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SOMMARIO

1. AFFINCH TU RICONOSCA LA SOLIDIT DELLE PAROLE CON CUI FOSTI ISTRUITO 7


(1,1-4) 7

2. ANNUNCIO DELLA NASCITA DI GIOVANNI: LE MIE PAROLE SI COMPIRANNO NEL LORO MOMENTO 12
(1,5-25) 12

3. ANNUNCIAZIONE: AVVENGA A ME SECONDO LA TUA PAROLA


(1,26-38)

19
19

4. VISITAZIONE: E BEATA COLEI CHE HA CREDUTO


(1,39-45)

25
25

5. GRANDIFICA L'ANIMA MIA IL SIGNORE


(1,46-56)

29
29

6. GIOVANNI IL SUO NOME


(1,57-66)

33
33

7. BENEDETTO IL SIGNORE...
(1,67-80)

37
37

8. LA NASCITA DI GES: SI COMPIRONO I GIORNI


(2, 1-7)

42
42

9. FU PARTORITO OGGI PER VOI UN SALVATORE


(2,8-20)

46
46

10. ORA SCIOGLI...


(2,21-38)

51
51

11. NELLE COSE DEL PADRE MIO BISOGNA CHE IO SIA


(2,39-52)

56
56

12. CHE DUNQUE FAREMO?


(3,1-20)

61
61

13. TU SEI IL FIGLIO MIO


(3,21-38)

69
69

14. FU TENTATO: SE SEI FIGLIO DI DIO


(4,1-13)

72
72

15.OGGI SI RIEMPITA QUESTA SCRITTURA NEI VOSTRI ORECCHI


(4,14-30)

78
78

16. LA SUA PAROLA ERA CON AUTORIT


(4,31-32)

83
83

17. E GES SGRID: ESCI DA LUI


(4,33-37)

86
86

18. LI SERVIVA
(4,38-39)

90
90

19. BISOGNA CHE IO EVANGELIZZI


(4,40-44)

92
92

20. LASCIATO TUTTO, SEGUIRONO LUI


(5,1-11)

96
96

21. SIGNORE! SE VUOI PUOI PURIFICARMI!


(5,12-16)

100
100

22. UOMO, SONO RIMESSI A TE I PECCATI TUOI


(5,17-26)

105
105

23. NON SONO VENUTO A CHIAMARE I GIUSTI BENS I PECCATORI A CONVERSIONE 111
(5,27-32) 111

24. I TUOI DISCEPOLI MANGIANO E BEVONO


(5,33-39)

116
116

25. SIGNORE DEL SABATO IL FIGLIO DELLUOMO


(6,1-5)

120
120

26. DISTENDI LA TUA MANO! E LA SUA MANO FU RISTABILITA


(6,6-11)

124
124

27. PRESCELSE DODICI E, DISCESO INSIEME CON LORO, STETTE


(6,12-19)

128
128

28. BEATI VOI... AHIM PER VOI!


(6,20-26)

132
132

29. AMATE I NEMICI VOSTRI


(6,27-31)

137
137

30. SARETE FIGLI DELLALTISSIMO


(6,32-35)

142
142

31. DIVENTATE MISERICORDIOSI


(6,36-38)

145
145

32. NON C DISCEPOLO SOPRA IL MAESTRO


(6,39-42)

150
150

33. OGNI ALBERO DAL PROPRIO FRUTTO CONOSCIUTO


(6,43-45)

154
154

34. CHIUNQUE ASCOLTA E FA


(6,46-49)

157
157

35. MA DI UNA PAROLA E SIA GUARITO IL FIGLIO MIO


(7,1-10)

161
161

36. GIOVINETTO, A TE DICO: DESTATI!


(7,11-17)

166
166

37. SEI TU COLUI CHE VIENE, OPPURE ATTENDIAMO UN ALTRO?


(7,18-23)

171
171

38. MA FU GIUSTIFICATA LA SAPIENZA DA TUTTI I SUOI FIGLI


(7,24-35)

176
176

39. DUE DEBITORI AVEVA UN CREDITORE


(7,36-50)

180
180

40. E I DODICI CON LUI E ALCUNE DONNE


(8,1-3)

187
187

41. FECE FRUTTO CENTUPLO


(8,4-8)

190
190

42. A VOI STATO DATO DI CONOSCERE I MISTERI DEL REGNO DI DIO


(8,9-10)

194
194

43. IL SEME LA PAROLA DI DIO


(8,11-15)

197
197

44. GUARDATE DUNQUE COME ASCOLTATE


(8,16-18)

200
200

45. MIA MADRE E MIEI FRATELLI


(8,19-21)

203
203

46. CHI DUNQUE COSTUI?


(8, 22-25)

207
207

47. E LO SCONGIURAVANO CHE NON IMPONESSE LORO DI ALLONTANARSI VERSO LABISSO 211
(8,26-39) 211

48. CHI COLUI CHE MI HA TOCCATO?


(8,40-56)

217
217

49. LI INVI A PROCLAMARE IL REGNO DI DIO E A GUARIRE


(9,1-6)

223
223

50. CHI COSTUI?


(9,7-9)

229
229

51. PRESI I CINQUE PANI, LI SPEZZ


(9,10-17)

233
233

52. IL CRISTO DI DIO... IL FIGLIO DELLUOMO


(9,18-22)

240
240

53. SE QUALCUNO VUOLE VENIRE DIETRO ME...


(9,23-27)

244
244

54. QUESTI IL FIGLIO MIO: ASCOLTATELO


(9,28-36)

249
249

55. PREGAI I TUOI DISCEPOLI E NON POTERONO


(9,37-43a)

255
255

56. METTETE DENTRO GLI ORECCHI QUESTE PAROLE


(9,43b-45)

260
260

57. ENTR IN LORO UNA DISCUSSIONE


(9,46-48)

265
265

58. CHI NON CONTRO VOI PER VOI


(9,49-50)

270
270

59. INDUR IL VOLTO PER ANDARE A GERUSALEMME


(9,51-56)

275
275

60. BEN MESSO PER IL REGNO DI DIO


(9,57-62)

280
280

61. ECCO IO INVIO VOI


(10,1-16)

285
285

62. GIOITE INVECE CHE I VOSTRI NOMI SONO SCRITTI NEI CIELI
(10,17-20)

296
296

63. S, PADRE
(10,21-22)

300
300

64. BEATI QUEGLI OCCHI CHE GUARDANO CI CHE VOI GUARDATE!


(10,23-24)

307
307

65. AMERAI
(10,25-28)

310
310

66. E A ME CHI VICINO?


(10,29-37)

314
314

67. SEDUTA, ASCOLTAVA LA SUA PAROLA


(10,38-42)

322
322

68. PADRE
(11,1-4)

327
327

69. PER LA SUA SFACCIATAGGINE DAR A LUI QUANTO ABBISOGNA


(11,5-8)

333
333

70. CHIEDETE: IL PADRE DAL CIELO DAR LO SPIRITO SANTO


(11,9-13)

337
337

71. GIUNSE SU DI VOI IL REGNO DI DIO


(11,14-26)

341
341

72. BEATI QUANTI ASCOLTANO LA PAROLA DI DIO E CUSTODISCONO


(11,27-28)

346
346

73. IL SEGNO DI GIONA


(11,29-32)

349
349

74. DISCERNI CHE LA TUA LUCE NON SIA TENEBRA


(11,33-36)

352
352

75. AHIM PER VOI! SARA CHIESTO CONTO A QUESTA GENERAZIONE


(11,37-54)

356
356

1. AFFINCH TU RICONOSCA LA SOLIDIT DELLE PAROLE CON CUI FOSTI ISTRUITO


(1,1-4)
11 Poich molti posero mano a riordinare un racconto su quelle cose che si compirono tra noi, 2 come trasmisero a noi coloro che dal principio furono testimoni oculari e servitori della Parola, 3 parve anche a me, avendo seguito da vicino dallinizio tutto con cura, di scrivere per ordine a te, ottimo Teofilo, 4 affinch tu riconosca la solidit delle parole con cui fosti istruito. l. Messaggio nel contesto Il Vangelo di Luca rivolto a cristiani della terza generazione, provenienti dal paganesimo. Distanti da Cristo nello spazio e nel tempo, non lhanno visto quando venuto n hanno conosciuto coloro che lo

videro. Inoltre, il suo ritorno comincia a sembrare pi lontano di quanto il desiderio e limpazienza abbiano fatto credere. Da qui lurgenza di rispondere a due problemi: come accedere a un passato sempre pi remoto e come procedere verso un futuro sempre pi lontano? In altre parole, che significato ha la sua venuta, che senso ha il suo ritorno? Come la memoria di quei fatti significativa oggi per un domani di salvezza? Che centra Ges con la mia vita concreta, che si misura con i suoi problemi quotidiani in una situazione di male in cui lui non pi presente e non ancora tornato? La sua venuta e il suo ritorno non si vanno perdendo in un orizzonte sempre pi indeterminato? Qual il rapporto tra il suo passato glorioso, il nostro presente buio e il nostro futuro di salvezza? Come la sua venuta e il suo ritorno sono in grado di qualificare ancora oggi la nostra vita cristiana? Luca si pone esplicitamente il problema della storia: cogliere oggi lidentit di un passato e la sua rilevanza per un futuro significativo per il presente. Luca cosciente che luomo un animale storico. Di natura eccentrico, con il suo centro fuori di s, sospeso tra il gi e il non ancora. Limitato e trasgressore del suo limite, ansia di realizzazione e corsa verso la propria identit, ricerca di s intorno a s, davanti a s e dietro di s. Unico animale che sa di morire, si sente in una solitudine che lo individua e lo attanaglia, gli toglie respiro e lo uccide. Senza passato e senza futuro, non pu esistere. Cerca di sfuggire al nulla mediante la relazione e il confronto con tutto ci che c su due coordinate, quella dello spazio e quella del tempo. La prima lo ancora al suo mondo presente, persone, fatti e ambienti; la seconda lo situa in un dialogo sapiente col passato, che si fa sua memoria e lo spinge a una responsabilit verso il futuro, che si fa progetto. Luomo senza storia uno smemorato che non sa chi , un punto gettato nel vuoto, incapace di riconoscersi e di farsi riconoscere. Il passato mediato dalla parola/ricordo, che si deposita nella sua memoria. Questa a sua volta gli d identit e possibilit di esistere, di comunicare e di costruire un futuro. La storia si pu leggere come il tentativo costante delluomo di rompere il suo limite costitutivo. lavventura di chi, cercando se stesso, cerca sempre altro, ed ricerca continua dAltro. Avventura bella, ma frustrante, perch consapevole della certezza che muove la ricerca stessa: il limite, appunto. un dato oggettivo che si traduce in angoscia, perch inaccettabile e da superare, nella sicurezza di un limite sempre pi grosso, fino a quello ultimo che tutto divora. Ma allora la storia un faticoso e coatto rimontare la china, sapendo di scivolare sempre gi, proprio alla fine della salita? Insufficienza radicale a se stesso, desiderio impossibile dAltro, troppo grande per bastare a se stesso (Pascal), luomo costituzionalmente infelice, crudelmente lanciato in una ricerca di s che lo risucchia nel fondo del pozzo per trovare la propria immagine? La sua storia sarebbe un girotondo continuo, in cui si tasta disperatamente il muro cieco di una massiccia torre circolare, senzaltra gioia che tenersi ogni tanto per mano, senzaltra speranza che sperare inutilmente o attendere di morire? E la puzza dei cadaveri nel mezzo offre a tutti un insopportabile fetore! Il serpente si morde la coda, il tempo mangia ci che genera, tutto chiuso in un gorgo infernale, reso insopportabile dal desiderio impossibile di romperlo. E il desiderio impossibile si fa paura e la paura vertigine e sollecitudine a provocare larrivo di ci che si teme. In realt la morte lunica attesa realistica delluomo. Ma alla sua attesa, indeducibile da essa, si contrappone la promessa di Dio. promessa di un mondo buono, aperto sul cielo, totalmente diverso, che non sappiamo pensare n osiamo sperare. Dio si accostato alluomo, promettendogli innanzitutto la salvezza. Perch questa venisse positivamente compresa, stata necessaria una lunga educazione, che passa attraverso il dono di salvezze insperate e la negazione di altre desiderate. Il punto darrivo di questa pedagogia di Dio portare alla fiducia in lui, in modo da accogliere da lui quella salvezza che noi, con la mente oscurata dalla menzogna antica, neanche potevamo immaginare. Con la storia di Israele Dio si dissodato un pezzo della nostra terra, vi ha seminato la sua parola e lha coltivata. Essa lentamente cresciuta ed diventata un grande albero, dai frutti maturi: un albero di vita, che d dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dellalbero servono a guarire le nazioni (Ap 22,2).

Il faticoso lavoro di Dio giunto ora a compimento: in un punto e in un tempo precisi, egli stesso ha aperto una breccia nel muro della nostra storia. Caduta lultima pietra che faceva da velo, si dischiusa una via di uscita dalla perdizione. Ma nessuno se ne accorto. Sul momento neanche i pi vicini! Lopera di Dio, piccola e puntuale come ogni realt - rimasta soffocata dal frastuono di tutta la grande storia. Luca vuol prendere ogni uomo e condurlo per mano a quellapertura: la storia di Ges, luogo in cui stato abbattuto il muro. Attraverso questa porta, con tutte le sue ferite e delusioni, con tutta la sua disperazione e angoscia, luomo esce dalla prigione della morte e si affaccia alla luce della vita. Quello di Luca un Vangelo storico: si fa carico della storia delluomo concreto e la apre alla salvezza, prima promessa e ora realizzata in Ges. Lui il centro del tempo, loggi eterno di Dio per il mondo. Attraverso lui, oggi la salvezza entrata in questa casa (19,9). Nel prologo Luca d le sue credenziali di storico della salvezza. Parla di quelle cose che si compirono tra noi, trasmesse da testimoni oculari, divenuti servitori della Parola. Il racconto ordinato che molti ne hanno fatto, utilizzato con cura da Luca perch il lettore, Teofilo, possa rendersi conto della solidit degli insegnamenti ricevuti. 2. Lettura del testo v.1: quelle cose che si compirono tra noi. Si tratta della storia di Ges. La fede cristiana non basata su sogni, progetti, ideali di vita o sapienza arcana - su tutto ci che luomo si costruisce per salvarsi. Dio non muto: entrato in comunicazione con luomo. Il suo silenzio finito in una parola di promessa. Ora, in Ges, si compiuta, si fatta carne. Cos la comunicazione ha raggiunto il suo fine: la comunione con lui. Luca racconta i fatti della vita di Ges come compimento tra noi di quella promessa. Si tratta di un noi ecclesiale, aperto a tutti gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Le cose di cui si parla si collocano in un periodo preciso di storia e sono a loro volta una storia precisa, che va dallapertura del cielo nel battesimo alla sua chiusura nellascensione. Questo pezzetto di tempo la finestra che Dio si aperto sullumanit, il suo affacciarsi per salvarla, il suo oggi eterno al quale tutti chiama. Da l ci parla e ci si comunica, da l usciamo dalla schiavit della morte alla comunione di vita con lui. il centro del tempo, verso cui, sotto il segno della promessa, tutto il passato porta; la memoria nuova, da cui tutto il futuro ha la sua sorgente di vita. Queste cose esulano dallattesa nostra come il sole tropicale dalle attese dei pinguini in zone polari. Luomo infatti non pu attendersi se non ci che gi conosce dagli altri e applica a s: il non senso, la paura, lingiustizia e il vuoto su cui troneggia la morte. Queste cose sono comprensibili solo alla luce dellAT, partendo dalla promessa di Dio e dallesperienza della sua fedelt. v. 2: come trasmisero a noi coloro che dal principio furono testimoni oculari e servitori della Parola. Ci che era fin da principio, ci che noi abbiamo udito, ci che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ci che noi abbiamo contemplato e ci che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poich la vita si fatta visibile, noi labbiamo veduta e di ci rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perch anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione col Padre e col Figlio suo Ges Cristo. Queste cose vi scriviamo perch la nostra gioia sia perfetta (1Gv 1,14). Cos scrive Giovanni. I primi discepoli sono testimoni oculari, hanno visto con i loro occhi la Parola di vita. unesperienza unica e irripetibile. Ma questa beatitudine dei primi discepoli (cf. 10,23s) , mediante loro, destinata a tutti. Gli anni che essi hanno trascorso con Ges sono quel periodo di storia in cui stato rotto il muro e ha fatto irruzione nella casa delluomo la salvezza di Dio. Attraverso la loro testimonianza veniamo condotti anche noi nel luogo da dove entra la

luce. I discepoli sono coscienti della loro funzione unica per tutta lumanit: sono depositari del dono che appaga il desiderio di tutti gli uomini. Non possono vivere in pace se non lo comunicano. La loro gioia non c senza la nostra; la luce non basta loro se non rischiara anche la tristezza di noi, che stiamo con loro. Conoscendo il desiderio del Padre, sono diventati servitori della Parola per i fratelli, perch la gioia invada tutta lumanit e la gioia nostra sia perfetta. Lo stesso amore del Figlio li spinge (2Cor 5,14) ad annunciare e trasmettere la loro esperienza di salvezza. Ci che hanno visto, udito e toccato, lopera definitiva di Dio, il compimento. Non c pi nulla da aspettare da parte delluomo, perch da parte di Dio nulla di pi possibile fare: ha fatto limpossibile, ha dato se stesso! Il mezzo di trasmissione la parola, il racconto che urge loro dentro da comunicare. La Parola fattasi carne sotto i loro occhi e divenuta loro vita, ora torna sulla loro bocca come parola che attende di farsi carne in chi ascolta. Noi, attraverso la loro testimonianza, veniamo portati alloggi di Dio, e ne vediamo il volto in Ges. Mostrami, Signore, il tuo volto, il grande desiderio delluomo, specchio di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza. Mostrami il tuo volto, perch io possa trovare me stesso in esso ed essere salvo. Vediamo questo volto nel racconto dei testimoni oculari. La loro parola, entrando nelle mie orecchie e nel mio cuore, diventa ricordo di salvezza: porta-al-cuore della mia vita, al centro della mia esistenza, loggi stesso di Dio. Nellobbedienza a questo ricordo, anchio rispecchio il volto di Dio che vado cercando, ed il mio stesso volto, conformato e trasfigurato nel suo! Nellascolto e nel ricordo aderente agli eventi primitivi, nella fede e nella contemplazione adorante, nellobbedienza e nel discernimento operante, c la comunione e la gioia perfetta di vita: il cristiano vive del suo Signore e il Signore vive nella sua testimonianza. Il destino della storia affidato alla fedelt responsabile del credente, sacramento di salvezza nel mondo. Responsabilit veramente grande e tremenda. Consapevoli di questa responsabilit, si capisce perch molti posero mano a riordinare un racconto su quelle cose (v. 1) e anche perch Luca conscio dellimportanza di tale racconto, si senta ispirato a farne uno in modo accurato e ordinato. v. 3: parve anche a me... : di scrivere per ordine a te, ottimo Teofilo. Solo un racconto di seguito, ordinato, pu rendere visibili i lineamenti della vita di Ges. Luca li contempla, descrivendoli tratto tratto nel loro sviluppo, nel loro concatenamento, nei loro rapporti e in tutte le loro sfumature e connessioni, perch il lettore possa ricordare e riprodurre in s quel volto di Dio che nessuno ha mai visto e che Ges stesso per primo ci ha disvelato. Il cristiano, in ginocchio davanti al Vangelo, presta attenzione a ogni parola per non perdere nessun particolare. Amare conoscere lamato nella sua oggettivit, con cura anche puntigliosa, senza mischiarlo coi propri psicologismi, preconcetti e ideologie, per accettarlo cos com e ci viene rivelato. Il suo volto si scrive e si incide nel mio cuore (cf. 2Cor 3,3) e diventa mio ricordo costante. Ricordo sconvolgente, totalmente nuovo, progetto di vita nuova. Luomo agisce in base alla memoria, in forza di ci che gli sta a cuore. Al credente sta a cuore la Parola; nei suoi confronti ha lo stesso atteggiamento di colei in cui la Parola si fatta carne: serbava tutte queste cose nel suo cuore (2,51). Suo modello Maria, la quale, sia che capisca sia che non capisca, accoglie la Parola, la deposita con cura nel cuore e accresce quel tesoro dal quale poi trarr a tempo opportuno luce e vita. Ma gi la trattiene e la ammira, con stupore, adorazione e gioia. Nella comunit e nel singolo cristiano, quando si trascura il racconto dei testimoni oculari, il volto di Dio rimane necessariamente oscuro e la sua rivelazione viene sostituita da false immagini - idoli e ideologie in cui non c salvezza! Nascono forme di cristianesimo difformi da Cristo, che non hanno nulla a che fare con la verit di Ges (cf. Ef 4,20s.). Fuori dal racconto e dal ricordo, non c comunione con coloro che hanno visto Cristo e quindi neanche con colui che essi hanno visto. Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno! (Gv 20,29). Mediante lascolto della parola di chi ha visto, anche noi possiamo affidarci al Signore ed entrare in comunione con lui. Nel racconto possiamo vederlo e amarlo. Si avvera anche per noi la grande beatitudine: Beati gli occhi che vedono ci che voi vedete (10,23). I testimoni oculari ci prestano i loro occhi.

Tra i molti che hanno steso un racconto (v. 1), certamente da annoverare Marco, dal quale Luca, oltre che la struttura letteraria di un cammino dalla Galilea a Gerusalemme, prende abbondante materiale: dei 661 versetti di Marco, 350 sono sostanzialmente ripresi da Luca. Oltre Marco, utilizz una fonte di detti, in comune con Matteo, e una fonte sua propria, che raccoglie tradizioni scritte od orali che lui stesso ha verificato (fonti Q e L). Tra questi molti sono probabilmente da ammettere altri tentativi, che la chiesa non ha riconosciuto come canonici, cio normativi per la fede. Con quale criterio la chiesa ha riconosciuto Luca come canonico a preferenza di altri, e con quale autorit Luca pretende di rientrare tra quelli riconosciuti? Due sono i criteri della canonicit o normativit del racconto di fede che lautore deve rispettare. Un terzo, indipendente da lui, la vidimazione del fatto che li ha rispettati. Il primo fondarsi sullautorit dei testimoni oculari, senza fantasie o invenzioni, secondo la verit di Cristo che in Ges (Ef 4,20s). Il secondo confermare la solidit delle parole con cui fosti istruito: il taglio e lo sviluppo interpretativo dei fatti non sono che unintelligenza e un rendersi conto sempre pi ordinato, preciso e adeguato di ci che gi stato trasmesso nella fede della chiesa. Infatti nessuno pu porre un fondamento diverso da quello che gi vi si trova, che Ges Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, ecc., lo far conoscere quel giorno che si manifester col fuoco (1Cor 3,1lss). Gi prima del giudizio, c un fuoco che giudica e discerne tra ci che vero e ci che falso. E questo il terzo criterio, quello decisivo della normativit: laccettazione da parte della chiesa stessa. Essa ritiene come canonico un testo perch, nella forza dello Spirito che la guida, ci si ritrova e ci si rispecchia. Lo Spirito la abilita a portare il peso delle parole di Ges, la guida nella verit tutta intera, facendole ricordare tutto ci che lui ha detto (Gv 14,26). Teofilo. il destinatario del racconto di Luca. Teofilo significa amato da Dio o amante di Dio. figura del discepolo che, ricevuto lannuncio, sa di essere amato da Dio e desidera con tutto il cuore diventare anche lui amante di Dio. Luca si rivolge quindi al cristiano che vuol diventare adulto, fermo e maturo, conscio della sua responsabilit davanti al mondo e alla storia. Lo vuol condurre, passo dopo passo, a compiere lesperienza dei discepoli di Emmaus: dopo averlo ascoltato mentre spiega la parola gi nota, lo riconoscono nello spezzare del pane, cambiano direzione al loro cammino e si ritrovano in ununica comunit di esultanza con gli undici che lhanno visto e acclamano: Davvero il Signore risorto e si fatto vedere a Simone (24,34). v. 4: affinch tu riconosca la solidit delle parole con cui fosti istruito. Luca lunico evangelista che dice espressamente di non aver visto Ges. Si trova nella situazione del lettore Teofilo. Per questo ricorre a chi lo ha visto, accettando la necessit della mediazione storica, che la tradizione. La fede non un affare privato e soggettivo! Il suo intento quello di giungere, lui insieme al suo lettore, attraverso gli occhi di chi ha visto, fino alla contemplazione del volto amato. una conferma, che fonda e corona la fede gi ricevuta, perch conosca il suo debito verso il passato e il suo compito verso il futuro. Questa conferma per chi vuol informarsi pi a fondo su ci che gi sa e desidera confrontarsi di continuo con la sua realt di uomo ormai temporalmente e culturalmente distante dalle origini e da un vicino ritorno del Signore. Luca intende capire con noi che cosa significa vivere loggi eterno di Dio e la sua salvezza in questo tempo, immerso in una storia di perdizione. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera b. Mi raccolgo davanti al testo immaginando come Luca stesso, prima di me, si raccolto su altri

racconti per studiarli, confrontarli ed assimilarli. c. Chiedo al Signore ci che voglio: desidero avere nella lettura del Vangelo lo stesso amore e passione per Ges che ha spinto Luca a scriverlo. d. Punti su cui riflettere: - importanza della Parola, che in Ges tutta si compie (Sal 119) - motivo della testimonianza evangelica (1Gv 1,14) - importanza dellannuncio per giungere alla fede (Rm 10,9-17). 4. Passi utili Sal 119; 1Gv 1,14; Rm 10,8-17.

2. ANNUNCIO DELLA NASCITA DI GIOVANNI: LE MIE PAROLE SI COMPIRANNO NEL LORO MOMENTO
(1,5-25)
5

Cera nei giorni di Erode, re della Giudea, un sacerdote di nome Zaccaria della classe di Abia, e la sua donna era delle figlie di Aronne, e il suo nome era Elisabetta. 6 Ora entrambi erano giusti davanti a Dio e andavano irreprensibili in tutti i comandamenti e le prescrizioni del Signore; 7 e non avevano un figlio, perch Elisabetta era sterile ed entrambi erano avanzati nei loro giorni. 8 Ora avvenne: mentre egli svolgeva il servizio sacerdotale nel turno della sua classe davanti a Dio 9 secondo lusanza dei servizio sacerdotale, gli tocc in sorte di offrire lincenso dentro il tempio del Signore, 10 e tutta la moltitudine del popolo stava a pregare fuori nellora dellofferta dellincenso. 11 Ora fu visto da lui un angelo del Signore che stava a destra dellaltare dellofferta dellincenso; 12 e fu turbato Zaccaria alla vista, e un timore cadde su di lui. 13 Ora disse a lui langelo:

Non temere, Zaccaria, perch fu esaudita la tua supplica, e la tua donna Elisabetta generer un figlio per te e chiamerai il suo nome Giovanni. 14 E sar gioia per te ed esultanza, e molti gioiranno della sua nascita. 15 Sar infatti grande al cospetto del Signore, e non berr affatto vino e bevanda inebriante, e sar riempito di Spirito santo ancora dal grembo di sua madre, 16 e molti dei figli di Israele volger verso il Signore loro Dio; 17 ed egli avanzer davanti al suo cospetto con lo spirito e la potenza di Elia, per rivolgere il cuore dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto. 18 E disse Zaccaria allangelo: Da che cosa conoscer questo? Io infatti sono vecchio e la mia donna avanzata nei suoi giorni! 19 E rispondendo langelo gli disse: Io sono Gabriele, che sono presente al cospetto di Dio e fui inviato per parlare a te ed evangelizzarti questo. 20 Ed ecco: sarai muto incapace di parlare, fino al giorno in cui ci avverr, proprio perch non credesti alle mie parole, che si compiranno nel loro momento. 21 E il popolo era in attesa di Zaccaria, e si stupivano per il suo indugiare nel tempio. 22 Ora, uscito, non poteva parlare loro, ed essi riconobbero che una visione aveva visto nel tempio; ed egli faceva loro dei segni e rimaneva muto. 23 E avvenne, quando furono compiuti i giorni dei servizio liturgico, che se ne and a casa sua. 24 Ora, dopo quei giorni, concep Elisabetta la sua donna, e si occultava cinque mesi dicendo:

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Cos per me ha fatto il Signore nei giorni in cui guard gi per togliere la mia vergogna tra gli uomini! l. Messaggio nel contesto Luca si rivolge a dei convertiti dal paganesimo. Essi ignorano la storia della salvezza. Perci, prima di parlare di Ges, che ne il frutto maturo, parla delle sue radici: la promessa fatta ad Israele. Lintento presentarne al destinatario le chiavi essenziali di lettura. Ges infatti il compimento della promessa di cui Dio ha fatto depositario Israele a favore di tutti i popoli. Per tutti la salvezza non viene da altri alberi se non da quello che lui si piantato e coltivato in Palestina. In questalbero inserito ogni credente, di tutti i tempi e di tutti i luoghi (cf. Rm 11,17s). Luca, attraverso queste figure emblematiche dellAT padre e madre vecchi, un figlio impossibile, ma donato - introduce il lettore a comprendere le caratteristiche fondamentali dellazione di Dio nel mondo, come le ha rivelate a Israele. Cos anchegli in grado di riconoscere e accogliere le modalit del suo intervento nella storia. una miniatura sapiente, un racconto policromo centrato sul tempio, che fa da sintesi catechetica per comprendere il modulo di fondo della storia della salvezza: Dio che compie la sua promessa, proprio quando luomo la ritiene impossibile. il nocciolo della fede, che ogni israelita ha succhiato con il latte materno. Il lettore pagano non pu ignorare queste cose, perch sono le costanti dellesperienza di fede nel Dio della storia: come furono indispensabili per Israele, cos lo sono anche per il cristiano, se vuol cogliere lazione di Dio e del suo Cristo. 2. Lettura del testo v. 5: Cera nei giorni di Erode, ecc.. In un solo versetto ci sono sei nomi propri, con indicazione di persone, di tempo e di spazio. Lazione di Dio non al di fuori della storia umana e non ne costituisce unaltra con persone create apposta. Cade invece nel tessuto normale degli avvenimenti profani, in un luogo preciso, in un tempo preciso e con persone precise. Dio prende questo mondo cos come , e in esso realizza la sua promessa. Innanzitutto interviene in un piccolo angolo oscuro del mondo: in Giudea, presso un popolo che si scelto. La ragione di questa scelta nel suo stesso mistero: Il Signore si legato a voi e vi ha scelti non perch siete pi numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il pi piccolo di tutti i popoli - ma perch il Signore vi ama e perch ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri (Dt 7,7). La predilezione unica ed immotivata per Israele segno della predilezione altrettanto immotivata e unica che il Padre ha per ciascuno dei suoi figli. La datazione del tempo quella profana, desunta da Erode, il potente locale di turno. Ma chi conta agli occhi di Dio e con cui egli intesse il dialogo, il terreno dove depone e fa crescere la sua promessa, non Erode, bens una coppia di persone modeste, altrimenti ignote. Luomo un sacerdote. Si sottolinea la sua appartenenza al popolo della promessa, per indicare che Dio mantiene quanto ha promesso. Il suo nome Zaccaria significa Dio si ricordato. Il suo nome dichiara il motivo per cui Dio interviene: Dio interviene perch si ricorda della sua promessa, del suo amore e della sua misericordia. Appartiene alla classe di Abia, che significa Dio padre. Questo il motivo per cui Dio non pu non ricordarsi, poich mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto (Sal 27,10). Lui infatti mi ha formato e non pu dimenticarsi di me (Is 44,24; Sal 139): anche se una donna si dimenticasse del suo bambino e non si commovesse per il frutto delle sue viscere, lui non pu dimenticarsi mai di me (Is 49,15). Anche sua moglie di stirpe sacerdotale e si chiama Elisabetta, che

significa Dio uno su cui si pu giurare, oppure: Dio la mia fortuna, la mia saziet Sar la prima che si delizier a costatare il compimento della promessa che Dio aveva giurato a Israele. v.6: Ora entrambi erano giusti. Questa coppia di persone figura del vero Israele: sono giusti davanti a Dio. Giusti della giustizia che deriva dalla legge e che il fariseo Paolo riconosce come propria prerogativa (Fil 3,6.9). Tale giustizia tuttavia non d salvezza: non d la gioia di una vita, non d diritto alla promessa. v. 7: e non avevano un figlio. Infatti sono senza figli. Luca non dice erano giusti, ma non avevano figli, bens e non avevano figli. Infatti non c contrapposizione tra essere giusti e non avere futuro (= figlio). Nonostante ogni convenienza o ragionamento contrario, lesperienza mostra che il giusto non ha miglior sorte degli altri (cf. 23,47). Anzi, pi sfortunato e pare che, normalmente, le buone azioni non restino impunite. Pu non sembrare consolante, ma non vero che il giusto porta lingiustizia, il mite la violenza, linnocente il sopruso? Come le notti seguono i giorni, cos le tribolazioni seguono le buone azioni! (Marco lAsceta). Per s al giusto, nonostante ogni parvenza contraria, non spetta il bene, bens il male su questa terra. Lunico bene che gli spetta di sicuro la promessa di Dio, che gli fa dono della sua amicizia e gli d futuro. Ma quando? Dio si forse dimenticato della sua promessa? Cos si lamenta spesso il giusto (cf. Sal 44; 74; 79; 80, ecc.). Sotto le figure di Zaccaria ed Elisabetta c il dramma di Giobbe, il dramma di ogni speranza umana: essere giusti doveroso, ma non d felicit e vita. la sterilit delluomo, incapace di produrre la propria salvezza. Dio glielha promessa non solo perch incapace di procurarsela, ma anche perch, se se la procurasse, non sarebbe dono. Solo il dono salvezza. Dio interverr nei vani tentativi del giusto solo dopo che questi avr riconosciuto la propria impossibilit. Per questo i due sono presentati ormai avanzati nei giorni e sterili. Costante nellazione di Dio agire in base alla sua fedelt e al ricordo del suo amore verso di noi, non in base alla nostra fedelt e al nostro ricordo. Lui porta a compimento la sua promessa, non i nostri tentativi. La sterilit di questi serve a rivelare il carattere assoluto di dono. Per questo agisce solo quando luomo dichiara la propria impossibilit. Dio infatti il salvatore e la sua azione da sempre quella di dare futuro a chi non ne ha. Zaccaria ed Elisabetta concludono la storia di sterilit comune ai patriarchi di Israele fin dallinizio. In essi rivive e si consuma il dramma del padre Abramo e dei primi padri (cf. Gn 18,1-15; 25,21ss; 30,22ss; Gdc 13,1ss; 1Sam 1,1ss), il dramma di tutto il popolo che, dopo tanti secoli dalla promessa, non ancora riuscito a produrre il salvatore. Luomo sterile di fronte alla salvezza. Gli impossibile procurarsi lunico essenziale. Dio ama spingere fino in fondo questa situazione, non per sadismo, ma per condurre luomo a riconoscere limpossibile di cui ha bisogno. Proprio dellimpossibile luomo ha bisogno, perch n pi n meno che bisogno di Dio! Solo cos pu riconoscerlo come dono ed capace di accogliere quel Dio che gli dona proprio limpossibile, cio se stesso. La fede, che accetta la salvezza, anzitutto fiducia in Dio, non nelle cose che promette: insieme alle sue promesse, egli compromette se stesso con noi. vv. 8.9.10: dentro il tempio. Presentati i protagonisti, ora si presenta il luogo. Il racconto di Luca inizia e finisce nel tempio, dimora di Dio. Tutta la vita delluomo, lo sappia o no, ordinata a Dio: diversamente ordinata al nulla. Egli il centro della struttura delluomo, il cui spazio ha come ombelico il tempio, il cui tempo ha come fine la festa, la cui azione ha come norma la legge. Il tempio il luogo della vita, della festa e della legge. Luomo tende verso Dio, come oggetto ineliminabile del suo desiderio. Non pu farne a meno, anche se cosciente di non poterlo raggiungere. Il tempio - vita, festa e legge - il luogo dove luomo riconosce Dio come Dio, centro della propria esistenza; insieme anche il luogo dove riconosce se stesso come uomo, limitato e mortale e riconcilia la tensione tra il suo desiderio infinito e la sua realt finita, mediante la lode e la benedizione. Nel tempio luomo loda e benedice Dio, riconoscendo che da lui tutto, e riporta tutto alla sorgente da cui

scaturito. Nella benedizione e nella lode tutto trova ricomposizione: lo spazio ha il suo centro, il tempo la sua pienezza, lazione la sua norma. Luomo stesso vede il senso proprio e di tutte le cose, si scopre fine di tutto, che in lui torna alla fonte della vita, e diventa liturgo della creazione, nel canto di gioia di chi sa che tutto per lui e lui per Dio. Tutto ci che c suo dono damore per lui (cf. Gn 1): tutto il creato solo lanello nuziale, segno del dono di s che gli far nel Figlio. Luomo riconosce che tutto viene da Dio, che gli d ogni bene. Per questo suo bene-dare lo bene-dice. Dietro il dono, riconosce la mano e il volto del donatore e bene-dice colui che bene-d. Nella benedizione sta il senso non solo del creato, del quale si scopre lorigine come dono per luomo, ma anche delluomo, il quale si sente amato e colmato di ogni bene. In questa benedizione Dio stesso capito nella sua ragion sufficiente: amore e dono, tutto inclinato verso luomo. Senza la benedizione delluomo tutto maledetto: il creato da dono decade in oggetto di possesso, si stacca dalla sua sorgente e diventa bubbone infetto di morte; luomo, invece che amato, si sente minacciato da ogni parte, sospeso nel nulla e operatore di morte; Dio stesso viene ricoperto della maschera menzognera del suo nemico e diventa un Dio da maledire, principio di ogni male e di ogni sacrificio. Nella benedizione e nella lode tutto recupera senso. La lode di Dio attraverso tutto il creato il fine delluomo: per essa luomo gioisce della gioia stessa di Dio attraverso tutte le sue creature. v. 11: Ora fu visto da lui un angelo, ecc. . Dio interviene nella storia mediante il suo angelo che significa annunciatore. Interviene attraverso la parola, servendosi di uno che la annuncia. Dio, che con la potenza della creazione ha fatto il suo partner, pu comunicare con lui solo mediante limpotenza della parola. La parola sempre impotente, perch pu essere accolta o rifiutata. Essa comunicazione e comunione, interpellazione e provocazione della libert: rende luomo responsabile, capace di rispondere a Dio che si fatto suo interlocutore. In questo dialogo con lui luomo si costituisce come persona e viene generato figlio di Dio. Luomo infatti generato da ci che ascolta, formato dalla parola cui presta orecchio e risponde. Con questa parola Dio stesso bussa al cuore delluomo per unirsi a lui. La promessa la sua proposta di amore. Infatti, se il creato lanello, la parola di promessa il diadema nuziale di colui che sar lo sposo! NellAT gli angeli sono i servi dei Signore, esecutori della sua parola a favore delluomo (Sal 103,20). Sono la rivelazione stessa di Dio in quanto parla alluomo, si prende cura di lui e si mette al suo servizio. Pu sembrare strano, ma vero: mentre in tutte le religioni luomo si sente al servizio di Dio e gli sacrifica la vita, in Israele Dio che si pone al servizio delluomo, fin dalla creazione e dallesodo. Servire infatti significa in concreto amare. Dio tutto servizio per luomo: se allinizio gli ha dato la vita, alla fine dar per lui la propria vita! Il servizio vero delluomo a Dio accettare questo Dio servo, riconoscere il suo amore e benedirlo. La tentazione diabolica rifiutarlo, magari per indegnit (cf. Gv 13,8). Chi accetta questo Dio e ascolta la sua parola, diventa luomo nuovo, a immagine e somiglianza di Dio che amore, dono e servizio. v. 12: fu turbato. La vista dellangelo suscita turbamento e timore in Zaccaria. La prima reazione di fronte allirruzione del divino sempre di paura. Luomo si scopre piccolo davanti allimmenso. Dio si differenzia dallidolo perch non a immagine delluomo, a suo peso e misura. distanza abissale e perturbante, che ci scaglia in uno spazio senza limiti, con la percezione del totalmente Altro, del Santo. Nasce il timor di Dio, principio di sapienza (Sal 111,10; Pr 1,7, ecc.). Se vero che il timore di Dio senza amore imperfetto, certo che lamore di Dio senza timore nullo. Infatti non riguarderebbe il tre volte grande e santo, ma un idolo qualunque. Lincontro con lui provoca sbigottimento e confusione. Sono sconvolti gli equilibri di una vita calcolata sullorlo del possibile, tutta al di qua dellimpossibile, abisso di cui desiderio e paura, bisogno e rifiuto, mancanza e ripulsa.

v. 13: Non temere. Sono le prime parole dellangelo a Zaccaria. La paura davanti alla santit di Dio, oltre che segno che siamo realmente davanti a lui, anche segno del nostro peccato (cf. Gn 3,10). Viene dalla menzogna originaria del serpente, che presenta un Dio di morte, despota e invidioso (Gn 3,4s). Luomo ignora che tutta la sua grandezza amore e servizio verso la sua debolezza. Il ritornello di Dio in cerca delluomo impaurito che lo sfugge : Non temere. Solo a Mos, che lo ignorava e quindi non aveva paura davanti al roveto ardente, dice di temere, perch si renda conto di trovarsi alla sua presenza (Es 3,3-5)! La paura sterminata di tale incontro controbilanciata da una rassicurazione illimitata: la sua grandezza non contro di noi, ma per noi (Rm 8,31ss). Siccome lamore trova o rende uguali, Dio immenso si far piccolezza estrema, cos non lo temeremo pi. fu esaudita la tua supplica. Non si dice, se non qui e indirettamente, che Zaccaria abbia pregato. Certamente agli occhi di Dio la sua stessa situazione gi preghiera: il bisogno del figlio sentito come richiesta dal cuore del Padre. Bisogna per che il figlio preghi perch sappia ricevere il dono: non c dono senza desiderio! In greco la stessa parola preghiera (dsis) indica anche bisogno: il bisogno muove la preghiera come desiderio del dono. Luomo di sua natura bisogno di Dio, perch creato a sua immagine e somiglianza. Per questo essenzialmente supplica: solo nel suo volto trova il proprio. Senza invocazione di Dio, luomo senza volto, imprecazione per una mancanza indebita. la tua donna Elisabetta generer un figlio per te. La promessa di Dio dare futuro a chi non ne ha, dare senso a chi ne privo. La storia della salvezza germina in piena fecondit proprio in chi sterile. Questi in grado di recepire il dono come dono. Limpossibile rivela che lazione di Dio. lui che agisce e solo lui! Prima che sia costatato limpossibile, Dio non agisce, perch sarebbe inutile. Non c chiusura o lontananza che non possa essere aperta o avvicinata da lui che vi porta la sua salvezza. Anzi, labisso di miseria rivela meglio la sua grazia. e chiamerai il suo nome Giovanni. Il frutto di Zaccaria ed Elisabetta, come quello di ogni storia umana, anche se prodotto da questa terra, sempre dono del cielo. Giovanni significa dono di Dio. Nel suo dono (Giovanni), perch lui si ricorda (Zaccaria) della sua paternit (Abia), Dio porta a compimento il suo giuramento (Elisabetta). I semplici nomi, oltre al racconto stesso, dicono le caratteristiche essenziali dalla fede ebraico-cristiana. v. 14: sar gioia per te ed esultanza. Fine dellazione di Dio la gioia delluomo. La gioia il profumo di Dio, segno della sua presenza. Luca, chiamato anche evangelista della gioia, sottolinea di continuo questo aspetto. v. 15: Sar infatti grande al cospetto del Signore . Vengono enumerati i motivi di tale gioia (vv. 1517). Il valore delluomo locchio dellaltro. Uno esiste nella misura in cui amato e visto dallaltro, perch il cuore va dove va locchio e locchio dove porta il cuore. Per ogni uomo lo spazio vitale locchio dellaltro, che gli d o gli toglie il respiro. La grandezza di Giovanni assoluta: al cospetto di Dio. La verit delluomo lo sguardo di Dio su di lui (cf. Sal 139), che lo trova molto bello (Gn 1,31), tanto bello da esserne sedotto, fino a dirgli con passione: Mi hai rapito il cuore. Distogli da me i tuoi occhi, il tuo sguardo mi turba (Ct 4,9; 7,6). e non berr vino... sar riempito di Spirito santo. Significa tre cose: a) Sar nazireo, consacrato a Dio (cf. Gdc 13,5-7; 16,17): da qui la sua grandezza e la sua forza. b) Non sar grande per vertigini o ubriacature artificiali e la sua parola non sar ispirata da ebbrezza o desideri umani, come i falsi profeti, ma da Dio, dalla sua promessa e dal suo Spirito. Di questo sar pieno fin dal seno materno, perch fin dal principio conoscer il Signore (cf. 1,39ss).

c) Giovanni non il messia. Bere vino la festa tranquilla e conviviale di chi, da tempo nella terra promessa, gode del suo ultimo frutto. Giovanni, come tutto lAT, non ancora arrivato; a differenza di Ges, lo sposo atteso, che quindi mangia e beve (cf. 5,33ss; 7,34). Per questo tra i nati da donna non c nessuno pi grande di Giovanni; per il pi piccolo nel regno di Dio pi grande di lui (7,28). vv. 16.17: e molti dei figli d'Israele volger verso il Signore, ecc. . Giovanni cammina davanti al cospetto del Signore e precede il suo volto, come lultimo profeta che ne parla. Poi lui stesso si manifesta. lultimo che viene nella forza di Elia, padre dei profeti che lhanno atteso e annunciato. In lui la profezia di Israele giunge alla sua conclusione: lultima stella annuncia gli albori del giorno del Signore (Ml 3,1ss). La sua missione sar quella di concludere lazione profetica, predicando labbandono del male, la conversione al Signore e la prontezza ad accoglierlo. per rivolgere il cuore dei padri verso i figli, ecc. . Spia del peccato la rottura tra padri e figli: il cuore del padre non pi verso il figlio, non gli comunica pi la parola (cf. Dt 6,20ss), il cuore del figlio non pi verso il padre, si ribella e non obbedisce. Rotta la trasmissione dellalleanza che va di padre in figlio, cade la parola della promessa. Il passato non ha pi futuro; il presente resta senza radice e senza frutto. La conversione reciproca padre-figlio riconcilia luomo coi passato e col futuro, possibilit di tradizione e di ascolto della parola di salvezza. Tutta la storia di Israele ha la sua continuit nellAscolta, Israele che il padre trasmette al figlio, rendendolo partecipe della stessa promessa. In questo ascolto, continuamente richiamato dai profeti, sta la disposizione del popolo ad accogliere il messia. v. 18: Da che cosa conoscer questo? Io infatti sono vecchio. Di fronte alla promessa di Dio c sempre inadeguatezza da parte delluomo. Lunica adeguatezza la fede in lui che pu e vuole fare limpossibile. La fede ne misura la realizzabilit partendo non dalluomo, ma da Dio. Diversamente c il riso autosufficiente dellincredulit (cf. Gn 18,11-15; Es 3,11; 4,10-13; Gdc 7,2ss). La promessa impossibile evidenzia il limite ed provocazione a superarlo. Solo davanti allimpossibile che Dio offre si pu parlare di fede. v. 19: fui inviato per parlare a te . Qual la prova che Dio parla? Non ce n altra se non che lui parla. Solo se lo ascolti ne sperimenti la verit, diversamente no. Come se dicessi a un affamato: Vieni al banchetto. Se lui ascolta, sperimenta la verit del mio invito. Se non mi crede, non la sperimenta, anche se vera. La parola di Dio Gabriele, che significa: Forza di Dio. Egli mandato a noi per recarci la buona notizia, che ha la forza di convertirci a credere. v. 20: sarai muto. La parola si autogiustifica, senza credenziali esterne. Lunica credenziale negativa: chi non lascolta, resta muto! Chi non ha fede e non accetta la testimonianza di Dio, non pu esprimersi nella sua verit di figlio. Luomo senza fede resta radicalmente inespressivo e inespresso davanti al proprio limite; muto e senza senso. Ma lincredulit non blocca la forza della promessa. Questa mutezza termina nel dono che ugualmente viene dato, anche se rifiutato. Il silenzio si scioglier in lode quando si riconoscer che Dio ha ugualmente mantenuto le sue parole, che si compiranno nel loro momento. Zaccaria, memoria muta, figura delluomo chiuso, di Israele dal cuore non convertito e del silenzio profetico che ha preceduto il Cristo. Tale silenzio resta la prova definitiva davanti allincredulit e sar tolto quando, in Cristo, tutta lumanit avr riconosciuto il compimento dellamore di Dio per noi. vv. 21.22: E il popolo era in attesa di Zaccaria, ecc.. Il popolo attende una spiegazione da Zaccaria, che non pu darla perch non ha creduto. Alluscita dal tempio non pu pronunciare la consueta

benedizione sul popolo. Con questa benedizione, mancata per infedelt, si apre il Vangelo. concluder con tre benedizioni nel tempio, quando la promessa sar compiuta (cf. 24,50-53).

Si

vv. 23.24.25: concep Elisabetta. Tornato a casa Zaccaria, Elisabetta concep e tenne nel nascondimento la realizzazione della promessa che si sveler solo nellincontro col messia. LAT si manifesta nella sua verit quando si incontra con il NT: quod in vetere latet, in novo patet. Elisabetta si sente come colei in cui Dio opera secondo la sua parola, togliendole la vergogna di non aver futuro. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera b. Mi raccolgo immaginandomi nel tempio di Gerusalemme. c. Chiedo ci che voglio: inserirmi mediante la fede nella promessa di Dio a Israele. d. Punti nevralgici della fede biblica su cui riflettere: - lazione di Dio nella storia concreta - Dio ama i piccoli (Dt 7,7; Lc 10,21) - Dio fedele, si ricorda di noi (Is 49,15; 43,1-7) - la mia giustizia non mi salva (Fil 3) - la promessa dellimpossibile (Gn 18,1-15; 25,21ss; 30,22ss; Gdc 13,1ss; 1Sam 1ss) - la fede fiducia in chi promette, non nelle cose promesse (Gn 22) - Dio come centro della struttura delluomo (Gn 1,27) - la lode e la benedizione di Dio sono salvezza delluomo - Dio agisce con la parola: ci fa suoi interlocutori - turbamento davanti a lui - non temere - tutto dono di Dio - vivere al suo cospetto - conversione - la fede circa limpossibile - mutezza/sordit di chi non crede - la promessa si realizza oltre la nostra fede. 4. Passi utili Oltre i gi citati, utile riprendere qui la storia della sterilit e della promessa nellAT: Gn 18,1-15; Gdc 13,1-25; 1Sam 1,1-28.

3. ANNUNCIAZIONE: AVVENGA A ME SECONDO LA TUA PAROLA


(1,26-38)

26

Ora al sesto mese fu inviato langelo Gabriele da parte di Dio in una citt della Galilea di nome Nazaret 27 davanti a una vergine promessa sposa a un uomo di nome Giuseppe della casa di Davide, e il nome della vergine: Maria. 28 Ed entrato davanti a lei, disse: Gioisci, graziata, il Signore con te! 29 Ora ella a questa parola fu tutta turbata e discorreva donde mai fosse un saluto simile. 30 E disse langelo a lei: Non temere, Maria, trovasti infatti grazia presso Dio. Ed ecco: 31 concepirai in ventre e genererai un figlio e chiamerai il suo nome Ges. 32 Questi sar grande e Figlio dellAltissimo sar chiamato, e il Signore Dio dar a lui 33 il trono di David suo padre, e regner sulla casa di Jacob per i secoli, e dei suo regno non ci sar fine. 34 Ora Maria disse allangelo: Come sar questo poich uomo non conosco? 35 E rispondendo langelo le disse: Lo Spirito santo caler su di te, e potenza dellAltissimo adombrer te, e perci colui che nascer sar chiamato santo, Figlio di Dio. 36 Ed ecco: Elisabetta tua parente anchessa concep un figlio nella sua vecchiaia, e questo il sesto mese

per lei che chiamata sterile; 37 perch non sar impossibile presso Dio nessuna parola. 38 Ora disse Maria: Ecco la serva dei Signore: avvenga a me secondo la tua parola! E sallontan da lei langelo. l. Messaggio nel contesto Al mattino, a mezzogiorno e a sera, per tre volte al giorno, suonano le campane. lAve Maria. Il saluto dellangelo scandisce linizio, il centro e la fine del giorno. LAngelus e lAve Maria fanno dellannunciazione il racconto della Scrittura pi noto e ripetuto. La vita cristiana porta nel suo cuore e ha come principio e come fine lincarnazione del Verbo. Tutta centrata su questo mistero, una continua attualizzazione oggi del s che ha attratto Dio nel mondo. Maria figura di ogni credente e della chiesa intera. Ci che avvenuto a lei deve accadere a ciascuno e a tutti. Il s delluomo che accoglie e genera il Verbo, da cui tutto ha principio, il fine stesso della creazione. La scena precedente si svolgeva nel tempio; ora nella casa, perch Dio ha finalmente trovato la casa di cui il tempio figura. Il mistero pu essere colto sotto vari aspetti, secondo che si consideri Maria come tipo del credente, apice del mondo, resto dIsraele, realizzazione della promessa, ecc. Il modo pi adeguato quello di collocarsi, con un colpo dala, dalla parte stessa di Dio. lincontro che lui ha cercato da tutta leternit, il momento in vista del quale inizi il tempo, coronamento del suo sogno damore, premio del suo lavoro, ricompensa alla sua fatica. Finalmente dalle profondit della sua creazione che si allontanata da lui, sinnalza un s capace di attirarlo. E lui viene, si unisce e si compromette per sempre. Quale fu la gioia di Dio nel poter dire a Maria: Gioisci. Lo sposo finalmente, dopo tanti drammi, trova la sposa del suo cuore. Prima era triste, ma ora finalmente ha termine la sua sofferenza: abbracciato da chi ama. La sua offerta trova mani che laccolgono e le grandi braccia del mondo comprendono, concepiscono e stringono ci senza cui luomo non uomo. LAmore amato: ha trovato una casa dove abitare e la casa delluomo non pi deserta. Lincarnazione ha un carattere passionale: rivela la passione di Dio. linizio delle nozze tra lui e lumanit, il principio di un amore che sar pi forte della morte (Ct 8,6). Il racconto inizia con langelo mandato (= apostolo) e termina con langelo che parte. Langelo la presenza di Dio nella sua parola annunciata. La nostra fede nella sua parola accoglie lui stesso e ci unisce a lui: il natale di Dio sulla terra e delluomo nei cieli. La Parola si fa carne in noi, senza lasciarci pi e langelo pu andare ad annunciarla ad altri, fino a quando il mistero compiutosi in Maria sar compiuto tra tutti gli uomini. La salvezza di ogni uomo diventare come Maria: dire s alla proposta damore di Dio, dare carne nel suo corpo al suo Verbo eterno, generare nel mondo il Figlio. 2. Lettura del testo v. 26: Ora al sesto mese. Il compimento in gestazione gi nel tempo della promessa. Anche se questa precede, i due sono in continuit e in parte contemporanei. Attesa e dono convivono sempre, fino al pieno riconoscimento. Inoltre il numero 6 richiama il giorno della creazione delluomo.

Lannuncio al sesto mese indica che Dio entra nel giorno delluomo, facendosi suo contemporaneo e aprendogli il suo oggi eterno. Quando venne la pienezza del tempo, Dio mand il suo Figlio, nato da donna (Gal 4,4). Nellincarnazione il tempo raggiunge la sua pienezza, ricolmo delleterno che ora contiene. l'angelo Gabriele. La forza della parola di Dio che ha portato a perfezione il ricordo della sua promessa in Zaccaria ed Elisabetta, porta ora a compimento la promessa stessa. Non si dirige verso la Giudea, luogo degli eredi della promessa, bens verso la Galilea, regione infedele: la Galilea delle genti (Mt 4,15). La promessa segue lerede fin nella terra della sua infedelt. In Galilea raggiunge un paese insignificante, Nazaret. Da Nazaret pu mai venire qualcosa di buono (Gv 1,46)? Dio tiene conto di ogni lontananza e predilige ci che religiosamente squalificato e umanamente insignificante. Il privilegio dei lontani e dei piccoli fa parte dellessenza misteriosa di Dio, che misericordia. Essa vale in realt per ogni uomo, lontano da lui e piccolo davanti a lui! Solo visitando il figlio pi lontano, il padre ha abbracciato tutti i suoi figli! Prima il suo amore resta insoddisfatto. v. 27: davanti a una vergine. Prima Dio si era rivolto a una coppia di anziani dando successo ai loro vani tentativi di avere un figlio. Lannuncio a Zaccaria serve appunto a far comprendere che lui, e solo lui, d un futuro e salva. Ora invece si rivolge a una vergine, a una che ha rinunciato ad ogni sterile tentativo. E si dona a lei come suo figlio, per far comprendere che il futuro e la salvezza delluomo viene solo da lui ed lui stesso. Il compimento supera ogni attesa! La verginit di Maria pone infatti la domanda circa la paternit. Paternit significa origine e natura, significa identit: chi veramente il figlio donato a Maria? Paternit e parola vanno insieme: il padre d il nome e dice la parola che fa crescere il figlio come persona libera. La questione della paternit di Ges si apre con laccoglienza della parola (v. 38), dichiarata dalla sua obbedienza al Padre (2,49) e trova risposta alla fine del suo cammino di giusto che sulla croce si consegna al Padre (23,46). La verginit di Maria indica innanzitutto che ci che nasce da lei puro dono. Il futuro, in lei offerto a tutto il mondo, grazia e dono di Dio, anzi Dio stesso come grazia e dono. La verginit indica inoltre la condizione alla quale Dio pu donarsi. La capacit delluomo di concepire lumanamente inconcepibile non quella delle coppie sterili dellAT, dove dato successo ad unazione umana senza successo. Tale capacit la verginit, la rinuncia ad agire. In Maria infatti non c alcuna azione umana. Dio solo agisce. Dallaltra parte trova solo obbedienza e accoglienza, senza alcuna azione di disturbo. La verginit indica quindi lattitudine pi alta delluomo: la passivit e la povert totale di chi rinuncia allagire proprio per lasciare il posto a quello di Dio. la fede. Questo vuoto assoluto lunica capacit in grado di contenere lAssoluto. Solo il nulla pu concepire totalmente colui che tutto. Per questo nulla. Maria realizza il mistero della fede: accettare Dio com. figura di ogni uomo e di tutta la chiesa che, nella fede, concepisce linconcepibile: Dio stesso. Maria, vergine madre, termine fisso deterno consiglio, proprio per la sua verginit che la rende capace di generare Dio. Questo per ciascuno di noi e per tutta la storia umana, il punto darrivo: la fede pura che attira in noi il Salvatore. Frutto di una storia di impotenza sperimentata, fino alla rinuncia ad essere capaci, la fede rompe i limiti di ogni incapacit umana per renderci capaci di Dio. promessa sposa a un uomo di nome Giuseppe della casa di Davide. La genealogia, cos preziosa in Israele, tramanda di padre in figlio la promessa di Dio. Attraverso le generazioni i padri vivono nellattesa dei figli e i figli dellattesa dei padri. Alla casa di Davide, che aveva costruito una casa al Signore - che poi Maria - il Signore aveva promesso una casa definitiva in cui abitare. Ma non luomo che costruisce la dimora a Dio, bens Dio che si fa casa a colui che gli dona casa (cf. 2Sam 7).

C corrispondenza tra figlio e casa, tra casa e casato. Il nome dello sposo Giuseppe, che significa possa Dio aggiungere. Attraverso Maria Dio aggiunger a lui se stesso come figlio. Maria infatti, il nome della sposa, significa altezza, sommit, eccellenza. Per la sua bassezza e la sua umilt abissale essa sar madre del Figlio dellAltissimo, in cui ogni uomo trover casa. v. 28: Gioisci, ecc.. lunico saluto di Dio che inizia cos. In genere troviamo non temere. Il timore il preannuncio della sua visita, la gioia il profumo che lascia. Il saluto dellangelo analogo alla promessa di Sof 3,14-17. Gioisci perch giunto il momento promesso, rallegrati come Dio stesso si rallegra, partecipa alla sua gioia. il grido di gioia dello sposo, come quello di Adamo alla vista di Eva. Finalmente si compie il desiderio del suo cuore: congiungersi con chi, da sempre desiderato e fuggitivo, finalmente lo desidera e gli si fa incontro. La gioia di Dio piena, perch pu finalmente gioire delle sue creature (Sal 104,31). E Maria pu dire non solo: La mia gioia nel Signore (Sal 104,34), ma addirittura: II Signore la mia gioia. Il suo vuoto stato colmato, lassenza si fatta presenza. il Signore con te, le dice langelo (cf. Gdc 6,12). Luomo da sempre ha desiderato essere con Dio. Ogni religione nasce da questo desiderio. Ma Dio abita in luogo inaccessibile. Non pu quindi restare che come desiderio impossibile delluomo la sua stella, che necessariamente gli manca. Ora invece linfinitamente lontano si fatto vicino, leterno entra nel tempo, laltissimo si curvato, limmenso si concentrato e fatto piccolo per essere abbracciato e concepito. Siccome luomo non pu essere con Dio, Dio ha deciso di essere con luomo. Perch la gioia di Dio, che amore, di essere con lamata. Per questo Maria chiamata colmata-di-grazia, o, meglio, graziata. Il termine non ha connotazione morale, ma ontologica, ed lopposto di disgraziata. colei che non pi disgraziata, perch Dio le ha fatto grazia di salvarla dal vuoto, facendole grazia di se stesso. Graziata come il suo nome. Il mio nome vero infatti lamore che Dio ha per me. v. 29: tutta turbata, ecc.. A questa parola resta turbata e si domanda che cosa significa questo saluto. Anche il lettore partecipa al turbamento. invitato a chiedersi che cosa significa: Gioisci! il Signore con te!. In che modo il Signore con me, mi ha graziata e mi ha fatto grazia di s, cos che possa gioire? Sar ci che spiega langelo Gabriele, parola potente di Dio, nei versetti seguenti. v. 30: Non temere, ecc.. Con queste parole langelo prepara la rivelazione del grande mistero. Ci che Mos, pur desiderandolo, neanche pot vedere, se non di spalle (Es 33,18ss) - Dio Dio e lui solo Dio! - qui viene donato alluomo come suo figlio, suo se stesso e futuro pieno. Il desiderio inaudito di Mos qui esaudito ben oltre ogni possibile desiderio stesso, in modo impossibile. Maria ha trovato presso Dio una grazia ben pi grande di quella che Mos aveva osato chiedere; ha trovato tanta grazia da essere pregna di tutta la grazia. v. 31: concepirai, ecc.. Quel Dio che non poteva essere raggiunto o visto, nemmeno pensato o immaginato, tu lo concepirai e lo abbraccerai; lo genererai e lo chiamerai per nome. Questa la grazia concessa da Dio alla verginit di Maria: concepire linconcepibile, generare colui dal quale tutto stato fatto, dare nome al Nome, linnominabile. Ges il Nome: la grazia e la salvezza di Dio, Dio che per noi grazia e salvezza! v. 32: Questi sar grande. Non solo agli occhi di Dio, come il Battista (1,15), ma anche agli occhi degli uomini. Sar infatti il Figlio dellAltissimo, laltezza stessa di Dio chinato sulluomo. v. 33 regner, ecc.. In lui fiorisce lalbero morto del passato, si riempie il tempo vuoto dellattesa, arriva il futuro promesso a Davide.

v. 34: Come sar questo?. Maria, a differenza dellincredulo Zaccaria, non si chiede come sia possibile, ma come avverr. Sa che Dio opera limpossibile nella storia umana, vuole solo capire il come, per regolarsi e disporsi alla sua azione. uomo non conosco. Se lo conoscesse, ci che nascerebbe da lei non sarebbe da Dio, ma dalluomo. Losservazione di Maria sulla sua verginit serve a introdurre il discorso successivo, che spiega come avviene lazione impossibile di Dio. v. 35: Lo Spirito santo caler su di te . Dio opera limpossibile donando alluomo il suo Spirito. Il nuovo principio di vita e di azione in Maria non pi quello delluomo vecchio - Maria infatti ha rinunciato ad agire! - ma quello di Dio. Lo Spirito che aleggiava sul caos primordiale, che copriva il monte e larca dove fu data e custodita la Parola, ora entra in azione in modo nuovo e definitivo. Con la creazione Dio fece il mondo distinto da s e si cre il luogo dove farsi una casa; con il dono della legge si fece un popolo per s e si edific la casa stessa dove abitare; ora porta a compimento il suo disegno: entra in questa casa per dimorarvi stabilmente. Cos luomo, creato a immagine e somiglianza sua, finalmente ritrova se stesso, e, nella stanza dove fu generato, l dove lo concep sua madre (Ct 8,2.5), si ricongiunge con il volto sospirato (Ct 1,2). Infatti colui che nascer nel grembo della vergine sar santo e Figlio di Dio, Dio stesso. Quello Spirito che covava la notte della creazione, che fu ombra sul Sinai e nuvola sulla tenda e poi nel tempio, avvolger pure Maria, vera arca dellalleanza, nuovo tempio che contiene la luce di Dio. potenza dell'Altissimo adombrer te. Dio si fa nube per potersi mostrare ai nostri occhi: la sua presenza oscura per la nostra mente. Solo la fede sa che in questa tenebra la luce, tenebrosa perch troppo luminosa, di Dio che viene ad abitare in noi. Egli deve velarsi per svelarsi: nessuno pu vedere la luce se un oggetto non gli fa da ostacolo! Egli si oscura per adattarsi al nostri occhi, che nella fede si aprono per vederne il riverbero. v. 36: Elisabetta tua parente, ecc.. A Maria, come a ogni credente, viene dato un segno per capire lazione di Dio: guardare la storia di Israele, compendiata nella vicenda di Elisabetta. Solo l, dalla sua promessa e non da una premessa umana, si coglie lazione di Dio. v. 37: non sar impossibile presso Dio nessuna parola (Gn 18,14; Ger 32,27). Dio, come si vede dalla storia sacra, lascia fare a noi il possibile e fa dellimpossibile il suo lavoro quotidiano a favore delluomo. v. 38: Ecco la serva del Signore. Nel ricordo di questa esperienza storica dellazione di Dio nei patriarchi e nei profeti Maria preparata a credere alla Parola. Cos pu dire: Ecco la serva. Maria si chiama serva perch totalmente disposta a obbedire, a lasciar spazio alla parola, a lasciarla vivere e crescere in s fino a riempirle tutta la vita. In questo ecco di Maria, la serva di Dio, sta lecco di Dio, vero servo delluomo. Finalmente la sua disponibilit trova risposta, il suo cuore trova un s pieno. Il s della serva accoglie leterno s di Dio alluomo. Allamore di Dio che lo cercava, nella disobbedienza e nella fuga Adamo aveva risposto: Mi sono nascosto! (Gn 3,10). Ora, in Maria, lumanit stessa risponde: Eccomi a colui che da sempre ha detto eccomi, eccomi, a chi non lo cercava (cf. Is 65,1). Dio esulta di gioia incontenibile. Amore da sempre respinto, ora si sente accolto. Amore da sempre non amato, ora si sente amato. Da millenni, anzi dalleternit, aveva atteso questo momento in cui la sua creatura gli facesse grazia di dire: Eccomi, in modo da poterla riempire di se stesso.

Dio avvento: necessariamente viene alluomo, perch amore amante. Luomo attesa: necessariamente tende a lui, perch bisogno di essere amato. Per questo, quando luomo lo attende e dice: Eccomi, Dio non pu non venire. Cos si unisce a lui in ununica carne: loggi della salvezza. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la casetta di Maria a Nazareth. c. Chiedo ci che voglio: considerare rivolta a me la parola detta a Maria e gioire della grazia di Dio. d. Punti su cui riflettere: - promessa e compimento - la verginit di Maria - gioisci - piena di grazia, il Signore con te - concepirai - lo Spirito santo caler su te - ecco la serva del Signore - avvenga a me secondo la tua parola. 4. Passi utili Sof 3,14-17; 2Sam 7.

4. VISITAZIONE: E BEATA COLEI CHE HA CREDUTO


(1,39-45)
39

Ora sorta Maria in quei giorni and verso la montagna con fretta verso una citt di Giuda, 40 ed entr nella casa di Zaccaria e salut Elisabetta. 41 E avvenne che, quando Elisabetta ud il saluto di Maria, sussult il feto nel suo grembo, e fu riempita di Spirito santo Elisabetta 42 ed esclam con voce grande e disse: Benedetta tu tra le donne, e benedetto il frutto dei tuo grembo!

43

E donde a me questo, che venga la madre dei mio Signore verso me? 44 Ecco infatti: quando arriv la voce dei tuo saluto ai miei orecchi, sussult di esultanza il feto nel mio grembo. 45 E beata colei che ha creduto che ci sar un compimento alle cose a lei dette da parte dei Signore. 1. Messaggio nel contesto Mediante Maria, fattasi obbedienza alla Parola, Dio visita il suo popolo e il suo popolo lo riconosce. Questo riconoscimento il termine del suo piano, fine della sua fatica (cf. 19,44; 13,34), compimento della storia della salvezza (cf. Rm 11,25-36). Il mistero della visitazione lanticipo di questo avvenimento escatologico, in cui sar usata misericordia a tutti coloro che erano rinchiusi nella disobbedienza (Rm 11,32). la gioia finale dellincontro, tanto ostacolato e tanto sospirato, tra sposo e sposa, di cui parla il Cantico. La visita del Signore il senso della storia personale e universale. Ma chi sa discernerla? Elisabetta gravida di due millenni di attesa, Maria porta in s lEterno atteso. Nel loro incontro labbraccio tra lAntico e il Nuovo Testamento, tra la promessa e il compimento. Due donne, segno di accoglienza, si salutano. Nella loro reciproca accoglienza riconosciuto colui che Accoglienza. Lincontro avviene per iniziativa di colei che beata poich ha creduto alladempimento della parola del Signore: Maria va da Elisabetta, segno che ha dato colui al quale nulla impossibile (1,36s). Il NT va a riconoscere nellAT il dono precontenuto come promessa dellimpossibile. Solo in questa visita e frequentazione dellAT il NT capisce la realt di cui compimento. Per questo Luca introduce accuratamente il suo lettore di origine pagana nella storia di Israele, della quale offre nei primi capitoli come un riassunto. Al di fuori della promessa dellAT impossibile riconoscere il dono di Dio che venuto a visitarci. Solo il Battista in grado di indicarlo. Legge e promessa sono come le mani che, attraverso Israele, Dio ha creato perch lumanit possa tenderle verso di lui e accoglierlo. Un dono che non trova mani per riceverlo e sostenerlo, cade e si perde. Maria, visitando Elisabetta, riconosce la verit di ci che capita in lei; la chiesa, ricorrendo allAT, comprende ci che ha concepito. E in Maria e nella chiesa Israele vede la visita che il Signore gli ha fatto. un grande mistero, questo riconoscimento: segna il passaggio dalla promessa al compimento, dono della piena conoscenza del Signore. 2. Lettura del testo v. 39: Maria in quei giorni and verso la montagna. Maria va in fretta a visitare Elisabetta. Non certo mossa da ansia o incertezza, ma da gioia e premura. Non va per curiosit o per accertamento; crede a ci che le stato detto circa sua cugina. Va per slancio di amicizia. A Zaccaria che non crede e chiede un segno, Dio non ne d, se non lessere muto e inespressivo. A Maria invece, che crede, sar accordato il vero segno nel riconoscimento di Elisabetta. Se non si crede, il dono di Dio non pu essere accolto, qualunque segno si dia. Come Maria va verso i monti di Giudea, cos il lettore etnico-cristiano di Luca visita con gioia e con premura le montagne della benevolenza di Dio e frequenta lAT che gli fa riconoscere e comprendere il

dono che gli stato fatto. In questo incontro con lAT si avvertir, attraverso un sussulto di gioia, la presenza di una parola non ancora venuta alla luce. Si vedr lattesa di ci che neanche si osava attendere, si vedr la promessa di Dio indeducibile da ogni premessa umana; si vedr limpossibile di cui luomo ha bisogno. In ogni frequentazione cristiana dellAT ci sar lesultanza: si riconosceranno e si abbracceranno desiderio e desiderato, amante e amato. Se non si ricorre allAT, nessuno ci dice e ci spiega ci che Dio ci ha donato in Ges. Il dono stesso di Dio ritenuto impossibile, quindi non desiderato e tanto meno amato. Cos il desiderato, se nessuno lo desidera, lamante se nessuno lo ama? la tragedia di Dio sulla terra - passione crocifissa di un amore non amato e di un desiderio non desiderato. Ma anche la tragedia delluomo, che resta necessariamente desiderio e amore senza oggetto, vuoto che concepisce il nulla. da notare che Elisabetta e Maria sono parenti, come coloro che portano nelle viscere. Uomo e Dio, attesa e atteso sono della stessa carne! La storia di Israele ci attesta questa parentela stretta, che si consumer sulla croce. v. 40: ed entr nella casa di Zaccaria e salut Elisabetta. Il saluto ebraico shalm, pace! Maria augura, promette e porta a questa casa la pace, segno della visita del Signore. Oltre il saluto, chi accolto benedice chi lo accoglie. Dice-bene di colui che, accogliendolo, gli d il bene di condividere con lui il tetto e il pane. Lospite in Israele sacro e lospitalit una benedizione. In essa si lascia fluire il bene ricevuto, riconoscendone la sorgente inesauribile. Dando il dono donato, ci si inserisce nel circolo vitale di Dio. La non ospitalit maledizione: non donare e non accogliere negare colui che sta allorigine di ogni dono e accoglienza, escludersi dalla vita. Maria, per la sua fede nella Parola, porta in s la beatitudine di quel dono che Dio stesso. Elisabetta trasalisce: riconosce in lei la realt di ogni promessa. Cessa lattesa, cessano i preparativi. Inizia la gioia e risuona il grido dellarrivo dello sposo. nel NT, cio in Maria, che Israele sussulta, esulta e si ritrova. Daltra parte Maria, come gi detto, anche segno del Nuovo Testamento che necessariamente ricorre allAntico per capire il dono che porta in grembo. Per questo si pu dire che lAT eterno in Cristo. Lessenza di un dono promesso sempre nella promessa di chi lha donato. La promessa di un dono si traduce non nel suo possesso, ma nella sua fruizione. La promessa della terra non si traduce mai in possesso della terra, ma in terra della promessa - pena lesserne scacciati. Se si pu dire che lAntico Testamento chiaro nel Nuovo, si pu anche dire che il Nuovo Testamento nascosto nellAntico. Per questo non possono non frequentarsi per riconoscersi: come lazione di Dio in Elisabetta resta nascosta a tutti e si rivela solo nellincontro con Maria, cos lazione di Dio in Maria resta nascosta a tutti e si rivela solo nellincontro con Elisabetta. v. 41: sussult il feto nel suo grembo. Alla presenza di Maria, sussultano le viscere di Elisabetta. I due bambini si riconoscono prima delle rispettive madri, che pur si conoscevano bene! C un riconoscimento viscerale tra promessa e compimento, di cui i rispettivi portatori si accorgono dopo. Lazione di Dio che promette e adempie ci fa trasalire nel profondo. Da questo la riconosciamo. Non per un sussulto soggettivo: di Giovanni, il figlio promesso a Israele sterile! Questo incontro il punto di arrivo della comune storia di Dio e delluomo. Esso prima vissuto nellesultanza oggettiva delle viscere e poi celebrato dal cuore e dalla bocca delle due donne. Il principio della visita di Dio la fede, lobbedienza alla Parola, che porta a confrontarsi con la storia che Dio ha realizzato con Israele: questa fede deve superare le fatiche di Zaccaria: giustizia e sterilit, resistenza e inespressivit davanti alla promessa incredibile, che pure si realizza. Ma ha pure le caratteristiche di Maria, che corre sulla montagna della Giudea per aiutare Elisabetta e sapere da lei ci che Dio ha operato. Dopo questa fatica avviene lincontro pieno di gioia.

Questo racconto anticipa la pentecoste: lo stesso Spirito che l riempir gli apostoli, qui riempie Elisabetta. Lincontro con il Signore alla fine sempre questo dono dello Spirito, riconoscibile dai frutti. v. 42: Benedetta tu tra le donne, e benedetto il frutto, ecc. . Per questo grande dono Elisabetta grida a gran voce la sua gioia incontenibile che si esprime in una duplice benedizione. Innanzitutto benedice Maria, la donna prefigurata in Giaele e in Giuditta (cf. Gdc 5,24ss; Gdt 13,18) che avevano annientato e vinto il nemico. Maria, con la sua obbedienza alla Parola, ha annientato e vinto lantico nemico che ha avvelenato tutta lumanit. E poi benedice il frutto delle sue viscere, radice di ogni benedizione. Maria larca dellalleanza. Essa porta il frutto della discendenza di Eva che schiaccia la testa al serpente (Gn 3,15). In lui tutta la creazione torna benedizione e vita, perch vinto colui che laveva fatta cadere nella maledizione. v. 43: E donde a me questo, ecc. . Al grido di benedizione per il dono ricevuto, si accompagna il senso di meraviglia: come mai a me questa grazia? La visita del Signore, se del Signore, evidenzia la nostra indegnit. Invece di orgoglio, provoca umilt. La verit di Dio, lAltissimo, illumina la nostra bassezza. Ma tale constatazione, invece di deprimerci, ci rende contenti e capaci del dono: ne fa brillare il carattere immeritato e ne fa vedere la sublimit proprio dalla profondit del demerito. Ci che si merita non dono! Dio non pu che essere immeritato perch amore. Se lamore ha una misura, la non amabilit dellamato. Lumilt e la gioia accompagnano sempre la conoscenza e lamore di Dio. Sono il suo biglietto da visita. v. 44 sussult di esultanza il feto. Il sussulto che permette il riconoscimento narrato due volte: prima come fatto (v. 41) e poi come conoscenza dei fatto. Non basta che avvenga la visita del Signore. Bisogna che chi visitato la riconosca. Lui infatti ci visita sempre. Nel suo amore folle ci viene incontro di continuo, anche se non ce ne accorgiamo e per questo non lo amiamo! Egli ci visita nelle viscere della nostra profondit, in quel punto che si riservato per s. indispensabile per noi accorgerci di ci che l avviene. Il nemico non pu entrare in questo luogo, dove noi siamo noi stessi e Dio pi noi di quanto lo siamo noi stessi. Questo luogo la nostra finestra su di lui, la nostra origine, la sorgente da cui scaturisce il nostro ruscello di vita! Ma, anche se non pu entrare in questo luogo, il nemico fa di tutto per tenermene fuori, perch io resti fuori di me, senza coscienza e immemore di lui. Entro nel mio vero io attraverso il ricordo costante del Signore e lattento ascolto del cuore, delle sue gioie e delle sue resistenze. Cos mi rendo cosciente della sua presenza ed esplodo nella gioia della lode e della benedizione. Per questo i padri dicevano che il gigante dei peccati loblio. v. 45: E beata colei che ha creduto, ecc. . Elisabetta infine chiama beata Maria perch ha creduto nelladempimento della parola dei Signore. la prima beatitudine, quella fondamentale: la fede nella promessa, che permette al Signore di vivere oggi nel credente che lo ascolta. Nel Vangelo di Giovanni anche lultima beatitudine, pronunciata dal Risorto: Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno (Gv 20,29). Se Maria, che non aveva visto, non avesse creduto, non ci sarebbe colui che gli apostoli hanno visto e quindi creduto. La sua fede, senza aver visto, rende visibile ci che viene creduto. Tipico del dinamismo della fede che lascolto precede la vista. Diversamente, anche se si vede un morto risorgere, non si crede (16,29-31). La Parola va accolta come essa veramente , quale parola di Dio che opera in voi che credete (1Ts 2,13). Nulla ostacola di pi Satana che questaccoglienza della Parola (cf. 8,12). per questa fede che generato il Salvatore. Unaltra donna disse a Ges di Maria: Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte. Ma Ges rispose: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano (11,27s).

Se la maternit di Maria causa della sua beatitudine, la fede causa della sua maternit. In un inno orientale, Maria chiamata la Tutta-orecchio: la sua maternit, prima che nel ventre, nellorecchio che accoglie con fede la Parola. La sua beatitudine di madre di Dio condivisa da ogni credente che ascolta e fa la Parola (8,21; 11,27s). Questa fede il principio del riconoscimento di ogni visita del Signore, che diversamente passa inosservata. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera, come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Maria che va sui monti della Giudea ed entra nella casa di Elisabetta. c. Chiedo ci che voglio: riconoscere la visita del Signore. d. Punti su cui riflettere: - Elisabetta e Maria - chiesa e Israele - compimento e promessa - Nuovo e Antico Testamento - gioia del riconoscimento della visita del Signore - benedetta tu tra le donne - benedetto il frutto - beata te che hai creduto. 4. Passi utili Gdc 5,24ss; Gdt 13,18.

5. GRANDIFICA L'ANIMA MIA IL SIGNORE


(1,46-56)
46

E disse Maria: Grandifica lanima mia il Signore, 47 ed esult il mio spirito in Dio, mio salvatore, 48 perch guard gi sulla bassezza della sua serva. Ecco infatti: da ora mi diranno beata tutte le generazioni, 49 perch fece a me grandi cose il Potente, e santo il suo nome;

50

e la sua misericordia di generazione in generazione per quanti lo temono. 51 Fece potenza coi suo braccio: disperse gli orgogliosi nel pensiero del loro cuore, 52 abbatt potenti dai troni e innalz tapini, 53 affamati riemp di beni e ricchi mand via vuoti, 54 si prese Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55 come parl ai nostri padri, ad Abramo e al seme suo per sempre. 56 Ora dimor Maria con lei circa tre mesi, e ritorn alla sua casa. 1. Messaggio nel contesto Il Magnificat, con il quale la chiesa conclude ogni giorno i vespri, il canto di coloro che hanno sperimentato oggi la salvezza. un cantico di lode, sul tipo di quello di Anna (1Sam 2), che vede la realizzazione della promessa. Esprime la beatitudine di chi ha riconosciuto lazione di dio in suo favore; prorompe dal cuore di chi ha accolto il suo Signore. un inno personale e insieme universale e cosmico. Maria la bocca della figlia di Sion, di tutta lumanit e di tutta la creazione che vede compiersi la promessa di Dio, pi grande di ogni fama (Sal 138,2). il canto nuovo che prorompe dalluomo nuovo. Lazione di Dio culmina nel canto delluomo. Perch canta chi ama e lamore riposa solo quando amato. Larrivo di tutta la storia sar un canto di gioia senza fine. Questo canto, anticipato da Maria, il frutto maturo dellascolto di fede, in cui si svela compiutamente il senso della creazione e della storia. Il Magnificat un compendio di storia della salvezza, che descrive lazione di Dio - esatto contrappunto di quella umana - attraverso un centone di citazioni e allusioni bibliche. La prima parte il rendimento di grazie di Maria per ci che Dio ha compiuto in lei (vv. 46-50), dandone i motivi (vv. 48-49). La seconda parte estende a tutti gli uomini lazione che Dio in lei ha compiuto, descritta con sette affermazioni (vv. 51-56). Il canto di Maria, occasionato dalla beatitudine proclamata da Elisabetta, ha la stessa melodia delle beatitudini (6,20-26). 2. Lettura del testo v. 46: Grandifica l'anima mia il Signore. La constatazione del dono ricevuto, proclamata dalla cugina, pone Maria in solitudine assoluta davanti al donatore stesso, ricevuto come dono. E per lui canta, senza neanche rispondere a Elisabetta. Locchio nuovo, ossia il cuore nuovo, le d il motivo del canto nuovo. Locchio del vecchio Adamo fece Dio piccolo, vedendolo meschino, invidioso e cattivo (Gn 3,1ss); quello di Sara lo irrise come incapace del prodigio della vita (Gn 18,10-15); quello di Israele consider raccorciato il suo braccio, inetto a salvare (Nm 11,23). Locchio di Maria invece fa grande Dio (magnificare = far grande) e lo vede come generoso amante, elargitore di ogni bene, capace di dare la vita, dal braccio potente, vittorioso su ogni male. Luomo sera fatto di Dio un idolo a

sua immagine e somiglianza, in un continuo rimpicciolimento di lui che, inevitabilmente, diventa un rimpicciolimento di s - fino al nulla di s. Maria invece gli d la grandezza del suo nome. Lo riconosce come Dio e si scopre piena di lui. Ognuno lo riceve nella misura in cui lo magnifica e lo magnifica nella misura in cui cede posto alla sua altezza, abbassandosi. Maria, quindi, lo magnifica non perch sia vanitoso e desideri essere riconosciuto nelle sue prerogative, ma perch accogliere la sua grandezza la nostra verit. Se Maria, invece di lodarlo, si fosse esaltata, sarebbe diventata allistante come Lucifero, come chiunque si appropria del dono ricevuto. Il dono pi grande che Dio ci fa, il primo di tutti, considerarlo grande, grande e per noi. Questo suscita in noi una magnanimit umile, che ci rende atti ad accoglierlo. v. 47: ed esult il mio spirito, ecc.. La conseguenza dellaver fatto grande Dio lesultanza. Maria non si compiace di s e neanche del dono ricevuto o della salvezza, ma del donatore e salvatore stesso; in lui esulta e danza. Questo gioire della grazia di Dio lalto destino delluomo. Tutti i doni che egli ci elargisce sono finalizzati a farci partecipi del piacere del suo cuore: sono semplici segni dei suo amore, gioielli che lamato d allamata, perch di lui gioisca. v. 48: guard gi sulla bassezza, ecc.. Si dice il motivo del dono. Non la sua piet o bont, non la sua sublimit umana o religiosa ha attirato locchio di Dio. Egli laltissimo e pu guardare solo verso il basso: come fa grazia allumile, cos resiste a chi sta in alto (1Pt 5,5). Il motivo del dono quindi la sua umilt (dal latino humus = terra, stessa radice di uomo!), il suo essere terra terra, piccola, tapina. Maria come il nulla, che solo in grado di ricevere il tutto. Lamore e il dono sono tali nella misura in cui non sono meritati. Dio, che amore e dono, pu essere accolto nella coscienza del proprio demerito. Maria il primo essere umano che riconosce la propria piccolezza e distanza da lui, in modo pieno e assoluto. Per questo Dio pu darsi a lei in modo pieno e assoluto. Il merito fondamentale di Maria sapere di non meritare. In lei superata ogni ansiet religiosa e sete di perfezione; c la pace perfetta di chi riconosce la propria verit come infinita nullit. Ma senza disperare, perch questa, e solo questa, in grado di contenere linfinita verit di Dio. Giustamente la chiesa proclama Maria esente dal peccato originale; infatti libera dalla menzogna antica che impedisce quellumilt fiduciosa, che dovrebbe essere tipica della creatura (cf. Sal 131). Maria si proclama schiava e umile. La sua umilt non per quella bella virt che porta ad abbassarsi, magari per non cadere o essere esaltato da altri. Non neanche una virt, ma la verit essenziale delluomo che humus, umile, terra. Lei la riconosce e accetta, cos che Dio sia lunico grande. mi diranno beata tutte le generazioni, ecc.. Tutti gli uomini si congratuleranno con lei non per la sua umilt, ma perch Dio ha guardato alla sua bassezza. Egli ha manifestato il suo amore nella sua non amabilit. Il motivo stesso del magnificare il Signore e del danzare in lui il suo sguardo posato su di lei. Questo il centro di tutto. Locchio lorgano del cuore. La profondit del suo amore proporzionale allinfinita distanza da lui che Maria riconosce: nel suo abisso si manifesta in modo pieno lessere di Dio. Tutte le generazioni gioiranno dora in poi con lei della sua stessa gioia di Dio. In lei infatti labisso, il nulla delluomo, si rivelato capace di concepire Dio, il dono dei doni. v. 49: perch fece a me grandi cose, ecc.. Nella sua piccolezza Dio, dopo aver guardato, ha operato il suo sguardo opera! - per lei cose grandi. Ha anzi operato la cosa pi grande che possa fare colui che onnipotente nellamore: donare se stesso. Dio chiamato col nome di Potente, colui che pu. E cosa pu colui che pu? Pu limpossibile, perch nulla gli impossibile (v. 37), neanche il vero impossibile: donare se stesso, totalit infinita, a una creatura sempre limitata e finita. Per questa sua opera santo il nome suo: la sua santit, lassoluta sua alterit, si manifesta sulla terra. Il suo nome

ora santificato come in cielo cos in terra, riconosciuto e glorificato tra gli uomini come gli spetta. Dio stesso che santifica il proprio nome sulla terra, guardando, rivelandosi e donandosi al tapino. Si compie la prima richiesta che Ges ci ha insegnato nella sua preghiera. v. 50: e la sua misericordia, ecc.. Maria sintetizza in una sola parola tutti gli attributi di colui che gi ha chiamato: Signore, Dio, Salvatore, Potente, Santo. Il nome per il quale sar conosciuto e sperimentato per tutte le generazioni, il suo nome per sempre, perch suo da sempre, misericordia. Misericordia traduce le parole ebraiche hesed e rahamim, compassione e uterinit. Lessenza di Dio amore che non si pu non amare, perch siamo suoi figli. E non pu non amarci nel nostro male, perch questo non fa altro che alimentare la compassione delle sue viscere materne. Questa la sua santit, la sua diversit (cf. 6,36 con Lv 19,2), rivelata pienamente alla nuova Eva. Guarir cos locchio cattivo della prima Eva, che laveva considerato geloso ed egoista. Questesperienza sar fatta da tutti coloro che temono Dio, che tengono Dio in conto di Dio, lo considerano tale nella loro vita concreta. vv. 51-54: fece potenza, ecc.. Maria descrive la storia biblica della salvezza in sette azioni di Dio, che raddrizzano le deviazioni delluomo. La descrive con verbi al passato, perch in ci che le avvenuto si gi adempiuta la promessa di Israele. il canto di come Dio ha agito e agir per sempre. La sua misericordia non sterile: la sua compassione azione che abbatte i limiti invalicabili delluomo. La prima constatazione di chi fa grande Dio sperimentare il suo braccio. Egli lo stende come nellesodo (cf. Dt 5,15) e salva chi perduto. Lui solo Dio, forte e vittorioso su ogni male. Conoscere il suo braccio liberazione da quel male profondo che credere che il male sia pi forte del bene, che il male sia potente, che il male sia Dio. come considerare che Dio sia male. la vittoria fondamentale sullinganno originario e sulla disperazione che ne consegue. disperse gli orgogliosi, ecc.. Come libera il perduto, cos disperde gli orgogliosi. Smonta i sofismi di cui caduto vittima il cuore delluomo che, non fidandosi di Dio, ha fatto da Dio a se stesso. Cos anche il superbo, trovandosi perduto, pu diventare umile ed essere salvato. Dalla mano potente di Dio salvato lumile ed vinta la stoltezza del cuore orgoglioso. capovolto il destino delluomo, rivoluzionata la sua esistenza di male e di sofferenza, di dominio e di oppressione, di schiavit e di sudditanza. Sono abolite le ingiustizie, i troni e le idolatrie che lo asservono. Luomo vero, nella sua realt di tapino, si innalza nella sua dignit di amato da Dio. Laffamato sazio e il sazio ridotto a fame. Ma anche il sazio, ridotto a fame, posto nella condizione di poter essere da Dio saziato. Oltre che in senso materiale, tale azione va intesa anche in senso spirituale. saziata la fame insaziabile delluomo che fame di Dio, di essere come lui. Ogni falsa saziet invece sar ridotta a fame genuina, perch diventi non pi fame di idoli, ma della verit. Cos anche le mani, necessariamente vuote, di chi opera lempiet - essa non riempie la mano del mietitore che lha seminata n il grembo di chi raccoglie i suoi covoni! (Sal 129,7) - potranno finalmente tendersi per accogliere il dono. Nellesperienza di vuoto, oggi cos diffusa, e nel frantumarsi dellidolo che non paga e si sbriciola tra le mani, non forse da riconoscere che luomo si trova sempre alla presenza di colui davanti al quale ogni idolo crolla (cf. 1Sam 5)? si prese Israele, suo servo, ecc. . Maria sa di portare in s il compimento della promessa: Dio finalmente si prende cura del suo popolo, come gi nellesodo, quando lo trov in terra deserta, in una landa di ululati solitari (Dt 32,10). v. 55: come parl ai nostri padri , ecc. . Ci che si compie in Maria la stessa promessa fatta ad Abramo. Essa, che ha creduto alla Parola, vede realizzata in s tutta la storia dalla promessa al

compimento escatologico, aperto a tutti; nella sua discendenza, infatti, che Ges (Gal 3,16), saranno benedette tutte le stirpi della terra (Gn 12,3b). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera, come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Maria in casa di Zaccaria. c. Chiedo ci che voglio: gioire di Dio. d. Punti su cui riflettere: - grandificare Dio - esultare in lui - la bassezza di Maria - le azioni di Dio e le deviazioni delluomo. 4. Passi utili 1Sam 2; Sal 34; 138; 146.

