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Appunti per un corso di Fisica Applicata

Giampaolo Lai 3 novembre 2010

Indice
1 Cinematica
1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 3.1 3.2 4.1 4.2 4.3 Grandezze siche che caratterizzano Moto rettilineo uniforme . . . . . . Moto uniformemente accelerato . . Moto circolare uniforme . . . . . . Moto armonico . . . . . . . . . . . Denizione di forza Statica . . . . . . . Leve . . . . . . . . Dinamica . . . . . Massa e peso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . il movimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5 6 6 7 9

2 Le forze

10
10 11 12 13 14

3 Lavoro ed energia

Lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Fluidi in equilibrio . . . . . . . . . . . . Calcolo della pressione arteriosa . . . . . Fluidi in movimento . . . . . . . . . . . 4.3.1 Portata e equazione di continuit 4.3.2 Equazione di Bernoulli . . . . . . 4.3.3 Stenosi e aneurisma . . . . . . . . Fluidi reali . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.1 Tensione superciale . . . . . . . 4.4.2 Viscosit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

15

4 Meccanica dei uidi

18

4.4

18 20 21 21 22 22 23 23 24

5 Onde
5.1

Generalit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 1

26

5.2 5.3 5.4 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 7.1 7.2 7.3 8.1 8.2 8.3 8.4 8.5

Alcuni fenomeni ondulatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Onde sonore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Eetto Doppler . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Temperatura . . . . . . . . . . . Gas perfetti . . . . . . . . . . . . Interpretazione cinetica delle leggi Calorimetria . . . . . . . . . . . . Scambi termici uomo - ambiente . . . . . dei . . . . . . . . . . gas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6 Calore e temperatura

31

31 32 33 34 35

7 Fenomeni elettromagnetici

Elettricit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 Magnetismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Onde elettromagnetiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 Cenni di struttura della materia Decadimenti radioattivi . . . . . Generalit sulle radiazioni . . . Radiazioni non ionizzanti . . . . Radiazioni ionizzanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

37

8 Radiazioni

45

45 47 48 50 52

9 Esempi numerici Bibliograa

56 61

Introduzione
Prima di illustrare i vari fenomeni sici di cui ci occuperemo, occorre introdurre alcuni concetti fondamentali. Per poter descrivere un fenomeno sico essenziale trovare le grandezze siche appropriate. Si denisce grandezza sica tutto ci che si pu misurare, ovvero confrontare con un campione della stessa specie preso come unit di misura. Il procedimento con cui si pu realizzare la misura di una grandezza sica detto denizione operativa. Esiste una grande quantit di unit di misura. Quelle accreditate dal mondo scientico fanno parte di un insieme di unit di misura detto Sistema Internazionale. In tale sistema si deniscono poche unit di misura, dette fondamentali, dalle quali si possono ricavare tutte le altre, dette derivate, che possono servire per la teoria o per gli esperimenti. Vedi tabella (1) con le unit di misura fondamentali del S.I. lunghezza massa tempo temperatura intensit di corrente intensit luminosa quantit di sostanza metro chilogrammo secondo kelvin ampre candela mole m kg s K A cd mol

Tabella 1: Unit di misura fondamentali del Sistema Internazionale La sica, come altre scienze sperimentali, ha una componente fondamentale basata sugli esperimenti, cio sull'osservazione dei fenomeni che ci circondano, ma tale osservazione ha tra i suoi scopi quello di capire i fenomeni osservati, cio in parole povere saper prevedere cosa succeder in situazioni analoghe. Ci reso pi semplice dall'elaborazione di una teoria sica. Gli esperimenti e la teoria si completano a vicenda: la teoria spiega gli esperimenti e questi confermano la teoria. Noi oviamente non dobbiamo n fare esperimenti, n confermare o meno nuove teorie, bens studiare le principali

leggi siche per vedere come ci possono aiutare a capire i fenomeni sici,

in particolare quelli dell'ambito sanitario. Le leggi siche sono nient'altro che formule matematiche che descrivono in maniera quantitativa (cio precisa) i fenomeni. Occorre a questo punto sottolineare che la sica (e le altre scienze sperimentali) si appoggiano alla matematica: sar perci importante tenere ben presenti alcuni concetti matematici. Per lo studio individuale e per approfondimenti si consigliano (vedi Bibliograa nale per i riferimenti): per la parte generale un testo per le scuole secondarie superiore come [Amaldi]; per le applicazioni della sica ai fenomeni sanitari un testo specico come [Bersani].

Capitolo 1 Cinematica
1.1 Grandezze siche che caratterizzano il movimento
Il movimento il fenomeno sico che pi ci familiare. Per descrivere il moto di un corpo occorre anzitutto introdurre le grandezze siche posizione, spostamento e tempo. Tali grandezze sono familiari, ma ora cerchiamo di vederle da un punto di vista sico. Premesso che, come si gi detto, tutte le grandezze siche sono entit che si possono misurare, si pu dire quanto segue. 1. La posizione di un corpo quella che si determina rispetto a un sistema di riferimento. Si pu intendere, come esempio, una qualsiasi strada in cui compaiono i cartelli chilometrici. In sica la posizione si misura in metri. 2. Lo spostamento di un corpo la dierenza tra una posizione iniziale e una posizione nale. Come la posizione, si misura in metri. 3. Non c' bisogno di soermarsi sul tempo, basti dire che in sica si misura in secondi. Ora si pu dire che un corpo in movimento quando, rispetto a un dato sistema di riferimento, la sua posizione varia al variare del tempo. Tutto ci sarebbe molto vago se non si introducesse una grandezza sica che ci dice quanto rapidamente si muove un corpo. Quella che ci pi familiare la cosiddetta velocit media, data da

v=

x . t
5

Col simbolo si indica la variazione della grandezza sica indicata. Per esempio la formula data signica che la velocit media data dalla variazione della posizione (cio lo spostamento) al variare del tempo. La velocit media un concetto molto usato nella vita quotidiana, ma nell'ambito scientico pi utile la velocit istantanea, che la velocit che il corpo possiede in un dato istante, ma che richiede concetti matematici pi sosticati.

1.2 Moto rettilineo uniforme


Si tratta di un movimento in cui la velocit si mantiene costante al variare del tempo e la traiettoria del corpo una linea retta. In questo caso lo spostamento del corpo direttamente proporzionale al corrispondente intervallo di tempo trascorso. Se ad esempio la velocit di un corpo 4 m/s, il corpo percorre 4 m ogni secondo e cos, conoscendo la velocit, in un qualsiasi tempo possibile calcolare lo spostamento percorso:

x = v t.
Poich lo spostamento dato dalla dierenza fra la posizione nale, indicata con x, e la posizione iniziale, indicata con x0 , si avr

x x0 = v t
e quindi

x = x0 + v t.
Questa formula chiamata legge oraria del moto rettilineo uniforme. Si chiama legge oraria una qualsiasi formula che consente di calcolare lo spazio al variare del tempo.

1.3 Moto uniformemente accelerato


Si tratta di un movimento in cui la velocit non costante, ma varia in maniera regolare al trascorrere del tempo. In generale quando in un movimento varia la velocit, si pu denire una grandezza sica chiamata accelerazione media, data da v . a= t Se la velocit varia in maniera direttamente proporzionale rispetto al tempo, l'accelerazione costante, e si pu in tal caso ricavare la velocit raggiunta

dal corpo in ogni istante. Poich v pari alla dierenza fra la velocit nale, che chiamiamo v , e la velocit iniziale, che chiamiamo v0 , si ha

v = a t
cio

v v0 = a t
e quindi

v = v0 + a t.
Questa formula non una legge oraria. La legge oraria del moto uniformemente accelerato invece

1 x = x0 + v0 t + at2 2
ma non semplice da ricavare con considerazioni immediate. Il moto uniformemente accelerato si ritrova anche in natura: il cosiddetto moto in caduta libera. Si sa infatti che ogni corpo cade verso il basso (a causa della forza di gravit) con un'accelerazione costante, che indicata con g e vale 9,8 m/s2 . Perci per trattare casi di corpi in caduta libera suciente applicare le leggi del moto uniformemente accelerato.

1.4 Moto circolare uniforme


I due movimenti n qui esaminati fanno parte dei cosiddetti movimenti in una dimensione. Ovviamente esistono movimenti che seguono traiettorie curve, sia nel piano che nello spazio. Tra i movimenti curvilinei pi semplici e pi importanti vi il moto circolare uniforme. In ogni caso per descrivere i moti curvilinei opportuno introdurre i vettori. Un vettore un oggetto matematico che ha ben precise propriet. Per ora ci basti sapere che esso dotato di tre caratteristiche chiamate modulo, direzione e verso. Il modulo o intensit semplicemente il valore della grandezza sica (ovviamente con la rispettiva unit di misura); la direzione la retta sulla quale giace il vettore; il verso una delle due possibili orientazioni della direzione. Con i vettori si possono eseguire le stesse operazioni dei numeri, pur con qualche dierenza. Dal punto di vista sico i vettori si usano per rappresentare le cosiddette grandezze vettoriali, quelle grandezze siche che per essere denite hanno bisogno di modulo, direzione e verso. Si distinguono dalle grandezze scalari, che sono descritte solo da un numero. Delle grandezze siche no ad ora esaminate, ad esempio, il tempo una 7

grandezza scalare, mentre la posizione, lo spostamento, la velocit e l'accelerazione sono vettoriali. Per quanto riguarda le operazioni con i vettori le vedremo man mano che ne ricorrer la necessit. Prendiamo in esame ora il moto circolare uniforme. Trattasi di un movimento che si svolge lungo una circonferenza e in cui il modulo della velocit costante mentre la direzione e il verso variano istante per istante, mantenendosi la direzione sempre tangente alla circonferenza. Per questo motivo la velocit nel moto circolare uniforme chiamata tangenziale. Due grandezze caratteristiche di questo moto sono il periodo, che il tempo impiegato dal corpo a percorrere un giro completo, e la frequenza, che il numero dei giri completi nell'unit di tempo. Il moto circolare pu essere descritto oltre che con la posizione x al variare del tempo, come negli altri moti esaminati, anche con una formula che ci dice come varia l'angolo descritto dal corpo al trascorrere del tempo. Allo scopo si pu denire un altro tipo di velocit, detta velocit angolare, che sar data da

. t

Poich si ipotizza che la velocit angolare costante, pu essere calcolata prendendo qualsiasi angolo percorso. Per semplicit si prende tutto l'angolo giro, che equivale a 2 radianti, che viene percorso in un tempo pari al periodo. Si ha perci: 2 = . T Per calcolare il modulo della velocit angolare si pu fare un ragionamento analogo. Poich esso costante, pu essere calcolato per qualsiasi percorso. Per semplicit si prende tutta la circonferenza, che viene percorsa in un tempo pari al periodo, e si ha perci:

v=

2R T

dove R il raggio della traiettoria circolare. Si osservi che si ha

v = R.
Come si detto, la velocit una grandezza vettoriale, e nel moto circolare uniforme il suo modulo costante ma la direzione cambia istante per istante. Proprio per il fatto che vi comunque una variazione della velocit, vi anche una accelerazione. Per determinare questa accelerazione si deve fare riferimento ai vettori. Si osserva dal disegno (vedi slides delle lezioni) che la variazione di velocit v sempre diretta verso il centro, e quindi anche 8

l'accelerazione. Nel moto circolare uniforme, dunque, l'accelerazione viene chiamata centripeta. Con un ragionamento geometrico sulle lunghezze dei vettori si ricava il modulo di tale accelerazione:

v2 a= . R

1.5 Moto armonico


Il moto armonico la proiezione di un moto circolare uniforme su un diametro della circonferenza. Indicando con P il punto sulla circonferenza e con P la sua proiezione, detta x la posizione di P si ha

x = r cos .
Ora tieni presente che varia al variare del tempo e se il moto di P circolare uniforme si ha = t. Si ha quindi

x = r cos t.
Dal fatto che il moto armonico la proiezione del moto circolare sul diametro della circonferenza, con considerazioni geometriche si possono ricavare la velocit e l'accelerazione del moto armonico. Si ottiene:

v = r sin t a = 2 r cos t.
Da queste formule si vede che la velocit minima alle estremit e massima al centro, viceversa per l'accelerazione.

Capitolo 2 Le forze
2.1 Denizione di forza
Possiamo denire la forza in base agli eetti che essa produce: la deformazione dei corpi (denizione statica) e il movimento (denizione dinamica). Per quanto riguarda gli eetti statici della forza, prendiamo in considerazione un corpo elastico, ad esempio una molla. Si pu vericare che, entro certi limiti, tale corpo, se sollecitato, tende a riprendere la posizione di equilibrio. L'azione che riporta la molla alla posizione di equilibrio detta forza elastica. Dall'esperienza risulta che la forza elastica direttamente proporzionale allo spostamento ma, come si detto, ha verso opposto ad esso. Questo risultato sperimentale va sotto il nome di legge di Hooke

F = kx
dove F la forza elastica, x l'allungamento della mola misurato rispetto alla posizione di equilibrio e k la costante elastica della molla. Sulla base della forza elastica si pu costruire uno strumento per misurare la forza detto dinamometro. L'unit di misura della forza il newton. Un'importante propriet della forza che una grandezza vettoriale. Ci risulta anche dal fatto che per sommare due o pi forze bisogna usare la regola del parallelogramma. Poich le forze producono sia deformazione che movimento, esaminiamo ora la statica, cio lo studio dell'equilibrio dei corpi quando sono soggetti a forze, e poi lo studio della dinamica, cio come le forze sono collegate al movimento.

