, la pi debole e la pi indifferente. Ai pi baster alzare le spalle e dire: come se qualcosa di grande e puro abbia potuto mai dimorare e consolidarsi sulla terra senza fare concessioni alla bassezza umana! Volete dunque che lo Stato perseguiti il filosofo piuttosto che sti-

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pendiarlo e prenderlo al suo servizio?. Senza rispondere gi adesso a questa domanda, aggiungo solo che queste concessioni della filosofia allo Stato sono attualmente molto ampie. In primo luogo, lo Stato si sceglie i suoi servi filosofici e cio tanti quanti gliene servono per le sue istituzioni; dandosi quindi l'aria di poter scegliere fra filosofi buoni e cattivi, anzi, ancora di pi, presupponendo che ve ne siano sempre a sufficienza di buoni per occupare tutte le sue cattedre. Si arroga cos l'autorit non solo per la bont, ma anche per il numero necessario dei filosofi buoni. In secondo luogo: lo Stato costringe quelli che si scelto a soggiornare in un luogo determinato, in mezzo a uomini determinati, per una determinata attivit; essi devono istruire ogni rampollo accademico che ne ha voglia, e ci quotidianamente a ore stabilite. Domanda: pu veramente un filosofo impegnarsi con buona coscienza ad avere ogni giorno qualcosa da insegnare? E insegnarlo a chiunque voglia ascoltare? Non deve forse fare dare l'impressione di sapere pi di quanto sa? Non deve parlare davanti a un uditorio sconosciuto, di cose di cui potrebbe parlare, senza pericolo, solo con gli amici pi prossimi? E soprattutto: non si priva cos della sua splendida libert di seguire il suo genio quando questo chiama e nella direzione che indica dato che a ore stabilite obbligato a pensare in pubblico su cose precedentemente stabilite? E tutto ci davanti ai giovani! Un tal modo non per cos dire, a priori svirilizzato? Che succederebbe se un bel giorno egli sentisse: oggi non posso pensare, non mi viene in mente nulla di sensato e tuttavia dovesse mettersi in cattedra e dare l'impressione di pensare? Ma, mi si opporr, non c' affatto bisogno che sia un pensatore, ma al massimo uno che riflette e che rielabora, soprattutto per un dotto conoscitore di tutti i pensatori precedenti, dei quali potr sempre raccontare ai suoi scolari qualcosa che non sanno. Questa appunto la terza e pericolosissima concessione della filosofia allo Stato: quando si impegna a presentarsi in primo luogo e principalmente come erudizione. Soprattutto come conoscenza della storia della filosofia: mentre per il genio che, simile al poeta, guarda alle cose con purezza e amore e non pu immergersi mai abbastanza a fondo, il frugare tra opinioni estranee e distorte forse l'attivit pi ripugnante e pi fastidiosa. La storia erudita del passato non fu mai compito di un vero filosofo, n in India n in Grecia; e un professore di filosofia se si occupa di un lavoro simile, deve accontentarsi che di lui si dica, nel migliore dei casi, un valente filologo, antiquario, linguista, storico, ma mai: un filosofo. E questo, come ho detto, solo nel migliore dei casi: perch per la maggior parte dei lavori eruditi fatti da filosofi delle universit, un filologo avverte che sono fatti male, senza rigore scientifico e, per lo pi, di una noia odiosa. Chi liberer, ad esempio, la storia dei filosofi greci da quell'alone soporifero che vi hanno soffuso i lavori eruditi, ma non del tutto scientifici, e purtroppo anche assai noiosi di Ritter, Brandis e Zeller? Per quanto mi riguarda preferisco leggere Diogene Laerzio che Zeller, perch in lui almeno vive Io spirito degli antichi filosofi, in questo non c' n quello n un altro spirito qualsiasi. E, infine, per tutti i diavoli: che cosa gliene importa ai nostri giovani della storia della filosofia? Forse la confusione delle opinione deve scoraggiarli dall'avere opinioni proprie? Debbono imparare a unire la propria voce al giubilo per i nostri magnifici progressi? O devono forse addirittura imparare a odiare la filosofia e a disprezzarla? Si sarebbe indotti a pensare a quest'ultima possibilit, considerando quale martirio per gli studenti, nei loro esami di filosofia, imprimere nel loro povero cervello le idee pi sottili e pi folli dello spirito umano, accanto a quelle pi grandi e pi difficili da comprendere. L'unica