6. GIOVANNI IL SUO NOME


(1,57-66)
57

Ora per Elisabetta si comp il tempo di partorire e gener un figlio. 58 E ascoltarono i vicini e i suoi parenti che il Signore aveva fatto grande la sua misericordia con lei. 59 E avvenne che nel giorno ottavo vennero per circoncidere il bambino e lo volevano chiamare coi nome di suo padre, Zaccaria. 60 E rispondendo sua madre disse: No, ma verr chiamato Giovanni! 61 E dissero a lei: Non c alcuno della tua parentela che si chiami con un nome cos! 62 Ora chiedevano con cenni a suo padre come avrebbe voluto che fosse chiamato.

63

E chiesta una tavoletta scrisse dicendo: Giovanni il suo nome! e si stupirono tutti. 64 Ora si apr la sua bocca allimprovviso e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 E fu timore su tutti i loro vicini, e in tutta la montagna della Giudea si discuteva di tutte queste parole, 66 e (le) posero tutti quanti udivano nel loro cuore dicendo: che mai sar questo bambino? E infatti la mano dei Signore era insieme con lui. 1. Messaggio nel contesto Il centro del racconto la questione circa il nome da dare al frutto della promessa fatta a Zaccaria. Il nome indica la persona, il suo unico e irripetibile valore. Uno esiste se e come chiamato dagli altri: una relazione, di cui il nome espressione. Il vero nome delluomo dato solo da Dio. Uno se stesso nella sua relazione con lui: fatto da lui e per lui, chiamato da lui con un nome ineffabile di amore, che lo fa esistere come , a sua immagine e somiglianza. Davanti a lui ha il proprio volto. Alla brezza del giorno Dio scendeva a conversare con Adamo (Gn 3,8). Allora egli era se stesso, senza nascondimenti, paure o maschere, e cresceva nel proprio nome, il tu di colui che lo chiama e lo fa esistere come io. Ma poi, dopo il peccato, si nascose al proprio nome e al proprio volto. Divenne fuga e paura. Obbedendo alla menzogna del serpente, perse la sua identit e la fece consistere nei suoi terrori. Per questo si dice nellApocalisse che al vincitore sar data una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce allinfuori di chi la riceve (Ap 2,17; cf. 3,12; 19,12; Is 62,2; 65,15; 56,5). Il salvato riceve nuovamente il mistero profondo del proprio io, secondo la sua immagine particolare di Dio. Al di l di quello singolo, c un nome comune, quasi cognome di tutta la famiglia umana. Quello falso il nostro essere figli del serpente (3,7), disgraziati figli dellira (Ef 2,3), generati dalla parola di menzogna cui abbiamo prestato ascolto (cf. Gv 8,43s). In Giovanni invece ci viene presentato il nostro vero cognome: Giovanni significa dono, grazia e amore di Dio. Il suo amore che mi fa grazia di tutto la mia verit e natura di uomo: sono suo dono damore. Il primo dono di Dio a me sono io stesso; lultimo lui in persona, che nel suo amore diventa me stesso pi di quanto lo sia io. Il grande mistero del mio nome sar pienamente svelato solo alla fine nelle nozze con Dio. Allora ciascuno riceve quel nome che nessuno ha mai supposto: Dio stesso che si dona e si identifica con lui in Cristo, facendo ununica carne. 2. Lettura del testo v. 57: si comp il tempo di partorire, ecc.. La nascita non mai un caso, anche se spesso sembra esserlo, e in parte lo . Non siamo nati per caso, e dopo saremo come se non fossimo stati (Sap 2,2a). Luomo non viene dal nulla e non va al nulla: non fumo il soffio nelle sue narici, la sua vita non si

dissiper come aria leggera, il suo nome non sar dimenticato con il tempo e nessuno si ricorder di lui (Sap 2,2b-4). Il venire alla luce sempre il compimento di un disegno di amore. Di questo Luca vuole rendere cosciente il cristiano che viene dal paganesimo e concepisce la vita sotto il dominio del fato, con la spada di Damocle che gli pende sul capo, fino a quando le Parche recideranno il tenue filo della vita, sospesa nel nulla eterno. Il Signore mi ha disegnato con amore sul palmo della sua mano (Is 49,16), fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49,1), prima di ogni altro. Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre (Sal 139,13). Mi sei pi madre di mia madre: mi hai formato tu stesso nel suo grembo, il tuo re e per sempre, perch il tuo cuore da sempre e per sempre palpita per me. Ti lodo perch mi hai fatto come un prodigio (Sal 139,14). Luomo il prodigio dellamore di Dio, che gli dice: Tu sei prezioso ai miei occhi, perch sei degno di stima e io ti amo! (Is 43,4). Solo se guardiamo alla vera roccia da cui siamo stati tagliati, alla cava da cui siamo estratti (Is 51,1) cogliamo la nostra dignit. Siamo una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del nostro Dio (Is 62,3). Luomo non riceve il suo nome dalla relazione che ha con la morte, la paura e il male che ne consegue: ha invece come nome quello che la bocca del Signore ha indicato. La nascita il compimento di una promessa: un dono. Non solo alla sterile vecchiaia dei genitori. Il primo dono che Dio fa alluomo il suo io, il suo vero nome. E questo per farlo destinatario del dono di s, che si dar a lui come suo nome, quando sar tutto in tutti (1Cor 15,28). Dio gioisce delluomo come gioisce lo sposo per la sposa (Is 62,5) e i due formano alfine un solo nome in Ges: tutti siamo uniti in lui (Gal 3,28). v. 58: E ascoltarono i vicini e i suoi parenti che il Signore aveva fatto grande la sua misericordia con lei. Ogni vita un grandificarsi dellamore del Signore, la cui tenerezza si espande su tutte le creature (Sal 145,9). Se non concepita cos, diventa un debito inestinguibile, una colpa ineliminabile: la colpa di esistere, espiabile solo con la morte. Dio, invece che datore, esattore di vita e questa diventa una prigione senza uscita. Si maledice il giorno della nascita; circondati di veleno e di affanno, la mano di Dio volta e rivolta contro di noi tutto il giorno (Lam 3,1ss). Chi invece ascolta nella vita il magnificarsi della sua misericordia, pu dire: la mia gioia nel Signore (Sal 104,34) e io gioisco pienamente nel Signore (Is 61,10). Questo il motivo profondo per cui i parenti e i vicini congioiscono con Elisabetta. Ogni nascita un ampliarsi del cerchio del dono e della danza della vita. v. 59: nel giorno ottavo vennero per circoncidere, ecc. . Allottavo giorno il bambino fu circonciso. La circoncisione era divenuta in Israele il segno dellalleanza. Il rito ha origini religiose molto remote. Nel cristianesimo scomparsa, sostituita dal battesimo nel Signore. Questo un patto unilaterale, per cui Dio si immerge per amore in tutta la perdizione e maledizione delluomo, per essergli vicino e riscattarlo. E luomo si battezza, si immerge a sua volta in questamore di Dio in Cristo, pi profondo e pi forte della morte stessa. Nel rito di circoncisione il padre impone il suo nome al figlio. Come la madre tale perch lo genera, cos il padre tale perch lo chiama. La prima rappresenta il legame di necessit, che d la vita. Il secondo rappresenta pi il legame di libert: entra in rapporto con lui con la presenza accettata e con il dialogo che lo fa esistere come un tu col suo nome. Se la vita come corpo generata dalla madre, la vita come persona generata dalla parola che media la realt. Questo dovrebbe fare il padre. v. 60: No, ma verr chiamato Giovanni. Sia la madre che il padre sono solo progenitori: fanno le veci di Dio, che insieme madre e padre, necessario principio di vita e sorgente di libert. Per questo il figlio non porter il nome del padre nella carne, ma di chi lo ha fatto in forza della sua parola di promessa. Il nome del figlio viene direttamente da Dio, perch ogni persona dono, grazia e amore suo. significativo che sia la madre, che pur rappresenta la necessit, a riconoscere questo nome di libert. I figli sono innanzitutto figli di Dio, anche per la madre. Diversamente restano uninfelice

appendice legata alla natura, incapaci di rispondere al loro nome. I figli sono come frecce che si staccano dallarco e raggiungono il loro fine (cf. Sal 127,4). v. 61: Non c alcuno della tua parentela, ecc. vero che non c nessuno della parentela che porta il nome di Giovanni. Dopo Adamo nessuno porta pi il proprio nome. Tutti siamo figli del serpente (3,7), figli di ira (Ef 2,3). Dal veleno mortale saremo guariti guardando il serpente innalzato (Gv 3,14; cf. Nm 21,4-9!). Contemplando Ges sulla croce, vedremo la verit e cesser linganno che ci ha privati del nostro vero nome. v. 62: Ora chiedevano con cenni a suo padre, ecc.. Il padre resta muto fino a quando non sar dato il nome vero. Se a Zaccaria parlano con segni, significa che non solo muto, ma anche sordo. muto proprio perch stato sordo alla parola di Dio, non ha creduto alla sua promessa. Questa sordit-incredulit la causa dellinespressivit delluomo. v. 63: E chiesta una tavoletta, ecc.. Anche se muto, Zaccaria pu tuttavia scrivere il vero nome su una tavoletta, obbedendo alla parola di Dio che langelo gli aveva comunicato. Zaccaria figura di Israele: anche se muto per la sua incredulit, fa conoscere il vero nome delluomo attraverso la promessa della Scrittura. Davanti a questo nome inatteso si stupirono tutti. Quale meraviglia per tutti scoprire la propria identit. v. 64: ora si apr la sua bocca, ecc.. Ora la bocca di Zaccaria pu aprirsi, come si apre il cielo nel battesimo di Cristo (cf. 3,21). Si scioglie la sua lingua inceppata nellincredulit. Ora pu bene-dire colui che d ogni bene. Il silenzio diventa canto di lode. v. 65: E fu timore, ecc.. Il timore di Dio comincia ora a invadere le persone e a diffondersi per i monti della Giudea. quel timore, inizio di sapienza (Sal 111,10), proprio delluomo che comincia a sapere lessenziale. Prima gli era nascosto perch lui se ne era nascosto. v. 66: nel loro cuore. Le parole si diffondono e si piantano nel cuore di coloro che ascoltano (cf. 9,44). Se non vengono portate via subito, mettono radici, crescono e fruttificano (8,12ss). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo, immaginando la scena della circoncisione del Battista. c. Chiedo ci che voglio: conoscere il mio vero nome. d. Punti su cui riflettere: - nascita come compimento - nascita come grandificarsi della misericordia di Dio. - il mio vero nome. 4. Passi utili

Is 43,1-7; 49,16; Ap 2,17.

7. BENEDETTO IL SIGNORE...
(1,67-80)
67

E Zaccaria, suo padre, fu riempito di Spirito santo, e profet dicendo: 68 Benedetto il Signore, Dio dIsraele, perch guard gi e fece riscatto per il suo popolo, 69 e risvegli un corno di salvezza per noi, nella casa di Davide suo servo 70 - come parl, per bocca dei suoi profeti di un tempo 71 salvezza dai nostri nemici e dalle mani di tutti quanti ci odiano, 72 per fare misericordia con i nostri padri e ricordarsi della sua santa alleanza, 73 giuramento che giur verso Abramo, nostro padre, di dare a noi, 74 strappati dalla mano dei nemici, di servire senza paura, 75 in piet e giustizia al suo cospetto per tutti i nostri giorni. 76 E ora tu, bambino, profeta dellAltissimo sarai chiamato: correrai infatti innanzi al cospetto del Signore 77 per preparare le sue vie, per dare la conoscenza di salvezza al suo popolo nella remissione dei loro peccati, 78 per le viscere di misericordia del nostro Dio, nelle quali guarder gi a noi unaurora dallalto, 79 per apparire a quanti siedono in tenebre e ombre di morte, per dirigere i piedi nostri verso una via di pace. 80 Ora il bambino cresceva e si fortificava nello spirito,

ed era nei deserti fino ai giorni della designazione sua verso Israele. 1. Messaggio nel contesto Il Benedictus , come il Magnificat, un centone di citazioni bibliche esplicite e implicite. Con questo inno Luca ribadisce per il lettore non giudeo la lezione gi data nel Magnificat: come leggere la storia con occhi di fede, secondo la promessa fatta ad Abramo (cf. vv. 55.73). un canto di benedizione per il passato e di profezia per il futuro. Nella prima parte (vv. 68-75) Zaccaria benedice non per suo figlio, ma per colui davanti al quale egli cammina; ringrazia per il Messia, gi donato. Nella seconda (vv. 76-79) profetizza la funzione di suo figlio, che sar precursore di colui che sorger come il sole. un inno liturgico, che benedice Dio per il suo dono promesso e ora realizzato. Indirettamente mostra il rapporto tra Nuovo e Antico Testamento, come parola di benedizione per il compimento e di profezia per la promessa. Ci che finora avvenuto - la nascita di suo figlio e il concepimento di Ges - visto nella loro reciproca relazione alla luce di tutta la storia della salvezza. Questi fatti, piccoli e inosservati da tutti, nascondono, per chi sa leggerli nello Spirito, la visita di Dio che porta a compimento il suo disegno di amore. Nella liturgia il canto che conclude le lodi del mattino. Preghiera del sole che sorge, d inizio al nuovo giorno, il giorno senza fine, loggi della visita di Dio (vv. 68.78) che nella sua misericordia (vv. 72.78) dona la salvezza (vv. 69.71.77), liberando dalle mani dei nemici (vv. 71.79), togliendo i peccati (v. 77) e illuminando le ombre di morte (v. 79), per farci servire a lui in santit e giustizia (vv. 74.75) e camminare nella via della pace (v. 79). Cos Dio mantiene la sua promessa (vv. 70.72.73). Hanno parte di spicco la fedelt di Dio alla sua promessa di salvezza e un invito al lettore a conoscerla meglio per aderirvi sempre di pi. 2. Lettura del testo v. 67: E Zaccaria, suo padre, fu riempito di Spirito santo, ecc.. Lo Spirito apre la bocca di colui che era stato reso muto per la sua incredulit. Come la sua mutezza fu segno della mancanza di fede, cos ora il suo canto segno della fede che lo mette nel coro dei salvati. Zaccaria profet. La profezia non consiste nel predire il futuro, ma nel dire la parola di Dio, vedendo la realt come lui la vede. Essenzialmente un ricordo della parola gi detta, come promessa prima e poi come compimento in Ges, che lo Spirito rende attuale in noi. Dice Ges: lo Spirito santo vi insegner ogni cosa e vi ricorder tutto ci che io vi ho detto (Gv 14,26); per il momento non siete capaci di portarne il peso, perch lui la forza che vi guider alla verit tutta intera e vi annuncer le cose future (Gv 16,12s). La verit tutta intera Ges stesso, che contiene il futuro pieno delluomo. La profezia completa nel ricordo (= riportare al cuore, al centro della propria persona) delluomo Ges, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinit (Col 2,9). La profezia quindi comprensione di Ges, alla luce dello Spirito. v. 68: Benedetto, ecc.. La prima parola che suscita in noi lo Spirito di benedizione e di lode. In Israele si benedice il nome di Dio per tutte le cose, perch esso si svela in tutti i nomi. lo Spirito che ci d questa vista, la capacit di vederlo come origine e presenza di amore in tutto. La lode si differenzia dal semplice ringraziamento, perch ha come oggetto proprio non i doni, ma il Donatore: dice bene di colui che d ogni bene. Nasce quando dietro i doni si vede la mano, il volto e il cuore di chi li porge e in

essi dona se stesso. Si gode che Dio sia Dio, si contenti che lui sia lui, si partecipa alla sua gioia e al suo piacere. Gioire di Dio, tipico della lode, il vertice della creazione, il destino pi alto possibile cui luomo chiamato: ci fa come lui. La lode la vita del mondo. Nelluomo che loda, liturgo del creato, brilla la luce e la gioia di Dio stesso che si espande come dono in tutto e tutto riportato alla luce e alla gioia di Dio. per la lode che il mondo sussiste e viene ricongiunto alla propria sorgente. Il contrario della lode - benedizione e vita del creato - il possesso, che chiude tutto nella maledizione e nella morte. Chi possiede non solo non vede il volto e la mano del Donatore, ma neanche il dono: lo rapisce. il peccato di morte di Adamo. importante notare che prima c la lode - lo spirito rivolto a Dio - e poi i motivi della lode. Infatti, senza la luce del suo volto, non si scoprono i motivi della lode. Se tengo gli occhi fissi a terra, non vedo il sole, anche se le cose sono illuminate. Anzi, rischio di scambiarle per la luce e mi aggrappo ad esse, facendone oggetto di possesso. Si loda non uno qualunque o una forza impersonale, ma il Dio dIsraele, cio di Giacobbe, del singolo e del popolo, che entrato in comunione con luomo, rivelandosi a lui e intessendo con lui una storia comune. Egli il nostro Dio e noi siamo il suo popolo (Sal 95,7). Noi siamo suoi e a lui apparteniamo e di lui posso dire una cosa impensabile ed esaltante: Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene (Sal 16,2). Infatti non ha disdegnato di chiamarsi mio fratello (Eb 2,11), venendo incontro allinaudito desiderio da lui posto in me: Oh se tu fossi un mio fratello, allattato al seno di mia madre! Trovandoti fuori ti potrei baciare (Ct 8,1). Lodiamo il Dio che si impegnato con noi, sposandoci nella buona e nella cattiva sorte. Il motivo primo e ultimo (cf. v. 68) della lode che lui ha visitato, alla lettera guard gi. Fin da subito dopo il peccato Dio scende, allo spirare della brezza, per visitare dolcemente luomo. Ma questi da sempre si nasconde chiudendosi nella sua angosciosa paura, fuggendo e allontanandosi sempre pi dalla sua luce. Dio, come amico e ospite, viene a visitare Abramo e Sara, promettendo e dando loro un futuro (Gn 18,1-15; 21,1s). Poi scende e visita il suo popolo, schiavo in Egitto e lo libera (Es 3,7-8.16). Successivamente lo visiter nella carestia, dandogli pane (Rt 1,6). Innumerevoli sono le visite di Dio e il suo accorrere al grido del suo popolo, per salvarlo in tutte le situazioni (cf. tutto il Sal 107). Si dice che Dio guard gi, al passato. Non perch ora abbia smesso, ma perch da sempre ci visita in ogni situazione e oggi in modo particolare. Ci visit nellEden dandoci come anello nuziale tutto il creato. Ci visit nel deserto, dandoci il diadema nuziale, la sua parola che salva. Ci ha visitato definitivamente nel suo Figlio, dandoci tutto se stesso e unendosi a noi in una sola carne. La benedizione scaturisce dalla coscienza di questa visita che ci fa scoprire il suo amore per noi che vince ogni paura (cf. Gn 3,1; 1Gv 4,18). Cos possiamo capire realmente che il mio diletto per me ed io per lui (Ct 2,16) e dire, alfine, pieni di gioia: Io sono per il mio diletto e il mio diletto per me (Ct 6,3). Come ci ha visitati, cos sempre ci visiter (cf. v. 78 al futuro). Lui sta sempre alla porta e bussa: Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verr da lui, cener con lui ed egli con me (Ap 3,20). La sua visita un fare riscatto: affranca luomo schiavo, che ha perso la libert. Luomo, infatti, immagine e somiglianza di Dio, lontano da lui lontano da s, schiavo di infiniti padroni di morte; nella sua visita restituito a se stesso. Creato dal suo amore per essere suo partner, senza di lui perduto nellinessenzialit e nellinidentit, senza la sua altra parte; davanti a lui torna ad essere ci che . v. 69: e risvegli un corno di salvezza, ecc.. La visita, che ci riscatta a noi stessi, opera del suo corno di salvezza, che ha risvegliato. Il corno simbolo di potere. Prima era abbassato, sotto il peso di una storia di male. Ora si innalzato, vivo e vittorioso sui nemici. Qui Zaccaria sta parlando del germoglio di Jesse, figlio promesso alla casa di Davide (2Sam 7). Il motivo di lode sempre e solo Cristo Ges: con lui, in lui e per lui si eleva ogni benedizione a Dio, come con lui, in lui e per lui Dio ci d ogni bene e se stesso come nostro bene. Se il motivo della benedizione la visita di Dio, che apre e

chiude linno, il frutto di tale visita la salvezza, la cui descrizione in termini di compimento-promessa riempie buona parte dellinno stesso. v. 70: come parl, ecc.. In Ges si compiono le cose dette nella legge di Mos, nei profeti e nei salmi (24,44). Tutti i portatori della parola di Dio sono vissuti nellattesa del suo oggi, per vedere il suo volto e udire la sua voce (10,23s). Di lui hanno parlato dallantichit, mostrando come Dio avrebbe compiuto il disegno di amore. Allora solo i profeti, che Dio aveva ispirato col suo Spirito, hanno potuto parlarne come desiderio: ora noi tutti abbiamo la beatitudine di vederlo e udirlo! v. 71: salvezza dai nostri nemici, ecc.. Ci di cui i profeti hanno parlato sempre la salvezza. in essa che luomo conosce Dio. Essa implica innanzitutto un aspetto negativo: salvezza dai nostri nemici. Sono tanti i nostri nemici! Viviamo avvolti dalla paura; laria stessa ci nemica. Ma certamente il primo nemico Dio stesso. Secondo la menzogna del serpente, egli un despota invidioso, che ci toglie la vita e fa tremare. In Ges vedremo il vero volto di Dio, che amore, tenerezza, compassione e servizio: egli si immerge in tutti i nascondigli del nostro male, se ne fa carico, e d per noi la vita. La sua croce la distanza che Dio ha posto tra s e lidolo. Il dio nemico lidolo suggerito dalla menzogna del serpente. Da questa falsa sua immagine nasce sia la ribellione atea in nome delluomo, sia la religiosit servile in nome di Dio. Religione e ateismo e nihilismo hanno la stessa radice: la falsa immagine di un dio nemico, da affermare, da negare o da trascurare. Se Dio negativo o non c, devo provvedere io a me stesso e salvarmi. Da qui nasce legoismo, la paura della morte e lansia di vita, con ogni alienazione e schiavit a tutti i livelli: psicologico, economico, politico e religioso. Se il primo nemico satana stesso, che prest la sua maschera a Dio, le varie alienazioni e schiavit sono gli altri nemici delluomo, dai quali il Signore venuto a salvarci. Lultimo nemico a essere vinto il pi temuto: la morte (1Cor 15,26). La paura di essa la mano del nemico che della morte ha il potere e che nel timore della morte tiene gli uomini soggetti a schiavit per tutta la vita (Eb 2,14). Senza paura di Dio, la morte, nostro limite assoluto, non ci avrebbe fatto paura. Lavremmo accettata come contatto con lAssoluto, ricongiungimento con la nostra sorgente. Nella paura di Dio, invece, abbiamo centrato tutto su di noi; il nostro limite da sfuggire, perch negazione stessa della nostra vita. Ed proprio nellillusione di sfuggire alla morte, per sentirsi vivo - lansia della vita la trappola della paura della morte - che luomo cerca di possedere e fagocitare tutto, travolgendolo nel proprio vortice di distruzione. v. 72: per fare misericordia, ecc.. La salvezza di Dio fare misericordia, rendere operante il suo amore per noi. Questa misericordia rivolta, oltre a noi, pure ai nostri padri, ai quali fu promessa. Con la venuta di Ges salvato anche il passato: salva con noi le nostre radici, perch tutto lalbero della stirpe umana possa portare frutti di vita. Il far misericordia il fine di tutta lazione di Dio, perch misericordia il suo nome. Per questo non pu mai dimenticarsi di essersi impegnato con luomo con lalleanza sua santa: Si dimentica forse una donna del suo bambino, cos da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticher mai (Is 49,15). Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto (Sal 27,10). v. 73: giuramento che giur, ecc.. Il patto tra due contraenti. Se uno non ne osserva le clausole, decade. Luomo ha sempre rotto lalleanza con Dio. Per questo lalleanza santa, propria di Dio che misericordia, qui viene chiamata giuramento. Il giuramento un impegno unilaterale: anche se noi veniamo meno ai nostri impegni, Dio no. Ha giurato a se stesso di essere fedele alla propria promessa.

Qualunque male facciamo, egli non ritirer mai il suo favore e la sua fedelt non verr mai meno (Sal 89,35ss). v. 74: strappati dalla mano, ecc.. Il giuramento consiste nel donarci di servirlo come si deve (v. 75). Ma prima, siccome nessuno pu servire due padroni (16,13), bisogna essere strappati via dalla mano dei nemici (vv. 71.79). La liberazione dai nemici porta alla libert dalla paura, che la vera sudditanza a loro. Solo in questa libert si pu servire Dio. Spesso si parla nella Scrittura di timor di Dio come principio della sapienza (Pr 1,7; 9,10; 15,33; Sal 111,10; Sir 1,14). Temere Dio nella Bibbia significa regolare il proprio agire su di lui, tenendo conto di chi lui. Ma lui amore potente per noi. Per questo il suo timore libert da ogni schiavit, principio di una vita saggia, vero culto a Dio. v. 75: in piet e giustizia, ecc.. Questo culto di Dio si esprime nella piet e nella giustizia, in una vita che lascia trasparire la gloria stessa del suo volto. la santificazione del suo nome sulla terra, che si compie nelluomo libero, che, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, trasformato in quella medesima immagine, di gloria in gloria secondo lazione dello Spirito del Signore (cf. 2Cor 3,17s). Luomo pio e giusto sta al cospetto di Dio, al contrario di Adamo che se ne allontan e si perse (Gn 3,11). Cos ritorna al proprio fine, che il suo principio, ed finalmente se stesso in modo definitivo. v. 76: E ora tu, bambino, ecc.. Dopo aver benedetto Dio per Cristo, ora Zaccaria parla di suo figlio, che ha occasionato linno. La realt di Giovanni, come quella dellAntico Testamento e delluomo secondo la promessa di Dio, comprensibile solo partendo da Cristo. Solo ora Zaccaria si rivolge a suo figlio e ne dice il senso: essere profeta dellAltissimo, camminargli davanti al volto, per preparare le sue vie, secondo quanto viene indicato (cf. 1,14-17). Sar il profeta ultimo e definitivo, che precede la venuta del Signore per il suo giudizio (Ml 3,1ss) e la sua salvezza (Is 40,3). v. 77: per dare la conoscenza di salvezza, ecc. . Giovanni d la vera gnosi: la conoscenza della salvezza, lesperienza del salvatore, che avviene nella remissione dei peccati. Solo qui si conosce il Signore (cf. Ger 31,31-34). Infatti il nome di Dio, la conoscenza che noi ne abbiamo, Ges, che significa Dio salva, perch salver il popolo dai suoi peccati (Mt 1,21). Il peccato la nostra verit, di cui il Battista ci fa prendere coscienza sulle rive del Giordano. Non c altro luogo per incontrare Dio. Solo nella nostra miseria reale conosciamo la sua realt di misericordia. Il peccato come una fossa nella terra. Pi estesa e profonda, pi acqua contiene. La nostra conoscenza di Ges proporzionale alla coscienza dei nostro peccato. Lui amore e dono oltre misura e come tale lo si conosce solo nel perdono. v. 78: per le viscere di misericordia. Nel perdono conosciamo le viscere di misericordia del nostro Dio da cui esso scaturisce; scopriamo la nostra sorgente: lamore materno e uterino di Dio, che non pu non amarci di amore eterno, necessario e gratuito, perch lui cos. Linno ora ritorna di nuovo a Ges. Allinizio si disse che in lui Dio ci visit (v. 68), ora che ci visiter nella sua misericordia. Giustamente Luca detto lo scriba mansuetudinis Christi. Il centro del suo Vangelo 6,36: la misericordia del Padre che brilla sul volto del Figlio. Ges paragonato allaurora dallalto, simbolo divino di luce nuova e vittoriosa sulla notte, inizio del giorno di Dio (cf. Is 60,1; 2Pt 1,19). v. 79: per apparire, ecc.. Questo sole appare a coloro che siedono nelle tenebre e nellombra di morte (cf. Sal 107,10.14; Is 9,1), ossia a ogni uomo, prigioniero del nemico, gettato nel buio del carcere e preda del terrore della morte. Illuminati da questa luce, diventiamo noi stessi luce, come dice Is 60,1: Alzati, rivestiti di luce, perch viene la tua luce. In questa luce possiamo ora dirigere i piedi nostri

verso una via di pace, che prima ci era ignota. Chi non la conosce come un mare agitato che non pu calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. Non v pace per gli empi, dice il mio Dio (Is 57,20). v. 80: Ora il bambino cresceva, ecc. . Ci viene sinteticamente presentata la vita del Battista: come gli antichi profeti (Gdc 13,24s) si forma e cresce nel deserto, il luogo dove Dio ha condotto e formato il suo popolo, nutrendolo con la sua parola e il suo pane, guidandolo con la sua luce. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Immagino Zaccaria che, appena dato il nome al figlio, cessa di essere muto ed esplode nel canto. c. Chiedo ci che voglio: il dono di benedire Dio e riconoscere la sua visita in Ges. d. Punti su cui riflettere: - la profezia cristiana - la lode - visita e salvezza di Dio - i nostri nemici - peccato, perdono e conoscenza di Dio. 4. Passi utili Salmi 91-100; Gv 14,26-31; 16,7-15.

8. LA NASCITA DI GES: SI COMPIRONO I GIORNI


(2, 1-7)
21 Ora avvenne in quei giorni: usc da Cesare Augusto un decreto, di iscrivere tutta lecumene. 2 Quelliscrizione prima avvenne governando la Siria Quirino. 3 E andavano tutti per iscriversi, ciascuno verso la propria citt. 4 Ora sal anche Giuseppe dalla Galilea, dalla citt di Nazaret, verso la Giudea, verso una citt di Davide la quale chiamata Betlem, essendo lui della casa e della famiglia di Davide,

per essere iscritto con Maria, la sua promessa sposa, che era incinta. 6 Ora avvenne che, essendo essi l, si compirono i giorni del suo partorire, 7 e partor il figlio suo il primogenito e lo fasci e lo sdrai in una mangiatoia poich non cera posto per loro nel deposito. l. Messaggio nel contesto Si sono manifestati la bont di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini (Tt 3,4). In questa scena siamo chiamati a contemplare la filantropia di Dio, fatto per noi carne in suo Figlio. La scena di un Dio che si fatto piccolo e indifeso, per essere accolto dalle nostre mani, un preludio gi della croce. La sua nascita rivela un carattere passionale; manifesta la sua passione per luomo, la sua simpatia estrema per lui, che lha spinto a condividere la sua condizione. Il problema della fede cristiana accogliere la carne di Dio che si fatto solidale con la nostra debolezza: Ogni spirito che riconosce che Ges Cristo venuto nella carne, da Dio (1Gv 4,2). Essa ci rivela quel Dio che nessuno mai ha visto (Gv 1,18). La scena, compimento dellannunciazione, costruita come un contrappunto tra la potenza umana che si autoesalta, si dilata e si consuma in un censimento mondiale, il primo della storia, e limpotenza di Dio che si umilia, si restringe e si concentra in un bambino. Se il Figlio di Dio fosse venuto con potenza, nel fulgore della sua gloria, certamente non si sarebbe esposto al rifiuto. Tutti lavremmo accolto e necessariamente. Ma non sarebbe stato Dio, bens un idolo. Si ritiene che Dio, mistero tremendum et alliciens, sia di grandezza enorme splendore straordinario e terribile aspetto (Dn 2,31). Queste per s sono le caratteristiche dellidolo, comuni a tutte le religioni. Dio sta piuttosto dalla parte del sassolino che abbatte lidolo (Dn 2,34). Il segno per riconoscerlo sar diverso (v. 12): la sua grandezza enorme sar quella del piccolo, il suo splendore affascinante quello del bimbo fasciato, il suo aspetto tremendo quello di un corpo tremante nella mangiatoia. S. Ignazio pone il criterio discriminante della fede nei due vessilli: il vessillo del nostro re povert, umiliazione e umilt (cf. il Magnificat). Quello della ricchezza, vanagloria e superbia di satana. Questa prima presentazione che Luca fa di Ges, che ha colpito tanto s.Francesco, normativa per la nostra fede: la porta dingresso per entrare nella casa dove lui abita e poterlo conoscere. Certamente un Dio piccolo si espone al rifiuto. la vulnerabilit dellamore, che non pu non rispettare la libert. Ma a quanti lo accolgono cos com, d il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). 2. Lettura del testo

vv. 1-3: Ora avvenne in quei giorni: usc da Cesare Augusto un decreto, di iscrivere tutta lecumene. Si parla del primo censimento, che Cesare Augusto fece su tutta la terra abitata, sottoposta al suo dominio. Facciamo alcune considerazioni su questo contesto storico della nascita di Ges. Primo. La salvezza non unidea fuori dello spazio e del tempo: una storia con fatti ben precisi e databili. Secondo. Il censimento latto che consacra loccupazione militare, dandole la definitiva struttura politica ed economica: i sudditi venivano contati per riscuoterne le tasse (potere economico) e averli disponibili per la guerra. Il censimento la consumazione e lautoesaltazione del potere delluomo sulluomo. Questo il primo di tutto luniverso, che la nostra storia conosce! Questiscrizione come la scrittura che si oppone alla sacra Scrittura: ci rivela il potere delluomo. Terzo. Il messia entra e nasce in questa storia di male, non in unipotizzabile o realizzabile storia migliore! Quarto. Entra in questa storia di potere e di male come colui che serve (22,27), come povero che non ha dove posare il capo (9,58; cf. 2Cor 8,9). Per guidare i nostri passi nella via della pace, alla ricchezza sostitu la povert, al potere il servizio, alla superbia lumilt. Cos si oppone radicalmente al potere del male e lo vince, creando in s lo spazio del regno di Dio; cambia i criteri dominanti. Proprio per questa sua nascita in povert, impotenza e umilt messia liberatore e Figlio di Dio. Quinto. Dio appare in questa storia nel momento stesso in cui il male raggiunge il suo apice e tutto ormai sembra irrimediabilmente posto nelle sue mani. La notte pi fonda prelude al sorgere della stella del mattino: vicina laurora. Proprio quando Ges dir: Questa la vostra ora, limpero delle tenebre (22,53) sar lora stessa in cui Dio si doner nelle mani delluomo e compir il suo disegno di salvezza. Il momento opportuno, il kairs della salvezza, quello pi inopportuno e improbabile. Cos sar anche della seconda venuta: quando sar il massimo male, lanticristo, allora torner il Figlio delluomo. Sesto. Perch le genti congiurano, perch invano cospirano i popoli contro il Signore e il suo messia (Sal 2,1; cf. At 4,25s)? Che senso ha lagitarsi e il tumultuare della storia contro Dio, in che rapporto sta con la sua salvezza? La storia non sfuggita al suo controllo e tutto ci che avviene serve per compiere ci che la sua mano e la sua volont avevano preordinato che avvenisse (At 4,28). La gran macchina del censimento mondiale, questapparato enorme di potere che si organizza, non fa altro che adempiere un dettaglio del piano di Dio: far nascere il messia a Betlem. In un momento di debolezza laveva promesso a un uomo, Davide, e non poteva mancargli di parola (Mi 5,1; 2Sam 7)! Che bellezza di disegno in Dio, se cos cura un particolare! Quanto sono piccoli i pi grandi avvenimenti umani, davanti al minimo dettaglio del suo disegno! Certamente Dio non vuole questa storia di male. Ma, avendoci fatti liberi, non vuole impedircelo. Per resta Dio, ed sovranamente libero di servirsi con gran fantasia e in modo mirabile di tutto per mostrare la sua fedelt e il suo amore (cf. Sal 136). vv.4-5: Ora sal anche Giuseppe dalla Galilea, ecc. . Giuseppe e Maria obbediscono alle leggi di questa storia. Proprio nellobbedienza ai capricci del potere di un Cesare, si compie un capriccio del disegno di Dio. In che termini questa obbedienza richiesta nel piano di salvezza? Dove non lecita? un problema che ha occupato la chiesa fin dal principio. Essa trova una linea di soluzione nel comportamento libero di Ges: egli non si schierato n con gli zeloti che volevano abbattere il potere, n con i collaborazionisti e pur tuttavia verr ucciso come messia inutile per i primi e come sovversivo

per i secondi. In realt sceglie la solidariet coi fratelli in obbedienza al Padre. Il cristiano vive in questo mondo di male e obbedisce alle sue leggi con libert, dove non viene contraddetto lo Spirito di Ges. Solo qui si pone laut-aut del martirio, perch meglio obbedire a Dio che agli uomini (At 4,19). Ovviamente la soglia di questo aut-aut dipende dalla coscienza storica della fede stessa. v. 6: si compirono i giorni. In obbedienza alleditto di Cesare Augusto, Maria e Giuseppe si trovano l dove si compiono i giorni del parto, nel luogo dove deve realizzarsi la promessa del Signore. v. 7: partor il figlio suo, il primogenito, ecc. . Questo fatto insignificante, e non il grande primo censimento universale, il centro del mondo. Chi lavrebbe detto allora che la storia si sarebbe divisa in prima e dopo questa nascita? Il Creatore si dona alla sua creatura, come figlio nel suo Figlio che si fa nostro fratello. Il fine delluomo raggiungere Dio. Essendo questo impossibile, nel suo amore ha pensato di raggiungere lui stesso luomo. In questa semplice espressione: partor il figlio suo, che il Figlio stesso di Dio di cui si parla in 1,32, sta nascosta la pi grande sorpresa, la gioia pi sconvolgente di Dio e delluomo. Quale fu lestasi di Maria nel trovarsi la carne di Dio tra le braccia, nel vedere, udire, toccare e abbracciare in questo piccolo bambino linfinito! La contemplazione ci porta a identificarci con Maria e toccare il bambino. Siamo invitati a una conoscenza manuale del Signore, posto nelle nostre mani. La conoscenza del tatto la pi profonda: comunione piena di profumo e di gusto. la stessa che si verifica nella deposizione dalla croce e nel dono del suo corpo dato per noi nella cena. LAltissimo si fatto piccolo, lOnnipotente bisognoso, la Parola infante, lImmortale mortale, la gioia senza fine vagito di un bambino, pur di essere accolto e abbracciato da noi. il mistero dellamore di Dio, che nulla teme e si espone ad ogni piccolezza e umiliazione per raggiungere lamato. Questo figlio chiamato primogenito a pieno diritto. il primogenito di tutte le creature (Col 1,15), primogenito fra molti fratelli (Rm 8,29), che saranno ormai figli di Dio dietro a colui che non si vergognato di chiamarsi loro fratello (Eb 2,11). Gi dallinizio del II secolo documentabile la tradizione della sua nascita in una grotta. Linizio richiama la fine del suo cammino tra noi. La sua vita terrena chiusa nel mistero di queste due grotte, dallumilt della terra allumilt della terra. Qui avvolto in fasce, l in una sindone, qui deposto nel legno della greppia, l dal legno della croce. La tradizione popolare, prendendo lo spunto da Is 1,3, pone accanto a Ges lasino e il bue. Sanno riconoscere il loro padrone, a differenza degli uomini, che non sanno riconoscere il loro Signore. Qui Ges nasce tra le bestie, l finir tra i malfattori. Maria lo fasci: Dio bisognoso delluomo. Si affidato alle sue mani, fragile e indifeso, avvolto di tenerezza qui, e di morte alla fine. e lo sdrai. la parola che si usa per sdraiarsi e mangiare, secondo il costume orientale. Per si sdraia non a un tavolo, come colui che mangia, ma nel posto di ci che mangiato, nella mangiatoia. Il pane degli angeli, il cibo disceso dal cielo, che d la vita, deposto nel luogo dove mangiano le bestie. Dio si dona come vita e cibo alluomo peccatore. Infatti non c altro posto che la mangiatoia per lui nel katlyma. Questo stesso termine uscir in 22,11, quando nellultima cena dar se stesso in cibo ai discepoli. Da questi piccoli dettagli appare il carattere passionale della nativit di Ges. Dio, che amore e accoglienza, bisogno di amore e accoglienza. Ma non trova posto tra noi se non in un luogo di bestie, e nella mangiatoia. Difatti trover ospitalit proprio nel nostro peccato e nel nostro bisogno, da cui venuto a salvarci. E chi lo accoglier l, nella sua lontananza e tristezza, nella sua stoltezza e durezza di cuore, nella sera del giorno che sempre declina, lui lo accoglier e diventer suo cibo. Allora, come a Emmaus, potr sparire dagli occhi, perch avr raggiunto il suo fine: essere col discepolo come suo pane.

Giustamente si dice che Luca iconografo. Dipinge infatti con cura, sin dalla nascita, i tratti di Ges, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), perch il discepolo, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, possa venir trasformato in quella medesima immagine (2Cor 3,18). Qui ci d i primi segni fondamentali: umile, insignificante, bisognoso, accolto nel luogo dove mangiano le bestie. Viene nella nostra verit, perch ci ama. Si espone al rifiuto. Ma ugualmente sempre l, come dono senza condizioni. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo, vedendo la grotta dove Ges nato. c. Chiedo ci che voglio: una conoscenza intima del mio Signore, che per me ora nato, per poterlo maggiormente amare e seguire con tutta la riverenza possibile. d. Guardo le persone, vedo quello che fanno, ascolto ci che dicono ricavandone frutto. Da notare: - il decreto di Augusto e landata a Betlem - si compirono i giorni - Maria partor il figlio suo - lo fasci - lo sdrai - in una mangiatoia - non c posto per loro. 4. Passi utili Sal 33; At 4,23-28; Dn 2,31-35.

9. FU PARTORITO OGGI PER VOI UN SALVATORE


(2,8-20)
8

E cerano pastori in quella regione, che bivaccavano e vegliavano le veglie della notte sul loro gregge. 9 E un angelo del Signore stette su loro, e la gloria del Signore lampeggi intorno a loro,

e temettero un timore grande. 10 E disse loro langelo: Non temete! Ecco, infatti, evangelizzo a voi una grande gioia, la quale sar per tutto il popolo: fu partorito oggi per voi un salvatore, che il Cristo Signore, nella citt di Davide. 12 E questo per voi il segno: troverete un bambino fasciato, sdraiato in una mangiatoia. 13 E allimprovviso ci fu con langelo una moltitudine dellesercito dei cielo, che lodava Dio dicendo: 14 Gloria negli altissimi a Dio, e sulla terra pace agli uomini di benevolenza. 15 E avvenne che, quando si allontanarono da loro verso il cielo gli angeli, i pastori parlavano lun laltro: Andiamo dunque fino a Betlem e vediamo questa parola che accaduta, che il Signore ha notificato a noi. 16 E andarono in fretta e scoprirono e Maria e Giuseppe e il bambino sdraiato nella mangiatoia. 17 Ora visto, notificarono circa la parola che fu detta loro circa il bambino. 18 E tutti quanti udirono si stupirono circa quanto si parlava da parte dei pastori verso loro. 19 Ora Maria conservava tutte queste parole comparandole nel cuore suo.

20

E ritornarono i pastori glorificando e lodando Dio su tutto quanto udirono e videro come fu detto a loro. l. Messaggio nel contesto Il centro dei primi due capitoli la conoscenza tattile di Dio che ha Maria nel generare, fasciare e deporre il suo figlio primogenito nella mangiatoia. La scena ci data da contemplare ripetutamente per tre volte di fila, con le stesse parole: il fatto storico, unico, accaduto duemila anni fa, prima narrato (vv. 6-7), poi annunciato come segno (v. 12) da leggere che d significato a tutta la storia (v. 11-12), e infine verificato dai pastori (v. 16). Attraverso il racconto che per prima Maria ha fatto e che Luca pastore diventato a sua volta annunciatore - ha trasmesso a noi, anche noi siamo chiamati a contemplare e toccare con lei lo stesso Verbo della vita. Cos, come i primi pastori, diventiamo a nostra volta annunciatori della Parola: Fu partorito per voi oggi un salvatore che il Cristo Signore. Lo stesso annuncio, di bocca in bocca, attraverso i pastori diventati evangelisti, trasmette a noi il compimento della promessa di Dio. Nellobbedienza di fede a questo annuncio, veniamo condotti anche noi alla salvezza. Loggi della nascita del Salvatore si realizza ovunque annunciato e creduto, come presso i pastori che si mettono in cammino per andarlo a vedere. Dopo le parole dellangelo, si apre il cielo e gli uomini possono assistere alla liturgia celeste che si svolge sopra questo bambino. A questa liturgia celeste, dischiusa dallannuncio che ne d linterpretazione, corrisponde una liturgia terrestre, di povera gente obbediente alla Parola che corre a vedere un povero bambino, del quale crede ci che il Signore ha notificato (v. 15). Essi, dopo aver sperimentato ci che stato loro detto (vv. 17-20), a loro volta lo annunciano (vv. 17-18). In questi pastori, primi ascoltatori che a loro volta si fanno annunciatori, si profila la chiesa. Essa nasce dallannuncio, ne verifica loggi di salvezza e la ritrasmette agli altri con lannunzio. una chiesa di poveri e ultimi, come lannunciato stesso. In forza della fede, essa riconosce, annuncia, glorifica e loda Dio che si rivelato nellimpotenza di Ges. 2. Lettura del testo v. 8: E cerano pastori in quella regione. Sono i protagonisti di tutto il brano. Come i primi discepoli da pescatori diverranno pescatori di uomini, cos da scorgere in questi pastori coloro che poi saranno i pastori nella chiesa di Dio. Sono i primi che hanno creduto alla Parola, hanno trovato il bambino, lo riconoscono come salvatore e lo annunciano. I pastori appartengono a uninfima categoria sociale religiosa. Proprio per questo sono abilitati a riconoscere lAgnello nel bambino. v. 9: E un angelo del Signore, ecc.. La nascita del Salvatore deve essere svelata dallangelo. Angelo significa: Colui che annuncia. Attraverso lui ci viene la buona notizia del Dio che si donato a noi. necessario lannuncio perch la nascita di Dio in mezzo a noi non pu essere dedotta da nessun ragionamento n prodotta da nessuno sforzo umano. Nessunaltra premessa, se non la promessa di Dio, in grado di farci conoscere il dono di Dio. Con la nostra ragione, certamente non cercheremmo in quella direzione: noi cercheremmo un Dio grande, tremendo, potente e glorioso, il dio della nostra paura (Gn 3,10). Qui un Dio piccolo, tremante, impotente, che si offre come cibo nella mangiatoia degli animali.

Era necessario che si rivelasse e ci desse i criteri per riconoscerlo. Questa rivelazione fatta ai pastori. Dio infatti ama parlare con i semplici (Pr 3,23 Vg.): non si rivela ai prudenti e ai sapienti (10,21), ma ha scelto ci che nel mondo ignobile e disprezzato e ci che nulla per ridurre a nulla le cose che sono (1Cor 1,28). Lui stesso, perch ricco di amore per noi, si fatto povero per noi per arricchirci della sua povert (2Cor 8,9). Per vederlo bisogna essergli vicini. Chi pu riconoscere nella sua piccolezza di Agnello il Pastore grande delle pecore (Eb 13,20) se non dei piccoli pastori? Il cammino che essi fanno per scoprire lAgnello, li costituir a loro volta pastori e angeli, servi della parola che annunciano. Ai credenti dIsraele Dio si rivolge con la parola dellannuncio (= angelo); ai gentili si rivela con la stella, simbolo della luce della ragione, che porta a Gerusalemme dove viene loro data la Parola (cf. Mt 2,1-12). Lannuncio determinante comunque per riconoscerlo. v. 10: evangelizzo a voi una grande gioia, la quale sar per tutto il popolo . Il vangelo, la grande gioia messianica, data a pochi e, mediante questi, a tutto il popolo. leconomia dellincarnazione, cui Ges e il vangelo sottostanno: luniversale mediato dal singolare, la parte sacramento del tutto. La creatura limitata nello spazio e nel tempo. La sua condizione di limite si supera nella trasmissione dellannuncio, che dilata lo spazio della comunit fino agli estremi confini della terra e apre il tempo alleternit. v. 11: fu partorito oggi per voi un salvatore. il centro dellannuncio, che porta ancora a quelloggi chi lo sente. lenigma di Luca: come pu oggi nascere un passato; come pu nascere oggi colui che senza principio e senza fine? Loggi di cui si parla quello eterno di Dio, donato a noi nella vita di Ges. Lannuncio ce lo presenta, la fede ci fa entrare in esso. La Parola ci attualizza allevento. Sette volte nel Vangelo di Luca si parla di questoggi. Stiamo attenti a non indurire il cuore, non cadere nella disobbedienza e, finch dura questoggi, affrettiamoci a entrare in quel riposo (Eb 4,11; cf. Eb 3,7-4,11). Il nocciolo, pi che la nascita storica di Ges, descritta precedentemente, il racconto/annuncio di essa. Esso risuona ancora oggi. Chi laccoglie con fede viene condotto coi pastori a vedere che oggi nato per lui il Salvatore, come stato detto. Luca sviluppa pi lannuncio che il fatto. Non perch questo sia trascurabile - sono i fatti a salvarci, non linterpretazione - ma perch limportante che noi giungiamo oggi al fatto mediante lobbedienza di fede nellannuncio. Cera una volta nel deserto una carovana che marciava verso occidente. Una voce risuon dallalto: Se andate verso occidente, questa stessa sera cadrete di spada per mano dei predoni. Se invertirete marcia, troverete a oriente una grande oasi, dove si far festa. Tutti udirono la voce. Gran parte la irrise: Assurde allucinazioni del deserto!. Molti rimasero perplessi, divisi tra desiderio e timore. Pochi dissero: Vediamo se vero. I primi, gli increduli, continuarono a camminare verso occidente e caddero trucidati dalla spada dei predoni. I secondi, gli intellettuali, rimasero paralizzati dal dubbio se fosse sensato o no ascoltare una voce dal cielo. Cal la sera, morirono e furono preda degli avvoltoi grandi del deserto. Gli ultimi ascoltarono la voce, e fecero festa. Lannuncio efficace solo per chi lo ascolta e cambia direzione. guida alla realt annunciata. Per chi non ascolta, efficace allincontrario. Dio opera sempre quello che dice la sua parola: anche e soprattutto limpossibile, suo contenuto specifico. Ma la nostra obbedienza di fede che ci mette in moto per vedere la verit di ci che dice. Chi disobbedisce pu sempre dire: Vedi che non vera la Parola? Lannuncio non riguarda la salvezza, unidea astratta delluomo, bens un salvatore, una persona concreta. Questo salvatore non sar solo il Messia, linviato di Dio, ma Dio stesso, il Signore. Impossibile: oggi nato Dio!. v. 12: questo per voi il segno: troverete un bambino. (cf. Is 7,14; 9,5). Lannuncio ci racconta la nascita di Ges - anticipo della sua morte e di tutta la sua vita - come segno: la carne del Nazareno, la

sua storia concreta, il segno definitivo della salvezza che Dio ha offerto e offre oggi e sempre a ogni uomo che capisce e accoglie lannuncio. Il bambino il segno stesso di Dio. Per capire che lui, allanselmiana definizione come colui del quale non si pu pensare nulla di pi grande, da contrapporre quella evangelica: Dio colui del quale non si pu pensare nulla di pi piccolo. Infatti il pi piccolo tra voi, questi il pi grande (9,48), Dio stesso. La grandezza dellamore consiste nel farsi piccolo per lasciar spazio a tutti e proprio la sua piccolezza estrema dimostra la grandezza di chi si fa solidale con tutti, cominciando dallultimo. Il bambino di Betlem non diventer mai grande, ricco, sapiente e potente. Crescer solo nella sua piccolezza. La sua nudit, sulla croce, sar solo pi grande. Su questo presepe tutto il cielo celebra la sua liturgia celeste. Si solleva il lembo del manto di Dio: vediamo la sua gloria, che a lui viene resa sulla terra. Nella fede terra e cielo si specchiano in ununica festa. giunta finalmente la pace promessa agli uomini, a tutti gli uomini, perch egli li ama. Qui il luogo dove si compie la volont di Dio come in cielo, cos in terra. Tolta ogni distanza tra Dio e uomo, la sua altezza si abbassata perch lo possiamo raggiungere, la sua grandezza si concentrata nel bambino perch lo possiamo abbracciare. v. 15: Andiamo e vediamo. Seguendo lannuncio i pastori intraprendono il cammino di fede, esemplare per ogni credente, che li porter a glorificare e lodare Dio per tutto quello che hanno udito e visto, come era stato detto loro (v. 20). Senza obbedienza non si pu ovviamente verificare loggetto dellannuncio. Ad essa i pastori si incoraggiano lun laltro: Andiamo e vediamo questa parola che accaduta e il Signore ha notificata a noi. Lannuncio muove i piedi per vedere il fatto che la parola ha reso noto. Prima c ludire, poi landare, poi il vedere. Lannuncio trova la sua verifica nellobbedienza della fede e questa ha la sua origine nella parola annunciata con cui il Signore ha fatto conoscere il fatto salvifico. La certezza che tale parola comporta indeducibile con ragionamenti: unapertura del cuore che il Signore opera (At 16,14), una trafittura che accompagna lannuncio (At 2,37); perch la parola di Dio viva, efficace (Eb 4,12) e porta ad accoglierla non quale parola di uomini, ma, come veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete (1Ts 2,13). Tutti possiamo giungere a questa fede, perch siamo fatti a immagine di Dio, e la sua Parola in noi trova subito risonanza. Bisogna per superare le resistenze e schiavit della menzogna che ritarda e lega la nostra accoglienza della Parola, in modo che andiamo e vediamo ci che abbiamo conosciuto. v. 16: E andarono in fretta. I pastori, che vanno senza indugio, sono modelli di fede. Essa porta speditamente alla scoperta di ci che gi avvenuto. Il fatto, anche se rivelato dallannuncio, senza fede resta nascosto. Solo questa lo fa scoprire. v. 17: Ora visto, notificarono circa la parola che, ecc.. I pastori vedono la realt di ci che il Signore ha fatto loro conoscere. Ed tanto importante che non possono trattenersi dal renderlo noto agli altri. Chi crede, sperimenta che vero ci che crede. Se credo a chi mi dice: Il pranzo pronto e vado a mangiare, vedo, se vero, che vero ci che mi ha detto. I pastori hanno ricevuto lannuncio, hanno creduto e hanno visto; ora annunciano a loro volta. Ci che gli angeli hanno fatto in cielo, i pastori continuano a farlo sulla terra: diventano angeli, mediatori della parola, per portare altri a vedere ci che Dio ha promesso. Si profila la dinamica missionaria della chiesa: lannuncio porta allascolto, lascolto alla visione. A sua volta, chi ha visto porta ad altri lannuncio, perch attraverso lascolto giungano alla visione e quindi ancora allannuncio, fino agli estremi confini della terra (At 1,8). v. 18: E tutti... si stupirono. La prima reazione al loro annuncio meraviglia. il primo gradino di un cuore che si apre ad accogliere qualcosa di nuovo, per lui incredibile. la prima reazione positiva, di colpo accusato, nei confronti dellannuncio di tutti quelli che ascoltano.

v. 19: Ora Maria conservava tutte queste parole. Maria viene presentata come il credente che, pur conoscendo bene i fatti, non pu mai prescindere dalla parola ascoltata. Essa contiene sempre misteri pi profondi da vedere. Per questo conserva queste parole, le serba con s come un tesoro intimo nel suo cuore - dove il vostro tesoro, l sar anche il vostro cuore (12,34) - e le confronta, le medita e le incontra (cf. 1,66; 2,51). Tutto il Vangelo presenter queste parole da ascoltare, accogliere, conservare, incontrare, misurare, comprendere, combinare fra loro, in una crescita continua che fa germinare la pienezza del dono, i misteri stessi del regno di Dio (8,10). La nostra visione viene dallascolto di queste parole e sar sempre frammentaria, come in uno specchio, in maniera confusa. Solo alla fine sar ricomposto nel nostro cuore quel volto che vedremo faccia a faccia (1Cor 13,12). v. 20: glorificando e lodando Dio. Nei pastori che ritornano glorificando Dio vediamo la prima comunit degli Atti che si riunisce dopo lascensione, quando si chiude il cielo che qui si apre. La loro vita diventa un ritorno (parola quasi esclusiva di Luca, 22 volte nel Vangelo e 11 negli Atti, contro le sole 5 volte in tutto il resto del NT). il ritorno delluomo a se stesso, il ritorno al Padre, compiuto nel cammino di Ges, il Figlio che ci venuto incontro. I pastori hanno udito e creduto, quindi hanno visto ci che hanno udito. Diventeranno a loro volta Angeli, annunciatori di questa gioia che per tutto il popolo. il cammino al quale Luca vuol portare il suo lettore: da un ascolto sempre pi ordinato e attento a una visione sempre pi profonda del volto di Dio, da comunicare ai fratelli. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera, come al solito. b. Mi raccolgo immaginando i pastori e seguendoli nel loro cammino. c. Chiedo ci che voglio: credere e obbedire allannuncio per sperimentarlo e comunicare ci che ho sperimentato. d. Contemplo la scena, vedendo e ascoltando. Da notare: - lannuncio ai pastori - i pastori si incoraggiano ad andare a vedere - verifica dellannuncio e annuncio della propria esperienza. 4. Passi utili Sal 19; 147,12-20; 1Gv 1,1-4.

10. ORA SCIOGLI...


(2,21-38)
21

E quando furono compiuti

otto giorni per circonciderlo, allora fu chiamato il nome suo Ges, come chiamato dallangelo prima che fosse concepito nel ventre. 22 E quando furono compiuti i giorni della loro purificazione, secondo la legge di Mos, lo condussero a Gerusalemme per presentarlo al Signore, 23 come scritto nella legge del Signore, che ogni maschio che apre la vulva, santo per il Signore sar chiamato, 24 e per dare in sacrificio, secondo quanto detto nella legge dei Signore, una coppia di tortore o due pulcini di colomba. 25 Ed ecco: cera un uomo a Gerusalemme, di nome Simeone, - e questuomo era giusto e pio, in attesa della consolazione dIsraele e lo Spirito era santo su di lui, 26 e gli era stato rivelato dallo Spirito santo, che non avrebbe visto la morte prima di vedere il Cristo dei Signore. 27 E venne nello Spirito al tempio, e, mentre i genitori introducevano il bambino Ges per fare con lui secondo quanto costume della legge, 28 allora egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio e disse: 29 Ora sciogli il tuo servo, o padrone, secondo la tua parola in pace, 30 perch videro i miei occhi la tua salvezza, 31 che preparasti in faccia a tutti i popoli, 32 luce per illuminare le nazioni e gloria del tuo popolo, Israele. 33 Ed erano il padre suo e la madre sua meravigliati di quanto si diceva di lui. 34 E li benedisse Simeone e disse a Maria sua madre: Ecco: egli qui

per la caduta e per la risurrezione di molti in Israele, e per segno contraddetto 35 - e la tua stessa vita trapasser una spada! in modo che siano rivelati i ragionamenti di molti cuori. 36 E cera Anna profetessa, figlia di Fanuele, della trib di Aser, - avanzata in molti giorni, avendo vissuto con un uomo per sette anni dopo la sua verginit 37 e vedova fino a ottantaquattro anni e non abbandonava il santuario, con digiuni e suppliche rendendo culto notte e giorno. 38 E, sopraggiunta in quellora stessa, celebrava Dio e parlava di lui a tutti quanti attendevano il riscatto di Gerusalemme. l. Messaggio nel contesto Dopo la presentazione del pastore ai pastori, del Salvatore, Cristo e Signore agli umili, c quella ufficiale di Ges al popolo cui fu data la legge (vv. 22.23.24.27.39), il tempio (vv. 22.27.37) e la profezia (vv. 25.26.27.28.34). Il tempo che intercorre tra lannuncio a Zaccaria e la presentazione al tempio di 490 giorni, 70 settimane. Si compie il tempo predetto da Daniele, che segna il passaggio dalla promessa-attesa alla realizzazione-compimento (Dn 9,24). Legge, tempio e profezia sono le tre figure di colui che doveva venire. Egli Parola fatta carne, Gloria di Dio e suo stesso volto. La sua prima venuta a Gerusalemme segna la soglia del passaggio dalleconomia dellattesa a quella del compimento. Termina il corso della notte, trepida attesa del giorno, e comincia il corso del sole. Lumile entrata di Ges al tempio, che compie la parola della legge, da ricollegare alla terribile visione di Ml 3 sulla visita definitiva del Signore e del suo giudizio. Ora possiamo chiamare per nome il Nome (v. 21), in colui che compie la legge (vv. 22-24): nella forza dello Spirito, Simeone riconosce il Signore e profetizza, dopo aver cantato la gioia dellattesa compiuta. Ora, Simeone, figura dellAT e di ogni uomo, pu morire in pace. La paura della morte vinta, perch c la memoria di un Dio bambino che morir. La memoria mortis non fa pi paura e si trasforma in una ars vivendi nella pace, perch finalmente possibile trovare Dio nel proprio limite (vv. 25-35). C infine il riconoscimento da parte di Anna, la vedova che trova lo sposo di Israele (vv. 36-38). 2. Lettura del testo v. 21: E quando furono compiuti otto giorni per circonciderlo, ecc.. La circoncisione marca lappartenenza al popolo che si impegnato con Dio a riconoscerlo come Dio. A tale alleanza Israele,

come ogni uomo, sempre stato infedele. Ma non per questo Dio viene meno alla sua parola. Daltra parte, se luomo venuto meno, anche lui impossibilitato a mantenere il proprio impegno, perch un contratto tra due parti libere, di cui una lo rifiuta. Dio, nel suo amore, soddisfa lui stesso linadempienza della controparte: Ges, vero Dio, sar anche il vero Israele. Egli insieme il s delluomo a Dio, che in lui riceve finalmente risposta, e lo stesso s incondizionato ed eterno di Dio alluomo. lunico s totale di ambedue. il nome suo Ges. Pi che sulla circoncisione, Luca porta lattenzione sul nome. Nessuno ha mai visto Dio. Nessuno lha mai conosciuto n tanto meno nominato. il Nome innominabile, origine di ogni nome! Dimmi il tuo nome, domanda Giacobbe (Gn 32,30); Mostrami la tua gloria, chiede Mos (Es 33,18); mostrami il tuo volto, supplicano innumerevoli salmi. Vedere il volto di Dio la salvezza delluomo, che ritrova il suo volto. Dire il nome di Dio ritrovare il Nome che sostanzia ogni nome: trovare quel tu che fa esistere ogni io. Il desiderio di tutte le religioni dare un volto e un nome a Dio. Ora possiamo nominare Dio, perch lui si fatto concepire e si donato a noi. Quello che il pi grande desiderio delluomo, trova ora soddisfazione. Che sorpresa dare il nome a colui che d il nome a tutto, chiamare per nome colui che dal nulla ha chiamato tutte le cose e le ha fatte esistere! Chiamare per nome una persona significa che essa esiste per me e io per lei: lesistere uno per laltro, entrare in comunione. Ora, mediante questo nome, si stabilisce il rapporto definitivo tra Dio e luomo: luomo esiste per Dio perch Dio esiste per luomo. Inizia il dialogo e lesistenza nuova. Il nome di Dio per luomo non pu essere che Ges, cio Dio salva, sia perch nominare Dio la salvezza delluomo, sia perch luomo perduto e pu conoscere Dio solo come colui che lo salva. Quel Dio che ci faceva paura, perch santissimo, pu essere nominato in ogni luogo di perdizione e di disperazione, perch Salvatore. Non occorre essere giusti e santi, perch nessun uomo giusto davanti a Dio. Gli unici a chiamare Ges per nome sono, oltre ai demoni, i lebbrosi (17,13), il cieco (18,38) e il malfattore (23,42). Dio per noi perduti e lontani da lui, perch si chiama Ges, Dio-connoi e Salvatore. Luca lascia intravedere la dolcezza del poter chiamare Dio per nome, la soavit, la potenza e la luminosit di questo nome, Ges. Ma quale gaudio anche per Dio, essere finalmente chiamato per nome dalluomo. Colui che amore, ha la gioia di essere chiamato da colui che ama. Il nome di Ges la dulcis memoria delluomo. Per capire questo nome, utile leggere il Sal 119, mettendolo al posto del sostantivo parola e sinonimi: tutta una variazione sul tema della dolcezza e luminosit di tale nome. v. 22: lo condussero a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Il Signore visita il suo tempio. Giorno tremendo per luomo (cf. Ml 3), inadempiente nei suoi confronti. Ma viene con la debolezza di un bambino e non per giudicare linosservanza della legge, bens per sottoporsi egli stesso come uomo allobbedienza al Padre cui abbiamo disobbedito. Viene a pagare il nostro debito, offrendosi a colui che tutto ha offerto. Non che Dio esiga il sacrificio delluomo alla propria maest: questa la menzogna di Adamo e di tutte le perversioni religiose! Presentandosi a lui, luomo restituito a se stesso. Ogni primogenito suo. Non nel senso che lui lo voglia per s, ma che lui lo dona. Dio non una sorgente che ingoia acqua! datore di vita. Presentarlo a lui significa riconoscere da lui il dono della vita e in lui la vita stessa come dono, per potervi attingere in abbondanza. vv. 25-28: Simeone... lo accolse fra le braccia, ecc.. Simeone, che significa Dio ha ascoltato, luomo che ascolta la parola di Dio ed giusto e pio. A lui lo Spirito promette di vedere il messia del Signore, la consolazione di Israele (cf. Is 40,1; 32,1), ladempimento della parola di Dio. Tre volte si nomina lo Spirito santo in rapporto a Simeone. Come in tutti i profeti, lo Spirito era su di lui. Per questo uno che ascolta la Parola, mette Dio al primo posto ed proteso ad accogliere la consolazione. Lo Spirito gli testimonia che non avrebbe visto la morte prima di aver contemplato colui

che dona a chi lo vede di non gustare la morte in eterno. Diretto da questo Spirito viene a incontrarlo. Pu finalmente abbracciarlo. Le braccia di Simeone sono le braccia secche e bimillenarie di Israele che ricevono il fiore della vita. La sua voce un grido di gioia, soffocata da unattesa lunghissima, che finalmente esplode: un grido pacato e incontenibile, il dilagare di un fiume che rompe largine, il fiato di tutta lumanit, trattenuto nella paura mortale, che ora si rilassa. vv. 29-31: Ora sciogli il tuo servo, o padrone, ecc.. il canto che si prega a compieta, punto darrivo della liturgia del giorno. Nella notte che cala si innalza linno di vittoria sulla notte. Luomo, tenuto schiavo in vita per paura della morte - in una vita insufficiente e angosciata - ora sazio di vita. Pu ritirarsi soddisfatto dal banchetto. Ha visto il Salvatore. Ora lo sciogliersi della vita pu avvenire in pace. Lineluttabile, che prima angustiava, pu ora avvenire nella gioia. La paura della morte - la paura stessa di Dio che vita! - si dissolve come nebbia al sole. Ora luomo vecchio, al limite dei suoi giorni, non pi ghermito dalle ombre della morte, ma abbraccia nelle sue ossa secche colui che d la vita. Solo lincontro con lui pu sanarci dal veleno della morte. Levento, prima tragico perch distruzione di tutto, ora diventa nostalgia di un ritorno. Gli occhi di Simeone non vedono pi le tenebre davanti a s, ma laurora della vita, la salvezza di Dio (v. 30). Solo chi incontra Ges salvatore pu morire in pace, e quindi vivere anche in pace. la sorpresa di uno che, affamato davanti a una porta chiusa, dietro alla quale immagina un abisso di tenebra, allaprirsi della porta vede una sala illuminata, con uno splendido banchetto imbandito. Alza tranquillo il piede, scioglie il passo e partecipa alla festa. La salvezza preparata da Dio in faccia a tutti i popoli (v. 31). Non solo per Israele. una luce per tutte le genti che siedono nelle tenebre e nellombra di morte (1,79; cf. Is 42,6; 49,6). Questa la gloria di Israele (v. 32), che santifica il nome di Dio e riverbera sul proprio volto la gloria del suo volto. v. 33: Ed erano il padre suo e la madre sua meravigliati, ecc. . Con stupore Maria e Giuseppe, come ogni lettore del Vangelo, ascoltano il canto di Simeone. v. 34: egli qui per la caduta e la risurrezione, ecc. . Simeone, lAT giusto e timorato di Dio, che attende e riconosce il Messia, anche in grado, mosso dallo Spirito, di predirne a Maria il destino. Ges comprensibile ancora oggi a noi solo a partire dallAT. Il bimbo sar insieme causa di caduta e di risurrezione per le moltitudini di Israele. Porta infatti una salvezza inaccettabile per tutti. Scandalo e follia, un segno contraddetto, che contraddice ogni pensiero delluomo. Per questo tutti gli sono contro, si scandalizzano di lui e cadono. I discepoli per primi. Ma lui salvatore di tutti coloro che sono caduti. qui adombrato il mistero della morte e risurrezione del Signore, che come spada attraverser il cuore di ogni discepolo e di tutta la chiesa, di cui Maria figura. Questo mistero vivr di continuo nella storia del discepolo che ripercorre il suo stesso cammino dalla croce alla gloria. vv. 36-38: E cera Anna profetessa, ecc. Anna (= favore di Dio) di Fanuele (= volto di Dio) della trib di Aser (= buona fortuna) ha per grazia di Dio la buona fortuna di vederne il volto in Ges e riconoscerlo. molto avanzata negli anni. Vedova dalla giovinezza, figura sia dIsraele che di tutta lumanit che ha perso lo sposo e vive una vita vuota, esiliata dal volto del suo desiderio. Ma non lascia mai il tempio e continua ad attendere e cercare, con digiuni e preghiere, con dolore e desiderio, notte e giorno. Lincontro avviene in quellora in cui Simeone predice la croce, lora della contraddizione. qui che Dio si presenta definitivamente al suo popolo, offrendosi in contemplazione a tutti (cf. 23,48). 3. Preghiera del testo

a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il tempio. c. Chiedo ci che voglio: la gioia di chiamare Ges per nome e di incontrarlo, (con timore e amore). d. Punti su cui riflettere: - la circoncisione - il nome suo Ges - la presentazione al tempio - lincontro con Simeone - il canto di Simeone - il segno contraddetto - lincontro con Anna. 4. Passi utili Es 3,13-15; Sal 119; Ml 3.

11. NELLE COSE DEL PADRE MIO BISOGNA CHE IO SIA


(2,39-52)
39

E quando ebbero finito quanto secondo la legge del Signore, ritornarono nella Galilea nella loro citt, Nazareth. 40 Ora il bambino cresceva e si fortificava riempiendosi di sapienza e la grazia di Dio era su di lui. 41 E andavano i suoi genitori ogni anno a Gerusalemme nella testa di Pasqua. 42 E quando fu di dodici anni, saliti essi secondo luso della festa 43 e finiti i giorni, mentre essi ritornavano, resistette Ges il figlio/servo a Gerusalemme e non seppero i suoi genitori. 44 Ora, pensando che egli fosse

nel cammino con gli altri, fecero il cammino dun giorno e lo cercavano tra parenti e conoscenti; 45 e, non trovatolo, ritornarono a Gerusalemme, cercandolo. 46 E avvenne dopo tre giorni che lo trovarono nel santuario seduto in mezzo ai maestri e li ascoltava e li interrogava. 47 Ora erano fuori di s tutti quanti lo udivano per la intelligenza e le sue risposte. 48 E vistolo, furono colpiti e disse a lui sua madre: Figlio, perch facesti a noi cos? Ecco: il padre tuo e io travagliati ti cercavamo. 49 E disse a loro: Perch dunque mi cercavate? Non sapevate che nelle cose del Padre mio bisogna che io sia? 50 Ed essi non compresero la parola che disse loro. 51 E discese con loro e and a Nazareth ed era subordinato a loro. E sua madre conservava tutte le parole nel suo cuore. 52 E Ges progrediva in sapienza e in statura e in grazia presso Dio e uomini. 1. Messaggio nel contesto Con la presentazione dellatteso a Israele, destinato a presentarlo a tutti i popoli, Luca termina dintrodurre il lettore nellAT. Anche lui ora in grado di accogliere, vedere, abbracciare e lodare Dio, identificandosi con le figure di Maria, dei pastori, di Simeone e di Anna. Di Ges sappiamo gi che il Figlio di Dio (1,32-35), Figlio dellAltissimo (1,32), salvatore (v. 11), Cristo Signore (v. 11), luce delle genti e gloria di Israele (v. 32), il contraddetto e la spada (vv. 34.35), la consolazione e la redenzione di Israele (vv. 25.38). Ora si racconta come tutto ci si riveler nel corso

della sua vita narrata nel seguito del Vangelo. Essa si svolger come un pellegrinaggio a Gerusalemme, dove la sua sapienza lo porta e lo trattiene necessariamente, per essere Figlio in obbedienza al Padre. Il racconto anticipa il viaggio pasquale di Ges. Luca, dopo aver delineato la preistoria attraverso le linee portanti della promessa, traccia con vigorosa prospettiva un disegno del suo futuro, rivelandoci la follia della sua sapienza, che lo porter allimpotenza che ci salva. I tre giorni di smarrimento a Gerusalemme sono il preludio della sua morte e risurrezione. A questa rivelazione folgorante del mistero di Ges nel tempio, fa da cornice il mistero della sua vita umile e quotidiana di Nazaret, sua scuola di sapienza. Il tema dominante la sapienza, nominata allinizio e alla fine (vv. 40.52) e descritta nel mezzo (vv. 46.47): la sapienza del Figlio, opposta a quella di Adamo e che consiste nellobbedienza al Padre (v. 49). Lo intratterr tre giorni a Gerusalemme, per rispondere alle Scritture. Il mistero di Gerusalemme racchiuso in quello di Nazareth, come senso nascosto e cuore di ogni quotidianit. 2. Lettura del testo vv. 39-40: E quando ebbero finito quanto secondo la legge, ritornarono nella Galilea, nella loro citt, Nazareth, ecc.. Con la presentazione e il riconoscimento di Ges terminata leconomia della Legge. Non perch non sia pi valida, ma perch finalmente stata portata a compimento. Caduto lultimo diaframma che blocca luscita, la galleria transitabile. Ges fa il contrario di quanto ha fatto Adamo, e anche Israele: ascolta il Padre e gli obbedisce. Cos compie leconomia della legge data al servo disobbediente e inaugura leconomia della grazia, propria del Figlio obbediente al Padre. In questa economia nuova Ges torna a Nazareth e vi rimane trentanni. una generazione, una vita, riscatto di ogni generazione e di ogni vita nella sua quotidianit. Nazareth, come ogni altro mistero, non nascondimento, bens rivelazione di Dio. I Vangeli nulla o quasi ci dicono di questi trentanni, come i libri nulla o quasi dicono della vita quotidiana di tutti gli uomini. L il Signore ha imparato: a essere abbracciato e baciato, allattato e amato, a toccare e parlare, a giocare, camminare e lavorare, a condividere i minuti, le ore, le notti e i giorni, le feste, le stagioni, gli anni, le attese, le fatiche e lamore delluomo. Nel silenzio, nel lavoro, nellobbedienza alla parola, in comunione con Maria, Giuseppe e i suoi parenti, Dio ha imparato dalluomo tutte le cose delluomo. Il mistero di Ges a Nazareth il grande mistero dellassunzione totale della nostra vita da parte di Dio: ci ha sposato in tutto, facendosi ununica carne con ogni nostra situazione concreta. Nazareth il mistero che redime la creaturalit dallinsignificanza del suo limite. Nel limite del tempo incontriamo leterno, nel limite dello spazio troviamo linfinito. Il silenzio di Nazareth il mistero pi eloquente di Dio. Ges cresce, si fortifica e si riempie di sapienza sotto la chris di quel Dio al quale ogni uomo si era sottratto fin dal principio. vv. 41-42: quando fu di dodici anni, saliti essi secondo luso alla festa, ecc.. Tre volte lanno le celebrazioni richiamano a Gerusalemme i pellegrini: a Pasqua, a Pentecoste e ai Tabernacoli. Chi lontano pu andarci una sola volta. Ges si inserisce nellobbedienza della sua famiglia alla legge del Signore e va a celebrare la sua Pasqua. Era gi stato al tempio 12 anni prima per essere offerto a Dio (2,22). Ora ritorna. Fino a 13 anni il bambino minorenne, figlio dei suoi genitori che lhanno ricevuto in dono. Devono insegnargli la parola che lo rende figlio di Dio, unico Padre. Dai 12 ai 13 anni c il tirocinio definitivo e poi diventa adulto, figlio della legge, tenuto, come i suoi genitori, a conoscere e compiere la volont di Dio. Luomo diventa la parola che ascolta. Questa ha il potere di generarlo a una vita pienamente umana, dopo che la madre lha generato come infante. Lascolto della parola di Dio rende luomo libero e responsabile, capace di entrare in dialogo con lui. Il grado di maturit e di libert dato dal conoscere e

compiere la volont di Dio. Qualcuno non mai adulto e libero, rimane sempre piccolo, in dialogo solo coi propri bisogni. Ges adempie lobbligo del pellegrinaggio con un anno di anticipo, mosso dallo stesso desiderio che lo spinger a Gerusalemme per mangiare la sua pasqua (cf. 22,15; 12,50). Tutta la sua vita sar una salita, un pellegrinaggio. Nel suo cammino viene riportata davanti al volto di Dio tutta lumanit, misera, fuggiasca e perduta, che lungo il suo cammino ha incontrato. v. 43: resistette Ges, il figlio-servo, a Gerusalemme. Finiti i giorni della Pasqua, Ges non torna indietro. Gli altri dovranno tornare indietro per incontrarlo. La Pasqua per gli uomini una fugace presentazione a Dio per ritrarsi indietro. Ges invece, il servo, resistette in Gerusalemme. Persevera l dove gli altri subito fuggono perch il pas, il servo obbediente. Ma il mistero del suo resistere a Gerusalemme, non riconosciuto dai suoi. Solo dopo la sua risurrezione, e solo dopo che avr loro spiegato tutto, sar finalmente riconosciuto allo spezzare del pane (24,35). v. 44: e lo cercavano, ecc.. I suoi non possono non pensare che lui sia nel cammino con gli altri, come le donne al sepolcro cercheranno tra i morti colui che vivo (24,5). Ma le sue vie non sono le nostre vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri (Is 55,8). Ges non si trova tra i parenti secondo la carne, perch i suoi parenti sono coloro che ascoltano la parola di Dio (8,21). Non si trova neanche tra i conoscenti, perch il suo mistero, che solo il Padre conosce, nascosto a coloro che sanno e rivelato agli infanti (10,21). v. 45: e non trovatolo, ecc.. lo smarrimento di chi non trova colui che non pu non cercare, langoscia delle donne al sepolcro, che non trovano il corpo del Signore. Non lo si ritrova finch lo si crede nello stesso cammino degli altri che si allontanano da Gerusalemme, nella fuga da Dio che costituisce la parentela di ogni carne. Per trovarlo bisogna invertire il cammino, far ritorno l dove lui solo ha resistito, convertirsi al suo stesso cammino verso Gerusalemme, dove alla fine lo si trova. vv. 46-47: lo trovarono nel santuario. Il figlio perduto ritrovato dopo tre giorni nel santuario, nella gloria di Dio, seduto, ormai arrivato al termine della fatica, che solennemente ammaestra nella parola di Dio coloro che della Parola erano i maestri. Lui, il servo che resiste tre giorni a Gerusalemme, la sapienza che interroga e d risposta alla promessa di Dio. Il crocifisso risorto risposta a tutte le Scritture: di lui hanno parlato la legge, i profeti e i salmi (24,44), del suo esodo hanno dialogato Mos ed Elia (9,30s.). Ges per noi la parola viva del Vangelo che ascolta e interroga la promessa dellAT, dando una risposta piena di sapienza che stupisce tutti. Quella ricerca senza risultato dei tre giorni, quellinterrogativo senza risposta della passione - Ges che tace e non risponde nulla! - trova risposta in questo dialogo del Risorto con la promessa di Dio. v. 48: e vistolo, furono colpiti, ecc.. Al vederlo i suoi rimangono colpiti (cf. 24,22) e gli raccontano tutto il dolore della perdita e lansia della ricerca. Come i discepoli di Emmaus, non hanno ancora capito che bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria (24,26). Pure il discepolo associato al suo cammino; per questo lo trova solo convertendosi verso Gerusalemme. v. 49: Perch dunque mi cercavate? Non sapevate, ecc.. Ges non rimprovera per la ricerca. Rimprovera per il modo, proprio di quelli che non sanno e non capiscono il disegno del Padre. Qui Ges nomina per la prima volta il Padre, al quale si rivolger direttamente nellinno di lode perch si fa conoscere agli infanti (10,21s) e nella consegna di s che far sulla croce (23,46). La prima e ultima parola di Ges Padre (qui e 23,46). La paternit di Dio fa da inclusione a tutto il Vangelo; Ges venuto a liberare in noi la parola Abb, per riportarci, nellobbedienza e nellamore,

alla conoscenza della verit che salva (cf. 10,21 s; 11,1s). Lui deve occuparsi delle cose del Padre, perch il Figlio che ascolta e risponde a ci che il Padre ha detto. Le cose del Padre rappresentano la sua volont, in cui il Figlio obbediente abita di casa, fino ad essere lui la Parola del Padre. Nel suo pellegrinaggio, definitivamente concluso presso il Padre che ascolta e al quale risponde, aperto a noi il cammino che ci porta verso la gloria dalla quale ci eravamo allontanati. Del mistero del Figlio che resiste a Gerusalemme hanno parlato tutte le Scritture: lui le ha ascoltate ed esse in lui trovano risposta. La promessa fatta a Israele compiuta. La sapienza di Ges, nuovo Adamo, non quella del sospetto e della paura, del nascondimento e della fuga, ma del resistere nellascolto, interrogando e rispondendo pienamente a quanto udito: il servo-figlio obbediente, che si abbandona con fiducia al Padre, ne compie la parola, ne la Parola perfettamente eseguita e per questo come il Padre che conosce e ama. In lui anche a noi dato accesso allintimit del dialogo ineffabile Padre-Figlio, rivelato agli infanti (10,21). v. 50: Ed essi non compresero, ecc.. I suoi non compresero il fatto. ancora lungo il cammino. Siamo solo allalba del giorno. v. 51: E discese con loro, ecc.. A differenza di Samuele in Silo (1Sam 2,11), Ges non resta a Gerusalemme nel tempio. Ritorna a Nazareth, nel normale cammino degli uomini. L incontrer tutti i perduti e raccoglier tutta lumanit per riportarla presso il Padre. La sua vita quotidiana, la sua storia concreta, sar ormai il nuovo tempio, luogo della rivelazione di Dio. Ges ormai per sempre presso di noi e presso il Padre, lunico nostro fratello e suo figlio unico. E sua madre conservava, ecc. . Maria, che ancora non capisce, modello della chiesa: Custodisce attraverso il tempo (questo il significato di diateren) questi detti, come un seme che crescer. Dopo aver portato il Figlio nellutero, ora lo porta nel cuore e diviene realmente madre (cf. 8,21; 11,28), come la chiesa. Questa gestazione spirituale del cuore, tende a formare la statura piena del Cristo ( cf. Ef 4,13), quando per lui Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28). Maria tratteggiata in questi due capitoli (cf. anche 8,19ss e 11,27s) come lideale del credente. Nel suo modo di rapportarsi alla Parola, si vede traccia del metodo catechetico antico. Come lei anche il catecumeno non comprende subito il grande mistero dei tre giorni di Ges col Padre. E come lei custodisce nel cuore le parole, le impara a memoria, anche se la loro comprensione ancora gli sfugge. In questo ricordo costante della Parola accolta, il cuore progressivamente si illumina nella conoscenza del Signore. Da questo punto Maria quasi scompare dalla scena; viene sostituita dalle folle e dalle varie persone che sono chiamate a ripercorrerne lesperienza per diventare come lei, figura e madre di ogni credente. v. 52: E Ges progrediva, ecc.. Levangelista conclude annotando che Ges progrediva in sapienza e in statura e in grazia presso Dio e uomini. Ora sappiamo qual la sua sapienza: compiere la volont del Padre e resistere a Gerusalemme. La sua statura quella che assumer crescendo nel cuore dei credenti fino alla consegna definitiva del Regno al Padre. La sua grazia il suo essere insieme presso il Padre e presso di noi. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo, immaginando il cammino da Nazareth a Gerusalemme e il tempio. c. Chiedo ci che voglio: conoscere e compiere la volont del Padre.

d. Punti su cui riflettere: - quotidianit di Nazareth e sapienza. - Ges servo/figlio - resistere tre giorni a Gerusalemme - Ges ascolta e interroga - essere nelle cose del Padre. 4. Passi utili Sal 40; 84; Lc 8,19-21; 11,27-28.