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2.2 Statica
Se per studiare l'equilibrio di un corpo lo consideriamo come punto materiale, cio come oggetto che ha massa ma non ha dimensioni, la condizione di equilibrio che la risultante delle forze applicate deve essere nulla. Tale condizione anche chiamata condizione di equilibrio traslatorio, perch un punto materiale, in quanto tale, non ha movimenti rotatori. Se per non possibile considerare un corpo come un punto materiale, ma dobbiamo considerarlo come un corpo rigido esteso (cio un corpo in cui la distanza reciproca tra due suoi qualsiasi punti non varia), non si pu prescindere da eventuali movimenti rotatori. La condizione di equilibrio traslatorio in tal caso solo necessaria ma non suciente per l'equilibrio complessivo del corpo. Occorre, per studiare l'equilibrio di un corpo rigido esteso, introdurre prima una nuova grandezza sica chiamata momento di una forza. Consideriamo per semplicit un oggetto rigido che possa ruotare intorno a un punto sso. A seconda che una stessa forza sia applicata pi o meno vicino al punto di rotazione, sar diverso il grado di dicolt con cui si pu far ruotare l'oggetto. In particolare, se la forza applicata vicino al punto di rotazione, pi dicile far ruotare l'oggetto mentre con la stessa forza sar pi facile produrre la rotazione se la si applica pi lontano dal punto di rotazione. Ancora per semplicit, consideriamo che la retta che unisce il punto di rotazione al punto di applicazione della forza sia perpendicolare alla forza stessa. In tal caso (vedi slides ) il momento della forza rispetto al punto O dato da M =F b dove b il braccio della forza. In realt al momento di una forza la sica attribuisce un carattere vettoriale. Per vedere tale carattere ipotizziamo che l'oggetto che pu ruotare lo faccia nello spazio, non intorno a un punto, ma intorno a un asse, es. una porta. Come gi detto, si pu vericare che dicile far ruotare la porta se si applica la forza vicino ai cardini (asse di rotazione). Ora, al momento di una forza rispetto all'asse si attribuisce come modulo il valore gi dato dalla formula precedente, ma si attribuisce anche una direzione che nella fattispecie quella dell'asse di rotazione e come verso si attribuisce quello verso l'alto (positivo) se la rotazione avviene in senso antiorario, verso il basso (negativo) se la rotazione avviene in senso orario. Ci premesso, la condizione di equilibrio rotatorio per un corpo rigido esteso che il risultante dei momenti applicati deve essere nullo.

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2.3 Leve
La leva un corpo rigido di peso trascurabile girevole intorno a un asse sso. L'asse di rotazione si chiama fulcro, e le forze applicate alla leva si chiamano di solito potenza (FP ) e resistenza (FR ). La distanza tra il fulcro e la retta d'azione della potenza o della resistenza si chiama braccio. Le leve si classicano in tre categorie. Primo genere. Il fulcro si trova tra la potenza e la resistenza. Secondo genere. La resistenza si trova fra il fulcro e la potenza. Terzo genere. La potenza si trova fra il fulcro e la resistenza. In una leva si avr l'equilibrio rotatorio se si verica la condizione di equilibrio

FP bP + FR bR = 0.
Da questa relazione si vede che se il braccio della resistenza minore di quello della potenza, con una piccola potenza si riesce a equilibrare una grande resistenza. In questo caso la leva si dice vantaggiosa. Ne consegue che mentre le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose, quelle di secondo genere sono sempre vantaggiose mentre quelle di terzo genere sono sempre svantaggiose. In un organismo vivente, dalla contrazione muscolare hanno origine forze che vengono utilizzate per sollevare pesi, per la locomozione e in generale per vincere delle resistenze, quindi si pu parlare di leve. La risultante di tutte le forze resistenti, costituite dal peso del segmento osseo e delle parti molli, nonch da eventuali forze aggiuntive, si considera applicata in un dato punto. Il punto di inserzione del muscolo al segmento osseo mobile rappresenta il punto di applicazione della potenza mentre le articolazioni agiscono come fulcri. Un esempio di leva di primo genere (detta anche leva di bilanciamento) quella impiegata nel movimento di estensione della testa. Il peso della testa la resistenza, il fulcro in un'articolazione (quella atlanto-occipitale), la potenza quella esercitata da diversi muscoli (trapezio, splenio, grande complesso, grande retto posteriore del capo, piccolo retto posteriore del capo, piccolo obliquo del capo). Una leva di secondo genere (leva di potenza) impiegata nei movimenti di locomozione quando il corpo viene sollevato sulla punta dei piedi. Il fulcro nella punta del piede, la resistenza il peso del corpo e la potenza esercitata da un muscolo (tricipite della sura inserito distalmente sul calcagno tramite il tendine d'Achille). Una leva di terzo genere, pur non manifestando vantaggio meccanico, utile perch consente di ottenere movimenti molto rapidi. Un esempio ne l'avambraccio umano in 12

cui il fulcro l'articolazione trocleare del gomito, la potenza sviluppata dai muscoli bicipite e brachiale anteriore e la resistenza applicata alla mano ed rappresentata dai pesi delle ossa, delle parti molli dell'avambraccio e della mano pi eventuali carichi esterni.

2.4 Dinamica
La dinamica lo studio delle cause del moto, che sono per l'appunto le forze. La dinamica poggia sui seguenti tre principi. 1. Primo principio o legge di inerzia. Un corpo rimane nello stato di quiete o di moto rettilineo uniforme nch non interviene una forza a modicare tale stato. Questo principio ci dice che lo stato naturale di un corpo quello in cui fermo o a velocit costante. In generale tale principio si manifesta in questo modo: per mettere in movimento un corpo fermo dobbiamo esercitare su di esso una forza; una volta che il corpo in movimento, se non gli si applica alcuna forza esso dopo un tempo pi o meno lungo comunque si ferma perch vi in generale una forza, detta forza di attrito, che si oppone al movimento. La propriet dei corpi di opporsi al cambiamento del loro stato di moto quando viene applicata una forza si chiama inerzia ed misurata dalla massa del corpo: chiaro infatti che se il corpo ha una massa piccola pi facile cambiare il suo stato di moto e viceversa. 2. Secondo principio della dinamica o legge di Newton. La forza applicata a un corpo di massa m produce un'accelerazione che direttamente proporzionale alla forza stessa, ove la costante di proporzionalit proprio la massa: F = ma. Questo principio consente di calcolare in maniera quantitativa l'eetto che una forza ha sul corpo. Se infatti si conosce la forza e la massa del corpo, dalla formula possibile ricavare l'accelerazione e quindi, dalle formule della cinematica, possibile risalire alle caratteristiche del movimento. 3. Terzo pricipio della dinamica o legge di azione e reazione. Se un corpo A esercita una forza su un corpo B , il corpo B esercita sul corpo A la stessa forza ma in verso opposto. Abbiamo inniti esempi di questo principio. Prima di passare oltre opportuno illustrare le caratteristiche della forza di attrito citata. Trattasi di forza che si esercita fra due superci e che 13

ostacola il movimento. Si trova sperimentalmente che la forza di attrito direttamente proporzionale alla cosiddetta forza normale, in parole povere il carico di un corpo sulla supercie, in base alla formula

F = N.
Si pu intuire questo fatto osservando che se lo stesso corpo viene posto su un piano inclinato, il movimento facilitato perch la forza di carico inferiore. Il coeciente di proporzionalit detto coeciente di attrito. Occorre precisare che la forza di attrito pu essere classicata in vari modi. In particolare si parla di attrito statico, che la forza che si oppone al movimento di un corpo se questo fermo, e attrito dinamico, che la forza opposta dalla supercie di appoggio quando il corpo gi in movimento. Si pu vericare che l'attrito statico sempre maggiore di quello dinamico: infatti pi dicile mettere in movimento un corpo se fermo, vincendo la resistenza della supercie di appoggio, piuttosto che mantenerlo in movimento. In quest'ultimo caso la resistenza della stessa supercie inferiore.

2.5 Massa e peso


In natura esiste un forza fondamentale che la forza di gravit, quella che attira tutti i corpi verso il centro della Terra, o, in generale, che attira reciprocamente due masse. Tutti i corpi che hanno massa, infatti, interagiscono tra di loro a causa della forza di gravit e se consideriamo un qualsiasi oggetto sulla Terra, vi una forza reciproca tra la Terra e l'oggetto, nel senso che come la Terra attira verso di se l'oggetto, anche questo attira la Terra (in base al terzo principio della dinamica). Noi ovviamente non sperimentiamo l'attrazione gravitazionale dell'oggetto sulla Terra, perch il nostro pianeta talmente grande da rendere iniuente tale attrazione. Deniamo peso di un corpo proprio la forza di gravit con cui la Terra attrae quel corpo. Essendo il peso una forza, dovr obbedire al secondo principio della dinamica. Se indichiamo con P la forza peso, dovr essere

P = m g.
Mentre nel linguaggio ordinario si confondono tranquillamente la massa e il peso, in sica sono due grandezza ben distinte: la massa quella grandezza sica che si misura in kg con una bilancia (e indica la quantit di materia), il peso invece, come si detto, una forza.

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Capitolo 3 Lavoro ed energia


3.1 Lavoro
Con le leggi della cinematica e i principi della dinamica potremmo gi comprendere e descrivere tutti i fenomeni che riguardano il movimento. Alcuni concetti sici pi avanzati, per, consentono spesso una pi chiara comprensione dei fenomeni. Uno di questi il lavoro. Si parla di lavoro in sica quando vi una forza che produce uno spostamento. Per essere pi precisi consideriamo diversi casi. Il caso pi semplice si verica quando la forza ha la stessa direzione dello spostamento. In tal caso il lavoro della forza dato semplicemente dalla formula

L = F x.
Il lavoro una grandezza scalare, e si misura in joule, che dato da J=Nm. Poich a un corpo possono essere applicate varie forze, diversi possono essere i lavori. Si abbia ad esempio un corpo che si sta muovendo di moto rettilineo uniforme sotto l'azione di una forza e che percorre uno spostamento x. Ci vuol dire che che non ha accelerazione e quindi nulla la risultante delle forze applicate, che sono due: la forza esterna esercitata da chi muove il corpo e la forza di attrito del piano di appoggio. Se si calcola il lavoro della forza esterna esso sar positivo, perch la forza e lo spostamento hanno lo stesso verso, ma il lavoro della forza di attrito sar negativo, perch la forza e lo spostamento hanno verso opposto. Quando il lavoro positivo si chiama motore, se negativo, come nel caso dell'attrito, si chiama resistente. Se la forza e lo spostamento non hanno la stessa direzione, caso che il pi generale, si pu capire da un qualsiasi diagramma delle forze che la forza applicata al corpo non viene sfruttata completamente, ma contribuisce al lavoro solo la componente lungo lo spostamento. Ci si pu vedere in maniera esatta con 15

un'operazione fra vettori che si chiama scomposizione: dato un vettore, possibile separarlo in due componenti, con un procedimento contrario alla regola del parallelogramma. Nel caso di una forza (vedi disegno sul lavoro nella slide ) che non agisce nella stessa direzione dello spostamento, si pu immaginare che una parte della forza eettivamente faccia muovere il corpo lungo il piano ma l'altra parte della forza vada perduta, ai ni del movimento. Queste due parti della forza si chiamano componenti e se le sommiamo con la regola del parallelogramma otterremo la forza originaria. Ci premesso, il lavoro dato da L = Fx x = F x cos dove Fx = F cos la componente della forza lungo lo spostamento, quella eettivamente responsabile del lavoro.

3.2 Energia
Quando si applica un lavoro a un corpo, il pi delle volte succede che il corpo aumenta o diminuisce la propria velocit. Per quanticare questo fenomeno si introduce in sica una grandezza scalare chiamata energia cinetica. In particolare, quando un corpo di massa m possiede una certa velocit v gli si attribuisce una caratteristica chiamata energia cinetica data da

1 K = mv 2 2
e si trova che il lavoro compiuto su un corpo pari alla variazione di energia cinetica. Questo importante risultato va sotto il nome di teorema dell'energia cinetica e ci insegna che il lavoro e l'energia sono in un certo senso equivalenti: il lavoro compiuto su un corpo si trasforma in energia cinetica (perch genera movimento) e viceversa un corpo che ha energia cinetica pu compiere lavoro. Per questo fatto l'energia si misura in joule come il lavoro. Esistono altre forme di energia. Esaminiamo ora quella che va sotto il nome di energia potenziale. Anch'essa legata al lavoro e per comprenderlo si prender in considerazione un corpo sotto l'azione della forza peso. Supponiamo di voler sollevare un corpo no a una certa altezza h. Per fare ci dobbiamo applicare una forza opposta e almeno uguale alla forza peso e quindi compiere un certo lavoro. Consideriamo, come prima, il lavoro di tutte le forze coinvolte. Il lavoro compiuto da noi che solleviamo positivo, perch la forza e lo spostamento hanno lo stesso verso. Ma il lavoro compiuto dalla forza peso negativo. In riferimento a questo lavoro si denisce una grandezza sica chiamata energia potenziale. In particolare, sollevando il corpo all'altezza h noi facciamo in modo che la forza peso possa compiere 16

lavoro positivo facendo di nuovo cadere il corpo, e perci gli si sta fornendo energia. Ma questa non energia di movimento come quella cinetica, bens energia di posizione: il corpo potr compiere lavoro solo per il fatto che lo abbiamo posto a una certa altezza. L'energia cos acquistata viene chiamata energia potenziale. In termini pi precisi si dice che quando su un corpo agisce un lavoro L, esso subisce una variazione di energia potenziale data da

U = L.
Nota bene che il lavoro in questione quello della forza di gravit, che negativo, quindi col segno meno davanti diventa positivo e infatti abbiamo detto che sollevando il corpo gli facciamo acquistare energia potenziale. L'energia potenziale presa come esempio detta energia potenziale gravitazionale, perch dovuta al fatto che i corpi sono immersi nel campo gravitazionale. Se si prende come riferimento il livello zero del mare e si applica la denizione di lavoro vista prima, si trova che l'energia potenziale gravitazionale data da U = mgh. Esistono altri tipi di energia potenziale come per esempio quella elastica. Se consideriamo ad esempio una molla e la estendiamo, la forza elastica tender a riportare la molla nella posizione di equilibrio, esercitando un lavoro. Nell'estendere la molla, dunque, le attribuiamo capacit di compiere lavoro. Tale lavoro, cambiato di segno come nella denizione vista, costituisce l'energia potenziale elastica, data da

1 U = kx2 . 2
La somma di energia cinetica e energia potenziale si chiama energia meccanica e questa, in assenza di attrito, rimane costante.