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critica di una filosofia, che possibile e che dimostra anche qualcosa, cio il tentare se si possa vivere secondo essa, non stata insegnata nelle universit: ma, sempre, la critica delle parole alle parole. Ed ora si pensi ad una giovane mente con poca esperienza nella vita, in cui vengono immagazzinati cinquanta sistemi ridotti a parole e cinquanta critiche dei medesimi, l'uno accanto all'altro e l'uno confuso con l'altro che desolazione, che imbarbarimento, quale sprezzo per una educazione alla filosofia! In effetti il giovane, come pure si ammette, non affatto educato alla filosofia, bens ad un esame filosofico: il cui esito di solito , com' noto, che l'esaminato anche troppo esaminato! confessa a se stesso con un sospiro di sollievo: Dio sia lodato, non sono un filosofo, ma un cristiano e un cittadino del mio Stato!. E se questo sospiro di sollievo, fosse, appunto, l'intenzione dello Stato e Peducazione alla filosofia solo un modo per allontanare dalla filosofia? una domanda da porsi. Ma se le cose stessero cos, ci sarebbe da temere soltanto che la giovent finisse per rendersi conto del perch la filosofia venga cos maltrattata. Ci che vi di pi alto, la generazione del genio filosofico, non sarebbe nient'altro che un pretesto? Lo scopo, forse, impedirne proprio la generazione? Il senso stravolto nel controsenso? Allora, guai a tutto il complesso della furberia statale e professorale! Forse qualcosa del genere gi di pubblico dominio? Non lo so; comunque la filosofia delle universit caduta nel disprezzo e nel sospetto generale. In parte ci dipende dal fatto che, attualmente, una generazione deboluccia occupa le cattedre; e Schopenhauer, se dovesse scrivere ora il suo trattato sulla filosofia delle universit, non avrebbe pi bisogno della clava, ma vincerebbe con una canna di giunco. Sono gli eredi e gli epigoni di quegli pseudopensatori sulle cui teste troppo contorte si abbatteranno i suoi colpi; essi si comportano come lattanti e nanerottoli quanto basta per ricordare il detto indiano: gli uomini, secondo le loro azioni, vengono generati stupidi, sordi, muti o deformi. Quei padri meritano una tale discendenza secondo le loro azioni, come afferma quel detto. Non v' dubbio alcuno, perci, che i giovani accademici faranno ben presto a meno di quella filosofia che viene insegnata loro nella universit, e che gli uomini, al di fuori dell'ambito accademico, gi ora se la cavano senza. Basti pensare ai tempi in cui eravamo studenti; per me, ad esempio, i filosofi accademici erano delle persone assolutamente indifferenti e mi parevano gente intenta a rimestare qualcosa per s dai risultati delle altre scienze, persone che nelle ore di ozio leggevano o andavano ai concerti e che, del resto, venivano trattati dagli stessi compagni di accademia con una disistima cortesemente mascherata. Di loro si pensava che sapevano poco e che erano sempre pronti a ricorrere a un oscuro giro di parole per nascondere questa mancanza di sapere. Preferivano perci trattenersi in quei luoghi crepuscolari, dove un uomo dallo sguardo chiaro non resiste a lungo. Uno rimproverava alle scienze naturali: nessuno pu pienamente spiegarmi il pi semplice divenire, che cosa mi importa dunque di tutte quante? Un altro diceva della storia: a chi ha idee, essa non dice nulla di nuovo in breve essi trovano sempre argomenti per cui sarebbe pi filosofico non sapere nulla che imparare qualcosa. Se si dedicavano allo studio, loro impulso comune era sfuggire alle scienze e fondare un regno tenebroso in qualche loro lacuna o in qualche campo rimasto non illuminato. Cos precorrevano le scienze soltanto nel senso in cui la selvaggina precorre i cacciatori che la inseguono. Ultimamente si compiacciono di affermare di essere solo le guardie di confine e i controllori delle scienze; per ci loro particolarmente