12. CHE DUNQUE FAREMO?


(3,1-20)
3 1 Ora nel quindicesimo anno del governo di Tiberio Cesare, essendo governatore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo, suo fratello, tetrarca della regione dellIturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dellAbilene, 2 sotto il sommo sacerdote Anna e Caifa, cadde la parola di Dio su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3 E and in tutti i dintorni dei Giordano, annunciando un battesimo di conversione in remissione dei peccati, 4 come scritto nel libro delle parole di Isaia il profeta: Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via dei Signore, fate diritti i suoi sentieri; 5 ogni burrone sar riempito e ogni monte e colle abbassato, e saranno le cose storte diritte e le impervie lisce, 6 e vedr ogni carne la salvezza di Dio. 7 Diceva dunque alle folle che uscivano

per essere battezzate da lui: Rampolli di vipere, chi sugger a voi di fuggire dallincombente ira? 8 Fate dunque frutti degni di conversione, e non cominciate a dire tra voi: Padre abbiamo Abramo! Dico infatti a voi che pu Dio da queste pietre suscitare figli ad Abramo. 9 Ora gi anche la scure sta alla radice degli alberi: ogni albero dunque che non fa frutto bello reciso e gettato nel fuoco. 10 E lo interrogavano le folle dicendo: Che dunque faremo? 11 Ora rispondendo diceva loro: Chi ha due tuniche faccia parte a chi non ha; e chi ha dei cibi faccia similmente. 12 Ora vennero anche pubblicano per essere battezzati e dissero a lui: Maestro, che faremo? 13 Ora egli disse loro: Niente di pi fate oltre la vostra consegna. 14 Ora lo interrogavano anche soldati, dicendo: Che faremo poi noi? e disse loro: Nessuno vessate n calunniate e contentatevi delle vostre paghe. 15 Ora attendendo il popolo e ragionando tutti nei cuori loro circa Giovanni se per caso non fosse lui il Cristo, 16 rispose a tutti Giovanni dicendo: Io con acqua vi battezzo; ora giunge il pi forte di me, di cui non sono in grado di sciogliere il laccio dei sandali: lui vi battezzer in Spirito santo e fuoco! 17 E il suo ventilabro nella sua mano per ripulire la sua aia e raccogliere il grano nel suo granaio, e la pula invece consumer con fuoco inestinguibile. 18 Con molte e diverse cose consolando

evangelizzava il popolo. 19 Ora Erode il tetrarca, rimproverato da lui per Erodiade, la donna di suo fratello, e per tutte le cose cattive che fece Erode, 20 aggiunse anche questo a tutte: rinchiuse Giovanni in prigione! 1. Messaggio nel contesto Giovanni il prototipo delluomo che Dio si preparato per stare davanti al suo volto, che Ges, e per aprirne agli altri la via di accesso. la persona pronta ad accogliere il Signore che viene. Sintesi vivente dellAT, in lui vediamo la caratteristica fondamentale di tutta la storia dIsraele: lattesa. Frutto di una fede assoluta nella promessa, la condizione indispensabile per il compimento. Dio ha tanto tardato a compiere la sua promessa, perch aspettava di essere atteso da qualcuno. Se non atteso, non pu venire; e, se viene, come se non fosse venuto. Chi attende tende a ci che ancora non c. Giovanni tutto proteso verso il futuro di Dio e chiama gli uomini a rompere i loro equilibri per volgersi ad esso. Egli eccentrico: ha il suo centro fuori di s; il pondus del suo cuore sta nella promessa di Dio. Questo sbilanciamento costituisce la caratteristica fondamentale delluomo in cerca del suo volto perduto: creato a immagine e somiglianza di Dio - sua icona vivente troppo grande per bastare a se stesso, ma anche troppo piccolo per soddisfare il suo bisogno, necessariamente l'homme dpasse l'homme (Pascal). Per questo solo in Dio pu trovare se stesso, ed essere salvo. Il primo annuncio di Giovanni la salvezza universale (vv. 1-6). A condizione per di volgersi a Dio (vv. 7-14). Diversamente si perduti, perch giunto il momento decisivo. Il giorno del Signore, la venuta di Cristo, introduce la storia nel suo senso ultimo (vv. 15-17). La predicazione di Giovanni chiamata consolazione e vangelo (v. 18) e il suo destino sar identico a quello di colui che egli precede (vv. 19-20). Il centro della sua predicazione Is 40, dove si consola il popolo che ormai sta per essere liberato dalla schiavit e lo si esorta a preparare la via del ritorno dallesilio alla patria della libert. La predicazione di Ges invece sar Is 61 (cf. 4,18ss), dove si proclama giunto loggi, in cui questo ritorno avviene. Giovanni e Ges stanno tra loro come AT e NT, come promessa e compimento, come legge (cf. 3,3-17) e grazia (cf. 4,22). Attraverso Giovanni, Luca vuol condurre il cristiano ad accogliere il Signore che viene. Si pu dire che nella figura di Giovanni viene sbalzato un abbozzo di antropologia cristiana: si descrive come si deve comprendere luomo in rapporto al Cristo, il quale viene per donargli la sua vera identit di figlio di Dio. 2. Lettura del testo vv. 1-2a: Ora nel quindicesimo anno del governo di Tiberio Cesare, ecc. . Si parte dalla storia universale profana per concentrare lo sguardo su quella del popolo di Dio. La sua parola accade in questa nostra storia concreta, senza pi distinzione tra sacro e profano. La funzione di Israele non sar sequestrare per s la salvezza, bens offrirla a tutte le genti. Si nominano sette personaggi, pagani e giudei, per indicare attraverso il numero 7 la completezza della storia, non importa se pagana o giudea, perch ambedue sono ununica realt (cf. Ef 2,14). La parola di Dio rivolta a tutti, religiosi o meno: ogni carne chiamata alla conversione per vedere la salvezza (v. 6).

v. 2b: Cadde la parola di Dio su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. In tale contesto di male molti di questi personaggi riappariranno in un meccanismo ben congegnato come attori-autori della passione del Signore! - scese su Giovanni la parola di Dio destinata a tutto il mondo. Il luogo in cui tale parola accade non sono i palazzi delle persone appena nominate, bens il deserto. il luogo vuoto e inabitabile dove luomo trova la verit propria e di Dio. Solo il suo silenzio terreno adatto per accogliere la sua parola. Il deserto richiama lesperienza fondamentale dellesodo, luscita dalla nonidentit e dalla schiavit verso la libert e il servizio di Dio. In esso si formato il popolo, divenuto tale nelle comuni difficolt superate, nella comune meta agognata, nellascolto della stessa parola e nella condivisione dallo stesso cibo. Nel deserto non c nulla che uno possegga pi dellaltro: si necessariamente uguali, senza bagagli ingombranti. Ci che hai in pi ti appesantisce e, se non buttato o condiviso, pu diventare motivo di divisione e di disavventure. Nessuno possiede pi terra di quella rovente che gli brucia sotto i piedi e che cerca di lasciare al pi presto per uscirne. Si cammina insieme verso qualcosa che unisce e non c pi niente o niente ancora che divide. Si tutti necessariamente fratelli, poveri in uguale misura e ricchi solo della solidariet e della speranza comune verso cui camminare per non soccombere. Lunica sicurezza del deserto - non per il nomade, che ne fa la sua dimora stabile, ma per chi non ha rinunciato a cercare una patria! - il futuro. Per questo necessario camminare insieme, uscire da ci che pu imprigionare il piede e significare morte, seguire la direzione giusta. Giovanni abita nel deserto per indicare che lo stato continuo di vita delluomo quello dellesodo: deve uscire costantemente da ogni schiavit e camminare verso la promessa di Dio, senza alcunaltra garanzia che la sua fedelt. Nel deserto cielo e terra sono ugualmente vuoti, tesi di silenzio. Nulla distrae. In questo nulla di ci che c, pu risuonare ed essere udita la parola nuova e creatrice. Il deserto in sintesi la via di Dio, il contrario di quella delluomo che da esso rifugge. Preferisce infatti i sepolcri dEgitto, la fuga dalla libert. Nella dimensione personale, deserto significa uscire da s, disertare dalle proprie false identit, svuotarsi del passato con le sue vertiginose paure e abbandonarsi al novum. Questo esodo interno fa delluomo un essere esodico, in cammino verso il proprio futuro. v. 3: E and in tutti i dintorni del Giordano, annunciando un battesimo, ecc.. Giovanni percorre la regione del Giordano, soglia della terra promessa. Questo dato geografico anche teologico: lo qualifica come ultimo profeta prima del compimento. Egli predica un battesimo. Essere battezzati significa immergersi, andare a fondo. Il battesimo rappresenta il destino di ogni realt umana, che comunque affonda e viene inghiottita dallabisso da cui stata tratta. Il battesimo indica questo riconoscimento del limite proprio della creatura che si riconosce mortale. Allaccettazione della propria morte simbolica, espressa nellimmersione nellacqua, si aggiunge il desiderio di una rinascita, raffigurata dallemersione. Il battesimo quindi accettazione della morte e insieme sua contestazione nel desiderio di vita. segno tipico della condizione delluomo: egli solo riconosce di non essere Dio, perch mortale, ma anche desidera essere come lui, cio immortale, perch creato a sua immagine e somiglianza. Giovanni chiama ad un battesimo di conversione. Non semplicemente un rito. Implica davvero un cambiamento di mentalit e di vita. Questa conversione ordinata alla remissione dei peccati. Luomo non pu espiare il peccato - irreparabile da parte sua! - e neanche deve espiarlo. Il nostro Dio infatti intende liberarci da ogni male e da ogni colpa, bandendo ogni immagine sadica di lui e ogni forma di masochismo da parte nostra. Il male non va espiato: perdonato da colui che ci ama. Dio amore, quindi dono. Il male vinto dal perdono, super-dono eminente del suo amore per noi, in modo che l dove abbond il peccato, sovrabbondi la grazia (Rm 5,20). Limportante riconoscere davanti a lui il proprio peccato. Peccare significa in ebraico fallire il bersaglio, mancare il fine. Luomo peccatore perch, per la suggestione del serpente, ha fallito il proprio fine, deviando da Dio. Bisogna distinguere bene il senso del peccato da quello della colpa. Il

peccato oggettivo, ed nei confronti di Dio. Se ne esce col suo perdono. La colpa invece soggettiva; un senso di fallimento nei propri confronti, che induce a unespiazione, che non redime mai. Se ne pu uscire solo con un corretto senso del peccato, in una esperienza di Dio come amore che perdona. Non un caso che nel nostro tempo, scomparso il senso di Dio e del peccato, sempre pi grande il senso del limite e della colpa. Il limite stesso avvertito come colpa! Talora si arriva addirittura a una diffusa colpa di vivere, che porta a unangoscia mortale. v. 4: Voce di uno che grida nel deserto: preparate, ecc. . Giovanni, conformemente al suo nome (cf. 1,13.60), predica la grazia e la consolazione di Dio. Usa le parole di conforto che il libro di Isaia rivolge al popolo, schiavo in Babilonia e ormai dimissionario da ogni desiderio di libert (cf. Is 40). un grido che si alza in quel luogo della verit delluomo che il deserto. Ed un grido umano, una voce, ma non ancora una parola. Tra noi uomini c distinzione tra voce e parola, in quanto si pu ammettere una voce che non significa nulla essendo separata dalla parola (... ). Allo stesso modo, se il Salvatore, secondo un certo aspetto, la Parola, io penso che Giovanni differisce da lui in quanto la voce rispetto a Cristo che la Parola. Del resto lo stesso Giovanni a indurmi a pensare questo, perch risponde chi egli sia a coloro che lo interrogano: Io sono voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Perch lintelletto possa afferrare la parola significata dalla voce, occorre che prima sia percepita la voce: ed ecco Giovanni nasce prima di Cristo. Noi infatti percepiamo la voce prima della parola. Giovanni poi indica Cristo, cos come la parola significata dalla voce (Origene, In Johan., II, 32). La voce d corpo alla parola, la parola d senso alla voce. Cos ciascuno di noi, come il Battista, deve essere voce la cui parola Cristo. Tutta la storia umana un vociare e un gridare senza senso, che trova in Ges, parola eterna di Dio, il proprio senso e la propria vita. Questo grido intende preparare la via del Signore, la via del ritorno alla libert, patria del desiderio, dove luomo di casa. Questo grido invita anche a fare diritti i suoi sentieri, cio i sentieri di Dio. Come!? Sono forse le vie di Dio storte o tortuose come quelle delluomo? Certamente la via di Dio diritta (Sal 18,31) e anche attraverso il mare. Solo che le sue orme rimangono invisibili (Sal 77,20). Per questo luomo non la conosce e quindi la perde o va storto su questa via (cf. Is 55,8). Raddrizzare la via significa smettere di delirare, per camminare diritti e spediti nel solco della sua promessa, senza tergiversare di continuo nel dubbio e perderci nellinessenziale. v. 5: ogni burrone, ecc.. I burroni riempiti sono le ineguaglianze e le ingiustizie appianate. Sono anche le depressioni, gli abissi di disperazione in cui si trova il popolo che non spera pi. Labisso di ingiustizia sia colmato dalla misericordia delluomo (v. 11) e labisso della disperazione dalla misericordia di Dio. Ci che pi ci blocca nel cammino la sfiducia che il bene che Dio ci promette sia possibile (cf. 1,18.20). La fede, primo dono della misericordia di Dio, colma questo burrone, dando la certezza che avviene ci che impossibile alluomo. Essa infatti non misura la possibilit di Dio partendo da quella delluomo, ma misura la possibilit delluomo partendo da quella di Dio. Ci che possibile a un mio amico, possibile anche a me per mezzo suo. Alla depressione si contrappone lesaltazione, la presunzione e lorgoglio: sono i monti e i colli (Is 2,11ss). Questi sono da rendere bassi e umili, in modo da diventar tapini, come Maria (1,48). Dio infatti guarda i superbi da lontano e resiste loro, mentre vicino agli umili e fa loro grazia (Sal 138,6; 1Pt 5,5). Lumilt la verit delluomo, che terra (homo, humilis e humus hanno la stessa radice!) e in questa sua verit luomo incontra Dio che solo in essa gli viene incontro per salvarlo. v. 6: e vedr ogni carne la salvezza di Dio. Si sottolinea luniversalit della salvezza. Usando carne invece di uomo, lautore sottolinea che si rivolge a ciascuno proprio nella sua fragilit,

debolezza, limite, peccato e morte. A ognuno che sperimenta la precariet del suo essere uomo e la peccaminosit del suo non esserlo, data la salvezza di Dio. v. 7: Rampolli di vipere, ecc.. Giovanni si rivolge alle folle, per convertirle e farne il popolo di Dio. Ci che Mt 3,7 dice dei farisei e dei sadducei, qui si dice di tutti: rampolli di vipere, figli del serpente, generazione velenosa. Tutti noi siamo figli non di Dio, bens per natura meritevoli dira (Ef 2,3). Obbedendo alla menzogna del serpente antico, consideriamo Dio come cattivo e resistiamo al suo amore ignorato. Diventiamo suoi nemici, figli del padre della menzogna (Gv 8,43s). A questa generazione del serpente si contrappone la generazione dei figli di Dio, che seguono Ges nella sua missione: su costoro il veleno del serpente non ha pi potere (cf. 10,19). Per questo alla fine dellopera di Luca, Paolo viene morso da un serpente velenoso e, contro ogni aspettativa, non ne ha alcun danno (At 28,3ss). v. 8: Fate dunque frutti degni di conversione. Per sfuggire allira incombente, necessaria la conversione, non a parole ma coi fatti. Che non si avveri quanto dice il profeta: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore lontano da me. Invano essi mi rendono culto (Mc 7,6s = Is 29,13). I frutti degni della conversione sono quelli dellalbero buono della misericordia di Cristo in cui siamo inseriti (cf. 6,43). Non giova una religiosit di tradizione e di consuetudine (cf. Gv 8,31-59). Non giova essere figli di Abramo secondo la carne! Bisogna esserlo secondo lo Spirito, obbedendo alla Parola, come ha fatto lui, padre di tutti coloro che hanno fede. Comunque Dio sa suscitare dei figli di Abramo anche dalle pietre. Lui sa sciogliere la durezza del nostro cuore, chiuso nella sfiducia e nella superbia, tutto intento ad aggrapparsi e avvelenare quanto tocca e farne un cuore di carne, pieno della sua vita. v. 9: la scure sta alla radice degli alberi. Alludendo forse a Is 10,33s, si smonta la sicurezza di una religiosit, che non regge al giudizio di Dio (cf. Ger 7,1-7; 26,1-19). la religiosit di cui parla Giuda 4, a proposito degli empi che trovano pretesto alla loro dissolutezza nella grazia del nostro Dio. Consiste in una fede senza opere, che Giacomo chiama demoniaca (Gc 2,14-26). Mentre una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro padre questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo (Gc 1,27). Solo dopo aver parlato della salvezza per ogni carne, Luca parla del giudizio. Egli lo scriba mansuetudinis Christi. Cristo salvezza per tutti e non giudica nessuno. Infatti, dice il Signore: Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perch il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3,17) e ancora: Io non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna (Gv 12,47). La condanna semplicemente quella di non accettare la parola di salvezza. La condanna non viene dal Signore, ma dalla nostra empiet (cf. Sap 1,16). Il richiamo al giudizio un pressante appello ad accogliere la salvezza: aprire gli occhi sulla realt negativa in cui ci si trova, un appello a uscirne. Il Battista stesso, svelando senza maschere il male e chiamando alla conversione, insegna a tutti come fuggire dallincombente ira (v. 7) del giorno del Signore, dalla quale non c via di scampo (cf. Am 5,18s). v. 10: Che dunque faremo?. La reazione delle folle esemplare: Che fare?. La domanda suppone riconoscimento dellerrore di ci che si fa, ignoranza di cosa fare, disponibilit ad accogliere lindicazione di Dio per tradurla in pratica. la stessa domanda delle folle il giorno di Pentecoste (At 2,37), che porter in un solo giorno altri tremila ad aggiungersi alla comunit di coloro che erano salvati (At 2,48). la domanda per iniziare litinerario di conversione battesimale.

Il Battista propone, in sintesi, litinerario profetico classico di conversione: la fraternit nella giustizia e nella solidariet. Ges completer questo cammino al c. 6, proponendo come modello se stesso, il Figlio che vive la misericordia del Padre. v. 11: Chi ha due tuniche, ecc. . Quella che Giovanni propone non la giustizia distributiva umana, la quale avviene, a spartizione gi operata, secondo il principio a ciascuno il suo. Questa consacra lingiustizia. La giustizia dellAT ha come presupposto la paternit di Dio, e quindi la fraternit tra gli uomini. Per questo, ci che tu hai e tuo fratello non ha, non tuo, ma da condividere. negata leconomia dellaccentramento e del possesso. Israele, dallEgitto in poi, vissuto nelleconomia del dono. Quando cade nelleconomia del possesso, perde il dono della terra e imbocca la via dellesilio. Da qui il rito di offrire a Dio le primizie donate e condivise con chi non le ha (cf. Dt 26,1-11; Is 58,610). vv. 12-13: Vennero anche pubblicani per essere battezzati, ecc. . I pubblicani, appaltatori di tasse - e per conto di un dominatore straniero! - erano un po la maschera del peccato. Essi trasgredivano sotto tutti gli aspetti il codice del dono. Erano odiati non solo come chiunque esiga tasse, ma anche come quelli che mantenevano in vita il sistema di oppressione straniero. Pure loro sono disponibili alla conversione. Sembrano anzi i primi disponibili (cf. 7,29.34; 15,1; 18,9ss; 19,Iss). Giovanni fa una proposta minimale, che pare non cambiare la loro situazione. Luca suppone, senza pudiche menzogne, che il cristiano viva in un sistema di iniquit e in questo chiamato a esercitare il possibile di misericordia. Non si possono dividere i buoni dai cattivi (Mt 13,24ss)! Luca anche pi ardito e capovolge i criteri di bont (cf. 18,9ss): non siamo giusti, bens graziati e giustificati e chiamati a lasciar trasparire, in questa situazione di male, la grazia sua. Per questo Ges amico dei pubblicani e dei peccatori (cf. 5,29; 7,29.34; 15,1 ... ) e narra, dopo le parabole della misericordia, quella dellamministratore infedele, il quale dice: So io che cosa fare (16,4). Infatti, scoperta la propria infedelt, comincia a usare misericordia, e dona ci che non suo: riattiva il circolo del dono, che aveva interrotto con i suoi imbrogli, instaurando leconomia del possesso! Zaccheo sar colui che realizza la parabola (19,1ss). v. 14: Ora lo interrogavano anche soldati, ecc.. Il soldato, al servizio delle armi che uccidono, il terminale del potere di morte. Rappresenta il controsenso pi palese che produce luomo nella sua paura della morte: ne diventa schiavo e servo, al suo soldo, assoldato. il caso di stravolgimento pi lampante che il peccato produce: per difenderci dalla minaccia, costruiamo e ingigantiamo allinfinito la minaccia stessa, dandole corpo ed esecuzione (cf. Eb 2,14s). Al soldato Giovanni raccomanda di non maltrattare. Un soldato che non fa del male e non compie, a nome proprio o collettivo (che peggio!), razzie o estorsioni, che razza di soldato ? Sembra gi vicino al centurione che, invece di maltrattarlo, ama il popolo, costruisce la casa di preghiera e ha una fede tale che Ges dice di lui: Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede cos grande (7,9). Un altro centurione riconoscer in Ges il giusto (23,47) e un altro ancora avr un ruolo importante nel secondo libro di Luca (At 10,1ss). Con la sua predicazione Giovanni tocca il tema dei soldi e dei soldati - il capitale su cui conta il potere del male. Non sembra corretto pensare che qui si proponga una morale minimale, unetica professionale realistica, in contrapposizione al discorso di misericordia di 6,27-38. meglio intendere quanto il Battista dice come un preparare la via davanti al volto del Signore (1,76s). La sua predicazione forma un popolo ben disposto (1,17) ad accogliere la rivelazione di 6,27-38. v. 15: Ora attendendo il popolo, ecc. . Dopo lascolto della predicazione del Battista, si parla del popolo in attesa. Colmata ogni depressione e spianata ogni esaltazione, eliminata ogni dimissione e pretesa, ogni ingiustizia e violenza, il popolo crede e spera la sua salvezza. A chi non spera e non crede, Dio non pu donare ci che ha promesso.

v. 16: lui vi battezzer in Spirito santo e fuoco. La promessa di Dio non va decurtata. Sta sopra ogni attesa delluomo. Questa deve continuamente diventare pi grande, per essere attesa di Dio. La funzione dei Battista quella di mantenererla sempre aperta, per non ridurre il dono e la gloria di Dio a livello di una semplice speranza umana, sia pure di solidariet e di giustizia. Quanti falsi messianismi in tutti i tempi! Come difficile quella fede che tiene luomo disponibile alla sorpresa del Dio semper maior! Giovanni spiega che lui non innalza luomo a Dio. Semplicemente lo immerge nella sua verit, nellacqua del suo limite e della sua morte, nella sua creaturalit, in attesa che venga il pi forte. Costui lo immerger nello Spirito santo, nella vita stessa di Dio. Questa e non altra la salvezza delluomo: partecipare alla vita di Dio, al fuoco della sua luce. Non sono in grado di sciogliere il laccio dei suoi sandali: ci dice Giovanni di Ges. I due non sono sullo stesso piano. Ges dir: Io vi dico, tra i nati da donna non c nessuno pi grande di Giovanni; per il pi piccolo nel regno di Dio pi grande di lui (7,28). Si sottolinea la differenza tra AT e NT, che quella tra promessa e compimento. v. 17: E il suo ventilabro nella sua mano. Connesso con il tema dei fuoco ritorna il tema del giudizio, con allusione a Ml 3,19s e Is 66,24 (cf. anche Is 30,24; 41,14s). Il senso non quello di condanna, bens quello di rivelazione della realt di male per portare luomo alla conversione. lo stesso intento dei vv. 7-9. v. 18: Consolando evangelizzava. Sulla linea del testo iniziale, che ripreso dal Libro delle Consolazioni di Isaia (Is 40-55), la predicazione di Giovanni chiamata consolazione ed evangelizzazione, annuncio della buona notizia al popolo. Giovanni sulla stessa linea degli angeli che annunciano il Salvatore ai pastori (2,10) e dei successivi discepoli che annunceranno il Salvatore ai giudei e ai gentili. vv. 19-20: rinchiuse Giovanni in prigione. Il Battista figura e trasparenza di colui che attende. Il motivo per cui viene imprigionato e poi ucciso ladulterio del re. In questo adulterio del capo del popolo si pu vedere quello del popolo stesso, che da sempre ha ripudiato il suo Sposo e Signore. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo sulle rive del Giordano, con le folle che vengono dal Battista. c. Chiedo ci che voglio: la conversione per il perdono dei peccati. d. Punti su cui riflettere: - deserto - battesimo - conversione - perdono - peccato - che fare - giustizia come fraternit. 4. Passi utili

Is 1,1-20; 40,1-31; Ger 7,1-7; Dt 26,1-11.

13. TU SEI IL FIGLIO MIO


(3,21-38)
21

Ora avvenne, mentre era stato battezzato tutto il popolo e Ges battezzato era in preghiera: fu aperto il cielo 22 e discese lo Spirito santo con aspetto corporeo come di colomba su di lui, e una voce dal cielo venne: Tu sei il Figlio mio, lamato, in te mi compiacqui! 23 E lui, Ges, stava iniziando a circa trentanni, essendo figlio, come si pensava, 24 di Giuseppe, di Eli - di Mattat, di Levi, di Melchi, di Innai, di Giuseppe 25-26 di Mattatia, di Amos, di Naum, di Esli, di Naggai - di Mat, di Mattatia, 27 di Semein, di Iosek, di Ioda - di Ioanam, di Reza, di Zorobabel, di Salatiel, 28-29 di Neri - di Melchi, di Addi, di Cosam, di Elmadam, di Er - di Ges, 30 di Eliezer, di Iorim, di Mattat, di Levi - di Simeone, di Giuda, di Giuseppe, 31 di Ionam, di Eliacim - di Melea, di Menna, di Mattatia, di Natan, di Davide 32-33 di Iesse, di Obed, di Booz, di Sala, di Naasson - di Aminadab, di Admin, 34 di Arni, di Esrom, di Fares, di Giuda - di Giacobbe, di Isacco, di Abramo, 35 di Tare, di Nacor - di Seruk, di Ragau, di Falek, di Eber, di Sala 36-37 di Cainam, di Arfacsad, di Sem, di No, di Lamek - di Matusalem, di Enoch, 38 di Iaret, di Malei, di Cainam - di Enos, di Set, di Adamo, di Dio. 1. Messaggio nel contesto Giovanni in carcere, Ges nel Giordano. Il Battezzatore immerso nella prigione, il Salvatore imprigionato nellacqua. Il battesimo il luogo comune tra Ges, Giovanni e tutti gli uomini; la verit di ogni uomo: la morte! Nel suo battesimo per si apre il cielo e la lunga generazione di figli del serpente (v. 7) ricondotta alla sua condizione di figli di Dio (v. 38), perch colui che sceso e risalito dallabisso il Figlio, pieno dello Spirito santo. I vv. 21-22 sono il centro del c. 3. Ges si mischia tra la gente, in fila con coloro che riconoscono la loro creaturalit e peccaminosit, accettando il loro limite e la loro morte. Limmersione nellacqua, quasi liquida tomba prenatale (cf. Ger 20,17), il ritorno allabisso che attende ogni uomo. Sar pure il termine, qui anticipato, di tutto il cammino terreno di Dio in ricerca delluomo perduto. il gesto di amore di chi, non conoscendo peccato, si fatto per noi maledizione e peccato (2Cor 5,21). Mentre

Adamo affog nella morte per essersi innalzato nella disobbedienza, Ges si annega nellobbedienza al Padre che lha mandato a cercare ci che era perduto (19,10): per questo si abbassa nella solidariet con luomo malato di morte, e trova Adamo nel luogo dove si era nascosto. C un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato finch non sia compiuto! (12,50). Sul capo di Ges, immerso nellabisso, c il peso di tutte le generazioni che lhanno preceduto e sono morte per la lontananza dal Padre. Sono 76 generazioni, con lui 77! E per lui, che sta sul fondo come ultimo anello della catena, tutte sono finalmente agganciate al cielo. Nella sua obbedienza, Adamo disobbediente che gener tutti nella disobbedienza, torna ad essere, con tutti i suoi figli, di Dio (vv. 23-38). Ges il nuovo Adamo, il giusto obbediente, la creatura nuova che Dio aveva creato fin dal principio. In Luca il battesimo, a differenza dagli altri sinottici, descritto come gi avvenuto. Infatti si rivolge ai credenti che gi sono stati battezzati in Cristo. Richiama loro alla mente la scelta battesimale, perch non se ne dimentichino e ne perdano i frutti. Il battesimo rappresenta la scelta di fondo del Figlio che conosce il Padre: la solidariet con tutti i fratelli perduti, in una simpatia estrema che lo condurr alla croce. 2. Lettura del testo v. 21: mentre era stato battezzato tutto il popolo e Ges battezzato era in preghiera, ecc.. Si parla del battesimo, gi avvenuto, del popolo e di Ges insieme. Luca non concentra lattenzione sul fatto, ma su ci che segue. Innanzitutto ricorda che Ges pregava. un tema che Luca sviluppa lungo tutta la sua opera. Lilluminazione, gi donata nel battesimo a ogni credente, si accende e si mantiene nella preghiera. Essa realizza il rapporto nuovo che c con Dio, rapporto di Figlio e Padre (l0,21s 11,lss): il luogo dellesperienza dello Spirito santo, vita e amore di Dio (cf. At 1,14; 2,1; 4,31), dono infallibilmente connesso ad essa (11,13). Pregare tornare davanti a Dio. Adamo, perso perch nascosto a colui di cui immagine, viene finalmente restituito a se stesso, ritrova il proprio volto e la propria origine. La preghiera il respiro della vita di figlio di Dio in cui il battesimo ci ha posto. Senza la preghiera la nostra figliolanza divina, invece di crescere e svilupparsi fino alla sua misura piena, si atrofizza e cade su se stessa. fu aperto il cielo. il risultato della preghiera, sul quale direttamente richiamata lattenzione. Il cielo si era chiuso sulla terra per la disobbedienza di Adamo che aveva chiuso il suo cuore a Dio. Come il suo cuore si era aperto al male e allinimicizia, cos il cielo si era aperto alle acque del diluvio per sommergere ogni male e inimicizia (Gn 7,11). Il grande desiderio del profeta era che Dio squarciasse il cielo, suo vestito e suo velo (cf. Sal 104,1s) e mostrasse alluomo il suo volto benigno: Se tu squarciassi i cieli e scendessi! (Is 63,19). Ora esaudito questo desiderio. Nellobbedienza di Ges, il cielo si aperto sulla terra. La sua vita terrena, contenuta tra il battesimo e lascensione, la finestra di Dio sul mondo. La testimonianza dei discepoli servir a portare, mediante lannuncio, tutti gli uomini a questa luce di Dio. v. 22: e discese lo Spirito santo, ecc.. Dal cielo scese lacqua che inghiott il mondo (Gn 7) e il fuoco che divor Sodoma e Gomorra (Gn 19); ma venne anche la legge, la manna e le quaglie, la Parola e il cibo di vita. Ora quel Dio, la cui delizia stare con i figli degli uomini (Pr 8,31) - per questo scendeva a passeggiare nel giardino alla brezza del giorno (Gn 3,8)! - discende definitivamente tra noi nella persona dello Spirito santo, il Dono di Dio. Spirito significa vita, santo significa di Dio. La vita stessa di Dio donata alluomo! il soffio predetto da Ez 37, che anima e muove le ossa aride, ricco di sapienza e dintelligenza, di consiglio e di fortezza, di conoscenza e di timore del Signore (Is 11,2; cf. Sap 7,22ss). Non sai di dove viene e dove va (Gv 3,8). Rimane invisibile, ma ne senti la voce e ne riscontri gli effetti nei suoi frutti. Cambia radicalmente la nostra vita egoista, triste, insofferente, malevola, cattiva,

infedele, dura e schiava, in capacit di amore, gioia, pazienza, benevolenza, bont, fedelt, mitezza e libert (Gal 5,22). con aspetto corporeo. Questo Spirito non impalpabile. Scende su Ges in forma corporea. In lui infatti abita corporalmente tutta la pienezza della divinit (Col 2,9). Lespressione riferibile al battesimo di ogni credente: diviene abitazione dello Spirito santo, suo tempio e riverbero visibile della gloria. Il battezzato realmente incorporato a Cristo (1Cor 6,15; 12,12), diventa tempio di Dio e dello Spirito santo, sua dimora (cf. 1Cor 3,16; 6,19s; Ef 2,21s; 1Pt 2,5). Il corpo di Ges rivelazione piena di Dio. Quel Dio che nessuno ha mai visto (Gv 1,18), lo vediamo, lo tocchiamo, lo contempliamo nel Verbo di vita (1Gv 1,1ss) che ha detto: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30); chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9): in lui realmente la vita di Dio si resa visibile, ha preso forma corporea. Ma ogni cristiano nel battesimo diventa corporalmente teoforo, portatore di Dio, a somiglianza di Cristo. Infatti noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo lazione dello Spirito del Signore (2Cor 3,18). La dignit del corpo umano in rapporto allo Spirito che labita e lanima. come di colomba. La figura corporea di questo Spirito - oppure la sua discesa? - come quella di una colomba. Questo aleggiare della colomba sul neobattezzato, richiama quello dello Spirito di Dio sulle acque del caos primordiale (Gn 1,2). anche unallusione a No, il padre dei salvati dallacqua, che attende con trepidazione il ritorno della colomba che gli annunzia la fine del diluvio (Gn 8,8-14). pure un richiamo, in tono minore, allazione potente di Dio che, nellesodo, con ali di aquila, aveva sollevato e portato il suo popolo in libert oltre il Mar Rosso (Es 19,4). Oltre che figura della nuova creazione, della salvezza universale e dellesodo, la colomba anche simbolo di Israele, sposa di Dio. Ma la colomba, che di continuo tuba il suo amore in ogni stagione, immagine della fedelt di Dio che da sempre canta il suo canto di amore per luomo, in attesa di risposta. Ora scende sul nuovo Israele, sulla sposa. E questa diviene la colomba che finalmente fa sentire allo sposo la sua voce, compiacendo al suo desiderio (cf. Ct 2,14). Lallusione principale sembra quella a No, salvato dallacqua, e alla promessa di salvezza universale che Dio fa a lui. la salvezza universale che si evidenzia soprattutto nel libro di Giona, il cui nome in ebraico significa appunto colomba. e una voce dal cielo venne. la voce definitiva di Dio, di quel Dio che non aveva volto, perch nessuno ne aveva ascoltato la voce. Tu sei il Figlio mio, l'amato, ecc. . Questa voce di Dio esprime la Parola, che il suo Figlio obbediente. La Parola eterna di Dio risuona nel tempo: su Ges sceso lo Spirito, in lui il Padre riconosce il Figlio. Ges, il servo obbediente, annegato nellobbedienza, si rivela il Figlio, il Messia liberatore intronizzato secondo il Sal 2,7. lamato figlio unico del suo cuore, come Isacco votato al sacrificio dellobbedienza e per questo principio del nuovo popolo (cf. Gn 22,2). il servo di Is 42,1s, oggetto del compiacimento di Dio. il Messia cantato da Davide, sua figura: Mi fece uscire dalle grandi acque mi trasse al largo, mi liber, perch oggetto della sua benevolenza (2Sam 22,17.20). In questa voce dallalto risuonano in modo allusivo tutti i titoli di Ges, che, proprio mentre, immerso ed emerso dallabisso, sta in preghiera e riceve lo Spirito, d corpo alla Parola del Padre: il Figlio unico, il Cristo salvatore, il servo obbediente che nel suo sacrificio sar principio del nuovo Popolo. v. 23a: a circa trent'anni. Con questa semplice espressione si descrive tutta la vita di Nazareth. La scelta del battesimo il segreto di Dio; pensato dalleternit e maturato in trentanni di ascolto, sar annunciato nel breve tempo che porta alla croce.

vv. 23-38: essendo figlio, come si pensava, di Giuseppe, di Eli, ecc.. Luomo era staccato dalla sua origine e senza futuro: non pi figlio di Dio, ma del serpente, non pi figlio di compiacimento, ma dira. Ora lAdamo disobbediente, che si era nascosto a Dio, ritorna a lui nellobbedienza di Ges. Tra Ges, proclamato dal Padre Figlio mio, e Adamo, che ritorna a essere chiamato di Dio (v. 38), c tutta la distanza di 76 generazioni, linfinita lontananza di tutte le generazioni che hanno abbandonato Dio. Nellabbandono obbediente di Ges al Padre, tutto riportato a Dio. Per questo Ges si pone come servo di tutti e ultimo di tutti. Lultimo anello della catena di tutti gli uomini - saldati tra di loro dal male e dalla disobbedienza comune! - porta su di s la disobbedienza dei fratelli e li rinsalda al Padre con la sua obbedienza. Nel battesimo di Ges tutta lumanit battezzata, salvata. Su di lui, immerso nellacqua, sta il peso di tutte le 76 generazioni, fino ad Adamo! Ora, se Dio vuol vedere il suo Figlio prediletto, non pu vederlo che attraverso tutti gli uomini, perch si posto sotto tutti! Senza Ges, le generazioni sono 76 e senza Dio. Con Ges, sono 77 e unite a Dio. Ges il nuovo Adamo. Come nel vecchio ogni uomo si stacc da Dio, cos in lui si ricongiunge al Padre e trova salvezza. Nel battesimo Ges ha fatto propria la storia di peccato dellumanit. Le acque del suo battesimo sono il caos, labisso di tutti i non-figli, dei quali si parla nella genealogia. Ges scende fino in fondo nelle acque dellira, del diluvio, nel male di tutti gli uomini imprigionati nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia (cf. Rm 11,32): su di lui riposa la colomba di No, che annuncia la salvezza per una terra riemersa dal diluvio. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo con Ges in preghiera dopo il battesimo, vicino al Giordano. c. Chiedo ci che voglio: comprendere nello Spirito il dono del mio battesimo che mi fa figlio, in solidariet con tutti, insieme con Ges. d. Punti su cui riflettere: - il battesimo - la preghiera - lo Spirito - come colomba - Tu sei il Figlio mio - le 76 generazioni. 4. Passi utili Sal 2; Is 42; Gn 22.

14. FU TENTATO: SE SEI FIGLIO DI DIO


(4,1-13)

4 1 Ora Ges, pieno di Spirito santo, ritorn dal Giordano ed era condotto nello Spirito santo nel deserto 2 per quaranta giorni tentato dal diavolo. E non mangi nulla in quei giorni e condottili a termine ebbe fame. 3 Ora disse a lui il diavolo: Se sei Figlio di Dio, di a questa pietra che diventi pane. 4 E rispose a lui Ges: scritto che non di pane solo vivr luomo. 5 E, portatolo in alto, mostr a lui tutti i regni dellecumene in un istante di tempo. 6 E disse a lui il diavolo: A te dar questo potere tutto quanto e la gloria loro, perch a me stata consegnata e la do a chi voglio. 7 Tu dunque, se adori al mio cospetto, sar tua ogni cosa. 8 E rispondendo Ges disse a lui: scritto: Il Signore Dio tuo adorerai e a lui solo renderai culto. 9 Ora lo port a Gerusalemme e lo pose sopra il pinnacolo del tempio e disse a lui: Se sei Figlio di Dio, gettati gi da qui, 10 scritto infatti: agli angeli suoi ordiner circa te di custodirti bene 11 e nelle mani ti alzeranno, che non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede. 12 E rispondendo gli disse Ges: detto: Non tenterai il Signore Dio tuo. 13 E condotta a termine ogni specie di tentazione, il diavolo si allontan da lui

fino al suo momento. 1. Messaggio nel contesto Il racconto nella tradizione evangelica serviva per illustrare il messianismo di Ges, con il suo rifiuto di prendere il potere politico (cf. moltiplicazione dei pani: Mc 6,45; Gv 6,15), di fare un segno divino che costringesse tutti a credergli (cf. 11,16; Mc 8,11) e di seguire una via umana (satanica) che evitasse la croce per ottenere il Regno (cf. Mc 8,31-33). Probabilmente si rif a confidenze di Ges che spiega ai suoi discepoli come anche lui ha incontrato le loro stesse tentazioni e resistenze fin dal principio. Nei Vangeli il racconto assume un valore programmatico pi ampio, che abbraccia tutto il ministero di Ges e il suo significato salvifico alla luce di tutta la storia della salvezza. Dopo il battesimo, che corrisponde al passaggio del Mar Rosso, Ges ripercorre nel deserto il cammino di Israele; ma, mentre tutto il popolo cadde nella prova e mor, egli la supera definitivamente e apre lingresso alla terra promessa, al Regno. Oltre a questallusione a Israele, si pu fare un accostamento ad Adamo, figlio di Dio disobbediente, che, dopo la prova e la caduta, dal paradiso fin nel deserto; lui, il nuovo Adamo, partendo dal deserto, vince la prova e riporta nel paradiso luomo perduto (cf. 23,43). Le tentazioni, modulate su quelle di Israele, sono storicamente da connettere con il battesimo. Questo costituisce la scelta fondamentale del Cristo: la solidariet coi fratelli, in obbedienza al Padre. Le tentazioni presentano i costi di questa scelta, sotto forma di lotta contro la scelta contraria. Questa, ovvia e comune a tutti, consiste nel ricercare il potere di qualsiasi tipo, a fin di bene. Ma ci contrario alla solidariet coi fratelli e quindi disobbedienza al Padre! Questo testo ci mostra quanto pecchiamo a fin di bene; ce lo mostra per convertirci e giustificarci. Il discernimento non un genere che abbonda sul mercato. Tante volte, per amor di Cristo, facciamo scelte contrarie alle sue. La scelta di vita costa tutta la vita; siamo quindi sempre esposti a cadere e cadiamo spesso. Le tentazioni non sono da relegare solo allinizio del ministero di Ges. Esso fu tutto tentazione e lotta, fino alla fine. Mentre Marco accentua laspetto di Ges come nuovo Adamo e Matteo quello di nuovo Israele, Luca presenta il Cristo nella sua vittoria pasquale sul nemico, satana. Questa vittoria la vediamo realizzata negli esorcismi, nei miracoli stessi e nella passione. Si spiega cos chi il Figlio di cui Dio si compiace: il Figlio obbediente alla sua parola, che con lobbedienza ha vinto il male e creato nella storia uno spazio libero dal suo potere, nel quale tutti gli uomini possono essere salvati. Le stesse tentazioni in cui Israele caduto, invece di ineluttabile luogo di perdizione, diventano promessa di salvezza a causa di colui che le ha vinte. Quel nemico, che fu allopera al tempo di Israele, allopera ancora adesso nella vita della chiesa. Ma il suo dominio sulluomo stato rotto e vinto da Ges. In lui il credente passa attraverso la breccia ed entra nelloggi della salvezza. Ges che ha vinto, vince ancora oggi nella fede del discepolo che lo ascolta per essere salvato. Le tentazioni costituiscono il tessuto della vita quotidiana cristiana: sono la lotta necessaria contro il male e i costi stessi del bene. Hanno un valore positivo: sono segno che si nel mondo, ma non del mondo e si appartiene a Cristo Signore (cf. Eb 12,8; Gc 1,2; 1Pt 1,6ss; 2Cor 12,10; Mt 5,11s). Il diavolo che tenta luomo ha dapprima un solo potere: rubargli la Parola (8,12), in modo che non obbedisca a Dio. quanto tenta di fare anche con Ges. Ma se uno obbedisce, la Parola attecchisce nel suo cuore e porta frutti di salvezza. Per questo il diavolo lo tenta poi mediante la tribolazione, perch si scoraggi e cada nella sfiducia (8,13). Se non riesce a scoraggiarlo, cammin facendo cerca di soffocare la parola di Dio, fomentando preoccupazioni per la ricchezza e i piaceri, suoi alleati nel sedurre luomo alla disobbedienza (8,14). 2. Lettura del testo

v. 1: Ora Ges, pieno di Spirito santo, ecc.. Su Ges in preghiera dopo il battesimo scesa la pienezza dello Spirito e in questo Spirito viene condotto per il deserto. Qui si forma il popolo che, uscito dalla schiavit dellEgitto, in cammino verso la terra promessa. Luogo del gi e del non ancora, della nostalgia di passato e della sfiducia nel futuro, arido, invivibile, insidiato dal nemico (tutto nemico nel deserto!). Ma bisogna attraversarlo, avendo come guida la parola di Dio e come provvista la sua fedelt. Il deserto figura della vita stessa del battezzato, con tutti i pericoli e le paure attraverso i quali lo Spirito lo conduce: Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio (Rm 8,14; cf. Gal 5,18). Se Ges pieno di Spirito santo, dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia (Gv 1,16): il suo Spirito riempie anche noi, che siamo e camminiamo in lui, solidali con lui nella lotta e nella vittoria. v. 2: per quaranta giorni tentato dal diavolo. unallusione ai 40 anni della generazione del deserto, a tutta la vita che insidiata dal divisore che ci vuol separare da Dio e dalla sua promessa. Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione, inizia la bella istruzione del Siracide (Sir 2,1ss). Il diavolo colui per la cui invidia entr la morte nel mondo (Sap 2,24), colui che insinu nel cuore di Adamo il sospetto e la sfiducia in Dio, lo port a disobbedire e a chiudersi a lui (Gn 3). il vero protagonista del male: contro di lui la lotta e la vittoria di Cristo. il dio di questo mondo (2Cor 4,4), il principe di questo mondo (Gv 12,31; 14,30: 16,11), nelle cui mani posto ogni potere sulla terra (4,6). Secondo Ap 13,2, il drago (diavolo) ha dato alla bestia (limpero romano) la sua forza, il suo trono e la sua potest grande. La radice con cui il male pu impiantarsi nelluomo e produrre i suoi frutti velenosi legoismo, che ha il suo terreno nella diffidenza prodotta dalla menzogna che ha portato a non ascoltare Dio. Cos, da suoi figli, siamo diventati figli dellomicida e del menzognero fin dal principio, del diavolo, che si fa nostro padre (Gv 8,44). ebbe fame. Le tentazioni hanno come esca le tre fami fondamentali delluomo, in relazione rispettivamente alle cose, alle persone e a Dio. Presentano la possibilit di garantirne la soddisfazione mediante il possesso - le cose con lavere, le persone coi potere, Dio col volere -, invece che mediante il dono. Ogni peccato ripete quello di Adamo: impadronirsi del dono, staccandolo dalla sua sorgente. v. 3: Se sei Figlio di Dio, ecc.. Ges venuto per mostrare al mondo il volto del Padre, vivendo da figlio. tentato nella sua missione di mostrarsi Figlio di Dio. Ma non in questione il fine, bens i mezzi. Ges non si mostra Figlio facendo miracoli a suo vantaggio; non piega Dio allesigenza fondamentale delluomo. Il pane, segno della vita, il primo bisogno delluomo, indigente di tutto. Piegare Dio alla propria vita o la propria vita a Dio? Il pane o la sua volont, luomo o Dio? Questa la falsa alternativa, che Ges respinge come prima tentazione. Da essa nasce ogni falsa religione che sacrifica luomo a Dio e, di risvolto, ogni ateismo, che sacrifica Dio alluomo. In tutti e due i casi luomo perduto, perch perde la sua identit, che essere immagine di Dio. Ma questa alternativa falsa. Non questione di alternativa, bens di priorit. Sorgente e rubinetto non sono in alternativa, bens in derivazione. la tentazione prima e continua delluomo, quella di non credersi creatura di Dio e considerarlo come antagonista e concorrente. v. 4: E rispose a lui Ges: scritto, ecc.. La forza con la quale Ges vince la tentazione il ricorso alla Scrittura. Nellobbedienza alla parola di Dio si sperimenta che il primo pane, sorgente di vita, Dio stesso nel suo amore. E questo non in alternativa al pane; ne anzi il principio. Aver suggerito questa alternativa falsa fu lastuzia del nemico per rovinare luomo. Ges dice: Non di solo pane vivr luomo; che vuol dire: anche di pane. Ma il pane primo obbedire a Dio e fidarsi di lui. Questo d alla vita la sua luce e il suo senso.

Ci non esclude laltro pane, ma viene prima, come il fine viene prima dei mezzi, la meta prima del cammino. Con questa priorit superata lalternativa diabolica: o Dio o luomo. Luomo da Dio e per Dio, perch Dio stesso per luomo e non gli sottrae nulla, anzi gli d tutto, perch sua creatura! Cos Ges vince la menzogna che sta allorigine del sospetto e della diffidenza, e riporta luomo allobbedienza. Quando poi moltiplicher il pane (cf. 9,10ss), non cadr in questa tentazione. Lui, parola di Dio, si far pane per tutti, non mediante il privilegio del miracolo, bens mediante la solidariet coi fratelli in obbedienza al Padre. Per il retroterra biblico di questa tentazione cf. Dt 8,2-4; Es 16,2-9; Nm 11,4-10; 1Cor 10,6. Superata la falsa alternativa, stabilito il fine, principio e fondamento da cui tutto viene e verso cui tutto tende: Dio e la sua parola non si pongono pi in antagonismo mortale con luomo, bens in rapporto di priorit vitale col resto. Quando nel Padre nostro preghiamo per il pane, riconosciamo che il nostro pane da lui, ed alfine lui stesso, nostra vita. vv. 5-7: E, portatolo in alto, ecc.. la tentazione di ottenere il Regno - tutti i regni della terra! - con i mezzi di potere, scambiando il pensiero di Dio con quello delluomo. Il Regno spetta al Figlio. Ma lo ottiene non perch adora il potere, bens proprio perch ne libero; e questo lo innalza fino alla croce. Proprio l inaugura il Regno (cf. 23,42s). Questa tentazione circa i mezzi, nelluso dei quali si esprime la stupidit e lidolatria delluomo: la stupidit quando i mezzi non sono della natura del fine, lidolatria quando i mezzi sono posti come fine. Nelluso dei mezzi si esprime la vera alternativa: stupidit o conoscenza di Dio, idolatria o timor di Dio. Si pecca di stupidit quando non si capisce che il seme della natura dellalbero e non si sa distinguere tra la strategia di satana e quello di Dio. S. Ignazio, nella meditazione dei due vessilli, d il criterio fondamentale per distinguere il potere del male da quello della croce: satana agisce portando dal desiderio della ricchezza al potere e alla superbia; Cristo agisce portando dal desiderio della povert allumiliazione e allumilt. Usare i mezzi del nemico significa lavorare per lui, il cui fine far usare alluomo tali mezzi, che producono il male. Si pecca di idolatria quando i mezzi diventano fine e le creature tengono il posto di Dio - lidolo infatti in s non nulla (cf. 1Cor 8,4). Questo avviene quando si assolutizza qualunque realt al di sotto di Dio: la legge, lordine, la propriet, il lavoro, la produttivit, il consumo, il piacere, il benessere, la libert, la scienza, il partito, lo stato, la chiesa, le varie ideologie, ecc. I mezzi, anche quelli buoni, diventano negativi se assolutizzati; costituiscono un universo di valori maligni perch impazziti e senza fine, che amministrano la vita delluomo per la morte e gli impediscono la libert del Regno. Luomo non mai ateo: solo idolatra e assolutizza i propri bisogni per paura, costruendo un mondo ben diverso dal regno di Dio! Per questo satana dice con ragione che tutto nelle sue mani e lo d a chi vuol seguire i suoi consigli. Luomo, che ha perso Dio, non in una zona neutra di libert e di decisione: ha ingombrato la sua distanza da Dio con le sue paure e i suoi bisogni, divenuti suoi idoli e obiettivi, sui quali organizza tutta la propria esistenza. Oggi si avverte pi che mai questa situazione di organizzazione cosmica del male: eliminato Dio, il suo vuoto infinito stato riempito dallangoscia del nulla e dalle varie brame che, invece di saziarsi, si autoalimentano allinfinito. Luomo, perso colui di cui bisogno, assolutizza i bisogni che ha come animale. Questi diventano idoli implacabili! Il mezzo, divenuto fine, stravolge ogni cosa nel suo contrario pi simile: il vero nellutile, il giusto nel vantaggioso, il bene nel piacere, il bello nel funzionale, il buono nellinteresse, lamore nellegoismo... la vita nella morte. Si pu arrivare a porre come fine il nulla - il male assoluto al posto di Dio! Si cade nel nihilismo e nel fatalismo: ogni ribellione sembra inutile, il male necessario e il nulla inevitabile. Al massimo si cerca il minor male. Comunque lo si compie sempre, ed esso cresce fino a riempire del suo vuoto ogni spazio di vita. v. 8: Il Signore Dio tuo adorerai. Solo se si adora Dio, e solo Dio, luomo pu vincere questa situazione di male. Luomo ci davanti a cui sta: egli diventa il proprio fine, ci che adora. Se adora e

teme Dio in tutte le cose, realizza se stesso, immagine e somiglianza di Dio, in tutte le cose. Se non adora e non teme Dio, perde se stesso in tutte le cose che adora e teme. Principio della saggezza il timore del Signore (Sal 111,10). Quando nel Padre nostro chiediamo a Dio che venga il suo regno e che sia santificato il suo nome, gli chiediamo di vincere questa tentazione. Ladorazione e il timore di Dio di un Dio non strumentale, ma che resti Dio (cf. la tentazione seguente!) - il regno di Dio sulla terra, perch la libert delluomo da ogni idolo. La risposta di Ges da collegarsi a Dt 6,13. vv. 9-11: Ora lo port a Gerusalemme, ecc.. A Gerusalemme, cuore della terra promessa, dove si compie la lotta decisiva tra Cristo e satana, si pone anche la tentazione definitiva: provocare Dio con il miracolo per vedere se il Signore in mezzo a noi, s o no? (Es 17,7). la tentazione radicale della fede: invece di fidarsi delle sue promesse, si esige un intervento secondo la sua promessa (cf. Sal 91,11s), per essere sicuri che lui veritiero! la tentazione pi diabolica e camuffata del giusto: dov Dio, il tuo Dio?... Dio mio, Dio mio, perch mi hai abbandonato? (cf. Sal 42; 22; ecc.). la tentazione che capovolge il rapporto uomo-Dio: invece di obbedire a lui, io, che gi gli ho obbedito, pretendo ora che lui obbedisca a me. Dopo essermi piegato a lui, lo piego a me: per questo anzi mi piego a lui! La mia religiosit e giustizia, mezzo per dare la scalata a Dio e mettermi al suo posto. La sua parola, invece che provocazione a me perch gli obbedisca, la rivolgo come mia provocazione a lui, perch la compia. Come Adamo, al centro metto ancora e sempre il mio io: tutto, Dio e la sua parola, deve servire a me, alla mia salvezza. Salvi se stesso, sar il tragico triplice ritornello della tentazione quanto mai reale e assurda che risuona ai piedi della croce (23,35.37.39)! In fondo si serve Dio per servirsi di lui; lo si provoca nella sua promessa perch non ci si fida di lui. Il vero Dio viene trattato da idolo, il Dio vivente deve piegarsi ed essere soddisfazione obbediente dei miei bisogni umani! (cf. Dt 6,16; Es 17,1-7; Nm 20,2-13; 1Cor 10,9; il miracolo dellacqua, la tentazione dello Spirito). Il credente pu tentare e provocare Dio in due modi opposti (cf. D. Bonhoeffer, Creazione e caduta. Lora della tentazione, Brescia 1977, 130s): a) Con la sicurezza o presunzione religiosa: accetto la grazia di Dio e la sua promessa, dimenticando per la sua santit e giustizia. Dio buono! quindi mi attribuisco il perdono gi prima del peccato, e faccio della sua bont il pretesto per la mia dissolutezza (Gd 4). Sono figlio di Dio; con Cristo in croce sono al sicuro, senza pericoli o lotte! Quindi posso fare tutto, anche ci che porta alla perdizione! La libert e la grazia paravento per il peccato; la sua santit e giustizia profanata. Da questa radice nasce la pigrizia nella preghiera, nellobbedienza alla Parola e nel servizio ai fratelli. Perdo il timor di Dio. Praticamente lo disprezzo e lui finisce per non contare pi nulla nella mia vita concreta. Mi indurisco contemporaneamente nel peccato e nella religiosit ipocrita. Il Dio benevolo diventato lidolo della mia falsa indulgenza con me stesso, senza santit. Cos santifico e giustifico il mio peccato. Lorgoglio spirituale mi ha portato a sfidare Dio e vincerlo, usandolo come conferma del mio male! b) Con la disperazione e la sfiducia di salvarsi: rispetto la legge, la giustizia e la santit di Dio. Perdo invece di vista la sua promessa e la sua grazia. Vivo senza gioia, perch Dio non stato, non e non sar mai con me. la tentazione della croce. Posso giungere alla disperazione, alla ribellione, alla bestemmia, al suicidio... oppure procurarmi il segno della sua bont mediante una santit e giustizia da me voluta a dispetto di Dio, con i caratteri dellautodistruzione (ascesi e attivismo) o mediante pratiche religiose intese a darmi un segno che Dio con me perch io sono con lui. v. 12: Non tenterai! (Dt 6,16). Dio va obbedito, non tentato. Non deve esibirsi nei segni che chiedo per la mia sfiducia nella sua santit o la mia disperazione nella sua bont. La mia vita salva solo se si rimette a lui, alla sua giustizia che grazia, alla sua bont che santifica. Mentre io non posso che giustificare il peccato o condannare il peccatore, Dio condanna il peccato e giustifica il peccatore. Cos salva la sua bont e la sua santit. Questo chiedi a Dio quando gli dici: Sia fatta la tua volont.

v. 13: E condotta a termine ogni specie di tentazione. Ges porta a compimento ed esaurisce in s ogni tentazione che chiude a Dio. Forse c unallusione a Gn 3,6, quando Eva vide che il frutto era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza (cf. le tre concupiscenze di 1Gv 2,16): i tre aspetti del frutto corrispondono forse ai tre tipi di tentazione che Ges stesso supera. Egli vive e vince tutto il male delluomo, creando nel mondo lo spazio di libert dal Maligno. il diavolo si allontan da lui fino al suo momento. lora della passione, in cui Ges dir: Questa la vostra ora, limpero, delle tenebre (22,53) e sar lora opportuna della salvezza per noi. Tutta la vita di Ges inclusa in questa lotta con satana, tra il battesimo e la croce. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges nei deserto di Giuda. c. Chiedo ci che voglio: Comprendere quali siano i mezzi che Ges ha usato per mostrare che lui Figlio di Dio e quali ha scartato come tentazioni. d. Punti su cui riflettere: - nel deserto quaranta giorni - tentato dal diavolo - ebbe fame - se sei Figlio di Dio - non di solo pane - a lui solo renderai culto - non tenterai il Signore - ogni specie di tentazione. 4. Passi utili Sal 91; 95; Gn 3; Dt 8,2-4; Es 6,2-8; Dt 6,13; Es 32; Dt 6,6.

15.OGGI SI RIEMPITA QUESTA SCRITTURA NEI VOSTRI ORECCHI


(4,14-30)
14

E ritorn Ges nella potenza dello Spirito in Galilea, e la fama usc

per tutta la regione su di lui. 15 Ed egli insegnava nelle loro sinagoghe glorificato da tutti. 16 E venne a Nazareth, dove era stato allevato ed entr secondo la sua usanza nel giorno dei sabati nella sinagoga e si lev per leggere. 17 E fu consegnato a lui il volume dei profeta Isaia e, aperto il libro, trov il luogo dove era scritto: 18 Lo Spirito del Signore su di me, a causa di questo mi unse: per evangelizzare i poveri; ha mandato me per annunciare ai prigionieri la remissione e ai ciechi la vista per mandare gli affranti in remissione, 19 per annunciare un anno gradito al Signore. 20 E avvolto il volume, ridandolo al servo, sedette; e gli occhi di tutti nella Sinagoga stavano fissati su di lui. 21 Ora cominci a dire loro: Oggi si riempita questa Scrittura nei vostri orecchi. 22 E tutti testimoniavano per lui e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, e dicevano: Non figlio di Giuseppe costui? 23 E disse loro: Certamente direte a me questa parabola: Medico, cura te stesso! Quanto udimmo avvenuto a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria! 24 Ora disse: Amen dico a voi: Nessun profeta accolto

nella sua patria! 25 Ora in verit dico a voi: molte vedove erano nei giorni di Elia in Israele, quando fu chiuso il cielo per tre anni e sei mesi, quando fu carestia grande su tutta la terra, 26 e a nessuna di loro fu mandato Elia, se non in Sarepta di Sidone a una donna vedova; 27 e molti lebbrosi erano in Israele al tempo di Eliseo profeta, e nessuno di loro fu purificato, se non Naaman il Siro. 28 E furono pieni tutti di ira nella sinagoga vedendo tali cose; 29 e, levatisi, lo scacciarono fuori della citt, e lo condussero fino allabisso del monte, su cui la loro citt era edificata, per buttarlo gi. 30 Ora egli, passando in mezzo a loro, camminava. l. Messaggio nel contesto Nelle tentazioni, abbiamo visto i mezzi che Ges rifiuta per mostrare di essere Figlio di Dio; ora vediamo quali usa: lannuncio della parola di fraternit che vive, da Nazareth al Giordano e dal Giordano alla croce. Nella potenza dello Spirito inizia il suo ministero e inaugura lanno giubilare in cui si vive la paternit di Dio nella fraternit fra gli uomini: lingresso nella terra promessa. Egli si presenta come compimento della parola di grazia, che porta la benedizione di Dio e realizza la promessa (vv. 16-19). Levangelista vuol far incontrare il suo lettore con questa parola di grazia annunciata oggi, (vv. 20s). Essa ha la sua radice nel passato - la promessa di Isaia e le figure di Elia e di Eliseo - e si attualizza oggi, nelloggi eterno di Dio che si realizzato una volta per tutte in Ges e si attualizza sempre ogniqualvolta la Parola annunciata nel suo nome. La Scrittura trova il suo compimento nellorecchio di chi ascolta Ges che lannuncia (v. 21): ci che essa promette si annuncia come realizzato in lui e lascolto della sua parola, in quanto detta da lui, ne il pieno compimento nella fede, che fa accadere anche qui oggi ci che lui ha fatto a Cafarnao allora (v. 23). Infine, il mistero di Ges, respinto dai suoi e accolto altrove (vv. 22-30), anticipa il suo destino di rifiuto e di segno contraddetto (2,34ss), che per sar luce che illumina le genti e mostra al mondo la gloria di Israele (2,30ss). Linizio del ministero di Ges ne contiene anche la fine.

Ges ci appare fin dallinizio pi che scriba e profeta: non solo spiega la parola di Dio, ma lattualizza. Questattualizzazione non consiste nelladattarla al proprio tempo, ma nel renderla attuale: traduce in atto quanto la Parola dice e, nellobbedienza, rende la sua vita attuale, contemporanea ad essa. Egli lascoltatore che la compie, il perfetto ascoltatore in cui la parola di Dio trova la sua esecuzione piena. Egli, il Figlio obbediente, il compimento di ogni parola. Cos, anche per noi, attualizzare la Parola significa ascoltare il vangelo. Lobbedienza ad esso ci rende attuali alloggi di Dio, odierni a Ges, il Figlio, nel quale la storia di ogni Adamo trova compimento. Lannuncio della parola di grazia ha il potere di farsi obbedire e di rinnovare nellascolto la nostra realt vecchia secondo la promessa. A Dio piaciuto salvare il mondo con lannuncio evangelico (1Cor 1,21). La parola, mezzo debole e strumento di comunione libero, potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Rm 1,16). In questo discorso inaugurale abbiamo la spiegazione autentica del ministero di Ges: quale il fine (lessere figli del Padre nellessere fratelli tra noi), quale il mezzo (lascolto della parola del Padre), come agire (nella forza dellamore, che lo Spirito di Dio), quando agire (oggi) e per chi (per chi ascolta). 2. Lettura del testo v. 14: E ritorn Ges nella potenza dello Spirito, ecc.: Ges, a differenza di Giovanni, non resta nel deserto; torna tra i suoi per liberarli. La potenza dello Spirito con cui agisce si manifester nellautorit e nella potenza della sua parola che vince il male (v. 36). La fama su di lui - ci di cui ogni uomo ha fame e che Ges cercher di evitare con cura - si diffonde. v. 15: Ed egli insegnava. Il suo insegnamento passer dalla sinagoga alla strada (v. 43) e si completer nella casa (5,17ss). Sono i tre luoghi in cui si annuncia il vangelo: nella sinagoga, che Israele, per la strada, che la missione, e nella casa, che la chiesa. Lattivit di Ges itinerante e instancabile: vuol raggiungere luomo in tutte le sue situazioni. Non si dice cosa insegna; linsegnamento lui stesso, parola di Dio, che si rivela compiendo quello che dice. Il risultato del suo insegnamento la sua glorificazione da parte di tutti. Questa parola indica lonore da rendere a Dio. una glorificazione iniziale, che ben presto cesser, gi nel primo racconto che segue. v. 16: E venne a Nazareth, ecc.. Luca, pur sapendo che Ges ha iniziato altrove il suo ministero (cf. v. 23), ne pone linizio a Nazareth, tra i suoi. Respinto dai suoi, la sua parola trasmigrer e fruttificher altrove. Anche noi, lettori cristiani, fin dal principio siamo chiamati ad identificarci con i suoi, a entrare nella sinagoga e ascoltare colui che venuto per tutti e compie la promessa di Dio nellorecchio di chi ascolta. Il suo insegnamento di sabato, perch la sua parola dischiude alluomo il giorno di Dio. In esso si entra attraverso lascolto e lobbedienza a lui, ascoltatore perfetto del Padre (cf. Eb 3,7-14). Si dice che nella sinagoga, nel giorno dei sabati, Ges sorse a leggere, a riconoscere le parole scritte; si allude al fatto che il Cristo risorto legge e fa riconoscere nella sinagoga il significato della parola data a Israele (cf. 24,25-27.44-47). v. 17: E fu consegnato a lui, ecc.. Il libro, chiuso per chi sa leggere e aperto per chi non sa leggere (cf. Is 29,11) finalmente nelle mani di chi pu aprirlo e leggerlo; lui infatti lo apre e lo chiude, lo legge e lo attualizza: Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli (Ap 5,9). La parola di Dio resta sigillata e incomprensibile al di fuori di Cristo, che la realizza. Resta infatti una promessa incompiuta, quindi un enigma incomprensibile, perch se Dio promette anche compie.

vv. 18-19 Lo Spirito del Signore su di me, ecc.. Ges legge la promessa di Is 61, che annuncia lanno giubilare definitivo in cui la terra, dono del padre ai suoi figli, ridistribuita tra i fratelli. Questa la condizione per restare nella promessa, diversamente non c che la via dellesilio (cf. Lv 25,8ss). Tutta la sua attivit presentata alla luce di questo testo (cf. 7,22). Lui realizza lanno sabbatico definitivo, compimento di tutta la creazione in Dio e di Dio nella sua creazione. La paternit si vive in concreto nella fraternit: la fede in Dio diventa giustizia nuova tra gli uomini. Per questo lanno giubilare fondamentale nella legislazione di Israele. La chiesa degli Atti si autocomprende come il vero Israele, che realizza lanno giubilare (cf. At 2,42-48; 4,32-37). v. 20: avvolto il volume, ecc.. Ges chiude il libro. Con lui, che si alzato. apre, proclama e si siede, chiuso il tempo della promessa e si apre il tempo della realt: il tempo finalmente compiuto (cf. Mc 1,15)! Gli occhi ormai sono fissi su di lui, nel quale la Parola si fa carne e il libro si fa storia. v. 21: Oggi si riempita questa Scrittura nei vostri orecchie. La parola di Ges non un commento alla promessa di Dio. il vangelo, la buona notizia che venuto tra noi colui che la realizza. Gli uditori di Ges si trovano davanti a colui che compie ogni promessa. La Scrittura si compie proprio oggi e negli orecchi di chi la ascolta. Tutto il Vangelo di Luca sar un ascolto della sua parola, che ci rende contemporanei a lui: nellobbedienza della fede, entriamo nella salvezza. Ges lascoltatore perfetto che compie la volont del Padre: la sua parola in lui si fa realt e vita, suo oggi. A sua volta, chi ascolta Ges e fa la sua parola, si trova a vivere nello stesso oggi e diventa della sua famiglia (8,21). Ges nel suo annuncio potente, realizza la salvezza, che si rende contemporanea a chiunque lascolta. La Parola, detta una volta per tutte, esiste sempre e ovunque ascoltata ed eseguita, come una musica scritta esiste sempre e ovunque eseguita. v. 22: E tutti testimoniavano per lui e si meravigliavano, ecc.. La parola di Ges chiamata parola di grazia. In lui la grazia e la benevolenza di Dio si sono rese visibili e operanti. Ma c uno scandalo insuperabile, che avr come frutto la croce. Tale scandalo non sarebbe stato minore neanche se avessero saputo che colui che credevano di conoscere non era il Figlio di Giuseppe, bens il Figlio di Dio! Anzi, lo scandalo sarebbe stato ancora maggiore (cf. 22,70s). Quel Dio che aveva promesso di salvare luomo perch lo ama, lo ha salvato assumendo la sua stessa carne. Non gli bastato dare la sua salvezza: ha dato se stesso come salvatore, unendosi alla sua creatura. Questo luomo non lo pu comprendere; ma il disegno di Dio, che, essendo amore, vuol liberamente unirsi allamato. Luomo pu accettarlo solo nella fede, tenendo gli occhi meravigliati fissi su Ges, compimento perfetto della parola del Padre. vv. 23-27: fallo anche qui, nella tua patria!. Invece di aprirsi nella fede e lasciarsi coinvolgere nel dono di Dio, i suoi si chiudono su ci che conoscono di lui e lo pretendono. La conoscenza e pretesa della carne impediscono la fede. Questa obbedire a Dio e seguirlo per conoscerlo, non conoscerlo e addomesticarlo per farsi obbedire. Tale pretesa inoltre va contro lessenza di Dio che dono. Nessun dono pu essere preteso, diversamente distrutto. Il rifiuto di Ges lo stesso dei profeti, che hanno potuto operare solo l dove non cera pretesa dellintervento di Dio. L il dono ha trovato mani per essere accolto (cf. 1Re 17,7-16; 2Re 5,1-14). Si prefigura la croce e la salvezza offerta a tutti, perch vedr ogni carne la salvezza di Dio (3,6). v. 28: pieni tutti di ira. Ges era pieno di Spirito santo; i suoi sono pieni di ira. Questa impedisce loro di accettare il dono. La durezza di cuore pi cattiva quella originata da pretesa religiosa.

v. 29: lo scacciarono fuori. Ges viene respinto dai suoi. Nellinizio gi il pronostico del finale. Ci si avvia alla sua tumultuosa eliminazione, fuori dalla citt, che il Vangelo racconta, e alla ripulsa del suo annuncio narrata dagli Atti (cf. At 18,6). Nei suoi di Nazareth, pi che Israele, sono da vedere i suoi di ogni tempo, e in concreto la chiesa stessa dei gentili alla quale Luca si rivolge (cf. Rm 11,16-26). Il modo in cui si rivela e scandalizza oggi noi, identico a quello di allora a Nazareth. lo stesso oggi da accogliere o rifiutare. v. 30: passando in mezzo a loro, camminava. Ges attraversa miracolosamente la folla dei nemici. Non resta preda della cattiveria degli uomini. un presagio della risurrezione di colui che continua il suo cammino in mezzo a noi, beneficando e risanando tutti coloro che stanno sotto il potere di satana, perch Dio con lui (cf. At 10,38). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo nella sinagoga di Nazareth, di sabato. c. Chiedo ci che voglio: capire il mezzo apostolico di Ges: la Parola. Quale parola (Dio Padre e noi fratelli), come agisce (nella forza dello Spirito), cosa fa (la fraternit reale) e quando (oggi) e per chi (per chi ascolta). d. Punti su cui riflettere: - Ges apre, legge e chiude la Scrittura. - il significato dellanno giubilare - oggi si compie questa parola - non costui il figlio di Giuseppe? - scandalo della fede nella carne di Ges - pretese e reazione negativa. 4. Passi utili Sal 24; Lv 25; At 2,42-48; 4,32-37.

16. LA SUA PAROLA ERA CON AUTORIT


(4,31-32)
31

E scese a Cafarnao citt della Galilea, e stava a insegnare loro nei sabati, 32 ed erano sconvolti del suo insegnamento,

perch la sua parola era con autorit. l. Messaggio nel contesto Dopo linaugurazione delloggi della salvezza e prima dellesorcismo, Luca ci parla dellautorit della parola di Ges. Dal contesto si capisce che questa autorit consiste nel potere che essa ha di compiere quanto dice, di farsi obbedire e di liberare dal male. Luca intende dire al lettore che anche lui, che non ha visto il Signore, pu sperimentare oggi il potere della sua parola ed essere liberato dal male mediante lobbedienza allannuncio. In esso infatti presente Cristo e tutto il suo potere di salvezza. Questo breve brano ci offre una teologia narrativa di ci che sta alla base del cristianesimo: lannuncio opera ci che dice, la salvezza del Signore. Ma solo lobbedienza della fede ne conosce la verit. La parola di Dio sempre efficace: chi obbedisce, la conosce positivamente, cogliendo i frutti che promette; chi disobbedisce, la conosce negativamente, restandone privo. 2. Lettura del testo v. 31: e stava a insegnare loro nei sabati. Ges svolge la sua attivit proprio di sabato. Giorno di riposo al termine della creazione, Dio stesso come principio e fine di tutto il creato, che solo in lui raggiunge il suo riposo. Nel sabato luniverso attinge alla sorgente da cui zampillato. La venuta di Ges laurora del sabato definitivo, il giorno senza tramonto, lottavo giorno della festa senza fine, loggi in cui leternit di Dio ha fatto irruzione nel tempo delluomo. Finalmente luomo - e in lui tutto il creato - raggiunge il riposo di Dio, si ricongiunge ed entra in comunione con lui. Sar giorno pieno quando Cristo, vero sole, sar al culmine e avr vivificato ogni cosa sotto di s. Allora Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28). Ma gi ora tutta la storia illuminata da questo sole ed sempre un unico sabato in cui la parola di Dio opera con autorit. stava ad insegnare. Limperfetto rafforzato significa che lazione non ancora finita: ha insegnato, insegna e insegner sempre. Luca intende portare il lettore, che non ha visto Ges, a conoscerlo e sperimentarlo nel suo annuncio, perch, obbedendo ad esso, ne diventi licona vivente, come lui immagine del Padre. Il suo volto visibile oggi in chi obbedisce alla sua parola. Essa ci insegna chi lui, attraverso ci che fece e insegn (At 1,1). Il racconto della sua vita, la sua storia, per noi linsegnamento definitivo. Ci fa udire e vedere Dio nella sua manifestazione corporale: in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinit (Col 2,9). La parola di Dio, fattasi carne in Ges, tornata Parola nellannuncio del vangelo, in attesa di rifarsi carne, nostra carne, oggi, nellobbedienza della fede. Alla parola esterna che udiamo con lorecchio, corrisponde sempre la parola interna, che, ascoltata nel cuore, lo muove. Dio, come ogni uomo quando comunica con un altro, usa la parola. Questo infatti il mezzo con cui si comunica se stesso allaltro, se laltro ascolta. Cos nellascolto di Ges, entriamo in comunione con lui, e raggiungiamo la salvezza, il sabato, loggi di Dio. Per questo Paolo dice: Non mi vergogno del vangelo, perch potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Rm 1,16). La potenza della salvezza infatti affidata alla debolezza dellannuncio, la sapienza di Dio alla stoltezza della parola della croce. Dio non ricorre ad altri mezzi di potere o di sapienza umana, che svuoterebbero la croce di Cristo, potenza e sapienza di Dio (cf. 1Cor 1-3). Lannuncio di questa croce - svuotamento di Dio che, nel suo amore per noi, uscito di s per venirci incontro - porta il credente a conoscere e sperimentare Dio nella potenza del suo amore. La kenosi continua di Dio quella di affidarsi alla semplice parola. In essa, come quando fu visto nella carne,

esprime il suo amore per noi e si espone al pericolo di essere rifiutato e annientato. Ma, a chi laccoglie, d il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). La parola di Dio infatti porta alla comunione con lui che parla, a condizione che sia ascoltata come parola di Dio (cf. 1Ts 2,13). NellEucaristia il Signore presente come cibo e bevanda, nellannuncio presente come luce e forza: luce che rompe le tenebre dellignoranza, forza che vince il male da essa generato. Per questo Luca include questo brano sulla potenza della parola di Ges tra lannuncio e lesorcismo. v. 32: ed erano sconvolti del suo insegnamento. Latteggiamento giusto davanti alla Parola la meraviglia. La meraviglia madre della sapienza: per essa il cuore si apre ad accogliere ci che nuovo e bello, vero e amabile. diversa dalla curiosit, madre della scienza: per essa la mente si chiede il perch (cur!), in modo da conoscere un oggetto per smontarlo, rimontarlo, impadronircene e usarlo a proprio vantaggio. Se nella meraviglia si invasi dallaltro, nella curiosit si invade laltro. Il primo atteggiamento esprime lamore, laccoglienza e si rivolge al mondo dei fini, del buono e del bello; il secondo esprime legoismo e lappropriazione, e si rivolge al mondo dei mezzi, dellutile e del comodo. La reazione contraria alla meraviglia chiamata da Marco e Matteo durezza di cuore. Questa segna le tappe dellantievangelo. In Luca questa durezza di cuore tradotta con la reazione di rabbia (cf. 4,28; 6,11; 11,53; 15,28). Quando si accosta allaltro per usarlo, il cuore diventa duro, calcificato e morto, e non sa pi pulsare per laltro; chiuso nel proprio utile, mosso dallira e allunga la mano solo per impadronirsi di ci che gli serve, per stritolare ci di cui si serve. Cristo verr ucciso da questo atteggiamento ostile (cf. 11,53). Nel vangelo c uno stupore tutto particolare e nuovo, perch ci si trova davanti alla novit assoluta. Non lo stupore che si prova davanti agli scribi, che pur dicono la verit di Dio. lo stupore di trovarsi davanti a Dio stesso. perch la sua parola era con autorit. Nella Bibbia la parola aramaica autorit (shaltan, da cui sultano) indica lautorit stessa di Dio. La parola di Ges ci mette faccia a faccia con la potenza di Dio. Quel Dio, che con la sua parola aveva creato il mondo e con la sua promessa aveva annunciato la salvezza, ora, fattosi egli stesso parola per noi, entra in comunione con noi e ci salva definitivamente. Tutto il potere del Dio creatore e salvatore sta nella parola di Ges. Ascoltandola, ancora oggi possibile compiere un nuovo esodo e diventare creature nuove. Questa Parola ancora oggi ci ricrea e vince il male: Infatti la parola di Dio viva, efficace e pi tagliente di una spada a doppio taglio, ecc. (Eb 4,12ss): entra nel cuore delluomo, lo mette a nudo, lo giudica, lo muove a conversione e lo giustifica. Ad essa si reagisce difendendosi come gli indemoniati, oppure anestetizzandosi con loblio, il gigante dei peccati! Si pu dire come Acab a Elia che gli svela il suo peccato segreto: Mi hai dunque colto in fallo o mio nemico (1Re 21,20), ma anche sgomentarsi come Giosia (2Re 22,11ss), o riconoscere, come Davide: Ho peccato contro il Signore (2Sam 12,13). Essa rivela i garbugli e i sofismi dei cuori (2,35), li sgonfia e li sperde (1,51). Trafigge il cuore (At 2,37) e porta alla compunzione con la domanda: che fare? (3,10.12.14; At 2,37). Quando la Parola viene annunciata, Dio apre il cuore, perch si obbedisce (At 16,14). Nellobbedienza essa lampada per i miei passi (Sal 119,105) e il Signore si fa luce alla mia lampada (Sal 18,29). Essa illumina e dilata il cuore: Corro per la via dei tuoi comandamenti, poich hai dilatato il mio cuore (Sal 119,32). Diventa dolce, pi del miele per la mia bocca (Sal 119,103); si fa vita (Sal 119,50; cf. vv. 107.116 ... ) e gioia del cuore (Sal 119,111), forza e salvezza (Sal 119,41-45.89-96 ... ). Il racconto del Vangelo ci pone innanzi alla Parola che ha questa autorit, ci mette faccia a faccia con Ges. Lobbedienza alla sua parola ci porta a sperimentare oggi la sua realt, ci rende contemporanei a lui. 3. Preghiera del testo

a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginandomi nella sinagoga di Cafarnao, di sabato. c. Chiedo ci che voglio: accogliere nella fede lautorit della sua parola. d. Punti su cui riflettere: - Ges insegnava - erano sconvolti del suo insegnamento - la sua parola era con autorit. 4. Passi utili Sal 119; 1Re 21,1ss; 2Re 22,lss(11-13); 2Sam 12,1-14; Eb 4,12; Is 55,9-11; Rm 1,16; 10,8-17; 1Cor 1,21; At 16,24.

17. E GES SGRID: ESCI DA LUI


(4,33-37)
33

E nella sinagoga cera un uomo con uno spirito di demonio immondo, e grid a gran voce: 34 Ah! che a noi e a te, Ges Nazareno? Sei venuto a perderci? So di te chi sei; il Santo di Dio! 35 E lo sgrid Ges dicendo: Sii imbavagliato ed esci da lui! E gettandolo il demonio nel mezzo, usc da lui, avendogli per nulla nociuto. 36 E venne paura a tutti e conferivano lun laltro dicendo: Che parola questa, che con autorit e potenza comanda agli immondi spiriti ed escono? 37 Ed usciva leco su di lui in ogni luogo dei dintorni. l. Messaggio nel contesto

La parola di Ges efficace: vince il male. Gli esorcismi sono la continuazione della sua vittoria su satana, riportata nelle tentazioni. Ora, nella sua azione, si estende agli altri; poi, nella sua passione, raggiunger il cosmo intero: la sua croce sar la lotta e la vittoria definitiva sul nemico. A differenza dei miracoli, gli esorcismi avvengono fra molte resistenze; si presentano sempre pi difficili nel seguito del Vangelo. Prima di perdere definitivamente, il nemico si impegna con tutte le forze. Gli esorcismi contengono il pi alto annuncio evangelico: la buona notizia che il male delluomo vinto. Per questo Luca ne pone uno allinizio del ministero di Ges, come atto programmatico, incluso tra la duplice annotazione sul potere della sua parola (vv. 32 e 36). Indica il frutto primo e maturo di questa parola: la riduzione al silenzio e la messa in rotta (taci ed esci!) del male. Il Vangelo presenta la verit, per altro assai palese, che luomo non libero. invece abitato, talora posseduto e devastato, dal male. Ne ascolta la voce, lo esegue, vi si avviluppa e imprigiona dentro come un baco da seta nel suo bozzolo. Ha bisogno quindi di esserne liberato per uscirne e volare nella luce. Gli esorcismi rappresentano lattivit principale di Ges e danno il senso di tutta la sua azione: venuto nel mondo per liberare luomo schiavo del male. La lotta avr il suo culmine sulla croce, dove si scateneranno contro Ges tutte le forze avverse e saranno vinte nella sua morte da sconfitto per amore. una lotta continua di tutta la vita, sempre pi dura e senza quartiere; il male, messo alle corde, reagisce con tutta la sua violenza prima di perdere. Lesorcismo fondamentale della vita cristiana il battesimo, che ci associa per tutta la vita al combattimento e alla vittoria della croce. Ma cos questo spirito del male? Cerchiamo di capirlo dalla descrizione che ne fa il Nuovo Testamento. Si manifesta come ladro della Parola (8,12), ha il suo volto visibile nellidolo della ricchezza che seduce (8,14. 18-24s; 16,13; Ef 5,5; 1Tm 6,10), entra nel cuore di Giuda (22,3), negli esorcismi descritto come colui che possiede e tortura luomo. chiamato satana, il diavolo (laccusatore, il divisore), il forte (11,21), il maligno (Mt 13,19), il tentatore (4,2); il leone (1Pt 5,8), lomicida fin dal principio, perch padre della menzogna (Gv 8,44); il principe di questo mondo (Gv 14,30), ha il suo regno (11,17s), pu addirittura dire con sincerit: Tutto posto nelle mie mani (4,6). Secondo Gn 3, fin dal principio ha suggerito alluomo la falsa immagine di Dio e lo fa disobbedire, lo fa nascondere da lui e glielo fa temere. Cos luomo, allontanandosi da Dio, perde se stesso: ha vergogna e disistima di s, si copre e si aliena da s, dagli altri e dalla natura; fallisce la propria vita, sacrificandola agli idoli, che lo riducono a loro immagine e somiglianza: muto, cieco, sordo, senza gusto, incapace di muoversi e di realizzarsi (cf. Sal 115= 113b, 4-8). Da depositario della gloria di Dio, si spezza, si dissocia e si frantuma nei vari idoli, viene abitato e devastato dalle tenebre e si identifica coi propri cocci, con la legione del male che gli fa male (cf. 8,30). Persa la fiducia nellamore di Dio, luomo deve badare a se stesso. Diventa egoista, perch tutto intento a salvare se stesso (cf. 23,35.37.39). Proprio cos fallisce miseramente e fa ogni male. E si tratta di un male senza fondo, abissale allinfinito, come infinito Dio da cui luomo si allontana. Questo male si solidifica, esteriorizza e organizza in istituzioni e reti malefiche, vere macchine moltiplicatrici di iniquit, di cui luomo, dopo averle costruite, si fa semplice ingranaggio. Si pensi alle stesse istituzioni positive, per tacere delle negative, che hanno la tendenza a diventare il contrario di ci per cui sono nate. Per il male che luomo paventa, egli si mette a servire ad esse, invece che servirsene; si guardi per esempio la famiglia, la fabbrica, la scuola, gli ospedali, il capitale, il benessere, la casa, la citt, i mass media, ecc. Anche la chiesa e lo stato ne sono sempre insidiati! Si pensi solo alla beffa: ci che pi inquina sono i detersivi (per tacere il resto!); ci che pi minaccia la sicurezza sono i sistemi di difesa; chi pi froda il fisco sono stati i capi della finanza; negli affari pi insidiosi e loschi per la societ, troviamo i servizi segreti. C anche chi ha sostenuto che senza scuola aumenta il livello di cultura, senza medici cresce il livello di salute pubblica. I politici poi amano addirittura essere chiamati benefattori, non di se stessi, ovviamente, ma degli altri (22,25). Tutto questo male non necessario. frutto della perversione dellintelligenza dominata dalla paura: invece del vero, cerca lutile; invece del bene, il piacere; invece dellamore, linteresse. Questo perch

luomo, che ha perso Dio, si sente angosciato dal suo nulla. Per questo fagocita tutto, nella volont di possedere e mangiare ogni cosa buona, bella e desiderabile (cf. Gn 3,6; 1Gv 2,16). La natura stessa, dono di Dio, fatta oggetto di possesso, si stacca dalla sua sorgente e, morendo, rende la vita impossibile alluomo. Lultimo risvolto del male proprio quello della natura, sottomessa alla caducit, non per suo volere, ma per volere di colui che lha sottomessa, cio luomo (Rm 8,20). Essa geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto, nellattesa impaziente che alluomo venga resa la sua immagine di figlio di Dio (Rm 8,22.19). La morte stessa, senza il peccato, non sarebbe un male, ma solo il passaggio alla vita. solo per il peccato che la morte avvelena tutta la vita (cf. 1Cor 15,56; Sap 2,24). Ges venuto a liberare luomo da tutte le forme di male, personale e sociale, semplice e strutturale, morale e naturale, fin dalla morte stessa. Il male, da potenza cosmica che schiavizza, riportato alla responsabilit delluomo liberato da Ges. Invece di obbedire alla suggestione del nemico, pu obbedire alla parola del Signore. Questa gli riaffida, gli restituisce la sua dignit di padrone del creato. Ges il Salvatore. La salvezza non un ornamento dellanima bella. salvezza delluomo come tale, che senza Cristo perduto e non si realizza, al di l di ogni pretesa del contrario. Il senso profondo dellesorcismo rendere luomo a se stesso, e quindi a Dio di cui immagine, liberandolo da quel male che gli fa perdere Dio e quindi se stesso. Il male, vero tiranno, temuto e ipnotizzante, paventato e inevitabile, viene defatalizzato. Alluomo resa la speranza. Ora non agisce pi per il male minore, ma per il maggior bene, che la maggior gloria di Dio; e la gloria di Dio luomo vivente (Ireneo). Quel male forte e sottile, che avvolge e penetra lumanit avvelenandone la vita, che fa paura e incanta, scompare come le tenebre allapparire del sole. 2. Lettura del testo v. 33: E nella sinagoga, ecc.. Si parla di un uomo che ha uno spirito di demonio impuro. Luomo vive e agisce secondo lo spirito che ha. Ges agisce nello Spirito santo; luomo invece nello spirito impuro. Impuro tutto ci che ha attinenza con la morte e si contrappone a Dio, che vita e gioia senza alcuna impurit. Nonostante la sua presenza nella sinagoga - lo spirito impuro non doveva di per s escludere dalla comunit di chi ascolta la parola di Dio? - questo uomo lontano da Dio: relegato nellombra, vive e agisce secondo lo spirito di morte. Questa impurit, questa morte, presente anche nella sinagoga, resta nascosta, ma si rivela davanti alla santit di Ges ed esplode in un grande grido. Anche Ges far un grido analogo quando si consegner al Padre (23,46). Sar il grido di vittoria trattenuto fino alla fine! Qui invece il grido di terrore di chi vuoi terrorizzare: il forte non pu pi sfuggire al nemico pi forte di lui: istintivamente grida, per terrore e per terrorizzare, se possibile. v. 34: Ah!, che a noi e a te, Ges Nazareno, ecc.. Lo spirito impuro confessa la sua totale estraneit e inimicizia con colui che pieno di Spirito santo. Non c nulla in comune tra i due: Cristo ha lo Spirito di verit e di vita, il demonio lo spirito di menzogna e di morte. interessante notare che il male intuisce perfettamente il bene, esattamente come suo opposto e suo mortale nemico. Dopo un primo moto di meraviglia, questa anche la nostra reazione immediata davanti alla Parola: la menzogna che in noi resiste alla verit. Ci sentiamo terrorizzati e ci nascondiamo, come Adamo da Dio (Gn 3,10). Capita ogni volta che leggiamo il Vangelo! Il tragico che ci alleiamo col nemico, gli prestiamo voce e ci identifichiamo con lui, ritenendo nemico Dio. Siamo come un paziente che si identifica con il suo male e considera nemico il medico che lo vuole guarire: per sfiducia si allea con la malattia e ritiene estranea a s la salute, allontanando chi gliela porta, perch rovina la sua faticosa anche se falsa identit. Il demonio parla al plurale, dicendo: noi, e ha una conoscenza sovrumana di Ges. Sa chi : il Santo di Dio!. un tentativo magico di prendere possesso di Ges pronunciandone il nome e il segreto? Ci vuoi altro contro colui che la Parola! dichiarazione disperata di una coscienza che sa la verit, ma col cuore

vuole il contrario? Conoscere il bene e la verit, ma volere il contrario, questa scissione tra mente e cuore, tra verit e bene, la rottura stessa mortale che il demonio ha portato alluomo. Come mai preferisco il mio male, che capisco come tale e voglio, al tuo bene, che pure capisco e non voglio, perch me lo doni? Certamente gli indemoniati devono essere curati da quel male profondo che impedisce loro di volere il bene. Ed la disperazione, causata dalla menzogna che il bene non sia per loro. I demoni hanno fede: i demoni credono, e tremano (Gc 2,19). Il bene lo conoscono, ma li terrorizza! La pena del dannato suppone questa fede ed conoscere la verit con lintelligenza, sperimentandone la privazione col cuore. interessante pensare che, come il male riconosce e in qualche modo smaschera Ges, cos la semplice presenza di Ges e della sua parola potente smaschera e sconfigge il male. Al mattino il sole che sorge dissolve la tenebra e lacera il velo che copre la realt. v. 35: Sii imbavagliato ed esci da lui, ecc.. Ges impone il silenzio, dicendo al singolare: Sii imbavagliato. Dissocia il male dal malato e zittisce non il malato, bens il male. Lamore per il malato venuto apposta per lui (5,31s) - lo rende estremamente duro e implacabile col male. Ges si rivolge direttamente al male, non identificandolo col paziente, anzi tagliandolo via immediatamente da lui con la lama della sua parola. Lo vince riducendolo al silenzio, facendo cessare la parlata maligna, che va dal grido di dispiacere davanti al bene al canto incantatore davanti al male. Il potere del male sta sempre nella menzogna: se tace la menzogna, finisce il male. Davanti a Cristo e alla sua parola, luomo, posto nel male, avverte la difformit da essa. Ma questa parola stessa lo pone nel bene - il bene stare davanti a Dio! (cf. Sal 73,28) - e lo rende conforme a s. Per quanto Adamo si sia sottratto a Dio, questi lo cerca, lo incontra e lo pone di nuovo davanti al proprio volto, restituendolo a se stesso. Fuggono lerrore e la falsit, e resta nel mezzo della sinagoga luomo libero e incolume. Quel male che sembrava fatale, che aveva preso il posto di Dio, scompare davanti al suo volto che Ges, sua parola fatta carne. La semplice lettura del Vangelo lesorcismo pi potente, luce che vince in noi progressivamente ogni tenebra. Il demonio se ne va con fracasso, ma senza nuocere! v. 36: Che parola questa, ecc.. Il motivo dello stupore che coglie tutti non il fatto, in s gi grande, bens lorigine del fatto. Lo stupore concentrato non tanto sullaccaduto, quanto sulla parola: essa, in autorit e potenza, comanda agli immondi spiriti ed escono. lo stupore stesso dellascoltatore del Vangelo, che sperimenta la liberazione attraverso la potenza della parola di Ges: vede oggi compiersi questa parola che ascolta, ed entra nel sabato di Dio. v. 37: E usciva leco su di lui, ecc.. Lo stupore si diffonde e leco di questa parola risuona in ogni luogo come segno di speranza e attesa: una parola capace di vincere il male. Questeco giunge ora fino a noi, ovunque annunciato il Vangelo. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la sinagoga di Cafarnao. c. Chiedo ci che voglio: avvertire in me la resistenza del male quando leggo la Parola, e chiedere di essere liberato. d. Punti su cui riflettere: - lo spirito immondo - che a noi e a te?