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Capitolo 4 Meccanica dei uidi


4.1 Fluidi in equilibrio
Il termine uidi usato per indicare complessivamente i liquidi e gli aeriformi. La meccanica di uidi non avrebbe niente di diverso, in linea di principio, dalla meccanica dei solidi gi illustrata. Poich per i uidi sono costituiti da elementi che possono scorrere pi o meno liberamente gli uni rispetto agli altri, si tratterebbe di applicare le leggi della meccanica non a un singolo corpo ma a un insieme molto grande di punti (le molecole del uido) e questo renderebbe molto complesso l'esame del moto di un uido. Si preferisce perci trattare i uidi con un approccio pi specico. Le grandezze siche che bene caratterizzano un uido sono la massa, il volume, la densit e la pressione. Della massa e del volume si gi parlato: tali grandezze sono importanti anche nei solidi, come pure lo la densit di un corpo, data dal rapporto tra la massa e il volume. La pressione data dal rapporto che vi tra la forza perpendicolare applicata a una supercie e l'ampiezza della supercie stessa:

F . S La pressione una grandezza scalare e si misura in pascal. Si ha 1 pa = 1 N/m2 . Il signicato sico della pressione sta nel fatto che essa misura la maniera con cui una forza si distribuisce su una data supercie. Cos, ad esempio, una forza anche grande pu esercitare una piccola pressione, se si distribuisce su una supercie di grande ampiezza. Qui di seguito alcune importanti propriet che riguardano i uidi in equilibrio (statica dei uidi). p=
Principio di Pascal: la pressione esercitata sulla supercie di un uido si trasmette inalterata a tutti i punti del uido stesso. Questa propriet si 18

pu vedere, ad esempio, in un recipiente forato in pi punti e a diverse altezze: il liquido fuoriesce da tutti i fori con la stessa pressione, in qualunque punto si trovino i fori. Principio di Archimede: un corpo immerso in un uido riceve una spinta verso l'alto pari al peso del volume del uido spostato. Questo principio consente di comprendere il galleggiamento dei corpi. Si comprende a questo punto infatti che ogni corpo immerso in un uido risente dell'azione di due forze: una il proprio peso, che agisce su tutti i corpi verso il basso a causa della forza di gravit, l'altra la spinta di Archimede, che agisce verso l'alto per il solo fatto che il corpo immerso nel uido ed opposta al peso. Se prevale la forza peso, il corpo va a fondo, se prevale la spinta di Archimede, il corpo galleggia. Legge di Stevino: un corpo immperso in un uido subisce una pressione (detta pressione idrostatica) direttamente proporzionale alla profondit, ovvero p = gh. La pressione idrostatica deriva dal fatto che quando il corpo immerso a una certa profondit, subisce una forza dovuta al peso di tutto il uido sovrastante. Tale forza si distribuisce sulla supercie del corpo immerso e quindi si traduce in una pressione. Una pressione molto importante quella che agisce su tutti i corpi per il fatto che sono immersi nell'aria, che un uido, detta pressione atmosferica. Con l'esperimento di Torricelli si pu dimostrare che la pressione esercitata dall'atmosfera pari alla pressione esercitata da una colonna di mercurio alta 760 mm. Da qui la misura della pressione anche in millimetri di mercurio. L'esperimento stato condotto per la prima volta da Torricelli nella maniera seguente. Si prende un tubo sottile di vetro, lungo almeno 1 m, chiuso a una estremit. Si riempie il tubo di mercurio no all'orlo, si tappa, tenendolo tappato lo si capovolge e lo si immerge in una vaschetta piena di mercurio. Si lascia deuire il mercurio nella vaschetta. Si osserva che il tubo non si svuota, anzi, ripetendo pi volte la procedura si trova che il mercurio si ferma sempre alla stessa altezza, formando una colonna di circa 760 mm. Se il mercurio non scende al di sotto di quel livello, perch vi una forza che preme sulla supercie del mercurio nella vaschetta che si oppone al peso della colonna di mercurio. Tale forza esercitata proprio dalla pressione atmosferica.

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4.2 Calcolo della pressione arteriosa


Si pu calcolare la pressione arteriosa nelle varie parti del corpo umano mediante la legge di Stevino, che consente di calcolare la pressione in un uido a una certa profondit. Usiamo per tale legge per calcolare, in maniera equivalente, la pressione che una certa quantit di uido di altezza h, in questo caso il sangue, esercita in un punto. Per la legge di Stevino si ha p = gh, dove con p stiamo indicando la pressione dovuta al solo uido, senza cio tener conto di quella atmosferica. Se si vuole calcolare la pressione arteriosa nei piedi, la profondit h corrisponde alla distanza fra l'aorta e i piedi, che circa 1,40 m. Assumendo che la densit del sangue sia uguale a quella dell'acqua (1000 kg/m3 ), si ottiene

p = 1000

kg m 9, 8 2 1, 40 m = 13720 Pa. 3 m s

A titolo di esercizio, si pu convertire questa pressione in mm Hg. Si deve ottenere 103 mm Hg. Per riettere sul fatto che il valore cos ottenuto quello di una pressione relativa (la pressione assoluta sarebbe quella che tiene conto anche della pressione atmsoferica), si deve osservare che il valore della pressione arteriosa nei piedi rispetto a quello misurato nell'aorta, cio che la pressione arteriosa nei piedi 103 mm Hg superiore alla pressione nell'aorta. Se questa pertanto vale 100 mm Hg, la pressione nei piedi vale 203 mm Hg. Si spiega cos il gonore alle gambe. Sempre relativamente all'aorta, si pu calcolare la pressione arteriosa nella testa, che si trova a circa 45 cm rispetto all'aorta. All'altezza h assegniamo il valore -0,45 m, perch per i piedi (verso il basso) abbiamo usato il segno positivo. Applicando come sopra la legge di Stevino si ottiene una pressione relativa di -35 mm Hg. Se il corpo in posizione orizzontale, le pressioni sono tutte uguali a quella dell'aorta, cio 100 mm Hg. Quando il corpo passa in posizione eretta, la pressione nella testa scende da 100 mm Hg a 65 mm Hg. Per mantenere costante il usso di sangue al cervello, le arterie cerebrali si dilatano per compensare l'abbassamento di pressione, provocando il noto eetto del capogiro.

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4.3 Fluidi in movimento


4.3.1 Portata e equazione di continuit
Si denisce portata di un condotto la variazione di volume del uido che vi scorre al variare del tempo, cio

Q=

V . t

Si pu esprimere la variazione di volume assimilandola a un piccolo cilindro che ha area della base pari alla sezione S del condotto e altezza pari allo spostamento percorso dal uido nel tempo t, che a sua volta pari a v t dove v la velocit del uido. La portata dunque si pu esprimere come

Q=

Sv t = S v. t

In un condotto in cui non vi sono pozzi o sorgenti (cio non sussistono situazioni in cui si aggiunge o si toglie del uido) lecito supporre che la portata costante. Si ha quindi la cosiddetta equazione di continuit

Sv = costante.
Questa equazione ci consente di spiegare i valori della velocit del sangue nei vasi sanguigni. Supponendo che la velocit del sangue nell'aorta sia di 0,33 m/s (in un adulto normale a riposo), calcoliamo anzitutto la portata. Essendo il raggio dell'aorta (assimilato a un condotto cilindrico) pari a 0,9 cm, la sezione dell'aorta sar S = r2 = 2,5 cm2 e perci la portata sar Q = S v = 83 cm3 /s. Tale portata, per l'equazione di continuit, deve rimanere costante in tutta la circolazione. Dall'aorta il sangue passa alle arterie maggiori, poi a quelle minori e inne nei capillari. La sezione di ogni singola arteria pi piccola di quella dell'aorta, ma la sezione complessiva di tutte le arterie maggiori pi grande, circa 20 cm2 . Poich la portata deve rimanere costante, si pu calcolare la velocit del sangue nelle arterie dall'equazione di continuit: Q v= S e si trova un valore di 4 cm/s. Risulta perci che il sangue si muove pi lentamente nelle arterie che nell'aorta. Per stimare la velocit del sangue nei capillari si fa uso dello stesso calcolo, assumendo che la sezione totale sia 2500 cm2 . Si ottiene una velocit di 0,033 cm/s.

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4.3.2 Equazione di Bernoulli


Consideriamo ora pi in dettaglio il movimento di un uido in un condotto soggetto solo alle forze di pressione che agiscono nel condotto e alla forza di gravit che sale in un condotto dalla quota 1 alla quota 2. Il lavoro compiuto dalle forze di pressione e dalla forza di gravit si trasforma in energia cinetica. Il lavoro delle forze di pressione dato da

L = F x = p S x = p V = (p2 p1 )
Il lavoro della forza di gravit dato da

m .

L = F (z2 z1 ) = m g (z2 z1 ).
La variazione di energia cinetica data da

1 1 2 2 mv2 mv1 . 2 2
Deve essere

(p2 p1 )

m 1 1 2 2 + m g (z2 z1 ) = mv2 mv1 2 2

e dopo aver eettuato le semplicazioni del caso e portato al primo membro tutto quello che ha l'indice 1 e al secondo tutto quello che ha l'indice 2 si ottiene 1 p + gz + v 2 = costante. (4.1) 2

4.3.3 Stenosi e aneurisma


Le leggi illustrate consentono di descrivere due fenomeni che si manifestano nell'apparato circolatorio. L'aneurisma la dilatazione di un vaso in conseguenza di una perdita di elasticit delle pareti. Se le dimensioni del vaso sono sucientemente grandi, si pu considerare il sangue come un uido ideale in regime stazionario. In tal caso vale l'equazione di continuit:

S1 v1 = S2 v2
dove con 1 si indica ad esempio il punto in cui il vaso non dilatato e con 2 il punto dove si verica l'aneurisma. L'equazione di continuit ci dice che all'aumentare della sezione diminuisce la velocit. Applicando l'equazione di Bernoulli (4.1) nel punto di dilatazione, risulta che se diminuisce la velocit 22

deve aumentare la pressione. Per eetto di questo aumento di pressione, le pareti del vaso tendono a dilatarsi ulteriormente e se la reazione elastica delle pareti insuciente, si innesca un processo in cui a ogni diminuzione di velocit segue un aumento di pressione con conseguente ulteriore dilatazione del vaso e diminuzione di velocit no a provocare la rottura del vaso. La stenosi un restringimento in un'arteria che provoca diminuzione della pressione del sangue. Applicando, come sopra, l'equazione di continuit e l'equazione di Bernoulli, si spiega l'innescarsi di un'aumento di velocit nel punto in cui avviene la stenosi con conseguente diminuzione di pressione, no a provocare una parziale ostruzione dell'arteria.

4.4 Fluidi reali


4.4.1 Tensione superciale
Le forze che agiscono per tenere in equilibrio un uido sono quelle che si esercitano tra le molecole del uido (forze di coesione). Mentre nei solidi e negli aeriformi le forze di coesione sono rispettivamente molto forti e molto deboli, nei liquidi sono abbastanza forti da mantenerle vicine ma non troppo forti da mantenerle legate, tant' che le molecole del liquido possono scorrere l'una rispetto all'altra. A causa delle forze di coesione, per, la supercie del liquido tende ad assumere una forma propria e il liquido tende sempre a disporsi in maniera tale che la sua supercie libera sia minima. Le forze di coesione (dette di Van der Waals) hanno un raggio d'azione dell'ordine del raggio molecolare, cio 1010 m. Esaminiamo pi in dettaglio questo fatto. Su una molecola che si trova all'interno del liquido, agiscono le forze di coesione delle molecole circostanti. La molecola dunque sottoposta a un insieme di forze uguali e simmetriche, che si annullano a vicenda. Su una molecola che si trova sulla supercie, invece, agiscono forze di coesione dovute solo alle molecole della parte sottostante. Le molecole in supercie dunque non sono in equilibrio bens soggette a una risultante che le tira verso l'interno del liquido. La supercie del liquido si comporta dunque come una membrana tesa che tende continuamente a ridurre al minimo la propria area. Supponiamo di eettuare sulla supercie del liquido un taglio immaginario di lunghezza l. Sulla supercie del liquido agirebbero due forze tangenti alla supercie e perpendicolari al taglio e risulta che tali forze sono direttamente proporzionali alla lunghezza del taglio:

F = 2l.
Vi il fattore 2 perch la membrana cui abbiamo assimilato la supercie del liquido in realt ha due superci, una esterna e una interna. Il fattore 23

di proporzionalit la tensione superciale, e risulta essere pari al lavoro necessario per costituire sulla supercie del liquido una supercie unitaria. Si ha F = . 2l Un eetto della tensione superciale la capillarit, cio l'innalzamento (o abbassamento) del livello del liquido in un tubo molto sottile.

4.4.2 Viscosit
Il comportamento dei uidi non cos semplice come pu risultare dai principi gi illustrati, perch, come nel caso dei solidi in movimento, esiste l'attrito che ostacola il moto. Consideriamo anzitutto un uido in regime laminare, cio in cui la velocit del uido parallela in tutti i punti all'asse del cilindro. Si trova che il uido oppone una forza di attrito interno pari a

FA = A

v h

v dove il gradiente di velocit, cio il modo in cui il uido perde velocit h al variare della quota. La costante di proporzionalit si chiama coeciente di viscosit o di attrito interno del uido. L'unit di misura della viscosit risulta essere, nel S.I., il Nsm2 . Nella tabella sono riportati alcuni valori di viscosit.

sostanza acqua acqua acqua aria aria aria sangue plasma

temperatura (C) 0 20 37 0 18 40 37 37

viscosit (Nsm2 ) 0,00179 0,001 0,000691 0.0000171 0.0000183 0.0000190 0,004 0,00015

Tabella 4.1: Viscosit di alcune sostanze Nei liquidi reali, dunque, parte dell'energia meccanica si trasforma in calore per attrito. La legge di Poiseuille ci dice qual la portata in questo caso: r4 p Q= 8 l 24

p dove la perdita di carico. l Se nel liquido si creano vortici o mulinelli, esso cessa di essere in regime laminare ed entra nel cosiddetto regime turbolento. Indicando con vM la velocit media del liquido che scorre in un condotto che consideriamo per semplicit cilindrico, dall'eequazione di continuit si ha

vM =

Q Q = 2. S r0

Si trova che se la la velocit media rimane inferiore a un certo valore di velocit del uido chiamato velocit critica, il moto del uido rimane laminare, altrimenti si generano vortici e il moto diventa turbolento. In tal caso il lavoro delle forze di pressione serve anche per la creazione dei vortici e la portata inferiore a quella che il condotto avrebbe se il regime del uido fosse laminare, quasi come se la viscosit aumentasse. Esiste un numero empirico, detto numero di Reynolds, che consente di stabilire se il regime del moto laminare o turbolento. Tale grandezza sica adimensionale, cio non ha unit di misura, ed denito da

R=

vD

dove D la dimensione caratteristica di un oggetto che attraversa il liquido con velocit v . Vale il criterio sintetizzato nella seguente tabella. R<2000 2000<R<3000 R>3000 regime laminare regime instabile regime turbolento