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utile la dottrina kantiana, che si adoperano a trasformare in un apatico scetticismo, di cui ben presto nessuno si preoccuper pi. Qua e l, ogni tanto, qualcuno di loro si lancia in una piccola metafisica, con le abituali conseguenze, cio capogiro, dolor di testa e sangue dal naso. Dopo aver tante volte fallito in questo viaggio nella nebbia e nelle nuvole, dopo che qualche discepolo della vera scienza, rude e testardo, non ha fatto altro che prenderli per il ciuffo e tirarli gi, il loro volto assume l'espressione consueta di affettazione di chi stato sbugiardato. Essi hanno perduto del tutto la fiducia gioiosa, tanto che nessuno vive pi, neppure un tantino, per la sua filosofia. Un tempo alcuni di loro credevano di poter inventare nuove religioni, o di poter sostituire con i loro sistemi le vecchie; ora tale presunzione li ha abbandonati, sono per lo pi gente pia, timida e oscura, mai coraggiosa come Lucrezio, e mai incolleriti per l'oppressione che grava sugli uomini. Da loro neppure il pensiero logico si pu pi imparare, e, in una naturale stima delle proprie forze, hanno abolito perfino i consueti esercizi dialettici. Senza dubbio ora nelle singole scienze si pi logici, pi cauti, pi modesti, pi ingegnosi, in breve si procede pi filosoficamente in questi campi di quanto non procedano i cosiddetti filosofi nel proprio: sicch chiunque sar d'accordo con quello spregiudicato inglese che Bagehot, il quale, degli attuali costruttori di sistemi, dice: Chi non quasi anticipatamente convinto che le loro premesse sono una strana mescolanza di verit ed errore e che perci non vale la pena di meditare sulle conseguenze? L'aspetto conchiuso di questi sistemi forse attira la giovent e fa effetto sugli inesperti, ma uomini maturi non se ne lasciano abbagliare. Essi sono sempre pronti ad accogliere favorevolmente indicazioni e supposizioni e la pi piccola verit per loro benvenuta ma un grosso libro di filosofia deduttiva invece suscita diffidenza. Innumerevoli principi astratti e non dimostrati vengono precipitosamente raccolti da queste persone sanguigne e accuratamente diluiti in libri e teorie per chiarire per mezzo loro tutto il mondo. Ma il mondo non si preoccupa di queste astrazioni e non c' da meravigliarsi, giacch queste sono tra loro contraddittorie. Se un tempo, soprattutto in Germania, il filosofo era immerso in cos profonde riflessioni da essere sempre in pericolo di sbattere la testa in ogni trave, oggi, come Swift racconta dei Lapuziani, assistito da un'intera schiera di battitori, che, al momento buono gli danno un dolce colpo sugli occhi o altrove. Di tanto in tanto questi colpi possono essere anche troppo forti, allora i fuori dal mondo si dimenticano di se stessi e picchiano a loro volta, il che per va sempre a finire con loro vergogna. Ma non vedi la trave, minchione che non sei altro? dice allora il battitore; e effettivamente il filosofo vede la trave e si rabbonisce. Questi battitori sono le scienze naturali e la storia; esse, un poco alla volta, hanno cos intimidito quella sorta di pasticcio tedesco tra sogno e pensiero, scambiato per tanto tempo con la filosofia, che quei pensatorucoli rinuncerebbero anche troppo volentieri al tentativo di procedere autonomamente; ma se, inavvertitamente, cadono nelle braccia di quei battitori, o se vogliono legar loro delle dande per esser guidati essi stessi, quelli allora subito strepitano il pi paurosamente possibile, come se volessero dire: ci mancava soltanto che un pensatore da quattro soldi ci imbrattasse le scienze naturali e la storia! Fuori!. Allora, traballando, ritornano alla loro insicurezza e perplessit: assolutamente vogliono avere tra le mani un po' di scienza naturale, qualcosa tipo la psicologia empirica, come gli herbartiani, e ad ogni costo anche un po' di storia cos infatti, almeno pubblicamente, darsi le arie di avere un'occupazione scientifica,