- sei venuto a perderci? - so chi tu sei - sii imbavagliato ed esci - luscita rumorosa e innocua del demonio - il potere della Parola sul demonio. 4. Passi utili Lc 8,6-39; 9,37-43; 13,10-17.

18. LI SERVIVA
(4,38-39)
38

Ora, levatosi dalla sinagoga, entr nella casa di Simone. Ora la suocera di Simone era preda di una febbre grande, e gli domandarono per lei. 39 E accostatosi sopra di lei, sgrid la febbre, e la lasci! Ora subito, levatasi, li serviva. 1. Messaggio nel contesto Il Primo miracolo cos irrilevante e cos breve che rischia di passare inosservato. Allinizio ci si aspetterebbe qualcosa di pi spettacolare. La sua piccolezza - il pi piccolo del Vangelo - ci costringe a riflettere non tanto sullentit del miracolo, quanto sul suo significato. infatti un segno, che indica qualcosa daltro. Linsignificanza del segno - una semplice guarigione da febbre - concentra tutta lattenzione sul suo significato, posto nel finale: li serviva. Allinizio del Vangelo abbiamo quindi un piccolissimo segno e un grandissimo significato, che fa da chiave interpretativa per tutti i miracoli che seguono. Se allo stolto si indica la luna, lui ti guarda la punta del dito. Cerchiamo allora, oltre la punta del dito, il grande luminare che illumina la notte. Se la potenza della sua parola vince oggi il male (cf. brano precedente), una volta liberati dal male, si finalmente liberi per il bene, che il servizio. Questo servizio, con il quale conclude il racconto del miracolo, il programma messianico di Ges: renderci come lui, che tra noi come colui che serve (22,27). 2. Lettura del testo

v. 38: dalla sinagoga entr nella casa, ecc. . La scena si sposta dalla sinagoga alla casa, la casa di Simone, dove sua suocera in preda a una gran febbre. Sono gli altri a pregare Ges per lei. Questa mediazione comune a molti miracoli. v. 39: accostatosi sopra di lei, ecc.. Ges si china su di lei - ogni miracolo sar frutto del chinarsi su di noi di colui che da ricco che era, si fatto povero per arricchire noi con la sua povert (2Cor 8,9) sgrida la febbre, come al v. 35 aveva sgridato lo spirito impuro, e questa la lascia. levatasi, li serviva. Qui il significato di tutto il miracolo e di tutti i miracoli. Il fatto che essa serva non vuol dire soltanto che guarita dal male fisico. Indica una guarigione ben pi profonda: realmente liberata da quella febbre e spirito del male che impedisce di servire e costringe a servirsi degli altri per essere serviti. Pu finalmente servire, come Ges, che dice di s: Io sto in mezzo a voi come colui che serve (22,27). - utile notare che la traduzione CEI Cominci a servirli non corretta. da tradurre: li serviva, allimperfetto, che indica non solo linizio, ma anche la continuazione indeterminata di tale servizio. Servizio un termine carico di significato nel NT: Ges il servo di Dio e dei fratelli, il giusto che, per amore, si fa carico del peso della debolezza di tutti. Se il servirsi degli altri principio di reciproca schiavit, servire gli altri principio di liberazione. Non c alternativa: il primo espressione dellegoismo, il secondo di amore. Nel servizio luomo diventa se stesso e rivela Dio di cui immagine e somiglianza. Con la parola servire la chiesa primitiva intende il concreto amore fraterno non a parole, n con la lingua, ma coi fatti e nella verit (1Gv 3,18). Questa la caratteristica specifica e fondamentale di Ges, lasciata in eredit ai suoi discepoli prima di morire (cf. 22,24-27; Gv 13,1-17). Questa donna il prototipo dei credente. Liberata per il servizio ricevuto da Ges, libera per liberare, cio per servire gli altri. Si inserisce cos nella vita di Dio, che amore e servizio. La liberazione che Ges porta non raggiunge il suo scopo nella retta professione di fede che ne fanno i demoni (cf. vv. 34.41 e Gc 2,19), bens nel servizio, che assimila luomo a Dio nella sequela di Cristo. Anche tutti gli altri miracoli andranno letti come interventi che Ges compie per portare questa liberazione profonda. La suocera di Pietro il primo frutto maturo del vangelo: incarna lo Spirito di Ges ed tipo di tutti coloro che ne seguiranno la parola. il vangelo vivo, dove sentiamo il buon profumo di Cristo (cf. 2Cor 2,14ss). La vera portata di questo miracolo per lo pi passa inosservata. Il motivo che siamo abituati a leggere i miracoli di Ges come portenti e segni del potere divino. Ges rifiuta tali segni (cf. 11,16.29). Noi siamo incapaci di riconoscere Dio nella piccolezza e nellumilt (cf. 17,21), caratteristiche del servizio e privilegio degli ultimi, che per questo... sono costretti a servire! Ma proprio in queste realt infime che Dio presente con la sua forza. Agostino diceva giustamente che, se la potenza di Dio ci ha creati, la sua impotenza ci ha salvati. Per questo Matteo, dopo il ciclo narrativo dei primi miracoli, ne d la chiave interpretativa dicendo che cos si addossato le nostre malattie (Mt 8,17). proprio il Ges servo, che si addossa il nostro male, che ci libera. Il mistero del servizio lo stesso dello scandalo della croce, che ci vuol portare a riconoscere la grazia di Dio nellumilt del servo che muore in croce. La testata dangolo la pietra scartata (20,17). Infatti Dio ha scelto ci che nel mondo ignobile e disprezzato, e ci che nulla, per ridurre a nulla le cose che sono (1Cor 1,28). Cos questa donna - le donne contavano cos poco nella cultura ebraica che non erano tenute a vivere secondo la legge e non erano in grado di testimoniare - per di pi vecchia, malata e... suocera, la prima che, guarita dalla febbre che intacca lo spirito di ogni uomo (cf. 22,24), vive e testimonia lo Spirito nuovo di Ges, che ha vinto il mondo e fa cieli nuovi e terra nuova. Il miracolo avviene nella casa di Simone. La casa uno dei simboli della chiesa. Chi in essa veramente conta, quali occhi dobbiamo avere per leggere la storia della chiesa, verso chi guardare per imparare il vangelo, quali sono i nostri maestri nella fede? Anche alla fine del suo ministero Ges

chiamer solennemente i discepoli a osservare una povera vedova che d tutta la sua vita (21,4), per imparare da lei la lezione fondamentale. Queste persone insignificanti, che naturalmente devono servire, sono la presenza viva e costante del Signore in mezzo a noi, i nostri maestri di vita. Che il Signore ci dia occhi nuovi ed evangelici per vedere la realt! 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo andando dalla sinagoga di Cafarnao alla casa di Pietro. c. Chiedo ci che voglio: essere liberato dalla febbre e servire. d. Punti su cui riflettere: - la casa di Simone - la suocera di Pietro - la gran febbre - gli domandarono per lei - si accost sopra - sgrid la febbre - levatasi, li serviva. 4. Passi utili Lc 22,24-27; 17,7-10; 20,45-21,4; Gv 13,1-17; 1Cor 1,26-29.

19. BISOGNA CHE IO EVANGELIZZI


(4,40-44)
40

Ora, calando il sole, tutti quanti avevano malati di varie malattie, li conducevano da lui. Ora egli, a ognuno di loro imponendo le mani, li curava. 41 Ora uscivano anche demoni da molti, gridando e dicendo: Tu sei il Figlio di Dio! E sgridando non permetteva loro di parlare, perch sapevano che lui era il Cristo.

42

Ora, venuto giorno, uscito, and in un luogo deserto, e le folle lo ricercavano, e giunsero fino a lui e lo trattenevano che non andasse via da loro. 43 Ora egli disse loro: Anche per le altre citt bisogna che io evangelizzi il regno di Dio, perch per questo fui mandato. 44 E stava a proclamare nelle sinagoghe della Giudea. l. Messaggio nel contesto Si completa il primo abbozzo del volto di Ges: gli uomini lo vedono come il salvatore, i demoni lo gridano Figlio di Dio e lo conoscono come Cristo. Ges, da parte sua, si proclama come levangelizzatore del regno di Dio, spinto da una misteriosa necessit: Bisogna che io evangelizzi. un sommario, sintesi teologica del giorno di Ges. In questo giorno programmatico vediamo la sua azione, che nella sera ha il compimento, nella notte attinge alla sua sorgente, per dilagare altrove in un nuovo mattino. La sera della croce non il fallimento, ma la pienezza gloriosa di tutta lopera salvifica di azioni e miracoli; la notte della morte non lannullamento, ma comunione col Padre, sorgente della vita, che dilaga vittoriosa nel giorno nuovo. Questa presentazione di Ges, prima della chiamata dei discepoli, rende pi plausibile la loro risposta. La cornice del racconto il buio della notte, tra il termine di un giorno e linizio di un altro, dal calar del sole al sorger della luce. il tempo indisponibile per luomo. Tutto piomba nelle tenebre; cessa ogni attivit umana che l confluisce e si placa. La notte simbolo della morte, notte definitiva, tempo assolutamente indisponibile, che anche Ges conoscer, dalloscurarsi del sole il venerd di pasqua al suo sorgere nuovo il mattino dopo il sabato. Il fatto strano che la sua azione si svolge proprio al buio. Infatti, se di giorno aveva operato qualcosa, di sera opera uninfinit di prodigi in favore di tutti gli uomini che accorrono a lui, che si prende cura di ciascuno (v. 40). Ci significa che Ges agisce definitivamente alla fine del suo giorno: infatti la sua croce che salva tutti e ciascuno. Egli ci salva nella nostra notte mediante la sua notte, ci visita nel nostro male mediante la sua croce. Se la prospettiva del giorno delluomo la sera, loscurit e la morte, la prospettiva di Dio in Cristo la vittoria sulla notte e sulla morte. La notte il luogo della verit delluomo, che riconosce il proprio nulla. Ma anche il luogo della verit di Dio, che dal nulla fa tutte le cose. Come fu il luogo della creazione, cos il luogo della salvezza nella fede. Dio infatti agisce proprio quando luomo, impossibilitato, rinuncia ad agire e dice: Ora basta, Signore! (1Re 19,4). Poich nulla impossibile a Dio (1,37). 2. Lettura del testo

v. 40: Ora, calando il sole, ecc.. Luca, a differenza di Marco, non parla della notte. La indica come il tempo fra il calar del sole e il venire del giorno dopo (cf. v. 42). Sottolinea cos la vittoria del giorno sulla notte. Il cristiano vive ormai definitivamente nel giorno dopo il sabato, loggi della risurrezione e della vittoria di Cristo, lottavo giorno che non conosce pi tramonto. La notte infatti stata sconfitta, perch venuta la sua ora (anticipata in 4,1-12.13) proprio nel momento pi buio, che va dallagonia nellorto alla croce (cf. 22,53; 23,44). Questo sole che cala quasi il Cristo crocifisso che si china sulle nostre notti e le illumina tutte. quanti avevano malati di varie malattie, li conducevano da lui. Spesso il malato condotto da Cristo, o Cristo condotto dal malato mediante la preghiera. sottolineata la mediazione e la corresponsabilit dei fratelli nella salvezza di tutti. Tema caro a Luca, cosciente della mediazione ecclesiale. a ognuno di loro imponendo le mani, li curava. Ges si accosta a ciascuno dei malati. Il malato non un numero, un caso. Ges si occupa del malato, non del male! E guarisce imponendo le mani. Altrove si dice che tocca (5,13). La mano segno della potenza e dellazione. Ges la potenza di Dio in azione che si tende, si posa e tocca luomo malato. Questo contatto, quasi identificazione col malato, la salvezza stessa. Dove c comunione col Signore, vinta la forza del male. Non si dice propriamente che Ges guariva bens curava. Si sottolinea la causa della guarigione: non una forza cieca o magica, bens la cura, il rispetto, lamore e il servizio di Ges (questo indica la parola greca therapeein, che Luca usa spesso). In qualche modo si allude gi al fatto che siamo salvati a caro prezzo, mediante il servizio di colui che si posto in mezzo a noi come servo (22,27) per portare il peso del nostro male. v. 41: Ora uscivano anche demoni, ecc.. Come al giungere del sole fuggono le tenebre, dove giunge Cristo il male si mette in fuga, riconoscendo nella propria sconfitta la sua identit. Da questo si capisce che la fede non solo sapere chi lui, ma adesione del cuore allannuncio della salvezza (cf. Rm 10,810). Al demonio, evidentemente, manca questa. Conoscere il bene e non amarlo propriamente la dannazione, la scissione lancinante tra mente e cuore, tra conoscenza ed esperienza. Ges sgrida i demoni: sgrida il male, non il malato. Dissocia, come sempre, lintima associazione, quasi identificazione, che si opera tra male e malato. E non permette che i demoni lo proclamino: accetta che gli uomini proclamino la sua verit, ma non accetta che sia il male a proclamarlo, anche se ne costretto. Perch la sua verit libert e salvezza e va quindi proclamata con la mente e col cuore. Se no dannazione. Si intravvede anche traccia del segreto messianico di Marco, che non permette la proclamazione della gloria prima della croce. Sarebbe un assecondare le tentazioni! In questo capitolo si nota una progressione nella rivelazione di Ges, che realizza quanto predetto nei primi due capitoli: il Santo di Dio (v. 34; cf. 1,35), il Figlio di Dio (v. 41a; cf. 1,32.35), il Cristo (v. 41c; cf. 1,32). v. 42: Ora, venuto giorno, ecc.. Mentre Marco presenta la preghiera notturna di Ges, Luca si scosta da lui per sottolineare che, con la sua vittoria sulle malattie e sul male, inizia il nuovo giorno: liberati dalla schiavit, inizia lesodo e il popolo lo segue. Non ancora una sequela priva di ambiguit, anche se dettata da buona volont. Mentre i suoi lo cacciano via, questi ne vanno in cerca e vogliono trattenerlo, perch non se ne vada via da loro. v. 43: bisogna che io evangelizzi. Questa per una tentazione, quasi un voler sequestrare la salvezza. Ges si sottrae, perch la salvezza non possesso di alcuni, ma dono per tutti.

Ges dice che bisogna che lui evangelizzi. Tale parola (cf. 2,49; 9,22; 12,12; 13,14; 13,33; 15,32; 18,1; 19,5; 22,7.37; 24,44 e altre 17 volte negli Atti) indica la volont salvifica del Padre, rivelata nelle Scritture, alla quale Ges aderisce con libert fedele fino alla morte. Questa volont alla quale aderisce specificata ora come evangelizzare, portare la buona notizia del regno di Dio. la prima volta che regno di Dio esce in Luca. Ricorrer altre trentasette volte. Non viene spiegato in che cosa consiste. Pi che la definizione, Ges offre progressivamente lesperienza di esso come un pazientissimo puzzle (paziente da parte sua!). Luca comunica al suo lettore la medesima esperienza che ne fecero i discepoli, fino a identificare tutte le linee del regno di Dio con il volto finalmente riconosciuto di Ges. Lespressione regno di Dio, per noi enigmatica, era molto chiara per gli uditori di Ges: essi conoscevano bene quanto noi il significato del regno delluomo, regno di ingiustizia, di oppressione, di male, di peccato e di morte (cf. 1Sam 8); ma conoscevano bene anche la promessa di un regno di Dio come esatto capovolgimento di quello delluomo. La sua prima caratteristica quella di essere di Dio, diverso da quello delluomo e a lui indisponibile. Non viene n per azione n per evoluzione n per rivoluzione umana. Solo per desiderio, aspirazione e umile invocazione: Venga il tuo regno (11,2). la signoria di Dio, che restituisce luomo a se stesso, vincendone le malattie, il male e la morte. E quel Regno che con Ges gi presente e agisce in mezzo a noi, ma in un modo discreto, che non attira lattenzione (cf. 17,20s). Questo regno di Dio si identifica proprio con lui, lo spazio di libert che Dio ha donato agli uomini. Per questo i discepoli continueranno lazione di Ges annunciandolo e testimoniandolo fino agli estremi confini della terra (At 1,8). Ges annuncia la buona notizia del regno di Dio - inviato apposta dal Padre - a tutte le altre citt. Grande per Luca la preoccupazione per gli altri, i lontani. La missione di salvezza di Ges, alla cui luce la chiesa legge la propria, universale: non pu diventare appannaggio privato di qualcuno. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginandomi di sera a Cafarnao e al mattino dopo nei dintorni pi solitari. c. Chiedo ci che voglio: comprendere il significato della sera e della notte, della croce e della morte, come luogo della grande azione di Dio. d. Punti su cui riflettere: - al calare del sole Ges guarisce tutti i malati - la sconfitta dei demoni e la loro fede - il ritiro in luogo deserto - bisogna che io evangelizzi. 4. Passi utili Come Dio agisce nella notte: Gn 1,1ss; Es 12,1-14.42; 1Re 19,9-12; Ger 32,23-33; Lc 22,39-46.

20. LASCIATO TUTTO, SEGUIRONO LUI


(5,1-11)
51 Ora avvenne, mentre la folla si riversava su di lui e ascoltava la parola di Dio, lui stava lungo il lago di Genesaret. 2 E vide due barche che stavano lungo il lago. Ora i pescatori, andati fuori da esse, lavavano le reti. 3 Ora, andato dentro una delle barche, che era di Simone, domand a lui di condurre fuori da terra un po. Ora, seduto, dalla barca insegnava alle folle. 4 Ora, quando cess di parlare, disse a Simone: Conduci fuori al largo e calate le vostre reti per la cattura! 5 E, rispondendo, Simone disse: Maestro faticando tutta la notte prendemmo nulla. Ma sulla tua parola caler le reti! 6 E, facendo questo, presero dentro una moltitudine grande di pesci. Ora si strappavano le loro reti. 7 Ed accennarono ai soci dellaltra barca di venire a con-cepire con loro. E vennero e riempirono ambo le barche fino a sommergerle. 8 Ora visto, Simon Pietro ricadde alle ginocchia di Ges dicendo: Esci via da me, poich sono uomo peccatore, Signore! 9 Paura infatti strinse lui e tutti quelli con lui, per la cattura dei pesci che avevano concepito. 10 Ora ugualmente anche Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano compagni di Simone.

E disse a Simone Ges: Non temere! Da ora uomini pescherai per la vita. 11 E, ricondotte le barche sulla terra, lasciato tutto, seguirono lui. 1. Messaggio nel contesto Marco, ponendo la chiamata subito allinizio del Vangelo (1,16-20), mostra come essa sia il principio della vita cristiana. Luca, facendo precedere il discorso inaugurale, losservazione sulla potenza della sua parola e il racconto dei suoi effetti salvifici, non solo motiva la risposta, ma anche ne mostra gli aspetti ecclesiali. I discepoli sono gi sulla barca da dove Ges parla; si trovano al largo, dopo una nottata di fatica inutile e sperimentano, nellobbedienza alla sua parola, labbondanza dei frutti. La comunit cristiana chiamata a confrontarsi con Ges e obbedire alla sua parola per ottenere i frutti della benedizione promessa. Si richiama cos a Teofilo, il lettore cristiano, come la notte della fatica sterile del discepolo, che pure ha con s Ges sulla barca e ne sente la parola, finisca quando obbedisce alla sua parola. Allora, come Maria, concepisce (vv. 7.9; cf. 1,38). La sua sterilit, il suo stesso peccato riconosciuto e la lontananza dal Signore, sono il luogo non del suo fallimento, ma della sua chiamata. un po una riflessione teologica sulla chiamata gi avvenuta per approfondirne il significato. Si notano inoltre gi differenziazioni di ruoli allinterno della chiesa e una certa organizzazione: di due barche scelta una, Pietro la conduce al largo, riceve lordine, raduna i compagni per tirare le reti e riceve alla fine lincarico della missione, alla quale pure gli altri saranno associati. Ges non pi solo. Con lui ci sono degli uomini chiamati a continuare la sua missione. Luca vede qui gi prefigurata e voluta dal Ges terreno quella che poi sar la chiesa postpasquale, senza soluzione di continuit. Nasce cos il popolo di ascoltatori, che seguono Ges. Lascoltatore perfetto del Padre ora ascoltato e la benedizione promessa da Dio scende sulla terra. I cc. 5 e 6 descrivono il cammino di Israele nellascolto della Parola, mentre i cc. 7 e 8 piuttosto quello dei pagani. comunque una riflessione spirituale sulla chiamata gi avvenuta per tutti. Al centro di questi capitoli troviamo da una parte la rivelazione del Dio di misericordia mediante le parole, accessibile ai giudei che gi hanno dimestichezza con la Parola (6,20-49); dallaltra parte troviamo la medesima rivelazione mediante le azioni di Ges, che realizza tale misericordia e mostra in concreto il volto di Dio rivolto ai pagani, ai piccoli, ai peccatori (c. 7). Il tutto per portare il lettore allobbedienza alla parola di misericordia gi udita, che porta frutti di salvezza per tutti. Questo brano richiama per molti aspetti lannunciazione. La chiamata di Maria la stessa del discepolo. Alla sua verginit corrisponde la nostra sterilit, il nostro peccato riconosciuto; nellobbedienza alla Parola anche noi concepiamo come lei. in modo che il corpo del Figlio giunga alla sua misura piena, abbracciando tutti i fratelli perduti. Ges allinizio il maestro, la cui parola da ascoltare (v. 5), ma in questo ascolto egli diviene il Signore (v. 8), il Santo che chiama il peccatore alla grazia e lo invia a chiamare altri alla stessa salvezza. 2. Lettura del testo v. 1: Ora avvenne, mentre, ecc.. La folla si riversa su Ges per ascoltare la parola di Dio in riva al mare. Ges sta presso la riva, di fronte a questo popolo pronto per lascolto e per lesodo: come il pastore che raduna le pecore per condurle al pascolo.

v. 2: E vide due barche, ecc.. La sua parola ormai non viene pi offerta dalla riva, bens da una delle due barche ormeggiate, dopo lesperienza di una nottata di fatica che vedremo essere stata inutile. v. 3: Ora, andato dentro una delle barche, ecc. . Ges ha scelto una barca, quella di Simone, e gli chiede di scostarsi dalla riva. Su di essa solennemente si siede, in atteggiamento da maestro, e insegna. Mentre sulla riva era in piedi per andare altrove, qui seduto. Questa barca figura della chiesa, piccola comunit che galleggia sullabisso e compie lesodo. Essa gi il punto di arrivo della sua missione; per questo si siede e da l si rivolge agli altri che ancora stanno sulla riva. Il fatto che Ges scelga una barca rientra nelle necessit delleconomia dellincarnazione. Non poteva stare su due barche! Ma da questunica barca si rivolge a tutti e da l tutti ascoltano la sua parola, perch l lui stesso ascoltato e c larga benedizione di frutti. lesperienza della chiesa di Luca, che nellobbedienza al suo Signore e Maestro, consapevole di passare dalla sterilit alla testimonianza efficace del suo Signore, sacramento davanti al mondo della sua presenza salvifica. v. 4: Conduci fuori al largo e calate le vostre reti . Pietro riceve da Ges lincarico di guidare al largo la barca. Il verbo al singolare: conduci. Lincarico di pescare, la missione stessa, comune a lui agli altri. Ges infatti dice al plurale: Calate le vostre reti. Unica missione e fatica comune per tutti, come unica guida e conduzione per tutti. Nella pesca raffigurata la missione apostolica che inizia ora, in obbedienza alla parola del Signore, e che giunger molto al largo, fino agli estremi confini della terra. Le reti che gli apostoli calano, dice suggestivamente Ambrogio nel suo commento a questo passo, sono lannuncio fatto di intreccio di parole, slarghi di discorso e profondit di risposte che prendono nelle loro maglie e non perdono coloro che ne sono presi. Ed giusto che gli strumenti della pesca apostolica siano le reti: infatti non fanno morire chi vi preso, ma lo conservano in vita, lo traggono dagli abissi alla luce e dal profondo conducono alla superficie chi vi era sommerso. v. 5: Maestro, faticando tutta la notte, prendemmo nulla. Ora, sulla tua parola, ecc. Quante volte avevano calato le reti inutilmente! Quella stessa notte non avevano preso nulla. Per un pescatore non pescare il fallimento. Ne va della sua identit. come per luomo non essere uomo. Lordine di Ges, rivolto a dei pescatori di professione, appare un po offensivo, oltre che insensato: non conoscono bene il loro mestiere e non forse di notte che si pesca? Dovranno comprendere che non per forza e per volont propria che agiscono, e che lazione fruttuosa proprio di giorno, perch obbediscono al sole che sorto per rischiarare coloro che prima erano nelle tenebre e nellombra di morte (1,78s). Ges non solo il maestro da imitare. la stessa Parola feconda, il Signore che opera quanto dice. Questo invito provocatorio e incompetente alla pesca diurna analogo allordine ricevuto da Filippo, primo evangelista, che cala la rete al largo: contro ogni buon senso e programmazione, riceve lordine di alzarsi e avviarsi verso mezzogiorno sulla strada che va da Gerusalemme a Gaza e che deserta! (8,26). inutile e stupido pescare di giorno, come evangelizzare dove non c nessuno. La vana fatica notturna indica linutilit di tutti gli sforzi umani fatti per volont propria per instaurare il regno di Dio. Perch di Dio! Anche Mos aveva tentato di salvare il suo popolo quando era potente. Dio gli ordin di fare ci che prima lui stesso aveva voluto, quando ormai era impotente e non lo voleva pi. Nella risposta di Pietro si avverte qualcosa quasi di mezzo tra lobiezione di Zaccaria, che vede limpossibilit che qualcosa avvenga, e la risposta di Maria, che accetta che avvenga secondo la sua parola (1,38). C sotto la domanda: ma come possibile?... Lobbedienza alla parola del Signore, di cui hanno sentito e visto la potenza, lunico motivo per sperare limpossibile che essa promette a chi obbedisce. La fede non ha altro appoggio. v. 6: una moltitudine grande di pesci. Come in Gv 21,6, si indica unesperienza post-pasquale, che la chiesa ha gi compiuto e compie di continuo: ogni volta che obbedisce alla parola del Signore,

sperimenta la realt della sua promessa. Solo nellobbedienza di fede la Parola efficace e la promessa di Dio si realizza. Per questo lessenziale giungere a questobbedienza di fede. Essa porta il frutto infallibile e traboccante di questa pesca, che eccede ogni aspettativa e capacit umana: le reti quasi si rompono perch incapaci di contenere la realizzazione della promessa che superiore a ogni fama (Sal 138,2). Ma nulla va perso! (cf. Gv 21,11b). v. 7: ai soci dellaltra barca. La barca di Pietro, che ha pescato nellobbedienza alla parola di colui che in tale obbedienza affogato, contiene non solo Pietro, ma probabilmente anche Andrea (i verbi sono al plurale!). Ma, oltre la sua, c anche unaltra barca associata alla pesca, che ne condivide le fatiche per concepire (cf. anche v. 9). La stessa parola usata per Maria che con-cepisce (1,31) il frutto dellobbedienza alla Parola. Ambedue sono riempite, simbolo della benedizione di Dio, fino ad affondare; ma non affondano. unimmagine della chiesa che, portando i fratelli perduti alla salvezza, in realt concepisce il Figlio che si fatto ultimo di tutti. Solo quando lultimo sar salvo e Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28), sar concepito il Figlio nella sua statura piena (Ef 4,13). v. 8: sono uomo peccatore, Signore!. Nellobbedienza Pietro scopre la potenza effettiva di colui che opera ci che dice: cade alle ginocchia di Ges, il Signore e si scopre uomo peccatore. Luca sa che si scoprir ancora pi peccatore in futuro (cf. 22,33s.54-62), ma che la fedelt del suo Signore lo convertir (cf. 22,32.61s). Sar per grazia che lui confermer nella fede i fratelli. Ma il recipiente di questa grazia la scoperta che fa qui: il proprio peccato. Davanti alla verit di Dio e al suo dono di misericordia, luomo scopre la propria verit. Si sente lontano - per questo gli dice di allontanarsi da lui - e si vede perduto: sa di non essere quello che deve essere e si sente indegno. Non c rivelazione di Dio senza coscienza del proprio peccato: la sua infinita altezza si conosce contemporaneamente alla nostra infinita bassezza, e solo da questa! v. 9: Paura infatti strinse lui. Il timore che prende tutti lhumus in cui fiorisce la coscienza di Pietro. Dove non c timore, stupore e senso del peccato, non si sta alla presenza di Dio, ma solo di un idolo, maneggevole, a propria immagine e somiglianza. v. 10: Ora ugualmente anche Giacomo e Giovanni, ecc. . Vengono nominati ora Giacomo e Giovanni, che in questo stupore, da semplici soci della pesca (v. 7) diventano konno, compagni, che hanno in comune la stessa esperienza del Signore e del suo dono. Formano un unico corpo con un unico Signore, generati come fratelli dalla stessa Parola cui obbediscono. Ges dice a Simone: Non temere, come langelo a Zaccaria (1,13) e a Maria (1,30), cio: abbi fede. Sono le parole con le quali Dio si rivolge alluomo sconvolto dalla sua presenza. Pietro riceve la sua missione mentre si riconosce peccatore e viene chiamato ancora Simone (cf. Gv 21,15-19). La sua missione non decadr neanche per il suo peccato. Anzi, siccome la conoscenza della salvezza c solo nella remissione dei peccati (1,77), il suo itinerario di scoperta del perdono nel peccato e della fedelt nellinfedelt sar tipico di ogni credente. Simone diventer Pietro e ricever lincarico di confermare nella fede i suoi fratelli proprio quando avr consumato fino in fondo la propria esperienza di debolezza. La sua vera vocazione, dove viene chiamato per ben due volte: Simone, Simone e poi subito dopo Pietro, sar proprio allora (cf. 22,31-34). Non per le sue qualit sar pietra, garanzia di stabilit, ma proprio perch Simone si scopre una frana continua che, in ogni sua scivolata, mette a nudo la Pietra, la fedelt del suo Signore. Di questa sar testimone per sempre tra i fratelli. uomini pescherai per la vita. La missione di Pietro, che ha fatto esperienza della misericordia del Signore che lo ha pescato dal peccato, consister nel pescare uomini. Lumanit intera immersa nel mare, nellabisso della perdizione, separata da Dio e in braccio alla morte. Pietro, insieme a coloro che

con lui formano la comunit, pescher gli uomini dallabisso per salvarli. Pescare significa qui propriamente nel testo greco: catturare vivi; il verbo usato nella Bibbia greca per indicare coloro che in una battaglia vanno salvati dalla morte e lasciati in vita (cf. Nm 31,15.18; Dt 20,16; Gs 2,13; 6,25; 2Sam 8,2; 2Cr 25,12; 2Mac 12,35). Ci che Ges ha fatto e far con tutti, compresi i discepoli nella barca (8,22ss), cio lazione di salvare dallabisso, sar la pesca alla quale i discepoli stessi saranno associati, in favore di tutti gli uomini. Saranno infatti suoi testimoni fino agli estremi confini della terra (At 1,8), continuando la stessa sua missione di inviati del Padre a salvare ci che era perduto (19,10). La barca gi una realizzazione di questo regno di salvati, un sacramento, segno efficace di salvezza per il mondo, fino al suo ritorno. Qui si esplicita lautocoscienza della chiesa dopo la morte di Ges: essa si sente inviata a chiamare tutti gli uomini allobbedienza alla Parola che salva, testimoniando essa stessa questa obbedienza che lha salvata. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera, come al solito. b. Mi raccolgo immaginandomi sul lago e sulla barca di Pietro. c. Chiedo ci che voglio: obbedire alla sua parola, ascoltare la sua chiamata ad essere salvato e annunciare questa salvezza agli altri. d. Punti su cui riflettere: - la folla sta a riva per ascoltare Ges - Ges entra nella barca di Pietro - cala le reti - nella tua parola caler le reti - il gran frutto concepito - allontanati da me peccatore - sarai pescatore di uomini - lasciato tutto, lo seguirono. 4. Passi utili Sal 16; 23; Gn 12,1-9; Es 3,1-12; Nm 9,15-23; 1Sam 3; Is 6,1-8; Ger 1,4-12; Gv 21,15-19.

21. SIGNORE! SE VUOI PUOI PURIFICARMI!


(5,12-16)
12

E avvenne, mentre egli era in una citt, ed ecco un uomo pieno di lebbra;

vedendo Ges, caduto sul volto, lo preg dicendo: Signore! Se vuoi, puoi purificarmi! 13 E stendendo la mano lo tocc, dicendo: Voglio! Sii purificato! E subito la lebbra sallontan da lui! 14 Ed egli comand a lui di non dirlo a nessuno; Ma, allontanandoti, mostrati al sacerdote, e porta per la tua purificazione come prescrisse Mos, in testimonianza per loro. 15 Ora circolava sempre pi la parola su di lui, e convenivano folle numerose per ascoltare ed essere curate dai loro mali. 16 Ora egli stava retrocedendo nei deserti e pregando. 1. Messaggio nel contesto Pietro si era dichiarato uomo peccatore (v. 8). Ges, invece di allontanarsi da lui, lo chiama a vita nuova. Infatti non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi (v. 31s). Ora Ges non pi solo. Ha chiamato altri con s, perch ascoltino la sua parola di misericordia (6,27-38). Cos diventeranno figli dellAltissimo (6,35) come lui, lascoltatore perfetto del Padre che va ascoltato (cf. 9,35). In questo cammino di ascolto che ora si apre, Luca presenta due itinerari che si illuminano a vicenda. Il primo per Israele, il popolo nato dallascolto, che conosce il proprio peccato di non ascolto che porta alla morte. In questa parte (5,12-6,49) vengono modulati i temi fondamentali cari ad Israele: purificazione, peccato, perdono, banchetto messianico e sabato definitivo, offerti al nuovo popolo che ascolta la rivelazione del Dio di misericordia, compiuta da Ges con i fatti (5,12-6,19) e le parole (6,2049). Il secondo per tutti. Ha come principio la stessa parola che Ges realizza in favore di pagani poveri e peccatori. Essa come un seme che cresce e fruttifica, facendoci famigliari del Cristo, credi della stessa promessa di Israele (7,1-8,21). Luomo diventa ci che ascolta; lascolto della parola di Dio il fondamento del regno di Dio. Ma luomo incapace di ascoltare, morto e peccatore per la sua disobbedienza. Come Dio aveva chiamato dal nulla tutte le cose, cos Ges chiama dalla morte alla vita: egli la Parola vivente di grazia e di misericordia che rinnova luomo. Basta che sappia di essere peccatore come Pietro e invochi con il lebbroso: Se vuoi, puoi purificarmi. A questa invocazione Ges risponde

necessariamente: Lo voglio. Questa la sua volont sulla terra, la stessa del Padre celeste il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verit (1Tm 2,4). In questo brano si descrive questo cambiamento che produce lincontro con Ges. La comunit che legge vede nel lebbroso la propria esperienza di purificazione operata nel battesimo: il passaggio dalluomo vecchio nel peccato e nella morte, alluomo nuovo nella grazia e nella vita nuova. Si realizzano le parole di grazia che escono dalla bocca di Ges e che portano la buona notizia della salvezza di Dio (4,22). Questa salvezza per ogni carne (3,6), anche quella pi devastata dalla morte. Con questo racconto inizia una serie di considerazioni sul passaggio dalla legge al vangelo, che per lisraelita il fattore determinante della fede in Ges Cristo Signore. La legge evidenzia il peccato e la morte, lesclusione dalla santit e dalla vita; la condizione di chi invoca la salvezza. Il vangelo la buona notizia che Dio in Ges giustifica il peccatore, lo libera dalla morte e gli dona una vita nuova. Sullo sfondo del racconto sta il miracolo di 2Re 5, rievocato da Ges (4,27) per dire che la sua salvezza per gli esclusi. Infatti non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (5,31). Come a dire che dalla salvezza si escludono solo quelli che usano la legge per presumersi giusti. 2. Lettura del testo v. 12 : in una citt. Lincontro del lebbroso con Ges avviene in una citt. Il successivo miracolo avvenne in uno dei giorni (v. 17). Vengono date le coordinate di spazio e di tempo del racconto di ci che si verifica nelloggi (v. 26) di chi lo ascolta. Infatti ci che avvenuto in una citt, pu e deve avvenire in ogni citt; ci che avvenuto in uno dei giorni di Ges, pu e deve avvenire ogni giorno, qui e ora, per chi lo ascolta. Per s un lebbroso non pu stare in citt: se ne star solo, abiter fuori dallabitato (Lv 13,46). Ma forse, da Caino in poi, la citt abitacolo di lebbrosi solitari tutti inscatolati. pieno di lebbra. Luomo che si presenta a Ges pieno di impurit e di morte. esattamente il contrario di lui, che usc dal Giordano pieno di Spirito santo (4,1), cio della vita di Dio. La lebbra il vestito di colui che nel battesimo verr rivestito di Cristo. La lebbra fa di lui un morto civile e religioso, che la legge esclude dalla societ e dal culto. il sommamente impuro, perch nella sua carne sfatta si manifesta lavanzare della morte, che in modo visibile e inesorabile mangia la vita. Vedi tutte le prescrizioni che contro di lui prevede Lv 13. Se qualcuno gli si avvicina inavvertitamente, deve allontanarlo gridando: immondo, immondo. Lunica legge che il lebbroso tenuto ad osservare quella di escludersi dal consorzio umano e da ogni legge (cf. Lv 13,45). Pietro, quando cerca di allontanare Ges, proprio perch davanti a lui scopre la lebbra del proprio peccato. Vedendo Ges, ecc.. Il lebbroso vede Ges come Ges, che significa il Signore salva. Per questo si prostra e lo supplica. Se Levi sar il primo che Ges vede (cf. 5,27), il lebbroso il primo che vede lui! Ci che ci abilita a vedere il Salvatore e il Signore non la nostra giustizia o santit, non la legge osservata, ma la nostra lebbra e il nostro male, che la legge non fa che evidenziare. Non ci accostiamo a Dio perch giusti e mondi, ma perch ingiusti e immondi, bisognosi di giustizia e di santit. Gli unici a chiamare Ges per nome saranno proprio i lebbrosi (cf. 17,13), seguiti dal cieco (cf. 18,38) e dal malfattore (cf. 23,42). Ges infatti il Salvatore; il nostro male lunico titolo valido per accostarci a lui. Signore! Se vuoi, puoi purificarmi!. Ogni uomo, immagine di Dio, bisogno essenziale di lui. La sua miseria supplica oggettiva a colui che misericordia. Il lebbroso, come Pietro (v. 8), si prostra davanti a Ges e ne riconosce il mistero di Signore e Salvatore. Il lebbroso pu incontrare Ges perch lui per primo gli venuto incontro, gli si fatto talmente vicino da prendere su di s la sua

lebbra. Isaia 53,3-5 descrive il volto del servo di JHWH come quello di un lebbroso, percosso da Dio. Lunico giusto si fatto maledizione per noi (Gal 3,13) e peccato in nostro favore (2Cor 5,21), per esserci vicino e poter essere riconosciuto nella sua realt di JHWH salva. Con il lebbroso, vediamo in Ges quel volto di Dio che tenerezza e compassione, che nessuno ha mai visto e dal quale riceviamo grazia su grazia. La sua supplica fatta con fede semplice e assoluta, consapevole che il luogo della salvezza la perdizione. Alla preghiera di Naaman il Siro, il re aveva risposto: Sono forse Dio per dare la morte o la vita? (2Re 5,7). Il lebbroso riconosce in Ges il potere stesso di Dio. v. 13: stendendo la mano lo tocc, ecc.. Ges stende la mano verso di lui. il segno dellintervento salvifico di Dio (cf. Es 4,4; 7,19). Se il lebbroso lo vede e va a lui con locchio, Ges viene a lui con la sua misericordia e stende la mano; quegli si prostra, lui lo tocca; quegli lo supplica, lui esaudisce. importante il fatto che lo tocc. In Ges luomo realmente toccato da Dio salvatore. Questo contatto non avviene sulla base della bont o dei meriti secondo la Legge. Per s la Legge induce quasi ad allontanarsi da Dio, facendone vedere la lontananza. Il contatto opera della sua grazia che tende la mano e tocca. Ges tocca lintoccabile: sfonda barriere e leggi, e raggiunge luomo nella sua debolezza. Ma chi tocca limmondo, diventa immondo! Difatti Ges con questo tocco si identifica con noi e si carica della nostra lebbra. Noi, che non possiamo toccare Dio dallalto della nostra giustizia, veniamo toccati da lui nellabisso del nostro male, nel quale venuto a visitarci. Se il figlio cade nel pozzo, il padre scende per estrarlo. Ges andr nei deserti e finir fuori delle mura (Eb 13,12), come il lebbroso. Voglio! Sii purificato!. Ges dichiara al lebbroso la sua volont di salvarlo. la stessa di Dio in cielo, che lui esegue sulla terra (cf. 5,32; 19,10), perch tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verit (1Tm 2,4). Solo Dio pu salvare e lo vuole. Per questo ci venuto incontro in Ges. Quante cose noi vogliamo, ma non possiamo; oppure possiamo, ma non vogliamo! In Ges Dio invece si rivela come identit tra potere e volere, per ci che riguarda la nostra salvezza. Naaman il Siro, dopo sette immersioni nel Giordano, ne usc con la carne fresca e nuova come quella di un bambino (2Re 5,14). come lesperienza battesimale: al tocco e alla parola di grazia di Ges, il male scompare e luomo diventa nuovo. Il contatto con lui sana luomo, lo purifica dal peccato e dalla morte, la vera lebbra che lo esclude da Dio e dagli altri. Da morto per il peccato, si scopre vivo per Dio in Cristo; da peccatore si sente giustificato in lui (cf. Rm 6,8-11). La purificazione del battesimo analoga a quella dalla lebbra: come il lebbroso non pi lebbroso, cos realmente il peccatore non pi tale, se accoglie il dono di Cristo. Ges non ha annullato la Legge - che giusta! - e non ha rilasciato il lebbroso con la sua lebbra, dichiarando semplicemente superata la legge della separazione. In altre parole Dio cura il malato e non la malattia: non giustifica il peccato, ma il peccatore! Noi invece nel trascurare la legge, nel non tener conto della santit e della giustizia, vanifichiamo il vangelo stesso, dichiarando pura la lebbra e giustificando il peccato! Oggi molto diffuso questo modo di vedere che non discerne pi il bene dal male e che distrugge il senso della salvezza stessa! Dio invece odia il male, perch ama luomo che ne soffre. v. 14: Ed egli comand a lui di non dirlo a nessuno. Ges impone al salvato il silenzio. una traccia del segreto messianico, tipica di Marco, che Luca conserva. Questo rivela, sul piano storico, che Ges non ricerca la pubblicit (questo distingue luomo religioso da quello mondano!). Sul piano teologico, rivela che quanto avviene sar comprensibile solo dalla croce, quando sar tolto ogni segreto. Ma solo per chi avr fatto lesperienza della propria lebbra e dellincontro col volto di colui che lha assunta su di s.

mostrati al sacerdote, ecc.. Ges invia lex-lebbroso ai sacerdoti, tutori della legge, perch costatino, secondo la legge, che ci che la legge non pu fare, avvenuto: mondare luomo dalla morte. Analogamente, nel brano successivo, gli scribi e i farisei costateranno teologicamente il perdono di Dio sulla terra, che nessuna legge pu dare. La legge infatti pu solo condannare il peccatore. Cos tutti siamo messi sullavviso di una presenza sconvolgente: c uno pi grande di Mos e della legge stessa. Dora in poi il sacerdote non sar pi il custode della legge, che distingue tra puro e impuro. Nascer il popolo sacerdotale, di persone purificate, che in Ges hanno libero accesso a Dio. Nel racconto del lebbroso cancellato il sospetto di Adamo che Dio sia geloso e si contrapponga a lui nella sua santit. presentato un Dio che tocca luomo nella sua miseria, un Dio la cui tenerezza si espande su tutte le creature (cf. Sal 103,8; 145,8s) nella misura del loro bisogno. Lunica misura dellamore il bisogno dellamato; la grandezza della misericordia quella della stessa miseria. v. 15: Ora circolava sempre pi la parola su di lui, ecc. . La Parola si diffonde da quella citt tuttintorno; di orecchio in bocca e di bocca in orecchio, giunge fino agli uditori pi lontani che sono i lettori del Vangelo di Luca, che siamo noi, ora!... Tutti da ogni citt, noi compresi, sono invitati ad accorrere a lui per la forza centrifuga di questa parola su di lui che si diffonde. Nelle molte persone che accorrono per ascoltare ed essere curate dai loro mali, da vedere tutta la folla di coloro che, udito il racconto, riconoscono, con la propria lebbra, il potere e la volont che Ges ha di liberarli e accorrono a lui per fare la stessa esperienza del lebbroso. interessante laccostamento tra ascoltare la parola di Ges ed essere curati. Lascolto della sua parola, il racconto del Vangelo, la potenza stessa di Ges che guarisce chi accorre a lui con la coscienza e la fede del lebbroso. v. 16: Ora egli stava retrocedendo nei deserti e pregava. Ges si ritira definitivamente nei deserti, come il lebbroso (Lv 13,45s). Ma non solo: presso il Padre in preghiera. Noi ci possiamo accostare a lui ed essere guariti solo mediante lascolto della parola potente di colui che, in comunione con il Padre, intercede per noi. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera, come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la citt e il lebbroso che grida. c. Chiedo ci che voglio: Signore, se vuoi, puoi purificarmi. d. Punti su cui riflettere: - Il lebbroso - Signore, se vuoi, puoi purificarmi - Ges stende la mano e lo tocca - Lo voglio: sii purificato - subito la lebbra si allontan da lui - non dirlo a nessuno - circolava la parola - ascoltarlo ed essere guariti - stava nei deserti in preghiera. 4. Passi utili

2Re 5; Lv 13; Is 53,1ss; Sal 146

22. UOMO, SONO RIMESSI A TE I PECCATI TUOI


(5,17-26)
17

E avvenne, in uno di quei giorni, che lui stava a insegnare e stavano seduti farisei e maestri della legge, i quali erano venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme, e cera una potenza del Signore perch lui guarisse. 18 Ed ecco degli uomini che portano su un letto un uomo che era paralizzato, e cercavano di portarlo dentro e di porlo al suo cospetto. 19 E, non trovando come portarlo dentro a causa della folla, saliti sul tetto, attraverso le tegole lo calarono insieme al lettuccio in mezzo davanti a Ges. 20 E, vista la loro fede, disse: Uomo, sono rimessi a te i peccati tuoi! 21 E cominciarono a ragionare gli scribi e i farisei dicendo: Chi costui, che proferisce bestemmie? Chi pu rimettere peccati, se non solo Dio? 22 Ora riconosciuti Ges i ragionamenti loro, rispondendo disse a loro: Perch ragionate nei cuori vostri? 23 Cosa pi facile: dire: ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: destati e cammina?

24

Ora, affinch sappiate che il Figlio delluomo ha potere sulla terra di rimettere i peccati, disse al paralitico: A te dico: destati! e, sollevato il tuo lettuccio, cammina verso casa tua. 25 E, allistante, levatosi al cospetto loro, sollevato ci su cui giaceva, sallontan verso casa sua, glorificando Dio. 26 Ed estasi prese tutti quanti, e glorificavano Dio ed erano pieni di timore, dicendo: Vedemmo paradossi oggi! 1. Messaggio nel contesto Questo brano, che inizia con uno di quei giorni e finisce con oggi, ci presenta in altro modo lesperienza di riconciliazione portata da Ges in uno dei suoi giorni, che la comunit cristiana rivive oggi nella remissione dei peccati, glorificando Dio. Luomo, avviluppato, imprigionato e immobilizzato dai suoi mali, fallimenti e sensi di colpa, finalmente liberato. Qui Ges dichiara il perch del miracolo e di ogni sua azione in nostro favore: ci vuol far sapere che in lui presente sulla terra il potere stesso di Dio, lunico potere del Dio di misericordia: perdonare luomo e rifarlo nuovo. Perdonare miracolo pi grande che far risuscitare: il risuscitato muore ancora; il perdonato ha sperimentato un amore pi grande di ogni male e della stessa morte. Oggi, invece del perdono del male c la sua giustificazione, il far finta che non ci sia. Questo il male peggiore, che chiude definitivamente nei sensi di colpa. senza via duscita. Con buona pace della psicologia, non c alternativa, per chi avverte il male che c, tra perdono o senso di colpa. Il brano termina con la meraviglia, anzi lestasi delluomo nuovo, che di continuo vive e prende coscienza del grande dono ricevuto nel battesimo: il perdono, che vince la paralisi del peccato. In questo la gloria di Dio (gloria = dxa) diventa incredibile, paradossale (= par-doxa!). Questo perdono esteso a tutti e richiama quello che Ges alla fine del Vangelo impetrer presso il Padre per coloro che lo stanno crocifiggendo (cf. 23,34). La sua paralisi sul letto della croce sar lamore che ci libera dalla paralisi del peccato al quale la legge ci inchioda. Dopo la chiamata, luomo peccatore, pieno di morte e di lebbra (v. 12), diventa pieno di vita e di Spirito santo; da paralitico e immobilizzato che era, pu camminare e andare verso la sua casa. Nei brani seguenti vedremo come, da seduto nel proprio egoismo, seguir Ges (v. 27ss); passer cos dal digiuno alla gioia del banchetto nuziale (vv. 33-39); giunger quindi al sabato di Dio (6,1-5) e la sua mano sar guarita per accogliere il dono della vita (6,6-11). Il tema dominante di tutto questo cammino quello della riconciliazione e del perdono. un preludio alla rivelazione del Dio di misericordia di 6,27-38. Lo sfondo quello dellirriconciliazione, della morte e del peccato. La legge, lungi dal togliere il male delluomo, lo evidenzia. la sua funzione di pedagogo (Gal 3,24): convince tutti di peccato e tutti porta a Cristo, in modo che dove abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia (Rm 5,20; 7,7).

La legge, per s, sarebbe la via di Dio (cf. Sal 119). Ma questa via diventa un letto di contenzione per luomo impossibilitato a camminare. Se il peccato come la paralisi, la legge come il letto - il luogo dove il peccato contenuto e compreso come tale. Funzione indispensabile, per distinguere il bene dal male e desiderare la liberazione da questo. Tutto il brano si svolge allinterno della casa, dove Ges sta, insegna e guarisce: figura della chiesa, al cui centro c il Signore. Questa casa quella che ha come pietra angolare lo stesso Cristo Ges (Ef 2,20). In lui anche noi, insieme con gli altri, mediante il battesimo, veniamo edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2,22; cf. 1Pt 2,4). La fede ci introduce in questa casa di perdono, di guarigione, di cammino e di lode (cf. 24,47ss). Alla sinagoga, luogo della legge, subentrata questa casa, che fa camminare ogni uomo verso la sua casa - dove sta di casa - dalla quale da sempre fuggitivo ed esule (cf. 15,13.28; Gn 3,8ss.). 2. Lettura del testo v. 17: in uno di quei giorni. Come in una citt (v. 12) corrisponde a in ogni luogo implicito nei vv. 15.17, cos uno di quei giorni di Ges corrisponde alloggi del v. 26, il momento presente di chi ascolta la Parola (cf. 4,21). Quanto accaduto in una citt accade ovunque si accorre a Ges per ascoltarne la parola ed esserne curati (v. 15); quanto accaduto un giorno, accade oggi e ogni giorno, nel tempo della chiesa, che nellascolto si rapporta oggi e sempre a uno dei giorni di Ges e ne viene attualizzata. Per questo Luca negli Atti descriver due miracoli analoghi (At 3,1ss; 9,32ss). La scena si svolge nella casa in cui Ges si trova, insegna e guarisce, dove le folle accorrono per ascoltare ed essere curate (v. 15). stavano seduti farisei e maestri della legge. Anche dove Ges insegna, farisei e scribi stanno seduti (cf. v. 27). Sembra circondato da un nugolo di questi giusti e maestri che giungono da ogni villaggio della Giudea, della Galilea e da Gerusalemme. una genia che germina dappertutto, ed di casa, seduta, anche dove non dovrebbe. Laccesso a Ges impedito proprio da loro, che stanno seduti come maestri della legge. La loro presenza servir a dichiarare teologicamente il potere nuovo che c sulla terra. Mentre il loro un potere di distinzione tra bene e male, mediante la legge che approva il giusto e condanna il peccatore, ora c il potere di Dio, quello di riconciliazione che perdona il peccatore... e anche il giusto, se si riconosce peccatore (vedi il c. 15). Mentre noi siamo abili nel condannare il peccatore, perch amiamo il peccato, Ges ama e accoglie i peccatori, perch odia e rifiuta il peccato. Non un medico che cura il male e uccide il malato; cura invece il malato e uccide il male. cera una potenza del Signore perch lui guarisse. La potenza (dynamis) di Dio guarisce e perdona. la forza della misericordia del Padre (Cf. 6,36), che vediamo allopera in Ges, mentre si prende cura delluomo e lo guarisce dai suoi mali. Il potere di Dio a servizio delluomo. Proprio perch amore, ha sulla terra il volto del servo (Cf. 22,27). Come legoismo servirsi, lamore servire laltro. v. 18: un uomo paralizzato. La paralisi simbolo del peccato, che immobilizza luomo. Egli, di sua natura, ci che ancora non , ha il suo fine fuori di s. Per questo deve camminare verso la sua casa, se vuol raggiungere il proprio volto. Il paralitico rappresenta lumanit incapace di muoversi verso il proprio fine, fallita perch immobilizzata, uccisa dal peccato che le impedisce di raggiungere la propria casa.

cercavano di portarlo dentro. Egli deve essere portato a Ges da altri. Rappresentano la chiesa, testimone di Cristo a tutto il mondo (At 1,8), che annuncia a tutti la conversione e il perdono dei peccati (24,47). Mediante la sua fede porta gli altri a Cristo Signore. Una fede che non si fa carico dellaltro non ancora tale. Ges ha aperto e indicato nella fraternit il cammino al Padre comune; dove non c solidariet responsabile del fratello, non c ancora conoscenza del Padre e del suo amore per tutti i figli suoi: la chiesa non raggiunge il numero legale di comunit di fratelli (ne mancano nove su dieci), se lunico lebbroso guarito che torna a celebrare leucaristia non si sente responsabile degli altri nove (Cf. 17,17). La chiesa la casa dove Ges ancora parla e guarisce. Essa formata da coloro che, avendo ascoltato la sua parola ed essendone stati guariti, sono in grado di testimoniare oggi tale salvezza di Dio a tutti gli uomini. Ma questi credenti che portano il paralitico, incontrano difficolt a entrare nella casa per condurlo davanti a Ges. Laccesso impedito da un serrato accerchiamento di farisei e scribi. forse allusione alla legge che chiude al vangelo chi in essa si rinchiude? forse allusione alle difficolt che incontr da parte della legge lingresso degli esclusi, i peccatori e i pagani, nella chiesa (Cf. soprattutto At 15,1-35, part. v. 5)? Certamente difficile per ogni uomo cogliere il perdono incredibile di Dio e vivere di esso come uomo nuovo. tuttavia da notare che Ges in mezzo agli scribi e ai farisei, come il vangelo al centro della Legge. Ci che costituisce la difficolt per raggiungerlo, anche il luogo dove incontrarlo. L contenuto come la noce nel suo guscio. Difatti la Legge stessa indispensabile per capire il dono di Dio (Cf. Rm 7,7-13). Gli scribi e i farisei fanno capire il significato di ci che accade, anche se non laccettano (v. 21). Non un caso! La Legge infatti santa e giusta, e vuole che siamo santi e giusti: Siate santi, perch io, il Signore Dio vostro, sono santo (Lv 19,2). Non potendo farci tali, perch siamo immondi e peccatori, ci fa riconoscere la nostra lebbra e la nostra paralisi, il nostro essere seduti e impossibilitati a camminare e quindi ci pone in condizione di comprendere e accettare la guarigione. In questo senso la legge stessa il pedagogo, che porta a Cristo (Cf. Gal 3,24), il quale ci dona ci che essa ci fa desiderare mostrandocene la mancanza. v. 19: lo calarono, ecc.. Non c altro modo per raggiungere la potenza di Dio che guarisce che calare dal tetto, superando ogni barriera. Dal punto di vista umano, la barriera della Legge invalicabile e nessun uomo pu raggiungere la salvezza che sarebbe la giustizia della Legge. Pu essere superata solo dallalto, dalla grazia di Dio, che ci fa entrare al centro della legge, dove si trova Ges, lunico giusto che riconcilia tutti con Dio. La Legge Dio al centro delluomo, ma noi fuggiamo da lui! Con Ges invece luomo al centro di Dio, sua legge di amore! Anche Pietro vide scendere dal cielo la tenda che conteneva ogni animale immondo (Cf. At 10,lss); ma lui non ne osava prendere, fino a quando Dio gli rivel: Ci che Dio ha purificato, tu non chiamarlo pi profano (At 10,15). Il peccatore sta al centro della chiesa, davanti a Ges salvatore, non in forza della legge, ma proprio perch calato dallalto, dalla grazia stessa di Dio che cos vuole. La Legge che lo tiene immobile, il letto che serve per calarlo in mezzo, davanti a Ges! v. 20: vista la loro fede. Ges vede ci che supera tutte le barriere: la fede dei portatori, la loro fede. Credenti riconciliati possono e devono portare luomo a Ges e si fanno carico delle difficolt che ci sono per incontrarlo nella casa dove lui sta, il cui accesso sempre ostruito dalla legge... dei buoni! Uomo, sono rimessi a te i tuoi peccati. la parola potente di perdono che salva. Il peccato il fallimento delluomo. Egli, per paura e sfiducia, si allontanato da Dio e si nascosto a colui del quale immagine. Ha cos perso il proprio volto. Non pi se stesso. alienato da Dio, quindi da s, dagli altri e dalla natura stessa (Cf. Gn 3). Il peccato porre lio al posto di Dio: si rompe il rapporto vitale con lui, si perde la sorgente del proprio io e si scopre la propria radicale autoinsufficienza. Stupitene, o cieli, inorridite come non mai... Perch il mio popolo ha commesso due iniquit: essi hanno abbandonato

me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono lacqua (Ger 2,12s). Da qui nasce la paura della morte e lansia della vita, laccentramento su di s e il tentativo, inutile e disperato, di salvarsi a tutti i costi: legoismo, origine di tutti i mali. Cos inizia la storia umana, come un crescendo di nascondimento, di non riconciliazione e di male a tutti i livelli. Il perdono dei peccati riconciliazione con Dio, quindi con s, quindi con gli altri e infine con la creazione stessa. S, perch luomo non la serve pi come schiavo, ma ne usa a proprio servizio. cambiato infatti il suo atteggiamento verso di essa: da fine, divinizzata e idolatrata, diventa mezzo e segno, dono di un amore ricevuto e dato. La morte stessa vinta; essa non avvelena pi la vita, perch non rappresenta pi il nostro limite assoluto che ci distrugge, bens lincontro con lamore assoluto da cui scaturiamo. importante notare che il perdono unilaterale. Per questo difficile da accettare, perch noi gli preferiamo lespiazione, pur di fare qualcosa. come un morire per nascere a vita nuova. In esso infatti il rapporto non torna come prima: si pone a un livello di amore maggiore di quello che cera prima del peccato (Cf. 7,36-50). Se lamore dono, nel peccato sperimentiamo il per-dono, cio il superdono di un amore pi grande e certamente gratuito, perch non meritato. Cos si toglie allamore ogni ambiguit, facendone vedere il carattere di grazia e dono non dovuto. Un amore che non perdona non amore. Per questo Dio si rivela pienamente come dono di amore nel perdono: infatti tutti mi conosceranno, dal pi piccolo al pi grande, dice il Signore; poich io perdoner le loro iniquit (Ger 31,34). Colui che perdonato diventa creatura nuova: il suo rapporto vitale con Dio non solo ripreso, ma pi grande di prima, perch si scopre pi amato. Infatti l dove abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia (Rm 5,20). Cos si supera il circolo vizioso di colpa/espiazione che blocca luomo nella paralisi dellautodistruzione, perch Dio pi grande del nostro cuore e conosce ogni cosa e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri (1Gv 3,19.20), fino a quando sperimenteremo che lamore perfetto avr scacciato ogni timore (cf. 1Gv 4,17s). v. 21: Chi costui, che proferisce bestemmie?. La legge non perdona, bens evidenzia il peccato e fa costatare alluomo la perdizione e il fallimento. Il perdono, opera esclusiva di Dio, una bestemmia per qualunque legge, perch contro la sua essenza. utile notare che ci sono leggi di vario tipo, laico e religioso, ateo o meno; ogni cosa e creatura che assolutizziamo, in campo sociale o personale, fisico o psicologico, assume il valore di Dio, un dio impersonale, un idolo che detta legge spietata nei vari ambiti della vita umana. Luomo non mai ateo. piuttosto idolatra. Soltanto Lucifero non n ateo n idolatra, bens espressamente egolatra; luomo invece sufficientemente stupido per esserlo, ma non sufficientemente intelligente per riconoscerlo. Il fariseo, religioso o laico, chiuso nella sua reale (?) o presunta giustizia, sapendo ignora, confessando nega, testimoniando smentisce (Pier Crisologo, Sermo 50,3-6). lunico in grado di capire, confermare e testimoniare la novit assoluta del perdono, indeducibile dalle sue premesse. Appunto per questo preferisce ignorare, negare e smentire ci che lo mette in questione. Non accetta il dono di Dio e resta intrappolato nelle sue sterili discussioni interiori, che Ges innesca e svela. Egli, in quanto segno della misericordia di Dio, contraddice ogni male ed da esso contraddetto (cf. 2,33s). Luomo esce da questa contraddizione interiore, che Ges mette a nudo, solo se accetta il suo dono, lamore e il perdono di Dio, offerti per grazia, da colui che amore. Questa rivelazione la guarigione dal peccato originale stesso e pone luomo in un gradino pi alto dellEden: il suo giardino diventa il cuore di Dio, dove si accorge di abitare per sempre. Cade il sospetto e la paura di lui, origine di ogni peccato e nasce luomo nuovo, il nuovo Adamo che non solo rispecchia finalmente il suo volto, ma si identifica con lui in unione di amore. v. 23: pi facile dire: ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: destati e cammina? . Queste parole alludono al battesimo, in cui luomo risorge e cammina in novit di vita, perch ha accolto il dono di Dio. Il dilemma che Ges presenta facile da risolvere, soprattutto per i farisei: pi difficile perdonare il peccato. Anzi, impossibile e blasfemo presumerlo da parte di un uomo. Per un lettore pagano

invece assurdo e impossibile che un paralitico cammini. Comunque Ges fa le due cose impossibili: guarisce il corpo e perdona il peccato. Il fatto visibile, per s pi facile, segno di quello invisibile. Ges compie ci che assurdo per il pagano e blasfemo per il fariseo e per tutti impossibile. v. 24: il Figlio delluomo ha potere sulla terra di rimettere i peccati . Il miracolo difficile della guarigione compiuto per mostrare il miracolo ben pi grande dellimpossibile riconciliazione. Come dice: destati! a chi paralitico e questi si alza, cos la sua parola di perdono risuscita il cuore morto e risveglia un uomo nuovo. Qui Ges dichiara apertamente per lunica volta il senso di tutti i suoi miracoli: sono segni esterni della riconciliazione che lui ha portato. Sono i meravigliosi frutti di un albero ancor pi meraviglioso, che ora Ges ha piantato sulla terra. Sono insieme i frutti dellalbero della vita e della conoscenza, prima impossibili da gustare insieme (cf. Gn 3,24). Con lui presente sulla terra la forza stessa di Dio che sana, il potere che rimette i peccati. Luomo si fatto simile a Dio davvero, perch Dio si fatto Figlio delluomo, radice di ogni bene. Caro salutis cardo! destati! e, sollevato il tuo lettuccio, cammina verso casa tua. lordine di Ges al paralitico immobile e muto. Il letto, che ti teneva e ti portava nel tuo male simbolo del male stesso, pur essendo un bene - ora tu stesso, guarito, lo porti. Tu che prima giacevi paralitico in esso, ora lo porti sulle tue spalle come un giogo leggero. Cos puoi camminare verso la tua casa, quella verso cui non avevi mai camminato, ma che la tua, perch la casa del Padre con cui sei riconciliato nel perdono. Inizia cos il ritorno delluomo a se stesso, al proprio volto da cui era fuggito. v. 25: E, allistante, levatosi, ecc.. Alla parola destati il paralitico allistante (cf. 8,55.44.47) si leva. Sono le due stesse parole usate per la risurrezione di Ges. Colui che stato posto davanti agli occhi di Ges come paralitico, ora in grado di camminare davanti agli occhi di tutti e di andare verso la sua casa glorificando Dio e portando quel letto che gli ricorder sempre il male da cui stato salvato. lesperienza del battezzato, che ha incontrato lo sguardo e la parola di Ges: stato perdonato, risorto a vita nuova e pu camminare verso Dio davanti a tutti, cantando la sua riconoscenza e portando liberamente ci che prima portava lui come prigioniero. Ora porta il letto, perch realmente non pi peccatore: veramente giusto perch giustificato, pieno di grazia perch graziato; ora cammina davvero secondo la via di Dio. v. 26: Vedemmo paradossi oggi. Al canto del singolo fa eco il canto corale della chiesa che si allarga a tutti gli uomini. Anche costoro, presi da estasi (cf. 8,56), sono posti fuori di se stessi e da ogni loro prospettiva e lodano Dio dicendo: Vedemmo paradossi oggi. Laccento posto sul finale oggi, che richiama: uno dei giorni del versetto iniziale. Noi viviamo oggi uno dei giorni di Ges: il giorno della riconciliazione. Il brano si riferisce allesperienza attuale di riconciliazione nella comunit che ha ascoltato la parola del Signore e ne stata guarita. La storia del paralitico si fa storia del lettore stesso: in ci che vede e sperimenta, nellascolto di Ges che perdona, giunto loggi in cui vede cose paradossali, che mai avrebbe supposto. Ora la dxa di Dio che tutti cantano glorificandolo, diventa par-doxa: nellabisso del perdono Dio stesso, che dxa, gloria damore senza fine, va oltre se stesso e diventa par-doxa. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la casa di Cafarnao dove Ges insegna e tutti accorrono. c. Chiedo ci che voglio: accogliere ora il perdono di Ges e guarire dalle mie paralisi.

d. Punti su cui riflettere: - Ges che insegna e guarisce - il paralitico - i suoi portatori scoperchiano il tetto - ti sono rimessi i tuoi peccati - costui proferisce bestemmie - il potere del Figlio delluomo sulla terra - and a casa sua - vedemmo paradossi oggi. 4. Passi utili Sal 32; 51; 103; Is 1,10-19; 54,1-10; Ger 31,31-34; Ez 36,24-32; At 3,1-10; 9,32-35.

23. NON SONO VENUTO A CHIAMARE I GIUSTI BENS I PECCATORI A CONVERSIONE


(5,27-32)
27

E dopo queste cose, usc e guard un esattore di nome Levi seduto allesattoria, e disse a lui: Segui me! 28 E lasciata indietro ogni cosa, levatosi, seguiva lui. 29 E fece unaccoglienza grande Levi a lui nella sua casa, cera molta folla di esattori e di altri i quali erano sdraiati con loro. 30 E borbottavano i farisei e i loro scribi, dicendo ai suoi discepoli: Perch mai con gli esattori e peccatori mangiate e bevete? 31 E rispondendo Ges disse loro: Non i sani hanno bisogno di medico, bens quanti stanno male.

32

Non sono venuto per chiamare i giusti, bens i peccatori a conversione. l. Messaggio nel contesto Il racconto narra due fatti: Ges chiama Levi (vv. 27-28) e mangia con i peccatori (vv. 29-30; cf. 7,34; 15,1; 19,7). Il perch spiegato con un suo detto che dichiara la sua missione proprio come chiamata dei peccatori al banchetto del Padre (vv. 31-32). Levi seduto, come i giusti farisei (cf. v. 17) e si leva come il paralitico alla voce del Signore. La sua chiamata la sesta opera potente di Ges in Luca. Allude alla nuova creazione, che giunge al sesto giorno: la creazione delluomo nuovo, che entrer poi nel settimo giorno - il banchetto e la festa di vita con Dio. Si nota un itinerario di riflessione sullesperienza battesimale che il discepolo ha gi alle spalle. Dopo lesorcismo (4,31ss) e il miracolo del servizio (4,38s), c la chiamata al largo sul mare (vv. 1ss): si ripensa alla vocazione cristiana gi avvenuta di cui si avvertono i dubbi, linfruttuosit e lindegnit; essa ritrova la sua forza primigenia nellobbedienza alla parola del Signore Ges. Segue il racconto del lebbroso mondato: si ripensa alla purificazione battesimale, quando, obbedendo alla chiamata di Ges e toccati da lui che ci assimila a s, siamo divenuti creature nuove, purificate e piene di vita l dove prima eravamo pieni di lebbra e di morte. Questa novit paradossale di vita una remissione dei peccati, una riconciliazione, la fine della paralisi e la ridonata capacit di camminare verso casa (vv. 17ss). Ora si esplicita la condizione di questa chiamata: riconoscersi peccatore, lebbroso e paralitico. Come il pescatore Pietro chiamato mentre si riconosce peccatore (v. 8), cos ogni peccatore chiamato e perfino ogni giusto, a condizione per che non si senta tale (v. 3 1 s). Dopo la chiamata e la risposta, ci troviamo nella casa, verso cui va il peccatore riconciliato. la nostra stessa casa che finalmente accoglie e ospita il Signore e in cui si banchetta insieme. dove noi, prima esuli, siamo di casa e viviamo con lui e lui con noi, noi per lui e lui per noi, secondo il comando di Dt 6,4ss. La novit di vita che il battesimo comporta verr descritta con quattro simboli: il banchetto (vv. 28-32), lo sposo (v. 33ss), il vestito nuovo (v. 36) e il vino nuovo (vv. 37ss). Sono i segni della venuta del sabato definitivo, inaugurato da Ges nelloggi di Cafarnao (cf. 4,21). Noi vi entriamo nelloggi della riconciliazione (cf. 5,26), che ci introduce nel banchetto messianico, la festa comune dellamore di Dio e delluomo che finalmente si uniscono. la gloria che fa nuovo il mondo. Questo banchetto una chiara allusione alleucaristia. Una volta mondati e riconciliati per il battesimo, giungiamo alla casa in cui siamo commensali con il Signore: ospitiamo colui che ci ha accolti, consumiamo insieme il cibo e viviamo luno dellaltro come luno per laltro. Ma con lex-peccatore Levi ci sono a mensa altri peccatori! Il fatto offre loccasione per rispondere a un interrogativo della chiesa di Luca e di sempre: come comportarsi coi peccatori? Escludere o ammettere alla mensa coloro che consideriamo non perfetti? Ricordando latteggiamento di Ges verso i peccatori, la chiesa prende coscienza di non essere unaccolta di puri che esclude gli impuri. invece una fraternit di purificati e assolti, aperta ai peccatori. Ges ci ha purificati e assolti quando eravamo impuri o peccatori (cf. Rm 5,6ss) e si invitato a banchetto con noi (cf. 19,5). Cos la chiesa, sul suo esempio, evita di diventare una setta di puri, separati farisei e scopre quale deve essere il suo atteggiamento verso i peccatori: invece di oggetto di esclusione diventano termine di missione, perch tutti si convertano e siano salvati. Sono fratelli per i quali Ges venuto e ai quali siamo mandati. Lesclusione diventa missione, perch tutti si convertano e camminino verso la casa del Padre. Il cristiano cosciente di vivere in un mondo di peccato. Si sente egli stesso un peccatore che vive di perdono e misericordia. Per questo accoglie i fratelli, come si sente anche lui accolto dal suo Signore. 2. Lettura del testo

v. 27: guard Levi. la prima persona del Vangelo della quale si annoti che Ges la guarda (al v. 20 vede la loro fede). Lo spazio vitale delluomo lo sguardo dellaltro. Lo accoglie o lo rifiuta, gli lascia o gli toglie il respiro, lo ama o lo giudica: luomo vive o muore dello sguardo dellaltro. Locchio organo del cuore, sua manifestazione efficace: locchio buono fa buono. locchio cattivo fa cattivo; luno fa vivere, laltro morire. Per questo, alla fine di ogni opera di creazione, la Genesi conclude: E Dio vide che era buona e, dopo la creazione delluomo, afferma: E Dio vide che era cosa molto buona (Gn 1,31). Il suo occhio, cio il suo cuore, la sorgente di tutto. Col primo sguardo Dio ha fatto loggetto del suo amore; con lo sguardo di Ges, dopo lunga ricerca, lo trova: ora finalmente, in lui, incontriamo locchio e il cuore di colui che ci ama come siamo. E siamo perch ci ama. Dice s. Francesco: Quantum unusquisque est in oculis tuis, tantum est et non amplius. Il mio essere essere percepito, o, meglio, visto da lui! Il suo occhio trova riposo solo quando incontra i pi lontani, piccoli e peccatori, perch locchio va dove il cuore lha preceduto. Ges vive ci che narra di Dio, anzi, narra ci che vive come Dio, quando parla della donna, del pastore e del padre che hanno perso rispettivamente la dracma, la pecora e il figlio (c. 15). Come la Parola della bocca del Padre, cos la luce del suo occhio che ne lascia trasparire il cuore. venuto in cerca di ci che era perduto (19,10) e non pu non vederlo quando lo incontra (cf. 19,5b); venuto apposta per incontrarlo e deve rimanere a casa sua (19,5b), come deve essere nelle cose del Padre suo (cf. 2,49). Il Padre infatti di casa solo presso il figlio pi lontano. Levi ci viene descritto mentre seduto a contare i suoi soldi. la situazione di peccato, la paralisi dalla quale la grazia lo salver. Anche Pietro fu chiamato a seguirlo quando si riconobbe peccatore (v. 8). Allobiezione e perplessit dei peccatori che lo incontrano e lo vogliono allontanare da s perch indegni (cf. v. 8), Ges risponde perentoriamente con linvito ad avvicinarsi definitivamente a lui nel suo cammino. Segui me. La sua proposta rende capaci di risposta. Come la prima parola di Dio ha chiamato dal nulla tutte le cose, cos la sua parola ultima e definitiva chiama a una nuova vita di intimit con lui. Con la prima, che lAlfa, il Padre pose il mondo e luomo fuori di s; con lultima, che lOmega, lo riporta in s, nel Figlio del suo amore che il principio e il fine di tutto. Questa Parola ci fa esistere come uomini liberi, suoi figli e interlocutori, proprio dicendoci di seguire il Figlio. Lessenza del cristianesimo non una dottrina o una illuminazione, ma la persona di Ges. La fede un paio di piedi per andare dietro a lui nel cammino verso il Padre, un paio di orecchi e di occhi per udirlo e vederlo, in modo da seguirlo, un paio di mani per toccarlo. Locchio che incontra il suo sguardo la nostra fede, il piede che segue le sue orme la nostra speranza, le mani che lo toccano nellultimo fratello sono la nostra carit. La parola di Ges segui me la nuova parola creatrice. Essa restituisce luomo a se stesso e lo riporta al cospetto di colui del quale immagine e somiglianza. Per questo luomo non pu seguire un altro uomo, ma solo Dio e la sua parola. Infatti conosciamo bene dove porta il cammino delluomo! Il cammino di Ges invece porta altrove. Lui la via, la verit e la vita: la verit che si fatta via per venirci incontro e portarci alla sua vita. Per questo lo seguiamo. v. 28: lasciata indietro ogni cosa, levatosi, seguiva lui. Levi abbandona tutto, quindi si leva (= risorge) per seguirlo. Lasciar tutto la condizione per seguirlo. Decisione radicale, ma indispensabile. A un bivio non si possono seguire due strade: Guai al peccatore che cammina su due strade (Sir 2,12). Levi lascia la propria via di menzogna e di morte, che lo tiene seduto e immobile, simile al suo idolo che ha piedi e non cammina (cf. Sal 115,7). Il suo non un atto stoico di rinuncia. frutto della grande gioia di chi ha scoperto il tesoro nel campo, di chi ha trovato la perla preziosa (cf. Mt 13,44ss); lessere stati conquistati da Cristo Ges (Fil 3,12). Levi si alza e lo segue per conquistarlo, perch

stato conquistato da lui. La sua via diventa anche la nostra, fino a quando lui stesso non si fa nostra vita. Mentre di Pietro e degli altri si dice che lo seguirono (5,11), qui, secondo molti codici, si dice che lo seguiva. L si indica lazione netta, nel suo inizio; qui, con limperfetto, si indica unazione continuata e progressiva. La sequela di Levi, che pure ha un inizio netto come quella di ogni altro, anche un cammino dinamico, dapprima forse meno agile. Lo stacco dal male e ladesione al Signore un crescendo continuo. Sicuramente anche il paralitico, dopo la guarigione, avr camminato con qualche incertezza; certo non con quella forza e disinvoltura che gli dar lesercizio. Luomo, dove non arriva volando, arriva zoppicando. Peraltro, come certo che non vola, sicuro che zoppica! Luca introduce cos il tema seguente, quello del pasto con i peccatori. v. 29: fece unaccoglienza grande Levi a lui nella sua casa. Levi ha ora trovato la sua casa dove accogliere il Signore. Inizia il ricevimento: il Signore che lo chiama, viene invitato e, da invitato, diviene colui che lo accoglie e lo accoglie proprio nellessere da lui accolto. Mangiano insieme. Mangiare quellatto necessario alla vita che i fratelli fanno insieme, perch appunto hanno in comune la stessa vita. Il regno di Dio paragonato spesso a un banchetto. la realizzazione del banchetto escatologico, lincontro stesso con Dio (cf. Is 25,6-10). qui adombrato il banchetto eucaristico, dove si consuma la nostra commensalit con Dio e diventiamo una famiglia unica con lui. Ges ammette a questo banchetto esclusi e peccatori. La sua comunit conviviale non riservata ai puri. Anzi, proprio questi rifiutano di parteciparvi e brontolano. v. 30: E borbottavano i farisei (cf. 7,36ss; 11,38; 15,ls.28ss). Se Ges fosse un peccatore, nulla da eccepire: sta con i suoi simili! Ci che scandalizza i farisei di tutti i tempi che Ges giusto; quindi non giusto che condivida il cibo con i peccatori! Che diritto hanno questi di sedere alla mensa insieme ai giusti? I farisei non possono capire, in quanto giusti, che la salvezza dono dellamore di Dio e non merito delluomo. Lamore meritato infatti non pi amore, bens meretricio! Lamore sempre dono. Il giusto che vuole guadagnarlo con la sua giustizia, ed esclude gli ingiusti senza meriti, mostra di trattare Dio come prostituto. Questo lunico peccato che direttamente contro di lui che amore, quindi dono e grazia. Ci che salva il giusto non il suo amore per Dio, ma lamore gratuito di Dio per lui. Ges mangia con i peccatori, condivide con loro la vita e rivela il suo amore gratuito. Il principio della salvezza non il nostro digiuno per lui, bens il suo mangiare con noi. Siamo salvi perch lui ci viene incontro e condivide la nostra vita. La commensalit col Signore quindi, pi che frutto della salvezza, ne il principio. Leucaristia infatti lazione stessa con la quale Dio salva il mondo. Come ne il coronamento, cos anche il principio della salvezza. Questo vuol dire che, come il medico cura i malati e non i sani, cos la commensalit col Signore, vera medicina di vita, per i peccatori che accolgono il suo invito a convertirsi, e non per i giusti. Ges non solo mangia, ma anche beve insieme, a differenza del Battista che digiuna e non beve vino (cf. 1,15). giunto il tempo della misericordia divina, il dono della terra promessa, dove ormai luomo gioisce nel riposo e nella festa. La domanda dei farisei non posta a Ges, ma ai discepoli. Questo sta a indicare che questa domanda era posta ai discepoli allinterno della comunit. Essa era forse tentata da tendenze farisaiche, con il pericolo di diventare una setta di puri, dimenticando di essere una comunit aperta a tutti, fatta di peccatori perdonati proprio quando erano ancora peccatori (cf. Rm 5,6ss). I discepoli rispondono alla questione ricorrendo al Ges storico. Questo il metodo corretto di risolvere i problemi che si pongono nella comunit: la risposta viene illuminata da ci che il Signore ha fatto e detto. Per questo ne custodiamo gelosamente il ricordo, come norma di vita. La sua vita via per la nostra vita.

v. 31: Non i sani hanno bisogno di medico, ecc.. In questa prima parte del suo detto Ges dichiara la verit delluomo, malato e peccatore e la verit di Dio, che medico (cf. Sal 103,3s; Os 6,1; 7,1; Is 19,22; 30,26; 61,1; Ger 17,14; 30,17; 33,6). Non sono venuto per chiamare i giusti, bens i peccatori a conversione. Dove c il medico si accolgono i malati per guarirli; dove c Dio si accolgono i peccatori per donare loro una vita nuova. Avviene un capovolgimento: gli esclusi dal banchetto sono gli invitati, destinatari della missione di Ges; quelli che ritengono di averne diritto, proprio perch e finch lo ritengono, ne sono esclusi. Questo non capriccio, ma necessit: Dio infatti amore e i giusti se ne escludono perch lo distruggono volendo comperarlo. Tutto il c. 15 di Luca rivolto ai giusti perch riconoscano questo loro grande peccato e, sentendosi peccatori, possano finalmente accogliere la misericordia. il messaggio dei libro di Giona, vertice di tutti i profeti. Il paradosso che, mentre il peccatore va verso il Padre che gli offre il banchetto, il giusto se ne allontana, anche se il Padre esce a invitarlo (15,25ss). Per questo anche la chiesa, vincendo le tendenze farisaiche, deve considerarsi una comunit di disgraziati che sono graziati dal Signore. Se partecipano alla sua grazia, non possono fare a meno di esercitare grazia nei confronti degli altri disgraziati. La chiesa continua la stessa opera di salvezza del suo Signore di cui vive e mangia. Contro facili tentazioni di lassismo (cf. Rm 6,1), si aggiunge che il peccatore chiamato a conversione, non a continuare a peccare. Questa conversione possibile perch il Signore per primo si convertito a noi peccatori, ci ha mostrato il suo volto e ci ha donato se stesso. Qui le radici della nostra vita trovano la loro linfa. interessante notare che nel c. 5 si parla sette volte di peccati e di peccatori: sette volte siamo amati e perdonati dal Signore che nel battesimo ci ha chiamato allintimit di vita con lui e al suo banchetto. quindi chiaro anche quale deve essere il nostro atteggiamento verso i peccatori: mangiare e vivere con loro, se no non possiamo vivere con noi stessi. Ora lo possiamo, in forza di colui che, pur non conoscendo peccato, fu fatto peccato in nostro favore (2Cor 5,21). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Levi seduto alla gabella e poi in casa sua. c. Chiedo ci che voglio: riconoscermi peccatore, amato e chiamato a convertirmi alla grazia del Signore da ricevere e da accordare. d. Punti su cui riflettere: - guard un esattore - segui me - lasciata ogni cosa, lo segue - Ges mangia con gli esattori e peccatori - non sono venuto a chiamare i giusti bens i peccatori a conversione. 4. Passi utili Sal 139; 145; 147; Giona; Is 25,6-12; 55,1ss; 2Cor 5,21; Gal 3,13.

24. I TUOI DISCEPOLI MANGIANO E BEVONO


(5,33-39)
33

Ora quelli dissero a lui: I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, similmente anche quelli dei farisei: i tuoi, invece, mangiano e bevono! 34 Ora Ges disse a loro: Forse potete far digiunare i figli del talamo mentre lo sposo con loro? 35 Ma verranno i giorni in cui sar tolto via da loro lo sposo, allora digiuneranno in quei giorni. 36 Ora diceva anche una parabola a loro: Nessuno strappa da un vestito nuovo una pezza per rappezzare un vestito vecchio; se no certamente e si strapper il nuovo e la pezza nuova non armonizzer col vecchio. 37 E nessuno getta vino giovane in otri vecchi, se no certamente il vino giovane romper gli otri, ed esso stesso si spander e gli otri saranno persi. 38 Ma: vino giovane in otri nuovi bisogna gettare! 39 E nessuno, bevuto il vecchio, vuole il giovane;

dice infatti: Il vecchio buono! l. Messaggio nel contesto Ges ha compiuto sei opere: con la sua parola ha vinto il nemico, principio di decreazione e origine del male (4,31ss); ha poi guarito la suocera (4,38s) e resa feconda la sterilit dei discepoli (5,1ss); ha mondato il lebbroso (5,12ss) e rimesso in piedi il paralitico (5,17ss); infine ha alzato Levi il peccatore (5,27ss). lesperienza della nuova creazione che si compiuta nel battesimo. Essa culmina nel peccatore riconciliato e restituito a se stesso. Ma la creazione nuova non finisce il sesto giorno. Ha il suo compimento nel settimo, in cui Dio stesso entra in comunione di vita con luomo. Luca, che inizia con la proclamazione dellanno giubilare (4,16ss), che avviene dopo sette settimane di anni! - descrive sette sabati di attivit di Ges (4,16ss; 4,31ss; 6,1ss; 6,6; 13,10ss; 14,1ss; 23,54ss). La sua attivit la perfezione del sabato, compimento di tutta lopera di Dio in Dio: nella storia di Ges Dio perfetto nelle sue opere e le sue opere sono perfette in lui. Il battezzato vive in questanno giubilare, che si realizza oggi nellorecchio di chi ascolta la sua parola (cf. 4,21). Obbedendo alla sua parola, vive del cibo di Dio e partecipa al banchetto escatologico (Is 25,6-10). Dio suo cibo e sua vita: il giorno delle nozze, del vestito nuovo e del vino nuovo! Questo brano serve a far prendere coscienza al battezzato del suo stato nuovo di vita. Esso descritto nei termini pi trasparenti allesperienza umana: cibo e vestito, necessari alla vita; amore e vino, necessari perch tale vita sia umana. Il brano giocato sulle contrapposizioni digiunare-pregare, mangiare-bere e vecchio-nuovo, che hanno il loro fulcro nellassenza/presenza dello sposo. Con questi termini si esprime il passaggio dalleconomia antica della legge e della promessa a quella nuova del vangelo e del compimento. Inizia lera del banchetto messianico. Se il mangiare indica la vita, le nozze, il vestito e il vino nuovo indicano la qualit di questa vita nuova. Si pu leggere in questo brano una risposta della prima comunit dei credenti alle tendenze farisaicobattiste sorte al suo interno. Esse rischiavano di snaturare il significato profondo del vangelo. A questi problemi, posti ai suoi discepoli, risponde Ges direttamente con il suo comportamento e con la sua parola. 2. Lettura del testo v. 33: I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere... i tuoi invece, mangiano e bevono. Lobiezione mossa dai farisei e dai loro teologi (cf. v. 30), che inglobano nella loro posizione anche i discepoli del Battista. I farisei sono legati alla legge, questi ultimi alla promessa. Tutti rivolti al passato i primi e al futuro i secondi, non possono accorgersi del presente, loggi in cui Dio dona la salvezza. Per questo digiunano e supplicano, sono cio al presente morti e privi di salvezza. utile richiamare il significato del digiuno. Se il cibo vita, il digiuno ne la privazione: morte. Come pratica religiosa una presa di coscienza della creaturalit e del proprio limite: luomo ha la vita, ma anche la perde; non lui la vita, ma solo la riceve da Dio. Essa non nelle sue mani. Con il digiuno luomo riconosce la vita e i beni della vita come cosa non propria, come dono. Questo il fondamento di un rapporto corretto con Dio, con se stessi, con gli altri e con le cose. il gesto pi alto di libert della creatura, che consiste nel riconoscere la propria verit senza mentire. Similmente la supplica (dsis), che la forma prima di preghiera, sempre invocazione di qualcosa che non si possiede e di cui si ha bisogno.