Tabella 4.2: numero di Reynolds

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Capitolo 5 Onde
5.1 Generalit
Quando si parla di onde in sica si intende una propagazione nello spazio e nel tempo di una perturbazione di un mezzo. In termini pi semplici, si supponga di introdurre una perturbazione in un mezzo elastico, cio una variazione del mezzo rispetto a una posizione di equilibrio, ad esempio un impulso a una molla o a una corda, o un sassolino che cade nell'acqua. In tutti i casi la perturbazione introdotta nel mezzo viaggia nel mezzo stesso e al trascorrere del tempo, perch il mezzo tenta di riprendere la posizione di equilibrio. In quanto segue ci riferiremo per semplicit all'esempio dell'impulso dato a una corda. Se immaginiamo di seguire il movimento di un particolare elemento della corda, osserveremo che esso viaggia su e gi intorno alla posizione di equilibrio, cio di riposo, della corda. Possiamo quindi descrivere il movimento di un singolo elemento del mezzo in cui si propaga l'onda mediante il moto armonico. La dierenza rispetto a un normale moto armonico che, oltre al fatto che al variare del tempo ogni elemento della corda si muove su e gi, tale movimento verticale si propaga anche lungo la corda stessa. La teoria ci da' un'equazione che tiene conto di questi fatti. Si tratta dell'equazione di un'onda armonica:

x t y = A sin 2 ( ) T
in cui si possono vedere le grandezze siche caratteristiche di un'onda: l'ampiezza A la massima oscillazione compiuta dall'elemento del mezzo;

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la lunghezza d'onda la distanza fra due punti corrispondenti dell'onda (per comodit si prende di solito la distanza fra due massimi successivi); il periodo T il tempo impiegato da un elemento del mezzo per compiere un'oscillazione completa. Una grandezza sica molto importante la velocit dell'onda, che pu essere calcolata con la denizione cinematica ben nota e si ottiene:

v=

. T

Il contenuto della funzione goniometrica nell'equazione d'onda si chiama fase. Le onde possono essere classicate in vari tipi. Una prima classicazione riguarda il fatto che in un'onda si pu distinguere la direzione di vibrazione, quella in cui si muovono gli elementi del mezzo, da quella di propagazione, quella in cui viaggia l'onda. Nel caso dell'onda nella fune queste due direzioni sono perpendicolari fra di loro. Tutte le onde in cui succede questo si dicono trasversali. Esistono onde in cui le due direzioni coincidono, come le onde sonore, e che vengono chiamate longitudinali. Un'altra classicazione riguarda il mezzo nel quale le onde si propagano. Se le onde hanno bisogno di un mezzo per propagarsi, come le onde in una fune, le onde sonore, le onde nell'acqua, esse sono dette meccaniche. Esistono onde che non hanno bisogno di alcun mezzo per propagarsi, sono le onde elettromagnetiche che vedremo pi in l, ma che dal punto di vista matematico possono essere descritte dalla stessa equazione delle onde meccaniche.

5.2 Alcuni fenomeni ondulatori


Le onde manifestano alcuni importanti fenomeni, che vengono in sintesi qui descritti. Quando due onde si incontrano in uno stesso punto e nello stesso istante, si sovrappongono. Tale fenomeno detto interferenza e pu avere svariati risultati. La maniera pi precisa per determinare l'onda che si ottiene dall'interferenza di due onde quella di sommare le due funzioni goniometriche che rappresentano le onde incidenti. Ma per capire il fenomeno consideriamo due casi limite che per sono molto istruttivi. Supponiamo che due onde con la stessa frequenza e in fase tra di loro interferiscano. Si pu facilmente immaginare che l'onda risultante avr la stessa frequenza ma ampiezza pari alla somma delle ampiezze delle onde incidenti. Questo tipo di interferenza si chiama costruttiva. Se invece le onde, pur avendo la stessa 27

frequenza, fossero in opposizione, l'ampiezza dell'onda risultante sarebbe la dierenza delle ampiezze delle onde incidenti. Questo tipo di interferenza si chiama distruttiva. Quando un'onda mentre si propaga incontra un ostacolo pu manifestare il fenomeno chiamato riessione: l'onda inverte la sua direzione di propagazione. Un semplice esempio quello in cui, se si lega un'estremit di una fune a una parete e con l'altro estremo libero si genera un'onda, quando questa giunge alla parete torna indietro.

5.3 Onde sonore


Le onde sonore sono onde di pressione: una sorgente mette in vibrazione le molecole del mezzo circostante, e tale vibrazione si propaga mediante successive compressioni e rarefazioni del mezzo. Si tratta prevalentemente di onde longitudinali. Per essere classicata come onda sonora, cio udibile dall'orecchio umano, un'onda deve avere una frequenza compresa tra 20 Hz e 20 kHz. Al di sotto della frequenza di 20 Hz le onde prendono il nome di infrasuoni e al di sopra dei 20 kHz si chiamano ultrasuoni. La velocit con cui il suono si trasmette maggiore nei mezzi pi elastici, sicch maggiore nei solidi e diminuisce nei liquidi e ancor pi nei gas. La velocit del suono dipende dalla temperatura del mezzo. In particolare la velocit del suono nell'aria a 0C 331 m/s. L'intensit di un'onda denita come rapporto tra potenza irradiata e supercie. Perci possiamo denire l'intensit di un'onda sonora come

I=

P . S

Poich in generale un'onda sonora si propaga con un fronte d'onda sferico, si pu scrivere P I= . 4r2 Si pu perci vedere come l'intensit del suono inversamente proporzionale al quadrato della distanza alla quale viene misurata. L'intensit del suono viene percepita dall'orecchio umano in termini di volume, ma la percezione del volume del suono non direttamente proporzionale all'intensit, cio, per intenderci, se ad esempio raddoppia l'intensit, il volume non viene percepito come doppio. L'orecchio ha invece una risposta logaritmica: perch il volume venga percepito come doppio, l'intensit deve aumentare di circa 10 volte. L'intensit minima rilevabile dall'orecchio umano 1012 W/m2 , mentre la cosiddetta soglia del dolore 1 28

W/m2 . Si vede perci che il rapporto tra l'intensit massima e quella minima 1012 , cio l'intensit massima 1000 miliardi di volte superiore a quella massima. Per quanticare comodamente il volume di un suono si denisce il livello di intensit sonora, pari a I = 10 log I0 dove I l'intensit del suono cui si vuole attribuire un livello di intensit sonora e I0 l'intensit minima per l'orecchio umano gi citata. Il livello di intensit sonora si misura in decibel (dB). L'intensit sonora un parametro oggettivo del suono, ma come si visto legata anche a un parametro soggettivo, che il volume con cui il suono percepito. Sono importanti altre due caratteristiche soggettive del suono: l'altezza e il timbro. L'altezza di un suono si riferisce al fatto soggettivo per cui un suono percepito come acuto o grave e corrisponde a una caratteristica oggettiva del suono che la frequenza: suoni pi acuti hanno frequenza pi alta, suoni pi gravi hanno frequenza pi bassa. A parit di altezza per due suoni emessi ad esempio da due strumenti diversi o da due voci umane dierenti sono percepiti con un timbro diverso. Il timbro la caratteristica soggettiva con cui percepiamo suoni emessi da diverse sorgenti e da un punto di vista oggettivo dipende dalla forma dell'onda sonora. Occorre infatti precisare che un suono in generale non un'onda pura, ma una sovrapposizione di tante onde sonore elementari che ha comunque come risultato un'onda sonora, ma un'onda complessa, la cui forma fornisce proprio il timbro a quel suono. Gli ultrasuoni sono suoni con frequenze superiori a 20000 Hz, largamente usati come mezzo diagnostico, terapeutico e chirurgico. Il maggior campo di applicazione quello diagnostico: mediante una sonda vengono emessi ultrasuoni che vengono parzialmente riessi dall'oggetto da osservare. La sonda funge anche da ricevitore, rivelando l'eco, cio l'onda riessa. Misurando il tempo che impiega l'onda a colpire il bersaglio e a tornare alla sonda e conoscendo la velocit dell'ultrasuono, si pu conoscere la distanza alla quale si trova l'oggetto osservato. L'applicazione pi familiare l'ecograa. Poich gli ultrasuoni vengono im parte anche assorbito, l'intensit massima utilizzabile non supera 104 W/m2 . Gli ultrasuoni comunque possono essere usati senza danni anche in situazioni in cui i raggi X non possono essere usati.

5.4 Eetto Doppler


L'eetto Doppler si manifesta in tutti i fenomeni ondulatori ma ci riferiamo in questo contesto a quello che si verica nelle onde sonore. Si tratta della 29

variazione di frequenza del suono quando la sorgente e/o l'osservatore si muovono reciprocamente. Nel caso in cui si muove la sorgente e l'osservatore fermo, le onde sonore si inttiscono (se la sorgente si avvicina all'osservatore) o si diradano (se la sorgente si allontana). In ogni caso varia la lunghezza d'onda percepita dall'osservatore. Si trova che in questi casi la frequenza f0 percepita dall'osservatore data da 1 f0 = fs 1 vvs dove vs la velocit con cui si sta muovendo la sorgente, v la velocit del suono nel mezzo e fs la frequenza propria della sorgente. Se ad esempio la velocit della sorgente 10 volte pi piccola della velocit del suono, si ottiene 1 10 fs f0 = 1 fs = 9 1 10 cio la frequenza percepita superiore a quella eettiva e cio il suono viene percepito come pi acuto. Se la sorgente sonora si allontana da un osservatore fermo, si ha invece

f0 =

1 fs . 1 + vvs

Quando la sorgente ferma e invece l'osservatore in movimento, la lunghezza d'onda non varia, perch la distanza fra i massimi delle onde non varia. Si modica invece la velocit dell'onda misurata dall'osservatore. In questo caso si ha vo f0 = 1 fs v dove vale il segno + se l'osservatore si avvicina e il segno se si allontana. In medicina l'eetto Doppler applicato alla rilevazione della velocit del usso del sangue. Con un apposito strumento si invia un fascio di ultrasuoni che vanno a esplorare un distretto circolatorio. Il sangue, che in movimento, riette gli ultrasuoni con una frequenza modicata dall'eetto Doppler. Attraverso l'onda riessa si calcola la velocit e la direzione del usso ematico. Grazie a questa diagnosi possibile trovare un'ostruzione a una vena o un'arteria.

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Capitolo 6 Calore e temperatura


6.1 Temperatura
Tutti abbiamo esperienza di fenomeni termici e del fatto che il concetto di caldo e freddo sia soggettivo e contingente. La temperatura quella grandezza sica che rende quantitativo il concetto di caldo e di freddo e che associa allo stato termico di ogni corpo un numero ben preciso. Il calore invece una forma di energia, detta appunto energia termica, che, come possiamo anche ricavare dall'esperienza, passa da un corpo a un altro in virt della diversa temperatura. Se ad esempio lasciamo all'aria una pentola di acqua ben calda si rilever dopo un tempo pi o meno lungo l'acqua si sar rareddata, cio avr ceduto il suo calore all'ambiente circostante. Il processo di rareddamento si concluder quando l'acqua avr raggiunto la stessa temperatura dell'ambiente. Il fenomeno in cui due corpi a diversa temperatura posti a contatto dopo un tempo pi o meno lungo raggiungono la stessa temperatura detto equilibrio termico. Per vedere come si denisce operativamente la temperatura, descriviamo la taratura dell'appropriato strumento chiamato termometro. Per la taratura del termometro si sfrutta il fenomeno della cosiddetta dilatazione termica, cio il fatto che al variare della temperatura tutte le sostanze, chi pi chi meno, variano le proprie dimensioni. Si prende un bulbo di vetro che contenga una sostanza che subisce la dilatazione termica. Nei tradizionali termometri il mercurio. Si immerge il dispositivo cos costruito, detto per il momento termoscopio, prima in una soluzione di acqua e ghiaccio e poi nell'acqua in ebollizione. In entrambi i casi si segna sul termoscopio la posizione di equilibrio raggiunta dal mercurio. Si assumono come punti di riferimento, detti punti ssi, le condizioni cos indicate e vengono chiamate zero gradi centigradi e cento gradi centigradi. L'intervallo fra questi due punti sul termoscopio 31

viene diviso in cento parti uguali, ciascuno dei quali il grado centigrado. Lo strumento cos costruito il termometro e serve per l'appunto per misurare la temperatura di ogni altra sostanza.

6.2 Gas perfetti


Si dimostra utile nonch interessante studiare le propriet delle sostante aeriformi al variare della temperatura. Ci soermiamo in particolare sui gas perfetti, sostanze ideali con ben precise propriet ma a cui i gas reali, sotto opportune condizioni, si avvicinano. Sono note anche dalla chimica le tre leggi dei gas qui di seguito illustrate. 1. Legge di Boyle. In una trasformazione isoterma la pressione e il volume di un gas sono inversamente proporzionali. 2. Prima legge di Gay Lussac. In una trasformazione isobara il volume varia al variare della temperatura secondo la relazione

V = V0 (1 + t)
dove V0 il volume del gas a 0C e =
1 273,15

C una costante.