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anche se nel loro intimo mandano al diavolo tutta la filosofia e la scienza. Ma ammesso che questa schiera di cattivi filosofi ridicola e chi non lo ammetterebbe? fino a che punto sono anche dannosil Per rispondere brevemente: lo sono perch rendono ridicola la filosofia. Finch durer questo pseudo modo di pensare, riconosciuto dallo Stato, ogni grandioso effetto di una vera filosofia sar vanificato o, almeno, ostacolato e da niente altro se non dalla maledizione del ridicolo, che i rappresentanti di quella grande cosa hanno attirato su di s ma che colpisce la cosa stessa. Perci io dico che un'esigenza della cultura sottrarre alla filosofia qualsiasi riconoscimento statale o accademico e esonerare lo Stato e l'accademia da quel compito per loro inassolvibile, di distinguere tra filosofia vera e apparente. Lasciate, comunque, che i filosofi crescano selvaggiamente, negate loro ogni prospettiva di un posto e di un inserimento nelle professioni borghesi, non sollecitateli pi con stipendi, anzi ancor di pi: perseguitateli, siate maldisposti nei loro confronti e vedrete cose meravigliose! Allora quei poveri filosofi apparenti si disperderanno e cercheranno qua e l un tetto: qui si apre una parrocchia, l una scuola, questo si rifugia in una redazione di giornale, quello scrive manuali per scuole femminili superiori, il pi ragionevole di loro afferra l'aratro, e il pi vanesio va a corte. Improvvisamente tutto vuoto, il nido abbandonato: facile infatti liberarsi dai cattivi filosofi, basta non favorirli pi. E ci certo pi consigliabile che patrocinare pubblicamente, attraverso lo Stato, una filosofia, qualunque essa sia. Lo Stato non si mai preoccupato della verit, ma solo di quella verit che gli utile, o, per essere pi esatti, di tutto ci che gli utile, sia esso verit, mezza verit o errore. Un'alleanza tra filosofia e Stato ha, dunque, senso solo se la filosofia pu impegnarsi ad essere incondizionatamente utile allo Stato, il che significa stimare l'utilit dello Stato pi importante della verit. Certo, per lo Stato sarebbe magnifico avere al suo servizio e al suo stipendio anche la verit; ma sa molto bene che proprio dell''essenza della verit non essere mai a servizio, e non prendere mai mercede. Quindi in ci che ha, lo Stato possiede solo la falsa verit, una persona con una maschera; ma questa, purtroppo, non pu certo fornirgli ci che tanto anela dalla autentica verit: la sua legittimazione e santificazione. Se un principe medievale voleva essere incoronato, ma non riusciva a ottenerlo dal papa, nominava un antipapa che gli rendeva questo servigio. Il che, fino a un certo punto, poteva anche andare: non va per che lo Stato moderno nomini un'antifilosofia da cui vuole essere legittimato; avr, infatti, sempre contro di s, come prima e anzi pi di prima, la vera filosofia. In tutta seriet credo che gli sia pi utile non occuparsi proprio della filosofia, non chiederle nulla e lasciarla stare, finch possibile, come qualcosa di indifferente. Se non si riesce a mantenere l'indifferenza e la filosofia diventa pericolosa e aggressiva per lo Stato, allora la perseguiti pure. Dato che lo Stato non pu avere per l'universit altro interesse che quello di educare mediante essa cittadini sottomessi e utili, dovrebbe preoccuparsi di non mettere in pericolo questa sottomissione e questa utilit pretendendo dai giovani un esame di filosofia: certo pensando alle teste neghittose e poco dotate pu anche essere il giusto deterrente dallo studio della filosofia farne, appunto, uno spauracchio da esame; ma un tale profitto non basta a compensare i danni che questa stessa forzata occupazione pu provocare in giovani temerari e inquieti: essi vengono a contatto con libri proibiti e cominciano a criticare i loro maestri e finiscono per comprendere lo scopo