Unita spesso al digiuno, esprime la fame e la sete di Dio. La mancanza essenziale delluomo, che il digiuno esprime con il corpo, la supplica lesprime con lo spirito. Sono quindi due espressioni fondamentali delluomo, unico animale che bisogno di vita e di Dio, perch unico animale cosciente del proprio limite e in cerca di senso. Nel vangelo digiuno e supplica sono superati nel banchetto e nel rendimento di grazie. Ci che prima era a livello di bisogno, ora a livello di soddisfazione: al digiuno subentra il pane e il vino, al lamento della supplica la danza delle nozze! Questo il contenuto stesso della buona notizia: il Signore si donato a noi definitivamente in Ges. In questa luce si capisce perch i discepoli non digiunano e non supplicano, ma sostituiscono ogni pratica religiosa col mangiare e con il bere, con leucaristia, lode perfetta per il dono ricevuto dal Padre e a lui riportato come sorgente. La salvezza non pi pretesa di un passato o attesa di un futuro; dono presente di cui godere e ringraziare; novit di vita e pane che si mangia, pienezza di amore e vino che si beve. Ci che il passato indicava e il futuro prometteva, qui ora in Ges. I suoi discepoli, invece di digiunare e pregare, mangiano e bevono. Se chiara la contrapposizione digiunare/mangiare, non altrettanto evidente quella supplicare/bere. Luomo sete di Dio; la supplica esprime questa sete. Ges la soddisfa pienamente (cf. Gv 4,10; 7,37) con il suo corpo e il suo sangue. Inoltre il vino e la sua ebbrezza sono simbolo dello Spirito, dono del quale la supplica esprime il bisogno (cf. 11,13; At 2,15ss). Quindi alla preghiera di bisogno, si sostituisce la gioia e il ringraziamento per lesaudimento. v. 34: lo sposo con loro. Ges dice il motivo di questa saziet ed ebbrezza di vita concessa ai discepoli. Non si tratta di un banchetto qualunque: il banchetto in cui si celebra lunione tra Dio e luomo. In Ges lumanit consuma le nozze con Dio, lo sposo. Le nozze sono uno dei simboli preferiti nellAT per esprimere il rapporto tra luomo e quel Dio che gli ha dato come primo comandamento: Ascolta!... amami (cf. Dt 6,4s; vedi Gn 1,27 e Gn 2 riletto da Gv 19,25-37; il Cantico dei cantici; Osea; Ez 16; Is 61,10-62,12; Ap 22,17). Questa immagine molto umana ci permette di conoscere cosa sia Dio per luomo e luomo per Dio. Dio passione per luomo, lo ama e cerca di unirsi a lui. Lamore porta a unirsi e identificarsi con lamato. Cos, in Ges, Dio si unisce e si identifica con luomo, perch ogni uomo possa a sua volta amarlo con tutto il cuore, con tutta lanima e con tutte le forze (Dt 6,5) e identificarsi con lui in Cristo. La natura delluomo pu essere capita solo se si considera la passione che Dio ha per lui, come quella dello sposo per la sposa (cf. Ef 5,32). Questo amore lo costituisce e gli d la sua essenza, la sua esistenza e la sua smisurata dignit. Solo cos si comprendono quei desideri profondi delluomo che lo fanno troppo grande per bastare a se stesso (Pascal): ci hai fatti per te, Signore, ed inquieto il nostro cuore fino a quando non riposa in te (Agostino). Solo ponendo il capo sul petto di Dio, luomo appagato in ogni sua inquietudine. La sposa, senza sposo, non sposa - e viceversa. Sono due termini correlativi. Cos luomo e Dio, visti da parte delluomo, sono correlativi e luno se stesso per laltro. immagine esterna dellinterdipendenza trinitaria, danza damore allinterno di Dio! Luomo se stesso solo nel suo rapporto con Dio. Senza di lui insoddisfazione essenziale: unessenza monca, pura concavit vuota. Prima di Ges luomo viveva nelleconomia dei digiuno e della supplica. Ora, in lui vive nelleconomia dei cibo e dellebbrezza, della vita e dellamore senza fine. Dio qui e si unito a lui! v. 35: sar tolto via da loro lo sposo. Privati dello sposo, i discepoli sentiranno di essere privati della loro vita e digiuneranno davvero. Sar la tristezza, lo smarrimento e la perdizione del venerd santo. La chiesa ricorder col digiuno questa tenebra, che si dissolver nel fulgore di Pasqua. Ma ancora lo sposo se ne andr nel giorno dellAscensione (cf. 24,51; At 1,9). Sar di nuovo assente, non strappato via e ucciso, bens portato in alto e distaccato da noi. Ci sar quindi una nuova forma di digiuno: bisogner colmare questo distacco seguendo lo stesso cammino che lo sposo ha percorso per incontrarlo e stare per sempre con lui (1Ts 4,17), nostra vita, nascosta ormai nei cieli in Dio (Col 3,3). In questo senso

lesistenza cristiana un vero digiuno - assenza e lontananza di Dio dal mondo - e si fa carico di tutta la storia umana per portarla, attraverso lannunzio e la sequela, allincontro con lo sposo. Questo incontro ha il suo principio nellascolto della sua parola e il suo fine nella visione della sua bocca. Ma tale fine gi anticipato sacramentalmente nel banchetto eucaristico, dove viviamo di lui che si spezzato per noi come pane di vita quotidiana, in attesa dellincontro definitivo. v. 36: un vestito nuovo, un vestito vecchio. NellEden luomo aveva coperto la propria insufficienza radicale con foglie di fico. Dio stesso gli fece delle tuniche animali provvisorie (Gn 3,21), in attesa di dargli il suo vero vestito, definitivo. Il vestito segno della corporeit. Il discepolo, per il battesimo, forma un corpo solo con Cristo (1Cor 12,12s): si rivestito di lui (Gal 3,27), luomo nuovo, creato secondo Dio in giustizia e santit (Ef 4,24), che si rinnova di gloria in gloria a immagine del suo creatore (Col 3,10). Faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43,19). Questo vestito nuovo quindi luomo nuovo e sono anche i cieli nuovi e la terra nuova, vero vestito di Dio che lui ha mutato (cf. Sal 102,26s). Infatti il mondo vecchio passato: ora ce n uno diverso, che lascia trasparire il suo fulgore e che ci viene donato dallo sposo che consuma il suo amore per noi nella nudit della croce (cf. 23,34). Per il battezzato indispensabile prendere coscienza di questa novit di vita. per non fare operazioni inutili e dannose, quali strappare una pezza da un vestito nuovo e rappezzarla su un vestito vecchio. Non si pu cercare di combinare il vecchio col nuovo, ostinarsi a vestire luomo vecchio che sotto la condanna della legge, rattoppandolo con novit evangeliche. Non si farebbe altro che rovinare il vangelo e mettere in risalto la lacerante contraddizione delluomo. Non ci sono compromessi o rattoppi possibili. Ci che vecchio va buttato: Dovete deporre luomo vecchio con la condotta di prima, luomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire luomo nuovo, creato secondo Dio, nella giustizia e nella santit vera (Ef 4,22ss). Ci che vecchio rappresenta il caos da cui Cristo ci ha cavato con le sue sei opere: lo spirito del male e la febbre che rende inabili a servire; la sterilit della pretesa e la pienezza di lebbra, la paralisi del corpo e il peccato dello spirito. Ora, creature nuove, mangiamo e beviamo, vivendo e dissetandoci di Dio in Cristo: siamo luce e amore, fecondit e vita, capaci di camminare in libert verso lincontro definitivo. Se il battezzato non comprende questa esigenza e cerca compromessi, mantenendo il vecchio e rappezzandolo col nuovo, non solo si strapper di pi anche il vecchio - come dice Mc 2,21 -, ma, innanzitutto, roviner e strapper il nuovo stesso e, invece di rimediare allinsufficienza del vecchio, la render pi visibile con la stonatura dellaccostamento: infatti il nuovo col vecchio non sinfonizzer. Luca ha presente tutte le polemiche della chiesa primitiva circa il rapporto legge-vangelo, vecchionuovo. ormai un punto acquisito. Il ricordo serve ora a incoraggiare il credente perch abbracci la pienezza di vita nuova che gli stata donata nel battesimo, senza incoscienza o eventuali rigurgiti di passato. v. 37: Vino giovane, otri vecchi. Se il vestito richiama il corpo, il vino richiama lo spirito. Il vestito nuovo, perch c il vino nuovo. Essendo nuovo lo Spirito, deve esserlo anche lotre, luomo che lo contiene. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo... tempio dello Spirito santo che in voi e che avete da Dio? (1Cor 6,15.19). Il vino indica propriamente lo Spirito come amore: lamore dello sposo (cf. Ct 1,2). il vino eccellente, donato alla fine in misura abbondante da Ges, che rende festoso un banchetto nuziale senza gioia e senza amore (cf. Gv 2,1-12). Questo amore esige un modo nuovo di vivere: non va messo in otri vecchi. Se no romper gli otri e si spander e gli otri saranno persi. Come nel caso del vestito, chi vuole conservare ambedue, perde luno e laltro, perch non si pu camminare per due vie o inseguire due lepri. v. 38: Ma vino giovane in otri nuovi bisogna gettare, cio in uomini nuovi, che camminano secondo lo Spirito e ne portano i frutti (cf. Gal 5,22).

v. 39: Il vecchio buono!. Chi ha assaggiato il vino vecchio, non vuole quello giovane, poich dice che il vecchio migliore. Questo detto risponde ironicamente ai dubbi e alle perplessit del discepolo ancora incerto, che si comporta secondo il buon senso ovvio e che non osa fare il passo: chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che perde, ma non sa quel che trova! Per questo attaccato al vecchio, perch gli noto e teme lavventura della libert e si giustifica pensando che il vecchio sia meglio del giovane, il passato meglio del futuro... la morte meglio della vita! una sapienza mondana, che nasce dalla sfiducia e ha il suo principio nella diffidenza nei confronti di Dio. una prudenza stolta che ci fa tenere la mano chiusa nel pugno di mosche che possediamo, invece di aprirla per accogliere il dono di Dio. Il vino migliore proprio quello nuovo, appena offerto da lui (cf. Gv 2,10). Quello vecchio acido, andato a male. Apri la tua bocca, la voglio riempire (Sal 81,11). un invito a superare la falsa sapienza dellovvio, che sempre rivolta al passato, nel coraggio del nuovo che ignoto. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando, come nel brano precedente, il banchetto in casa di Levi. c. Chiedo ci che voglio: gioire della presenza dello sposo e vivere la novit di vita del suo amore. d. Punti su cui riflettere: - il digiuno dei farisei e dei discepoli del Battista - i discepoli di Ges mangiano e bevono - lo sposo con loro - sar tolto lo sposo - rovinare il vestito nuovo per fare una pezza per il vestito vecchio - vino nuovo in otri vecchi - vino nuovo in otri nuovi - il vino nuovo meglio del vecchio. 4. Passi utili Sal 45; Is 58,1ss; Pr 9,1-6; Sir 24,18-21; Cantico; Ez 16; Is 62,lss; Os 2,1ss; Ap 21-22.

25. SIGNORE DEL SABATO IL FIGLIO DELLUOMO


(6,1-5)
6 1 Ora avvenne in un sabato:

egli passava attraverso seminati e i suoi discepoli sgranavano e mangiavano le spighe sfregando con le mani. 2 Ora alcuni dei farisei dissero: Perch fate ci che non lecito nei sabati? 3 E rispondendo loro disse Ges: Neanche questo avete letto, quanto fece Davide, quando ebbe fame lui e quelli con lui, 4 come entr nella casa di Dio e, prendendo i pani della proposizione, mangi e diede a quelli con lui, anche se non lecito mangiarne se non ai soli sacerdoti? 5 E diceva loro: Signore del sabato il Figlio delluomo! 1. Messaggio nel contesto Il mondo, ricreato dalle sei opere di Ges, trova ora il suo compimento nel sabato. Luomo, rinato nel battesimo, vive una vita qualitativamente diversa, che si nutre nel mangiare e bere al banchetto nuziale quel cibo che fa luomo nuovo. Perch luomo il cibo che mangia! Come 5,1-28 una presa di coscienza del battesimo, che rigenera luomo e lo rimette in piedi davanti a Dio, cos 5,29-6,11 una presa di coscienza del nuovo cibo che gli stato dato per la sua vita nuova. Nella commensalit con Ges, lo sposo, il battezzato entra nel sabato (cf. Eb 3,7-4,13) e in esso vive della pienezza del di Dio. Il centro del brano : Il Figlio delluomo signore del sabato. Ges introduce luomo nel banchetto messianico, gli d il nutrimento sabbatico (leucaristia) e lo trasferisce oltre il settimo giorno, nella pienezza di gloria e di vita di Dio stesso. Non a caso il tema dominante in 5,29-6,11 il cibo, inteso come banchetto nuziale in 5,29ss, come mangiare di sabato in 6,1ss e come donare/ricevere una vita salvata in 6,6ss. Questa scena ci presenta i discepoli di Ges che mangiano il grano nuovo di sabato. Ges aveva detto al paralitico di andare a casa sua (5,24): la casa del peccatore che accoglie Ges e banchetta con lui (5,27-32). Iniziano le nozze (5,33-39), e questa casa, da casa del peccatore, diventa casa di Dio (6,4), in cui Davide, figura di Cristo, prende i pani, ne mangia e ne d a coloro che sono con lui (chiara allusione allultima cena). La vera casa delluomo il perdono in cui luomo accoglie nella sua vita il Signore: cos anche il Signore lo accoglie nel suo sabato, vive con lui e gli d se stesso. Questo brano parla del compimento inaudito del sabato. Il sabato irraggiungibile Dio stesso: mentre la Legge ne suscita lappetito, ma lascia digiuni, Ges, il signore del sabato, dando se stesso, d alluomo di vivere di esso. Viviamo di Dio, nostro pane di vita!

La libert dalla Legge che ne consegue non la sua abolizione, bens il suo compimento. Se prima la Legge indicava la strada verso Dio, ora luomo vive di Dio stesso e per Dio, e sul suo volto brilla la gloria del sabato. Apri la tua mano! Dio la riempie di s. 2. Lettura del testo v. 1: Ora avvenne in un sabato . Il sabato, festa delluomo e riposo di Dio, ricordo della liberazione e compimento della creazione, in Israele segno del tempo finale, quando luomo, alla venuta del Signore, riconciliato con lui, si sarebbe riconciliato con s, con gli altri e con la natura stessa. Questo il terzo dei sette sabati di Ges che Luca ci presenta (4,16; 4,31; 6,1 6,6; 13,10; 14,1; 23,54). Il giorno di Pasqua, quello stesso unico giorno in cui il Signore risorge e i discepoli lo sperimentano presente-assente nel pane, chiamato il primo giorno dopo il sabato (24,1): lottavo giorno, loggi eterno di Dio, il sabato definitivo. Alcuni codici invece di un sabato, leggono in un secondo primo sabato, espressione difficile da intendere. egli passava attraverso seminati. A differenza di Marco, qui Ges presentato da solo, nel suo incedere di sabato tra il grano. Egli fa quasi corpo unico con il rigoglio di vita che scaturisce al suo passaggio. In lui la nostra terra ha dato il suo frutto e Dio ci ha benedetti, ha fatto risplendere su di noi la luce del suo volto, in modo che conosciamo sulla terra la sua via e ne sperimentiamo la bellezza (Sal 67,7.2.3). Lui stesso si era paragonato al chicco di grano che, seminato, porta messe abbondante (Gv 12,24). Il suo passaggio ci descritto come nel Sal 65: Tu visiti la terra e la disseti: al tuo passaggio stilla labbondanza, le valli si ammantano di grano, tutto canta e grida di gioia. i suoi discepoli sgranavano e mangiavano le spighe. In questo secondo primo sabato i discepoli si nutrono di Cristo (eucaristia). Questo gesto dei discepoli richiama anche linterpretazione patristica che paragona il campo alla Scrittura, la pula alla lettera, il grano a Cristo. Per questo necessario lavorare con cura la lettera per potersi nutrire della parola di vita. il lavoro paziente al quale Luca porta il suo lettore, perch prenda coscienza del dono di Dio e ne usi in abbondanza. Il sabato gi stato donato, ma non tutti sanno sgranarlo e mangiarne, comprenderlo come tale e viverne. Spesso si vive nellincoscienza del dono di Dio. Bisogna invece giungere alla silenziosa consapevolezza dei discepoli che mangiano col Signore, senza ormai pi chiedergli nulla, perch sanno che il Signore (Gv 21,12). v. 2: ci che non lecito nei sabati. I farisei osservano il sabato e lo attendono. Ma non sanno che gi arrivato e tanto meno ne vivono. Legati giustamente alla legge del sabato con le sue 40 proibizioni meno una, non se ne accorgono. Tutti intenti a cercare Dio, non si lasciano da lui trovare; restano nella legge e nello sforzo di raggiungerlo, senza vedere che, ci che a noi impossibile, lui lha gi fatto: ha colmato le distanze. La legge che vieta di lavorare per procurarsi il cibo di sabato, vieta pure di mangiare delle nuove spighe prima che siano offerte a Dio (Lv 23,14). Ma ora luomo vive proprio di ci che la legge gli vietava; gli offerto da Dio stesso in Ges. v. 3: quanto fece Davide. Ges risponde rifacendosi a Davide. Lo nominer di nuovo in 20,41, per mostrare la superiorit del suo discendente, il messia, rispetto a lui. Davide attesa e figura del messia stesso: quanto fu da lui aspettato e prefigurato, in Ges realizzato. La trasgressione di Davide (1Sam 21,1-7) segno della singolare trasgressione dei tempi messianici: non solo verranno mangiati dei pani

consacrati a Dio, ma Dio stesso sar il pane sacro che viene donato. Il corpo del Signore del sabato si fatto frumento di vita! v. 4: prendendo, mangi e diede. Questa trasgressione che avviene di sabato paragonata a quella di Davide, che entr nella casa di Dio, aprendola agli altri che erano con lui. Cos Ges ci apre la casa di Dio, che diventata nella riconciliazione la nostra casa (5,24.29), dove noi accogliamo lui e consumiamo con lui il banchetto nuziale (5,29ss). L il nuovo Davide prende i pani della proposizione, ne mangia e d (termini eucaristici che in parte ritroviamo in 22,19). la vera manna, il cibo messianico che non si poteva cogliere di sabato. il nuovo cibo del nuovo popolo che ormai mangiamo in questo secondo sabato, che il vero primo sabato per importanza: il giorno del Signore, la domenica, della quale il primo sabato era solo prefigurazione. Questo cibo fa di noi un popolo sacerdotale, in comunione di vita con Dio, e permette a tutti noi di compiere ci che prima solo ai sacerdoti era concesso. Prima solo loro potevano mangiare il pane offerto a Dio, figura di quel pane offerto da Dio al quale oggi tutti siamo ammessi. v. 5: Signore del sabato il Figlio delluomo. Questo il motivo per cui noi viviamo di Dio: in Ges presente il sabato di Dio e, se il sabato il giorno di Dio, lui il Signore del sabato. Infatti egli il Figlio delluomo, quella figura divina intravista da Dn 7,13, che non solo riconcilia luomo con Dio (5,24), ma gli d anche una nuova casa: la stessa casa di Dio, il sabato di Dio, di cui si nutre e vive nel pane che in Ges gli donato. Ci che nessuna legge gli avrebbe mai consentito, permesso o promesso, Dio lo dona alluomo nel Figlio delluomo: gli dona se stesso come sua vita. Da qui nasce la libert cristiana. Chi vive di questo sabato, vive di Dio e per Dio e non sta pi sotto alcuna legge; non perch la trasgredisce, ma perch lha adempiuta tutta. Infatti nel pane ricevuto-donato vive il comando dellamore, che nessuna legge in grado di far compiere (Dt 6,5). Nessuna legge pu fare amare! Luomo finalmente pu amare Dio e vivere di lui, assimilandosi a lui in questo pane sabbatico nella sua casa. Attraverso il Signore del sabato, il sabato di Dio donato a ogni uomo: si pu finalmente raggiungere il riposo del settimo giorno, simbolo della risurrezione dellultimo giorno (cf. Apocalisse di Mos XLIII, 3). La vita rinnovata nella libert e nella gioia di amare, piena dei frutti di Dio. Il sabato e la legge non sono trasgrediti, ma compiuti e finiti, come la fatica del cammino cessa nel riposo della meta. La meta, irraggiungibile da ogni cammino, ci venuta incontro nel Figlio delluomo, Signore del sabato. A questa luce si capisce come sia un ottimo commento laggiunta al racconto che fa un manoscritto: Lo stesso giorno, vedendo qualcuno lavorare in giorno di sabato, gli disse: Amico, beato te se sai quello che fai, ma se non lo sai, sei un maledetto e un trasgressore della Legge. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che cammina attraverso i campi di grano. c. Chiedo ci che voglio: conoscere il dono del Figlio delluomo, che mi vuol dare la sua stessa vita divina. d. Punti su cui riflettere: - sabato - Ges passa attraverso i campi di grano - i discepoli colgono e mangiano le spighe - cosa fece Davide?

- il Figlio delluomo Signore del sabato. 4. Passi utili Sal 65; 67; 1Sam 21,1-7; Gn 2,1-3; Es 31,12-17; Is 58,13s.

26. DISTENDI LA TUA MANO! E LA SUA MANO FU RISTABILITA


(6,6-11)
6

Ora avvenne in un altro sabato: egli entr nella sinagoga e insegnava. E cera un uomo l e la sua mano, quella destra, era inaridita. 7 Ora lo osservavano gli scribi e i farisei se nel sabato avrebbe guarito, per trovare di accusarlo. 8 Ora egli sapeva i ragionamenti loro. Ora disse alluomo, quello che inaridita aveva la mano: Dstati e poniti nel mezzo! E levatosi stette. 9 Ora disse Ges a loro: Interrogo voi, se lecito nel sabato fare bene o male, salvare o perdere una vita? 10 E guardando in giro tutti loro disse a lui: Distendi la tua mano! Ora egli fece e fu ristabilita la sua mano. 11 Ora essi furono riempiti di demenza e discutevano lun laltro che avrebbero potuto fare a Ges.

1. Messaggio nel contesto Con Cristo luomo autorizzato a mangiare di sabato. Anzi, nelleucaristia vive del sabato, perch il Figlio delluomo, Signore del sabato, ha imbandito il banchetto in cui lui stesso prende il pane e lo d ai discepoli (cf. brano precedente). Mangiare vivere: luomo vive di Dio perch mangia di lui. In questo brano si dimostra come, mangiando del sabato, luomo pu anche operare conformemente ad esso: avendo un principio vitale nuovo, in grado di compiere azioni nuove. La mano delluomo, prima arida e chiusa nel possesso, ora si apre e riceve la linfa vitale per operare secondo il cibo che ha preso. Questo lha assimilato a Ges, che opera di sabato come il Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa (Gv 5,19). Luomo ora non pi escluso dalla vita e dallopera del sabato; il Figlio delluomo, signore del sabato, venuto a incontrarlo. Le sue mani inchiodate al legno del nostro male schiodano la nostra mano paralizzata dal peccato. Siamo finalmente liberi per agire come Dio, in obbedienza alla sua parola. Cos ritorniamo suoi collaboratori. La nostra opera ritorna a essere demiurgica, associata alla sua, per riportare al suo fine, che lui stesso, tutto il creato che da lui ha avuto principio. 2. Lettura del testo v. 6: un altro sabato, nella sinagoga. Siamo al quarto sabato (cf. brano precedente) dellattivit di Ges che Luca ci descrive. Il sabato, tempo di Dio e Dio stesso come fine di ogni tempo, il principio di tutta la creazione, dal quale la creazione stessa esclusa a causa del peccato. Siamo nella sinagoga, luogo dellascolto della legge, dellobbedienza a Dio. Luomo si trova in questo tempo e in questo luogo che, in qualche modo, rappresentano le coordinate del suo desiderio: raggiungere Dio nellobbedienza alla sua parola. Cera un uomo l e la sua mano, quella destra, era inaridita. In questo tempo e in questo luogo, luomo non pu agire, perch disobbediente fin dal principio. Le caratteristiche essenziali delluomo sono descritte nella Bibbia mediante locchio, il cuore e la mano. Locchio lintelligenza per vedere il vero; il cuore la volont, per amare il bello; la mano la libert, per attuare il bene. Mediante la mano luomo realizza il proprio volto, secondo la verit, bellezza e bont che ha visto con locchio e desidera col cuore. Ma, anche se locchio pu in qualche modo intravvedere e il cuore desiderare, la mano resta inaridita, incapace di muoversi. Luomo non pu vivere del sabato: avendo teso la mano verso il frutto della disobbedienza (cf. Gn 3,1ss), gli rimasta chiusa nel possesso e senza vita. morta a causa del morso del serpente, resa secca dal veleno della sua bocca. v. 7: lo osservavano gli scribi e i farisei. Questuomo ha i suoi guardiani, che lo osservano e lo custodiscono nella gabbia: gli scribi e i farisei. Con la spada splendida e affilata della Legge, sono simili ai cherubini che impediscono laccesso allEden (cf. Gn 3,24). I primi sono quelli che sanno la Legge, i secondi quelli che la vogliono. Lintelligenza e la volont religiosa custodiscono luomo nel carcere, mostrandogli la propria stupidit e inadempienza; acuiscono la sua pena, richiamandogli alla mente ci che dovrebbe fare e che in realt trasgredisce. Questi custodi gelosi del sabato, che giustamente pongono come fine delluomo un Dio irraggiungibile, dichiarano morto luomo che non lo raggiunge e uccideranno Ges, il Dio che ha raggiunto luomo. Luomo dalla mano inaridita rappresenta gli stessi scribi e farisei, incapaci di operare secondo ci che conoscono e desiderano. Essi infatti cercano sicurezza contro la paura originaria di Dio e la trovano nel sottomettersi, senza riuscirci, a colui che temono. Non riusciranno a capacitarsi quando, in Ges, Dio si rivela come amore, misericordia e tenerezza: non pi luomo per il sabato, ma il sabato per luomo;

non pi luomo per Dio, ma Dio per luomo. Perch Dio amore. E lamore consiste nellamare laltro pi di s. paradossale, ma vero, il fatto che Dio ama luomo pi di s: Dio infatti ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito (Gv 3,16). Per questo scribi e farisei sono tuttocchi per denunciare con intransigenza il capovolgimento che la legge subisce. v. 8: egli sapeva i ragionamenti loro. Ges, parola di Dio, conosce bene questi ragionamenti traversi del cuore umano, che luomo stesso bene non conosce e mai esprime a parole. Sono radicati nella menzogna originaria del serpente, padre della menzogna e omicida fin dal principio (Gv 8,44). Attraverso lorecchio di Eva egli ha messo nel cervello delluomo un tarlo roditore: il sospetto di non essere amato da Dio, di non poter essere al suo centro. Da questo nasce il cattivo uso della Legge, come sforzo delluomo di porre Dio al centro di tutto e tutto sacrificare a lui pur di conquistarlo. Questa menzogna ci impedisce di comprendere il vangelo e di dare ascolto alle parole del Signore (Gv 8,43). E ci fa figli del diavolo, perch luomo diventa la parola che ascolta. Il Signore svela (2,35) e conosce (5,22; 6,8) gli sragionamenti del cuore, anche quelli dei discepoli (9,46.47; 24,38). Sono elucubrazioni pensate e non dette, che paralizzano la mano per la vita, ma la rendono abile nel dare morte. Ges, come risposta, si rivolge e parla direttamente alluomo serrato nella sua paralisi. Dstati e poniti nel mezzo!. Ges gli dice: Risorgi (= dstati!), perch nella sua mano opera la morte. Ma come pu risorgere questuomo? Eseguendo il suo comando di porsi nel mezzo della sinagoga e del sabato. Fuori metafora, la risurrezione delluomo e lo scorrere della vita nelle sue mani avviene dallincontro con Ges, la cui parola potente lo fa scoprire al centro di Dio. In Ges Dio si rivela non pi come il centro delluomo, ma come colui che ha messo luomo al proprio centro. Tutta la rivelazione si pu riassumere con le parole di Giovanni: Noi abbiamo creduto allamore che Dio ha per noi (1Gv 4,16); Allora avviene che Dio, non pi per paura, ma per amore, torna ad essere al centro delluomo che ha scoperto di essere al centro di Dio. Prima la Legge era morte, perch imponeva lirraggiungibile: nessuno infatti pu amare se non amato. Ora invece si pu vivere secondo la Legge: luomo pu amare Dio e il prossimo, perch si sente amato da Dio. La sua mano torna buona e pu agire come Dio, che amore. v. 9: fare bene o male, salvare o perdere una vita. La domanda di Ges riguarda il senso stesso della legge, fare il bene e evitare il male. Esso trova la sua pienezza nel comando dellamore (Rm 13,10). Ma luomo impossibilitato a viverlo, perch ha prestato orecchio al nemico che gli ha detto che Dio non lo ama. Per questo la distanza che Dio ha posto tra se stesso e la nostra immagine di lui la croce, segno estremo del suo amore. Chi guarda la croce del Figlio delluomo guarisce dal veleno mortale del serpente (cf. Gv 3,14s). La domanda di Ges ha una risposta evidente. Resta per elusa dal silenzio. Questo silenzio, voluto e inevitabile, la nostra durezza di cuore (cf. Mc 3,5). Luomo, posto nella Legge, lascia inevasa listanza fondamentale della Legge stessa e non risponde allinterrogativo da cui dipende salvare o perdere la vita. in realt questione di vita o di morte aprire la mano. v. 10: E guardando in giro tutti loro. Il silenzio mortale delluomo riempito dallo sguardo circolare di Ges, che vede tuttintorno. Al suo occhio non sfugge neanche un grado del male delluomo. Lo vede tutto. Cos gli entra nel cuore, gli fa compassione e se ne fa carico (cf. 10,33). Fino alla feccia ne sorbir (cf. Sal 75,9) e lo porter su di s nel suo giudizio, per non condannarci (23,9).

Distendi la tua mano. A questa sua parola luomo poteva rispondere: impossibile!. E avrebbe avuto umanamente ragione. La fede invece - e la sua situazione disperata! - gli fa ritenere possibile un ordine impossibile, e rende cos possibile limpossibile. In obbedienza alla parola, fa ci che gli stato ordinato, e la mano si muove e si stende. e fu ristabilita la sua mano. (in greco apekatestthe, fu ricostruita comera al principio). Commentando questo passo, Ambrogio dice: Il Signore impregna del salutare frutto delle buone opere quella mano che Adamo aveva allungato per cogliere i frutti dellalbero proibito, in modo che essa, inaridita per la colpa, sia guarita per le buone opere. Ora luomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, obbedendo alla parola di Ges che lo pone al centro del sabato e della sinagoga - di Dio e della Legge - e gli dice di stendere la mano, ha la mano rifatta nuova. Luomo viene restituito alla sua origine: pu vivere (cf. brano precedente) e quindi agire di sabato, come Dio. Perch suo figlio. La nostra azione ritorna, dallobbedienza al padre della menzogna, allobbedienza al Padre della verit e della vita. Cosa pu operare la mano nuova delluomo? Pu, allo stesso modo del Figlio, operare come il Padre e fare ci che vede fare da lui (cf. Gv 5,17-21). una vera apocatastasi delluomo. Nellincontro con Ges, nellobbedienza alla sua parola che ci ha posti nel mezzo e ci chiede ci che pare impossibile, siamo finalmente guariti dal tremendo male di non poter fare il bene che approviamo e di fare il male che detestiamo (Rm 7,14ss). La Legge, pur giusta, uccide. Il dono del Signore Ges d la vita senza misura. v. 11: riempiti di demenza. Chi non obbedisce, invece di essere ripieno dello Spirito che fa nuove le cose e dona vita, si riempie di dissennatezza furiosa e omicida, pieno di morte come il lebbroso di 5,12. La sua dissennatezza non origina parole, ma solo un discorrere occulto e tenebroso. La paura della morte diventa principio dei suoi ragionamenti traversi. Essi taglieranno la vita di Ges e appenderanno alla traversa del palo la Parola di vita. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginandomi di sabato nella sinagoga, con Ges e la gente. c. Chiedo ci che voglio: aprire la mano per accogliere il dono di Dio. Aprire il mio cuore al desiderio di lui che si vuoi donare come mia vita. d. Punti su cui riflettere: - di sabato nella sinagoga - la mano destra inaridita - gli scribi e i farisei osservano - poniti nel mezzo - stendi la tua mano - la mano fu ristabilita. 4. Passi utili Is 59,1ss; 9,7-10,4; Ez 37,1-14.

27. PRESCELSE DODICI E, DISCESO INSIEME CON LORO, STETTE


(6,12-19)
12

Ora avvenne in quei giorni: usc egli verso il monte a pregare, e stava pernottando nella preghiera di Dio. 13 E quando venne giorno convoc i suoi discepoli, - e prescelti da loro dodici, che chiam anche apostoli: 14 Simone, che anche chiam Pietro, e Andrea, suo fratello, e Giacomo e Giovanni e Filippo e Bartolomeo 15 e Matteo e Tommaso e Giacomo dAlfeo e Simone, chiamato Zelota, 16 e Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota che divenne traditore 17 e, disceso insieme con loro, stette su un luogo pianeggiante, e cera molta folla di suoi discepoli e moltitudine grande del popolo, da tutta la Giudea e Gerusalemme e dal litorale di Tiro e Sidone 18 che vennero per ascoltare lui e per essere guariti dalle loro malattie; e i tormentati da spiriti impuri erano curati. 19 E tutta la folla cercava di toccare lui, poich da lui usciva una potenza e guariva tutti. 1. Messaggio nel contesto Come Mos sal sul Sinai e discese per comunicare al popolo la Legge, cos Ges sale sul monte e discende per portare la rivelazione ultima di Dio, la nuova Legge. Ma, tra la comunione con Dio sul monte e la sua discesa al piano, Luca pone la scelta dei dodici apostoli. Sono quelli che avranno la funzione di rendere per sempre attuale la parola del Signore, trasmettendola in modo normativo alla

chiesa che si fonda sulla loro testimonianza oculare ineliminabile (cf. 1,2). Mediante la loro bocca, tutti gli estremi confini della terra udranno la sua parola, risuonata per la prima volta ai piedi del monte. Allelezione dei Dodici in alto, corrisponde il prendersi cura di tutti in basso. Infatti sceso per comunicare la Parola e guarire luomo. In questopera gli apostoli sono associati a lui, presente in mezzo a loro. Come lantico, cos il nuovo Israele un popolo formato dallascolto della Parola, depositario del discorso di rivelazione, che viene subito dopo. Guarita la mano destra, luomo pu accogliere ci che deve fare per essere figlio dellAltissimo (vv. 35s). Ora c la chiamata di quel nucleo che poi chiamer gli altri, continuando lopera di Ges. Sono poche persone, dodici, ma inviate a tutti, appunto alle dodici trib del popolo di Dio. La creazione dei Dodici la settima azione potente di Ges, dove si compie e trova riposo tutto il suo lavoro: il mondo nuovo, lumanit che nellascolto entra nel giorno di Dio e raggiunge il suo riposo. I Dodici sembrano piccola cosa di fronte alla vastit del mondo al quale sono inviati. Ma stile costante di Dio operare tutto attraverso poco (cf. Gdc 7,1-8). La sua azione sempre sacramentale: in un piccolo segno damore, dona una realt infinita, se stesso come amore. Questa sacramentalit, per cui linfinito opera nella piccolezza, necessaria perch Dio infinito e luomo finito, ma fatto per linfinito. Ma anche necessaria per rispettare la libert delluomo che Dio ama e dal quale vuole essere amato in libert. Il piccolo non si impone: solo si propone e pu essere accolto o meno. Non bisogna mai dimenticare lefficacia reale e infinita del piccolo segno, n a livello personale n a livello ecclesiale. Si cadrebbe in deliri di onnipotenza, vecchi come il peccato di Gn 3! La chiamata allapostolato, mattino della piccola chiesa che sta sorgendo (cf. 12,32), nasce dalla notte di preghiera di Ges. Come a dire che la chiamata che fonda la chiesa nasce dalla sua comunione con il Padre fin dentro la notte, cio dallobbedienza e dallamore a lui fino alla morte. Ed una chiamata alla stessa comunione, fine di ogni apostolato. 2. Lettura del testo v. 12: usc egli verso il monte a pregare, e stava pernottando nella preghiera di Dio . Prima della scelta degli apostoli, c tutta una notte trascorsa nella preghiera di Dio. La preghiera, come fu la forza di Ges, primo apostolo, per conoscere e compiere la volont del Padre (cf. 22,42), cos lorigine di ogni azione e scelta apostolica (cf. At 1,24ss; 6,4). Questa preghiera frutto di un esodo (usc). Il servizio di Dio possibile dopo luscita dalla servit degli idoli. Difatti si specifica che la preghiera di Dio, non una qualunque. Ci sono preghiere che non sono di Dio, bens dei propri idoli - come quando lo preghiamo esponendo i nostri desideri con poca sollecitudine di ascoltare i suoi. Perversione che succede spesso o quasi sempre. Inoltre questa preghiera non si svolge su un monte qualsiasi, un luogo solitario posto verso lalto, ma sul monte, allusione al luogo della rivelazione di Dio. Questa preghiera, separata dagli uomini e vicina a Dio, si compie di notte. Nella notte, quando il nulla avvolge tutte le cose, non c alternativa al sonno, mimesi della morte, che la vigilanza e la comunione con Dio. La notte il fallimento o la verit delluomo: o ci si abbandona al vuoto della morte o nelle braccia di Dio, sorgente di vita. La preghiera lunica forza per superare la notte. E luomo conosce molte notti. Anche e soprattutto di giorno. Mentre di notte le sente e le sogna, di giorno le produce e le realizza. v. 13: quando venne giorno, convoc i discepoli, ecc.. Il giorno della chiesa spunta dalla notte di Ges in comunione col Padre. La chiamata ad ascoltare il Signore ed essere suoi discepoli per tutti gli uomini. Lascolto il comune denominatore dellofferta di tutto Dio a tutti. Chi lo accoglie diventa suo figlio (cf. Gv 1,12), identificato a Ges, il Figlio che ascolta. Fermo restando che nessuno pu porre altro fondamento al di fuori di quello che gi posto, cio il Signore Ges (cf. Col 2,7; 1Cor 3,11), egli presceglie tra i discepoli dodici, come 12 furono i patriarchi di Israele, per essere le colonne (Gal

2,9) che fondano (Ef 2,20) il nuovo popolo. La funzione degli apostoli consiste nellessere testimoni della risurrezione; si esige che abbiano conosciuto il Ges terreno e siano gi stati chiamati da lui e a lui associati (At 1,21s). Essi stanno sul monte, uniti al Signore innalzato, da cui parte ogni missione. La loro funzione unica e irripetibile e pure si continua di generazione in generazione, come quella dei patriarchi: essi costituiscono il primo anello di una catena di altri anelli, che garantisce che questi, uniti a loro, siano saldati a Cristo. Costituiscono lanello di congiunzione tra Ges e il tempo successivo. Sono il principio di quella mediazione storica di testimonianza che ci porta fino a Ges e di cui Luca particolarmente cosciente. Marco, giustamente, spiega che i Dodici sono stati fatti per essere con lui, in unintimit di vita col Signore che qualifica la loro missione (Mc 3,14). Essere con lui il movente e il contenuto della missione (cf. 1Gv 1,1ss). Questa porter ogni uomo alla salvezza, che appunto essere con lui, come situazione anticipata della gioia definitiva (cf. Gv 15,1ss; 1Ts 4,17). Nel fatto che i Dodici vengono scelti per lapostolato da vedere, oltre lintenzione di Ges di fondare la chiesa, una certa differenziazione di carismi e funzioni nellunica chiamata al discepolato (vedi ad es. 1Cor 12,1ss). vv. 14.15.16: Simone e Giuda Iscariota, che divenne traditore. lelenco dei patriarchi, coi quali siamo in comunione. Mediante loro, la nostra comunione col Padre e col Figlio suo Ges Cristo (1Gv 1,3). Ci sono tutti abbastanza sconosciuti nei loro tratti particolari, tranne un poco il primo e lultimo. Sono comunque scelti tra gente semplice, sono pescatori o peccatori, certo gente in attesa di un qualche cambiamento. Per questo sono disponibili a seguirlo. Diversamente questa attesa andr creata, perch chi sazio va a dormire. A loro sar affidato il grande compito storico di fare il passo dalla promessa al compimento, da Israele alla chiesa, dal giudaismo al cristianesimo, dalla legge al vangelo da annunciare a tutte le genti. Noi avremmo affidato tali compiti religiosi, con enormi implicanze teologico-filosofiche di inculturazione, a gente meno sprovveduta! Ma Dio non guarda ci che guarda luomo. Luomo guarda lapparenza (cf. 1Sam 16,7)! La formazione dei Dodici semplicemente divina. Nessun allenatore penserebbe a mettere insieme una squadra di questo tipo. Notare, contro facili rimozioni, che Giuda sempre ricordato come uno dei Dodici. Contro la tentazione di cancellarlo dalla lista, quasi il suo cognome, riservato a lui! Questo sta a mostrare due cose. Primo: lamore e la chiamata di Dio sono irrevocabili, per lui come per Israele e per tutti! Secondo: la struttura portante della chiesa intrinsecamente zoppicante fin dal principio, sempre aperta al tradimento e al rifiuto del Signore. Giuda e Pietro ne sono le figure emblematiche. In questo il nuovo Israele non per nulla diverso dal primo (cf. Rm 11,16ss). figura di ogni uomo. v. 17: e, disceso insieme con loro, stette in un luogo pianeggiante. A differenza di Matteo, Luca fa scendere Ges dal monte, come Mos, per portare al popolo la nuova legge. la condiscendenza di Dio verso quel popolo che non poteva salire a lui (cf. Es 19,12s). Il suo discorso in un luogo pianeggiante, umile e modesto come tutta la rivelazione di Dio in Ges: in lui il fuoco e il terremoto e il vento impetuoso si fanno brezza soave, come aveva previsto il padre dei profeti (1Re 19,11ss); laquila (Es 19,4; Dt 32,11) si fa chioccia (13,34). Ai piedi del monte, Ges che insegna e guarisce con la sua parola, associato agli apostoli: sar sempre con loro nella loro testimonianza, mediante il suo Spirito. Mentre di solito folla si contrappone a popolo come individuo a persona, qui i discepoli di Ges sono una folla immensa. Invece la moltitudine numerosa, che accorre a Ges, chiamata popolo. I discepoli sono folla, e la moltitudine popolo. Davanti a lui cadono le barriere! In Luca si vedono tre cerchi di persone, concentrici su Ges: gli apostoli, ascoltatori vicini a lui e associati al suo stesso annuncio, i discepoli, ascoltatori che hanno obbedito alla Parola, e la moltitudine, che vuol giungere a questo ascolto ed essere guarita. Tutti insieme sono lunico popolo di figli che Dio ama.

v. 18: vennero per ascoltare lui e per essere guariti. Il motivo che spinge verso Ges il bisogno di ascolto e di guarigione. Come la parola del serpente port il male e la morte, cos la parola di Dio guarisce e d la vita. C stretta connessione tra ascolto e guarigione, come tra disobbedienza e morte (cf. Dt 11,26-32). Per lascolto del serpente il peccato entrato nel mondo e con il peccato la morte (Rm 5,12), che ha raggiunto tutti gli uomini. Se la disobbedienza ha portato tutti i mali, lobbedienza porta ogni benedizione. La Parola guarisce da quel male radicale che la menzogna, il suo ascolto salva dalla sfiducia che genera la disobbedienza. Luomo diventa ci che ascolta. Nellascolto di Ges, ascoltatore perfetto del Padre, diventa come lui, figlio del Padre. v. 19: la folla cercava di toccare lui, poich da lui usciva una potenza. Uomini e bestie che si fossero accostate al monte Sinai avrebbero dovuto essere lapidati; nessuno doveva toccare il luogo santo da cui scendeva il ministero della legge, che condanna e uccide (Es 19,12s; 2Cor 3,9). Ora invece Ges, che scende dal monte, compie il ministero dello Spirito che d vita (2Cor 3,6-8): chi lo tocca salvo. Toccare Ges entrare in contatto con la potenza stessa di Dio che salva, perch dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia (Gv 1,16). Si parla di toccare il Signore e della guarigione che ne deriva, immediatamente prima del discorso di rivelazione. Luca intende dire al suo lettore che anche lui pu toccare e sperimentare la potenza di Ges: nellannuncio dei Dodici, pure lui ne accoglie la parola. Essa potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Rm 1,16; cf. 1Cor 1,18). Infatti piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione (1Cor 1,21), poich la parola di Dio viva, efficace e pi tagliente di ogni spada a doppio taglio (Eb 4,12), capace di penetrare il cuore delluomo e recidere la menzogna che lo tiene prigioniero. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il Signore sul monte, dovera in preghiera notturna, e poi mentre scende verso il lago con gli apostoli. c. Chiedo ci che voglio: la grazia di sapere che, attraverso la testimonianza ininterrotta dei Dodici nella chiesa, ascolto il Signore stesso e la sua parola che salva. d. Punti su cui riflettere: - la preghiera notturna di Ges - la scelta dei Dodici - la discesa al piano - ascoltare ed essere guariti - toccare Ges - la potenza che esce da lui. 4. Passi utili Sal 16; 23; Gn 12,1-8; Es 3,1-12; Gdc 6,1-24; 1Sam 3; 16,1-13; 1Re 19,1ss; Is 6,1ss; 1,4-12; Mc 3,13ss. Ger

28. BEATI VOI... AHIM PER VOI!


(6,20-26)
20

Ed egli, sollevati i suoi occhi verso i suoi discepoli diceva: Beati i poveri perch vostro il regno di Dio. 21 Beati quanti avete fame ora, perch sarete saziati. Beati quanti piangete ora, perch riderete. 22 Beati siete quando vi odieranno gli uomini e quando vi escluderanno, e insulteranno e bandiranno il vostro nome come cattivo a causa dei Figlio delluomo. 23 Rallegratevi in quel giorno e danzate; ecco infatti: la vostra ricompensa molta nel cielo. In questo modo infatti facevano ai profeti i loro padri. 24 Invece: ahim per voi, i ricchi, perch ricevete la consolazione vostra! 25 ahim per voi, che ora siete pieni, perch avrete fame! ahim per (voi), che ora ridete, perch vi affliggerete e piangerete! 26 ahim, quando di voi bene diranno tutti gli uomini: in questo modo infatti facevano ai falsi profeti i loro padri. 1. Messaggio nel contesto la buona notizia che Ges ha dato ai poveri, ai quali e per i quali annuncia il compimento della promessa. il giudizio di Dio sul mondo: rivela il suo modo di valutare la realt, opposto al nostro, e il suo modo di salvarci, cos diverso da quello che noi pensiamo. Le Beatitudini costituiscono il manifesto del regno di Dio. I vv. 27-38 le specificano, le fondano, particolarmente il v. 36, centro del vangelo, che pone come principio di tutto la misericordia. Questa diventa la nuova legge, codice di vita nuova per chi accoglie il Regno. Ad essa sono legati i frutti di vita e la salvezza stessa (vv. 39-49).

Questo proclama del Regno quanto Ges ha realizzato nella sua vita, culminata nella sua passionerisurrezione per noi. Le beatitudini per i poveri e le lamentazioni per i ricchi non vanno lette in chiave moralistica, quasi dicessero ci che deve fare luomo. Dicono piuttosto cosa fa e come agisce Dio nella storia umana. Nella discesa dal monte, Mos rivel cosa doveva fare luomo; ora, nella discesa al piano, Ges rivela cosa fa Dio stesso. Luca attualizza questa rivelazione per la sua chiesa e ne fa il fondamento del nuovo popolo in ascolto. Cosa fa Dio nel mondo, qual il suo intervento? importante saperlo, per poterlo ascoltare, accogliere e portare frutto! Lintento del proclama rivelarci il volto di Dio in Cristo, perch lasciamo trasparire sul nostro la gloria stessa del suo, che quello del Figlio obbediente. La chiave di lettura di tutto il discorso al piano cristologica-teologica: la vita e lopera di Ges manifesta il vero volto di Dio che nessuno mai ha visto (cf. Gv 1,18). Nel suo mistero di morte/esaltazione vediamo come Dio dona il Regno. Nella sua passione Ges odiato, bandito, insultato, respinto e diffamato solidarizza con i poveri e si identifica con loro, lui che gi prima era povero (9,58), affamato (4,2). Nella sua risurrezione realizza in prima persona la beatitudine, identificando a s tutti i poveri, nella saziet del banchetto messianico e nel riso di vittoria. Il discorso di Luca comprensibile solo ai discepoli. La Parola rivolta a un voi ecclesiale, formato da quei piccoli ai quali stato rivelato nello Spirito il Mistero della conoscenza e dellamore mutuo Padre/Figlio (10,21s). una parola indirizzata a chi, scoperto il tesoro, vuole viverne in pienezza i frutti, disposto ad abbandonare tutto ci che dimpedimento a questo. Dal punto di vista storico. Ges si rivolge a quei poveri reali di tutti i tipi dei quali si preso cura. Il suo prendersi cura di ogni miseria il suo segno messianico (cf. 7,21-23). Sazier col suo pane questi affamati (9,10-17), ed asciugher con la sua consolazione le loro lacrime (7,11-17). Questi poveri, interlocutori diretti di Ges, in Luca diventano i discepoli, impersonati da Teofilo che desidera conoscere il Signore che gi ama. Anche noi ascoltiamo la stessa parola perch, nellobbedienza a lui, veniamo trasferiti e rapiti in Dio, trasformati in lui, oggi eterno di Dio, in cui offerta la salvezza a tutti i perduti. da notare il tempo presente della prima beatitudine e della prima lamentazione. Gi ora il Regno dei poveri e gi ora i ricchi se ne escludono con un surrogato di consolazione. Le altre due beatitudini/lamentazioni sono al futuro semplice: sono rispettivamente i frutti/surrogati del Regno che matureranno nel futuro. Ci significa che con Ges la storia presente definitiva, ma non chiusa: anzi definitivamente aperta verso il suo termine di salvezza. Questa tensione presente-futuro, tra un ora e un dopo, lo spazio stesso della storia, luogo di decisione delluomo per accogliere la libert di Cristo. Lultima beatitudine/lamentazione indica una situazione futura, ma che ben presto diventer attuale, nel tempo della persecuzione. Allora sar per il discepolo il suo presente di compartecipazione o meno alla passione del Signore. Le beatitudini si possono comprendere solo conoscendo che Dio amore per tutti i suoi figli. La sua giustizia togliere a chi ha e dare a chi non ha, in modo che si viva in concreto la fraternit. Il nostro concetto di giustizia: a ciascuno il suo, pi che sulla giustizia di Dio che amore, si fonda sullingiustizia umana e ne codifica legoismo che la origina. utile notare che la distinzione poveri/ricchi di facile lettura allesterno. Difficilissima ne la lettura allinterno del cuore delluomo: solo la Parola che vi penetra dentro discerne in noi tra la beatitudine e lahim, recidendo dolorosamente in noi il male dal bene. ingiusto fare delle beatitudini una lettura solo intimistica. per stolto farne una classista, che vede solo il male fuori di s e demonizza laltro da me come nemico. In realt ognuno di noi combattuto tra lavere, il potere e lapparire da una parte e la chiamata del Signore alla povert , al servizio e allumilt dallaltra. 2. Lettura del testo

v. 20: Ges, sollevati i suoi occhi. Ges non parla dallalto. La sua cattedra trovarsi pi in basso dei suoi ascoltatori. Questi sono quelli del v. 17: gli apostoli che sono scesi con Ges dal monte, la folla dei discepoli e la moltitudine di popolo, qui chiamati suoi discepoli sui quali solleva gli occhi, come se fossero pi in alto di lui. Effettivamente si abbassato sotto di loro. Inoltre latteggiamento di levare gli occhi tipico della preghiera verso Dio! Forse per indicare a noi dove possiamo vedere la sua presenza, dopo il suo abbassamento. Beati i poveri. Se dico: Beato te, intendo dire mi congratulo, mi felicito con te, ti faccio i miei complimenti per una cosa buona che ti capitata. Le beatitudini sono delle felicitazioni. I poveri di cui si parla non sono solo dei poveri in contrapposizione ai ricchi. Mentre ricchi sono quelli che hanno il tanto superfluo con poca fatica, poveri sono quelli che hanno il poco necessario con molta fatica ( il senso del latino pauper, la cui radice comune con paucum = poco). Il termine greco ptocho da cui pitocchi indica gli indigenti, quei poveri che mancano del necessario. Sono a un livello inferiore. Mentre i poveri, anche se poco, hanno qualcosa, i pitocchi non hanno niente: sono nullatenenti. La parola pitocco indica uno stato morale derivante da una situazione economica: non avendo concretamente nulla, il pitocco, per quanto si dia da fare, rester sempre con nulla, e non potr che vivere di dipendenza e di sottomissione. Non persona! La parola greca ptochs deriva infatti da un verbo che significa nascondersi, rannicchiarsi su se stessi per timore. Ges si congratula con costoro e fa loro le felicitazioni, perch a loro donato il Regno. Dio compie in loro favore la sua promessa (cf. Is 61,1). Non perch siano bravi e abbiano quella povert spirituale (= umilt) che rende luomo gradito a Dio. Sono poveri reali che hanno fame e piangono. La loro beatitudine consiste nel fatto che Dio interviene in loro favore, perch suo dovere difendere il povero. Infatti padre e ama tutti i suoi figli. Il suo amore, non i loro meriti, lo fa intervenire in loro favore. necessario comprendere che lamore si misura non dal merito ma dal demerito, non dallamabilit ma dalla non amabilit, non dalla qualit ma dal bisogno. Diversamente non se ne capisce la sorgente, che il cuore di Dio Padre, che ama ciascuno secondo il suo bisogno. Un amore secondo il merito diventa meretricio, desiderio e possesso, invece che grazia, dono e vita. I poveri sono quelli che, per definizione, sono nel bisogno. Per questo Dio interviene. Luca, rivolgendo ai discepoli questa beatitudine, suppone che siano realmente poveri. levangelista che pi insiste sulla povert come espressione di dono e misericordia: cf. 3,11; 5,11.28; 6,30; 7,5; 11,41; 12,33a; 14,13.33; 16,9.13; 18,22; 19,8; At 2,44; 4,32.34; 9,36; 10,2.4.31. La chiesa madre di Gerusalemme era di anawim, di poveri di Dio, che dovettero essere soccorsi dalla solidariet dei fratelli (At 11,29s; 24,17; 1Cor 16,1, ecc.). Anche la chiesa di Corinto era in prevalenza di poveri (1Cor 1,26ss). Questi sono vicini a colui che da ricco che era si fece povero per arricchire noi con la sua povert (2Cor 8,9). La povert nellAT era piuttosto una maledizione o uno scandalo. Solo secondariamente e pi tardi fu vista come condizione che porta a confidare umilmente in Dio e nel suo intervento. Nel NT, alla luce della croce, la povert assume un significato totalmente positivo. Nel suo aspetto di bisogno, dipendenza e disonore, porta, attraverso lumiliazione, allumilt e alla fiducia in Dio. Al contrario la ricchezza, attraverso lautosufficienza, la saziet e il riso di autocompiacimento, porta alla vanagloria, alla superbia e alla fiducia in s. perch vostro il regno di Dio. il motivo della beatitudine. una bestemmia convalidare con queste parole di Ges 1alienazione religiosa e la funzione consolatoria del paradiso, utile a mantenere lingiustizia sulla terra. Il fatto che Dio povero e per i poveri, motivo per lottare contro lingiustizia e ogni male che viene dalla sete di possesso e di potere. Il modo di questa lotta ce lo indica il messianismo povero e umile di Ges, che si prende cura di chi sta male (cf. 7,22s). Che il Regno sia donato ai poveri, lesperienza stessa della chiesa di Luca: la parola accolta dai poveri, e lascolto li

rende tali, se prima non lo erano (19,1ss; At 2,45; 4,32ss). Pure le persecuzioni, promesse come beatitudine imminente nel v. 22, hanno contribuito a raggiungere questa povert non solo affettiva, ma anche effettiva. Essa porta allascolto e alla sottomissione a Dio, alla speranza in lui e allattesa del suo intervento. Il regno di Dio significa il bene di tutti i beni, la somma dei desideri, delle attese e delle promesse di Dio. il capovolgimento che Dio fa del regno delluomo, che noi facciamo e conosciamo bene! loggetto primo della preghiera al Padre, come dono da invocare (11,2b). Perch il regno di Dio di Dio: la luce della sua misericordia, della sua giustizia e della sua pace. Ges stesso, che in s lo ha pienamente compiuto attraverso il mistero della croce dove stato vinto il male. v. 21a: Beati quanti avete fame ora, ecc.. Si intende la fame reale, del povero che non ha da mangiare, non quella spirituale di Am 8,11s, propria del ricco ingiusto! la fame di Lazzaro (il nome significa: Dio mio aiuto!) bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco (16,21), la fame dei poveri nel deserto che Ges ha saziato (9,17), la fame che lui stesso ha scelto di condividere (4,2). Il povero, nelle culture di sussistenza, colui che non ha da mangiare e non pu materialmente saziarsi. La fame la sua situazione costante: un male endemico, che la comunit di Luca certamente conosce, come tutti i poveri del mondo. Infatti si rivolge ai discepoli che ora hanno fame. Si connota cos la situazione attuale del discepolo: il Regno gi suo, ma il presente si contrappone ad un futuro di saziet, ora solo promessa. Quando sar questo futuro? Certamente, su un piano escatologico, da porre gi dopo la morte personale, per il singolo povero (16,19ss; 23,43), e dopo la fine del cosmo, a un livello generale, per tutto il mondo dei poveri. Come la meta a cui si tende gi operante allinizio del cammino, cos la promessa di saziet dirige e qualifica il cammino storico presente. il fine da Dio voluto per questo mondo, la sua volont attuale e definitiva su di esso. Chi la capisce, ascolta e fa ora questa sua volont. Il discepolo ha infatti la mano guarita: pu operare come Dio, ed chiamato a farlo subito. Il futuro di saziet, contrapposto al presente di fame, crea uno spazio di tensione. il campo di libert e di responsabilit di chi si impegna in favore dei poveri, in obbedienza a Ges che per primo lha fatto. La storia stessa, questo tempo intermedio pieno di povert, fame e pianto, il luogo stesso in cui il credente chiamato a esercitare la misericordia come Ges. su questa terra che si getta il seme dellalbero del Regno, non su unaltra ipotetica e migliore. Il presente quindi lo spazio dellimpegno di fede del credente, che ascolta e fa la Parola (8,21; 11,27s). Cos obbedisce al suo Signore ed entra nel suo oggi (Eb 3,7-4,14). v. 21b: Beati quanti piangete ora. Il pianto la manifestazione di dolore del povero affamato che, colpito da tutte le altre afflizioni, grida senza rimedio e piange. Il pianto denota limpotenza davanti al male, lessere schiavi e insieme ribelli e incapaci di uscirne. Poveri, affamati e piangenti sono in realt ununica categoria di persone. Anche Ges pianger (19,41), per non su di s, ma per Gerusalemme. Sar un pianto di misericordia per chi lo uccide, capace di asciugare ogni lacrima. riderete. Non si intende tanto il riso di gioia continuo della situazione definitiva, ma il riso di sorpresa, esplosione incontenibile che si prova nel momento stesso della liberazione, in cui la situazione si capovolge (cf. Sal 126,2). v. 22: Beati siete quando vi odieranno gli uomini, ecc. . Questa beatitudine, al futuro sulla bocca di Ges, diventata attuale per la chiesa di Luca. Il discepolo associato al destino di passione del suo maestro (Gv 15,18-21). Il mondo ama ci che suo (Gv 15,19) e odia i discepoli perch non sono del mondo (Gv 17,14-16).

a causa del Figlio delluomo. Tutto questo male viene ai discepoli per lamore che portano a Ges. Motivo di beatitudine partecipare al suo mistero di persecuzione e di morte, con la certezza di partecipare alla vita (Fil 3,10s) di colui che amano. Infatti sono stati conquistati da lui (Fil 3,12) che la loro vita (Fil 1,21ss). Nella persecuzione sono associati nel modo pi profondo alla sua missione di salvezza. Paolo dice: Compio in me quello che manca alla passione di Cristo (Col 1,24). v. 23: Rallegratevi in quel giorno, ecc.. Associati al Risorto che il Crocifisso, i discepoli sentono di essere con lui e in lui sulla via della gloria del Padre. Questo gi un motivo di gioia attuale: non c pi tensione tra un ora di lutto e un allora di gioia. Proprio quel giorno, che lora del lutto e della persecuzione, diventa lora della gioia promessa dal Signore. Si gioisce e si fa festa di danza, perch la persecuzione la garanzia che si con lui (cf. At 5,41; Gc 1,2ss; 1Pt 1,6-9; Eb 12,4-13). Nella cosiddetta piccola pentecoste (At 4,23ss.), durante una persecuzione i discepoli capiscono di essere associati alla passione del Signore, e che ci che avviene a loro lo stesso mistero suo che continua in loro (vedi anche 2Cor 11,1-12,10). v. 24: Invece: ahim per voi, i ricchi .... ecc.. C una contrapposizione esplicita: invece. Le felicitazioni per i poveri si fanno compianto per i ricchi. Vengono chiamati voi per simmetria con le beatitudini che sono rivolte al voi dei discepoli. In realt il cuore padronale sempre almeno in agguato anche nel discepolo. Guai non il grido di vendetta e di esultanza del vinto che si fa vincitore! Non c ricco peggiore del povero arricchito; non c vincitore pi crudele del vinto che si prende la rivincita! invece un lamento di compianto, che Ges rivolge ai ricchi, per avvertirli di un male di cui non si rendono conto. Come si rallegra con i poveri, cos si contrista per i ricchi. Infatti ama anche loro e vuol portarli alla conversione; sono tutti suoi fratelli, figli del suo Padre, che unico per tutti! La conversione possibile anche ai ricchi che incontrano Ges (cf. Zaccheo in 19,1ss). I beni sono un dono di Dio. Il possederli invece di donarli chiudere il cuore alla misericordia verso i fratelli ed escludersi dal circolo della misericordia del Padre. Luso corretto dei beni indicato da Luca soprattutto al c. 16, dopo le parabole della misericordia (c. 15). Il male delle ricchezze non consiste nel fatto che siano cattive. Tutte le cose sono buone, dono di Dio alluomo. Il loro possesso cattivo perch le nega come dono. I beni posseduti non richiamano pi il Donatore, e sono tagliati fuori dalla loro sorgente. Il dono sostituisce il Donatore, le cose diventano Dio, il loro possesso fine della vita, il loro accumulo surrogato di consolazione. Per questo rendono miopi sul vero senso della vita e delle cose stesse e chiudono luomo nellidolatria. Il povero spera necessariamente che qualcosa cambi, il ricco invece spera che nulla cambi. Sta chiuso nella presunta autosufficienza, aperto solo allavidit di beni, che ha sostituito ladorazione di Dio. v. 25: ahim per voi, che ora siete pieni.... ecc.. Il ricco sazio di quella pienezza che fa cessare ogni ricerca e porta alla stoltezza (12,20). Luomo nella prosperit non comprende, come gli animali che periscono (Sal 49,13.21). A questa illusoria saziet ora risponde la penuria di dopo, propria di chi non usa la ricchezza, sempre disonesta in quanto accumulata, per procurarsi amici che lo accolgano nelle dimore eterne (16,9.19-31). Luso naturale dei beni, che sono doni, usarli come dono. Solo cos portano al fine, che amare e donare tutto a Dio e ai fratelli. Ogni altro uso contro la natura delle cose e porta alla distruzione del creato. Infatti tutte le cose vanno usate tanto quanto aiutano a conseguire il fine per cui siamo creati. Ogni altro uso non onesto. v. 25b: ahim per voi, che ora ridete, ecc.. La saziet porta al sorriso di autocompiacimento. Di esso piena la bocca dello stolto, che si compiace di se stesso e si sente autosufficiente (12,19). Come la povert, attraverso il bisogno e lumiliazione, porta allumilt e alla comunione con colui che mite e umile di cuore (Mt 11,29), cos la ricchezza, attraverso la saziet, porta allautosufficienza e alla

vanagloria (v. 26). Questa impedisce la fede: Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo? (Gv 5,44). Dio resiste ai superbi e agli umili fa i suoi doni. v. 26: ahim, quando di voi bene diranno, ecc.. Ora non si parla forse pi tanto dei ricchi, quanto di coloro che cercano di sfuggire allodio e alla persecuzione che incontra chi segue il Signore e la sua parola. Sono quanti cercano riconoscenza e lode e, invece di servire la verit, se ne servono a proprio vantaggio e la volgono e rivolgono come vogliono. latteggiamento dei falsi profeti (Is 30,9ss; Ger 23,17ss); ed latteggiamento dei farisei, che amano la gloria degli uomini pi di quella di Dio (Gv 12,43). Per questo non possono accettare Ges, che la gloria che viene da Dio (cf. Gv 5,44). latteggiamento di protagonismo (= ipocrisia) dal quale i discepoli devono guardarsi (cf. 9,46; 12,1; 20,45ss; 22,24-27) e che facilmente li tenta. Contro di essi, tra i tanti avvertimenti, mette in guardia la parabola sulla scelta dei posti (14,7-11). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando un piano, nel declivo del monte, e Ges che si pone in basso a predicare, alzando gli occhi sui discepoli. c. Chiedo ci che voglio: conoscere le frodi di satana e guardarmene, conoscere e amare la vera vita che Ges propone. d. Punti su cui riflettere: fermarmi su ogni parola, vedendo come Ges lha vissuta. 4. Passi utili Sal 126; 49; 113; 1Sam 2,1-10; Is 61,lss; Lc 1, 46-55; At 2,42-48; 4,32-37; Mt 5,142.

29. AMATE I NEMICI VOSTRI


(6,27-31)
27

Ma a voi dico, che ascoltate: amate i vostri nemici, bene fate a quanti odiano voi, 28 benedite quanti maledicono voi, pregate intorno

a quanti calunniano voi. 29 A chi ti colpisce sulla guancia, porgi anche laltra; a chi prende a te il mantello, anche la tunica non negare; 30 a chiunque chiede a te, d; e a colui che prende le cose tue, tu non richiedere. 31 E come volete che facciano a voi gli uomini, fate loro similmente. l. Messaggio nel contesto Nelle beatitudini/lamentazioni abbiamo visto il comportamento di Dio, che grazia e misericordia per i poveri. Ora vediamo il comportamento di quegli uomini che hanno accolto la sua grazia e la sua misericordia. Dietro ogni imperativo si legge in filigrana un indicativo, che mostra come Dio in Ges mi ha amato. Sono parole strettamente autobiografiche: lui per primo ha fatto ci che ha detto, Questo brano ha la funzione di richiamare alla mente come Dio ama me, in modo che io, riconoscendomi peccatore graziato, faccia di questa grazia la fonte della mia vita nuova. Il brano quindi rivela chi Dio per me, chi sono io per lui e chi devo essere per gli altri. In primo luogo mi fa conoscere chi Dio per me. In Ges mi si rivela il volto di un Dio che mi ama, mentre sono suo nemico; mi fa del bene mentre lo odio; mi benedice, mentre lo maledico; intercede per me, mentre lo uccido; purch io sia salvo, disposto a subire ogni male da me; lo spoglio e lui mi riveste della sua nudit; mi dona anche ci che non oso chiedergli e non richiede indietro ci che gli ho rubato. Veramente il suo amore per me gli ha fatto percorrere ben pi di due miglia: una strada infinita! Lui tutta con-discendenza verso il mio abisso. In secondo luogo, in questo suo amore verso di me, mi rivela chi sono io per lui: infinitamente amato, anche se suo nemico, odiatore, maldicente, rinnegatore, violento, spogliatore, petulante, indigente e ladro. Proprio verso di me, che sono in questa situazione, lui riversa il suo amore e mi grazia con la sua misericordia. Conoscere Dio nello Spirito sperimentare e sapere lamore di Dio verso di me peccatore, in Cristo. Questa la salvezza. Solo in terzo luogo queste parole mi rivelano chi devo essere io per gli altri: fratello come Ges, il Figlio. Ci che lui ha fatto per me, diventa per me un imperativo, perch io sia quel che sono. Il volto di Cristo, il Figlio, il mio vero volto. Da homo homini lupus, divento homo homini Deus, come lui. Questa la mia vocazione di figlio di Dio, alla quale il suo amore mi chiama e mi abilita. Nella misura in cui conosco il suo volto, vengo trasformato nella sua immagine, di gloria in gloria, secondo lazione del suo Spirito (2Cor 3,18). In queste parole quindi vedo da una parte la storia di Dio in Ges, nel suo amore verso di me; dallaltra la storia mia e di chiunque, che, guarito dallinimicizia verso Dio, chiamato a guarire dallinimicizia verso tutti. Il discorso riservato ai discepoli. una catechesi sul nocciolo della vita cristiana: lamore di misericordia, unico amore possibile in un mondo di male, unica forza capace di vincerlo. Lamore dei nemici proprio e solo di chi ha conosciuto Dio nello Spirito di Ges, il Figlio. Questo amore si estende a tutti gli uomini, e rivela lessenza di Dio. Il brano si articola in una strofa di quattro comandi: amate, bene fate, benedite e pregate per i nemici (vv. 27-28), seguiti da quattro amplificazioni che dicono come vincere il male col bene (vv. 29-

30), per concludere con il principio generale dellamore: come volete che facciano a voi gli uomini, fate loro similmente (v. 31). Si suppongono uditori credenti che hanno gi capito e accolto il Regno. il punto centrale del loro ascolto, la pietra di paragone della loro fede: chiamati al dono di una vita nuova, purificata e capace di camminare (rispett. 5, 1-11; 5,12-16; 5,17-26), commensali di Ges, abilitati a vivere di Dio e ad agire come lui (rispett. 5,27-32; 5,33-6,5; 6,6-11), ora accettano la sua azione come fondamento e sorgente della propria vita. la vita nuova in Cristo, la vita nello Spirito del Figlio, che il credente vive in relazione al mondo e a coloro che ancora ignorano di essere suoi fratelli e lo considerano nemico. Questamore del nemico larma con cui il credente vince il male nel mondo, ed il principale mezzo di diffusione del cristianesimo (molto pi efficace di tutte le crociate), che sortiscono leffetto contrario. La mia inadempienza nei confronti di questa parola del Signore mi mostra il mio peccato e il mio bisogno di perdono, quanto ancora sono suo nemico e devo sperimentare il suo perdono su di me. 2. Lettura del testo v. 27: Ma a voi dico, che ascoltate . Il ma suppone che ora Ges si rivolga non pi ai ricchi di cui parlava immediatamente prima, bens ai pitocchi del v. 20 che qui vengono chiamati voi che ascoltate. La povert in connessione collascolto e in contraddizione con la ricchezza. Come la povert rende ascoltatori e lascolto rende poveri, cos la ricchezza rende sordi e la sordit porta ad ogni sorta di idolatria, tra le quali quella dei beni la prima. Questi voi sono gli apostoli, i numerosi discepoli e tutto il popolo di ascoltatori (vv. 17-18), che accettano il Regno e sono chiamati ad affrontare persecuzioni, odio, bando, insulti e diramazione a causa del Figlio delluomo. A voi dico. una solenne dichiarazione di Ges il Kyrios, il Signore stesso che parla ai suoi (cf. v. 46). amate i vostri nemici. Ges, in un crescendo, chiede di amare i nemici, fare il bene, bene-dire e pregare per loro. Il comandamento dellamore riguarda innanzitutto il nemico. Lesperienza primordiale del credente quella di essere stato amato da Dio quando era ancora suo nemico (Rm 5,64 1). Non si parla di amore reciproco, di amicizia (phila). Questa o uno scambio egoistico di sentimento interessato, o risposta allagp, a un amore che si espone per primo, senza contraccambio e senza riserve, fino a dare la vita. Lamore del nemico necessariamente agp, della stessa qualit di quella che ha Dio per noi. Dice Giovanni che in questo consiste lamore: non noi abbiamo amato Dio, ma lui ci ha amati per primo e ha dato per noi suo Figlio (1Gv 4,10). In questo dono riconosciamo e crediamo il vero volto di Dio che amore (cf. 1Gv 4,16). Lamore del nemico la verifica se realmente siamo da lui. Chi non ama il nemico non conosce Dio. Lamore del nemico il nocciolo pratico del cristianesimo, che altrove si esprime come perdono (cf. vv. 36-38; Mt 6,11s. 14s; 18,21-35). un amore di misericordia che sa perdonare tutto e farsi carico di ogni lontananza. un amore ricreatore, pi forte dellamore stesso che ha creato: non solo fa il bene dove non c, ma addirittura dove c il suo contrario, ed capace di creare valore e bont dove c disvalore e cattiveria. Se amare come generare un figlio, perdonare come risuscitare un morto. Questamore di misericordia la spia per vedere se abbiamo accolto la salvezza di Dio. Chi non perdona, non perdonato (Mt 6,15). Lamore del nemico significa odio dellinimicizia e del peccato. Ges ama i peccatori perch odia il peccato e conosce il male che ne deriva al malfattore, prima vittima. Noi al contrario ci adiriamo col malfattore e lo odiamo, perch siamo suoi conniventi e concorrenti: amiamo il male e non conosciamo il bene. Non perdonare e non amare il nemico significa non avere ancora conosciuto il perdono e la salvezza. Se non amiamo i nemici, siamo addirittura nemici di Dio stesso, che li ama in quanto suoi figli,

e figli bisognosi! Il maggior male il non-amore del nemico: ignorarlo o considerarlo estraneo tagliarsi fuori da Dio che misericordia. Per nemico qui si intende il non credente. Nei vv. 27-31 si parla dei rapporti che la comunit ha con il resto del mondo. Ma si pu intendere anche ogni uomo. Il nemico laltro, che, istintivamente, dopo il peccato, percepito cos o perch mi fa male, o perch non mi concede il suo bene, o perch non ha nulla da darmi Linimicizia proviene in realt dal mio egoismo, che me lo fa considerare in funzione mia, come uno che mi danneggia o non mi vuole servire o non mi pu servire affatto. Non lo considero mio fratello, ma mio piedistallo. Dio stesso fu suggerito alluomo come nemico: linganno primordiale che ci ha resi nemici gli uni gli altri e nemici a noi stessi. Il Vangelo suppone che la situazione reale delluomo sia di inimicizia e di perdizione, dove ognuno pensa al particular suo a scapito dellaltro. Qui si dice: ama il nemico, e altrove: ama il prossimo tuo (10,27). Non si lontani dalla verit se si pensa che il primo concorrente sia il prossimo, colui che ti pi vicino. Il nemico lontano in genere meno detestabile del prossimo vicino! Gn 3-11, tracciando un grafico delle componenti profonde della storia umana come regressione nel caos, fa una lettura disincantata della situazione umana in termini di inimicizia. Questa regressione verso un male sempre peggiore pu essere rotta solo da un far grazia agli altri come Dio ha fatto grazia a noi in Cristo (Ef 4,32). Lamore del nemico, o per-dono, lo Spirito che ricrea un mondo perduto. Luomo vive o muore del perdono che laltro gli accorda o gli rifiuta. Lessere accettato incondizionatamente la condizione perch luomo possa essere libero e risorgere dal male. bene fate a quanti odiano voi. Lamore non solo un atteggiamento interiore di misericordia. Come ogni amore, si esprime pi nei fatti che nelle parole e consiste nel far parte allaltro dei propri beni e di se stesso. Come la fede non c senza le sue opere, cos lamore del nemico non c senza un fare, con creativit e fantasia. difficilissimo saper fare del bene al nemico. Non si tratta di un bene qualunque, magari a denti stretti, che lo indispettisca e mostri la nostra superiorit nei suoi confronti. In questo senso vero che la peggior vendetta il perdono! Si tratta di un bene che sia tale per lui, non per noi. Il bene che facciamo al nemico, se nasce dal moralismo, porta al suo indurimento e alla nostra stupida esaltazione. Ma lamore, come sa dare un cuore nuovo, sa anche dare occhi e intelligenza nuovi, capaci di discernere nello Spirito qual il bene dellaltro. v. 28: benedite quanti maledicono voi. Dio non solo ci ha amati e ci ha fatto del bene quando eravamo suoi nemici, ma ci ha addirittura benedetti. Il bene-dire di Dio in realt il suo bene-dare, perch egli dice ed fatto (cf. Gn 1). Noi diciamo bene di lui, cio lo benediciamo, proprio quando vediamo che lui ci d-ogni-bene, nonostante ogni nostro pensare o dire male di lui. La benedizione nostra a lui risposta alla sua misericordia operativa nei nostri confronti. Nella Bibbia la benedizione per s ha come termine solo Dio, perch da lui ci viene ogni bene: risposta di lode e ringraziamento. Come benediciamo Dio, ora benediciamo il nemico stesso. Questi infatti ci d il sommo bene di essere come Dio, il quale ama i nemici! Il bene maggiore ci viene proprio dai nemici! Da qui si capisce come il Signore possa tollerare un mondo dove c il male e come questo sia ormai il luogo del massimo bene. pregate intorno a quanti calunniano voi. Chi ci abbassa e rinnega davanti agli uomini, noi lo innalziamo e lo confessiamo davanti a Dio; chi ci avvolge di parole cattive davanti agli uomini, noi lo avvolgiamo di parole buone davanti a Dio: davanti a lui parliamo bene e intercediamo per chi parla male di noi e ci denigra. Cos il Signore ci ha insegnato, facendolo per primo nei nostri confronti quando preg il Padre per i suoi crocifissori (23,34). Con questa preghiera il Signore Ges ci ha salvati. Facendo altrettanto, anche noi

siamo associati alla sua opera di salvezza rivolta a tutti. La preghiera per il nemico lultimo livello di amore, che passa attraverso le mani (fate) e la bocca (dite) per raggiungere ora il cuore (pregate). Esige infatti un cuore puro, perch davanti a Dio non si pu mentire. v. 29: A chi ti colpisce sulla guancia, ecc.. Il nemico, oltre che percuoterti nello spirito (odio, maldicenza, calunnia), colpisce anche il tuo corpo, come con Ges (22,63-65; Is 50,6). La sua risposta a questa violenza fu la libert di assumerla e portarla. Il male non si vince dando il contraccambio. Viene solo raddoppiato. Lo si vince con il bene (Rm 12,21), disposti a subire ulteriore male, pur di non farlo. Questa lunica forza capace di vincerlo. Il giusto sa di dovere portare lingiustizia: Come le notti seguono i giorni, cos i mali seguono le buone azioni (Marco lAsceta). Il costo pi duro per chi fa il bene costatare la sua inefficacia e sconfitta. lo scandalo-vittoria della croce, di chi si rimette totalmente a Dio e fa il bene senza alcun interesse, per semplice obbedienza e amore al Padre. cos capace di portare tutto il male, anche la morte, e di stimare questo una grazia (1Pt 2,19). a chi prende a te il mantello, ecc. Il male si manifesta anche come spoliazione del necessario e dellindispensabile esterno e interno: il mantello e la tunica. Ges non tenne gelosamente nulla per s, si spogli di tutto per noi e ci rivest con la sua nudit (23,34b). Noi siamo chiamati almeno a non impedire tale spoliazione con il nostro rifiuto. v. 30: a chiunque chiede a te, d, ecc.. Dio amore e dona a quanti aprono la mano e chiedono. dono assoluto, senza riserva o considerazioni di merito: Ges ha donato tutto se stesso per me (Gal 2,20; 1Tm 1,15) peccatore. Vivere di questo dono la radice della nostra capacit di donare a chiunque. Il prezzo della vita la gratuit. a colui che prende le cose tue, tu non richiedere. Dio non solo d a chi chiede: dona tutto se stesso anche ad Adamo, il quale voleva rubarne solo leffige! Se il peccato di Adamo fu rubare ci che era stato donato, la vittoria di Cristo fu donare ben oltre ci che era stato rubato: si consegn volontariamente nelle mani di coloro che lo presero (9,44). Questo il motivo per cui non richiediamo ci che ci vien portato via. v. 31: E come volete che facciano a voi gli uomini, fate loro similmente . I miei diritti sugli altri sono trasformati in miei doveri verso gli altri: la grande rivoluzione. Il passaggio dallegoismo allamore. Tutti sono sensibili a s e ai propri diritti, pochi sono sensibili agli altri e ai loro diritti fino a farne propri doveri! Questa la regola aurea, che sintetizza come principio generale quanto detto sinora. In forma negativa era gi noto: Ci che dispiace a te, non farlo a nessun altro. Questa tutta la legge: il resto commento (Hillel). Ma per osservare tale regola negativa basta non far nulla. In Ges la formulazione positiva: si suppone unattivit e creativit proprie dellamore. Legoismo ti fa porre te stesso al centro di tutto: tu sei il sole e gli altri ti devono ruotare attorno! Lamore ti fa porre laltro al centro. il decentramento tipico dellamore, che irradia luce e calore. Questo porta chi ama a una forma di exstsis. Se amo, il mio bene fuori di me: laltro che amo. E mi realizzo unendomi a lui con il servizio. Cos luomo supera la menzogna del proprio io e diventa come Dio, estasi di amore. Ovviamente, per vivere queste parole, si suppone il dono dello Spirito e un cuore nuovo, purificato dalla conoscenza del Signore nel suo perdono (Ger 31,31ss.). La nostra capacit di vivere queste, parole e di rispecchiare il volto del Signore dipende dal grado di conoscenza di Dio che abbiamo nello Spirito di Ges. 3. Preghiera del testo

a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il piano sul declino del monte che scende al lago, come nel brano precedente. c. Chiedo ci che voglio: conoscere come Dio ama me, peccatore e suo nemico, e come io, non amando il nemico, odio il Signore che morto per lui come per me. d. Mi fermo su ogni espressione, vedendo come Ges lha vissuta nei miei confronti e come io la vivo nei confronti degli altri. 4. Passi utili Il brano fa parte della prima catechesi battesimale, che ritroviamo come parenesi anche in tutte le lettere di Paolo (cf. Rm 12-15; 1Cor 13; Gal 5-6; Ef 4-6; Col 3-4).

30. SARETE FIGLI DELLALTISSIMO


(6,32-35)
32

E se amate quanti amano voi, qual la vostra grazia? Finanche i peccatori amano quelli che li amano. 33 E se bene fate a quanti bene fanno a voi, qual la vostra grazia? Anche i peccatori fanno lo stesso! 34 E se prestate a quanti da cui sperate prendere, qual la vostra grazia? Anche peccatori a peccatori prestano per ricevere altrettanto. 35 Invece: amate i vostri nemici, e bene fate e prestate nulla sperando indietro, e sar la mercede vostra molta e sarete figli dellAltissimo perch egli usabile verso gli sgraziati e i cattivi. 1. Messaggio nel contesto Si motiva limperativo di amare i nemici dato nel brano precedente. Nei vv. 32-34 si mostra come solo cos si manifesta la chris (= grazia) di Dio sperimentata nel battesimo. Nel v. 35 si dice il fine di questo amore (essere figli dellAltissimo) e la sua sorgente (colui che usabile verso gli sgraziati e i cattivi).