3. Seconda legge di Gay Lussac. In una trasformazione isocora la pressione varia al variare della temperatura secondo la relazione

p = p0 (1 + t)
dove p0 la pressione del gas a 0C. Se si prende in considerazione una delle due leggi che contengono la temperatura, ad esempio la prima, si pu portare avanti il seguente semplice ragionamento:

V = V0 (1 +

1 273, 15 + t t) = V0 ( ) = V0 (273, 15 + t). 273, 15 273, 15

Se ora introduciamo l'equivalenza

T = 273, 15 + t
si ottiene

V = V0 T

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ovvero, poich e V0 sono costanti,

V = costante. T
La suddetta equivalenza corrisponde a introdurre una nuova scala delle temperature, chiamata scala delle temperature assolute o scala Kelvin. Tale scala ha il suo zero corrispondente a -273,15C ma l'ampiezza dell'unit di misura della scala Kelvin la stessa del grado Celsius. La temperatura assoluta per non solo un articio matematico che consente di scrivere le leggi dei gas in maniera pi semplice ma ha anche un importante signicato sico. Si trova infatti sperimentalmente che la materia non pu raggiungere lo zero assoluto per un fatto che trover spiegazione pi avanti. Si pu dimostrare che le tre leggi dei gas possono essere unicate in una sola legge che riunisce le tre grandezze siche p, V , T che caratterizzano un gas, detta equazione di stato dei gas perfetti. Essa, tra la varie forme in cui si pu trovare, pu essere scritta cos:

pV = costante. T

6.3 Interpretazione cinetica delle leggi dei gas


Le leggi dei gas sono state inizialmente ricavate sperimentalmente da un punto di vista macroscopico, cio considerando il gas nel suo complesso caratterizzato dalla terna di grandezze siche p, V , T . noto per che un gas, come tutta la materia, formato da atomi e molecole ma che questi non sono pi o meno strettamente legati, come nei solidi o nei liquidi bens sono relativamente liberi di muoversi gli uni rispetto agli altri. Per trovare le propriet esatte di un gas bisognerebbe pertanto studiare pressione, volume e etemperatura di ogni singola molecola. Poich tale studio impensabile, stata seguita un'altra strada per lo studio del gas dal punto di vista microscopico, detta teoria cinetica dei gas, che si basa anzitutto su cinque condizioni di applicabilit. Un gas perfetto, in particolare, si ritiene tale se soddisfa le seguenti condizioni: 1. le molecole hanno tutte la stessa massa e manifestano un movimento incessante e assolutamente casuale; 2. le molecole hanno un moto solo traslatorio e percorrono traiettorie solo rettilinee, che variano solo in occasione di urti con le pareti del recipiente; 33

3. le molecole hanno un volume trascurabile e le distanze reciproche sono trascurabili rispetto alle dimensioni delle singole molecole (un gas perfetto cio molto rarefatto); 4. tra le molecole non vi sono interazioni apprezzabili, ovvero le molecole possiedono solo energia cinetica e nessun tipo di energia potenziale; 5. gli urti tra le molecole e tra le molecole e le pareti del recipiente sono perfettamente elastici. Ci premesso, utilizzando un modello in cui si studiano gli urti delle molecole col recipiente e si valuta la quantit di moto scambiata in tali urti, si giunge a dimostrare che la pressione del gas proporzionale alla cosiddetta velocit quadratica media (un valore statistico della velocit che tiene conto di tutte le molecole del gas) e quindi all'energia cinetica media delle molecole del gas. Questo risultato importante perch ci dice che praticamente la pressione del gas dipende dagli urti pi o meno rapidi col recipiente. Poich, per l'equazione dei gas perfetti, pressione e volume sono collegati alla temperatura assoluta, a sua volta l'energia cinetica media delle molecole dipende dalla tamperatura assoluta. Questo risultato importante perch ci dice che l'energia cinetica del gas direttamente proporzionale alla temperatura assoluta ovvero che la temperatura assoluta una misura dell'energia cinetica del gas, nel senso che pi il gas caldo, pi le sue molecole si stanno agitando. In un gas perfetto l'energia posseduta dalle molecole (chiamata energia interna e indicata con U ) soltanto energia cinetica delle molecole. Useremo in quanto segue questo fatto, e diremo comunemente che l'energia interna del gas direttamente proporzionale alla temperatura assoluta:

3 U = kB T 2
dove kB una costante dei ga chiamata costante di Boltzmann.

6.4 Calorimetria
Fino ad ora abbiamo parlato della temperatura, di come si misura e di alcuni fenomeni che si vericano al variare della temperatura. Del calore abbiamo detto solo che una forma di energia e abbiamo illustrato il principio dell'equilibrio termico. Ci detto, occorre ora esaminare come si misura il calore e cosa accade quando a un corpo gli si fornisce o cede calore. Per quanto riguarda la misura del calore, essendo una forma di energia lo possiamo tranquillamente misurare in joule. Esaminiamo ora cosa succede quando a 34

un corpo si fornisce una certa quantit di calore Q. Ovviamente l'esito del riscaldamento dipender dalla massa m ma anche dal materiale di cui fatto il corpo. Questi elementi sono riassunti nella legge fondamentale della calorimetria Q = mct dove c una grandezza sica chiamata calore specico, che tiene conto del materiale di cui fatto il corpo. La grandezza sica

C = mc =

Q t

si chiama capacit termica. Il calore viene comunemente misurato anche in calorie. Si denisce caloria la quantit di calore necessaria per innalzare la temperatura di 1 g di acqua distillata da 14,5 a 15,5 C. L'equivalenza fra joule e caloria pu essere determinata con un esperimento detto di Joule. In un recipiente con pareti isolanti contenente dell'acqua distillata immerso un sistema di palette girevoli che pu essere azionato dalla caduta di un pesetto. Il peso, nella caduta, compie lavoro, che pu essere quanticato. Le palette agitano e riscaldano l'acqua. Il calore assorbito dall'acqua pu essere calcolato. Il lavoro della forza peso si trasformato in energia cinetica che a sua volta si trasformata in energia termica. Se si ripete l'esperimento si trova che la stessa quantit di lavoro si trasforma sempre nella stessa quantit di energia termica. In particolare si trova che 1 caloria pari a 4,186 joule.

6.5 Scambi termici uomo - ambiente


Per quanto nell'uomo i parametri biologici siano soggetti a variazioni continue, il suo ambiente interno pressoch costante, poich esistono meccanismi di termoregolazione che mantengono sotto controllo le variazioni dei parametri. Dal punto di vista della temperatura, l'uomo un sistema omeotermo, cio capace di regolare la propria temperatura. Occorre osservare per che anche se si parla comunemente di temperatura corporea, le temperature delle parti del corpo sono tutte dierenti. Ci premesso, come accade in tutti gli altri sistemi, il corpo scambia calore con l'esterno se tra il corpo umano e l'ambiente esterno vi una dierenza di temperatura. I principali meccanismi di scambio di calore sono i seguenti. 1. Diusione dell'acqua attraverso la supercie cutanea e sua evaporazione. La pelle dell'uomo sempre coperta di un sottilissimo strato d'acqua (che non viene dalla sudorazione) che, quando evapora, contribuisce 35

al rareddamento del corpo. Questo meccanismo trova ostacolo nello strato pi esterno della supercie cutanea costituita da strati di cellule morte, che raggiunge il massimo spessore nella pianta del piede e nel palmo della mano. 2. Evaporazione del sudore. La perdita di calore non si ha quando viene tolto il sudore, ad esempio con un asciugamano (come non si toglie calore da una pentola d'acqua estraendone una certa quantit con un mestolo), ma quando il sudore evapora per ventilazione dell'aria circostante. Si tratta quindi di perdita di calore mediante un cambiamento di stato (da liquido a vapore, per l'appunto evaporazione) 3. Atti respiratori. Nell'inspirazione l'aria viene umidicata e riscaldata a contatto con le vie respiratorie. A livello alveolare l'aria inspirata raggiunge la temperatura interna del corpo ed satura di vapore acqueo. Nell'espirazione l'aria percorre il cammino in senso inverso, restituendo parte del vapore acqueo (condensazione). Quando l'aria lascia il corpo, si trova quindi a una temperatura maggiore e con un maggior contenuto di vapore acqueo rispetto all'esterno, perci il calore si disperde nell'ambiente per due motivi: perch vi la dierenza di temperatura con l'esterno e perch avviene la condensazione per l'eccesso di vapore acqueo. 4. Conduzione, convezione e irraggiamento. La conduzione, in particolare, avviene verso l'esterno, nell'interazione con l'ambiente, e all'interno a causa delle dierenze di temperatura tra le diverse parti del corpo. La convezione, in particolare, pu essere naturale, quando tende a riequilibrare le dierenze di temperatura nel corpo mediante i uidi che vi circolano, oppure forzata, ad esempio quando il corpo esposto a correnti d'aria.

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Capitolo 7 Fenomeni elettromagnetici


7.1 Elettricit
Oltre alla massa, un'importante propriet della materia la carica elettrica. L'esistenza della carica elettrica pu essere evidenziata con esperimenti di stronio: una bacchetta in plastica, stronata con un panno di lana, acquisisce la capacit di attrarre piccoli pezzi di carta. Questa semplice esperienza evidenzia l'esistenza di una nuova forza, diversa dalla forza di gravit, che chiamiamo forza elettrostatica, ed dovuta a una propriet della materia, diversa dalla massa, che chiamiamo carica elettrica. Seguono propriet della carica elettrica. Esiste in due tipi, che storicamente sono stati chiamati carica positiva e carica negativa. La carica negativa trasportata dall'elettrone, quella positiva dal protone. La carica elettrica si misura in coulomb (C). La carica elettrica elementare quella dell'elettrone, che non pu essere suddiviso in cariche indipendenti. Questo fatto va sotto il nome di principio di quantizzazione della carica. Un coulomb (1 C) contiene circa 6,28 1018 elettroni cio circa sei miliardi di miliardi di elettroni. La carica elettrica non si pu creare n distruggere, ma solo trasferire da un corpo a un altro. Questo fatto va sotto il nome di principio di conservazione della carica elettrica. 37

Come si detto, tra le cariche elettriche agisce una forza. Poich la carica elettrica esiste in due tipi, a dierenza della massa che di un solo tipo, anche la forza elettrostatica si manifesta in due modi: se le cariche sono dello stesso segno la forza repulsiva, se invece sono di segno opposto attrattiva. Si trova sperimentalmente che la forza che agisce fra due cariche elettriche cosiddette puntiformi, cio con dimensioni trascurabili rispetto alla distanza cui sono poste, datta dalla legge di Coulomb

F =k

q1 q2 r2

dove q1 e q2 sono le cariche elettriche, r la loro distanza e k una costante che dipende dal mezzo in cui sono poste le cariche. Si trova infatti che due cariche si scambiano la massima forza elettrica se sono nel vuoto. Se sono poste in un altro materiale, la forza elettrica fra le due cariche minore perch il materiale funge da schermo. In sica, oltre che ragionare in termini di forze, si pu utilizzare anche un altro modello detto campo elettrico. Si ipotizza che una carica posta nello spazio, detta carica sorgente, modichi in qualche modo lo spazio circostante creando una perturbazione chiamata appunto campo elettrico; un'altra carica posta nelle vicinanze, detta carica di prova, consentir di misurare il suddetto campo elettrico. Una volta scelta la carica di prova q0 , il campo elettrico si denisce come il rapporto fra la forza subita dalla carica di prova e la carica stessa: F E= . q0 Il campo elettrico una grandezza vettoriale, e gi per pi di due cariche elettriche molto complesso da calcolare. Si misura in N/C. Ad esempio, se in una certa regione dello spazio vi un campo elettrico di 5 N/C, vuol dire che se si mette in tale regione una carica di 1 C, essa subisce la forza di 5 N. Vedremo ora che esistono altre grandezze siche che consentono di studiare i fenomeni elettrici. Consideriamo due cariche dello stesso segno, es. positive, e immaginiamo di avvicinarle. Ovviamente, poich tra esse agisce una forza elettrica repulsiva, dovremo esercitare una forza opposta per avvicinarle e quindi un lavoro positivo, perch la forza (quella esercitata da noi) e lo spostamento hanno lo stesso verso. D'altra parte, dal punto di vista delle cariche elettriche, il campo elettrico compie un lavoro negativo. Possiamo denire, come nel caso gravitazionale, una variazione di energia potenziale pari al lavoro cambiato di segno. Poich il lavoro del campo elettrico negativo, la variazione di energia potenziale sar positiva. Si capisce quindi che quando si avvicinano due cariche dello stesso segno, si produce un aumento di energia potenziale 38

elettrica. Con un ragionamento analogo si conclude che per far aumentare l'energia potenziale di un sistema di due cariche di segno opposto si dovranno allontanare le due cariche. Per valutare l'energia potenziale elettrica ci riferiamo all'esempio delle cariche positive che vengono avvicinate. Supponiamo, per semplicit, che sia una sola delle due cariche ad avvicinarsi, dalla posizione A alla posizione B . Come si gi detto, la variazione di energia potenziale di un sistema pari al lavoro, in questo caso della forza elettrica, cambiato di segno. Se le cariche sono positive e si stanno avvicinando, bisogna esercitare una forza dall'esterno, e quindi il campo elettrico compie un lavoro resistente perch la forza elettrica e lo spostamento sono opposti. Siccome a tale lavoro bisogna cambiare il segno, la variazione di energia potenziale positiva e quindi quando due cariche positive vengono costrette ad avvicinarsi aumenta l'energia potenziale. Per un discorso analogo, se si lasciano andare le due cariche, l'energia potenziale diminuisce e quella che si perde si trasforma in energia cinetica. Applicando la denizione di energia potenziale e quella di lavoro, si giunge a dimostrare che il valore dell'energia potenziale di un sistema di due cariche q1 q2 U =k . r Descrivere un fenomeno elettrico mediante l'energia potenziale anzich mediante il campo elettrico ha il vantaggio di permettere di usare una grandezza scalare anzich una grandezza vettoriale. Si pu introdurre una grandezza sica ancora pi vantaggiosa, che il potenziale elettrico, denito come energia potenziale per unit di carica:

V =

U . q0

Supponiamo, in riferimento all'esempio utilizzato per l'energia potenziale, che la carica q1 sia la carica sorgente del campo elettrico e la carica q2 che avviciniamo o allontaniamo sia la carica di prova q0 . Ricorda che la carica di prova per denizione positiva. Supponiamo che la carica sorgente sia pure positiva e supponiamo che anzich costringere la carica di prova ad avvicinarsi alla carica sorgente le consentiamo di subire indisturbata la forza del campo elettrico. In tal modo si avr una diminuzione dell'energia potenziale. Poich U < 0 e q0 > 0 si avr V < 0. Supponiamo che la carica sorgente sia invece negativa. Se consentiamo alla carica di prova di subire indisturbata la forza del campo elettrico essa si avviciner alla carica sorgente ma si avr comunque U < 0. Poich q0 > 0 si avr comunque V < 0. Questa conclusione importante perch ci dice che, come accade 39

per l'energia potenziale, quando si ha il moto spontaneo della carica anche il potenziale dimuinisce, ma accanto alla carica sorgente positiva si hanno i potenziali pi alti e accanto alla carica sorgente negativa si hanno i potenziali pi bassi e inoltre le cariche positive si muovono spontaneamente verso potenziali bassi e quelle negative verso potenziali alti. Il potenziale elettrico, oltre al vantaggio di essere una grandezza scalare, dipende solo dalla carica sorgente e non anche dalla carica di prova. Il potenziale elettrico si misura in volt (V). Dalla denizione si vede che 1V=1J/C. La dierenza di potenziale una grandezza sica che consente alle cariche di muoversi. Supponiamo che in una certa regione dello spazio vogliamo far muovere delle cariche elettriche. Occorre instaurare un campo elettrico, che si traduce in una dierenza di potenziale. Fatto ci le cariche positive si muoveranno spontaneamente verso potenziali bassi e quelle negative verso potenziali alti. Occorre per a questo punto riettere sul fatto che le cariche hanno bisogno di un mezzo in cui muoversi. I materiali che consentono alle cariche di muoversi pi o meno liberamente sono i conduttori, altrimenti si parla di isolanti. Nella materia ordinaria le particelle che trasportano la carica sono gli elettroni, quindi, in quanto segue, quando si parler di movimento di carica si intender prevalentemente carica negativa. Quando in un conduttore si crea un movimento ordinato di cariche al trascorrere del tempo, si parla di corrente elettrica. In particolare si denisce intensit di corrente elettrica il rapporto fra la quantit di carica che attraversa una sezione di un conduttore e il rispettivo intervallo di tempo in cui avviene tale passaggio: q i= . t La corrente elettrica una grandezza scalare e si misura in ampre (A). L'ampre considerata come unit di misura fondamentale (vedi tabella 1), e dalla denizione dell'intensit di corrente si ricava la denizione del coulomb, che uguale a 1C=1A1s. Per quanto detto, ovvio che per ottenere una corrente elettrica necessario applicare un campo elettrico, e quindi una dierenza di potenziale, agli estremi di un conduttore. Supponiamo per il momento di applicare una dierenza di potenziale costante nel tempo. La corrente che cos si ottiene si chiama corrente continua. Vediamo alcune propriet dei conduttori. Dato un certo conduttore, la dierenza di potenziale e l'intensit di corrente sono direttamente proporzionali. Questo fatto va sotto il nome di prima legge di Ohm: V = Ri.