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della filosofia delle universit e di quegli esami per non parlare poi delle perplessit in cui possono cadere giovani teologi in tale occasione, e di conseguenza estinguersi in Germania, come gli stambecchi nel Tirolo. So bene quali potevano essere le obiezioni dello Stato a quanto ho appena detto, finch la bella hegelianeria lussureggiava verde su tutti i prati; ma dopo che la grandine ha bruciato questo raccolto e, di tutto quanto ci si attendeva da questa filosofia, nulla si adempiuto e tutti i granai sono rimasti vuoti meglio non ribattere nulla e distogliere l'interesse dalla filosofia. Ora si ha il potere; allora, al tempo di Hegel, si voleva averlo questa una grande differenza. Ormai lo Stato non ha pi bisogno della sanzione della filosofia e perci essa gli divenuta superflua. Se Io Stato non manterr pi le sue cattedre, o, come presumo che succeder in un prossimo futuro, lo far solo apparentemente e con trascuratezza, ne avr la sua utilit tuttavia mi sembra pi importante che anche l'universit ci veda un proprio vantaggio. Almeno dovrei pensare che un luogo di vera scienza dovrebbe sentirsi favorito dall'essere liberato dalla promiscuit con scienze che sono tali solo per met o per un quarto. Inoltre la rispettabilit delle universit diventata qualcosa di troppo raro, per non doversi augurare in linea di principio l'abolizione di quelle discipline che gli stessi accademici non stimano. I non accademici, infatti, hanno buoni motivi per un certo disprezzo generale verso le universit; essi rimproverano loro di essere vili, che le piccole temono le grandi, e che le grandi temono l'opinione pubblica, che in tutte le questioni di cultura superiore non sono all'avanguardia, ma seguono zoppicando lentamente e in ritardo; che non perfino pi rispettata la direttiva fondamentale di autorevoli scienze. Per esempio non ci si mai cos alacremente curati di studi linguistici come oggi, senza per considerare necessaria per se stessi una severa educazione allo scrivere e al parlare. L'antichit indiana ci ha aperto le sue porte, e i suoi conoscitori hanno con le opere immortali degli Indiani e con la loro filosofia un rapporto poco diverso da quello degli animali con la lira; sebbene Schopenhauer reputasse la conoscenza della filosofia indiana uno dei maggiori vantaggi che il nostro secolo aveva sugli altri. L'antichit classica diventata un'antichit qualsiasi e non agisce pi come classica ed esemplare; come lo dimostrano i suoi seguaci, che, certo, non sono uomini esemplari. Dove finito lo spirito di Friedrich August Wolf, di cui Franz Passow poteva dire che sembrava un puro spirito autenticamente patriottico e umano, che avrebbe avuto la forza di mettere in fermento e in fiamme un continente dov' questo spirito? Di contro lo spirito dei giornalisti si insinua sempre pi nelle universit e spesso sotto il nome della filosofia: una esposizione piana e abbellita, Faust e Nathan il Saggio sulle labbra, il linguaggio e le opinioni dei nostri ributtanti giornali letterari, di recente anche chiacchiere sulla nostra sacra musica tedesca, e perfino la richiesta di cattedre per Goethe e Schiller tutti segni questi che indicano come lo spirito dell'universit continui a confondersi con lo spirito del tempo. Perci mi sembra del massimo valore che al di fuori delle accademie sorga un tribunale superiore, che sorvegli e giudichi anche queste istituzioni in relazione al tipo di educazione che esse promuovono; e non appena la filosofia abbandoner le universit, purificandosi cos da tutti gli indegni scrupoli e mascherature, essa non potr essere altro che un simile tribunale: senza potere statale, senza stipendi e onori, sapr rendere il suo servizio libera dallo spirito del tempo e dalla paura di questo, per dirla in breve, vivendo come Schopenhauer, quale giudice della cosiddetta cultura che lo circondava.