Lamore dei nemici lo stesso di cui abbiamo beneficiato anche noi, mentre seguivamo ancora quello spirito che opera negli uomini ribelli, che ci aveva ridotti per natura meritevoli di ira, come gli altri, senza speranza e senza Dio in questo mondo (Ef 2,23.12). Infatti proprio allora Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati (...) per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bont verso di noi in Ges (Ef 2,4-7). Essere per gli altri come Dio per noi: questo il modello e la sorgente del nostro agire con grazia verso gli altri. Noi ci graziamo a vicenda, come Dio ha graziato noi in Cristo (Ef 4,32). Il fondamento di ogni etica essere come Dio. Fondamento delletica cristiana essere come Dio si rivelato per noi in Ges, pieno di grazia e di misericordia. Questa imitazione di Dio non pi unimpresa impossibile e disperata, il cui tentativo riservato a pochissimi eletti. accessibile a tutti i disgraziati, perch, mediante la misericordia e la grazia ricevuta, partecipiamo ormai tutti della natura stessa di Dio che grazia e misericordia. Uno ama solo se amato e come amato: nessuno pu dare ci che non ha ricevuto! Ora Dio ci ama, senza riserve, anche e soprattutto dove non siamo amabili. Quindi anche noi, perch amati e accettati, possiamo accettare e amare noi stessi come siamo; e cos possiamo accettare e amare gli altri come sono, senza riserve. Anche e soprattutto dove maggiore lindigenza di amore! Abbiamo infatti sperimentato che, quale la sua grandezza, tale anche la sua misericordia (Sir 2,18). Il cammino delluomo conoscere se stessi, quindi accettare se stessi e infine dimenticarsi per accettare laltro. Ora mi conosco veramente nellamore che Dio ha per me; in esso mi accetto e ad esso mi abbandono, dimenticandomi e aprendomi allaltro con lo stesso amore che Dio ha per me. 2. Lettura del testo v. 32: E se amate quanti amano voi, qual la vostra grazia?. Lamore non condizionato dalla risposta dellaltro, anche se la desidera ed in grado di suscitarla. Infatti non uno scambio, ma un dono; non un do ut des, un aiuto reciproco interessato, ma un puro interesse allaltro! Lamore sempre immotivato e incondizionato. Diversamente si tratta di egoismo, commercio e spoliazione reciproca. Per questo si esplica in pieno quando amiamo chi non ci ama, addirittura chi ci odia. Questo amore della stessa sorgente dellamore di Dio. Lui amore di misericordia, che prende liniziativa e porta riconciliazione l dove cera divisione e inimicizia. Solo questo amore in grado di creare un mondo nuovo, salvandolo dalla distruzione in cui legoismo lha precipitato. Amando il nemico viviamo la grazia (chris) sperimentata nel battesimo. Dio ci ha amati per primo (1Gv 4,19), quando eravamo ancora disgraziati e nemici (Rm 5,6); per questo anche noi amiamo per primi gli sgraziati e i nemici, lasciando trasparire la stessa grazia. Lamore di Dio si fatto carico di ogni nostro male e odiosit. Il nostro limite, proprio ci che noi detestiamo di noi stessi, il luogo dove sentiamo il bisogno di essere accolti. La nostra non amabilit bisogno di amore e sua misura. Come una fossa per lacqua, cos il male per lamore: pi grande e profondo, pi ne pu contenere. Se amiamo quelli che ci amano e non amiamo quelli che non ci amano, che grazia abbiamo? Significa che non abbiamo ancora conosciuto la grazia dellamore di Dio, che ci ha amati per primo, quando noi non lo amavamo. Se aspettiamo di essere amati prima di amare, nessuno amerebbe, perch nessuno farebbe il primo passo. Non esisterebbe lamore. vero che uno non pu amare se non amato. La grazia che abbiamo sperimentato nel battesimo appunto questo sentirci amati da colui che ci ama senza riserve, in tutta la nostra non amabilit. Per questo siamo capaci di amare. Finanche i peccatori amano quelli che li amano. Come lamore dei nemici tipico dei giustificati, cos lamore di scambio tipico dei peccatori. Amare uno che mi ama e perch mi ama, significa che

non lo amo se non mi ama. Vuol dire che non amo laltro, ma lessere amato da lui. In realt amo solo me stesso e la gratifica che laltro mi d di sentirmi amato. Lamore, come la vita, non ha altro prezzo che quello della gratuit. Lamore meritato, se mi viene concesso, non pi amore, ma meretricio, perch non gratuito; se non mi viene concesso, resto deluso perch lho meritato! Questo tipo di amore peccaminoso e fallimentare perch, per quanto appaia bello, piacevole e utile, non salva dal male e non crea alcun valore, anzi radice di male e spoliazione reciproca di valore. Ha le caratteristiche contrarie a quelle descritte in 1Cor 13: sempre interessato, incostante e iroso, si appropria di ogni bene dellaltro e scarica ogni male su di lui; in ricerca costante di stringere tutto ci che amabile, desiderabile e concupibile e rigetta laltro e i suoi bisogni. ros, il braccio destro di thnatos, il contrario dellagape che d libert e vita. Commercio e ricerca di se stessi, non rende felice chi lo d e chi lo riceve. Dura finch c da spogliare laltro; cessa quando laltro non ha pi nulla da dare. Non si fa carico del male e non libera dalla morte. anzi la bocca velenosa che morde e paralizza allistante, per poi uccidere e risucchiare nella morte ogni vita. v. 33: E se bene fate a quanti bene fanno a voi, qual la vostra grazia? Anche i peccatori, ecc. Fare del bene a chi ci fa del bene e perch ci fa del bene non amore. uno sdebitarsi! Vale quanto detto al versetto precedente. Fare del bene a chi ci fa del bene un principio immobilizzante, che impedisce liniziativa: nessuno si muoverebbe per primo. Il bene che eventualmente si facesse sarebbe interessato. Volgere il bene a proprio vantaggio si chiama egoismo: invece di servire e amare 1a1tro, mi servo del bene e dellamore dellaltro. Ogni azione compiuta in tale ottica non dono di amore, ma solo ricatto, esca per accalappiare laltro. Si ben lontani dalla grazia ricevuta da colui che ci ha dato ogni bene senza contraccambio alcuno! vero che nessuno pu saltare oltre la propria ombra e che il male dellegoismo attaccato alluomo come la sua ombra. Ma ormai ci siamo volti in cammino verso il sole e lombra labbiamo lasciata alle nostre spalle. Questo fare il bene, dice Ges, dei peccatori. Del bene resta solo linvolucro vuoto: dentro c ricatto, rapina e morte. v.34: E se prestate a quanti da cui sperate prendere, ecc.. Il dare con interesse la distruzione in radice del donare. In questa economia di interesse ogni azione, invece di essere un dono che mette in comunione con laltro, un investimento per avere indietro di pi, una semplice trappola per ingabbiarlo e spogliarlo, un pegno di morte! Non rivela assolutamente la grazia di colui che ci ha fatto dono di tutto, dalla creazione alla legge, da noi stessi a se stesso. Tutto ci che Dio ha fatto nella creazione e nella salvezza, non stato per intrappolarci e prendere qualcosa da noi, bens per darsi a noi, fino alla morte di croce, perch noi avessimo parte a ogni suo bene e a lui stesso. Il dare con interesse peccaminoso e fallimentare. proprio ci che i peccatori fanno con i peccatori, rendendosi la pariglia, in un cerchio chiuso, ma sempre pi largo, di morte. Come c un amare e un fare del bene, cos c anche un dare che non esce dalleconomia di morte: quello dei peccatori che non conoscono il dono e la grazia di Dio. Quindi, come c un amore che nutre legoismo e un fare il bene che si volge in ricatto, c anche un dare per interesse, per avere di pi. v. 35: Invece: amate i vostri nemici, ecc. . Riprende linsegnamento dei vv. 27-30, che ora sono stati motivati. Attraverso lesemplificazione del suo contrario, ora abbiamo capito che lamore amare chi non ci ama, ci fa del male e ci toglie il nostro. Questo amore non nutrito dalla speranza di una ricompensa terrena. Rimane senza condizioni, senza riserve e senza alcuna speranza di contraccambio. Proprio per questo la nostra mercede sar molta. Perch questo agire senza compenso semina una pianta che produce il frutto pi grande e pi desiderabile, quello che ci rende come Dio! sarete figli dellAltissimo, ecc.. La nostra ricompensa o gratifica non quella fallimentare che distrugge lamore, il bene, il dono, e volge la vita in sapore di morte. Non neanche la buona coscienza

o lorgoglio soddisfatto. il dono pi sublime, che insieme ricompensa, perch frutto della grazia ricevuta e donata. Mediante la misericordia diventiamo realmente come Dio. La nostra vita diventa trasparenza della sua grazia, il suo nome finalmente santificato in noi che qui sulla terra compiamo la sua volont. egli usabile verso gli sgraziati e i cattivi . chiaro che noi amiamo solo chi ci ama, facciamo del bene solo a chi ci fa del bene, diamo solo a chi rende con interesse. chiaro che il nostro amore meretricio, il nostro bene egoismo, il nostro dare esigere. Noi non sappiamo amare: siamo disgraziati e cattivi. Ma lui ci ha amati: stato buono e disponibile, si lasciato usare e abusare, ci ha servito e ha lasciato che ci servissimo di lui come e quanto abbiamo voluto, fino alla morte. Abbiamo cos sperimentato la sua grazia che ci ha fatto vivere. Questa la nuova sorgente della nostra esistenza! Per questo, in quanto amati, sappiamo amare, in modo da diventare, invece di homo homini lupus, homo homini Deus!. Nellamore dei nemici giunge a maturazione e fruttifica lo Spirito di Dio ricevuto nel battesimo, che ci ha resi come colui che grazia, misericordia e disponibilit senza limiti. Invece di sforzarci inutilmente di amare i nemici, dobbiamo chiedere a Dio di conoscere e sperimentare il dono della sua chris e del suo amore per noi, sgraziati, cattivi e suoi nemici. Questa la radice dellalbero buono che necessariamente porta il frutto dello Spirito: amare come siamo amati. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il piano sul declivo del monte che scende al lago, come nel brano precedente. c. Chiedo ci che voglio: chiedo al Signore di conoscere il suo amore per me, suo nemico. Gli chiedo perdono di non amare i nemici. il grande peccato che mi rende diverso da Lui. d. Considero come Ges ha vissuto quanto dice nei miei confronti e come io lo vivo nei confronti degli altri. 4. Passi utili Sal 103; 1Sam 26; Rm 5,6-11; 1Gv 4,7-21

31. DIVENTATE MISERICORDIOSI


(6,36-38)
36

Diventate misericordiosi, siccome (anche) il Padre vostro misericordioso 37 e non giudicate e non sarete affatto giudicati; e non condannate

e non sarete affatto condannati; assolvete e sarete assolti; 38 date e sar dato a voi: una misura bella pigiata scossa sovrastraripante daranno verso il grembo vostro, perch con la misura con la quale misurate sar rimisurato a voi. l. Messaggio nel contesto Il desiderio delluomo diventare come Dio (Gn 3,5). Origine di ogni male anche il desiderio che Dio colma di ogni bene. Il male non consiste nel voler diventare come lui, ma nel non aver capito come lui. Per linganno del serpente , che sugger una falsa immagine di Dio, luomo ha sbagliato la via per realizzarsi. Ora, dopo la rivelazione del suo volto in Ges, possibile capire la via per diventare come lui. Lv 19,2 esprime il fondamento di tutta la legge: siate santi come io sono santo. Ora qui si mostra come la santit, il proprio specifico di Dio, la sua misericordia. Il v. 36 il culmine della rivelazione di chi Dio per noi. il tema di tutto il Vangelo di Luca, che ne uno sviluppo continuo attraverso i fatti e i detti del Signore (At 1,1). A questo versetto, che parla del Padre, seguono poi delle sentenze che non riguardano pi i nemici, ma i fratelli. Sono quattro regole chiare, pilastri che reggono la vita allinterno della comunit. In essa viviamo rapporti nuovi di amore reciproco, che per sono sempre insidiati dal male. Per questo, anche allinterno della comunit, lamore non perde mai il suo carattere di misericordia. Anche il male, che la venuta del Signore non ha abolito - vero enigma della storia! - ha una sua funzione positiva: il luogo in cui si riversa la misericordia. Cos luomo si realizza come Dio. Solo alla fine della storia il male sar tolto, quando tutto il suo abisso sar ricolmo di misericordia, come lacqua riempie il mare. Il male Dio non lo vuole, n lo tollera, n lo permette. Esso c perch non pu non rispettare la nostra libert. Per, nella sua fantasia di amore, ne fa un bene maggiore. Infatti la miseria sta alla misericordia come la fossa allacqua: pi grande, pi ne contiene. La misericordia assoluzione nel giudizio, giustificazione nella condanna, perdono nel peccato. Il nostro dare misericordia in realt il nostro stesso riceverne: per essa siamo incorporati in Ges, il Figlio, ed entriamo nel circolo senza fine della vita stessa di Dio. Gi qui sulla terra. Queste prescrizioni, pi che un codice di azione, sono un modo nuovo di essere, che lascia trasparire la chris dellamore di Dio riversato nei nostri cuori, per mezzo dello Spirito santo che ci stato dato (Rm 5,5). Il giudizio e la salvezza sono operati oggi da noi nellesercizio di questa misericordia: il giudizio e la salvezza mia sono legati al giudizio e alla salvezza che io accordo allaltro nel perdono negato o concesso. Presso gli uomini, se si perdona, si perdona a uno perch gi pentito: il pentimento precede il perdono. Presso Dio il perdono precede il pentimento: ci si pu pentire, perch si gi perdonati. Quindi anche noi facciamo come lui se perdoniamo non solo chi pentito, ma soprattutto chi non lo affatto, perch lesperienza di un amore pi grande lo conduca al pentimento.

2. Lettura del testo v. 36: Diventate misericordiosi, siccome (anche) il Padre vostro misericordioso . Questo versetto di Luca rif il verso a Lv 19,2, che dice: Siate santi, perch io, il Signore Dio vostro, sono santo. Santit significa separazione, alterit, diversit. Dio santo per definizione. La sua specificit proprio questo suo essere separato, altro e diverso da qualunque altro. Egli lunico! Ora qui ci si rivela che la sua specificit e unicit, la sua alterit e diversit, la misericordia. Essa esprime lessenza di Dio, ci per cui lui santo, totalmente diverso da noi: Poich, quale la sua grandezza, tale la sua misericordia (Sir 2,18). Mt 5,48, nel passo parallelo, parla di perfezione, poich la perfezione di ogni qualit di Dio la troviamo proprio nella misericordia. In Israele un attributo di Dio (Es 34,6; Dt 4,31; Gio 4,2) da imitare. Nel Sal 136 essa ci presentata come la chiave di lettura di tutta la creazione e di tutta la storia passata e presente. Lesperienza fondamentale di Dio, dal momento che siamo nel peccato e nel male, quella di misericordia che perdona e salva. l che tutti conosciamo il Signore (1,77; Mt 1,21; Ger 31,34). importante notare che la misericordia si esercita nel male reale ed lunico amore possibile in una situazione di male quale la nostra. Inoltre, grazie a questo male (!) si rivela una forma pi alta di amore, in grado di colmare labisso pi profondo. La misericordia non un semplice rimedio, un minor male o meno peggio, ma il massimo bene: il male, che sembra sfuggito di mano alla potenza di Dio, raggiunto e cambiato nel suo contrario dalla misericordia. Ci che non compie con la potenza della sua mano libera di agire, Dio lo compie con limpotenza della sua mano inchiodata per amore alla croce! La misericordia non abbassa lideale dellamore, come noi temiamo e desideriamo! Gli d invece una dimensione che, senza il peccato, sarebbe insospettabile: felix culpa! Se infatti lamore si esprime nel dono, la misericordia si esprime nel perdono, che significa super dono, di modo che, dove abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia (Rm 5,20). La profondit della valle laltezza stessa del monte! Il peccato diventa luogo della rivelazione di Dio come Dio, nella sua santit: la misericordia. Con essa Dio manifesta pienamente il suo amore eccessivo e folle per noi (maniks ros, dice Cabasilas). Non che il male sia necessario e sia bene peccare. assurdo (Rm 3,8; 6,1-2.15)! Ma Dio sa servirsene per dare sfogo alla grandezza del suo amore e rivelarlo a noi senza equivoci. Laggettivo che Luca usa qui per misericordioso, oiktrmon, che indica lespressione esterna della misericordia, sia come compassione che come intervento. Applicato a Dio, in tutto il NT usato solo qui e in Gc 5,11. In genere la misericordia indicata con la parola leos, che il sentimento interno di commozione, o splnchna (= viscere), che indica il luogo e la sorgente di tale amore, il cuore. I LXX traducono in genere il biblico hesed con leos (quasi 400 volte), mentre oiktrmon (e derivati - circa 80 volte) traduce lebraico rahamim, che indica il ventre, lutero. Padre misericordioso significa padre materno. La qualit di Dio padre di essere madre. In quanto padre, ama liberamente ed entra in rapporto con noi mediante la parola: ci d il nome e ci fa crescere adulti e responsabili. In quanto madre, ci ama visceralmente, ed entra con noi in un rapporto di necessit biologica, dandoci vita, casa e cibo. Se la madre fa nascere, il padre lascia vivere e genera la libert. Lamore di Dio quindi insieme necessario come quello della madre e libero come quello del padre. Questo padre misericordioso chiamato vostro, per indicare, in obliquo, la fraternit che scaturisce da questa paternit uterina. Ges lo chiama vostro, in contrapposizione a mio, perch la sua e la nostra figliolanza non si pongono sullo stesso piano, come non lo sono la fonte e il ruscello.

I due versetti seguenti, prima ancora che linee di comportamento, sono lineamenti del volto di questo Padre misericordioso. Costituiscono in qualche modo una definizione operativa di Dio, di quel Padre misericordioso che Ges ci ha rivelato e come il quale, proprio in quanto figli, dobbiamo diventare. v. 37: e non giudicate e non sarete affatto giudicati. Al di l di ogni formazione religiosa, la prima immagine che luomo ha di Dio di uno che giudica. Come la luce d contorno allombra, cos il bene infinito mette in rilievo il nostro limite e il nostro peccato, e chi si sente limitato e peccatore, si sente automaticamente giudicato. Limmagine di un Dio che giudica con severit lultimo idolo che Ges riesce a togliere, mediante la sua croce, dove lui, il giusto, porta il male di noi ingiusti. La sua croce lunico giudizio possibile al Figlio che uguale al Padre della misericordia. Molto sbaglia chi giudica laltro. Lerrore sta non tanto nel fatto che il giudizio delluomo fallace, perch luomo guarda lapparenza, il Signore guarda il cuore (1Sam 16,7). Lerrore consiste proprio nel giudicare, perch giudicare usurpare il potere di Dio: ci si mette al suo posto e si pone il proprio io come misura di tutto, al posto di Dio. Giudicare inoltre non conoscere Dio, che misericordia (esemplare il c. 4 di Giona!). Il mio giudicare il fratello che pecca pi grave di qualunque suo peccato, anche dellomicidio: lo uccido come figlio del Padre e non riconosco il Padre che lo accetta come figlio. Quindi se giudico sono giudicato, come uno che si pone al posto di Dio, che non lo conosce e anzi che lo nega nella sua essenza di misericordia. Se non giudico, invece, conosco il suo giudizio di salvezza. E la mia vita ne diventa trasparenza. Inoltre interessante che, come non siamo chiamati ad essere buoni, ma misericordiosi, cos non siamo chiamati ad essere giusti, ma solo a non essere giudici. pi facile, ed pi sublime! La misericordia, facile perfezione del peccatore, ci assimila a Dio, e copre una moltitudine di peccati (1Pt 4,8). Qui non si proibisce tanto il giudizio falso, imperfetto o avventato, che certamente male. Chi conosce infatti il cuore delluomo da poterlo giudicare adeguatamente? Si esclude invece il giudizio giusto. esattamente questo giudizio giusto che ci condanna, come la legge giusta. e non condannate e non sarete affatto condannati. Mentre il giudicare si compie dentro il cuore, il condannare invece esegue allesterno il giudizio consumato allinterno. Se del primo abbiamo tutti un tremendo potere, del secondo abbiamo potere in misura della nostra autorit. La paura e la fuga da un Dio pensato come punitore fu la nostra vera condanna. Dio lha abolita sulla croce di Ges, che grazia per tutti. Egli invece di giudicare giustifica, e invece di condannare condona. Noi viviamo perch siamo stati graziati, e per questo graziamo gli altri (cf. Ef 4,32): io stesso vivo o muoio del perdono che concedo o nego, come laltro vive o muore del perdono che gli concedo o gli nego. Dio per primo me lha concesso, facendomi vivere. Ora la vita e la morte mia e dellaltro legata alla grazia che dono o rifiuto. Siamo realmente corresponsabili di Dio, gestendo nella storia il suo capitale di misericordia. Vedi la parabola del fattore infedele e misericordioso, che, dopo le parabole della misericordia del c. 15, dice: Ora so cosa fare (16,3s). Se io condono, salvo me stesso e salvo laltro; se non condono, condanno me stesso e anche laltro allesclusione da tale grazia (Mt 18,21-35). Sono come un rubinetto che ha il potere di dare o togliere lacqua di vita, la cui sorgente Cristo. Il giudizio finale di salvezza/perdizione operato non da Dio ma da me; non in un tempo indeterminabile e nascosto, ma ora, nel rapporto quotidiano col fratello! Questa la misericordia di Dio: lascia a noi peccatori il giudizio su di noi, ed lo stesso giudizio che pronunciamo sugli altri! assolvete e sarete assolti. Noi riteniamo irrimediabilmente perduto il dono che ci era stato fatto, di essere come Dio (Gn 1,27), perch lavevamo voluto rubare (Gn 3,1ss). Invece ci stato per-donato, cio pi ampiamente donato sulla croce di Ges. In lui abbiamo invece del giudizio la giustificazione, invece della condanna la grazia, invece del peccato lassoluzione. Se ci lasciamo giudicare da lui, siamo giustificati; se ci lasciamo riprendere da lui, siamo graziati; se ci lasciamo incontrare da lui, siamo assolti.

Per questo, se siamo suoi fratelli, che devono diventare misericordiosi come il Padre, il nostro atteggiamento verso gli altri non pu che essere di assoluzione. importante notare che lassoluzione per il cristiano non come quella civile, in cui si dichiara linnocenza o linsufficienza delle prove di colpevolezza: lassoluzione dal male, realmente, coscientemente e deliberatamente compiuto! proprio il peccato che deve essere perdonato! Siamo assolti non in quanto non colpevoli, ma in quanto colpevoli senza attenuanti. Lunica condizione per essere perdonati da Dio quella di perdonare gli altri (Mt 6,14s; 18,21-35). Non perch Dio rimangi il suo perdono; ma perch se noi non perdoniamo, dimostriamo di disprezzare e buttare via il dono, di non conoscere e non vivere dellamore del Padre. Per questo Luca pone questo amore e perdono come origine del nostro amore e perdono nei riguardi del fratello (11,4). v. 38: date e sar dato a voi. Come lamore si realizza nel fare e nel dare (vv. 27-30), cos lassoluzione e il perdono interiori si esprimono nel dono esteriore. Non si dice cosa dare. Si dice solo di dare, indicando con ci un atteggiamento di dono e di espropriazione che fa da contrappunto al cieco egoismo, che punta a rubare e appropriarsi di tutto. Si richiama il corpo di Ges, dato per noi. un amore operoso, che non calcola ci che suo (1Cor 13,5). Nella misura in cui si d al fratello si riceve da Dio, cos come nella misura in cui si riceve da Dio si d al fratello. Il mondo dei nostri rapporti concreti entra nella dinamica trinitaria, che uneconomia di dono. Come non si specifica cosa dare, neanche si dice cosa si riceve. Ma sembra proprio superfluo, oltre che impossibile, specificare cosa si riceve! Si riceve infatti di essere come Dio: si riceve Dio stesso, che amore e dono. una misura bella, pigiata, scossa, ecc.. Il discorso su cosa si riceve prende la mano allautore e c unesaltazione dellabbondanza del dono: Dio non conosce misura! Lunica misura quella che noi gli offriamo: lui ci dona secondo il nostro grembo, ossia secondo le nostre viscere di misericordia, ampliando cos senza fine la capacit di donare e di ricevere misericordia. perch con la misura con la quale misurate sar rimisurato a voi. Lunico metro di misura del dono che riceviamo la nostra capacit di donare. Dio rinuncia a misurare come a giudicare. Siamo misurati e giudicati da noi stessi, secondo lamore nostro verso gli altri. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il piano sul declino del monte che scende al lago, come nei brani precedenti. c. Chiedo ci che voglio: ci che Ges mi comanda: diventare misericordioso come il Padre, non giudicare, non condannare, assolvere e dare. d. Peso ogni parola. Vedo come Ges lha vissuta nei miei confronti. Lo scarto tra lui e me il luogo dellinvocazione di perdono e della richiesta di umilt e di fiducia (attenti alla sfiducia!). 4. Passi utili Sal 136; 117; Giona 4; Ger 31,31-34; Os 11; Mt 18.

32. NON C DISCEPOLO SOPRA IL MAESTRO


(6,39-42)
39

Ora disse loro anche una parabola: forse pu un cieco guidare un cieco? Forse entrambi non cadranno dentro nella fossa? 40 Non c discepolo sopra il maestro; ora chiunque, per quanto ben preparato, sar come il suo maestro. 41 Ora perch guardi la pagliuzza nellocchio dei tuo fratello, mentre la trave, quella nel tuo proprio occhio, non consideri? 42 Come puoi dire al tuo fratello: fratello, lascia: estraggo la pagliuzza dal tuo occhio! senza vedere tu stesso la trave del tuo occhio? Ipocrita! Estrai prima la trave, quella nellocchio tuo, e allora osserverai la pagliuzza, quella nellocchio dei fratello tuo, per estrarla! 1. Messaggio nel contesto Il comandamento di 6,36, sintesi di tutto il discorso sulla misericordia, lunica strada maestra per la salvezza. Contro possibili e facili deviazioni, viene ora confermato con una serie di similitudini. Chi insegna diversamente una guida cieca (v. 39), un falso maestro (v. 40); chi agisce diversamente, criticando il male altrui e non vedendo il proprio, un ipocrita (vv. 41-42). Il comandamento dellamore di misericordia, esposto dettagliatamente nei vv. 27-38, lunica via di salvezza perch ci fa diventare ci che siamo: figli dellAltissimo. Chi abbassa il tiro, perch la ritiene troppo perfetta, un cieco che guida alla perdizione. Chi ritiene di conoscerne una pi perfetta, un falso maestro che insegna cose tanto elevate quanto inutili. Altre pretese vie di salvezza, che possono essere, oltre che religiose, psicologiche, economiche o politiche, in realt non fanno che danneggiare luomo. La misericordia il massimo bene perch quellamore che sa realisticamente conoscere e farsi carico del male. La misericordia impedisce la stoltezza e la presunzione di criticare gli altri. La critica va esercitata solo verso se stessi, per conoscere il proprio male e la misericordia di cui si indigenti. Cos si entra in possesso del tesoro buono (v. 45). Il discepolo vive di questo tesoro, che la chris di Dio che ha

sperimentato, e ne rende partecipi gli altri. Solo il cuore convertito dalla e alla misericordia pu salvare dal male. Luomo nato per amare ed fallito perch non ama: il suo desiderio essenziale non pu fiorire, perch bacato. La misericordia pu liberarlo, perch sa volgere in bene il male. Se lamore di Dio ha creato tutto dal nulla, la sua misericordia salva tutto dal male, peggio del nulla. 2. Lettura del testo v. 39: Forse pu un cieco, ecc.. Cieco colui che non ha la luce degli occhi. Ci che Ges ha appena detto sulla misericordia il centro della parola di Dio e guida delluomo (cf. v. 36; Sal 119,105; 18,29; Pr 6,23). Chi questo cieco che vuol fare da guida agli altri? Ai tempi di Ges era il fariseo, che sperava la salvezza dalla propria conoscenza e osservanza perfetta della legge. Per Luca il cristiano che giudica, condanna, non assolve e non dona. uno che non ha sperimentato la grazia e pretende di guidare gli altri sulle vie della giustizia, in cui si ritiene esperto. Si pu trattare di singoli ciechi che vogliono guidare la comunit, o della comunit stessa, che non illumina pi il mondo cui inviata, perch, invece di salvarlo, lo giudica: luce diventata tenebre (11,35), sale insipido (14,34). Caratteristica del cieco non potersi muovere, pur avendo lapparato locomotorio in ordine. La realt gli si volge contro e gli fa male. Cos chi non ha misericordia ignora il senso della vita e non sa orientarsi: vi si muove dentro alla cieca e vi sbatte contro facendosi male. Come la luce fu il principio della creazione, cos la misericordia il principio della ricreazione, talmente potente da riportare al bene addirittura ci che male. La cecit fondamentale non ritenersi bisognosi della misericordia del Padre. Dice Giovanni: Se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane (Gv 9,41). Cieco il discepolo che non ha sperimentato la misericordia di Dio verso di lui in Ges, descritta nei vv. 27-38. Per questo il suo agire senza misericordia e conduce alla perdizione s e quanti entrano nel raggio di azione della sua cattiveria. I ciechi sono quindi i giusti secondo la legge. Sono come Paolo, irreprensibile, che deve convertirsi alla grazia di Ges (Fil 3,3-14). Caduto a terra e divenuto cieco, avr un segno visibile della sua cecit interiore e del suo bisogno di guida (At 9,8). In realt nessuno di noi pu fare da guida a un altro: siamo tutti ciechi, sgraziati e cattivi. Alla salvezza ci guida solo il maestro della misericordia: egli la verit, che scesa tra noi e si fatta nostra via per condurci alla vita. Ma a sua volta, come lo specchio riverbera il sole, cos ciascuno di noi pu essere luce per laltro nella misura in cui colpito dal raggio di misericordia. Il discepolo che accoglie la benevolenza e la chris di Dio in Ges, capace di testimoniarla fino agli estremi confini della terra (At 1,8). v. 40: Non c discepolo sopra il maestro, ecc.. Ges ci ha insegnato cosa fare. Invece di seguire la sua parola e il suo esempio, per dimenticanza, stupidit e presunzione, il discepolo tentato di seguire altre vie che pensa pi perfette. Confuso dalle tenebre, crede di essere illuminato. Ma sa che come la luna non pu avere pi luce del sole, cos lui non pu saperne pi del suo maestro. Per la comunit di Luca questa presunta luce maggiore forse consisteva in pretese rivelazioni personali o in conoscenze esoteriche che potevano offrirsi come alternative o completive e pi perfette vie di salvezza. Anche oggi come allora, luomo specialista nellinventare vie di salvezza spirituali, psicologiche, economiche, politiche e sociali, magari facendo un fritto misto di tutto: il New Age c sempre, in ogni epoca! Ma inutilmente, perch la salvezza altro non che la misericordia del Padre nella carne di Ges. un fatto, non unideologia o unilluminazione! Tutto il resto coadiuva alla salvezza o meno, nella misura in cui porta o meno il sigillo di questa misericordia. La tentazione pi forte delluomo, che necessariamente cerca salvezza, quella di non fidarsi di Dio e di inventare vie nuove proprio perch mosso da questantica sfiducia. La tentazione di salvare se stesso e di non accettare la salvezza come misericordia del Padre nella miseria reale, il triplice ritornello ripetuto a Ges in croce (23,35.37.39).

Discepolo illuminato colui che sa ci che lunico maestro ha fatto e detto, e cerca di fare altrettanto. colui al quale egli ha lavato i piedi, facendosi suo schiavo di misericordia. Conscio di questo, fa lo stesso ai fratelli (Gv 13,17), donando il dono ricevuto e riflettendo la luce che lo ha illuminato. Questo versetto un monito a conoscere bene il maestro, per essere un discepolo ben preparato, simile a lui. Ascoltando la sua parola, diventa come lui, figlio dellAltissimo. Bisogna guardarsi bene dal fare aggiunte o interpretazioni al vangelo, al di l o al di sopra di quanto Ges ha rivelato. Pur con tutta la pretesa di intelligenza, semplice arroganza da discepolo stolto e ingannato. Il detto di Ges: Non c discepolo sopra il maestro assume il suo significato pieno se si tiene presente che ai tempi di Ges la scienza non era ricerca di cose nuove - in questo caso il discepolo scrive sempre una pagina in pi del suo maestro! - ma trasmissione orale di cose antiche, conoscenza della tradizione che contiene la sapienza accumulata dai predecessori. In questo caso, ovviamente, nessuno conosce del passato pi di quanto gli stato trasmesso. Questo si applica in modo particolare alla conoscenza di Dio, perch Ges proprio colui che ci ha rivelato il Padre che nessuno mai ha visto (Gv 1,18). Quanti disperanti e disperati tentativi fa luomo nel cercare altre vie di salvezza! Sembra di vedere un naufrago in mare, che attende inutilmente scialuppe di salvataggio che non arrivano mai, mentre rifiuta gli elicotteri che gli sono stati mandati! vv.41.42a: Pagliuzza / trave. Anche senza pretendere di conoscere nulla di meno o nulla di pi di quanto Ges ha detto, c ancora un modo sottile di essere falso maestro: proprio ripetendo esattamente quanto lui ha detto, ma applicando il discorso agli altri invece che a se stessi! Invece che per giudicare se stessi (v. 42a), si usa la verit di misericordia per giudicare gli altri che ne mancano (v. 41). un errore istintivo e comune a tutti. Il risultato immediato quello di premere linterruttore e spegnere la luce della misericordia. La salvezza subito si tramuta in condanna altrui da parte mia e quindi in condanna di me, che, proprio perch condanno, risulto senza misericordia! In questo modo la Parola che dovrebbe salvare, opera solo danni, perch, invece di lasciarmi convertire, lho usata come rappresaglia contro laltro. La Bibbia un libro che mi serve per battermi il petto, non per picchiarla in testa allaltro. Le domande di Ges, retoriche e perentorie, rivelano il ridicolo della pretesa. Sarebbe come se, in un inverno polare, una persona totalmente nuda, ma col cordoncino del cappello in testa, dicesse a una persona tutta impellicciata, ma col cappello senza cordoncino: Non vedi che ti manca il cordoncino del cappello?. Se io, giustamente, avendo ragione, giudico il fratello, il male di cui lo condanno, per quanto grave, una pagliuzza rispetto al male che io faccio criticandolo e giudicandolo. Se critico e condanno, il mio cuore senza misericordia: sono un albero cattivo e spinoso dai frutti velenosi e marci. Il mio occhio deve sempre essere rivolto ai 10.000 talenti condonati a me, non ai 100 denari che laltro mi deve (Mt 18,23ss). Se guardo il mio debito, non sono pi cieco: vedo la misericordia usata verso di me. Questa luce in grado di illuminare la piccola tenebra dellaltro. Ma se guardo il male dellaltro, giudico e condanno con lui anche me, perch con la misura con la quale misurate sar rimisurato a voi (v. 38b; cf. Mt 7,2). Cos cadiamo, per colpa mia, tutti e due nella fossa. Io in quella del condannare e laltro in quella dellessere condannato. Quando giudico, sono responsabile, oltre che della mia, anche della perdita del fratello che non trova misericordia! Avviene come ai due debitori di Mt 18,23ss: ambedue finiscono in prigione per la mancanza di misericordia del fratello creditore. Il vero peccato non tanto il male che si compie, quanto la mancanza di misericordia che ne impedisce il riscatto. Il mio giudizio senza misericordia di una colpa grave sempre pi grave della colpa stessa. Chi vede la pagliuzza altrui, ha una trave. E chi ha una trave nellocchio morto! v. 42b: Ipocrita, ecc.. Alla critica, in cui si usa la verit per trionfare sullaltro, si deve sostituire lautocritica. Cos ci si scopre, al pari degli altri, bisognosi di misericordia. Questa ci toglie la cecit e ci mette in grado di togliere la pagliuzza dallocchio del fratello allo stesso modo in cui stata tolta la

nostra trave: infatti la misericordia guarisce il male altrui e salva dal proprio! Se agisco diversamente, non ho conosciuto Dio. Ho nellocchio una trave, che mi impedisce di vedere; sono cieco, chiuso nelle tenebre di una presunta giustizia senza grazia. Sono ipocrita! Con questa parola Ges stigmatizza il grande peccato: quello di Adamo, che volle mettersi al posto di Dio, lo stesso del fariseo, che gli fa cercare la propria gloria e lautosalvezza. Ipocrisia non significa finzione, bens protagonismo. il tentativo di cercare il primo posto in tutto e farsi centro di tutto: mettere lio al posto di Dio. Lipocrita nel teatro greco era il protagonista che rispondeva al coro. Luca ci d unillustrazione pura di questo peccato nel fariseo che si ritiene giusto - e lo ! - e ringrazia Dio... disprezzando il peccatore (18,9ss). un richiamo al discepolo perch, identificandosi coi fariseo, si riconosca peccatore col pubblicano e, come lui, esca giustificato dalla misericordia di Dio. Questo versetto proibisce la critica e la esclude come via alla correzione fraterna. piuttosto lo zelo di donna Prassede. Corregger me stesso, invece dellaltro! Lunica correzione possibile dellaltro, in modo che non si indurisca nel male, il mio occhio buono di perdono e di misericordia. Ma tutto questo viene dalla conoscenza del mio male e dallaccettazione che Dio mi offre. Se laltro si sente assolto o graziato, pu camminare. Diversamente si chiude nel male e io ne sono responsabile. Anche Matteo, prima di ogni correzione fraterna (Mt 18,15ss), pone laccettazione incondizionata (parabola della pecora smarrita: Mt 18,12ss). Agire diversamente essere guide cieche di altri ciechi che filtrano il moscerino e ingoiano il cammello (Mt 23,24). Giudicare gli altri e giustificare se stessi il grave peccato di cecit che impedisce di conoscere il proprio male e di conoscere Dio. Questa duplice conoscenza data nella misericordia. Al discepolo chiesto di estromettere la propria trave che lo rende cieco: non deve credersi giusto e non bisognoso di misericordia! Cos guarita in radice la pianta cattiva. Allora in grado di togliere il bruscolo dallocchio del fratello. Non con unoperazione oculistica complicata, bens semplicemente con il suo occhio buono: vede buono e fa buono, comunicando unesperienza di bont. Laltro da me graziato come io sono stato graziato! Il mio occhio verso laltro lo stesso di Dio verso di me! Importante notare il paradosso reale della misericordia: la grandezza del peccato che scopro in me sar il titolo, quasi il merito alla misericordia di Dio. Pi uno peccatore, pi degno di amore misericordioso. E, come ho sperimentato Dio nei miei confronti, sono io nei confronti dellaltro. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il piano sul declino del monte che scende al lago, come nei brani precedenti. c. Chiedo ci che voglio: conoscere la mia cecit nel non capire il valore della misericordia e la mia ipocrisia nel voler farne a meno. Capire la perversit dei miei giudizi giusti sugli altri. d. Punti su cui riflettere: - cieco che guida un cieco - ipocrita - pagliuzza/trave. 4. Passi utili Sal 32; 2Sam 12,1-13; Mt 18; Lc 18,9-14.

33. OGNI ALBERO DAL PROPRIO FRUTTO CONOSCIUTO


(6,43-45)
43

Infatti non c albero bello che faccia frutto marcio, n albero marcio che faccia frutto bello. 44 Poich ogni albero dal proprio frutto conosciuto: non dalle spine raccolgono fichi, n dai rovi vendemmiano uva! 45 Luomo buono dal buon tesoro dei cuore produce il buono; e il cattivo dal cattivo produce il cattivo. Dallabbondanza del cuore parla la sua bocca! l. Messaggio nel contesto Nei vv. 39-42 sono state dette le caratteristiche dei falsi maestri: ciechi alla misericordia (v. 39), pretenziosi (v. 40), giudici severi verso gli altri e benevoli verso di s (v. 41), che non si credono bisognosi di perdono (v. 42). Ora si dice la pianta da cui germinano questi mali: il cuore delluomo, la cui bont o cattiveria si conosce dai suoi frutti. La bont o meno del frutto il criterio per discernere della bont o meno dellalbero. Questo viene detto perch si impari a giudicare e condannare non gli altri dalle loro opere, bens se stessi, ed essere cos disposti ad accettare lassoluzione e il condono di Dio, in modo da fare ugualmente con gli altri. La nostra cattiveria verso gli altri la mancanza di misericordia: il germoglio marcio del nostro albero cattivo. Il male fondamentale locchio cieco che non vede il proprio male e non sente il bisogno della misericordia. Locchio cieco esprime un cuore tenebroso, senza bont. E questo cuore, come vede, cos anche agisce male: ha una mano piena di frutti dal sapore di morte. C una stretta connessione tra occhio/cuore/mano: il principio dellazione buona o cattiva il cuore pieno o meno di misericordia; e il principio della misericordia nel nostro cuore locchio, sua finestra, che ne riconosce il bisogno e ne accoglie la luce. Principio del bene quindi il nostro occhio/cuore aperto sul nostro male e intenerito dalla misericordia ricevuta. Questa misericordia salva dal male e crea il bene. Ho conosciuto un uomo che era sordo a ogni parola cattiva, mentre aveva ludito sensibile a ogni cosa buona: in lui il male si spegneva e il bene lo illuminava. Aveva una sensibilit selettiva.

Il cuore cattivo, invece, sente solo il male; lo sente male e germina il peggio, vittima parassita del male e suo moltiplicatore. Il problema serio del discepolo riconoscersi come pianta cattiva dai frutti marci. Questa sincerit gli permette di non essere cieco sulla propria cecit (cf. Gv 9,41). Chi vede con sincerit se stesso, vede il proprio male e il bisogno che ha di misericordia. lunica condizione per la guarigione. Ges, misericordia del Padre, opera il giudizio di far vedere i ciechi e rendere ciechi i vedenti (Gv 9,39). Davanti a lui luomo pu scoprire il proprio peccato senza paura e senza vergogna, perch si vede perdonato. Il cieco, finalmente guarito, vede la propria miseria colmata dalla sua misericordia. Conosce se stesso come amato infinitamente da Dio e Dio come colui che infinitamente ama; conosce se stesso come peccatore e Dio come suo salvatore. Sulle gemme della sua infiorescenza di male vede innestato lalbero buono che fa fare frutti buoni. Riconoscere il mio cuore cattivo, che ha tesorizzato un grande capitale di male di vivere, linnesto stesso che mi fa albero buono; mi mette in comunione con lui che perdona e coi fratelli che quindi perdono. Questo brano ci richiama a discernere e a vivere con verit la nostra menzogna davanti a Dio, esponendo senza paura al suo occhio la nostra timorosa nudit. Dai nostri frutti di morte, possiamo riconoscerci facilmente come legno cattivo. Cos siamo disposti ad accogliere il suo perdono e accettiamo linnesto dellunico legno buono: lalbero della misericordia del Padre, la croce del suo Figlio donato per noi. La conoscenza del mio peccato in questa luce mi rende finalmente solidale col Padre e con i fratelli. 2. Lettura del testo v. 43: Infatti non c albero bello, ecc.. Ci che faccio scaturisce da ci che sono, il frutto della qualit dellalbero. Come il fico non si sforza di fare fichi non pu fare altro! - cos inutile che mi sforzi di fare frutti buoni, se sono cattivo. Il problema di che legno sono. Esiste infatti pianta e pianta: albero che fa morire e albero che fa vivere. La menzogna del serpente fece mangiare dellalbero della potenza di Dio (Gn 3,6ss), che divenne per noi legno di morte. La Parola di verit, innalzata sulla croce, divenne per noi albero di vita, che guarisce da ogni male e d sempre frutti buoni (Ap 22,1s). Allalbero di morte si contrappone quello di vita. Ma, paradossalmente, unico il legno, perch la croce insieme il nostro peccato e la sua misericordia! Prima dava fiori di male e frutti marci di morte: paura, vergogna che spinge a nascondersi, nudit, deresponsabilizzazione, dominio e spine e cardi - alienazione da Dio, da s, dagli altri e dalle cose (cf. Mc 7,21ss; Rm 1,29ss; Gal 5,19ss). Ora fiorisce in grazia e misericordia e fruttifica nei doni dello Spirito del Signore asceso al cielo. Chi osserva la pagliuzza (krphos), non ha tale frutto (karps). Perch questo frutto, che ci rende simili a Dio (cf. vv. 35.36) la misericordia stessa. Essa donata a chi, vedendo la trave nel proprio occhio e sapendo di essere cieco, invoca su di s la misericordia di Dio. v. 44: Poich ogni albero dal proprio frutto conosciuto, ecc.. Dalle mie azioni conosco di essere del legno della pianta antica, che d frutti di morte. Chiaramente non faccio il frutto del fico (cf. 13,69), lalbero che fa ombra alla casa; infatti non ho una casa dove abitare, fino a quando sono fuori dalla misericordia di Dio. Per me la Parola caduta tra le spine - preoccupazioni, ricchezza e piaceri (8,14) - che mi impediscono di vivere del suo dono. Non abito nella sua promessa e vivo piuttosto nella mia terra di alienazione, che produce spine e triboli (Gn 3,18!). Sono ancora nel mondo della disobbedienza, nei suoi criteri e affanni. Dalle mie spine non crescer il fico. Ma neanche luva. Luva e il vino rappresentano la pienezza del dono della terra promessa, latto consumato dellabitare in essa con pace, laboriosit, abbondanza, amore e gioia. Luva non pu infatti venire dal rovo. Questa parola in Luca sempre in riferimento a Mos (20,37; At 7,30.35). Il roveto

ardente (Es 3,2) fu il luogo della rivelazione di JHWH che culmina nella legge. La salvezza definitiva non si pu cogliere neanche dalla legge. Questa rivela le opere della carne e, invece di dare salvezza, dichiara la perdizione. Luva, la vita nella sua pienezza, si raccoglie solo e in abbondanza dal sangue di Cristo: esso il dono totale della misericordia di Dio, la nuova alleanza (22,20), dove tutti possono riconoscere chi il Signore (Ger 31,31-34). Lui infatti la vite vera (Gv 15,1ss): solo chi unito a lui pu portare frutto di vita e di gioia, perch senza di me non potete fare nulla (Gv 15,5). I fichi e luva - i frutti di chi abita nella terra di Dio - sono i doni dello Spirito: non scaturiscono dalla nostra giustizia, ma dalla sua grazia per noi sgraziati e maturano sullalbero della sua misericordia, la croce di Ges. Questo verso ci porta, per mezzo dellesame dei nostri frutti, a riconoscere la necessit dellinnesto in noi del germoglio di Iesse (Is 11,1-10; 4,2). Vivere il comando del Signore dei vv. 27-38, cio dare frutti buoni, sar il risultato naturale di questo innesto. v. 45: Luomo buono dal buon tesoro del cuore, ecc. . Il principio della bont o meno non sta nelle cose, ma nel cuore. Se esso stato bonificato, far frutti di misericordia, e sapr volgere in bene il male. infatti pieno della chris di Dio in Cristo e vive di questo tesoro, che il buon tesoro del cuore. Diversamente rimane un capitale di nequizia, accresciuto dalle azioni subite e moltiplicato da quelle fatte. La vita diventa sempre pi una spartizione di dividendi di cattiverie, che cresce con progressione geometrica; ognuno aumenta in essa le sue azioni e i suoi interessi. Il problema, anche qui, non quello di fare frutti buoni invece che cattivi: il mio cuore non pu che produrre rovi e spine. Il problema quello di ricevere, in cambio di quello di pietra, un cuore di carne (Ez 36,26) in cui scritta la sua legge di misericordia (Ger 31,33s). Poich dallabbondanza del cuore parla la sua bocca. Il primo frutto del cuore non sono le opere, ma le parole. La bocca precede la mano e la parola lopera, rendendola disumana, umana o divina. La parola di misericordia deve entrarmi dallorecchio nel cuore e sanarlo. Allora avr occhio buono e parola buona, e far frutti di misericordia. La lingua come il timone delluomo e ne guida tutti i rapporti; pu far vivere o morire e ne uccide pi della spada; con essa luomo comunica con laltro e lo accoglie o erige un muro e si nega (Gc 3,1-4,12). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la stessa scena dei brani precedenti. c. Chiedo ci che voglio: conoscere il male che in me e riconoscere in esso la misericordia di Dio. d. Punti su cui riflettere: - albero e frutto - quali sono i miei frutti marci - conoscere bene i miei sentimenti e le sue parole. 4. Passi utili Sal 80; Is 5,1-7; Ez 36,24-32; Mc 7,14-22; Gal 5,19-23.

34. CHIUNQUE ASCOLTA E FA


(6,46-49)
46

Ora perch mi chiamate: Signore! Signore! e non fate quanto dico? 47 Chiunque viene verso me e ascolta le mie parole e le fa, vi mostrer a chi simile: 48 simile a un uomo che, costruendo una casa, scav e approfond e pose fondamenta sulla pietra: ora, giunta una piena, irruppe il fiume contro quella casa, e non ebbe forza di scuoterla, perch fu ben costruita. 49 Chiunque invece ha ascoltato e non ha fatto, simile a un uomo che costru una casa sopra la terra senza fondamenta, contro cui irruppe il fiume e subito croll, e fu la rovina di quella casa grande. l. Messaggio nel contesto In questa parabola si mostra come la salvezza dipenda dallobbedienza alla parola di misericordia che Ges ha dato nei vv. 27-38. la rivelazione definitiva e completa di Dio: lascolto fattivo della sua parola salvezza e vita, la disobbedienza ad essa rovina (cf. Dt 30,15-20). Quanto Ges ha detto non un consiglio. Chi lo ascolta e fa quanto ha ascoltato, si costruisce una casa dove pu abitare stabilmente, senza pericoli; chi non gli obbedisce, si costruisce una casa che gli crolla addosso e lo seppellisce nella sua rovina. Nellobbedienza alla parola di misericordia si gioca il senso definitivo della vita!

La salvezza non solo il riconoscere Ges come il Signore. anche fare ci che lui, il Signore, ha fatto e comandato: essere come lui, del quale siamo immagine e somiglianza. Si sottolinea laspetto pratico della rivelazione: se la parola ci fa conoscere Dio, lobbedienza ci trasforma in lui (cf. v. 36). Luomo diventa la parola cui obbedisce. Il volto di Dio in Ges indicativo del nostro vero volto; quindi un imperativo per raggiungere la salvezza, che il nostro volto vero di figli. Il discorso ai piedi del monte non solo propone qualcosa di giusto, ma difficile o impossibile per noi; non solo denuncia il nostro peccato e la necessit di essere salvati; non solo annuncia la mentalit nuova da avere; indica anche e soprattutto lesigenza che scaturisce dal dono della vita nuova, radicata in Ges: aderire a lui essere uomini nuovi, che portano il sapore di lui in tutte le dimensioni della loro vita. Luca richiama al lettore Teofilo ci che gi ha appreso nel battesimo: gliene mostra la solidit, perch in esso fondi, in modo sempre pi cosciente, la costruzione della sua casa. Cos non gli croller addosso! Il materiale della catechesi battesimale sulla misericordia, svolto nei vv. 27-38, viene dalla tradizione della chiesa primitiva. Se ne trovano tracce nella seconda parte di tutte le lettere di Paolo. la rivelazione piena della volont di Dio che Ges ha annunciato e vissuto. 2. Lettura del testo v. 46: Ora perch mi chiamate: Signore! Signore! e non fate quanto dico?. La prima parola che nasce dallabbondanza del cuore della comunit cristiana : Signore, Signore!. lacclamazione di fede dei battezzati, che nella forza dello Spirito hanno aderito a Ges, riconoscendolo come loro Signore (1Cor 12,3; Rm 10,9). nel suo nome, infatti, che sono stati battezzati. Ma questo Signore, appunto perch Signore, esige lascolto e lobbedienza concreta. In questa esclamazione stupita e gioiosa di fede, il credente riconosce lautorit di Ges e la sua chris come fondamento della propria esistenza. Nasce una vita nuova, coerente con ci che si professa, non per pretesa, ma per dono. Il credente che lha sperimentato e ne vive, operer secondo esso. Se prima del battesimo eravamo sgraziati, chiusi nella disobbedienza, ora siamo graziati e abilitati allobbedienza: in lui siamo uomini nuovi, capaci di vita nuova (Rm 6,1-23). Una fede che si arresta alla conoscenza e non diventa esperienza trasformante, sarebbe una fede diabolica (Gc 2,19): un delirio di onnipotenza, in cui si pretende di essere come Dio, per il quale ci che detto fatto. Noi invece perch creature, siamo limitate nello spazio e nel tempo. Possiamo e dobbiamo lentamente crescere, camminando verso una verit, che prima detta e poi viene fatta, nella ripetitivit di gesti che ne scandiscono il faticoso costruirsi. Da qui linsistenza neotestamentaria su una vita nuova che risponda al nuovo modo di essere, in una lenta crescita dal capire al fare, dallorecchio/vista al cuore e dal cuore alle mani. Non moralismo, bens la necessit naturale derivante dallo scarto tra verit e realt nelluomo, suo limite essenziale, che gli impone di agire, oltre che capire; perch dire e fare in lui non si identificano. Vedi in questa direzione particolarmente Gc 2,14; 1Gv 2,3ss; 3,18.23ss. Ortodossia/ortoprassi, fede/opere costituiscono una falsa alternativa, perch il fare della qualit dellessere (operare sequitur esse) e i frutti nascono necessariamente dalla Parola, se accolta con fede. Lagire, oltre che verifica della fede, ne anche inveramento: la fa esistere e passare dallorecchio/occhio alle mani. Lagire con misericordia indica che davvero la Parola stata accolta in un cuore bello e buono e produce frutto (8,15.21). v. 47: Chiunque viene verso me e ascolta le mie parole e le fa, ecc. . Qui, come nel lepisodio di Marta e Maria (10,38ss), non si contrappone il fare allascoltare, lazione alla contemplazione, bens un ascoltare le proprie preoccupazioni che porta ad agire con criteri e finalit proprie, a un ascoltare il Signore che porta ad agire con lui e per lui. Ges parla di: chi viene verso me, cio del discepolo venuto per ascoltare ed essere guarito (v. 18). Tale ascolto la sorgente della sua azione ormai

guarita dal male, se non accade quanto dice Gc 1,22-25! Realmente lascolto di Ges ascolto del Signore: la sua parola esige di essere obbedita. Lui il fine della nostra azione e quanto ha detto e fatto ne il criterio (10,37). Nellobbedienza alla Parola, noi la facciamo e diventiamo come lui, perch lui diventa la nostra vita (Dt 30,20). La condizione del discepolo perfetto descritta nelle tre espressioni di Ges seguenti. Venire verso me, ascoltare le mie parole, farle. Venire verso Ges significa fare di lui il polo del proprio agire, il centro della propria vita: quellessere conquistati da lui (Fil 3,12) che mette in moto il cammino del discepolo. lazione prima del Padre (At 16,14), che ci mette con il Figlio per salvarci: nessuno pu venire a me se non lo attira il Padre (Gv 6,44). linizio della sequela, in cui il Padre fa ascoltare la parola del Figlio. Infatti lo si segue per ascoltare le sue parole. Quel Dio che non ha volto (lunico volto a sua immagine e somiglianza sarebbe luomo che lo ascolta), ha per voce. Questa voce diventata anche volto in Ges, il Figlio obbediente. Nellascolto di lui, noi stessi ne riflettiamo il volto e torniamo a essere suoi figli. Il figlio colui che fa la parola del Padre. La stessa parola che fece il mondo, se ascoltata e obbedita, ha anche la capacit di fare un mondo nuovo, il mondo dei figli! Se nel creare il mondo non abbiamo avuto alcuna responsabilit - non ci potevamo essere! - ora siamo associati a una responsabilit pi alta: ricreare il mondo come suo Figlio, nellobbedienza a lui. Siamo concreatori della storia, la casa delluomo! Come la disobbedienza fu principio di decreazione, cos lobbedienza alla sua parola di misericordia principio della creazione nuova. Come si vede, si pongono in successione ordinata i piedi (venire verso me). gli orecchi (ascoltare) e le mani (fare). Dellocchio e del cuore, che sono il centro esterno/interno di ogni passione/azione, ha gi parlato nei vv. 39-45. v. 48: una casa sulla pietra. Il paragone tra coloro che ascoltano e fanno e tra coloro che ascoltano e non fanno. Loggetto di tutto il discorso sempre la parola di misericordia. Ascoltarla e farla costruire una casa. La casa il luogo dove luomo abita e vive. Fuori non pu abitare e vivere, se non appunto come uno che fuori posto, insicuro e scoperto. Lunico luogo vivibile per luomo, dove si sente di casa, dove accolto. La casa di uno quindi la misericordia dellaltro. Fare la parola di misericordia costruire casa. Senza misericordia nessuno si sente accolto e di casa presso nessuno: la vita impossibile, perch ci manca ci di cui tutti ci sentiamo bisognosi, appunto perch limitati. Per questo si dice che lagp, o amore di misericordia, edifica (1Cor 8,2), cio costruisce la casa delluomo. Si dice pure che bisogna edificarsi a vicenda nella carit, costruire luno allaltro lunico luogo respirabile. lospitalit e laccoglienza che solo laltro pu darmi, in un circolo di misericordia reciproca, dove ognuno si sente accolto nel proprio limite e nella propria solitudine invalicabile. Diversamente nessuno pu vivere. Per questo si parla anche di chiesa come edificio o casa (simbolo materno) e di edificazione dellunico corpo di misericordia di Cristo, in cui tutti fraternamente viviamo (1Ts 5,11; 1Pt 2,5-7; 1Cor 3,10ss; Ef 4,12.16). Edificare laltro vuol dire dargli quella casa che lamore, dove uno si sente a suo agio. La vera casa delluomo, dove luomo dimora con Dio e Dio con lui, proprio questamore reale e fattivo: Se uno mi ama, osserver la mia parola e il Padre mio lo amer e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23). Dio si fatto in Ges una casa tra gli uomini, dove stato accolto totalmente, perch in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinit (Col 2,9). Lha aperta a tutti, donando in lui casa a ogni uomo e allargando la promessa fatta a Davide (2Sam 7,11). L tutti abbiamo accoglienza. Altrove siamo stranieri. Anche lapostolo Paolo aprir la sua casa a tutti: il maestro dellagp (At 28,30s). Il fare questa parola di misericordia costruire una casa stabile, perch fondata sulla roccia che Cristo (1Cor 10,4). Per questo bisogna scavare e approfondire la parola di misericordia, per penetrare

sempre pi a fondo nel mistero di Ges. Bando alla superficialit (cf. 8,13), che costruisce case frettolose ma rovinose per chi le abita e per chi ospitato. Bisogna scavare, fino a cementare il fondo della nostra vita alla pietra, far aderire il nostro cuore a Cristo. Lui il fondamento sicuro: Infatti nessuno pu porre un fondamento diverso da quello che gi vi si trova, che Ges Cristo (1Cor 3,11). Cos la nostra casa non crolla al sopraggiungere della piena delle acque: siamo in grado di resistere tanto alle prove e alle tribolazioni quotidiane (8,13), quanto, soprattutto, alla grande piena della morte, allo scatenarsi degli inferi, al giudizio finale. Ascoltare e fare la parola di misericordia - riceverla e donarla - essere uniti indissolubilmente a Ges, morto e risorto (cf. Mt 25,31ss). Luca qui sottolinea il fare pi che lascoltare, cio il dare misericordia pi che il riceverla. D infatti per scontato che gi nel battesimo labbiamo ricevuta. nel farla che vedo se vivo del dono ricevuto, o se lho buttato. Chiaramente lascolto sempre la radice. v. 49: una casa sopra la terra. Ascoltare senza fare significa disobbedire. Vivere nella disobbedienza come costruirsi una casa sulla terra, senza fondamento. Apparentemente abitabile, in realt una trappola mortale, sia per chi lha costruita sia per i suoi ospiti. La casa di chi vive senza misericordia non fondata sulla pietra che Cristo, parola di Dio e forza dello Spirito; appoggiata sulla terra, sul pensiero delluomo, sulla fragilit del proprio io. Se la roccia solida, forte e compatta come lamore, la terra invece friabile, molteplice e divisa come legoismo. Una vita fondata sullegoismo una costruzione che non regge n alle difficolt presenti, n tanto meno alla crisi futura. come lalbero cattivo, che necessariamente fa frutti di morte e di grande rovina. Dato che mi sento egoista e sono cosciente di aver costruito sulla sabbia, mi chiedo giustamente: Che fare?. Nullaltro, se non convertirmi e farmi battezzare, ecc. (cf. At 2,38). Ma io gi sono stato battezzato e dai miei frutti mi sento ancora albero cattivo!... Per questo Luca richiama a Teofilo lesperienza battesimale della misericordia di Dio e lo istruisce in ci che gi conosce, in modo che viva pienamente ladesione a Cristo, sua roccia di salvezza. Diversamente incorre nella grande rovina di colui sul quale crolla la casa faticosamente costruita: tutto ci che costruisce gli ricade addosso. Le sue azioni, invece di una casa vivibile, gli costruiscono una tomba sotto cui seppellirsi vivo. Il discorso di Ges si apriva con la parola: Beati (v. 20) e termina ora con la parola: Rovina. Queste due parole fanno quasi uninclusione di tutto il discorso di Ges, che richiama linizio e la fine del salmo 1, riassuntivo di tutto linsegnamento biblico sulla sapienza. Ora la vera sapienza apparsa sulla terra e ha aperto la bocca: ascoltare e fare o meno la sua parola questione di sapienza e salvezza (beati) o di empiet e perdizione (rovina). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando, come nei brani precedenti, il piano sul declino del monte che scende al lago. c. Chiedo ci che voglio: andare a Ges, ascoltare la sua parola e farla. d. Punti su cui riflettere: - chiamare Signore! Signore! e non fare - andare verso Ges - ascoltare e fare - casa fondata sulla pietra - stabilit - ascoltare e non fare - casa sulla terra

- piena del fiume - crollo e grande rovina. 4. Passi utili Sal l; Dt 30,15-20; 1Cor 3,9-17; Gc 1,22-25.

35. MA DI UNA PAROLA E SIA GUARITO IL FIGLIO MIO


(7,1-10)
7 1 Dopo che ebbe riempito tutti i suoi detti dentro gli orecchi dei popolo, entr in Cafarnao. 2 Ora, un servo di un centurione che stava male, stava per finire e gli era caro. 3 Ora, avendo udito di Ges, mand da lui alcuni anziani dei giudei, domandando a lui che venisse a salvare il suo servo. 4 Ora essi, avvicinatisi a Ges, lo pregavano con sollecitudine dicendo: degno che gli faccia questo: 5 ama infatti la nostra nazione e lui stesso ci costru la sinagoga. 6 Ora Ges andava con loro. E gi quando egli non era lontano dalla casa, il centurione mand amici dicendo a lui: Signore, non disturbarti! Non sono infatti sufficiente che entri sotto il mio tetto; 7 per questo neanche me stesso ritenni degno di venire presso di te. Ma di una parola e sia guarito il mio servo/figlio.

Poich anchio sono uomo posto sotto autorit, con soldati sotto di me, e dico a questo: va, e va e a un altro: vieni, e viene e al servo mio: fa questo, e fa. 9 Ora, ascoltate queste cose, Ges lo ammir, e, voltosi alla folla che lo seguiva, disse: Dico a voi: neanche in Israele trovai tale fede! 10 E, ritornati in casa, gli inviati trovarono il servo che era sano. l. Messaggio nel contesto Nei cc. 5-6 Luca, dando per scontato cos la fede, si rivolge a Israele per mostrare lo specifico della fede in Ges: egli il Figlio, rivelatore definitivo di Dio come Padre di misericordia. Lobbedienza alla sua parola porta la salvezza. Il cammino di Israele un percorso obbligato per tutti: anche il pagano deve inserirsi nella promessa a lui fatta (cf. Rm 11,16-24), se vuole produrre quei frutti di misericordia donati-richiesti in 6,27-38. Questi versetti infatti rappresentano il cardine di tutto il Vangelo di Luca, scriba mansuetudinis Christi, che porta la salvezza di Israele a tutti i popoli. Ora comincia litinerario per chi proviene dal paganesimo; e si inizia spiegando cos per Israele la fede, in modo da renderla accessibile anche a lui. La fede consiste nel credere alla potenza della Parola (vv. 110), che vince la morte (vv. 1 l17) e si esprime come risposta di amore verso colui che perdona (vv. 3650). Al centro sta la figura del Battista (vv. 18-35) mentre si confronta con Ges: egli il punto di convergenza del cammino di fede sia di Israele che del pagano, perch chiama tutti alla conversione e allattesa di Ges (3,6). Il c. 7 inizia con il racconto di un centurione pagano, figura del pagano Abramo che, per la sua fede, divent padre di tutti i credenti e depositario della promessa. Dietro lepisodio c la storia della missione fruttuosa tra i pagani, ai quali passata la salvezza dei giudei (cf. At 18,6; 28,28). Non si tratta di un semplice fatto storico, che gli Atti ci descrivono con grande attenzione (cf. soprattutto i cc. 10-15). Si tratta innanzitutto di una necessit teologica: se Dio misericordioso, necessariamente ama i nemici e fa del bene senza interesse e perdona i disgraziati. Ges che guarisce il figlio-servo del centurione pagano, risuscita il figlio della povera vedova e perdona la peccatrice il primo che fa quanto ha detto in 6,27-38. Egli, come Figlio dellAltissimo, non pu non rivolgersi ai pagani (nemici), ai piccoli (figlio morto di una povera vedova) e ai peccatori. Gli esclusi diventano figli privilegiati della sapienza (v. 35) di quel Dio che misericordia. In questi racconti del c. 7, Ges realizza limmagine di un Dio disponibile e buono verso tutti (6,35). Egli il volto del Padre, che rivela il mistero profondo rimasto nascosto nei secoli e svelato proprio ora nel Figlio (Rm 16,25s; cf. Col 1,26s). In lui il Dio ricco di misericordia ha visitato il suo popolo (v. 16), costituito da lontani, piccoli e peccatori.

Il cammino di Israele parte dalla fede nella parola di Ges: Sul tuo detto caler le reti (5,5) e passa attraverso il senso del peccato: Esci via da me, poich sono uomo peccatore, Signore! (5,8). Analogamente anche il cammino del pagano parte dalla fede nella potenza della sua parola e passa attraverso il senso della propria insufficienza. Ges stesso presenta il centurione come modello di fede per tutti, - noi compresi -, e ne resta addirittura ammirato (v. 9)! Questo militare ha il suo gemello in At 10, con il quale si aprir ai gentili la porta della chiesa. Mentre nel racconto della peccatrice (vv. 36-50) si esplicitano i frutti e le radici della fede - lamore verso Ges come risposta allamore ricevuto - qui si descrive cos e come nasce la fede: fiducia assoluta nella potenza salvifica della parola e nasce gradatamente. Parte dallestremo bisogno (v. 2) di uno che sente parlare di Ges (v. 3a) e che spera che lui venga e intervenga (con la mediazione di Israele: vv. 3b-5); costata che lui disponibile e viene (v. 6a); passa attraverso il senso di insufficienza e indegnit (vv. 6b-7a); arriva infine alla sua maturit piena nellespressione: Di una parola e sia guarito il mio servo/figlio (v. 7). In queste tappe del centurione pagano, il lettore di Luca, proveniente dal paganesimo, riflette il proprio percorso di fede nella potenza della parola del Signore che lha salvato. importante sottolineare come il miracolo si compia in assenza di Ges, per la fede di un pagano nella potenza della sua parola, udita solo indirettamente tramite mediatori israeliti. la situazione dei pagani che giungono alla fede dopo Pasqua ascoltando la Parola, mediata da Israele. Se Ges ha annunciato la salvezza ai poveri con la sua parola, ora si vede che essa efficace e opera anche in sua assenza, per chi laccoglie con fede, in umilt e fiducia. 2. Lettura del testo v. 1: Dopo che ebbe riempito tutti i suoi detti . Il comando di misericordia di 6,27ss resterebbe per luomo una parola vuota, se Ges non lavesse riempita: lui stesso la pienezza della rivelazione, Parola piena del Padre, che si compie negli orecchi di chi ascolta (4,21). entr in Cafarnao. Ora Ges si dirige verso Cafarnao, citt di confine, per rivelare e realizzare la stessa parola con chi sta ai margini del popolo. linizio dellattivit missionaria destinata ai lontani. Da questo punto Ges non entrer pi in una sinagoga, se non in 13,10, dove si riassume la sua opera di salvezza in mezzo a Israele. v. 2: un centurione. Il centurione un pagano, comandante subalterno delle truppe di occupazione. quindi il nemico per eccellenza, che appartiene alla categoria dei peccatori. Occupa nellesercito un grado intermedio. Non cos basso da suscitare commiserazione, non cos alto da suscitare animosit o ammirazione, sta a quel giusto livello medio, sufficiente a suscitare lesecrazione di tutti. Egli per ci descritto come buono verso i giudei e verso i subalterni - vuol bene ed benvoluto. la figura del pagano ben disposto ad accogliere la salvezza, come il centurione di At 10. A Luca sta a cuore sottolineare che non si accetti a Dio in base al sangue o alla razza, bens in base al timor di Dio e allamore del prossimo (cf. At 10,35). un servo, che stava male, stava per finire e gli era caro. Il bisogno estremo di questa persona cara al v. 7 chiamato col nome di figlio - sta allinizio della fede. La fede nasce dallo star male e dallo star per finire. la situazione di ogni uomo che, in quanto limitato, da sempre sta male perch da sempre sta per finire: essenzialmente finito e bisognoso di salvezza. La costatazione del male e del limite il principio stesso della fede: essa nasce dal bisogno di star bene al presente, e di non finire, nel futuro. Luomo lunico animale che ha coscienza della propria finitudine. Tale coscienza il suo limite angosciante e la sua grandezza esaltante, radice della sua paura di morire e del suo desiderio insaziabile di vivere. Tale coscienza fa esplodere in lui la contraddizione di essere troppo grande per

bastare a se stesso (Pascal) e lo induce a essere quel bisogno essenziale al quale risponde la fede: luomo si sente un vuoto che solo Dio pu colmare. C un falso pudore nel non riconoscere i propri bisogni! La pena lo star peggio e finire in anticipo, col buio disumano di una coscienza anestetizzata. v. 3: Ora avendo udito di Ges . Il centurione ha sentito parlare di Ges (in At 10,3ss ha prima una visione). La fede infatti viene dalludito (Rm 10,17). quindi mediata dalla parola altrui. Lunico modo di conoscenza storica, che fa accedere a un fatto avvenuto di cui non sono stato testimone, proprio lascolto di chi stato testimone ed annuncia: attraverso la sua memoria e la sua parola io accedo alla verit, cos com e la sperimento (cf. 1Gv 1,1ss). Mand da lui alcuni anziani dei giudei. Come la conoscenza di Ges viene dagli altri mediante lascolto, cos anche laccesso a lui mediato da altri. caratteristica di Luca questa missione di anziani (in greco presbiteri) dei Giudei che fanno da ponte fra Ges e il pagano. La funzione di Israele di essere sacramento di salvezza per i pagani, perch ogni carne veda la salvezza di Dio (3,6). La gloria di Israele illuminare i pagani (2,32). Luca, come gi Paolo, riflette teologicamente sul rapporto Israele/gentili, in modo da rendere conto del perch la salvezza da Gerusalemme debba raggiungere gli estremi confini della terra. Ci che in At 10-15 descritto in forma conflittuale, qui ci presentato gi nella sua soluzione finale, idilliaca: buono il pagano, buono il centurione, caro il servo, buoni i capi dei giudei, buoni i rapporti tra tutti! Questa buona mediazione tra Ges e i gentili figura di Paolo stesso, maestro di agpe, che parler loro di Ges, interceder presso di lui per loro e li porter a sperimentare la potenza della sua parola di salvezza. proprio attraverso la fede di Israele che il pagano ha accesso alla promessa di Dio. Questa infatti unica per tutti! Da qui la coscienza missionaria della chiesa in Luca. Fra laltro il pagano non va a Cristo. Non pu: non degno! Cristo che vuole andare a lui e ci arriva con la potenza della sua parola, nella mediazione di Israele. vv. 4-5: degno che gli faccia questo. La disponibilit del pagano a ricevere il dono di Dio - il suo essere degno secondo i giudei, proprio mentre lui si sentir indegno (v. 6) - il suo timor di Dio, espresso dal fatto che ha costruito la sinagoga. Il centurione di At 10 esprime la stessa disponibilit mediante lelemosina, opera religiosa di misericordia per eccellenza (At 10,2). Il timor di Dio inizio della sapienza (Sal 111,10; Pr 1,7; Sir 1,16). Temere Dio significa tenerne conto nelle proprie azioni concrete, improntandole a umilt e misericordia. La sua misericordia lo rende disponibile ai bisogni dei fratelli e disponibile a riconoscere il proprio bisogno davanti a Dio. v. 6: Ora Ges andava con loro. Ges si accompagna, senza obiezioni, a coloro che intercedono per il pagano e va verso di lui. Signore, non disturbarti, ecc.. Il pagano, mosso dal bisogno, gli aveva mandato a chiedere di venire. Ora, vedendo che disponibile a venire, lo prega di non venire: indegno di accoglierlo! colto da un senso profondo di rispetto. Senza questo non c fede in Dio: ci si troverebbe di fronte a un idolo, noto e domestico. v. 7: Ma di una parola, ecc.. Il senso dindegnit non distrugge, anzi, alimenta la fede nel suo potere di salvezza. Il desiderio di salvezza, vista la disponibilit di Dio in Ges, diventa fiducia incondizionata nella sua parola. Il centurione ha quella fiducia nella parola di Cristo alla quale Luca vuol portare il suo lettore: la certezza di sperimentare la sua potenza anche in sua assenza. la fede della chiesa. Il centurione, che non pu andare da Ges, non gli chiede neanche pi di venire: crede nellefficacia della sua parola. Ecco il punto darrivo della fede del centurione: mosso dal bisogno estremo, avendo

ascoltato da altri su Ges, cosciente dellimpossibilit di accedere a lui, ricorre alla mediazione altrui e, informato che lui viene, percepisce insieme la propria miseria e la sua misericordia: da questo incontro nasce la fede illimitata nella sua parola. Questo il luogo dove il bisogno delluomo incontra la sua potenza. v. 8: Poich anchio, ecc.. una specie di parabola della Parola, che va e viene, data e accolta, detta ed eseguita. La parola obbedita del superiore porta allesecuzione, anche sul piano umano. La parola del Krios non pu che essere obbedita, e opera ci che dice, perch tutto le sottomesso. Se non obbedita, quella del superiore del centurione porta allesecuzione del trasgressore. Quella del Signore dei signori non porta ad alcuna esecuzione di chi disobbedisce. La pena linesecuzione stessa: lo star male di chi non obbedisce e la dolorosa attesa del Signore di misericordia che paziente e non ritira mai la sua benedizione. v. 9: Ges lo ammir. Il centurione lunica persona che Ges ammira, come lincredulit dei suoi in Mc 6,6 lunica capace di stupirlo: c fede presso gli estranei e non presso i vicini! Il centurione portato alla folla come modello di quella fede che dovrebbe essere in tutti. v. 10: trovarono il servo che era sano . Chi fu incaricato dal centurione di mediare per la salvezza, costata che questa avvenuta. Ma per la fede immediata del centurione in Ges, che neanche ha mai visto! Se la parola di Ges un seme, la fede il terreno che lo accoglie e su cui cresce la pianta. Senza fede la potenza del seme resta improduttivo. Lepisodio del centurione serve a ravvivare nel lettore la sua fede: la Parola certamente efficace, ma solo per chi ha fede. Tutto possibile per chi crede (Mc 9,23), perch nulla impossibile presso Dio (1,37). Chi crede ha la possibilit stessa di Dio, la cui potenza liberata dalla fede delluomo che laccoglie. Chi non ha tale fede, pu sempre, con il padre del sordomuto, invocare: Credo, aiutami nella mia incredulit (Mc 9,24). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges e i suoi che entrano in Cafarnao. c. Chiedo ci che voglio: la fede nella parola di Ges, che opera in me quello che ha operato allora, se la accolgo con fede. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - il centurione - la mediazione dei giudei - Signore, non sono degno - efficacia della parola - ammirazione di Ges per la fede - miracolo in assenza di Ges. 4. Passi utili Sal 33; 119; 147; Is 55,10-11; Gv 4,46-53.

36. GIOVINETTO, A TE DICO: DESTATI!


(7,11-17)
11

E avvenne in seguito che and verso una citt chiamata Nain, e andavano con lui i suoi discepoli, e molta folla. 12 Ora quando si avvicin alla porta della citt, ecco che era accompagnato un morto unigenito figlio di sua madre, ed essa era vedova, e una folla considerevole della citt era con lei. 13 E vistala, il Signore si commosse su di lei e disse a lei: Non piangere! 14 E, avanzato, tocc la bara - ora i portatori stettero e disse: Giovinetto, a te dico: destati! 15 E sedette sopra il morto e cominci a parlare e lo diede a sua madre. 16 Ora spavento prese tutti e glorificavano Dio dicendo: un profeta grande fu destato tra noi, e visit Dio il suo popolo. 17 E questa parola su di lui usc nellintera Giudea e in tutto il paese circostante. 1. Messaggio nel contesto Il centurione pagano, che crede nellefficacia della parola del Signore anche in sua assenza, ci ha fatto vedere cos la fede per noi che non abbiamo visto il Signore: sapere che lui ci salva mediante la sua parola di promessa. Cristo infatti salva mediante la parola (cf. Rm 1,16; 1Cor 1,18-25; Eb 4,12s) tutti coloro che laccolgono. Ora si mostra perch possiamo aver tale fede: sia perch lui si commuove al

nostro male e ci visita con la sua presenza, sia perch lui il Signore e la sua parola efficace, capace di salvarci anche dalla morte. Egli la misericordia che incontra la nostra miseria e realizza quanto detto da Zaccaria: la bont misericordiosa del nostro Dio, che viene a visitarci dallalto come un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nellombra della morte (1,78s). Nella sezione precedente si parlava del cammino di fede dellisraelita attraverso temi tipici per Israele: perdono, banchetto, sabato. Ora si parla del cammino di fede di ogni uomo, partendo dalla speranza comune a tutti: il desiderio impossibile di salute e di vita, che sempre viene infranto dal potere della morte. Ogni uomo, con i suoi problemi di fondo, si confronta ora con la promessa fatta ad Israele. Ges ha appena proclamato il Regno, promesso la beatitudine ai poveri, affamati e piangenti (6,20-21) e comandato la misericordia. Ora sazia la fame del pi povero tra tutti: un morto, lestremamente povero, digiuno di vita. Ora usa grazia e misericordia verso il pi piccolo tra tutti, lestremamente piccolo, un bimbo morto, figlio unico di madre vedova! Ges fa per primo quanto ha espresso come esigenza del Figlio di Dio: ama i nemici (= pagani 7,1-10), si prende a cuore i piccoli (7,11-17) e accoglie i peccatori (7,36-50). Questi tre episodi incorniciano lautorivelazione di Ges e indicano il suo tipo di messianismo: realizza la promessa, il giudizio e la salvezza di Dio, secondo la necessit della sua misericordia. un racconto kerigmatico, un invito del credente al non credente, perch partecipi alla lode di Dio in colui che, senza esserne per nulla pregato, venuto a vincere la morte. Il racconto esclusivo di Luca, che narra due risurrezioni nel Vangelo (qui e 8,40-56) e due negli Atti (9,36-42; 20,7-12). C lo sfondo veterotestamentario della risurrezione operata da Elia (1Re 17,17-24) e da Eliseo (2Re 4,32-37). La risurrezione dai morti, che per Israele unattesa escatologica, esce totalmente dalla speranza pagana (cf. At 17,32). Il desiderio di vincere la morte - costitutivo delluomo! - non pu mai tradursi in speranza reale per luomo, perch brutalmente spezzato dalla morte. La risurrezione indeducibile da qualsiasi premessa, impossibile per qualsiasi pretesa e attesa umana: deducibile solo dalla promessa di Dio, possibile solo come dono inatteso della sua potenza misericordiosa. Pi che la potenza di Ges, il racconto evidenzia la misericordia del Salvatore. Dio previene e visita senza richiesta, preghiera o fede, chi totalmente perduto e non pu pi richiedere n pregare n credere. Ges qui chiamato da Luca per la prima volta: Signore. Ci significa che questo brano lo rivela pienamente, anche a livello di redattore-lettore: il Signore di misericordia, autore della vita, vincitore della morte. Il figlio della vedova descritto in termini che alludono a Ges stesso morto e risorto: il figlio unigenito (cf. 3,22; 9,35; 20,13), alla porta della citt (cf. 20,15), si desta (cf. 24,6) e, al suo destarsi, si parla di un grande profeta destato fra noi. Questo scambio di figura, questa sovraimpressione Ges/figlio unico morto/destato sta a indicare la sua misericordia. Essa lo porter a venire incontro alla nostra miseria, fino a identificarsi con noi e perdere s per salvare noi. Il racconto vuole suscitare fede nella misericordia di Dio per i piccoli e per i piangenti, per ogni uomo, che piccolo e piangente di fronte alla morte. Piccolo perch assolutamente indifeso; piangente perch irrimediabilmente offeso. Ges viene a dare speranza l dove nessuno pu averne. Perch luomo muore; e, quando vive, vive nel dolore della morte altrui e nellattesa della propria. Ges vince colui che d morte alla vita e restituisce la vita alla vita: la madre ritrova il figlio morto. 2. Lettura del testo v. 11: e andavano con lui i suoi discepoli. Ges e il seguito dei suoi discepoli in cammino. Sembra senza meta. In realt arriva, inaspettato, dove c bisogno di lui. Alla sua misericordia fa da guida la nostra miseria, in modo che tutti possiamo incontrarlo. Giunge a Nain, che significa delizie. Il villaggio, non lontano da Suneri, dove gi Eliseo aveva risuscitato un morto, 10 km a sud-est di Nazaret, circa una buona giornata di cammino da Cafarnao, dove si trovava Ges.

v. 12: ecco che era accompagnato un morto, ecc.. Dalla citt, come da ogni luogo dove vive luomo, esce un corteo di morte. Una folla piangente accompagna un giovane morto. Il destino toccato a lui, toccher poi a ciascuno. Tutti viviamo in attesa di venire a nostra volta accompagnati da un simile corteo. Ogni citt produce sepolcri, e tutta finisce l, nel lamento funebre. Ma Nain da sepolcreto torner a essere giardino di delizie nellincontro con il suo Signore, vittorioso sulla morte. Alle porte i due cortei si incontrano, quello del Signore della vita e quello del signore della morte. Uno esce a flusso continuo, come fiume che travolge ogni vita. Ora trascina con s sottoterra la speranza ormai spenta di una madre vedova. Laltro entra per la prima volta. morto il figlio, sopravvive colei che genera la vita. Questa madre, che genera e sopravvive solo per la morte, figura di ogni vita, che per la morte. una madre vedova, senza sposo, senza amore e senza difesa, povera e derelitta. Priva di diritti e di identit, neanche pu acquistarli nel figlio, perch morto! Questa vedova immagine dellumanit intera, ormai lontana dal suo sposo, che Dio. Lui infatti il vero partner delluomo, che egli ha fatto a sua immagine e somiglianza, per essere amato con tutto il cuore (cf. Dt 6,4ss). Senza di lui, luomo non pu che generare per la morte. Ambrogio vede in questa donna anche la chiesa che piange i suoi figli peccatori, morti e perduti per il peccato. Con lei tutta la folla dei fedeli piange. Cristo restituisce il peccatore al seno della madre-chiesa afflitta e alla gioia dei fratelli. La molta gente che accompagna la donna indica la consistenza del corteo di ogni morte che coinvolge tutti, perch in essa si piange in anticipo la propria. Ogni morte di tutti e di ciascuno. A questo corteo fa da contrappunto il corteo condotto da Ges primogenito di tra i morti (Col 1,18), primo di una schiera di molti fratelli (Rm 8,29). v. 13: il Signore si commosse, ecc.. la prima volta che Luca chiama Ges il Signore. Lo far solo in situazioni particolarmente solenni, dando al termine tutto il significato veterotestamentario (cf. 10,40; 12,42; 13,15; 16,8). Che Ges sia il Signore la premessa di ci che accade. Questo Signore ci viene presentato in modo molto concreto: ha piedi, occhi, cuore, mano e bocca, descritti mediante lazione di camminare, farsi vicino, vedere, commuoversi, toccare e parlare. Non come gli idoli, che non parlano, non toccano, non sentono, non vedono, non camminano (Sal 115,5ss). Dio piedi per incontrare luomo, occhi per vederlo, cuore per amarlo, mano per toccarlo, parola per comunicargli la sua vita. Se mediante i suoi piedi lui si accosta a noi, attraverso il suo occhio noi gli entriamo nel cuore. Vedere infatti lasciare entrare laltro in s. Perch locchio lorgano del cuore e la sua azione quella pi profonda: com-muove alla com-passione verso laltro, mette in moto la persona che vede e la muove verso laltro e la porta a patire con lui il suo male. Vedere, come termine di tutta lazione di Ges che venuto a mostrare il volto del Padre perch luomo si converta (cf. 23,47s), pure il principio di ogni azione che scaturisce dal cuore. Perch vedere amare, e locchio posa solo dove muove il cuore. In questo senso vedere la caratteristica di Dio, che crea, salva e ama luomo (cf. Gn 1,4.10.12.18.21.25.31; Es 2,25; 3,7; Sal 139). Ges che vede, si commuove e si fa avanti richiama il samaritano (10,33s) e il Padre del figlio perduto (15,20). la vera immagine del Dio misericordioso, preso da passione per luomo, suo figlio perduto. la guarigione dallimmagine satanica di Dio, che ha indotto luomo a fuggire dalla sua presenza e a nascondersi (Gn 3,10)! Solo vedendo questo Dio in Ges c il passaggio dalla paura alla fiducia, dalla morte alla vita, dalla Legge al vangelo. Il dono che segue non n sperato, n chiesto, n atteso. pura iniziativa del Signore. Scaturisce dalla sua commozione. Le sue viscere di misericordia lo portano alla com-passione, a patire insieme con noi la nostra stessa pena, a condividere con noi quel male dove ci sentiamo tutti ugualmente soli (cf. 23,40).

Non piangere!. Sono le uniche parole di Ges alla donna. Una madre davanti alla morte del figlio, come non piangere?! La donna, esponente di tutta la schiera degli uomini piccoli e piangenti davanti alla morte, non pu che piangere (cf. 8,52). Anche Ges, davanti alla tomba di Lazzaro pianse (Gv 11,35)! Se Ges dice cos non perch ignori la tragedia della morte; perch intende dare la speranza della vittoria su di essa. Infatti lui stesso ha pianto sulla citt dei morti (19,41) e sullamico morto (Gv 11,35). Anche davanti alla propria morte (cf. Eb 5,7) fu sconvolto fino a sudare sangue (cf. 22,44). Ma le sue lacrime hanno asciugato il nostro pianto e contengono la sua promessa di vita. A questa speranza fa da velo proprio il pianto, segno della disperanza umana di fronte allinevitabile. Il Signore della vita ci sta dinanzi. solo la paura della morte, che si traduce in disperazione e pianto, che ci impedisce di vederlo, come la Maddalena (cf. Gv 20,11-18). v. 14: E, avanzato, tocc la bara. Prosegue la descrizione delliniziativa del Signore allopera per salvare dalla morte. Siccome ha visto, si fa avanti. Come commosso e toccato dal male, si muove, avanza e tocca la bara. Dopo aver detto la parola di conforto, ordina con la parola di vita. Il suo vedere un farsi avanti; il suo commuoversi un muoversi alla compassione, fino a toccare ed essere toccato dalla nostra morte. Sar la sua morte! Quando lui tocca il legno della bara, stettero fermi i piedi di coloro che portano alla tomba. Quando lui, compatendo il nostro male, toccher il legno della croce, sar vinta la morte. Giovinetto, a te dico: destati!. Non si pu rivolgere parola pi insensata e inefficace: parlare a un morto e ordinargli di vivere! Ma il Signore agisce proprio mediante la sua parola creatrice. Dal nulla ha suscitato tutte le cose, dalla morte suscita la vita. Questa la potenza della fede, che opera la salvezza per ogni uomo. v. 15: E sedette sopra il morto . Il morto, che prima giaceva, preda della morte, ora siede sopra, cio sopra la bara, sopra la morte stessa, come il vittorioso sul vinto. La sua misericordia ha visitato coloro che sedevano nellombra della morte (1,79; lo stesso verbo in At 9,40). In Ges che vince la morte, si compie la liberazione dalla schiavit fondamentale, la paura della morte, propria di tutti gli uomini che, per timore della morte, erano soggetti a schiavit per tutta la vita (Eb 2,15). Il Signore infatti ha toccato la nostra bara e ha ridotto allimpotenza colui che della morte ha il potere, cio il diavolo (Eb 2,14). e cominci a parlare. Il giovane, seduto sopra la bara, comincia a parlare. Il parlare e comunicare proprio delluomo, immagine di Dio. Dio infatti amore e lamore si realizza nella comunicazione e nella comunione. Solo dopo la vittoria sulla morte, luomo non pi soggetto a quella paura che lo rende individuo, solo, timoroso ed egoista, incapace di comunicare e di amare, perch tutto intento a salvare il proprio io dallinevitabile. libero e pu parlare, realmente comunicare con gli altri e cantare allaltro la lode. lo diede a sua madre. A colei che d la vita per la morte - figura di Eva, madre dei viventi - Ges ridona ora la vita nel figlio. La sorgente della vita guarita dal veleno mortale: ora essa pu generare non pi per la morte, ma per la vita. La misericordia del Krios ha guarito la vita vincendo la morte: il figlio morto reso vivo alla madre! v. 16: Ora spavento prese tutti, ecc.. lo sbalordimento delluomo davanti allimpossibile, davanti a Dio che si manifesta. Al timore segue il coro di lode degli astanti, al quale il lettore invitato a unirsi (cf. 5,26; 13,13; 17,18). La lode gioire di Dio e della sua bont. La folla glorifica Dio, cercando di capirne lopera. Ma ancora a un livello imperfetto. Scambia Ges per un profeta (cf. 9,7-9). In realt lui il Signore che ha

visitato il suo popolo, per cui i ciechi vedono, i morti risorgono, ai poveri annunciata la buona notizia (v. 22). sorto il sole che rischiara quelli che siedono nelle tenebre e nellombra della morte. finita la notte, inizia il giorno: la nuova creazione, la vittoria della luce sulle tenebre. Questo brano ci ha descritto come avviene la visita di Dio: il Signore cammina, si avvicina alla porta della nostra citt e viene incontro a noi che ne usciamo per entrare nella gola della morte; vede, si commuove, con la sua parola fa cessare il pianto e iniziare la speranza; quindi si fa avanti, tocca la morte, ne arresta i piedi e impartisce lordine: Destati!. E tutto questo senza nessuna richiesta - richiesta per altro insensata per i vivi e impossibile per i morti! Lui infatti la misericordia che colma la nostra miseria. Il racconto serve a suscitare nel lettore quella fede che ebbe il centurione. Cos anche noi, che non possiamo incontrarlo di persona come quelli di Nain, possiamo incontrarlo nella potenza della sua parola e osiamo chiedere limpossibile, che si pu operare anche in sua assenza, come ci insegna il brano precedente. v. 17: E questa parola usc, ecc.. Questa parola (lgos) di vita si espande: lannuncio che, come giunse al centurione, giunge fino a noi. Il racconto che ascoltiamo infatti un annuncio che suscita la fede e ci porta allincontro con il Signore della vita. Cos possiamo sperimentare la potenza della sua misericordia. Egli Muta il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia (Sal 30,12). Dove la sua visita non riconosciuta e accolta, resta il pianto e la paura della morte che regna. Ma lui ugualmente presente, per visitarci in questo pianto e in questa morte. presente piangendo e morendo lui stesso come quando piange su Gerusalemme, verso cui cammina per morire, perch non ha riconosciuto il tempo in cui stata visitata (19,41ss). Quando invece noi, attraverso la fede nellannuncio, riconosciamo la sua visita, allora avviene anche per noi lincontro con lui che ci fa passare dalla morte alla vita. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che entra in Nain coi discepoli e la folla, mentre ne esce il corteo funebre. c. Chiedo ci che voglio: incontrare il Signore della vita. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - Ges e i suoi alle porte della citt - giovane morto, figlio, di madre vedova - Ges si commuove - non piangere - destati - cominci a parlare - la fama si diffonde. 4. Passi utili Sal 30; 1Re 17,17-24; 2Re 4,32-37; Lc 8,40-56; At 9,36-42; 20,7-12.