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Il parametro R va sotto il nome di resistenza del conduttore ed una grandezza sica che rappresenta proprio la resistenza che il conduttore ore al passaggio della corrente. Resistenza bassa vuol dire buon conduttore. La resistenza una grandezza scalare e si misura in ohm. La prima legge di Ohm riguarda un generico conduttore, ma lecito supporre che la resitenza dipender dalle caratteristiche del conduttore stesso. Questo fatto rappresentato dalla seconda legge di Ohm:

l S dove l la lunghezza del conduttore, S la sezione e un parametro detto resistivit o resistenza specica, che caratteristico del materiale. Vediamo ora pi in particolare come si comporta la corrente elettrica in un conduttore. I fenomeni pi comuni e pi pratici sono quelli che si manifestano in un circuito elettrico, un insieme di conduttori variamento connessi tra di loro e con anche un generatore di dierenza di potenziale, che, come si detto, serve per creare il necessario movimento di carica. Il generatore, detto anche generatore di tensione, agisce in due modi. Anzitutto, come si gi detto, consente il movimento spontaneo di elettroni, che dal punto del generatore a potenziale pi basso, detto polo negativo, si muovono all'esterno del generatore e attraverso i conduttori del circuito no al punto a potenziale pi alto del generatore, detto polo positivo. Inoltre al suo interno riporta gli elettroni dal polo positivo al polo negativo, perch possano riprendere il loro movimento attraverso il circuito. Ovviamente in quest'ultima operazione il movimento degli elettroni non spontaneo, perch avviene contro le forze del campo elettrico, ed per questo che il generatore deve compiere lavoro a spese della propria energia chimica. R=

7.2 Magnetismo
I fenomeni magnetici sono noti n dall'antichit: era ben conosciuto un magnete naturale, la magnetite (un minerale del ferro), che aveva la propriet di attrarre pezzi di ferro. Oggi esistono anche magneti articiali. In analogia a quanto succede nei fenomeni elettrici, diciamo che anche i magneti esercitano una forza, che chiamiamo forza magnetica per distinguerla da quella elettrica. Anzich di forza magnetica, come per il campo elettrico si pu parlare di campo magnetico: diremo che un magnete produce nello spazio circostante una perturbazione che chiamiamo campo magnetico, che a sua volta inuenza un altro magnete posto nelle vicinanze. Nell'Ottocento sono stati osservati alcuni fenomeni che hanno portato a ritenere una connessione tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici. In particolare si concluso che: 41

un conduttore, quando viene percorso da corrente, esercita una forza magnetica su un magnete posto nelle vicinanze; un magnete esercita una forza magnetica su un conduttore, se questo percorso da corrente; due li elettrici, quando sono percorsi da corrente, si attraggono o si respingono con una forza magnetica. Gli esperimenti quindi hanno portato a concludere che un campo elettrico genera un campo magnetico. Per denire il campo magnetico si fa uso proprio della reciproca relazione tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici. In particolare prendiamo un conduttore di lunghezza l percorso da corrente i. Per misurare il campo magnetico esistente in una certa regione dello spazio, valutiamo la forza F che tale lo subisce. Si denisce F B= . il Il campo magnetico una grandezza vettoriale e si misura in tesla. Dalla denizione si vede che 1T=1N/Am. Le relazioni illustrate tra campo elettrico e campo magnetico avevano portato a ritenere che il campo magnetico sia capace di generare un campo elettrico. In realt sotto gli occhi di tutti che se mettiamo una calamita vicino a un lo elettrico possiamo aspettare quanto vogliamo ma nel lo non passer mai corrente. C' per un fondo di verit: studi ed esperimenti hanno portato a concludere che un campo magnetico variabile produce fenomeni elettrici. Per chiarire meglio questo fenomeno, dobbiamo riettere su una maniera visiva per rappresentare il campo magnetico: le linee di campo. Immaginiamo dunque di avvicinare un magnete a forma di sbarra verso una spira circolare (cio un lo avvolto a forma di cerchio). Si potr misurare nel lo una certa corrente, che cesser di scorrere se il magnete si ferma. Se il magnete viene allontanato dalla spira, circoler corrente in senso opposto. Il campo magnetico della calamita sempre lo stesso; varia invece il numero di linee di campo che entrano o escono dalla spira, cio varia il usso magnetico. Questo fenomeno si chiama induzione magnetica: una variazione del usso magnetico al variare del tempo produce una dierenza di potenziale che si chiama forza elettromotrice indotta.

7.3 Onde elettromagnetiche


Il fatto che il campo elettrico e il campo magnetico si inuenzano a vicenda molto importante: supponiamo in qualche modo di generare un campo elettrico variabile tramite una corrente elttrica variabile; esso, per quanto detto, 42

produrr un campo magnetico, anch'esso variabile; ma, a causa del fenomeno dell'induzione magnetica, il campo magnetico cos ottenuto continuer a produrre un campo elettrico variabile, e cos via. Si avr quindi una propagazione successiva, nello spazio e nel tempo, di campi elettrici e magnetici variabili. Tale propagazione avviene proprio secondo le propriet dei fenomeni ondulatori gi studiati, e chiamiamo perci questo fenomeno propagazione delle onde elettromagnetiche. Tali onde hanno in tutto e per tutto le propriet matematiche gi illustrate, ma, come si gi detto a suo tempo, non hanno bisogno di un mezzo per propagarsi. Le onde elettromagnetiche vengono classicate in un sistema chiamato spettro elettromagnetico a seconda della lunghezza d'onda (o frequenza), in base alla quale manifestano diverse propriet. Onde radio. Sono quelle che hanno frequenza pi bassa (e quindi lunghezza d'onda pi alta), compresa tra zero e 3109 Hz (3 GHz) e utilizzate in genere per le telecomunicazioni, sia quelle pi datate, sia quelle pi tecnologiche. Sono generate e ricevute da antenne le cui dimensioni sono dell'ordine della lunghezza d'onda da trasmettere. Microonde. Hanno frequenza compresa fra 3109 Hz e 31011 Hz (300 GHz) anche se gi a 1 GHz si inizia a parlare di microonde. Sono prodotte in speciali tubi a vuoto. Interagiscono con le molecole (in particolare eccitano gli stati rotazionali della materia). Es. molecole d'acqua dei cibi. Radiazioni infrarosse. Hanno frequenza compresa fra 31011 e circa 4 1014 Hz. Si chiamano cos perch si trovano al di sotto della frequenza della prima radiazione visibile, che il rosso. Sono emesse in generale da corpi caldi ma non incandescenti, in seguito alle vibrazioni atomiche causate dagli urti fra le molecole. Sono chiamate anche radiazioni termiche perch la loro frequenza tale da mettere in vibrazione gli atomi. Luce visibile. Una parte dello spettro elettromagnetico pu essere rilevata dall'occhio umano: la luce visibile, che va da una frequenza di circa 4 1014 Hz a 7,5 1014 Hz. Radiazioni ultraviolette. Vanno da circa 7,5 1014 Hz a 3 1016 Hz. Derivano da vibrazioni energetiche di atomi fortemente legati al nucleo. Hanno energia suciente a spezzare legami molecolari e ionizzare parzialmente gli atomi. Il Sole emette radiazioni ultraviolette, che vengono assorbite dallo strato di ozono presente nell'atmosfera. La piccola quantit di radiazioni ultraviolette che dal Sole giunge alla Terra 43

viene schermata dalla melanina. L'esposizione alla luce solare induce la produzione di altra melanina: il fenomeno della abbronzatura. Raggi X . Vanno da 3 1016 Hz a 3 1020 Hz. Sono stati scoperti casualmente da Rontgen nel 1895. Si producono bombardando bersagli metallici con elettroni ad alta energia che viaggiano in un vuoto spinto. Hanno energie molto elevate, in grado di provocare eetti dannosi sugli esseri viventi. Applicazioni in radiograa. Raggi gamma. Sono le frequenze pi elevate dello spettro. Vengono prodotte in generale nelle reazioni nucleari e hanno pertanto l'energia pi alta e potere pi penetrante, quindi eetti pi dannosi anche rispetto ai raggi X . Applicazioni in radioterapia.

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Capitolo 8 Radiazioni
8.1 Cenni di struttura della materia
Per molti fenomeni sici essenziale capire come fatta la materia che ci circonda. Come noto i costituenti della materia sono gli atomi, che si aggregano a formare molecole che a loro volta costituiscono la materia. Vediamo perch. Gli studi sull'atomo hanno una lunga storia. Ci basti sapere che oramai noto che esso formato da un nucleo recante carica positiva e cariche negative intorno ad esso. L'atomo per la maggior parte vuoto, perch gran parte della sua massa concentrata nel nucleo. Esso, oltre che di cariche positive chiamate protoni, consta di altre particelle senza carica dette neutroni. Prima di vedere pi in dettaglio fenomeni che riguardano il nucleo, soermiamoci sull'atomo nel suo complesso. Come si detto, intorno al nucleo si aggirano gli elettroni. Il comportamento degli elettroni intorno al nucleo molto particolare. Si potrebbe, in prima approssimazione, pensare che gli elettroni orbitino intorno al nucleo come i pianeti intorno al Sole (e spesso si fa uso di questo modello semplicato) ma nella realt non possibile indicare con esattezza la traiettoria di un elettrone dentro un atomo: si parla, anzich di orbite, di orbitali, che sono regioni dello spazio atomico in cui con buona probabilit si trova l'elettrone. Questo perch gli elettroni sono talmente piccoli (ordine di grandezza 1031 kg) che se si tenta di osservarli con i moderni mezzi della tecnologia se ne perturba in ogni caso la posizione. Che si parli di orbite o di orbitali, gli elettroni sono in ogni caso disposti nell'atomo secondo livelli energetici. Giacch il nucleo positivo e gli elettroni sono negativi, vi una forza di attrazione e quindi una forma di energia potenziale. Ma gli elettroni, a dierenza degli oggetti comuni, non possono avere una qualsiasi quantit di energia, ma solo delle quantit ben precise, ciascuna corrispondente a un livello energetico. Gli elettroni pi vicini al nu45

cleo sono i pi stabili (minima energia). Si pu fare in modo che un elettrone passi dal suo livello a quello superiore: occorre fornirgli energia (una quantit ben precisa). L'elettrone per non rimane a lungo in questo cosiddetto stato eccitato, bens ritorna al suo stato fondamentale restituendo l'energia che gli era stata fornita. Su questo fenomeno si basa la spettroscopia. Comunque, appurato che gli alettroni si possono disporre su appropriati livelli energetici, gli atomi si dierenziano in base al numero di elettroni. Questa scoperta di non indierente portata si traduce in questo modo: tutta la materia che ci circonda pu essere ricondotta a un centinaio di tipi chiamati elementi. Ogni elemento corrisponde a un tipo di atomo e sono tutti riassunti nella cosiddetta tavola periodica. L'atomo pi semplice quello di idrogeno, che ha un solo elettrone, e cos via. Dire che l'atomo il costituente ultimo della materia vuol dire che, ad esempio, se suddivido un atomo nelle particelle che lo compongono, avr solo elettroni, protoni e neutroni e non pi la caratteristica di essere idrogeno. La presenza di elettroni in livelli energetici consente che atomi dello stesso tipo o di tipi diversi si uniscano fra di loro. Questo l'oggetto della chimica, che ci spiega appunto come gli atomi si possano unire a formare le molecole che a loro volta si uniscono per formare la materia. Ma questo non ci riguarda. Torniamo invece all'atomo nel suo complesso: il numero di elettroni ci dice che elemento . Ora, si osserva che l'atomo elettricamente neutro, cio preso nel suo complesso non manifesta o subisce campi elettrici. Ci implica che nel nucleo il numero di cariche positive presenti deve per forza essere pari al numero di elettroni. Che ci stanno a fare i neutroni? Praticamente fanno massa, ma non solo. Soermiamoci ora sul nucleo. Un primo problema il seguente: come fa il nucleo a stare unito se costituito di cariche positive? Non dovrebbero respingersi tra di loro a causa della forza elettrica? Perch la materia non esplode e resta unita? Perch nella natura esiste una forza fondamentale che si chiama forza forte, che ha un raggio d'azione limitatissimo ma in quel raggio d'azione pi intensa della forza elettrica ed la forza che tiene uniti i nuclei. Le forze fondamentali in natura sono quattro, no ad ora ne abbiamo visto tre: la forza di gravit, la forza elettromagnetica e ora la forza nucleare forte. Ci premesso, come si detto il nucleo composto da protoni (che sono in numero pari agli elettroni dell'atomo neutro cui appartengono) e da neutroni. Come il numero degli elettroni caratterizza l'atomo, cos il numero di protoni caratterizza il nucleo: si chiama numero atomico (Z ). Nuclei che hanno lo stesso numero atomico sono lo stesso tipo di nucleo. Pu accadere per che nuclei dello stesso tipo abbiano un numero diverso di neutroni: sono gli isotopi.