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Cos il filosofo pu essere utile anche all'universit se non si mescola ad essa, ma la guarda da una certa, dignitosa distanza. Ma alla fine a che ci serve l'esistenza di uno Stato, l'incremento delle universit, se innanzitutto in gioco l'esistenza della filosofia sulla terra! o per non lasciare pi alcun dubbio su ci che intendo quando importa indicibilmente di pi che sulla terra nasca un filosofo, piuttosto che continuino ad esistere uno Stato o un'universit. Nella misura in cui l'asservimento alle opinioni pubbliche e il pericolo per la libert aumentano, pu elevarsi la dignit della filosofia; essa raggiunse il suo apice durante il terremoto della repubblica romana morente o nell'epoca imperiale in cui il suo nome e quello della storia divennero ingrata princibus nomina. Bruto testimonia pi di Platone per la sua dignit; sono queste le epoche in cui l'etica smise di contenere luoghi comuni. Se oggi la filosofia non molto rispettata, ci si chieda soltanto come mai nessun grande condottiero o uomo di Stato si proclami oggi suo seguace soltanto perch quando la cerc gli si fece incontro solo un fantasma infiacchito col nome di filosofia, quella erudita saggezza e circospezione della cattedra, insomma perch, ben presto, per lui la filosofia divent una cosa ridicola. Mentre avrebbe dovuto essere una cosa terribile; e gli uomini che sono chiamati a cercare il potere dovrebbero sapere quale fonte di eroismo scorra in essa. Un americano pu dir loro che cosa significa un grande pensatore che venga su questa terra come un centro di forze immense: State bene attenti dice Emerson quando il gran Dio fa scendere sul nostro pianeta un pensatore! Tutto allora in pericolo. come se sia scoppiato un incendio in una grande citt, dove nessuno sa sicuramente che cosa sia e quando finir. Allora non c' nulla nella scienza che non possa domani essere capovolto, non vale pi alcuna reputazione letteraria e tanto meno le cosiddette celebrit eterne: tutto ci che caro e prezioso per l'uomo in quel momento lo solo in base alle idee che si sono affermate sul suo orizzonte spirituale e che sono la causa dell'attuale ordinamento delle cose, cos come un albero porta i suoi frutti. Un nuovo grado di cultura sottoporrebbe in un attimo a un rovesciamento l'intero sistema delle aspirazioni umane. Dunque, se questi pensatori sono pericolosi, allora certamente chiaro perch i loro pensieri crescono cos pacificamente nella tradizione, come soltanto un albero ha portato i suoi frutti; essi non incutono timore, essi non scardinano; e di tutto il loro darsi da fare si dovrebbe dire ci che Diogene da parte sua obiett, una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: Che cosa di grande pu mai mostrare, se da tanto si occupa di filosofia, e non ha ancora turbato nessuno?. Proprio cos si dovrebbe scrivere sulla lapide della filosofia delle universit: Non ha turbato nessuno. Ma questa pi la lode di una anziana donna che di una dea della verit, e non c' da stupirsi se coloro che conoscono questa dea solo come una vecchietta sono essi stessi poco uomini e perci, a buon diritto, non vengono pi tenuti in alcuna considerazione dagli uomini del potere. Ma se questa la situazione nel nostro tempo, allora la dignit della filosofia calpestata nella polvere: sembra che essa stessa sia diventata qualcosa di ridicolo o indifferente: cosicch tutti i suoi veri amici sono tenuti a render testimonianza contro questo equivoco o, per lo meno, a mostrare che soltanto quei falsi servitori e quegli indegni rappresentanti della filosofia sono ridicoli e indifferenti. Meglio ancora se con l'azione dimostrano che l'amore per la verit qualcosa di terribile e violento. Questo e quello dimostr Schopenhauer e lo dimostrer ogni giorno di pi.

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