37. SEI TU COLUI CHE VIENE, OPPURE ATTENDIAMO UN ALTRO?


(7,18-23)
18

E annunciarono a Giovanni i suoi discepoli circa tutte queste cose. E, convocati due dei suoi discepoli, Giovanni 19 li invi verso il Signore dicendo: Sei tu colui che viene, oppure attendiamo un altro? 20 Ora, recatisi presso di lui, quegli uomini dissero: Giovanni il Battista ci mand verso di te dicendo: Sei tu colui che viene, oppure attendiamo un altro? 21 In quellora cur molti da malattie e flagelli e spiriti cattivi e a molti ciechi fece grazia di vedere. 22 E rispondendo, disse loro: Andate! Annunciate a Giovanni quanto vedeste e udiste: ciechi vedono, zoppi camminano, lebbrosi sono mondati, anche sordi odono, morti sono destati, poveri sono evangelizzati. 23 E beato colui che non si scandalizzer di me! 1. Messaggio nel contesto Con la sua parola Ges ha proclamato il Regno di misericordia (6,20-31) e con la sua azione lha realizzato (7,1-17); ora, su sollecitazione del Battista, pu rivelarsi come colui che viene. Questa rivelazione rivolta anche ai pagani, essi pure chiamati a inserirsi nella promessa e attesa di Israele. Nel brano si affrontano due problemi di storia della salvezza: luno riguardo al passato, laltro riguardo al

presente. Il primo questo: se il messianismo povero e umile di Ges risponde alla promessa di Dio, che ne delle grandi attese di Israele? Il secondo questo: come pu Ges essere il messia, il Salvatore, se la storia dopo di lui continua ancora n pi n meno come prima? Luca unifica i due problemi, perch hanno una radice comune, quella dellattesa delluomo che diversa dalla promessa di Dio; e risponde mostrando come la storia di Ges che cura e fa grazia (v. 21) ai disgraziati la realizzazione della promessa. Lattesa di Israele e di ogni uomo va localizzata e corretta su di lui, che lascia continuare la storia come storia concreta di salvezza, luogo costante di male e di bene, di peccato e di grazia, di miseria e di misericordia. Il nocciolo della questione, sempre attuale, il tipo di messianismo di Ges, che contraddice il delirio di potenza e di gloria delluomo; il suo messianismo, povero e umile, come fece problema a Israele, fa problema anche alluomo doggi. Luomo infatti da sempre malato di millenarismo: attende e sogna una storia diversa da quella reale, dove cessi la contraddizione e la croce sia totalmente assorbita nella risurrezione, dove ci siano solo i frutti senza pi i costi e non esista pi il male. Ma questo sar solo alla fine; prima sar sempre il tempo della semina e sono ineliminabili sia la contraddizione sia la croce, fino alla fine. I cortocircuiti illuminano allistante, e fanno nascere vari illuminismi, tanto ottimistici quanto patetici, che in realt bruciano i tenui fili che collegano e illuminano la realt! Siamo chiamati alla sequela di Ges povero e umile, che non ha liquidato la storia, ma lha vissuta dalla parte di colui che, non facendo il male, se ne fa carico e lo arresta nella propria croce, unica via alla risurrezione. Su questo argomento lerrore costante. e riguarda ebrei e cristiani, Battista e discepoli, ieri e oggi, oggi e domani. Lo stesso errore lo fanno anche gli atei, ma a cuore pi leggero. Il tragico che passa inavvertito e muove tanto zelo sbagliato, in cerca di scorciatoie per giungere al Regno, che non fanno che ritardarlo! Israele, come noi, attendeva un messia che prendesse in mano il potere ed eliminasse ogni male. Ma che lui elimini il male... lasciandolo, anzi portandolo su di s, prendendosene cura e facendone il luogo della salvezza questo risulta problematico a tutti. La speranza che con il messia si risolvano le nostre angustie e cessi questa storia di pianto e inizi la danza di vittoria. Subito! Il Battista attendeva un messia pi forte, giudice tremendo, che spazzasse laia del mondo per dare inizio magico a un mondo nuovo (3,16s). Noi stessi attendiamo un mondo redento, in cui il travaglio della storia si plachi in unescatologia beata. Ges invece s messia, ma viene in estrema debolezza e senza potere, vittima di ogni male. E proprio cos, portandolo, lo vince! salvatore; ma vuole bene a cattivi e buoni e la sua misericordia lo inserisce nella nostra miseria, senza liquidare il malvagio. Rispetta la libert e lascia che la nostra azione continui nella sua realt anche brutale, facendo per di ogni miseria oggetto di misericordia. Il suo amore per luomo che cattivo, lo rende debole e gli fa portare il carico della sua cattiveria. Non arresta la storia di perdizione, cristallizzandola in un giudizio che la blocchi; invece la continua e la volge in storia di salvezza. questa nostra storia concreta e non unaltra ipotetica migliore, che contiene la salvezza! Questa salvezza la misericordia di uno che si fa carico del negativo e ne paga i costi, perch altri ne gustino i frutti. Siamo lontani da ogni fanatico escatologismo e da ogni settarismo di puri - i buoni salvati in un mondo perverso! - come anche da ogni forma di disimpegno. Il messianismo di Ges il suo attuale farsi carico del male del mondo, in un impegno che lo contamina di ogni impurit. Il suo messianismo continua nella storia della chiesa, che si apre al mondo. Il male stesso il luogo di realizzazione della salvezza, mediante la misericordia. Questo slittamento in tono minore della figura del messia motivo costante di scandalo. Laquila dellesodo (cf. Es 19,4; Dt 32,11) si trasforma in gallina (13,34); il re diventa servo (22,27); il salvatore viene condannato (23,35-37); il giusto si fa solidale con la nostra ingiustizia; Dio patisce la nostra morte (23,40s)! un messianismo che esula dalle nostre attese, perch ci presenta un messia crocifisso, povero e umile, che si prende cura del male e fa grazia. La risposta al Battista corregge lattesa di Israele e di ogni uomo. A partire da Ges e dal suo stile si comprende in modo nuovo e profondo lAT, Dio e la sua promessa. Questa nuova comprensione fa individuare in Ges latteso.

Diversamente si continua sempre ad attendere un messia diverso o una storia diversa. Mentre in realt diversa deve essere la nostra attesa! importante determinare lattesa. Luomo infatti diventa ci che attende. un animale eccentrico, con il proprio pondus in ci che attende. Ora il cristiano non attende pi nulla di diverso e guarda con occhio smagato e tenero la realt: sa che in essa, proprio nella sua miseria, si realizza la verit di Dio che misericordia. Partecipa della compassione di Dio per il male di un mondo senza Dio (Bonhoeffer). Tutta lattivit di Ges interpretata da lui stesso non tanto come azione di potenza, quanto come passione di misericordia. In questa ci visita un Dio che si fa vicino al lontano, giustifica lempio e vivifica il morto. La salvezza accogliere questa buona notizia, di cui i fatti sono la prova. In questo brano Luca elabora una interessante teologia della storia della salvezza, dando la chiave di lettura del Cristo salvatore attraverso lo stile, la parola e lazione di Ges. Rispondendo al Battista, risponde al problema sempre attuale del messianismo cristiano, sul quale si devono misurare tutte le teologie, della liberazione o meno. La sua risposta lunica, valida fino alla fine del mondo, quando il cammino ora aperto sar compiuto. 2. Lettura del testo v. 18: E annunciarono a Giovanni, ecc. . Giovanni si trova in carcere (3,19s) per aver denunciato ladulterio del re, figura delladulterio del popolo che ha tradito Dio, suo sposo. Difatti non lo ama, secondo il comandamento, con tutto il cuore, con tutta lanima e con tutte le forze (Dt 6,5). informato dai suoi discepoli circa tutte queste cose, su ci che Ges dice e fa, sul suo stile e sulle reazioni che suscita. Tutto questo interroga e mette in questione il Battista. Se giusta la sua attesa, bisogna attendere un messia diverso; se invece lui il messia, bisogna che lattesa sia diversa! La promessa dellAT, per comprendersi pienamente, deve ricorrere a Ges, che ne il compimento. l che cessa ogni ambiguit. Per questo invia due discepoli qualunque a informarsi. I discepoli sono due, perch la testimonianza di due autoritativa (cf. Dt 19,15), e sono due qualunque perch rappresentano ogni discepolo, il quale deve verificare con Ges le sue attese. v. 19: Sei tu colui che viene, oppure attendiamo un altro?. Per Luca Ges, dopo 7,13 il Signore. Lo chiama cos per circa 20 volte. Colui che viene, per il Battista la qualifica del messia (cf. Gn 49,10; Sal 118,26) e del giudice (cf. Dn 7,13; Ml 3,1ss), compimento della promessa e della speranza di Israele. Il dubbio di Giovanni ben fondato. Lui ha annunciato un messia forte, un giudice severo; avrebbe operato il giudizio di Dio e inaugurato il giorno del Signore, tremendo come un fuoco. La storia si sarebbe arrestata nellescatologia, i giusti sarebbero stati salvati e i peccatori bruciati (cf. 3,16s, con lo sfondo di Ml 3). Ges invece si rivela come misericordia, inesorabilmente attratta dalla miseria: perdono per il peccatore, giustificazione dellingiusto, assoluzione dellempio. Inoltre ha uno stile di assoluta povert, che rifugge da ogni presa di potere, anche a fin di bene! Il ventilabro, secondo Giovanni scosso dal Messia (3,17), invece da questi lasciato al nemico (22,31). Egli non giudica nessuno, compassionevole e salva tutti coloro che si riconoscono peccatori (cf. 5,31s). Lunica condanna il nostro condannare, lunica esclusione il nostro non accogliere, lunico suo giudizio non giudicare, lunica sua salvezza la misericordia! Colui che viene (cf. 3,16) riferito da Ges a se stesso in 13,35, dove si paragona alla chioccia che tenta di raccogliere i suoi figli sotto le ali; detto di lui in 19,38, quando entra in Gerusalemme per subire la nostra condanna. Questi colui che viene: ha la fisionomia della chioccia amorevole, il volto di chi si lascia condannare in silenzio piuttosto che accusare! Lattesa di colui che viene vale non solo per lAT, ma anche per noi, che attendiamo la seconda venuta e invochiamo Marna th (1Cor 16,22), Vieni, Signore Ges (Ap 22,20). Questa seconda venuta, che ci sar nel futuro, non sar altro che lo svelamento della sua venuta quotidiana, che siamo chiamati a riconoscere oggi con le caratteristiche della sua venuta di allora, appunto come chioccia e

come servo, che ha come figura lasino da lavoro (cf. 19,29ss). Infatti lattesa ha le caratteristiche del compimento, come la domanda ha il tenore della risposta. Lattesa sta al compimento come il recipiente al contenuto: gli determina la forma e la quantit; pu addirittura perderlo, come uno che attinge acqua con una cesta. Fondamentalmente le nostre attese di Dio vanno in due direzioni. Il giusto vuole un dio che dia ai buoni il premio e al cattivi la punizione. Il peccatore invece, lungi dal volere un dio simile, ne fugge; desidererebbe, ma non osa, un Dio misericordioso, che premia se stesso, perdonando ogni male. Il primo attende lo stipendio, il secondo il regalo. Comunque, tanto il giusto quanto il peccatore, attendono qualcosa in quanto mancano di qualcosa. Chi manca di nulla, attende nulla. Chi manca dellessenziale, essenzialmente in attesa. Cos si capisce perch i ciechi, gli storpi, i lebbrosi, i sordi e i morti attendono: rappresentano situazioni estremamente povere di vita (la situazione pi povera quella del giusto, che costata di non riuscire a salvarsi!). Per questo la buona notizia riservata a tutti i poveri - giusti o peccatori che siano - purch si sentano insoddisfatti e mancanti dellessenziale. Gli altri invece si scandalizzano di Cristo: hanno gi tutto e non attendono nulla. Se il luogo della rivelazione della buona notizia lattesa, il luogo di questa la mancanza, la sofferenza dei piccoli che hanno bisogno di tutto e sono radicalmente insufficienti a se stessi. Solo a loro si rivela il Cristo, non ai sapienti o ai potenti. Quando gli intelligenti saranno in situazione di non vedere il senso della vita, i potenti incapaci di camminare sulla propria via, i ricchi disfatti nel grasso della loro carne, tutti inabili a camminare, immersi in una situazione di morte vissuta; quando questa povert verr riconosciuta, allora il Messia potr rivelarsi a tutti come latteso. Perch sar atteso! Allora tutti diremo: Ti attendo, Signore, come il cieco la vista, lo zoppo le gambe, il lebbroso il balsamo, il sordo la parola, il morto la vita. E tu verrai, perch tu sei colui che viene, Tu, innalzato, sei la luce che si spegne per illuminare la mia cecit. Tu, inchiodato, sei la paralisi che mi d forza per alzarmi. Tu, disfatto nella carne, sei la medicina per sanarmi. Tu, morto per me, sei la vita che d a me la vita. Perch tu sei colui che da ricco che eri ti sei fatto povero per arricchire me con la tua povert (2Cor 8,9). Il dubbio del Battista circa lidentit di Ges nasce anche dal fatto che, se Ges il Messia, dovrebbe finire la storia di male e iniziare lescatologia, il tempo di Dio. il dubbio stesso del cristiano attuale: come mai la venuta di Ges non ha cambiato il mondo e la sua storia? Con Ges tutto sembra come prima. Nessun cambiamento spettacolare. I potenti sono ancora al loro posto, le regole del gioco identiche, i poveri sempre pi malmessi! Allora chiaro: o Ges non colui che viene e quindi dobbiamo attendere un altro; oppure colui che viene, e allora deve essere altra la nostra attesa! v. 20: Ora, recatisi presso di lui, quegli uomini dissero, ecc.. La domanda del Battista ripetuta, per sottolineare limportanza. Solo lattesa infatti rende possibile riconoscere la visita del Signore e accoglierlo! Il problema del Battista quello fondamentale della salvezza: come conoscere e accogliere il Signore che viene. la questione perenne del discernimento cristiano nella storia. v. 21: In quellora cur molti, ecc. . Questo versetto, proprio di Luca, fa da sfondo alla risposta di Ges. I messi dovranno annunciare a Giovanni ci che qui vedono e ascoltano (cf. v. 22). Vedono innanzitutto Ges che in quellora realizza il regno di Dio. E ascoltano poi le parole che spiegano come lo realizza. Ges dir in 17,21 che il Regno non viene in modo da attirare lattenzione, e nessuno dir: Eccolo qui, eccolo l, poich il regno di Dio in mezzo a voi. Questo Regno in mezzo a noi, che vediamo, ascoltiamo e annunciamo come compimento dellattesa dellAT, Ges stesso che si prese cura di molti afflitti da malattie e flagelli e spiriti cattivi e a molti ciechi fece grazia di vedere. Il Regno ci che Ges fece in quellora, lora alla quale si rende contemporaneo il credente che sa discernere e accettare la sua salvezza.

Il suo messianismo non interrompe la storia e non stronca il malvagio, ma si prende cura di ogni male e dona la fede, la grazia di vedere. Mediante questa si conosce e si accetta la salvezza di Ges che realizza la promessa di Dio. Diversamente restiamo ciechi e perduti nelle nostre vuote attese. Se Dio le compisse, non farebbe che fissare eternamente il male. v. 22: Andate! Annunciate a Giovanni quanto vedeste e udiste, ecc. . Ges interpreta la propria azione ricorrendo a Isaia (cf. Is 29,18; 35,5ss; 42,18; 26,19; 61,1): egli realizza la promessa escatologica. Cos gli inviati del Battista sono in grado di dire ci che hanno visto e di darne linterpretazione autentica: la storia di Ges, che si prende cura e fa grazia il senso della storia stessa, lopera del messia in una storia concreta di male. La sua azione non il giudizio che separa i buoni dai cattivi, ma la misericordia, che si prende cura e fa grazia a tutti. Cos si risponde anche al grande interrogativo del Battista e dei cristiani: perch anche dopo la venuta di colui che deve venire la storia continua ancora, con il suo spessore di male? N stupidamente ottimista n catastroficamente apocalittica, la chiesa sa e conosce il male del mondo e, come Ges, lo vince facendosene carico. Questazione storica di misericordia gi escatologia: rivelazione definitiva di Dio e salvezza delluomo. Non dobbiamo attendere un mondo diverso o un modo diverso di intervento. Questo il mondo, con la sua miseria. Il Signore qui, in Ges e questo il suo modo definitivo di agire, secondo la sua misericordia infinita. Il mondo, spesso troppo stretto, un vivaio da coltivare con cura: ogni pianta verr trapiantata al suo posto nel giardino, purch sia buona e non faccia frutti marci. Questa la novit profonda e scandalizzante della rivelazione di Ges: il Regno si realizza attraverso la misericordia di un Dio che ci visita, si prende cura e fa grazia. Laffermazione i poveri sono evangelizzati messa in posizione di spicco, con funzione conclusiva. La buona notizia annunciata ai poveri che ascoltano Ges e a tutti i poveri che ascolteranno con fede lannuncio di un Dio di misericordia che si prende a cuore il male delluomo. v. 23: E beato colui che non si scandalizzer di me. Il fatto che il regno escatologico si realizzi nella storia, e per di pi in modo modesto, occasione di scandalo. Se si propone cos, si espone anche al rifiuto. Il giudizio, di cui il Battista parlava, deriva proprio dallaccettare o meno questa via e questo stile di Dio in Ges: egli opera non nella potenza del giudizio, ma nellumilt della misericordia, non con la forza delle sue opere, ma con la debolezza dellannuncio. la scelta di questa debolezza che lo porter ad essere il Messia crocifisso. La beatitudine del Regno dato ai poveri (6,20) proprio per chi accetta questo scandalo, gi profetato da Simeone (cf. 2,34s). Ges quindi, con i fatti e la spiegazione che ne d, si conferma il messia atteso. Ma mostra una forma inattesa e sempre inattuale di messianismo. La fede che d salvezza discernere con la mente e accettare con il cuore la visita di Dio in Ges, il Messia e Signore crocifisso per misericordia. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo, immaginando i discepoli di Giovanni che dal carcere vanno a Ges, che sta prendendosi cura dei mali delluomo. c. Chiedo ci che voglio: capire ed accettare il messianismo povero di Ges, capire che la salvezza definitiva la misericordia di chi si prende cura dei nostri mali. d. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono. che fanno. Da notare: - sei tu quello che viene

- attendiamo un altro - in quellora Ges cur - fece grazia di vedere - i poveri sono evangelizzati - beato chi non si scandalizza di questo Ges. 4. Passi utili Sal 146; 145; Is 29,1-24; 35,1-10; 42,1-25; 61,1-3.

38. MA FU GIUSTIFICATA LA SAPIENZA DA TUTTI I SUOI FIGLI


(7,24-35)
24

Ora allontanatisi gli angeli di Giovanni cominci a dire alle folle su Giovanni: Che usciste a guardare nel deserto? una canna scossa dal vento? 25 Ma che usciste a vedere? un uomo avvolto in delicate vesti? Ecco: quelli in veste splendida e lusso stanno nelle regge! 26 Ma che usciste a vedere? un profeta? S, dico a voi, anche pi che un profeta! 27 Costui colui circa cui scritto: Ecco: mando il mio angelo davanti al tuo volto che preparer il tuo cammino dinanzi a te. 28 Dico a voi: nessuno pi grande di Giovanni tra i nati da donna; ma il pi piccolo nel regno di Dio pi grande di lui. 29 E tutto il popolo che ud, anche i pubblicani, giustificarono Dio, perch battezzati del battesimo di Giovanni. 30 I farisei invece e i legisti trasgredirono la volont di Dio su di s, perch non battezzati da lui.

31

A chi dunque somiglier gli uomini di questa generazione, e a chi sono simili? 32 Sono simili a fanciulli in piazza seduti, e si rinfacciano lun laltro, e dicono: Suonammo il flauto per voi e non danzaste, cantammo il lamento non piangeste! 33 venuto infatti Giovanni il battezzatore, n mangiando pane n bevendo vino, e dite: ha un demonio! 34 venuto il Figlio delluomo, mangiando e bevendo, e dite: ecco un uomo vorace e ubriacone, amico di pubblicani e peccatori. 35 Ma fu giustificata la sapienza da tutti i suoi figli! 1. Messaggio nel contesto Dopo aver rivelato se stesso come colui che viene, Ges spiega alla folla il ruolo del precursore nel disegno di Dio. Egli pi che un profeta: il profeta ultimo annunciato da Ml 3,1ss. Egli conclude il tempo della promessa e sta sulla soglia del compimento. Accettare o rifiutare il suo messaggio di conversione, per tutti gli uomini di tutti i tempi, significa inserirsi o meno nellatto ultimo della storia di fede nella promessa che inizia con Abramo e si conclude con il Battista. Con lui il tempo dellattesa finisce e trova il suo compimento nella storia di Ges. Nei vv. 24-28 con tre domande, due negative e una positiva, Ges definisce il Battista come culmine e personificazione della speranza affidata ai giudei. Luca riserva grande importanza al Battista come figura della storia di Israele. Attraverso di lui anche il lettore di origine pagana pu conoscerla e decidersi per essere tra coloro che accettano il disegno di salvezza di Dio (vv. 29-30). Nei vv. 31-35 Ges si lamenta della propria generazione: non accetta il gioco di Dio. Gli stessi che rifiutano lappello alla conversione del Battista perch si ritengono giusti, non accettano neanche linvito al banchetto nuziale della sapienza imbandito da Ges, perch si ritengono autosufficienti. Questi sono i farisei e i dottori della legge. Pubblicani e peccatori invece riconoscono il bisogno del perdono. Accettano quindi linvito a convertirsi e diventano figli della sapienza e amici dello sposo: hanno fame e accettano linvito al banchetto! Ges si rivolge a chi uscito nel deserto. Non si rivolge a chi rimasto fermo a casa sua e non ha fatto nessuna piega, se non quella di arricciare il naso schifato. Chi accoglie il Battista - e sar poi in grado di accogliere il Cristo - colui che uscito nel deserto, perch ha riconosciuto il proprio peccato, ha accettato linvito alla conversione e, spogliatosi di ogni prestigio o pretesa, si trova nudo, insieme con gli altri, per farsi battezzare da lui (cf. 3,3). Costoro non hanno certo visto nel Battista una canna

scossa dal vento (cf. 1Re 14,15), segno di debolezza e di indecisione - la fragilit e la perplessit oscillante delluomo, giunco pencolante nellaria secondo il vento. Hanno invece visto in lui luomo forte e deciso, inflessibile e rigoroso, che mosso solo da un vento: lo Spirito di Elia che gli fa attendere colui che viene, il pi forte, che riempie il vuoto dellattesa millenaria del popolo. Giovanni nel deserto proprio per avviare lesodo definitivo. 2. Lettura del testo vv. 24s: cominci a dire alle folle su Giovanni. Ges vuol far prendere coscienza alle folle, in modo sempre pi serrato, del ruolo del Battista. Parla per contrasto del suo vestito e della sua abitazione. Il suo vestito come sappiamo da Mc 1,6 (cf. Mt 3,4), la ruvida tunica di cammello, divisa del profeta (2Re 1,8). La sua abitazione ben diversa da quella che i potenti offrono ai loro servi. Passer dal deserto al carcere, perch, servo di Dio, denuncia a nome suo il peccato dei potenti e del popolo. v. 26: un profeta?. Ges insinua nella terza domanda quella che sar la sua risposta: Giovanni un profeta, anzi pi che un profeta. Con lui, ultimo profeta dopo secoli di silenzio, finisce il profetismo stesso, che promise e prepar la venuta del Signore. Dopo lui tacer per sempre la voce, perch risuonata la Parola definitiva. Dopo di lui la promessa non sar pi profezia del Cristo e di Dio, ma ricordo di Ges, Figlio di Dio, riconosciuto nello Spirito. v. 27: Costui colui circa cui scritto, ecc.. Infatti il precursore del Signore stesso. A differenza di 3,4ss, dove il Battista cos si definisce, qui Ges stesso lo indica come il profeta escatologico, lultimo che viene davanti al volto del Signore, per preparargli un popolo ben disposto (1,14ss). Ges cita Ml 3,1 (con allusione a Es 23,20), in cui si parla del messaggero finale, prima della immediata visita di Dio al suo popolo: lappello definitivo alla conversione, per accogliere la salvezza. in sintesi lappello di tutto il profetismo: tutto convergeva qui come promessa e come premessa. La funzione di Giovanni la stessa attribuita a Elia in Ml 3,23s (cf. 1,17): il profeta dellAltissimo, che andr innanzi al Signore a preparargli la strada (1,76). Egli compie e corona la fatica di tutti i profeti, che quella di dare al popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati (1,77; cf. 3,1-16). v. 28: Dico a voi: pi grande... ma il pi piccolo nel regno, ecc.. In polemica con quanti non lhanno accolto, il Battista proclamato pi grande di tutti i profeti. In polemica con quanti lhanno accolto senza accogliere colui che egli ha annunciato, dichiarato il pi piccolo nel regno di Dio. Tra i nati di donna, nessuno grande come lui. Egli pi grande anche del primo grande profeta, Mos (cf. Dt 34,10). Infatti lultimo gradino della scala, quindi il pi alto. lunico profeta che vede la realizzazione di ogni profezia, la porta che introduce dalla promessa al compimento. Per questo vive in se stesso una rottura: in continuit con il passato e con il futuro, egli in qualche modo fuori da ambedue. Si stacca dal passato, perch prelude gi al futuro; ma si stacca anche dal futuro, perch questo di una novit tale che il pi piccolo nel Regno pi grande di lui. Attraverso Ges si passa infatti dalla realt umana, di figli nati da donna, alla realt divina, di figli di Dio. In contraddizione con le attese del Battista, che annunciava un messia forte e grande, la piccolezza e la debolezza saranno le caratteristiche del Regno (cf. 9,48: 14,11; 22,26). In questa contrapposizione tra il grande Battista e il pi piccolo nel Regno, che pi grande di lui, da vedere il confronto tra leconomia della promessa e quella del compimento e leccellenza di questa su quella. Una candela illumina pi della promessa del sole. Figurarsi il sole stesso! Il vero pi piccolo nel Regno Ges stesso, che ha detto: Chi il pi piccolo fra tutti voi, questi grande (9,48).

v. 29: anche i pubblicani giustificarono Dio. Il popolo, inclusi i pubblicani e i peccatori (cf. v. 35) giustific Dio: ha riconosciuto che Dio il solo giusto e ha ragione, mentre tutti siamo ingiusti e nel torto. Per questo ne compie la volont e accoglie lappello alla conversione e al battesimo. Accettando la predicazione del Battista, il popolo umile si reso docile al piano di salvezza di Dio e incontrer il Salvatore che gli viene incontro sulla stessa riva del fiume. v. 30: I farisei invece e i legisti . I farisei e i legisti invece, lIsraele ufficiale in opposizione al popolo, hanno vanificato il piano di Dio. Si sentono abbastanza buoni e intelligenti per non mettersi in fila con il popolo peccatore e ignorante che va a farsi battezzare! Rifiutando la conversione, non incontreranno il Salvatore, che va apposta al Giordano per incontrare ogni debolezza umana. Lunico modo di vanificare la salvezza credersi giusti e rifiutare di convertirsi. v. 31: A chi dunque somiglier, ecc.. Gli uomini di questa generazione sono quelli che non accettano il messaggio del Battista: la gente dal cuore duro. Questa generazione ha una connotazione negativa, in contrapposizione a popolo. Questa generazione per definizione adultera e peccatrice: adultera perch non conosce Dio, suo sposo, peccatrice perch incapace di osservare il primo comandamento. Sua caratteristica la sordit, la durezza di cuore e di collo: non ascolta la parola del Signore, non si apre ad accogliere il suo dono ed altra. v. 32: Sono simili a fanciulli, ecc.. Questa generazione specializzata a contrastare il disegno di Dio. Tra le due offerte che Dio successivamente fa - appositamente opposte, pur di fare accettare il suo gioco! - sceglie sempre laltra, per puro dispetto, pur di non giocare al suo gioco. Dio li chiama alla giustizia e alla severit con Giovanni: non accettano, perch pazzesco e demoniaco. Allora chiama con Ges alla gioia e alla danza: non accettano, perch vogliono un Dio severo! Questa generazione paragonata non ai bambini in senso evangelico (cf. 18,15ss), ma ai bambini capricciosi e riottosi, che non accettano per principio di stare al gioco dei compagni. Il loro gioco contrastare il gioco! v. 33: venuto infatti Giovanni, ecc.. Il messaggio di ascesi e di conversione di Giovanni ritenuto follia. Il messaggio di gioia e di amore di Ges scambiato per dissolutezza. Il cuore duro dei farisei e dei legisti la causa di questa mancanza radicale di discernimento. Si arriva allinconvertibilit di chi non vuole convertirsi e resiste con dispetto a Dio. Tutto perch si sente sufficientemente buono e intelligente! In realt, chi non accetta il lutto proposto dal Battista e non si riconosce peccatore, non partecipa alla danza dello sposo (vedi brano seguente!). Per accogliere Ges e la gioia del suo banchetto nuziale, bisogna prima accettare il duro richiamo del Battista. Chi invece ritiene indemoniato il Battista, pronto a bollare Ges come mangione e beone. Gli attribuisce le caratteristiche del figlio testardo e ribelle che non vuole obbedire e che va lapidato (cf. Dt 21,18-21)! v. 35: Ma fu giustificata la sapienza, ecc.. La sapienza in Mt 11,19 Ges stesso che imbandisce il banchetto nuziale. In Luca tale sapienza invece il piano di salvezza di Dio che si identifica con la promessa (Giovanni) e il compimento (Ges). I figli della sapienza (cf. Pr 8,32ss; Sir 4,11) sono quindi coloro che accettano il disegno di salvezza di Dio. Essi accolgono linvito al lutto di Giovanni e linvito alle nozze di Ges: da figli del serpente (3,7), passano, attraverso la conversione del battesimo, alla gioia del banchetto del Figlio. Si ribadisce il v. 29: il popolo, peccatore e bisognoso di salvezza, accetta la conversione del Battista e la festa del perdono in Ges. Per questo riconosce la giustizia di Dio, cio la sua sapienza, e lascolta. 3. Preghiera del testo

a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che parla alle folle che erano venute per essere curate da lui. c. Chiedo ci che voglio: accettare sempre linvito del Battista a convertirmi e a gioire del perdono di Ges. d. Contemplo la descrizione che Ges fa del Battista e comprendere la sua funzione di purificazione, per incontrare Ges. Da notare: - la dimora, il vestito e la parola del Battista - senso della profezia dellAT - grandezza del pi piccolo nel regno - Dio invita alla conversione prima e poi alla gioia - la nostra resistenza al suo gioco. 4. Passi utili Sal 50; 51; Is 1,1-20; 61,10-62,12; Ml 3,1-24.

39. DUE DEBITORI AVEVA UN CREDITORE


(7,36-50)
36

Ora domandava a lui uno dei farisei che mangiasse con lui. E, entrato nella casa del fariseo, si sdrai. 37 Ed ecco: una donna, che era nella citt peccatrice, avendo saputo che sdraiato nella casa del fariseo, recando un alabastro di profumo, 38 e ponendosi dietro presso i suoi piedi, piangendo con lacrime, cominci a irrorare i suoi piedi e coi capelli del suo capo asciugava e baciava i suoi piedi e ungeva con profumo. 39 Ora visto il fariseo, quello che laveva chiamato, disse fra s dicendo:

Costui, se fosse profeta, conoscerebbe chi e donde la donna la quale lo tocca, che peccatrice . 40 E, rispondendo, Ges disse a lui: Simone, ho per te qualcosa da dire. Egli allora: Maestro, parla! - dice. 41 Due debitori aveva un creditore: luno doveva cinquecento denari, laltro invece cinquanta. 42 Non avendo essi da rendere, grazi ambedue. Chi dunque di loro amer di pi? 43 Rispondendo Simone disse: Suppongo colui che grazi di pi! Ora egli disse a lui: Rettamente giudicasti! 44 E, voltosi verso la donna, a Simone disse: Vedi questa donna? Entrai nella tua casa, acqua a me sui piedi non versasti, costei invece con lacrime irror i miei piedi e con i suoi capelli asciug! 45 Bacio a me non desti, costei invece, da che entrai, non smise di baciare i miei piedi. 46 Con olio il mio capo non ungesti, costei invece con profumo unse i miei piedi. 47 In grazia di ci dico a te: sono rimessi i suoi molti peccati, perch am molto; a chi poco rimesso poco ama! 48 Ora disse a lei: Ti sono rimessi i peccati. 49 E cominciarono i commensali a dire tra s: Chi costui, che anche i peccati rimette? 50 Ora disse alla donna: La tua fede ti ha salvata: cammina verso la pace!

l. Messaggio nel contesto Il racconto ha molti tratti comuni con lunzione di Betania (Mc 14,3-9; Mt 26,6-13; Gv 12,1-8), che Luca omette. A prima vista presenta unapparente contraddizione: lamore sembra prima causato dal perdono (vv. 41-43) e poi causa di esso (v. 47). In realt qui Luca esprime in modo preciso che cos la fede cristiana (cf. v. 50): lamore che questa donna ha per Ges, da capire alla luce del primo comandamento (cf. 10,27; Dt 6,5). Tale amore effetto e causa insieme del perdono: in quanto perdonata, ama come risposta al perdono; e, in quanto ama, aperta ad accogliere il perdono che la forma pi grande dellamore. Amore e perdono si alimentano a vicenda, in una circolarit continua. I gesti di questa donna sono lespressione piena della fede nel perdono di Ges, la risposta delicata ed esaltante dellamore che accetta di essere amato. Questa donna accoglie la chris di Dio: si lascia far grazia, ed esprime il suo grazie, lamen della fede. Il fatto si svolge nella casa del giusto, in cui fa irruzione una peccatrice. Una dei figli della sapienza rende giustizia a Dio, riconoscendo il proprio peccato e la sua misericordia. Essa entra di forza nella casa di uno di quelli che, abitando nella presunzione della propria giustizia, rendono vano il piano di Dio. Mentre lei accetta il lutto e il pianto del Battista ed entra nella gioia del flauto e della danza di Ges, lo sposo, gli altri stanno a guardare con disappunto. Nella casa della legge, dove era atteso e invitato, Ges imbandisce il banchetto nuziale per il peccatore inopportuno e indesiderato. Da una parte la donna rannicchiata, che riceve labbondanza dellamore di Ges, se ne impregna e ne trabocca riversandolo su di lui. Dallaltra il fariseo autosufficiente e controllato, che conosce solo il merito, ignora il debito e lamore che lo condona. Non pu partecipare alla danza dellamore, se prima non partecipa al pianto del suo peccato. Il racconto - come tutto il c. 15 - per persuaderlo di peccato di prostituzione, perch vuol meritare lamore di Dio. Lamore infatti gratuito - lo capisce bene il peccatore nel perdono! - e meritarlo si chiama meretricio. Questo rapporto di prostituzione, che il giusto instaura con Dio, lunico peccato diretto contro colui che amore. Per questo peccato non ci pu essere perdono. Da esso ci si salva solo con la conversione. Infatti non pu essere perdonato, fino a quando non riconosciuto come peccato. La conversione pi profonda il semplice riconoscerci peccatori e bisognosi di perdono. Ges qui conferma di essere quel Dio che ha rivelato: un Dio che ama e fa grazia a tutti, ai paganinemici (7,1-10), ai piccoli (7,11-17) e ai peccatori (7,36-50). Si conclude labbozzo del cammino di fede per ogni uomo che non ha visto Ges. Chi crede alla potenza della sua parola (7,1-10), vince la morte (7,11-17) perch Dio ha visitato il suo popolo come aveva promesso a Israele. Questa promessa aperta a tutti coloro che laccolgono nellinvito alla conversione del Battista e nel dono di grazia che Ges compie (7,18-35). Anzi, il banchetto nuziale nella casa della legge non offerto ai giusti, ma solo a quanti hanno bisogno di perdono, cio a tutti, perch tutti siamo trasgressori della legge. Questa donna figura del vero popolo che si riconosce peccatore e bisognoso di perdono. Essa entra indesiderata nella casa del giusto, mentre questi resta estraneo a ci che si svolge in casa propria: al banchetto offerto dalla legge si entra solo mediante lamore del perdono. interessante notare che la legge che invita Ges, ma il peccatore che lo accoglie e lo ama, perch si sente accolto e perdonato. Questa donna la prima che realizza ci che si deve fare per ereditare la vita eterna (cf. 10,25-28): Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente (10,27; cf. Dt 6,5). Non pi peccatrice ed adultera, trasgreditrice della legge: entra e sta di casa in questa legge dellamore che Dio stesso, lo sposo, perch ne ha ricevuto la grazia e il perdono. Vedendo Ges, sa chi Dio e, invece di fuggire lontano da lui come i peccatori o nascondersi da lui sotto il manto della legge come i giusti, corre a lui, attirata dal suo amore. Questa donna figura della sposa adultera e peccatrice, che ora riscattata dallamore dello sposo e gioisce perch il mio diletto per me e lo per lui (Ct 2,16; 6,3). Nella distinzione donna/fariseo si opera il giudizio che Ges venuto a portare: la nostra condanna viene non tanto dalle nostre ingiustizie, quanto dalla nostra giustizia, non

tanto dal male fatto, quanto dal bene rifiutato; Ges apprezza non la giustizia che porta alla prostituzione, ma lamore accolto che si tramuta nella tenerezza della sposa. Dio vuole essere amato cos dalluomo! Il racconto non serve per assolvere la peccatrice e condannare il giusto: smaschera al giusto il proprio peccato di prostituzione. Lamore sempre e solo dono. Questo si rivela pienamente nel per-dono. Il fariseo chiamato a riconoscersi nella peccatrice come nel c. 15 il fratello maggiore nel minore per partecipare alla festa damore di Dio, padre e sposo. La prostituta, ritenuta tale dal fariseo, gli fa da specchio nel suo peccato. Nella casa del fariseo - come facilmente la chiesa pu diventare - la venuta a tavola della prostituta mostra al giusto il suo peccato profondo, quello di non saper amare. Identificandosi con lei, pu sperimentare il perdono e come lei rispondere allamore ricevuto. Donna-casa-mensa-lacrime-capellibacio-profumo: sono tutti termini che esprimono accoglienza e vita. Questa vita, accolta dal peccatore nel perdono, offerta a tutti. Escluso resta solo il giusto, che non ama perch non si sente amato e non si sente amato perch, per paura, si chiude nella sua sufficienza a basso profilo. Ma anche il giusto vi pu partecipare nella misura in cui si riconosce prostituta. Questa prostituta la pietra di paragone del vangelo: realizza pienamente il dono che Dio ha promesso proprio a un popolo adultero e peccatore. La scena, delicatissima, impegna tutti i sensi: vista, udito, tatto, odorato e un sapore di lacrime e di carne baciata. Esprime un amore tenero e appassionato per il Signore Ges, il Dio che si fatto vicino per esprimerci il suo amore e farsi amare da noi. Si fatto nostro fratello, per essere introdotto nella stanza della nostra madre (cf. Ct 8,1s). Questamore per Ges il cristianesimo, la fede che diventa vita. Questamore proprio del peccatore perdonato. Il peccato non distrugge la salvezza. Al contrario, nel perdono, causa di un amore pi grande, di una salvezza maggiore. Chi si crede senza peccato, non ha bisogno della misericordia: quindi fuori dalla grazia di Dio. Capir Simone il suo peccato, ben pi grande di quello della prostituta? Alla fine, come il fariseo Paolo, amer di pi? Il punto fondamentale non chi pi questo, chi ha debiti minori con Dio. invece chi amer di pi. Paradossalmente proprio chi ha debiti maggiori. Cos il nostro peccato non ci esclude dal Regno, ma il motivo per cui amiamo di pi. Proprio il nostro male, non il nostro bene, ci fa partecipare pi profondamente del mistero di Dio che amore. Veramente divina questa prospettiva, che capovolge il male stesso in bene maggiore (cf. Rm 5,20). 2. Lettura del testo v. 36: Ora domandava a lui uno dei farisei, ecc.. Ges, vorace e ubriacone, amico di pubblicani e di peccatori (v. 34), non rifiuta la commensalit neanche con quel tipo di peccatori che sono i giusti. Il peccato del giusto - lunico che va direttamente contro Dio che amore - quello di comperarsi il suo amore con la moneta sonante delle proprie opere buone. linsidia di tutte le religioni, che suppongono un Dio cattivo da imbonire. Pu essere vinto solo dallesperienza di un amore gratuito, non meritato, al quale si risponde con altrettanto amore. Questo peccato, contro il primo comandamento, denuncia limpossibilit delluomo, anche buono, ad amare Dio, per la menzogna originaria. Luomo, dallalbero di Gn 3, non conosce pi il Signore. Lo conoscer solo quando sar innalzato sul legno della croce: Allora saprete che Io sono (Gv 8,2). Simone il fariseo forse figura del cristiano tiepido, che osserva la legge, ma non ama. Non si rende conto del proprio peccato, che qui viene smascherato proprio nella prostituta, la quale, invece, riconosce lamore che il Signore ha per lei. Ges entra nella sua casa, nominata tre volte (v. 36 al maschile, vv. 37.44 al femminile). Forse allusione alla chiesa, che accoglie Ges con la fredda ospitalit della legge come il fariseo e ha bisogno dellinsegnamento sul perdono e sullamore. Ges, accettando linvito del fariseo, mostra la sua bont. Come ama la donna che pecc di prostituzione con gli uomini, cos ama

anche il fariseo, luomo che pecca di prostituzione nei confronti di Dio. Il confronto tra i due aiuter il fariseo a riconoscere il proprio peccato e il suo amore gratuito, offerto anche ai giusti. La sollecitudine di aprire i giusti alla misericordia tipica di Luca che si rivolge ai credenti, sempre insidiati da questo peccato che chiude agli altri. v. 37: Ed ecco: una donna, ecc.. Durante il banchetto, la porta resta aperta agli estranei. Questi possono curiosare, andare, venire e apprezzare la munificenza del padrone, ed eventualmente approfittarne. Avviene ora un fatto scandaloso, sconcertante e sconveniente, introdotto da Luca con la formula di sorpresa: Ed ecco. Non dice il nome della persona che viene. La sua identit quella di una donna, la quale era nella citt peccatrice. Si tratta di una prostituta ben nota. Essa doveva gi aver visto Ges, o averne sentito parlare in modo tale da desiderare incontrarlo. Lattenzione tutta concentrata su di lei. Meraviglia, stupore e sdegno da parte del fariseo; trepidazione, determinazione e tenerezza da parte sua; compiacenza, gioia e approvazione piena da parte di Ges. Essa porta con cura un vaso di alabastro di profumo. Intende profumare Ges. Per questo venuta: donare a lui il profumo, segno di gioia, abbondanza, amore e consacrazione. Questa donna lunica finora che fa qualcosa per amore di Ges, e d a colui che finora ha sempre dato tutto a tutti. la prima persona libera, capace di rispondere al suo amore. v. 38: e ponendosi dietro, ecc.. Questa donna si arresta ai piedi di colui che per amore lav i piedi di coloro che am sino alla fine (Gv 13,1ss). Per sette volte nel racconto si parla dei piedi di Ges - tre volte in questo versetto e quattro volte nei vv. 44-46. un gesto insieme di umilt e di grande audacia. Il suo amore irrompe in pianto e pioggia di lacrime sui piedi, che poi asciuga coi capelli sciolti; continua poi in un coprirli incessante di baci e in un rivestirli di profumo. Singhiozzo e pianto che irrora, capelli che asciugano, baci che scorrono e profumo che si effonde. Taluni pensano che il pianto sia rimorso per la vita trascorsa. Forse per, a differenza di quello di Pietro (22,62) che amaro, pieno di confusione e di rabbia contro se stesso - dolore per la propria identit perduta - questo sembra un pianto dolcissimo, pieno di serenit e di gioia. di chi finalmente trova la propria verit in colui che ama perch da lui amata. pianto di amore per Ges. I sentimenti di venerazione e rispetto, di indegnit e di gratitudine, sono il recipiente stesso che contiene lamore, che sempre grazia e non debito. La donna, n qui n altrove, dice niente; non apre bocca, come la sposa di Ez 16,63. E Ges lascia fare, accetta, acconsente e approva quanto fa. Mentre a proposito del centurione Ges parla di fede (v. 9), qui specifica tale fede come salvezza e pace (v. 50). Lespressione di amore di questa donna una risposta allamore che lui per primo ci ha rivelato. Come lei, anche lui ha pianto (19,41), ha lavato i piedi ai suoi discepoli (Gv 13,1ss) stando in mezzo a loro come colui che serve (22,27), ha asciugato con la luce del suo volto ogni nostra lacrima, ci ha baciati e ha infuso in noi il suo Spirito di gioia e di vita. v. 39: Ora visto il fariseo, ecc.. Il fariseo sceglie istintivamente di negare che Ges sia profeta, per salvare la sua reputazione di uomo giusto: Non profeta, ma onesto! Se fosse profeta .... Non intuisce invece la profezia di unaltra giustizia, che lui neanche suppone e sulla quale il maestro cercher di istruirlo. Ci che al fariseo risulta particolarmente disdicevole il contatto fisico di questa peccatrice con Ges: lo tocca. E lui accetta questi segni di amore. Probabilmente, anzi certamente, ignora chi lo tocca, cio una donna e che tipo di donna lo tocca, una peccatrice! Veramente il fariseo ce la mette tutta per giustificare Ges. Lo scandalo non che questa donna faccia cos, ma che Ges, che certamente giusto, lapprovi! v. 40: E rispondendo, Ges disse, ecc.. Ges invece risponde ai segreti ragionamenti del fariseo. Si mostra cos profeta proprio nei confronti di colui che non lo ritiene profeta per scusarlo, in modo che

non abbia scusanti per scusare! Gli viene cos incontro per rivelargli chi e che tipo di uomo lui stesso che lha invitato e del quale lui ha accolto linvito! a Simone che Ges si rivolge, perch ha qualcosa da dire personalmente a lui, Simone. la prima persona, nel racconto di Luca, che Ges chiama per nome! Gli sta quindi molto a cuore (vedi anche Marta in 10,41; Zaccheo in 19,5 e Simon Pietro in 22,31). La risposta di Simone suona condiscendenza tollerante da gran signore, con una certa vena di soddisfazione: Ges si spiegher! vv. 41-42: Due debitori aveva un creditore, ecc.. Ges racconta una parabola molto schematica, che mette in gioco Simone e noi tutti con la donna, e capovolge i ruoli. un richiamo forte per chi presume, e una consolazione per chiunque accetta di essere salvato (cf. 18,9-14). una parabola di due debitori. Ogni uomo debitore a Dio di tutto: siamo sue creature! Il vero peccato quello di non accettare di restare debitori, necessariamente insolventi, perch insolvibili nei confronti di quanto ci ha dato. Ci che lui ci ha dato non da restituire sotto forma di prestazioni di vario tipo, in modo da pareggiare il nostro conto con lui. Questa la prostituzione religiosa, frutto della non conoscenza di Dio, che germina tutti i peccati dei giusti e degli ingiusti. Il dono di Dio, al quale tutto dobbiamo, un amore gratuito da accettare e a cui corrispondere con altro amore. Il succo della parabola nei due verbi: far grazia da parte del creditore e amare-di-pi da parte di colui che si sente graziato. Il pi avvantaggiato in questo gioco chi ha il debito maggiore, perch riconosce il dono maggiore. Il problema della vita infatti quello di riconoscerla come un dono di amore e non un debito da estinguere. Chi conosce il dono maggiore, riconosce un amore pi grande. il vantaggio reale del peccatore sul giusto. Questi non accetta nessun dono come dono: istintivamente lo considera come un debito da pagare con le buone azioni. Per questo conduce sempre una vita fuori dalla gioia e dallamore, tutto teso a ripagare e meritare! Anche Simon Pietro, che si dichiarer disposto a dare la vita per Cristo, dovr capire che sar Cristo a dare la vita per lui e che la salvezza sar accettare questo dono di amore! Lamore proporzionale al dono ricevuto, o, meglio, siccome siamo tutti debitori insolventi di tutto, al condono. Chi ha il debito pi grande, avendo ricevuto un perdono pi grande, si sente pi amato, e quindi ama di pi. Strana ma vera questa maggior possibilit di scoprire Dio da parte del peccatore! v. 43: Rispondendo Simone disse, ecc.. La risposta di Simone scontata. Anche se forse detta con riluttanza. Si accorge di perdere lappiglio sicuro di chi non ha debiti. Vede una mano invisibile che sta sciogliendo il nodo della sua imbarcazione gi in porto e la trascina in acque infide. Ges ha spostato il campo dalle acque morte della giustizia a quelle dellamore, che scorrono come un fiume. La tentazione quella di dire: Ma stai cambiando il gioco! Invece di giustificarti sulla giustizia, mi accusi sullamore. Nella risposta di Simone si stabilisce che il perdono precede lamore. Il creditore ci ha per primo condonato per amore e il nostro amore risposta a questo dono. Cos si capisce perch questa donna ama di pi, rispetto al fariseo: si sentita pi amata. Ogni religione cerca, giustamente, di farci diventare pi buoni e peccare di meno. Il cristianesimo sconvolge i criteri. La questione chi ama di pi. E la risposta, ovvia, colui al quale stato perdonato di pi, che pi pecc. il paradosso della nuova giustizia. vv. 44-45: E, voltosi verso la donna, a Simone disse, ecc.. Non un lungo elenco di inadempienze. Ges non intende fare le pulci allaccoglienza meschina del fariseo. Vuol solo fargli capire il suo peccato di prostituzione, del quale lui lo perdona venendo addirittura a mangiare in casa sua. Simone in realt non ha commesso nessuna scorrettezza. Laccoglienza cordiale e laffetto non possono essere imposti da nessuna etichetta: possono solo nascere dallamore. E questo nasce dallessere amato. Non la giustizia propria, ma il perdono dellaltro ci d la coscienza di essere amati. La giustizia ricercata una corazza di difesa contro lessere amato, e ci impedisce di amare. Ges riprende e descrive con le

parole tutto ci che la donna gli ha fatto. Nulla gli sfuggito: sa bene chi e donde la donna la quale tocca lui (v. 39). Tutto significativo ed interpretato come segno di amore grande per lui. La donna non dice nulla. Solo Ges parla di lei al fariseo, traducendo le sue azioni in parole di salvezza da annunciare ai giusti. Si noti come tutti i gesti della donna sono concentrati sui piedi di Ges, che tra poco andranno verso Gerusalemme (9,51). Nessuno tanto piccolo e a terra da non raggiungere i piedi. Solo chi la difficolt di piegarsi. Padri hanno visto in questa venerazione per i suoi piedi lamore per i piccoli e gli ultimi in quel corpo del quale lui il capo. Il capo si espressamente identificato con questi (cf. 9,48). certamente un grande segno damore, di cui si nota la gratuit, la sovrabbondanza, la sregolatezza, tipiche dellamore. Questa prostituta in realt figura del popolo adultero e peccatore, che si converte al suo Signore, suo sposo, e lo ama finalmente con tutto se stesso, secondo il suo comando di Dt 6,5. v. 47: In grazia di ci dico a te, ecc.. In consonanza con i vv. 41-43 ci si aspetterebbe una conclusione che dica come lamore sia conseguenza del perdono. Qui invece sembra che il perdono sia conseguenza dellamore. A meno di tradurre: Le sono stati perdonati i suoi peccati: per questo ha molto amato. Lasciando il testo com, cerchiamo di comprenderlo. In realt perdono e amore hanno una costante reciprocit di causa-effetto. Vanno sempre insieme. v. 48: Ti sono rimessi i peccati. Ges si rivolge alla donna, confermando quanto lei gi sa. La parola detta per il lettore, nella casa del fariseo, perch in essa si accolga tanto il peccatore che si sa graziato quanto il giusto che scopre la propria disgrazia. Lungi dal giudicare il peccatore, chi si ritiene giusto si identifichi con lui. v. 49: Chi costui, che anche i peccati rimette?. il preludio alla professione di fede in Ges, che il potere stesso di Dio, potere di perdono e misericordia (cf. 5,21). Questuomo che perdona realmente Figlio dellAltissimo, la misericordia del Padre, colui che rivela alluomo il volto di Dio (cf. 6,36). v. 50: La tua fede ti ha salvata . Quanto la donna fa, per Ges la fede che salva. Il giusto non ha fede, se non in s. Chi non ama come questa donna non ha salvezza. Perch la fede accogliere la giustizia, cio lamore di Dio per noi; e la salvezza amarlo con tutto il cuore, con tutta lanima, con tutta la forza, con tutta la mente (10,27), come questa donna. La fede accettare lamore di Dio in Ges e traboccare di questo amore verso lui, esperienza di essere amati e di amare Ges. Con questa fede che salva, la donna cammina verso la pace, verso la pienezza della luce del volto di Dio. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il banchetto in casa di Simone il fariseo. c. Chiedo ci che voglio: conoscere il mio debito e il suo perdono, conoscere intimamente il suo amore per me e corrispondervi, come la donna. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, cosa fanno. Da notare: - fariseo/peccatrice - tutti i gesti della peccatrice sui piedi di Ges

- chi amer di pi - la tua fede ti ha salvata. 4. Passi utili Sal 45; Ez 16; Os 2,16-25; Cantico dei Cantici.

40. E I DODICI CON LUI E ALCUNE DONNE


(8,1-3)
81 E avvenne, in seguito: egli viaggiava per citt e villaggi proclamando ed evangelizzando il regno di Dio, ed erano con lui i Dodici, 2 e alcune donne, che erano state curate da spiriti cattivi e infermit: Maria, quella chiamata Maddalena, da cui sette demoni erano usciti, 3 e Giovanna, moglie di Cusa, procuratore di Erode, e Susanna e molte altre, le quali li servivano dai loro proventi. l. Messaggio nel contesto Si tratta di un sommario sullattivit missionaria di Ges, specchio di quella dei discepoli. Come in tutti i sommari, lopera del redattore ha mano assai libera. Pi che fatti specifici, raccoglie elementi tipici che servono da cornice interpretativa e da tessuto connettivo tra brani diversi. Nei sommari appare pi palese lintenzione teologica che ispira lautore e la lettura di fede proposta al lettore. La cronaca lascia trasparire pi chiaramente la storia della salvezza, lepisodio fa vedere la sua rilevanza per la fede. In questo breve sommario emergono tre temi, che serviranno a introdurre una riflessione critica sulla fede come accoglienza della Parola. Primo: la vita itinerante di Ges, modello di quella della chiesa che ne continua lannuncio. Secondo: i Dodici stanno con lui, sono qualificati dallo stare in compagnia di Ges, associati al suo stesso tipo di vita e di attivit. Questa loro familiarit con lui, frutto dellascolto (cf. v. 21), la sorgente del loro annuncio, inteso ad aggregare tutti gli altri alla famiglia degli ascoltatori della Parola. Attraverso la loro testimonianza, Ges giunge fino a noi e noi giungiamo a lui. Terzo: si

sottolinea che le donne sono abilitate a seguirlo insieme ai Dodici. Con il loro servizio donano a questa piccola comunit peregrinante la possibilit di vivere, svolgendo la prima funzione necessaria, tipicamente materna. Viene cos presentata la vera famiglia di Ges, in parallelo ai vv. 19-21, e si mostra come lascolto che la Parola richiede - tema centrale del c. 8 - consista nello stare con Ges e servire. 2. Lettura del testo v. 1: E avvenne, in seguito. Si vuole sottolineare una nuova tappa nella vita di Ges, successiva alla precedente e in continuit con essa. Ora egli non pi solo, ma accompagnato dai Dodici che hanno ascoltato la sua parola di grazia e dalle donne che ne hanno fatto esperienza. Inizia il nucleo della chiesa, formato da coloro che ascoltano Ges e stanno con lui. Viaggiava per citt e villaggi. C anche un nuovo stile apostolico ormai esplicito: litineranza di uno che si aggira, passando di citt in citt e di villaggio in villaggio, attraversando tutti i sentieri percorsi dalluomo per incontrarlo. Come la donna che spazza la casa per cercare la moneta, come il pastore che va errando in cerca della pecorella perduta (cf. 15,1ss), cos Ges fa una ricerca sistematica, setaccia tutto Israele attraversando le sue vie ( il senso esatto della parola greca tradotta con viaggiava). Il suo intento non quello di fare proseliti e di accrescere il proprio potere mediante il loro numero. Egli va per centri grossi e piccoli paesi, senza trascurare nessuno. una ricerca accurata e instancabile, che rivela la passione e la cura del suo amore che vuole incontrare luomo: lamore dello sposo che cerca la sposa amata (cf. Ct 7,11b; 3,2ss), alla quale vuol concedere i doni promessi. Infatti pass beneficando e risanando tutti (At 10,38). il modello della vita missionaria dei discepoli. proclamando ed evangelizzando il regno di Dio. Il suo scopo dare la buona notizia del Regno. Il regno di Dio, secondo 7,21-23, lui stesso che viene incontro alluomo e si prende cura dei suoi mali. Accogliere il Regno non scandalizzarsi di lui (7,23), riconoscerlo e accettarlo come dono di Dio. ed erano con lui i Dodici. il primo nucleo, associato allo stesso apostolato di Ges, che fonda la chiesa (cf. 6,12-16). Essa necessariamente missionaria, cio apostolica. Spinta dallo stesso amore del Figlio, vuole annunciare a tutti lamore liberante del Padre. Non cerca se stessa, ma lAltro. Al suo centro sta il lontano, perch il suo Signore andato molto lontano! La chiesa, in quanto apostolica, necessariamente cattolica, rivolta a tutti, in particolare ai lontani. La sua apostolicit non solo il suo aggancio al passato, mediante gli apostoli, ma anche un suo modo di essere sempre in avanti, protesa fuori di s. In Marco Ges sceglie i Dodici perch stiano con lui e per mandarli a predicare (3,14s). In Luca invece li troviamo gi di fatto associati a lui nellattivit missionaria, nellidentico stile e nella comunanza di vita. Questo stare con lui la qualifica pi bella e pi profonda del discepolo. Essa vale innanzitutto per i Dodici, che furono con lui nella vita terrena. Lo hanno visto, ascoltato, toccato e gustato. Tuttavia, come attesta Giovanni che ha coscienza di essere lultimo di questi, ogni fedele chiamato ad entrare comunione con coloro, la cui comunione col Padre e col Figlio suo Ges Cristo (1Gv 1-4). Questo stare con lui sottolinea laspetto personale di amore che lega il discepolo al suo Signore. Suo supremo desiderio stargli in compagnia. Come lamico con lamico vuol condividere vita, ideali e fatiche, pur di stare insieme. Il resto secondario e funzionale a questo. il desiderio di chi ha scoperto la perla preziosa, di colui al quale stata concessa la sublimit della conoscenza di Ges (Fil 3,8). I suoi occhi non si stancano di contemplarlo e il suo cuore di amarlo. Per questo i suoi piedi lo seguono e le sue mani lo cercano. Il Vangelo proprio stato scritto per noi, perch, pur non avendolo visto di persona, lo possiamo conoscere, amare, seguire e vedere nellobbedienza alla sua parola, fino a stare per sempre con lui che il senso di tutta la vita (1Ts 4,17). Per stare con lui, che non ha dove posare il capo, si disposti a lasciare tutto, affetti e sicurezza (9,57ss); addirittura a odiare padre,

madre, moglie, figli, ecc. e persino la propria vita (14,25ss). Egli il Signore che si rivelato a me e non ha potuto non sedurmi e conquistarmi, come gi Geremia (20,7ss) e Paolo (Fil 3,12). il tesoro nascosto nel campo, per avere il quale, con grande gioia, vendo tutto (Mt 13 44ss). Il mio bene supremo stare con lui che venuto a stare con me. Per questo Paolo desidera essere sciolto dal corpo per essere con Cristo (Fil 1,23) e sa che la sua vita ormai nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3): per me vivere Cristo (Fil 1,21). Dio ci ha chiamati alla comunione con il Figlio suo Ges, nostro Signore (1Cor 1,9): questa la salvezza, punto di partenza e di arrivo di ogni missione. vv. 2-3: e alcune donne, ecc.. Questa compagnia di Ges aperta alle donne. I rabbini non le ammettevano nella cerchia dei discepoli. Ne vediamo traccia in Gv 4,27, quando i discepoli si meravigliano che Ges parli con una donna. Le donne infatti non avevano il dovere di osservare la legge, essendo fatta per soli uomini. Esse stanno a met tra luomo, che deve e il bimbo che non pu osservarla: un po deve e un po non pu, un po pu e un po non deve. Ora in Ges non c pi n maschio n femmina (Gal 3,28). Eventuali distinzioni culturali o naturali sono secondarie rispetto al privilegio di stare con lui, che la vita stessa. Ogni distinzione destinata a scomparire o ad assumere il suo significato positivo nella misura in cui si sta con lui. Le donne hanno avuto un grosso ruolo nella comunit primitiva (cf. Rm 16,1; At 1,14; 12,12; 16,13s; 17,4.12.34). Forse perch la donna, figura materna, accoglienza (vedi la terra che accoglie il seme nel brano seguente), abitazione, luogo dove luomo pu vivere e stare di casa. Maria stessa, tipo della chiesa e del credente, presentata nei primi due capitoli come arca dellalleanza e Santo dei Santi, in cui dimora laltissimo. La figura donna-casa-terra-madre strettamente collegata con la Parola che si accoglie e si custodisce nel cuore (cf. 2,19.51; 8,15) e si mette in pratica (cf. 8,21; 11,27s). Maria figura del popolo di Dio, la figlia di Sion. Ascolta la Torah e diventa la sposa che genera a vita nuova. la nuova Eva, la madre dei viventi. Lepisodio precedente, che si svolge nella casa del fariseo - luogo tipico di prostituzione, dove si cerca di comprare lamore di Dio con losservanza della legge - offre lesempio del popolo che da sposa prostituta torna ad essere fedele: la casa inospitale e fredda diventa accoglienza calda e tenera dello sposo di cui ha conosciuto lamore. La ex-peccatrice rappresenta lIsraele convertito e la chiesa, liberata dai sette demoni. Per questo la tradizione ha identificato la Maddalena che segue Ges con la prostituta del racconto precedente. Il denominatore comune di queste donne, come quello di tutto il popolo (cf. 7,21), lesperienza della cura che il Signore Ges si preso di loro: hanno lesperienza del dono e del perdono, quindi del maggior amore. Per questo amano di pi, come anche pi si sono sentite amate. li servivano dai loro proventi . Questamore di risposta a chi le ha amate per primo il motivo del loro stare con Ges e del loro servizio. Come legoismo si mostra nel servirsi dellaltro asservendolo, cos lamore si mostra nel servire laltro liberandolo dalle sue necessit. Questamore, pi che di parole, di fatti (vedi la donna di 7,36-50; 1Gv 3,18). Esso si estende anche a coloro che stanno con Ges, ai piedi di quel corpo di cui egli il capo. Cos si espande il buon profumo di Cristo (2Cor 2,14). Questo servizio rende materialmente possibile la vita agli altri dando del proprio, in conformit allimmagine donna-madre, che rappresenta lelemento necessario alla vita. Il loro servizio a Ges le porter ai piedi della croce e davanti al sepolcro (23,49.55ss), le far entrare in esso (24,3) e si trasformer in testimonianza del Risorto (24, 10), diventer preghiera per il dono dello Spirito (At 1,14) e si prolungher definitivamente nellaccoglienza dei fratelli, al formarsi della prima chiesa in Gerusalemme (At 12,12) e in Europa (At 16,15). Le donne sono strettamente associate ai Dodici, anche se distinte da loro. Stanno con Ges, come i Dodici, e... per di pi servono a loro spese, come Ges (cf. 22,27b). Infatti sono gi state curate da quei mali e da quegli spiriti cattivi che i discepoli ancora hanno e che impediscono loro di servire (cf. 22,24ss). Per questo, forse, a differenza di loro, stanno sul calvario e al sepolcro, presenti nella morte e

nella vita. Capovolgendo il finale del vangelo apocrifo di S. Tommaso, possiamo dire che ogni maschio che non diventa donna non entra nel regno dei cieli. Con i Dodici e con molte altre costituiscono la prima comunit della chiesa itinerante, che si lascia alle spalle un passato di paura e va libera per lannuncio. il nucleo di quella che per Luca la chiesa: un piccolo gregge, al quale il Padre si compiaciuto di donare il suo regno (12,32), Ges Cristo Signore. Questo nucleo porter Ges a incontrare tutte le genti, fino agli estremi confini della terra (At 1,8). Tutte le genti potranno trovarlo e riconoscerlo proprio in questo popolo piccolo e umile (Sof 3,12), dove regna lo Spirito di colui che ha detto: Io sono in mezzo a voi come colui che serve (22,27b). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges e i suoi che vanno per citt e villaggi annunciando il Regno. c. Chiedo ci che voglio: prendere coscienza del mio impegno apostolico: ogni credente con lui, inviato ai fratelli. d. Traendone frutto, contemplo la scena, fermandomi sulle singole parole. 4. Passi utili Sal 16; 84; Mc 3,13-19; Mt 13,44ss; Lc: 8,19-21; 11,27-28.

41. FECE FRUTTO CENTUPLO


(8,4-8)
4

Ora, convenuta una folla immensa, e accorrendo da ogni citt verso lui, disse per parabola: 5 Usc il seminatore per seminare il suo seme: e nel seminarlo una parte cadde lungo la strada e fu calpestato e gli uccelli del cielo lo divorarono; 6 e unaltra cadde gi sopra la pietra, e, germinata, dissecc per mancanza dumidit; 7 e un altra cadde in mezzo alle spine

e, concresciute le spine, la soffocarono; 8 e un altra cadde dentro la terra, quella buona, e, germinata, fece frutto centuplo. Dicendo queste cose gridava: Chi ha orecchi per ascoltare ascolti! 1. Messaggio nel contesto Nel c.6 rivelata la parola definitiva: Dio misericordia. Nel c. 7 accolta e fa frutti di salvezza mediante la fede. Il termine fede fa da cornice al c. 7 (7,9.50), rivolto ai pagani, che ignorano cosa sia. La fede appunto ascolto di tale parola. Questa un seme che germina, se accolto in un terreno sgombro. La parola che qui diventa seme, nel c. 9 fruttifica in pane di vita. In questo c. 8 c una pausa riflessiva di verifica sulla qualit della fede, ossia dellascolto della Parola. Data per sicura la bont del seme, com il terreno (cuore) che lo accoglie? La parola ascoltareobbedire la chiave di tutto il capitolo: Ges esige ascolto (vv. 8.10.12.13.14.15.18.21), come Dio che dice: Ascolta, Israele (Dt 6,4). A lui obbediscono il cielo e labisso (8,25), il male, la malattia, la morte (vv. 26-56). La potenza della sua parola introduce lentamente alla comprensione del suo mistero. La verit profonda di questa parola/seme sar identificata solo nel pane di cui ci si nutre per camminare fino a Gerusalemme (cf. 9,20ss). Per ora ci si sofferma sullascolto: il discepolo sapr ascoltare e obbedire a colui al quale tutto obbedisce? che effetto avr la sua parola potente su di lui? La parabola dellascolto (vv. 4-8) va letta insieme alla spiegazione della sua forma (vv. 9-10), del suo contenuto (vv. 11-15) e del come leggerla e trasmetterla (vv. 16-18). Il tutto incorniciato da due scene che ci presentano i veri parenti di Ges: sono quelli che stanno con lui, liberati dal male e capaci di servire (vv. 1-3), perch ascoltano e fanno la sua parola (v. 21). La vera parentela con Ges fondata sulla Parola, perch luomo diventa la parola che ascolta e perch Ges il Verbo del Padre. In questa parabola il lettore invitato a verificare la qualit del proprio ascolto, per vedere se vero discepolo e appartiene alla sua famiglia. La parabola dichiara da una parte lefficacia della parola di Dio, feconda oltre ogni speranza; daltra parte sottolinea le condizioni per accoglierla con frutto. Non che la sua efficacia derivi dalle condizioni che pone luomo: essa di per s sempre efficace; ma lascia libero luomo. Egli pu non rispondere ed essere causa dellinefficacia: se non pu renderla fruttuosa - lo gi di per s! - pu per renderla infruttuosa, perch non laccoglie. Il terreno non rende produttivo il seme, pu per impedirne la produttivit. Se quindi la Parola non feconda, siccome essa come il seme che di sua natura fruttifica, vuol dire che ci sono degli impedimenti e resistenze da rimuovere. Il v. 18 guardate dunque come ascoltate, gi preluso in 8b: Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti, dichiara bene il senso di tutto il discorso unitario di 8,4-21: si dice come ascoltare. un discorso che parla della Parola stessa, il cui frutto determinato dallascolto. Questo sta al fare come la radice ai frutti. C infatti una specie di circolarit tra ascoltare e fare: il primo causa del secondo, e il secondo inveramento del primo. fuori questione la buona qualit del seme, certezza acquisita al c.7; il frutto dipender dal terreno che accoglie il seme. 2. Lettura del testo

v. 4: Ora, convenuta una folla immensa. Lannuncio di Ges, che si accompagna ai suoi (vv. 1-3), efficace e raduna una gran folla. Rappresenta la chiesa stessa di Luca, raccolta dallannuncio, ora invitata a verificare la qualit del proprio ascolto, per essere tra coloro ai quali dato conoscere i misteri del regno di Dio e non fra quelli che ascoltando non intendono (v. 10). La parabola motivata dal fatto che una folla immensa si accalca attorno a Ges. necessaria una verifica, perch la fede non mai un fatto di massa! Ges non cerca successo distruggendo le persone e riducendole a massa. Vuole invece che la folla diventi popolo di Dio, nellascolto della sua parola. Il popolo suppone fra persona libera e aperta agli altri; la massa, contrario di popolo, nega la persona e suppone individui egoisti e chiusi in s. Per avere persone responsabili che formano un popolo Ges racconta questa parabola. vv. 5-7: Usc il seminatore, ecc.. Luca concentra lattenzione del lettore sul suo seme che il seminatore semina. Questo seme la parola di Dio (v. 11). Non usuale nellAT paragonare la parola di Dio al seme. Tale immagine particolarmente utile al lettore di origine pagana, per fargli comprendere la forza, la potenza e lefficacia vitale della parola di Dio, caratteristiche note al giudeo (cf. Is 55,10; Eb 4,12s). Il seme infatti una potenza di vita capace di crescere di per s; ha solo bisogno di essere accolto nella terra. Il seminatore Ges, che annuncia la parola di Dio, la sua semente che lui stesso. La semina lannuncio. Di Ges si dice che usc. ovvio che il seminatore esce di casa per seminare. Si allude forse a Ges che esce dal Padre, o al missionario che anche lui esce per annunciare altrove? O forse si allude alla semina della parola missionaria che esce dal campo di Dio, che Israele? Il terreno sono gli uditori dellannuncio. Anche se preoccupato dellaccoglienza, Ges non sceglie il terreno secondo criteri di opportunit: si rivolge a tutta la gente che viene a lui da ogni parte, per farne un popolo di ascoltatori. Si rivolge loro in forma piana e pedagogicamente efficace, perch verifichino la loro accoglienza dellannuncio. Circa la sorte del seme c una specie di crescendo, in cui sembra che la speranza di un esito positivo venga sistematicamente stroncata: dalla strada, dove non attecchisce, alla pietra, dove attecchisce ma non cresce; se poi per caso cresce, viene soffocata dalle spine. Questo quadro negativo, abilmente costruito, serve a mettere in risalto per contrasto il finale positivo. Come gi accennato, pu darsi che in questo testo si prescinda dal risultato della semina nel campo (Israele) e si parli piuttosto della sorte fortunata che, al di l di ogni difficolt, incontra il seme fuori dal campo (cf. 7,9 e 50). La parabola raccontata da Ges per indicare la certezza della riuscita della sua missione al di l di ogni insuccesso, viene applicata da Luca alla sua chiesa, per indicare il successo della Parola presso i pagani. Sono questi gli uditori che Luca richiama a esaminare la qualit del proprio ascolto. La spiegazione che segue la parabola, dal punto di vista dellautore, forma ununit con la parabola stessa. L vedremo quindi la comprensione esatta della parabola, come Luca intende proporla. v. 8a: un'altra cadde dentro la terra, quella buona, ecc.. capovolta lattesa negativa, che, per contrasto, non fa che sottolineare il successo insperato. La parabola afferma per prima cosa la certezza ottimistica di questo successo inatteso: speranza contro ogni speranza. da tenere presente che 7/1 il raccolto medio, 10/1 quello buono, 15/1 quello ottimo: 100/1 semplicemente incredibile e miracoloso, quello che ottiene Isacco perch Dio lo aveva benedetto (Gn 26,12)! Questabbondanza di frutti, prefigurata in Nm 13,23ss, propria del regno di Dio, quando un acino duva dar una coppa di vino. Luca sottolinea lefficacia e la fecondit della Parola: al di l di ogni difficolt, il frutto incredibilmente grande. Proprio con questa visione ottimistica termina lopera lucana: At 28,30s ci presenta Paolo che, in prigione, annuncia il Regno e fa conoscere il Signore con parrsa, senza impedimenti, accogliendo tutti!

Se il frutto certo e certamente abbondante, eventuali fallimenti sono imputabili non al seme, ma al terreno. Per questo importante verificare il proprio ascolto, laccoglienza al seme. Resta comunque sullo sfondo la certezza che, al di l delle difficolt, la Parola porta frutto. Proclamando questa speranza, si pu richiedere pressantemente la disponibilit ad ascoltare, in modo da essere occhi che vedono, orecchi che intendono, terreno buono che accoglie. La Parola cade, in quattro situazioni diverse: lungo la strada, sopra la pietra, in mezzo alle spine, dentro la terra, quella buona. Sono gi indicati i quattro tipi di ascolto che verranno spiegati (vv. 11-15). La terra buona, che accoglie ed feconda e fruttifica, da mettere in connessione con la donna e la casa (non del fariseo!), cio con la fede di colei che, avendo accolto pi amore, miete e dona in modo pi abbondante (7,36-50; cf. anche 7,9). Il seme inoltre, tranne il primo caso in cui la Parola sfiora solo luditore, germina sempre. Ma nel secondo caso c sotto la pietra. Manca lumore dellacqua e quindi inaridisce. Sar lo Spirito a toglierci il cuore di pietra e ad aspergerci di acqua pura (cf. Ez 36,25ss); Dio inoltre sa mutare le pietre in sorgenti di acqua (Sal 114,8) e suscitare figli di Abramo anche dalle pietre (3,8; cf. 13,28; 14,16-24)! Nel terzo caso invece ci sono le spine, che soffocano e impediscono il frutto. I triboli e le spine, prodotti dalla vigna infedele che non accoglie la Parola (cf. Is 5) sono i frutti della disobbedienza (cf. Gn 3,17ss) che Ges riparer con la sua obbedienza di servo. Solo nel quarto caso il seme produce frutto. Questo non significa che solo la quarta parte del seme produttiva: si descrivono i tre insuccessi per rilevare per contrasto il successo finale. Il senso primo della parabola quindi quello di non scoraggiarsi degli insuccessi: anche se solo una parte del seme attecchisce, il frutto abbondante e remunerativo. Come nella creazione, cos anche nella redenzione Dio prodigo. Prodigo in tutto, fino allo spreco... solo perch non ha figli da sprecare e fa tutto per loro! Il risultato di cui parla Luca non quello finale, quando la messe viene posta nei granai del cielo (cf. Mt 13,30); bens quello storico, qui e ora, dellaccoglienza fruttuosa della Parola. Analogamente a 6,43ss, il frutto di cui si parla la buona vita, abbondante di misericordia, di cui il credente ricco. Qui si mostra la condizione prima di questo frutto, che lascolto. Al v. 15 si specificher che il terreno il cuore bello e buono, la crescita custodia della Parola e la maturazione la perseveranza. Resta sullo sfondo senzaltro anche la mietitura, pur se non esplicitata. Questa parabola esprime lottimismo teologico di Luca, che fu gi di Ges, nellefficacia dellannuncio. In Luca questa parabola un abbozzo di storia della missione, aperta ai confini del mondo, contrassegnata dalle tappe di crescita della comunit che Luca ama annotare (cf. At 2,41.48; 4,4; 5,14; 6,1.7; 9,31; 11,21.24; 13,48s; 16,5; 19,20). Non per trionfalismo, ma per un motivo teologico. La crescita segno dellautenticit del seme, che la parola di Dio viva ed efficace, che non pu non portare frutto (cf. Is 55; Eb 4,12s). Senza crescita e maturazione, la chiesa non sarebbe frutto di questo seme. Per questo la chiesa necessariamente missionaria e, ovunque annunciato il Regno, ognuno si sforza per entrarci (16,16), perch salvezza per tutti. Se il senso primo della parabola questa promessa di speranza, Luca, soprattutto nella spiegazione, sottolinea un secondo aspetto, che per non secondario: la necessit di convertirsi per accogliere la Parola. Bisogna essere terreno buono per portare frutto! quindi un incoraggiamento missionario per la chiesa: vada tranquilla ad annunciare, perch la Parola ha lefficacia del seme e della benedizione di Dio che non viene meno. Il frutto sicuro. Per questo ci si impegni, senza badare a costi e difficolt. Tuttavia labbondanza dei frutti legata a un impegno di conversione per accogliere la Parola. Il discorso kerigmatico si salda con un conseguente discorso etico. Diversamente il primo resterebbe sterile e deresponsabilizzante, mentre il secondo diventerebbe moralismo disperante. v. 8b: Dicendo queste cose gridava. Ges gridava: ha cominciato e non ancora finito di gridare linvito ad ascoltare in modo da comprendere; e il suo grido di allora giunge fino a noi. Gli sta a cuore

che i suoi uditori non abbiano un ascolto di striscio (strada), superficiale (pietra), o affogato da mille faccende (spine). Ges grida poche volte. In questo capitolo grider lordine del risveglio alla figlia morta di Giairo (v. 54); pi innanzi grider sulla croce la sua fiducia al Padre oltre la morte (23,46). Si grida per vincere un assordamento da altre voci. Il grido di Ges sempre in rapporto a momenti decisivi, in cui questione di vita o di morte. Infatti lascolto della Parola, consegnata alla folla, questione di vita e di morte (cf. Dt 30,15-20). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando le folle che accorrono per ascoltare Ges. c. Chiedo ci che voglio: conoscere e vincere la mia resistenza interna ed esterna allascolto. d. Medito sulla parabola, considerando le difficolt che il seme incontra e il frutto insperato che porta. Da notare: - folla immensa - seminatore - semina - seme - strada/calpestato, uccelli - pietre/dissecca - spine/soffocano - terra buona/frutto centuplo - chi ha orecchi per ascoltare ascolti. 4. Passi utili Sal 65; 126; Is 55,1-11; 1Ts 2,15; 1Pt 1,22-25.

42. A VOI STATO DATO DI CONOSCERE I MISTERI DEL REGNO DI DIO


(8,9-10)
9

Ora lo interrogavano i suoi discepoli che fosse questa parabola. 10 Ora egli disse: A voi stato dato conoscere i misteri del regno di Dio. Agli altri invece

in parabole, cos che guardando non guardano e ascoltando non intendono. 1. Messaggio nel contesto Dopo aver raccontato la parabola, Ges spiega perch parla cos. un modo particolare di proporre la verit. Se importante che sia detta, altrettanto importante che sia comprensibile. Questo vale particolarmente quando si tratta di verit rivelate, che non possono essere scoperte da chi le ricerca senza che nessuno gliele dica. La Parola, che riunisce e forma i discepoli nellascolto, ha una duplice dimensione. Una lannuncio missionario che porta alla fede e rende discepolo; laltra listruzione successiva che nutre e fa crescere fino a portare frutti abbondanti e maturi. La stessa Parola che nellannuncio fonda la chiesa, nellistruzione successiva la mantiene viva e feconda. Oltre quindi la Parola allinterno, c sempre anche quella allesterno, missionaria. Questa nasce dalla chiesa e fa nascere ovunque la chiesa, annunciando a tutti la salvezza. Mentre listruzione interna porta alla gnosi dei misteri del regno di Dio (v. 10), lannuncio esterno ne suscita la curiosit. Questo fatto in parabole, perch le parabole, dicendo in modo velato la verit, stuzzicano lappetito di una gnosi pi profonda. La parabola infatti presenta un racconto breve di esperienze note, caricate emotivamente di allusioni misteriose ad esperienze ignote. Parlando daltro, parla dellAltro, stimolando il desiderio di conoscerlo. Il linguaggio parabolico di per s tipico della comunicazione di esperienze religiose: dice non dicendo e fa vedere velando ci che per s non pu essere direttamente ascoltato e visto. Da qui nasce la conoscenza contemplativa, che direttamente ineffabile, perch oggetto diretto di esperienza. Pu appunto essere detta solo indirettamente mediante parabole. Queste sono quindi un primo accostamento velato e confuso a quello che lascolto e la visione distinta dei misteri. Loscurit voluta e necessaria della parabola pone linterrogativo e desta linteresse per una conoscenza pi profonda di tipo esperienziale. 2. Lettura del testo v. 9: Ora lo interrogavano i suoi discepoli . I discepoli domandano. importante, perch senza domanda non c risposta. Ed importante domandare in modo corretto. La domanda infatti precontiene la risposta, che necessariamente risponde a quella domanda! Il senso della parabola proprio suscitare la domanda desiderata. Essa, mostrando senza far vedere e dicendo senza far capire, particolarmente adatta ad aprire al desiderio di vedere e di ascoltare. Solo a chi domanda e ascolta debitamente la risposta concessa la conoscenza. Il passaggio dallessere folla allessere discepolo, dagli altri al voi del v. 10, frutto di questa interrogazione. Discepolo colui che, rispondendo allinterrogazione, interroga e interpella, in un dialogo sempre aperto: Rispondimi e ti risponder. Il chiedere la vera risposta delluomo, che si sente interrogato e non sa che rispondere, se non dichiarando la propria capacit ad ascoltare la rivelazione. Questo circolo ascolto-interrogazione-ascolto della Parola costituisce il discepolo, che resta sempre uditore interrogato e interrogante della Parola. v. 10: Ora egli disse, ecc.. Ges, prima di rispondere alla domanda dei discepoli (vv. 11-15), dice il motivo per cui parla in parabole. Prima pone una distinzione tra un voi ecclesiale e gli altri che non capiscono. Si sottolinea la necessit di entrare in questa dimensione interna comunitaria per capire ci che si guarda e si ascolta. La parabola ha la funzione di stimolare luditore a questo, rispettandone la libert.

Questi voi sono quelli dei vv. 2.3.8.15.21: stanno con Ges, sono buon terreno perch ascoltano con cuore bello e buono, custodiscono e fruttificano nella perseveranza, ascoltano e fanno la sua parola, sono cio la sua vera famiglia. A questi voi donato da Dio di conoscere i misteri del regno di Dio. Luca non dichiara qui cosa sono questi misteri. Li conosce solo chi interroga Ges ed entra in dialogo con la sua parola. I discepoli hanno in dono una gnosi che gli altri non hanno. Questi altri vedono la vetrata come dal di fuori. Devono entrare e far parte di questo voi per vederla. La chiave per entrare in questa conoscenza era stata sequestrata dagli scribi che, senza entrarci, ne impedivano laccesso (cf. 11,52). Ges vi ha gi introdotto i suoi discepoli. Gli altri, proprio perch guardano senza vedere e ascoltano senza capire, sono stimolati a entrare per comprendere e vedere. Le parabole in Luca non hanno quindi come in Marco la funzione di tener chiusa la verit a chi non la vuole (Mc 4,11s). Svolgono invece la funzione di un annuncio iniziale che apre alla verit, suscitando il desiderio di interrogare. La parabola infatti di per s non trasparente. Rappresenta un enigma, un indovinello che smuove luomo e lo mette in prospettiva di ricerca: porta naturalmente a chiedere e ad ascoltare. linizio della conversione, fino a quando si fa parte di quel voi, al quale sono rivelati i misteri. Se Marco 4,11s con le parabole denuncia la cecit degli ascoltatori per portarli a conversione, Luca, con le medesime parabole, intende guarire tale cecit per lo stesso intento. Nella prospettiva di Luca la parabola pu essere intesa come una prima luce nella notte: un annuncio missionario, che invita il pellegrino a entrare nella casa, dove luce piena! 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il luogo dove Ges spiega ai discepoli le parabole. c. Chiedo ci che voglio: essere tra quelli che si lasciano interrogare, interrogano e ascoltano la Parola, per entrare nel mistero di Ges. d. Punti su cui riflettere: - i discepoli interrogano - Ges risponde - a voi dato conoscere - il mistero del regno di Dio - agli altri in parabole - guardando non guardano - ascoltando non intendono. 4. Passi utili Sal 32; 19; Is 6,9s; 29,9-12.

43. IL SEME LA PAROLA DI DIO


(8,11-15)
11

Ora questa la parabola: il seme la parola di Dio. 12 Or quelli lungo la strada sono quanti ascoltano, dopo giunge il diavolo e toglie la parola dal loro cuore, perch, credendo, non siano salvati. 13 Or quelli sopra la pietra sono quanti, quando hanno ascoltato, con gioia accolgono la Parola, ma non hanno radice perch per un momento credono e nel momento della tentazione sallontanano. 14 Ora quello caduto nelle spine, sono quanti ascoltano e sotto preoccupazioni e ricchezza e piaceri della vita sono soffocati per via, e non portano a maturazione. 15 Ora quello nella terra bella, sono quanti ascoltano in un cuore bello e buono, trattengono la Parola e fruttificano in perseveranza. 1. Messaggio nel contesto Alla spiegazione del linguaggio in parabole, segue la spiegazione della parabola stessa. riservata a coloro ai quali dato conoscere i misteri del regno di Dio (v. 10). Questi si identificano con Ges, la Parola di morte e risurrezione, il seme che conosce insieme fallimento e successo. La legge della croce come via alla gloria vale tanto per Ges che per il discepolo che lo segue (cf. 9,23ss). Gi nella prima persecuzione che subisce, la chiesa capisce la propria storia come una e identica con quella del suo Signore, al quale associata (cf. At 4,27ss). Tale intelligenza dei misteri del Regno la fonte del coraggio per continuare a credere e ad annunciare al di l di ogni difficolt. Questi misteri vengono dichiarati velatamente, attraverso il destino che la Parola incontra, che lo stesso del chicco di grano che se non muore non porta frutto (Gv 12,24). Questa interpretazione della parabola racconta la storia teologica dellannuncio missionario e ha un duplice intento. Da un parte la comunit capisce i suoi insuccessi alla luce della morte/risurrezione, senza scoraggiarsi. Daltra parte, siccome la Parola necessariamente efficace, la chiesa pu verificare

dai frutti la qualit del proprio ascolto. Infatti, se la Parola il seme, luomo che ascolta il terreno che accoglie. Allora il frutto, scontata la bont del seme, sar proporzionale alla docilit dellascolto. 2. Lettura del testo v. 11: Ora questa la parabola, ecc. . La spiegazione tralascia seminatore e semina. Concentra lattenzione sul seme suo del v. 5, che la parola di Dio. Si tratta della parola di misericordia di 6,27-38, che ci fa diventare figli dellAltissimo (6,35s). Il destino di questo seme, certamente buono e fecondo perch il suo, dipender dallaccoglienza che incontra: frutter dove trover buon terreno. Si pu qui parlare di una scivolata moralistica, in cui si fa dipendere il risultato dallascolto delluomo pi che dallefficacia della Parola che opera nella fede? No certamente! Non si tratta di contrapporre uomo e Dio, Parola e accoglienza, bens di combinarli: la fede proprio la Parola accolta, luomo che accetta Dio. Luca molto cattolico: in lui tutti gli o diventano e. Siccome certamente Dio e la sua parola sono buoni, il problema reale quello delluomo: che fare (cf. 3,10) per accogliere nella fede quanto Dio ci dice? Come infatti il terreno pu impedire lo sviluppo del seme, luomo pu non rispondere alla Parola e renderla sterile con le sue resistenze. Se lascolto non porta frutto, ci non si pu certamente imputare alla sterilit della Parola, bens alla cattiva accoglienza. Bisogna quindi verificare la qualit del nostro ascolto. v. 12: Or quelli lungo la strada, ecc.. interessante notare come il seme ora viene fatto coincidere non pi con la Parola, ma con la persona stessa e il modo in cui lo accoglie. Quasi a suggerire che la verit di una persona il suo grado di accoglienza della Parola. Infatti lidentit di uno il frutto che porta in lui la parola di Dio, perch uno diventa la parola che ascolta. Luca prende davvero sul serio la capacit che ha luomo di prestare ascolto alla Parola: un dono che Dio fa a chiunque oda lannuncio. Diversamente lannuncio non avrebbe senso e, invece che salvezza, sarebbe condanna! Nonostante tutte le difficolt che vengono enumerate e coscienziosamente smascherate - sono le resistenze che il nemico pone nel cuore delluomo - da supporre in tutti gli uomini la disponibilit a credere. Non solo il seme buono, ma al di l di tutto, il frutto sar insperatamente grandissimo, perch di tutte le belle promesse che il Signore aveva fatte alla casa di Israele, non una and a vuoto: tutto giunse a compimento (Gs 21,45). Quelli lungo la strada sono coloro che vivono nella superficialit e banalit, nellovviet del si dice e del si fa. la via che tutti percorrono come strada maestra di vita. il buon senso comune, che tuttaltro che neutro nei confronti di Dio. Infatti: I miei pensieri non sono i vostri pensieri; le vostre vie non sono le mie vie (Is 55,8). Su questa via vola di continuo il principe dellaria (Ef 2,2), nelle cui mani posto ogni potere (4,6) e che ha la sua ora proprio in quel momento di passione in cui si accoglie la parola di Dio per compierne la volont (cf. 22,53). il diavolo pu entrare nel cuore delluomo (22,3) e riempirlo (At 5,3). Non uccide la Parola ma pu sottrarla a chi lha accolta e occupare il posto lasciato libero da essa con i suoi dialoghismi di incredulit. Per rubarla si serve del fiume sempre scrosciante e assordante delle parole delluomo, che scaturisce dalle sue certezze-paure. La vera funzione del diavolo in Luca quella di distogliere dallascolto della fede. Ha tentato di farlo anche con Ges nel deserto (4,1ss). Suo intento togliere la Parola che porta alla fede e quindi alla salvezza (cf. 7,50). Qui si sottolinea solo lazione del diavolo, paragonato agli uccelli. Si tace lazione degli uomini che la calpestano, passando per via. Questo infatti il modo pi comune con il quale il nemico agisce, usando il pensiero delluomo, che di sua natura mosso dallinteresse e dalla diffidenza. Tale diffidenza gi di per s diabolica: distoglie dalla fede in Dio, centrando su di s, per sfiducia, ogni fiducia. Questa prima categoria di uomini neanche accolgono la Parola, a differenza delle successive. Accogliere la Parola significa lingresso nella fede (cf. At 8,14; 11,1).

v. 13: Or quelli sopra la pietra, ecc.. Quelli che hanno ascoltato, con gioia accolgono, ma non hanno radice, sono quelli sulla pietra. Questa pietra il nostro cuore. Solo lo Spirito lo pu cambiare in cuore di carne, capace di vivere e rispondere alle pulsioni dello Spirito che vita (cf. Ez 36,26s). Questo cuore di pietra - la chiusura delluomo nel suo egoismo - non subito visibile: viene a nudo quando il torrente delle contrariet lava via la piccola copertura di bont. Per questo possibile una fede a scadenza: Per un momento credono e nel momento della tentazione si allontanano. Non che Luca esponga unipotesi teorica. Il rischio costante, cui esposta la comunit, quello di cadere nella prova. Per questo si dovr chiedere lo Spirito santo (11,9-13) e pregare con insistenza (18,1ss). La sussistenza o meno della fede alla venuta del Figlio delluomo proprio legata alla preghiera incessante, per ottenere il dono dello Spirito. La prova in Luca non tanto la tribolazione finale, quanto la sua rateizzazione storica, la croce quotidiana di chi lo segue (9,23). Quel diavolo, che si scaten con Ges nel deserto e si ritir fino al tempo della passione (4,13; 22,53), sempre allazione come tentatore nelle difficolt del discepolo che ne segue il cammino di passione. v. 14: Ora quello caduto nelle spine, ecc.. Il nemico vuole assolutamente che non si giunga alla fede che salva. Quando non gli riesce di impedirlo, intervenendo in modo duro nel tempo della prova, lo fa intervenendo in modo blando: strada facendo soffoca la Parola, servendosi dei suoi alleati che sono in noi. un soffocamento progressivo del quale c quasi il pericolo di non accorgersi. Il suo primo alleato sono le preoccupazioni e laffanno, lansia e linquietudine, anche per le cose buone! In 10,41 si contrappone Marta, che ha come principio dazione le proprie buone preoccupazioni, a Maria, che ha come principio lascolto, la calma e la fiducia della fede. Le preoccupazioni cui obbediamo stanno allorigine delle nostre occupazioni. Sono sorgente dellazione nostra e, in verit, altro non sono che le mille voci del serpente cui obbediamo invece di obbedire a Dio e aver fiducia in lui. Laffanno-paura in tutta la Bibbia la spia della non-fede. Soffoca la vita, che lobbedienza a Dio (cf. Is 57,20s). Il secondo alleato la ricchezza. In Luca molto forte la tensione verso la povert, volto concreto della fede e della carit, perch porta a fidarsi del Padre e condividere con i fratelli (cf. 11,41; 12,33s; 14,33; 16,13; At 2,44; 4,32.34 ... ). Il terzo alleato costituito dai piaceri della vita (cf. 12,45; 14,15ss). Luca particolarmente sensibile a ci che bello e piacevole, dal vestito alla mensa e agli onori. Per questo insiste assai sullumilt di Cristo. Questi sono i punti deboli delluomo, le nostre facili alleanze con il nemico (cf. le tre concupiscenze di 1Gv 2,16). Mentre nelle tentazioni Ges va fino in fondo (4,13), noi corriamo il rischio di perderci per le nostre paure e per i nostri desideri, alleati del nemico. v. 15: Ora quello nella terra bella, ecc.. Le condizioni per accogliere la Parola con frutto sono il cuore bello e buono. propria di Luca questa traduzione evangelica dellideale greco, trasposto nel cuore delluomo. Il cuore la capacit interna e vitale di accogliere la Parola: bello perch si adorna di essa e la custodisce (cf. 1Pt 3,3s), buono in quanto porta frutto mediante la perseveranza, soprattutto nei momenti di prova. Il centuplo del frutto legato a questo ascoltare, trattenere e perseverare quotidiani a tutta prova. Esso la gnosi dei misteri del Regno (v. 10a) e corrisponde alle 10 mine che tutti i servi ricevono (19,13). il frutto dellascolto della parola del Signore, che porta il credente a riverberare sul proprio volto la luce del Padre di misericordia che Ges ha rivelato in 6,27-38. Ci fa partecipare della sua stessa famiglia (v. 21) e ci inserisce nel dialogo misterioso di esultanza tra Figlio e Padre (10,21s). Concludendo: se questi frutti non ci sono, scagionata lefficacia del seme, bisogna ricercare e individuare e smascherare le resistenze specifiche che poniamo allaccoglienza della Parola. Inoltre, nonostante difficolt e insuccessi, ci si pu impegnare con fiducia nellannuncio della Parola, perch certamente produrr frutto: seme di Dio. Egli stesso ne garantisce la crescita (cf. 1Cor 3,7b).