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8.2 Decadimenti radioattivi


La maggior parte degli isotopi sono stabili e sono quelli che costituiscono gli atomi della materia ordinaria. Alcuni isotopi in natura per sono instabili, e si disintegrano spontaneamente, emettendo particelle ad alta energia. Questo fenomeno si chiama decadimento radioattivo. Si tratta di un fenomeno probabilistico, nel senso che non si pu prevedere quando un ben preciso nucleo decadr, ma si pu calcolare la probabilit che un certo numero di nuclei decada nel tempo. Questa considerazione porta alla legge del decadimento radioattivo: N (t) = N0 et . La costante , costante di decadimento, diversa per ogni isotopo e ci dice quanto rapidamente esso decade. Per quanticare la rapidit con cui un isotopo decade si fa uso anche di una grandezza sica detta tempo di dimezzamento, che l'intervallo di tempo necessario perch decada la met dei nuclei presenti in un campione. Esistono tre tipi di decadimento radioattivo, che si classicano in base alle particelle che ne risultano. Decadimento . Le particelle sono nuclei di elio, costituiti quindi da due protoni e due neutroni. Il decadimento quindi la trasformazione spontanea di un nucleo in un altro con contestuale emissione di particelle . Decadimento . Le particelle sono elettroni ma anche particelle identiche agli elettroni per con carica positiva, chiamate positroni. Decadimento . Le particelle sono fotoni, cio particelle con massa nulla ma con una certa energia, che sono le particelle che trasportano le radiazioni elettromagnetiche di cui si gi parlato. Questi tre tipi di radiazioni hanno un potere penetrante molto dierente. Le particelle e , essendo cariche, interagiscono con gli atomi di un materiale, e possono provocare formazione di ioni lungo il loro percorso. Maggiore la carica o pi lente sono le particelle, tanto maggiori sono il trasferimento di energia e il livello di ionizzazione. Ovviamente il grado di penetrazione dipende anche dalla densit del materiale attraversato. Le particelle hanno grande massa e in genere bassa velocit, quindi bastano pochi centimetri di aria o un foglio di carta per fermarle. Le particelle sono costituite da una singola carica elettrica e possono percorrere alcuni metri nell'aria o pochi millimetri ad esempio nell'alluminio prima di fermarsi. I raggi , poich non hanno carica elettrica e poi perch non hanno massa, sono molto penetranti (come anche i raggi X ). All'interno di un materiale perdono la loro alta 47

energia (eetto fotoelettrico o eetto Compton) provocando ionizzazione. Per bloccare raggi (e raggi X ) occorre un materiale con densit molto alta e un numero molto alto di elettroni.

8.3 Generalit sulle radiazioni


Lo spettro delle onde elettromagnetiche e i prodotti dei decadimenti radioattivi vanno genericamente sotto il nome di radiazioni. Alcune di queste radiazioni per si trasmettono sotto forma di vere e proprie particelle. Quali sono onde e quali particelle? Per quanto riguarda le onde elettromagnetiche, il fatto che vengono chiamate onde fornisce la risposta, ma non stato semplice dedurre e spiegare la loro esistenza. Il punto di partenza delle nostre argomentazioni la luce. Gi da tempo esiste una teoria chiamata ottica geometrica che si basa sul fatto che la luce costituita di raggi che si propagano in linea retta e che obbediscono a semplici propriet geometriche. Questo faceva pensare che la luce sia fatta di particelle che si muovono da un punto a un altro secondo raggi rettilinei. Era sempre per presente in alcuni scienziati l'idea che la luce fosse un'entit immateriale. In tempi pi recenti si inizi pertanto a pensare che la luce fosse un tipo di onda, ma non vi erano prove a supporto. La prova decisiva arriv con l'esperimento di Young: facendo passare un opportuno raggio di luce in una doppia fenditura, su uno schermo si vede non l'immagine netta delle fenditure, come ci si aspetta da un fascio di luce che proietta un'ombra, ma un insieme di frange chiare e scure. Ci vuol dire che la luce si comporta come le onde del mare che attraversano due aperture su una scogliera: si generano due onde che interferiscono formando massimi e minimi di interferenza. La luce pertanto, sotto opportune condizioni, si comporta come onda, perch consente di riprodurre i fenomeni tipici delle onde tra cui riessione e interferenza. Successivamente si dimostr che la luce si muove nel vuoto con una velocit di circa 300000 km/s, mentre nei mezzi diversi si muove con velocit inferiori. Dal punto di vista teorico, i chiarimenti giunsero quando si comprese che il campo elettrico e magnetico sono un'espressione della stessa entit chiamata campo elettromagnetico, che si pu propagare sotto forma di onda nel tempo e nello spazio. Il risultato sorprendente fu che la velocit di queste onde elettromagnetiche nel vuoto pari proprio alla velocit della luce nel vuoto, e ci port a concludere che la luce un'onda elettromagnetica. Nello spettro elettromagnetico non esiste solo la luce visibile, ma tutte le onde elettromagnetiche nel vuoto hanno la stessa velocit. Le loro diverse propriet dipendono dalle diverse frequenze.

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Con la teoria delle onde elettromagnetiche il quadro sembrava completo, ma alcuni fenomeni facevano ritenere che l'idea di luce formata da particelle non fosse del tutto da abbandonare. Studiando in particolare alcuni fenomeni atomici, si trov che l'elettrone in un atomo si comporta come un'onda. Se E l'energia della particella e f la frequenza dell'onda, si ha

E =hf
dove h una costante chiamata costante di Planck. Viceversa si ipotizz che a un'onda di frequenza f si pu associare una particella di energia E = h f . La spiegazione pu apparire fantasiosa ma ormai assodato che la luce in certe circostanze si comporta come onda e in altre come particella, e questo comportamento manifestato da tutti corpi a livello atomico. Le conseguenze di queste ipotesi sono descritte da quella parte della sica che si chiama meccanica quantistica. Nello studio della sica dei corpi che ci circondano, non vediamo gli eetti della meccanica quantistica, perch si tratta di corpi le cui dimensioni rendono del tutto trascurabile il dualismo onda-particella. Tornando al comportamento delle onde elettromagnetiche, dunque, esse hanno in tutto e per tutto le propriet delle onde, ma possiamo anche considerarle costituite da particelle, dette fotoni, che hanno massa nulla e energia pari a E = h f . Per quanto riguarda i prodotti dei decadimenti e , essi sono proprio delle particelle, ma, per quanto detto, possono manifestare anche un comportamento ondulatorio. La dierenza delle particelle e rispetto ai fotoni che esse hanno massa. In ogni caso quasi ogni tipo di radiazione trasporta energia, o sotto forma elettromagnetica (fotoni) o sotto forma di energia cinetica (radiazioni corpuscolari). Questa energia pu essere totalmente o parzialmente ceduta alla materia su cui la radiazione va a incidere. I meccanismi di interazione mediante i quali l'energia viene ceduta alla materia dipendono dal tipo di radiazione oltre che dal tipo di materia. Le radiazioni corpuscolari cariche interagiscono con la materia soprattutto mediante interazione elettromagnetica: se la loro energia suciente, la cedono inducendo processi di ionizzazione atomica. I danni biologici sono legati alla quantit dei processi di ionizzazione. Questo tipo di radiazioni, la cui energia per particella o per fotone deve essere superiore all'energia minima di ionizzazione (10 eV1 ) si chiamano radiazioni ionizzanti. Radiazioni di energia inferiore sono dette non ionizzanti e cedono la propria energia al materiale biologico provocando eetti termici e non termici.
(eV) l'energia acquistata da un elettrone accelerato dalla dierenza di potenziale di 1 V; equivale quindi a 1,61019 C.
1 L'elettronvolt

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8.4 Radiazioni non ionizzanti


Come si detto le radiazioni non ionizzanti non sono in grado di strappare elettroni agli atomi o alle molecole colpite (cio, in termini sici, di eccitarli). Si tratta di alcune radiazioni dello spettro elettromagnetico, anche se tra le radiazioni non ionizzanti si includono a volte anche gli ultrasuoni. Il criterio per capire se una radiazione o meno ionizzante valutare l'energia trasportata dal fotone: se questa superiore all'energia di legame dell'elettrone allora ionizzante. Poich per tale energia di legame varia a seconda dell'atomo o della molecola cui l'elettrone appartiene, il limite tra le due radiazioni non esattamente denito. Per convenzione si assume come limite l'energia di ionizzazione dell'atomo di idrogeno, 13 eV, che corrisponde a una frequenza di circa 107 m, quindi nella regione dell'ultravioletto estremo. Le parti dello spettro pi importanti per quanto riguarda gli eetti biologici delle radiazioni non ionizzanti sono i campi a frequenza nulla (perch statici); i campi a frequenza molto bassa (ELF, extremely low frequencies ); le radiofrequenze (RF), corrispondenti a frequenze da circa 30 kHz a 300 MHz); le microonde, corrispondenti a frequenze tra 300 MHz e 300 GHz. Quando un'onda elettromagnetica incide su un corpo, in parte si riette e in parte viene assorbita, a seconda delle propriet elettriche della sostanza di cui fatto il corpo. All'interno del corpo, l'onda pu mettere in oscillazione, nel caso pi semplice, le cariche elettriche presenti. L'ecienza nel trasferire l'energia elettromagnetica alle cariche elettriche dipende dalla frequenza dell'onda e dalle caratteristiche della sostanza investita dall'onda. Per esempio, se un'onda di frequenza compresa nell'intervallo delle microonde investe un atomo di idrogeno, tale frequenza non in grado di inuire sugli elettroni dell'atomo di idrogeno, perch le transizioni da un livello energetico a un altro nell'atomo di idrogeno sono troppo grandi e richiederebbero fotoni con frequenze ben superiori a quelle delle microonde. D'altra parte un'onda elettromagnetica che incide su un corpo metallico pu mettere facilmente in oscillazione gli elettroni di conduzione del metallo, che hanno la propriet di muoversi facilmente. In tal caso perci l'ecienza di trasferimento dell'energia trasportata dall'onda sar alta. In questo caso inoltre gli elettroni messi in movimento dall'onda nel metallo cedono energia, riscaldando il conduttore (fenomeno che va sotto il nome di eetto Joule). Gli esempi citati rappresentano due casi estremi: in uno le radiazioni non hanno alcun eetto, 50

nell'altro trasferiscono energia con alta ecienza. In generale possiamo dire che l'energia elettomagnetica assorbita da una sostanza si trasforma, in tutto o in parte, in energia termica. Nel caso dei tessuti biologici, l'ecienza con cui l'energia elettromagnetica si trasforma in energia termica abbastanza varia, perch i tessuti hanno ciascuno una diversa resistenza e una diversa costante dielettrica, cio in parole povere alcuni tessuti sono pi conduttori e altri pi isolanti. Assume poi rilevanza la presenza di molecole d'acqua, responsabili del maggior assorbimento di microonde in quanto queste producono un eetto dielettrico dovuto all'oscillazione dei dipoli (ricorda che le molecole d'acqua sono polari). L'energia di oscillazione si trasforma poi in energia termica. Per quanto riguarda la penetrazione delle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti, si pu assumere in linea di massima il seguente criterio: maggiore la lugnhezza d'onda, tanto pi sono penetranti. Venendo agli eetti di una radiazione non ionizzante su un organismo, si avr un eetto biologico consistente se l'energia trasferita dal campo elettromagnetico produce un aumento di temperatura consistente. L'aumento di temperatura dipende non solo dall'energia ceduta nell'unit di tempo dal campo elettromagnetico a una porzione di tessuto, ma anche dallo scambio termico tra il tessuto irradiato e l'ambiente circostante. Nell'uomo per esempio gli eetti termici divengono dannosi se l'aumento di temperatura tale da non poter essere compensato dalla termoregolazione. Si considerano eetti dannosi quelli che producono un prolungato aumento di temperatura di almeno mezzo grado. I tessuti inoltre sono diversamente sensibili alla temperatura. I pi sensibili sono il cristallino dell'occhio, perch non irrorato dal sangue, e le gonadi. Si pu quindi aermare che un eetto biologico non comporta necessariamente un eetto dannoso. Una grandezza fondamentale per descrivere quantitativamente l'assorbimento dell'energia elettromagnetica da parte di un tessuto il tasso di assorbimento specico (SAR), la quantit di energia assorbita per unit di tempo dall'unit di massa del tessuto irradiato, che nel S.I. si misura in W/kg. Tra il SAR e il campo elettrico vale la relazione SAR =

2 E d

dove la conduttivit, d la densit e E l'intensit del campo elettrico interno. L'aumento di temperatura legato, oltre che all'energia ceduta, anche all'ecienza con cui il calore viene asportato dal volume di tessuto in cui viene prodotto. Il calore si trasmette in generale per conduzione, convezione e irraggiamento ma a livello dei tessuti corporei la modalit pi eciente 51

la conduzione forzata del calore da parte del sangue: esso scambia calore tra i distretti pi interni e la periferia (i capillari).

8.5 Radiazioni ionizzanti


Tra le radiazioni ionizzanti si classicano i raggi X e i raggi , cio la parte dello spettro elettromagnetico con le frequenze pi alte, e le radiazioni e . I raggi X e sono onde elettromagnetiche, che sono tutte qualitativamente indistinguibili, se non per la loro origine. L'energia caratteristica dei raggi X fra i 10 e 100 keV. Essi hanno origine da interazioni esterne al nucleo. Possono essere prodotti in un tubo a vuoto in cui si fornisce una dierenza di potenziale tra i 50 e 150 kV in una distanza di 1 cm. Per eetto Joule si riscalda un catodo, che emette elettroni per eetto termoionico. Gli elettroni, accelerati dalla dierenza di potenziale, acquistano energia cinetica e colpiscono il catodo. All'interno del materiale gli elettroni vengono rallentati e perdono energia sotto forma di onde elettromagnetiche che sono proprio i raggi X . L'origine delle radiazioni , e , prodotti dei decadimenti radioattivi, non atomica ma nucleare: il nucleo dell'atomo si ridistribuisce, si modica e libera energia in eccesso sotto forma di radiazioni. Alcuni elementi radioattivi hanno probabilit di decadimento molto bassa e sono giunti no a noi dai tempi in cui si formata la galassia. Si tratta di nuclei pesanti come isotopi di uranio e torio, ma anche radon, che esiste in forma gassosa, esce dalle rocce in cui rimasto intrappolato, viene inspirato dall'uomo e decade nei polmoni. Tra gli elementi primordiali vi anche il potassio-40, anch'esso con una probabilit di decadimento molto bassa, che entra a far parte della nostra catena alimentare. Alcuni elementi invece hanno tempi di decadimento molto pi brevi e vengono prodotti continuamente quando i raggi cosmici raggiungono la terra, come il trizio, il berillio-7 e il carbonio-14: entrano nel metabolismo e decadono nell'organismo. Vi sono poi anche sorgenti di radioattivit articiale: i processi di ssione nucleare utilizzati in passato a ni distruttivi ma anche nei test nucleari e nei processi controllati di produzione energetica. Dalla legge del decadimento radioattivo

N (t) = N0 et
si pu ricavare una grandezza sica che caratterizza il decadimento. e cio il tempo di dimezzamento, cio quel tempo che occorre anch il campione 52

iniziale si riduca della met. Indicando con t1/2 il tempo di dimezzamento, dovr essere N0 = N0 et1/2 2 1 et1/2 = 2 1 t1/2 = ln 2 t1/2 = ln 2

ln 2 . Si denisce vita media di un nucleo il tempo medio che deve trascorrere prima che il nucleo decada. Si trova t1/2 = = 1 = . ln 2

Si denisce attivit di una sorgente radioattiva il numero di decadimenti al variare del tempo: A(t) = N (t) = N0 et . L'attivit si misura in decadimente al secondo, unit di misura che prende il nome di bequerel (Bq). Un'altra unit di misura molto usata il curie (Ci), pari all'attivit di 1 g di radio-226 che subisce decadimento con tempo di dimezzamento pari a 1620 anni. Nella tabella sono riassunte alcune attivit. Sorgenti di 241 Am in rivelatori di fumo Radon nell'aria in una casa di 100 m2 PET Radioisotopi per terapia tumorale 30 kBq 30 kBq 25 Ci = 109 Bq 1014 Bq

Tabella 8.1: Attivit di alcuni nuclidi Volendo esaminare l'inuenza delle radiazioni su un organismo si parla anche di tempo di dimezzamento biologico, che il tempo necessario al sistema per eliminare met di una sostanza radioattiva attraverso meccanismi biologici, e di costante di decadimento biologica. Il corpo umano quindi elimina le sostanze radioattive sia con la modalit sica che con quella biologica. Un esempio di decadimento oerto da 238 U che si trasforma in 234 Th, con emissione di energia di 4,275 MeV. L'energia, a causa del principio di conservazione della quantit di moto, si distribuisce in maniera inversamente

53

proporzionale alle masse, quindi la maggior parte trasportate dalla particella , in questo caso 4,20 MeV. Nel decadimento le energie trasportate dalle radiazioni sono in generale dell'ordine di qualche MeV. Le particelle , come si detto, sono elettroni o positroni. Nel decadimento un neutrone si trasforma in un protone emettendo un elettrone e 14 un'altra particella detta antineutrino. Un caso 14 6 C che si trasforma in 7 N. + Nel decadimento invece un protone del nucleo si trasforma in un neutrone emettendo un positrone e un neutrino. Un esempio 11 6 C che si trasforma 11 in 5 B. Nel decadimento quasi tutta l'energia si divide tra l'elettrone (o il positrone) e l'antineutrino (o neutrino). Dal punto di vista dell'assorbimento delle radiazioni, poich il neutrino ha probabilit quasi nulla di essere assorbito, l'energia pi rilevante quella dell'elettrone. Nel decadimento del carbonio-14, ad esempio, l'energia massima dell'elettrone 156 keV, con un tempo di dimezzamento di 5730 anni, mentre nel decadimento + del carbonio-11 (che si usa nella PET), l'energia massima dei positroni 1,98 MeV con un tempo di dimezzamento di 20 minuti. Si denisce dose la quantit totale di energia assorbita per unit di massa e si misura in J/kg. Tale unit di misura prende il nome di gray (Gy). Con signicato analogo si usa anche il rad, che equivale a 0,01 J/kg. Quindi 1 Gy equivale a 100 rad. La dose di radiazione assorbita non dipende dal tipo di radiazione, dal meccanismo di interazione, dallo spessore interessato o dal tempo. Per tener conto del meccanismo con cui avviene l'interazione della radiazione con la materia si introduce il LET (trasferimento lineare di energia) che dipende dalla quantit di energia assorbita per unit di lunghezza. Le particelle ad esempio hanno alto LET: particelle con 5 MeV vengono assorbite completamente dopo 3,5 cm di aria oppure 0,2 mm di tessuto oppure 21 m di alluminio. Le radiazioni , essendo elettroni o positroni, non hanno un movimento rettilineo, perch subiscono urti all'interno del materiale. In media comunque gli elettroni da 1 MeV hanno un range di 420 cm in aria, 0,5 cm nei tessuti molli, 0,15 cm in alluminio. Le radiazioni e X hanno un comportamento dierente: sono onde elettromagnetiche e dal punto di vista corpuscolare sono fasci di fotoni. Ogni fotone ha la stessa probabilit di interazione ma interagisce in tempi e posizioni dierenti. Si trova che l'intensit del fascio all'interno del materiale attraversato varia secondo la relazione I = I0 ex . Il signicato della costante analogo alla costante di decadimento. Si pu introdurre una distanza chiamata spessore di dimezzamento dato da

x1/2 =
54

ln 2 .

Gli spessori di dimezzamento crescono con l'energia della radiazione e dipendono dal materiale. Nel piombo, fortemente assorbente, un fascio di raggi X da 100 keV ha uno spessore di dimezzamento di circa 0,3 mm e un raggio da 1 MeV ha spessore di dimezzamento di circa 8 mm. Le radiazioni elettromagnetiche sono quindi a basso LET. Per tener conto della diversa capacit di provocare eetti biologici, per le radiazioni si introduce una grandezza sica detta RBE (ecienza biologica relativa). Si assume come radiazione di riferimento quella prodotta dai raggi X di 200 keV, per i quali RBE = 1. L'ecienza biologica relativa di una radiazione rappresenta il fattore di cui moltiplicare la dose di riferimento per ottenere gli stessi eetti biologici. Ad esempio, RBE = 2 per una certa radiazione vuol dire che ogni dose da 1 Gy equivalente, dal punto di vista del danno biologico, a una dose di 2 Gy di raggi X . Alcuni valori tipici di RBE sono riassunti nella tabella (8.2). Radiazioni raggi particelle protoni particelle ioni pesanti RBE 1 11,7 10 1020 20

Tabella 8.2: Valori di RBE per alcune radiazioni Moltiplicando la dose e l'ecienza biologica relativa, si ottiene una grandezza sica detta equivalente di dose, che indica il danno biologico subito dal mezzo. L'equivalente di dose si misura in sievert (Sv). Ad esempio, data una dose di 1 Gy, se si tratta di raggi X essi hanno un equivalente di dose di 1 Sv, mentre se si tratta di protoni hanno un equivalente di dose di 10 Sv. Nella tabella (8.3) sono riassunte alcune dosi mediamente assorbite dall'uomo. Radiazioni Radionuclidi primordiali Radon Potassio-40 nel cibo prodotti di test nucleari e ssione RX dentale o torace mammograa RX diagnostica completa gastrointestinale Dose assorbita Sv/anno 2 mSv/anno 0,4 mSv/anno 100Sv/anno 0,1 mSv 0,7 mSv 3 mSv

Tabella 8.3: Alcune dosi assorbite dall'uomo 55

Capitolo 9 Esempi numerici


1. Un ciclista si muove alla velocit costante di 4 m/s. Se all'istante iniziale si trova nella posizione 100 m, dopo un tempo di 15 minuti in quale posizione sar giunto? 15 minuti = 1560 s = 900 s

x = x0 + v t =100 m + 4 m 900 s = 3700 m = 3,7 km s


2. Qual la velocit media di un'automobile che percorre 60 km in mezz'ora? 60 km = 60000 m 0,5 h = 30 minuti = 1800 s x m = 3, 3 m vmedia = = 60000 t 1800 s s x km = 120 km vmedia = = 60 t 0,5 h h 3. Un vaso di ori cade da un davanzale. Quale velocit raggiunge se cade per 5 secondi? Quanto spazio percorre? m v = v0 + a t = a t = 9 , 8 m s2 5s = 49 s 1 x = x0 + v 0 t + 2 a t2 = 1 a t2 = 1 9, 8 25 = 122, 5 m 2 2 4. L'automobilina di una giostra compie 2 giri in 10 secondi. Qual il periodo del moto e quale la frequenza?

T =5s giri giri f = 210 s = 0, 2 s = 0, 2 Hz


5. Un braccio meccanico di lunghezza 50 cm compie un moto circolare uniforme con una frequenza di 0,5 Hz. Qual la velocit dell'estremit del braccio meccanico e quale la sua accelerazione centripeta? 56

f = 0, 5 Hz T = 2 s v= a=
2r T v2 r

23,140,5 2

2,46 0,5

= 1, 57 m s m = 4, 92 s2

6. Qual il peso di un corpo che ha massa di 80 kg?

P = m g = 80 9, 8 = 784 N
7. Qual la massa di un corpo soggetto a un peso di 1000 N?

m=

P g

1000 9,8

= 102 kg

8. Un corpo di massa 500 g sotto l'azione di una certa forza subisce un'accelerazione di 6 m/s2 . Calcolare il valore della forza. 500 g = 0,5 kg

F = m a = 0, 5 6 = 3 N
9. Un corpo sottoposto all'azione di due forze aventi la stessa direzione, ma verso opposto, una di 35 N e una di 25 N. Qual la forza risultante? Se il corpo ha una massa di 1 kg, che accelerazione subisce?

F = 35 N 25 N = 10 N F =maa=
F m

10 1

= 10 m s2

10. Un corpo sottoposto all'azione di tre forze aventi la stessa direzione. Due di esse sono dirette verso destra e valgono rispettivamente 35 N e 14 N. Quale forza occorre esercitare e in quale verso, se si vuole che il corpo non si muova?

F = (35 N + 14 N) = 49 N
11. Un asse girevole intorno a un perno ssato a una sua estremit libero di ruotare sia in senso orario che in senso antiorario. L'asse lungo 2 m. Calcolare l momenti di una forza di 10 N applicata in tre punti: a 10 cm e a 1 m dal perno e poi all'estremit.

M = 10 0, 1N m = 1 Nm M = 10 1 N m = 10 Nm M = 10 2 N m = 20 Nm
12. Relativamente all'asse citato nell'esempio precedente, supponiamo che una forza di 10 N applicata a 1 m dal perno faccia ruotare l'asse in senso orario. In quale punto bisognerebbe esercitare una forza di 5 N per impedire al corpo di ruotare? E se la forza fosse di 2 N? 57

La forza applicata produce un momento pari a -10 Nm. Per ottenere l'equilibrio rotatorio la somma dei momenti deve essere zero, perci bisogna applicare un momento M tale che M 10 Nm = 0. Occorre quindi un momento pari a +10 Nm. Siccome si vuole applicare una forza di 5 N, essa deve essere applicata a una distanza di 2 m. La forza di 2 N invece deve essere applicata a una distanza di 5 m. 13. Una forza di 150 N preme su una supercie di 40 m2 . Qual la pressione che agisce sulla supercie?

p=

F S

150 40

Pa = 3,75 Pa

14. Un corpo del volume di 2 m3 immerso nell'acqua, che come noto ha densit 1000 kg/m3 . Quale sar la spinta di Archimede che riceve? Se il corpo fatto di un materiale che ha densit 800 kg/m3 , riuscir la spinta di Archimede a contrastare il peso del corpo? La spinta di Archimede pari al peso del volume del uido spostato. Tale volume 2 m3 . Per sapere il peso di 2 m3 d'acqua occorre sapere quanta massa contenuta in tale volume. Siccome la densit dell'acqua 1000 kg/m3 , in 2 m3 sono contenuti 2000 kg di acqua. Per sapere qual il peso dell'acqua, bisogna moltiplicare per 9,8 m/s2 e si ottiene 19600 N. La massa del corpo 1600 kg e il suo peso 15680 N, quindi il corpo galleggia. 15. Qual la pressione esercitata su un oggetto immerso nell'acqua a una profondit di 10 m? Esprimere il risultato in pascal, atmosfere e millimetri di mercurio.

p = d g h = 1000 9, 8 10 Pa = 98000 Pa
98000 Pa : 101000 = 0,97 atm 0,97 atm 760 = 737 mm Hg 16. Un uido attraversa un condotto che ha la portata costante. Quando attraversa una sezione dell'area di 1 mm2 il uido scorre a una velocit di 8 m/s. Che velocit avr in un punto in cui la sezione del condotto aumenta a 5 mm2

Q = S v = 0, 001 8 = 0, 008 m3 /s v=
0,008 = 0,005

1,6 m/s

17. Si vuole far salire l'acqua in un condotto a una quota di 10 m e con una velocit di 5 m/s. Se l'acqua giunge in quota con una pressione di 100 Pa, quale pressione occorre per farla salire? 58

1 2 2 p1 + d g h1 + 2 d v1 = p2 + d g h2 + 1 d v2 2 2 p1 = p2 + d g h2 + 1 d v2 2

p1 = 100 + 1000 9, 8 10 + 1 1000 25 Pa = 123100 Pa 2


18. Un'onda ha una frequenza di 100 Hz. Calcolare anzitutto il periodo. Se l'onda ha una lunghezza d'onda di 30 cm, qual la sua velocit? Frequenza: f = 100 Hz Periodo: T = 0, 01 s

v=

= 3000 cm/s = 30 m/s

19. Quanto calore occorre fornire a 2 litri di acqua distillata per portarla da temperatura ambiente alla temperatura di ebollizione? Quanto calore perde la stessa acqua se la si lascia poi rareddare no a 80C? Il calore specico dell'acqua 4186 J/kgC. Se ipotizziamo che la temperatura ambiente sia 20C, la temperatura deve variare di 80C.

Q = m c t = 2 4186 80 = 669760 J
Se l'acqua deve rareddarsi no a 80C, la temperatura deve variare di -20C

Q = m c t = 2 4186 (20) = 167440 J


20. Una lampadina ha una resistenza di 8 . Se abbiamo, per farla accendere, una batteria da 12 V, da quanta intensit di corrente sar attraversata la lampadina?

i=

V R

12 8

= 1, 5 A

21. Quale deve essere la dierenza di potenziale fornita da una batteria se vogliamo che in un conduttore da 1000 passi una corrente di 2 A?

V = R i = 1000 2 = 2000 V

59

grandezza sica velocit accelerazione frequenza velocit angolare forza momento lavoro quantit di moto pressione calore specico capacit termica carica elettrica campo elettrico potenziale resistenza campo magnetico

unit di misura m s m s2 1 s rad s kg m s2 N m N m kg m s N 2 m J kgK J kg A s N C J C V C N Am

simbolo

nome

Hz N J Pa

hertz newton joule pascal

C V

coulomb volt ohm tesla

Tabella 9.1: Alcune grandezze siche derivate

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Bibliograa
[Amaldi] Amaldi U., Corso di Fisica, Bologna, Zanichelli, 2009 (o altro testo equivalente dello stesso autore). [Bersani] Bersani F. et al., Fisica Biomedica, Padova, Piccin, 2010.

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