3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che spiega la parabola ai discepoli. c. Chiedo ci che voglio: un cuore bello e buono; le paure, le difficolt, la presunzione e i desideri mondani non lo rendano impermeabile, incostante e distratto nellascolto. d. Considero ogni parola del brano, riferendola a me. 4. Passi utili Sal 107; Gc 1,19-27; 1Gv 2-15s.

44. GUARDATE DUNQUE COME ASCOLTATE


(8,16-18)
16

Ora una lampada accesa nessuno copre con un vaso, o pone sotto il letto, ma pone sopra il lucerniere perch quanti entrano vedano la luce. 17 Poich non c cosa nascosta che non diverr manifestata, n occulta che non sar conosciuta e venga allo scoperto. 18 Guardate dunque come ascoltate: poich a chi avr, sar dato e a chi non avr, anche quanto crede di avere sar tolto. 1. Messaggio nel contesto Nei vv. 9-10 si spiega come le parabole siano un primo approccio di annuncio missionario; pongono linterrogativo e sono uno stimolo per domandare ulteriormente e cos conoscere i misteri del Regno. Nei vv. 11-15 si descrivono le difficolt che la Parola incontra e che le impediscono di fruttificare. Ora

si dice come lasco1to della Parola sia una luce che accende il discepolo, perch faccia luce a chi ancora nelle tenebre: lui stesso ha il compito di aiutare gli altri a compiere il passo di entrare nella cerchia del voi ecclesiale di cui Ges parla al v. 10. la coscienza missionaria della chiesa di Luca. Prima la Parola era un seme, forza vitale spontanea che richiama la necessit del buon terreno. Ora essa luce, naturale necessit di illuminare gli altri. Chi ha realmente accolto la Parola, acceso da essa e la trasmette agli altri. Queste parole sono rivolte ai discepoli perch, dalla loro effettiva testimonianza, possano verificare se hanno davvero accolto la Parola. La coscienza missionaria in Luca affiora di continuo, con una stretta connessione tra identit del credente e rilevanza della sua testimonianza: nella misura in cui uno accoglie la Parola ne illuminato e fa luce agli altri. La missionariet della chiesa un fatto naturale come per la luce illuminare. Se non illumina, non luce. In quanto luce in grado di portare gli altri a entrare nei misteri. Cristo Ges, luce del mondo (Gv 8,12), ha acceso il suo fuoco nei discepoli: divamper fino agli estremi confini della terra. 2. Lettura del testo v. 16: Ora una lampada accesa, ecc.. Ges, luce da luce, la luce del mondo (Gv 8,12). Il discepolo la lampada accesa a tale luce. Egli venuto a portare un fuoco, e desidera che sia acceso (12,49). Divamper a pentecoste e sar lamore reciproco Padre/Figlio donato agli uomini che lo accettano (cf. 10,21s). Questo fuoco strettamente connesso con lacqua del battesimo, la morte in cui Ges ci apre il mistero del suo amore. Il discepolo la lucerna accesa a questa luce: mediante lascolto e lobbedienza giunto alla gnosi dei misteri. Egli gi stato illuminato per il battesimo. Anche se in un vaso di argilla, ha gi questo tesoro, che non deve essere nascosto. La mia debolezza non sia un pretesto per occultarlo, bens mezzo per manifestare che tale potenza viene da Dio (2Cor 4,7). Nulla mi esime dal donare ci che mi stato donato. Se non dono, neanche ho ricevuto - cos come la lucerna che non illumina non accesa. Per questo Paolo dice Guai a me se non predicassi il vangelo (1Cor 9,16). Se ho conosciuto il mistero di Dio, non posso non rivelarlo, come la luce non pu non illuminare. Ruggisce il leone, chi mai non trema? Il Signore Dio ha parlato, chi pu non profetare? (Am 3,8). La mia fragilit stessa non far altro che evidenziare maggiormente la potenza del vangelo (cf. 1Cor 2,1-5): quando sono debole, allora sono forte (2Cor 12,10). Il dono non pu neanche essere nascosto sotto il letto, chiuso nella mia intimit. Tanto meno va nascosto sotto il letto della mia pigrizia e del mio peccato che mi tiene bloccato. La luce, una volta accesa, non va occultata, ma deve illuminare tutti. Tra laltro la lucerna non si preoccupa di illuminare: basta che bruci! Per questo la chiesa in Luca si autocomprende come necessariamente missionaria. Un buon commento a questo versetto, carico di tensione missionaria, il libro stesso degli Atti: accesi allinizio dal fuoco della pentecoste, i discepoli porteranno questa luce fino agli estremi confini della terra. Paolo, che pure si sente un vaso di argilla (cf. 2Cor 4,7; 1Cor 2,1ss), invece di nasconderla, un vaso di elezione che porter dinanzi ai popoli, ai re e ai figli dIsraele il nome di Ges, che gli mostrer quanto dovr soffrire per lui (At 9,15). Nel condividere la morte di Cristo (2Cor 6,4-10) e completare in s ci che ancora manca alla sua passione (Col 1,24), il discepolo manterr acceso il fuoco. Cos sar, come il suo maestro, posto sul lucerniere, da cui far luce a tutti gli uomini. Lesperienza bruciante dei misteri, che si fece urgenza per Ges (12,49) e per Paolo (cf. 2Cor 5,14), si fa esigenza di annuncio per la chiesa. Questo non qualcosa di aggiunto, anche se naturale, come la parola alla bocca. essenziale, come la luce al fuoco. Se non c luce, manca il fuoco! Se la chiesa non si sente missionaria, il suo ascolto non stato tale. Per questo bisogner sempre guardare a come si ascolta. Lapostolicit e lurgenza di testimonianza una caratteristica di Luca. Egli cattolico, universale, con la preoccupazione di non escludere nessuno. Proprio per questo, concede il privilegio

allescluso e al nemico. Dove non c questo spirito, non c luce n fuoco: non c ancora stato un ascolto fruttuoso. Lurgenza di testimoniare e leffettivo far luce sono la spia attraverso cui vediamo come abbiamo ascoltato. Ulteriore prova di questo taglio missionario, tipico di Luca, che, mentre Matteo parla di far luce a quelli che sono nella casa, Luca parla di quanti entrano: sono quei lontani che, attratti dalla luce, entrano nella chiesa e accoglieranno prima lannuncio in parabole e poi la spiegazione dei misteri del Regno. v. 17: Poich non c cosa nascosta, ecc.. Ci che nascosto sono ovviamente i misteri del Regno, che, come ai discepoli (v. 10a), cos devono essere rivelati anche agli altri (v. 10b). Questi ancora guardano ma non vedono, ascoltano ma non intendono, perch hanno solo il primo annuncio in parabole. Lenigma delle parabole e la luce che emana da chi gi entrato, li invita a entrare in un ascolto pi profondo. Dentro la casa c luce e si vede lamore mutuo del Padre e del Figlio, nel quale il discepolo introdotto (cf. 10,21s). Questo il grande segreto rivelato, anche se resta sempre misterioso! La comprensione di esso sar frutto del lento cammino di ascolto della Parola. Paolo parla di un mistero nascosto, rivelato nellannuncio del vangelo, che deve essere scandagliato in tutta la sua ampiezza, lunghezza, altezza e profondit, per conoscere lamore di Cristo che supera ogni conoscenza ed essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio (Ef 3,18). Dallannuncio che svela il mistero, bisogna arrivare a una conoscenza sempre pi profonda del mistero stesso. Luca sottolinea la progressivit di questo cammino, dicendo che ci che nascosto diverr manifesto e che ci che occulto giunge alla luce. In un divenire e giungere progressivi, tutti siamo introdotti in quella gnosi che ci rende familiari di Dio. v. 18a: Guardate dunque come ascoltate. il fulcro del brano. Per non guardare senza vedere e ascoltare senza capire, bisogna guardare a come si ascolta. Questa riflessione tematica sullascolto necessitata anche dallurgenza di illuminare gli altri che devono entrare. Da fuori essi devono poter vedere nella nostra vita la verit di ci che ascoltano dalla nostra bocca. Solo cos possono entrare! Sia per noi che per gli altri, dobbiamo verificare il nostro ascolto: la nostra lucerna accesa, secondo il comando del Signore (12,35)? La testimonianza riporta allautenticit. Ci che sei fa da cassa di risonanza a ci che dici. La vera rilevanza la tua identit: questa pu confondere, smorzare, imbruttire o falsare il tono del canto che Dio rivolge alluomo. C stretta connessione tra annuncio e vita di chi annuncia: questi sempre martire, testimone nella sua vita della Parola che porta. Per illuminare, devo essere acceso! Se non illumino, non sono acceso; e se non sono acceso, non illumino. C una circolarit tra autenticit di vita e annuncio efficace: se la mia fede genuina, il mio annuncio fa luce; se il mio annuncio fa luce, la mia fede genuina. Certamente eretico affermare che lefficacia della Parola causata dalla fede di chi la proclama. Ma certamente da ritenere, sulla parola e sullesempio del Signore, che la testimonianza di vita del credente ha valore di sacramento di salvezza per gli altri. Guai a separare annuncio e testimonianza. Il problema unico dellannuncio quello della testimonianza (cf. 9,1ss; 10,1ss). Se la candela brucia, illumina. Non che la nostra testimonianza abbia il potere di rendere credibile la Parola: essa efficace per s, perch un seme. La nostra contro-testimonianza ha per il potere di renderla incredibile e di impedire lefficacia del seme, rovinando il terreno. Per questo la chiesa missionaria di Luca richiamata a guardare come ascolta. v. 18b: a chi avr, ecc.. Dice un proverbio popolare: Chi ricco, arricchisce, chi povero impoverisce oppure: Piove sempre sul bagnato. Pi uno apre il cuore ad accogliere, pi colmato e pi ne sazio, pi ne ha fame. Chi chiude il cuore alla Parola, non sa quel che perde: la rende infeconda e non la desidera, perch non ne ha mai sperimentato la dolcezza.

Luca quindi, dopo aver richiamato lattenzione sulla missione come testimonianza verso gli altri, richiama di nuovo lattenzione sulla propria accoglienza alla Parola: laccento torna da ci che dici a ci che sei. E sei nella misura in cui ascolti la Parola con cuore bello e buono. Per una circolarit, tipica delleconomia del dono che un circuito che si autoalimenta, se vero che a chi ha sar dato, anche vero che, a chi non ha, tolto anche ci che pensa di avere. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges attorniato dai discepoli, che sono invitati a verificare il loro ascolto. c. Chiedo ci che voglio al Signore: fare della sua Parola il centro della mia vita. d. Medito sulla qualit del mio ascolto e della mia testimonianza agli altri. Da notare: - lampada accesa - vaso/lucerniere - letto/lucerniere - quelli che entrano - nascosto/manifesto - occulto/conosciuto, scoperto - guarda come ascolti - a chi ha sar dato - a chi non ha, ecc. 4. Passi utili Sal 119: tutto una testimonianza dellamore per la Parola, che Ges Cristo.

45. MIA MADRE E MIEI FRATELLI


(8,19-21)
19

Ora si avvicin a lui la madre e i fratelli di lui, e non potevano incontrarlo a causa della folla. 20 Ora gli fu annunciato: Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori, e vogliono vederti. 21 Ora egli rispondendo disse a loro:

Mia madre e miei fratelli sono quelli i quali ascoltano e fanno la parola di Dio. l. Messaggio nel contesto Si conclude il discorso sullascolto della parola di misericordia, mostrandone il frutto: ci rende madre e fratelli di Ges, generatori e consanguinei di colui che la Parola stessa del Padre misericordioso. Entriamo nel numero dei discepoli (vv. 1-3), che conoscono i misteri (v. 10), siamo terreno fertile (v. 15). Lascolto ci fa diventare madre e fratelli di Ges: madre in quanto, accogliendo la Parola come Maria, lo Spirito ce la fa concepire; fratelli in quanto, facendola, siamo trasformati in lui, ascoltatore e figlio del Padre. Lascolto operativo ci fa entrare in seno alla Trinit e partecipare con Ges al mistero del suo rapporto con il Padre (cf. 10,21s). Lappartenenza alla famiglia di Ges non si fonda su privilegi di sangue riservati a pochi: aperta a tutti, perch fondata sullaccoglienza alla Parola. In Mc 3,20s e Gv 7,5 la famiglia terrena di Ges portata come modello della resistenza della carne allo Spirito. In Luca invece come modello di passaggio dalla carne allo Spirito, per diventare quel buon terreno che accoglie la Parola. Maria infatti prototipo del vero discepolo e della chiesa. Essa beata perch crede (1,45) e la sua vera maternit consiste nellessere ascoltatrice e fattrice della Parola (11,27). Essa rappresenta il passaggio pasquale che Luca propone al lettore gi battezzato: gi appartiene a Cristo - uno dei suoi per sempre! - e, come Maria, desidera avvicinarsi a lui per vederlo. Limportante non essere tra coloro che mangiano e bevono al suo cospetto (13,26), bens passare come lei da una parentela fisica a una fondata sullascolto e la pratica della Parola. Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo pi cos, bens secondo lo Spirito (2Cor 5,16). Per tre volte, una volta per versetto, si nominano madre e fratelli, indicati come i suoi dal cronista (v. 19), i tuoi dagli interlocutori anonimi (v. 20), i miei da Ges (v. 21). Chiaramente il problema di questa maternit-fraternit, fondata sullascolto fecondo della Parola. Matteo si rivolge a una comunit di origine giudaica attenta allascolto ma poco alla pratica: per questo insiste di pi sulla pratica. Luca invece insiste su ambedue; accentua per lascolto, perch ha davanti una comunit alla quale lascolto meno familiare, per la sua origine pagana: in esso che si capisce e concepisce chi parla nella sua Parola. 2. Lettura del testo v. 19: Ora si avvicin a lui la madre, ecc.. A differenza di Mc 3,21 la visita non ha un motivo negativo: prenderlo perch pazzo! Dal testo si pu dedurre che la visita ha un motivo positivo: il desiderio di incontrarlo per vederlo. Ora in Luca questo il desiderio portante del discepolo. Marco, rivolgendosi al catecumeno, presenta il passaggio che tutti, compresi i suoi secondo la carne, devono compiere per giungere alla fede: uscire dalla mentalit carnale che considera stolto il pensiero di Dio, non sequestrare Ges nel pensiero delluomo. Luca, rivolgendosi al battezzato, invita al passaggio da una fede imperfetta a una parentela sempre pi autentica con Ges, mossa dal desiderio di incontrarlo e di vederlo. Tale desiderio sar soddisfatto in una comprensione sempre pi profonda e operativa della sua parola di misericordia. non potevano incontrarlo. I suoi parenti si avvicinano a lui. Ma per incontrarlo non basta essere dei suoi. Qui viene detto il motivo per cui non lo incontrano: tra lui e i suoi c di mezzo la folla. la

folla degli estranei rispetto ai suoi, i quali in realt risultano essere i veri estranei, perch stanno fuori (v. 20). La folla invece, anche se Luca non lo dice espressamente a differenza di Mc 3,34, sta con lui per ascoltarlo e seguirlo. I parenti quindi (e Israele stesso), se vogliono incontrarlo, devono entrare (cf. v. 16) in questa folla di discepoli che per loro sono estranei, ma che in realt sono i veri parenti, perch lo ascoltano e gli obbediscono. Si contrappone una parentela secondo lo Spirito a una secondo la carne. Questa una buona notizia per tutti gli estranei, peccatori o lontani che siano, quali sono chiamati a essere di casa con Dio nella sua misericordia. Ma questa buona notizia, da Giona in poi (cf. Gio 4,1ss), sempre stata uno scandalo per i suoi, giusti o vicini che siano! Forse perch accampano privilegi, forse perch ritengono sufficiente ci che gi hanno. Certamente perch sono pi facile preda dellautosufficienza, frutto della paura di Dio e seme di ogni peccato. v. 20: Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori . A differenza del testo parallelo di Mc 3,20.31, non si parla di casa; si parla di unestraneit dei suoi che stanno fuori. Probabilmente perch la casa di Ges, quella fondata sulla roccia (cf. 6,46ss), costituita proprio dalla folla del v. 19, che ascolta la parola con cuore bello e buono, la trattiene e fruttifica in perseveranza (v. 15). Da questa casa i suoi sono ancora fuori. In essa Luca vuol introdurre il lettore Teofilo, gi cristiano. Tale folla lampliamento naturale, attraverso laccoglienza del seme che ha fruttificato, della cerchia dei Dodici e delle donne dei vv. 1-3. Questa la sua prima famiglia, costituita da gente che sta con lui perch curata dal male, e in grado di servire. Questi suoi che stanno fuori e desiderano vederlo siamo noi, invitati a entrare pi in profondit in questa parentela, attraverso lascolto obbediente. v. 21: Ora egli rispondendo disse a loro: Mia madre, ecc.. Ges dichiara che madre e fratelli suoi sono quanti ascoltano e fanno la parola di Dio. Il fine della parola di Dio quello di renderci madre e fratelli di Ges. Il mezzo lascoltare e il fare tale parola. Questa un seme, forza che genera vita di sua natura. Ora, ogni seme bisogna che sia accolto. I vv. 5-18 sono una verifica per vedere come si ascolta la Parola. Ascolto, accoglienza, terra e casa hanno in comune una caratteristica materna, la capacit di ricevere Cristo, che la Parola-seme. Pur essendo noi generati dalla Parola, in qualche modo la generiamo: diamo a lei una dimora, una tenda, unarca dove abitare. Come il fiat di Maria accolse la Parola e la gener al mondo, cos il nostro ascolto le d in noi spazio per vivere, terra per crescere, casa dove abitare. Il credente, nei confronti del mondo, investito della duplice responsabilit di Maria: accogliere e generare Cristo. Sia la maternit che la fraternit, non sono fondate sulla carne, ma sulla parola del Padre di misericordia. Ges la ascolta e la fa pienamente, aprendone a noi lingresso: diventate dunque misericordiosi come il Padre vostro celeste (6,36). Ciascuno chiamato a diventare madre (al singolare!). La maternit quellascolto che precede ogni messa in pratica: la fede, non delegabile ad altri, tutta e propria di ciascuno, che consiste nellaccogliere la parola di misericordia. Accogliendola accettiamo di essere accolti nella misericordia (viscere materne) di Dio. La nostra maternit in realt passiva: accogliendo siamo accolti, perch accettiamo la maternit di Dio e accogliamo di essere da lui accolti incondizionatamente. Questa maternit singola per ciascuno e fonda, oltre la nostra capacit di generare la Parola al mondo, anche la fraternit stessa aperta a tutti. Come ciascuno chiamato a diventare madre di Ges nellascolto, cos tutti siamo chiamati a essere suoi fratelli (al plurale). Se la maternit lascolto, la fraternit ne la conseguenza: il fare ci che si ascoltato. Nella misura in cui accetto di essere accettato da Dio, sono capace di apertura, accettazione e fraternit: infatti come sono accolto, amato e graziato, so accogliere, amare e graziare. In tutte le lettere del NT, dopo una prima parte dogmatica, in cui si tratta di argomenti di fede (ascolto), segue una seconda parte, pastorale, che esorta alla pratica. Il nocciolo di questa seconda parte, con infinite

variazioni, sempre il comandamento della misericordia. Il discernimento dellascolto attraverso le opere di misericordia, e delle opere mediante la fede, il tema della prima lettera di Giovanni. Riassumendo: la maternit singola, perch ognuno deve accogliere la Parola. Ci capita il paradosso di Maria: generiamo chi ci ha generato, accogliamo chi ci ha accolti. La fraternit invece molteplice, perch lascolto dellunica parola di misericordia ci rende tutti figli dellAltissimo (6,35), fratelli del Figlio e tra di noi. La paternit non viene nominata, perch unica (cf. Mt 23,9; Ef 3,15) ed la maternit stessa di Dio: sono le sue viscere di misericordia, che ci accolgono nellunico Figlio, sua Parola, che ci rende tutti fratelli. Attraverso Ges, siamo introdotti nella conoscenza dei misteri del regno di Dio (v. 10), nellamore mutuo del Padre e del Figlio, che il Figlio venuto ad aprirci (cf. 10,21S). Lascolto dellamore impossibile del Padre (6,27-38) la fonte dellimpossibile amore fraterno: accogliere questamore impossibile. il ritornello di Luca: Ascoltare precede ogni fare. Quindi niente moralismo! Daltra parte: fare la Parola la verifica e linveramento dellascoltare la Parola. Quindi niente spiritualismo! Dove manca il fare, si rimandati allascoltare: Guardate dunque come ascoltate! (v. 18). C per Luca, pur cos cattolico, una priorit necessaria dellascoltare sul fare. Il v. 18 il perno di tutto il capitolo e riecheggia il grido continuo di Ges nella storia: Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti (v. 8). Forse qui utile ricordare Maria come modello che Luca offre al singolo e a tutta la chiesa per accogliere e rispondere alla Parola. In lei troviamo le varie tappe da percorrere: a) 1,38 Ecco la serva del Signore: avvenga a me secondo il tuo detto. Nelleccomi ci si espone ad accogliere Dio e la sua parola: la semina, laccoglienza della fede. b) 1,45 Beata colei che ha creduto: la beatitudine e lesultanza che scaturisce come primo frutto della fede che accoglie la Parola. c) 2,19 Conservava questi detti, comparandoli nel cuore suo: la custodia e il confronto continuo nel cuore, necessari per crescere in questa Parola. d) 2,51 Conservava tutti i detti nel cuore suo: il cuore bello e buono che rumina la parola di Dio e si nutre di essa, offrendo il terreno buono perch crescano i frutti. Laccoglienza fruttuosa della Parola (cf. v. 15) accomuna il credente a Maria (cf. v. 21) e la sua beatitudine di madre nella fede (cf. 1,45) estesa a chiunque ascolta e fa la Parola (cf. 11,27s). Si pu quindi anche dire che Maria immagine perfetta della Trinit e modello di ogni uomo. Il Padre lha come figlia, perch obbediente come il Figlio alla sua volont; dice infatti: Avvenga a me secondo il tuo detto (1,38). Lo Spirito del Padre lama come figlia e lo stesso Spirito del Figlio in lei ama il Padre (cf. 10,21s), perch nello Spirito sorella di suo Figlio e sposa del Padre, che ama con tutto il cuore (cf. 10,27). Infatti si unisce a lei quando il suo Spirito la copre (cf. 1,35). Il Figlio infine lha come madre, perch accoglie e fa la Parola a similitudine del Padre. Infatti concepisce linconcepibile (cf. 1,31s). Cos, Maria figlia, sorella-sposa e madre di Dio, creatura a immagine perfetta del suo creatore, secondo il disegno primigenio di Gn 1,27. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges in casa, attorniato dalla folla, e i suoi parenti fuori. c. Chiedo ci che voglio: ascoltare e fare la sua parola. d. Considero attentamente ogni parola e gusto lessere madre e fratello di Ges. 4. Passi utili

Lc 1,26-38; 1,45; 2,19; 2,51.

46. CHI DUNQUE COSTUI?


(8, 22-25)
22

Ora avvenne in uno dei giorni: egli entr nella barca e anche i suoi discepoli, e disse loro: Traversiamo al di l del lago! E presero il largo. 23 Ora, navigando essi, cadde dal sonno; e discese un turbine di vento sul lago e si riempirono ed erano in pericolo. 24 Ora, appressatisi, lo ridestarono dicendo: Maestro, maestro, ci perdiamo! Ora egli, ridestatosi, sgrid al vento e al flutto dellacqua, e cessarono e fu bonaccia. 25 Ora disse loro: Dove la vostra fede? Ora sbigottiti si meravigliarono, dicendo lun laltro: Chi dunque costui, se anche ai venti ordina e allacqua, e gli obbediscono? 1. Messaggio nel contesto Viene ripresa la domanda gi fatta con malignit in 5,21 e con sorpresa in 7,49: Chi dunque costui?. Prima di dare la risposta diretta (9,20), se ne d una indiretta attraverso ci che Ges fa: egli domina sul cielo e sul mare (vv. 22-25), sul male (vv. 26-39), sulla malattia e sulla morte (vv. 40-56), e poi invia i Dodici a convocare il popolo nel deserto (9,1-6), dove lo nutrir con la vera manna, quella che non

perisce (9,10-17). Luca prepara cos la cornice adatta per riconoscere nel rivelatore e operatore di misericordia il volto stesso del Dio della creazione e dellesodo. Prima di riprendere questa domanda, che fondamentale nel Vangelo, Luca ha richiesto una verifica attenta sullascolto. I misteri del Regno (v. 10) sono costituiti da ci che Ges, Messia e Signore, compie a favore delluomo: le sue parole e i suoi atti di misericordia, che rivelano lamore del Padre. Chi obbedisce a lui (8,1-21), che lobbediente e perci figlio dellAltissimo, entra nel suo mistero e trova risposta alla domanda: Chi dunque costui?. Egli, lascoltatore perfetto, se ascoltato, risponde immettendoci nel mistero della sua famiglia, come lui presso il Padre per la sua obbedienza (cf. 2,49). Il primo abbozzo di risposta in 7,18-35, dove egli si mostra come latteso dellAT. Ora Luca introduce a un livello di conoscenza pi profondo: se a lui prestano ascolto cielo e mare, male, malattia e morte, se lui raduna il popolo nel deserto e lo nutre, la domanda circa la sua identit trova risposta sorprendente. Egli il Figlio, lascoltatore perfetto che chiede ascolto e di cui il Padre dir di ascoltarlo (9,35). In lui si rende visibile colui che nel primo esodo era solo la voce: la Parola si fatta carne e la voce ha trovato volto! La sezione che qui si apre (8,22-9,17) unanticipazione escatologica. Lo scenario di questo racconto il mare (vv. 22.26.37.40), carico di allusioni dalla Genesi allEsodo, dalla vittoria sul male del non essere a quella sul male dellessere fallito. Al centro c la persona di Ges, con la sua parola e la sua mano. Egli si rivela attraverso il tenue velo di queste azioni misteriose, che aprono alla risposta chi ne fa esperienza. Chi costui alla cui parola obbediscono cielo e abisso e la superficie del mare che li congiunge, se non il creatore stesso di cui si parla nella Genesi (vv. 22-25)? Chi costui, che con la sua parola precipita in basso e sommerge colui che prima stava in alto e opprimeva, se non il liberatore dellEsodo (vv. 26-39)? Chi costui, al cui tocco sono vinte la malattia e la morte, se non la Parola creatrice e liberatrice, che si fatta carne per essere toccata da noi e farci creature nuove, libere dal male e dalla morte (vv. 40-56)? Chi costui, che raduna nel deserto e nutre per il cammino che porta alla terra promessa (9,1-17)? Il Ges che, dopo aver rivelato la parola di misericordia del Padre, chiede ascolto, in realt gi ascoltato dal cosmo intero: a lui sottoposta ogni cosa. I misteri del Regno del v. 10, nei quali Luca ci introduce, altro non sono che una conoscenza pi profonda di lui, in modo che giungiamo alla fede del centurione e della donna del c. 7. Anche noi che non labbiamo visto, possiamo sperimentare la potenza della sua parola in sua assenza (7,9) e amarlo con tutto il cuore (7,38ss). La fede che salva proprio quanto il centurione dice di Ges e quanto la donna fa per lui. Lo afferma Ges stesso in 7,9.50. Qui invece rimprovera i discepoli di non avere tale fede (v. 25). I lettori di Luca sono invitati con i discepoli a fidarsi della Parola, anche se lui dorme o assente e ad amarlo con tutto il cuore. Si pu infatti amarlo anche senza averlo visto (1Pt 1,8), come si pu sperimentare lefficacia della sua parola anche solo avendone sentito parlare (7,3). Luca, vero iconografo, delinea in Ges il volto dellascoltatore perfetto, in modo che noi possiamo ascoltarlo a nostra volta e vederne il volto riflesso sul nostro. Il racconto forma ununit speculare con il seguente, delimitato da due salite in barca (vv. 22.37). Ges che dorme e si risveglia - passa dalla morte alla vita - porta ordine nel cielo e nellabisso e vince il disordine fino nelle parti pi lontane, sullaltra sponda del lago, in zona pagana. Ma prima vince il male dei discepoli e placa langoscia e il senso di perdizione che riempie la barca, figura della chiesa. Il suo giungere allaltra riva opera la salvezza tra i pagani e suscita il desideri( di stare con lui, trasformato subito in missione di testimonianza (vv. 38s) . Il sonno di Ges in mezzo al mare e lo smarrimento dei suoi transitorio, come la sua assenza e langoscia dei genitori quando si ferm per la prima pasqua a Gerusalemme (2,48), come la sua dimora negli inferi e lo stordimento dei discepoli nei tre giorni dellultima pasqua. Il suo risveglio la sua vittoria. Da qui la necessit del suo sonno, incomprensibile come il suo resistere a Gerusalemme, misterioso come il suo restare in balia del male e della morte. In realt la sua visita nascosta e

vittoriosa negli abissi (1Pt 3,19). I discepoli ne vedono il risultato solo al risveglio, quando riemerge dalla profondit del sonno e riporta sulla superficie del lago e della terra la vittoria gi ottenuta con la sua immersione negli inferi. La cornice del racconto cosmica: cielo e abisso. Al centro i discepoli, sospesi nel vuoto. Sopra c il vento, che dallalto li spinge verso il basso; sotto c il profondo, che apre la bocca per ingoiare la barca. E Ges dorme, per il nostro peccato. Lalto percepito come cattivo e demoniaco, come vento che sospinge verso il nemico del basso, la morte. Ma Ges si risveglia e salva i discepoli, perch il cosmo gli obbedisce: uccide il potere di morte, dopo essersi abbandonato lui stesso nelle sue mani. 2. Lettura del testo v. 22: in uno dei giorni. un giorno determinato di quei determinati giorni in cui Ges fu con noi. uno dei suoi giorni, che diventa anche nostro quando lo ascoltiamo: loggi della salvezza (4,21). Nello stesso giorno si compiono tre atti di potenza pi uno, come nel giorno della risurrezione, quando si riveler assente dal sepolcro, compagno per via, presente nel cenacolo e in attesa di noi presso il Padre. entr nella barca. lui che prende liniziativa. La casa della scena precedente sostituita dalla barca, una casa fluttuante sul mare. La vecchia casa fu travolta dal diluvio, annegata nella disobbedienza (cf. 6,49). La nuova la barca, prefigurata nellarca di No. una casa di obbedienza, salvata per misericordia dalle acque della disobbedienza. No, figura di Cristo, il primo che vi entra. Gli altri che entrano dietro di lui trovano salvezza. Questa barca di legno, come la croce, luogo del sonno di Cristo obbediente. Ges chiede di passare al di l del lago, in zona pagana. Richiama cammino al di l del mare fino a Gerusalemme e insieme la missione della chiesa che consiste nellandare fuori Gerusalemme, per portare allesodo tutte le genti. Questa barca la chiesa di Luca in cammino. Essa colta da paure e incertezze nel condurre avanti la missione del suo Signore, che quella di portare la salvezza a tutte le genti, fino agli estremi confini della terra. Lui, addormentato e risvegliato ci accompagna in modo misterioso. Questa barca in 5,2 era ormeggiata alla sponda. Ges la fa staccare con la sua parola, da l istruisce e poi le fa prendere il largo, associandola alla sua pesca di salvezza. Ora, dopo la verifica dellascolto, essa in grado di giungere allaltra sponda. Il lago - in Mc 4,39 chiamato mare! - simbolo dellabisso, il caos primordiale, che fu vinto in Gn 1, nella creazione. anche il caos diniquit che ricopr la terra con il suo potere di decreazione da Gn 3 a Gn 11 e dal quale Dio salv No e si scelse Abramo. pure il luogo attraverso cui JHWH salv il suo popolo dalla schiavit dEgitto. quindi immagine del nulla, del male e della schiavit, il luogo in cui Dio agisce creando, salvando e liberando. presero il largo. Obbedendo alla parola di Ges, i discepoli incontreranno le difficolt tipiche di chi obbedisce: paura, smarrimento e sfiducia di riuscire. Ma sar proprio qui che sperimenteranno la salvezza e la forza di colui che mantiene ogni promessa. Ora, navigando essi, cadde dal sonno. Il navigare della barca coincide, tranne linizio e la fine, col tempo del sonno di Ges e dellangoscia dei discepoli. Linizio infatti la sua venuta che fa salpare la barca, la fine il suo ritorno, che la fa approdare. Nel mezzo c lattesa di colui che assente: il sonno di Ges coincide totalmente con lo scatenarsi delle potenze cosmiche di male (cf. 22,53). In questa barca avviene qualcosa di analogo e contrapposto al battesimo di Ges e alla pentecoste. Nel battesimo, Ges riemp lacqua della sua presenza, emerse, si apr il cielo, scese lo Spirito santo ed egli ne fu pieno: qui invece il cielo chiuso e nemico, scende da esso un vento che spinge verso labisso e riempie di morte i

discepoli. Nella Pentecoste scenderanno un vento e un fuoco che assoceranno i discepoli al suo mistero di risurrezione e di emersione dalle acque; qui invece cade un turbine che li associa al suo mistero di immersione, li battezza e li sommerge nel suo stesso sonno. Il discepolo associato allangoscia della morte di Cristo. Questa scena ha unanalogia con quella del Getsemani, dove in realt i discepoli dormono per la tristezza, mentre Ges affronta la lotta, avvolto di angoscia mortale e rivestito di sangue (22,44ss). v. 24 Ora, appressatisi, lo ridestarono, ecc.. I discepoli, in pericolo di sprofondare, si avvicinano a Ges. Possono avvicinarsi perch il suo sonno ce lo ha reso vicino. Da ogni abisso possiamo accostarci a lui, perch lui si accostato a noi in ogni abisso, compreso quello della morte da malfattore (cf. 23,40-43!). Il turbine che si abbatte sconvolge i discepoli che stanno sulla superficie del mare, sospesi sulla bocca dellabisso. Ges, caduto nel profondo del sonno, non ne pi toccato, perch ha gi conosciuto ogni perdizione. Ha la calma sovrana del bimbo che riposa sul grembo che lha generato, la fiducia del Sal 131, che viene dopo il grido dallabisso del Sal 130! Infatti Ges pu riposare, perch certamente il Padre lo risveglia dal sonno. Ma che ne dei discepoli? Come la nostra miseria risveglia in noi il grido di fede, cos risveglia in lui la misericordia che salva. Nella perdizione si armonizzano le voci della miseria e della misericordia. I discepoli usano un appellativo che loro proprio in Luca, che abbiamo impropriamente tradotto: maestro. una parola che indica uno che sta sopra: un termine che indica soggezione, dedizione, obbedienza e fiducia. Linvocazione ripetuta. Indica bisogno urgente, paura e dubbio nella fede, necessit oggettiva e disperata di salvezza. Svegliati, perch dormi, Signore? (Sal 44,24). perch non intervieni nel nostro andare a fondo? Non vedi che vai a fondo anche tu: Salva te stesso e anche noi (23,39). Lui invece risponder: Dove la vostra fede?. Non sapete che io sono intervenuto proprio nel mio sonno, nel mio essere perduto insieme con voi? I discepoli avvertono il battesimo nella realt umana di angoscia come un andare a fondo: Ci perdiamo!. Ma sono con colui che per primo andato a fondo; non sono perduti, ma stanno perdendosi con lui, il Figlio perduto e ritrovato. Ges, come sar destato dallamore del Padre, cos si desta per lamore verso i fratelli: la sua misericordia e la nostra miseria hanno il potere di destarlo. E cos, ridestatosi sgrid il vento. La parola ridestarsi indica nel kerygma primitivo il suo risveglio dalla morte. La parola sgrid la stessa che si usa negli esorcismi, e indica la sua vittoria sul male che abita in alto, avvolge e domina fatalmente luomo, sconvolgendolo e precipitandolo verso labisso. Sono le potenze dellaria (Ef 2,2), che spingono la barca nelle fauci dellacqua. Insieme al vento sgridato anche labisso delle acque. cessarono e fu bonaccia. Ges, risvegliato dal sonno, il kyrios innalzato proprio per il suo sonno nellabisso: per questo a lui si piega ogni ginocchio in cielo, sulla terra e sotto terra (Fil 2,6ss). I discepoli sperimentano lintervento del Signore, creatore e salvatore dalla morte. Egli colui che ascolta il nostro grido e ci salva (cf. Sal 107,27-29). v. 25: Ora disse loro, ecc.. In questa situazione di battesimo, Ges li rimprovera: Dove la fede vostra?. Il dove della fede la perdizione e landare a fondo. Questo il luogo della fede in colui che non ci salva dalla morte, ma nella morte. Ci ha preceduto, per starci misteriosamente vicino anche l. Questo il luogo dove conosciamo chi costui, il Salvatore morto e risorto. La fede si prova proprio nellora della tentazione (cf. 8,13). Essa consiste nel credere come il centurione alla potenza della parola di Ges, che dona la vita oltre la morte (7,11-17). Luca provoca il discepolo a una fede totale in Ges, riconosciuto come il Salvatore destato dal sonno, risorto perch morto: a lui obbediscono lalto e il basso, il cielo e labisso. importante rilevare come il luogo della fede la nostra perdizione riconosciuta. L egli esercita la misericordia del Padre, e noi lo conosciamo come Signore e Salvatore.

Chi dunque costui?. La domanda, gi trovata in 5,21 e 7,49 quando perdona i peccati, ritorna qui sulla barca dei discepoli. Se ne intuisce la risposta: il Kyrios, che, come perdona i peccati e vince il caos interno, cos vince il caos cosmico e salva dalla morte. Labisso non pu nulla contro colui che come in un otre raccoglie le acque del mare, chiude in riserve gli abissi (Sal 33,7). Il male e la morte non possono vincerlo, anche se lui cade in essi: vi entra solo per incontrare noi e salvarci. Il Cristo impotente che perdona sulla croce (23,34) ha il potere di riscattarci (22,43), perch lo stesso Dio potente della creazione e dellesodo. Non gli sfuggito di mano il mondo interno delluomo, soggetto al peccato, n quello esterno, soggetto alla morte. Anzi, nel suo sonno ha recuperato in suo potere tutti gli abissi e ha visitato con la sua luce tutte le tenebre. La fede che sa cogliere il significato di questo sonno si esprime con le parole del centurione e con i gesti della peccatrice. la fede che salva (7,50). I discepoli hanno per la prima volta lesperienza del battesimo come perdizione e salvezza. Questa esperienza verr perfezionata nel c. 8. Cos nel c. 9 potranno essere inviati come lindemoniato di Gerasa ad annunciare, per portare anche gli altri a fare la stessa esperienza e mangiare di quel pane che abilita al cammino verso Gerusalemme. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la barca con i discepoli e Ges che dorme durante la tempesta. c. Chiedo ci che voglio: avere fede nelle difficolt; lui con me nel suo sonno. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - barca - sonno di Ges - tempesta - ci perdiamo! - dove la vostra fede? - chi costui? 4. Passi utili Sal 4; 107; 131; Es 14,15s; Is 30,15; Lc 2,41-52; 23-39-43.

47. E LO SCONGIURAVANO CHE NON IMPONESSE LORO DI ALLONTANARSI VERSO LABISSO


(8,26-39)
26

E approdarono nella regione dei Geraseni,

la quale dirimpetto alla Galilea. 27 Ora, uscito sulla terra, gli venne incontro un uomo dalla citt che aveva dei demoni, e da parecchio tempo non aveva indossato vestito e non dimorava in casa, bens nei sepolcri. 28 Ora, visto Ges, lanciato un grido, cadde davanti a lui e con voce grande disse: Che c tra me e te, Ges, Figlio di Dio laltissimo? Ti prego di non torturarmi! 29 Comandava infatti allo spirito impuro di uscire dalluomo. Molte volte infatti si era impossessato di lui e veniva legato con catene e custodito in ceppi, ma, rotti i legami, era spinto dal demonio verso i deserti. 30 Ora gli domand Ges: Qual il tuo nome? Ora egli disse: Legione! Poich erano entrati molti demoni in lui. 31 E lo scongiuravano che non imponesse loro di allontanarsi verso labisso. 32 Ora cera l un branco di parecchi porci, che pascolavano sul monte; e lo scongiuravano perch permettesse loro di entrare in essi; e permise loro. 33 Ora, usciti demoni dalluomo, entrarono nei porci, e si lanci il branco dal declivo nel lago e fu soffocato. 34 Ora, visto i pastori il fatto, fuggirono e annunziarono nella citt e nei campi. 35 Ora uscirono a vedere il fatto e vennero da Ges;

e trovarono seduto luomo, dal quale i demoni uscirono, vestito e rinsavito ai piedi di Ges, e temettero. 36 Ora annunciarono loro quelli che videro come fu salvato quello che fu indemoniato. 37 E domand a lui tutta quanta la moltitudine dei dintorni dei Geraseni di allontanarsi da loro poich erano presi da grande paura. Ora egli, entrato nella barca, ritorn. 38 Ora implorava luomo, da cui erano usciti i demoni, di essere con lui. Ora lo conged dicendo: 39 Ritorna nella tua casa e racconta quanto per te fece Dio. E sallontan per tutta la citt proclamando quanto fece per lui Ges. 1. Messaggio nel contesto Nonostante gli impedimenti della potenza del male e della loro mancanza di fede, i discepoli approdano allaltra sponda, tra i pagani. Questo brano strettamente legato al precedente. Dal punto di vista strutturale formano ununit letteraria. Delimitati da due salite sulla barca (vv. 22 e 37), essi contengono una serie di elementi simbolici, di cui cercheremo di riassumere il messaggio. Da un lato Ges dorme, assopito nella barca: evocazione della sua morte e della sua sepoltura. Dallaltro si assiste a diverse situazioni di disordine: i porci, animali impuri, si trovano in zona elevata; Ges, il Galieo, si trova a Gerasa sulla sponda opposta del lago, in terra pagana; un cittadino sta fuori dalla citt e vive nei sepolcri e nei deserti; posseduto, alienato, dotato di una forza cieca. La risposta a tutte queste anomalie viene da Ges, che appare come mediatore. lui che vince lopposizione. Risvegliandosi dal sonno - passando dalla morte alla vita - egli salva (v. 36). Grazie a lui, lordine succede al disordine, quando comanda ai demoni di entrare nei porci, che subito si precipitano nel lago (luogo inferiore). Una volta che questo ritorno allordine viene avviato da Ges, luomo che era stato posseduto dai demoni, liberato, pacificato, pu lasciare i sepolcri e tornare in citt, come messaggero di Dio. In breve, secondo questa simbolica concreta, Ges, dopo essere passato egli stesso, figuratamente, dalla morte alla vita, conduce luomo perduto dalla morte (i sepolcri) alla vita (la casa). Il ciclo, cio il ritorno allordine, si chiude col ritorno di Ges in Galilea. Osserviamo ancora, a proposito del simbolismo dellacqua, che il lago inghiotte definitivamente i demoni mentre per Ges non che un luogo di passaggio che egli domina. La sua morte - il suo sonno in mezzo al lago, nel luogo inferiore, dove dimorano le forze del male - provvisoria (J. Radermakers e Ph. Bossuyt).

Nel brano precedente abbiamo visto che, nel suo sonno, egli divenuto partecipe della nostra morte: ora vediamo che egli ha fatto questo per ridurre allimpotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cio il diavolo e liberare cos quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavit per tutta la vita (Eb 2,14). Ora il vincitore dellabisso, risvegliato dal sonno, si confronta con una legione di demoni. Essi lo proclamano Figlio dellAltissimo (cf. At 16,16ss). Per questo lo ascoltano, si prostrano a lui e gli domandano umilmente di restare in quella regione e di non venire gi precipitati nellabisso. La venuta di Ges, lascoltatore perfetto della Parola, ha rotto la disobbedienza di Adamo e ha vinto il nemico che lha usata come arma per uccidere luomo. Questo male per resiste ancora nelle zone infedeli e pagane, nelle zone di incredulit dentro - vedi brano precedente - e fuori di noi. Per questo i discepoli hanno difficolt nella loro missione. Il viaggio apostolico della chiesa ha come scopo quello di aprire a tutti gli occhi, perch passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio (At 26,18). In questo viaggio, che quello della parola di Dio, essa incontra difficolt interne (cf. 8,12ss; At 5,3) ed esterne. La chiesa di Luca cosciente di vivere nel periodo intermedio del gi e del non-ancora: satana gi vinto da Ges ed ancora da vincere da parte nostra. La sua lotta diventa anche nostra, fino a quando verr la fine. Il racconto mette in rilievo il potere di Ges, ridestato dal sonno, sul demonio in terra pagana. I discepoli non temano di continuare la sua missione: lottano contro un nemico gi in fuga, che il Signore ha gi vinto e ha lasciato a noi da sgominare. Gli elementi narrativi di questo esorcismo, molto pi coloriti in Marco, servono a dare fiducia nella vittoria definitiva. 2. Lettura del testo v. 26: E approdarono, ecc.. I discepoli approdano l dove erano stati indirizzati da Ges. Vi giungono perch dal suo sonno stato vinto labisso. Cos possono portare anche l, in terra pagana, la stessa vittoria. v. 27: Ora, uscito sulla terra, gli venne incontro un uomo, ecc.. Come Ges si avvicina, il male non pu n aggredirlo, perch gi lo ha vinto col suo sonno, n fuggire, perch gi ha illuminato ogni ombra con il suo risveglio! Il male gli totalmente soggetto. Non pu che venirgli incontro e scongiurarlo umilmente (v. 31). Luomo che si fa incontro a Ges un uomo che aveva dei demoni: per questo vive fuori dalla citt, isolato dal consorzio umano, da tempo senza vestito e senzaltra dimora che il luogo della morte. Satana infatti ha tolto luomo dalla sua casa e lha trasferito nellombra di morte (1,79), spogliandolo di tutto. Infatti la morte entrata nel mondo per invidia del diavolo: e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono (Sap 2,24). Questuomo rappresenta ogni uomo! v. 28: Ora, visto Ges, lanciato un grido, ecc.. Il male vede Ges. Se pure le tenebre impediscono la vista, in esse il minimo raggio di sole massimamente visibile: le lacera! Lo vede e gli cade davanti: osservavo satana cadere dal cielo come folgore (10,18; cf. Is 14,12). Il male grida con voce grande: lo spirito, che con la sua menzogna allontan luomo dalla casa del Padre, grida la propria sconfitta davanti a colui che pure a gran voce dir la propria fiducia al Padre (23,46), vincendo la sua trama maligna. Che c tra me e te. Il male dichiara la totale estraneit e separazione da Ges, come limpuro dal puro, la morte dalla vita, labisso dallAltissimo, la menzogna dalla verit, il ribelle dal Figlio. Il male ha, in negativo, unintuizione di Dio spesso pi acuta del bene, talora cos ottuso e stupido! Infatti, mentre il nostro bene sempre limitato e insufficiente, il male che possiamo fare ha una certa infinit e

sufficienza distruttiva. Luomo, incapace di creare, capace di distruggere; insufficiente a dare vita e a salvarsi, sufficientissimo a dare la morte e a perdersi; impotente ad amare, potentissimo a odiare! da notare la preghiera del male, in Mc addirittura in nome di Dio (Mc 5,7). Il bene avvertito come tortura. pietra di paragone, che lo graffia tremendamente, mostrandone linautenticit; luce, che squarcia e dissolve la tenebra. Sono grandi le reazioni e resistenze davanti al bene di chi ancora schiavo del male. Ci sono preghiere che non sono di Dio (cf. 6,12), bens del Maligno! La comparsa del Salvatore tortura angosciante per chi deve essere salvato, perch si identifica col suo male. Il malato trova nemico il medico. In queste reazioni negative da vedere lazione di Dio intento a salvarci. la prima regola del discernimento spirituale: chi nel male, avverte Dio come scomodo e nemico, mentre lamico che ci salva! In realt il male che cos parla in noi. v. 29: Comandava intatti, ecc.. La reazione del v. 28 nei confronti di un comando non menzionato di Cristo. evidente che, anche senza parole, la presenza del Signore gi la sconfitta del male. Qui si descrive, ancora pi dettagliatamente che nel v. 27, il potere devastatore del male, per sottolineare la potente salvezza del Signore. L si dice che aveva dei demoni, qui si dice che era posseduto e tenuto in pugno dal male che aveva: non tanto aveva il male, quanto il male aveva lui. Questo male era indomabile da parte di qualunque forza umana, e lo trascinava nei deserti, a differenza di Cristo che era condotto nel deserto dallo Spirito (4,1). v. 30: Legione. A Ges che glielo chiede, rivela il suo nome: Legione! un potere di male grande, massiccio, diviso e ben strutturato. La legione era di circa 6.000 uomini. La situazione delluomo soggetto al male veramente disperata! v. 31: E lo scongiuravano, ecc.. Qui il male parla al plurale, mentre nel v. 28 al singolare, identificandosi con luomo! infatti un potere di divisione, che trova unit solo nel nuocere e nel dividere. Qui uninvocazione rassegnata e accomodante: non essere precipitati nellabisso, luogo definitivo di sconfitta (cf. Ap 20,1-3; 9,1s). Chiedono una proroga: sanno di essere stati vinti. Ma anche la chiesa di Luca sa che, pur se vinti, hanno un certo raggio dazione, circoscritto alle zone interne ed esterne ancora infedeli (cf. 1Pt 5,8s). v. 32: Ora cera l un branco di parecchi porci, ecc. . La richiesta ascoltata. Perch questa accondiscendenza di Dio anche verso il male, se non per un bene maggiore? Prima del tempo definitivo, in cui il male sar precipitato nellabisso - e non ci sar pi il mare (Ap 21,1)! - c un tempo in cui il male opera ancora nelle zone di incredulit (At 13,6-11; 16,16ss; 19,13ss; 1Ts 2,18). In queste il cristiano chiamato a testimoniare il suo Signore, completando quello che manca alla passione di colui che gi ha vinto (Col 1,24). Cos associato al suo mistero di obbedienza, al suo mistero filiale di morte e risurrezione. Infatti tutto concorre al bene di coloro che amano Dio (Rm 8,28)! Per questo la benignit del Signore concede ai demoni di restare ancora in quella regione pagana. Cos ancora oggi la nostra battaglia non contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potest, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male, che abitano nelle regioni celesti (Ef 6,12). v. 33: e si lanci il branco dal declivo nel lago . Il male esce da chi ha incontrato il Signore. Dove giunge la sua presenza, il demonio se ne va. Si ritirer definitivamente nellabisso quando il suo Nome sar annunciato a tutte le genti! Segno delluscita il precipitare dei porci nellacqua. Non che gli spiriti affoghino; il mare la loro abitazione! invece alluso ci che capiter alla fine: precipiteranno nellabisso come i porci. La fine, che i discepoli temevano sulla barca. riservata al loro nemico.

vv. 34-35: Ora, visto i pastori il fatto, fuggirono, ecc. . C unanalogia tra questa scena e lannuncio ai pastori il giorno di natale (2,8-20), con espressioni comuni: andiamo (v. 22; 2,15), ci che avvenuto (vv. 34-35; 2,15), vennero e trovarono (v. 35; 2,16), salvato (v. 36), salvatore (2,11), ritornare (vv. 37.39; 2,20), un grande timore (v. 37; 2,9) e altre ancora, come vedere e annunciare. I mandriani infatti, pur nella loro fuga, diventano, come i pastori, annunciatori di ci che hanno visto. Come nel c. 2 si narra la nascita di Ges in Israele, cos qui si racconta la sua nascita in terra pagana, mediante lannuncio di chi ha visto ci che lui ha fatto. Al loro annuncio la gente esce per vedere il fatto: viene, trova e ha timore, perch vede luomo seduto, ai piedi di Ges, nellatteggiamento di Maria, tipo del discepolo (10,39). Colui che prima era spogliato (v. 27), come Ges (23,11.34), ora vestito e rinsavito. Veramente il suo sonno ha vinto il nostro sonno, la sua nudit ci ha rivestiti e la sua follia ci ha resi sani di mente! v. 36: annunciarono loro quelli che videro corse, ecc. . A coloro che, venuti sulla base del primo annuncio, vedono luomo salvato, i testi oculari spiegano come sia avvenuta la salvezza (cf. 1,24). v. 37: E domand a lui, ecc.. Ges viene allontanato. Non ancora giunto il momento della missione fra i pagani, riservata ai discepoli negli Atti! Essi continueranno lopera che Ges ha compiuto in Israele e gi iniziata tra di loro. Per questo egli ritorna sul suo cammino verso Gerusalemme, che ancora non compiuto, per aprirlo a ogni carne. v. 38: Ora implorava luomo, ecc.. Luomo liberato prega Ges di stare con lui, come i Dodici di 8,1! Ma Ges lo rimanda tra i suoi, come anticipo di quella che sar la missione tra i pagani di cui saranno incaricati i discepoli dopo lascensione. v. 39: racconta quanto per te fece Dio. La missione racconto, testimonianza di salvezza. Questuomo inviato perch gi stato liberato dal male, a differenza dei discepoli. Lannuncio sempre di unesperienza personale. Ci che sei grida pi forte di ci che dici! Solo quando avrai fatto lesperienza di ci che Ges ha fatto per te sarai in grado di rispondere alla domanda chi lui per te! quanto fece per lui Ges. Lazione che Ges attribuisce a Dio, ora attribuita a lui. Il testo suggerisce la risposta vera alla domanda sullidentit di Ges: egli Dio. Tale identificazione avviata da Ges stesso che attribuisce a Dio la propria azione. Luomo da solo non giungerebbe mai a tanto. Cos Ges stesso d inizio alla missione tra i pagani. promessa di quella messe abbondante che Luca ci mostrer nel secondo libro. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il pendio del monte sul lago, dove pascolano i porci. c. Chiedo ci che voglio: liberarmi dallo spirito di morte che in me e si oppone a te; liberarmi dalla paura del bene e dalla resistenza ad affidare a te la mia vita e la mia morte. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - dimorava nei sepolcri - legato con catene e ceppi - legione - preghiera dei demoni

- preghiera dei mandriani - preghiera dellex-indemoniato - essere con lui - essere inviato - annunciare la propria esperienza. 4. Passi utili Sal 130; Is 38,10-20; Eb 2,14; Mc 3,14.

48. CHI COLUI CHE MI HA TOCCATO?


(8,40-56)
40

Ora, mentre Ges ritornava, lo accolse la folla: erano infatti tutti in attesa di lui. 41 Ed ecco: venne un uomo di nome Giairo, ed egli era capo della sinagoga, e, cadendo ai piedi di Ges, lo implorava di entrare nella sua casa, 42 poich aveva una figlia unigenita, di circa dodici anni, ed essa moriva. E mentre lui se ne andava, le folle lo soffocavano. 43 E una donna, che era in flusso di sangue da anni dodici, - una che, avendo sperperato con medici tutta la sua vita, non pot da nessuno essere curata 44 avanzatasi dietro tocc la frangia del suo mantello, e subito si arrest il flusso del suo sangue. 45 E Ges disse: Chi colui che mi ha toccato? Ora, negando tutti, disse Pietro: Maestro, le folle ti comprimono e schiacciano! 46 Ora Ges disse:

Qualcuno mi tocc perch io avvertii una forza uscita da me. 47 Ora, visto la donna che non era rimasta nascosta, tremante venne, e, cadendo innanzi a lui, annunci davanti a tutto il popolo, per quale motivo lo tocc e come fu guarita allistante. 48 Ora disse a lei: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Cammina verso la pace. 49 Mentre egli ancora parlava, arriva un tale da presso larcisinagogo dicendo: morta la tua figlia; non disturbare pi il Maestro! 50 Ora, udito Ges, gli rispose: Non temere, solo credi ancora e sar salvata! 51 Ora giunto nella casa non permise che entrasse nessuno con lui, se non Pietro Giovanni e Giacomo e il padre della fanciulla e la madre. 52 Ora piangevano tutti e si battevano per lei. Ora disse: Non piangete, poich non morta, ma dorme! 53 E lo irridevano, sapendo che morta. 54 Ora egli, presa la sua mano, sgrid dicendo: O fanciulla, destati! 55 E ritorn lo spirito su di lei, e salz subito, e ordin di darle da mangiare. 56 Ed erano fuori di s i suoi genitori. Ora egli comand loro di non dire a nessuno il fatto. 1. Messaggio nel contesto

un racconto a sandwich, che continua la risposta alla domanda dei discepoli sulla barca: Chi dunque costui? (v. 25). Egli colui che, caduto nel sonno e ridestato, sa liberare dal male e risvegliare dal sonno tutti i morti. Per la sua morte e risurrezione, come ha potere sul cielo, sul mare e sul male, cos ha anche potere sulla malattia e sulla morte. I due miracoli, quello dellemorroissa e quello della figlia di Giairo, si illustrano a vicenda. Il primo indica che cosa sia la fede, il secondo come la fede vinca la morte. La fede consiste nel toccare Ges. un tocco che sprigiona da lui la dynamis dello Spirito e d la vita. In 7,36-50, attraverso i gesti di amore riverente della peccatrice, si spiega meglio in che cosa consista questo toccare Ges. Luomo morto se non incontra il proprio volto nel Signore, perch fatto per lui, a sua immagine e somiglianza: senza di lui, non esiste e toccarlo significa incontrarlo, cio amarlo e unirsi a lui che la nostra vita. Il miracolo dellemorroissa, incorniciato da una duplice menzione della morte (vv. 42.49), incluso in quello della figlia di Giairo. Questo vuole illustrare come tale fede liberi dalla morte stessa, prima temuta e poi avvenuta. il messaggio centrale della fede cristiana: il passaggio alla vita attraverso la morte, la certezza della risurrezione. Questo passaggio avviene nellesperienza battesimale che un toccare Ges in modo tale da essere uniti e immedesimati in lui che ha dormito nella morte e si svegliato nella risurrezione. Le due figure femminili, delle quali una soffre di malattia mortale da quando la pi giovane nata, possono essere figura dellIsraele antico e nuovo. La prima infatti chiamata figlia. Ricorda lappellativo: Figlia di Sion o Figlia del mio popolo (Ger 4,31; 6,2.23.26; 8,19.21.22.23...). La seconda chiamata pas (v. 54), che vuol dire figlio/a e servo/a. Richiama Ges stesso, il servo morto e risorto (Cf. At 3,13.26; 4,27.30). Nellincontrare e toccare Ges, lantico Israele guarito dalla sua malattia mortale. Riceve la salvezza attesa, che nessun medico poteva dargli, se non il suo Dio, il suo sposo, perch malato damore (Ct 5,8). La giovane fanciulla, di dodici anni, in et da marito, risvegliata (Cf. Ct 8,5b) il nuovo Israele, la sposa che rivive e gioisce nellunirsi al suo sposo e Signore (Is 62,5). C una progressiva sovraimpressione di figure, prodotta dal toccare della fede, che porta a unirsi e a identificarsi: sembra infatti che al tocco di Ges la donna malata diventi la giovane sposa: e la giovane sposa, dormiente e risuscitata al tocco dellamato, si unisce e si identifica a lui, il pas morto e risorto. Questo racconto lascia trasparire totalmente il mistero pasquale di sonno-risveglio di Ges al quale i discepoli sono associati mediante il battesimo. Esso infatti ci unisce a lui (Rm 6,3-11) e ci fa realmente corpo di Cristo (1Cor 12,12-27): entriamo a far parte della sua famiglia (v. 21), ci data la conoscenza dei misteri del Regno (v. 10) ed entriamo nellabisso di amore reciproco Padre/Figlio che il Figlio ci ha comunicato (Cf. 10,22). 2. Lettura del testo v. 40: Ora, mentre Ges ritornava, ecc.. La chiave di lettura del racconto sta nei due verbi attendere e accogliere Ges che ritorna. La folla, che lo accoglie perch lo attende, richiama il popolo fedele che aspetta il suo Signore e lo accoglie di ritorno dalle nozze (12,35ss). I due verbi attendere e accogliere sono parenti stretti: lattesa genera laccoglienza e si accoglie solo chi si attende. La fede e il toccare di cui si parler dopo proprio accogliere, lasciar spazio e abbracciare colui che si desidera e si spera. Israele il popolo dellattesa, sposato a una promessa di cui attende il compimento. Senza larrivo dello sposo, resta unattesa vuota, quasi una vedovanza che porta a deperimento e morte chi aspetta. Lattesa messianica di Israele trover la sua pienezza di vita nellaccogliere Ges, lo sposo (cf. 5,33s). vv. 41.42: Ed ecco: venne un uomo di nome Giairo, ecc. . Giairo significa egli briller o egli susciter. capo della sinagoga, ha una figlia di circa dodici anni cio in et da marito, unigenita

che moriva e implora Ges di entrare nella sua casa. la situazione di Israele: nella sua casa, invece della danza nuziale e dellamore promesso, c pianto e morte, perch non ancora giunto lo sposo. La sposa infatti malata damore (Ct 2,5) e la sua malattia mortale, perch la sua vita amare lo sposo (Cf. Dt 6,5; 30,20). Questa situazione, di cui Israele cosciente per la promessa, di tutti. Luomo, essendo immagine e somiglianza di Dio, solo in lui trova se stesso. Fatto per diventare ci che ama, solo amando lui diventa se stesso e trova la propria vita. Da qui il primo comandamento, che lo costituisce come risposta allamore di Dio per lui. Al di fuori di questo rimane insaziato e morto e vive una morte progressiva, come la donna. Mentre Marco dice che la fanciulla fu risuscitata perch aveva 12 anni (Mc 5,42) - sottolinea cos che giunto il tempo delle nozze, perch tempo compiuto (Mc 1,15) - Luca annota che essa aveva circa 12 anni: essa vive cio nellanno dellincontro con lo sposo che la fa vivere. Luca accentua il prolungarsi del tempo del compimento che diventa storia della salvezza. In questa fanciulla visibile il dramma fondamentale di ogni uomo senza Dio: la sua vita unanticipazione della fine, una continua attesa della morte, incubo di tutta la vita: lunica malattia mortale la vita! Questo tipo di esperienza entr nel mondo per invidia del diavolo (Sap 2,24), mediante il peccato (Rm 5,12), di cui stipendio (Rm 6,23). v. 43: E una donna, ecc.. Questa donna gi adulta, che Ges chiama figlia, figura della figlia di Sion: essa impura e malata, in attesa di Dio, il suo medico che la cura (Cf. Sal 103,3s; Os 6,1; 7,1; Is 19,22; 30,26; 61,1; Ger 17,14; 30,17; 33,6), il suo sposo che la purifica (Cf. Ez 16; 36,25ss). Limpurit di Israele consiste nella contaminazione dellidolatria, tipica di chi non conosce e non ama il Signore come dice il primo comandamento. Questimpurit si manifesta come emorragia: perdita di vita, di sangue. Infatti luomo che non ama Dio perde se stesso e versa a terra la propria vita, perch fatto per unirsi a lui e per niente di meno: ha abbandonato la sorgente di acqua viva e si scavato una cisterna, una cisterna screpolata che non contiene acqua, se non morta e che defluisce (Ger 2,13). Da sempre, cio da 12 anni, Israele impuro e infedele (Cf. Ez 16; Os 11,1ss); per questo soffre di emorragia mortale - come ogni uomo, di cui Israele la luce e la coscienza. Nessuno in grado di guarirla da questo male di vivere. Come gli adulteri con gli idoli lhanno resa immonda, cos solo lincontro con lo sposo la purificher. La sua impurit sanguinante sar sanata da lui, vero medico. Tutti i palliativi non sono serviti a niente: le sono anzi costati la vita e sono risultati pi dannosi che inutili. I vari tentativi delluomo di salvarsi senza Dio, sono necessariamente fallimentari! E non a caso: sono la causa stessa del fallimento! Luomo infatti bisogno assoluto di Dio. Questo lo distingue dallanimale e lo rende capace di libert e di amore. Cercare altrove che in lui la soddisfazione di questo bisogno, proprio quellidolatria che gli fa perdere la vita e lo fa fallire nella libert e nellamore. v. 44: avanzatasi dietro tocc, ecc.. Mentre Ges che tocca il lebbroso (5,13) e il figlio della vedova (7,14), qui, come in 7,39 - altra donna impura! - la donna che lo tocca. In questi due casi Ges parla di fede/salvezza/pace. La fede infatti toccare colui che per primo ci ha toccato, quando eravamo ancora suoi nemici e morti per i nostri peccati (Rm 5,6-11). La fede amare colui che per primo ci ha amati, accogliere colui che ci ha da sempre accolti, attendere e invocare colui che dalleternit proteso verso di noi e ci chiama (cf. Gn 3,9), perch la sua delizia stare con i figli delluomo (Pr 8,31b). Questa donna non tocca lui e neanche il suo vestito, bens solo la frangia di quello stesso mantello che Cristo ci lascer in eredit ai piedi della croce, con tutto il resto (cf. 23,34). Cos la nostra debolezza non pi rivestita di foglie di fico, ma dalla mano stessa di Dio, che si spoglia del proprio vestito per gettarlo sulla nostra nudit. Al tocco della veste si arresta limpurit della donna, cessa la perdita di vita. Ha infatti trovato lo sposo di sangue, che la sana, la purifica e la fa sua, coprendola con il suo mantello (cf. Ez 16,8). Per Israele, come per ogni uomo, toccare la veste di Cristo che muore in croce toccare la fedelt stessa di

Dio che guarisce da ogni idolatria e infedelt, congiungersi, attraverso la sua morte, allo sposo che fino a quel punto ci ha amati e ci venuto incontro. v. 45: Chi colui che mi ha toccato? . Toccare la sua veste in realt toccare Ges stesso. Per noi che non labbiamo visto, la sua veste sta al suo corpo come la sua parola sta a lui (cf. 7,7). Tutti negano di averlo toccato. E giustamente! Perch, come dice Pietro, le folle lo comprimono e lo schiacciano come prima lo soffocavano (v. 42). v. 46: avvertii una forza uscita da me. Qui Ges spiega il perch della sua domanda: c un toccare che non opprimere, schiacciare e soffocare, ma che unattesa e un bisogno di lui, un essere disposti ad accogliere la dnamis di vita che esce da lui. Non una specie di magia che fa scoccare la scintilla, ma la necessit e il bisogno stesso, che si fanno mani per accogliere il dono e braccia per abbracciarlo. Solo la miseria riconosciuta attende e raccoglie la misericordia conosciuta: la strappa quasi e lattira a s, mentre essa vi accorre spontanea come lacqua va nella buca. Questa potenza che si sprigiona al tocco della veste di Ges gi accennata in 5,17 e 6,19: Dio stesso a servizio della vita delluomo. v. 47: Ora, visto la donna, ecc.. La fede della donna e la salvezza che ne consegue non pu restare nascosta. Tremante, esce alla luce; adorante ai piedi di Ges, si fa confessante davanti a tutto il popolo. la tensione missionaria di Luca, che vediamo anche al v. 39 (cf. 17,17). Essa annuncia la propria miseria e la sua misericordia, dice il motivo per cui lha toccato e il dono che ha ricevuto, annuncia il suo bisogno del medico e dello sposo e listantanea guarigione al tocco di Ges. Cosa sia questo tocco lo si vede bene in 7,38.39.44-47. un reale unirsi a lui: la causa il bisogno, leffetto la salvezza e la pace. v. 48: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Cammina verso la pace. Questa donna ora chiamata figlia: la figlia di Sion, che ormai nessuno chiamer pi abbandonata, perch ha trovato il suo sposo. Inizia finalmente la gioia reciproca (cf. Is 61,10-62,5): lo tocca e si unisce a lui. Questa la fede che salva (cf. anche 7,50; 17,19; 18,42). Lespressione: cammina verso la pace (cf. 7,50) indica che ha trovato quella luce, di cui parla Zaccaria, che dirige i nostri passi sulle vie della pace (1,79). la pace che fu donata a tutti gli uomini con la nascita di Ges (2,14) e che Gerusalemme non ha compreso (19,42). La donna ora non guarda pi le sue ferite: guarita perch gioisce della voce dello sposo. v. 49: morta la tua figlia; non disturbare pi il Maestro. Davanti alla malattia si pu avere la speranza. Ma davanti alla morte della sposa, che cosa pu fare Dio? Di fronte ad essa si infrange ogni attesa, inutile disturbare il Maestro. Finch c vita, c speranza. Ma solo umana! Quella divina inizia quando cessa la vita e sperare diviene impossibile. Perch nellimpossibile che Dio agisce. qui che lo si riconosce tale: Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprir le vostre tombe e vi risusciter dai vostri sepolcri (Ez 37,13). La fede nel Signore che d la vita e riguarda la salvezza non da un male qualunque, ma dal nemico estremo, la morte, che vinta (cf. 1Cor 15,26). Diversamente vana la nostra fede (1Cor 15,16-19). Chi non crede che Dio fa risorgere, in grave errore, e non conosce le Scritture e la dnarnis di Dio (Mc 12,24). v. 50: Non temere, solo credi ancora e sar salvata . Davanti alla morte Ges dice: Non temere. proprio l che c da aver fiducia, non altrove, come i discepoli al v. 25: l il luogo in cui credere. Solo credi, perch l c spazio ancora solo per la possibilit della fede, e per niente altro. Ma in chi c da credere? In Ges, che dorme e si risveglia! E che cosa c da credere? Che il suo sonno ci salva! Ma non dalla morte, bens nella morte. Il sonno il luogo del risveglio. Per questo la fanciulla morta

e viene destata! Infatti, per il tocco della fede, siamo uniti a lui, nello stesso mistero di morte e risurrezione: siamo morti con lui, nella certezza del suo amore che pi forte degli inferi (Ct 8,6s). v. 51: Ora giunto nella casa, ecc.. Con Ges entrano i tre discepoli che vedranno la trasfigurazione sul Tabor (9,28) e la sfigurazione nel Getsernani (Mc 14,33), con il padre e la madre. Sono i testimoni, amici dello sposo, che presentano alla sposa lo sposo che la sveglia. Dormiva anche Adamo, quando non aveva la sposa (Gn 2,21), come dormir il nuovo Adamo per risvegliare quella sposa che si era addormentata nellinfedelt (cf. Gv 19,25ss). da notare che ci sono sei persone, con la sposa che dorme, fino a quando non si accoglie latteso, Ges, che la settima persona. v. 52: Non piangete, poich non morta, ma dorme. Davanti alla morte luomo non fa che piangere, espressione di ribellione impotente e di sconfitta amara. Ges d un imperativo assurdo: Non piangete (cf. 7,13), come disse al paralitico: Cammina (5,24), al lebbroso: Sii purificato (5,13) e a quello della mano inaridita: Distendi la mano (6,10). il comando assurdo dellobbedienza di fede in colui al quale nulla impossibile (1,37)! Infatti la fanciulla non morta, ma dorme. In verit la morte col risveglio non pu chiamarsi pi morte. solo sonno e riposo! La nostra morte effettiva la mancata unione con Dio, di cui siamo immagine e somiglianza. Ma in Ges Dio giunto e ci risveglia. Proprio mentre dormiamo, ci raggiunge colui che gi prima caduto dal sonno (v. 23) per noi; e l, nellabisso, ci accoglie e ci riporta a terra, sullaltra sponda. La morte, pur reale, sdrammatizzata. Con la presenza dello sposo, il servo morto/risorto, essa ha perso il suo pungiglione che avvelenava tutta la vita (1Cor 15,56); non possiamo pi sospettare che Dio non ci ami, non possiamo pi cadere nella sfiducia che ci abbandoni nel nostro male. v. 53: E lo irridevano.. Luomo davanti alla morte, oltre che piangere, non pu che irridere per disperazione colui che dichiara di vincerla (cf. At 17,32). Nessuno pu aver fede e conoscere lamore di Dio prima della sua morte in croce, prima del suo sonno e del suo risveglio! v. 54: Ora egli, presa la sua mano, ecc. . Ges prende la sua mano, quasi sposo che impalma la sposa (non la tende come in 5,13) e sveglia la dormiente. giunto il momento del risveglio, finito il sonno dellattesa. da notare che, incluso in questo racconto, c il racconto della donna che tocca e cos accoglie colui che aspetta. Se la sposa che non va svegliata finch essa non lo voglia, cio prima del tempo delle nozze (cf. Ct 2,7; 3,5; 5,2; 8,4), ora pu essere ben svegliata, perch in questo tocco presente ormai colui che desidera e pu salire dal deserto appoggiata al suo diletto che sotto il melo lha svegliata, in casa di sua madre (Ct 8,5). La fanciulla chiamata da Ges pas, che significa anche servo. Titolo di Israele nel Secondo-Isaia, anche quello di Ges, servo obbediente morto e risorto. A lei si applicano le stesse parole che indicano la sua morte e risurrezione. C una specie di sovraimpressione, quasi identificazione nellunico destino di sonno e risveglio: la comunione di amore, che fa dei due una carne sola. Per la fede battesimale, non diventiamo davvero corpo del Signore? v. 55: E ritorn lo spirito su di lei, ecc.. lo Spirito stesso di cui Ges fu ripieno (cf. 3,22; 4,1) e che consegn al Padre, riportandolo alla sorgente da cui scaturisce (cf. 23,46). Non si tratta di un semplice vivere di nuovo, ma di un vivere nuovo, in forza dello Spirito ricevuto e donato, che va oltre la morte alla fonte della vita. La risurrezione e la guarigione avvengono ambedue subito e in qualche modo si identificano per il tema comune: vita/morte infatti uguale a sangue/ perdita di sangue.

ordin di darle da mangiare. (cf. 9,13). Questo dettaglio indica non solo la realt fisica della risurrezione - non un fantasma (cf. 24,41ss) - ma anche il banchetto nuziale messianico, in cui Dio eliminer per sempre la morte (Is 25,6-9). Questo banchetto si realizzer, subito dopo la missione dei Dodici, nel dono del pane, simbolo delleucaristia (9,10ss). Dopo che, per la fede, nel battesimo siamo uniti a lui morto e risorto, viviamo per lui e di lui, che il pane che ci apre gli occhi (cf. 24,31) e ci introduce nei misteri del Regno. I genitori probabilmente non comprendono, ma sono fuori di s: se comprendessero sarebbero gi dentro il mistero. Ora devono ancora tacere. Capiranno il mistero dopo il sonno/risveglio di Ges, che realizzer la risurrezione per tutti. Qui solo un anticipo riservato alla fanciulla, figura di ci che sar. Capiranno anche - e questo sar pi duro - che proprio attraverso il suo sonno che lui vicino e opera il risveglio. Questo sar quanto capisce uno dei due ladroni (23,39-43) e quanto il Ges risorto spiegher ai discepoli (24.25-27.44-46). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo osservando il luogo: sulla sponda ovest del lago, in cammino verso la casa di Giairo. c. Chiedo ci che voglio: la fede che salva, toccare Ges ed entrare in dialogo con lui, morto e risorto per me. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - la preghiera di Giairo per la figlia di dodici anni morente - le folle che soffocano - cosa fa la donna che da dodici anni perde sangue - la reazione di Ges, la risposta di Pietro e quella della donna - le varie reazioni davanti alla morte della fanciulla - le parole e i gesti di Ges. 4. Passi utili Sap 1,13-15; 2,23s; Sal 45; 1Re 17,17-24; 2Re 4,8-37; Lc 7,11-17; 7,36-50; 18,35-43; Rm 6,3-11.

49. LI INVI A PROCLAMARE IL REGNO DI DIO E A GUARIRE


(9,1-6)
9 1 Ora, convocati i Dodici, diede loro potenza e autorit su tutti i demoni

e di curare le malattie. 2 E li invi a proclamare il regno di Dio e a guarire (gli infermi). 3 E disse loro: Nulla prendete per il cammino: n bastone, n bisaccia, n pane, n denaro, n due tuniche abbiate! 4 E in qualunque casa entrerete, l dimorate e da l uscite. 5 E quando non vi accoglieranno, usciti da quella citt, scuotete via la polvere dai vostri piedi in testimonianza su di loro. 6 Ora, usciti, passavano per i villaggi, evangelizzando e guarendo in ogni luogo. 1. Messaggio nel contesto La presente sezione, che va da 9,1 a 9,50, tutta sottesa dalla domanda prelusa in 8,25: Chi dunque costui che esige ascolto? Abbiamo visto che a lui obbediscono cielo e abisso, male, malattia e morte. Ora vediamo che invia i Dodici per radunare il popolo nel deserto e l lo sazia (vv. 1-17). La risposta non pu essere che ovvia: il Krios della creazione e dellesodo! La risposta viene a fuoco incrociato dai nemici (vv. 7-9), dal popolo (vv. 18-19), dai discepoli (v. 20), da Ges stesso (vv. 22.26.44) e infine dal Padre (v. 35), che conferma la risposta del Figlio e il suo rimprovero ai discepoli del v. 21. La testimonianza di Ges taglia netto con tutte le false attese messianiche, mentre la testimonianza del Padre porta il dibattito cristologico su un piano superiore e insospettato: il messia atteso in realt linatteso, perch ignorato, Figlio di Dio. Ges istruisce i Dodici sui misteri del Regno, che solo dopo la fine del viaggio a Gerusalemme saranno in grado di comprendere. Questa sezione ha come cornice il servizio dei discepoli inviati e servi del pane (vv. 1-17) e le istruzioni di come debbano esercitare il loro servizio (vv. 46-50); al centro sta la rivelazione di Ges nel suo mistero di sofferenza (vv. 18-22.43b-45) e di gloria (vv. 28-36), con le condizioni per i discepoli che vogliono essere associati a lui nella croce (vv. 23-27) e nella gloria (vv. 37-43a). Se nel c. 8 i discepoli ascoltano e vedono soltanto, ora, nel c. 9, dopo il battesimo sulla barca, sono direttamente coinvolti nel destino di Ges, nella sua missione, nel servizio del pane, nella croce e nella gloria: il battesimo li ha associati a lui. solo in questo coinvolgimento che si pu capire a fondo chi lui, entrare nel suo mistero ed essere trascinati con lui nel suo viaggio a Gerusalemme, che costituisce la seconda parte del Vangelo. Il tema dellascolto, che domina tutta la prima parte, ha il suo principio e il suo termine nel lui ascoltate del Padre (9,35), che fa vedere la gloria di colui che da ascoltare. Chi lo ascolta e fa la sua parola, lo vede trasfigurato. Se lascolto ha come fine la sequela, la sequela ha come fine la visione.

La parola, che entra dallorecchio nel cuore, muove mani e piedi, perch gli occhi giungano a vedere colui di cui si udita la voce. Questo brano segna linizio dellopera dei discepoli chiamati da Ges a continuare la sua stessa opera. Da lui e come lui, anchessi sono inviati. Fine di questa e di ogni missione sar leucaristia, il servizio del pane di Vita - come fine del servizio di Cristo fu il dono del suo corpo. In 10,21s si mostra come tale dono introduce nella vita stessa di Dio, lamore Padre/Figlio. Da qui si coglie la centralit delleucaristia nella vita della chiesa: in essa noi ripresentiamo oggi al Padre il suo Figlio donato a noi; e in lui presentiamo al Padre noi stessi, che di questo dono mangiamo e viviamo. il pane che Ges, il medico/sposo, ha ordinato che sia dato alla fanciulla risuscitata (8,55). In 5,1-11.27s Ges chiama i discepoli alla sequela. In 6,12-16 sceglie tra questi i Dodici e inizia una lunga formazione (fino a 8,56), che ha come capisaldi lascolto e lo stare con lui in una verifica costante. Ora i Dodici sono chiamati una terza volta, per essere effettivamente inviati a continuare la sua stessa missione che termina nelleucaristia. Luca pone linizio del ministero dei Dodici nel tempo del Ges terreno e vede in esso prefigurata e fondata la chiesa. Questa prolunga oggi nello spazio e nel tempo la sua opera, con lo stesso potere e la stessa autorit. In 10,1ss c un altro invio analogo, di altri 72 (70) discepoli. Luca intende le due missioni in una certa continuit, come quella tra fondazione ed edificio. In quella dei Dodici si compie la promessa a Israele e alle sue 12 trib; in quella dei 72 (70) essa si apre a tutti i popoli della terra. Le consegne che Ges d ai Dodici servono da breviario di viaggio o viatico per la missione della chiesa. Contengono lavvertimento unico che Ges d sulla missione. Esso consiste in un imperativo negativo: non prendete (seguito da cinque specificazioni: n... n...) pi lordine di dimorare o di scuotere la polvere. Il termine uscire ricorre ben tre volte e indica la realt della missione. Le parole di Ges non riguardano loggetto dellannuncio. Esso ovvio: il regno di Dio, udito e visto in lui, lui stesso! Ci che non ovvio e su cui Ges insiste, come deve vivere e presentarsi chi annuncia. Per noi limportante non cosa dire, che non dipende da noi, ma come essere, per non contraddire con la vita ci che annunciamo con la bocca. Ci che sei fa da cassa di risonanza a ci che dici. Questo brano ci d praticamente la carta didentit degli inviati: devono riprodurre i lineamenti di chi li invia. Tant vero che lunico discorso sulla missione, ribadito totalmente in 10,1ss! Non tenerne conto come norma fondamentale per levangelizzatore per lo meno temerario. Sarebbe disprezzare il Signore che cos ha ordinato (Mc 6,8), sapendo che noi avremmo fatto diversamente! Non sono consigli, ma ordini. Non che la fede di chi ascolta dipenda dalla credibilit di chi annuncia. La Parola viva ed efficace di per s. Chi annuncia per ha il tragico potere, per quanto sta in lui, di offuscare o annullare lannuncio: se non ha il potere di renderlo credibile, tuttavia in grado di renderlo incredibile. la responsabilit delluomo, il quale, non essendo Dio, non pu dare la vita; per in grado di dare la morte a ci che vive. Il discernimento apostolico (cf. le tentazioni!) non riguarda tanto le priorit apostoliche o le analisi accurate delle situazioni, anche se sono utili o necessarie, e non riguarda per s neanche loggetto della missione, ma il come realizzarla. Questo come la povert, lumiliazione e il fallimento che ne conseguono. associazione al Cristo e alla sua stessa fiducia filiale nel Padre che solo riscatta dalla morte. Se non osservo questo come nellevangelizzazione, direbbe s. Ignazio, non sto militando sotto il vessillo di Cristo, bens sotto quello del nemico - al di l di ogni buona intenzione o protesta contraria! Il male, sempre fatto a fin di bene, deriva dal non aver usato gli strumenti adeguati. Per il discepolo, lo strumento adeguato la croce del suo Signore, che ha salvato il mondo. Sullo sfondo di questo brano sta la figura del servo di Eliseo, Ghecazi (2Re 4,29; 5,20-27). Ai discepoli che non osservano la parola del Signore capita come a lui, il servo infedele, che si caric della lebbra da cui il suo padrone aveva liberato il pagano. Quando, nel momento della prova, cambieranno i tempi (cf. 22,35-38), allora si comprenderanno meglio le esigenze di questo modo di andare in missione e la sua normativit.

2. Lettura del testo v. 1: Ora, convocati i Dodici. Singolarmente (o a coppia) chiamati a seguirlo (5,1-11.27s) e scelti come apostoli (6,13), ora i Dodici sono con-vocati, chiamati insieme per essere inviati (apostoli). In questi Dodici gi la comunit, la chiesa stessa, che inviata. Come vero Israele obbediente, che fa parte della famiglia di Dio (8,21), sono inviati in potenza e autorit a chiamare gli altri a far parte della stessa famiglia. Essendo stati convocati da Ges, a loro volta convocano nel suo nome. Il fine di questa convocazione sar il pasto che Ges offrir nel deserto. Mentre in Marco vengono mandati a due a due, in Luca si sottolinea di pi la missione collegiale dei Dodici (cf. At 1,2.26; 2,37-42; 4,33.35-36; 5,2.1240; 6,2; 8,1.14; 9,27; 11,1; 15,2-29; 16,4). diede loro potenza e autorit su tutti i demoni e di curare le malattie, ecc.. I verbi allaoristo indicano la peculiarit di questa missione dei Dodici, operata durante il ministero stesso di Ges. La potenza (dnamis) che Ges dona ai suoi discepoli (cf. 24,49) la potenza dello Spirito di Dio che a lui propria, con la quale vince il male e cura i malati (4,14.36; 5,17; 6,19; 8,46). Lautorit (exousa) che dona loro (cf. 10,19) in contrapposizione a quella di satana (cf. 4,32.36), e porta la remissione dei peccati (5,24; cf. 24,47). Questa potenza e autorit su tutti i demoni. Nessun male e nessuna specie di maligno in grado di vincere il discepolo che ha fede davvero (cf. invece At 19,13ss). Questa potenza e autorit in grado di curare le malattie delluomo (4,40; 6,18; 7,21). v. 2: li invi a proclamare il regno di Dio e a guarire. Linvio (missione o apostolato, rispettivamente dal latino o dal greco) il fondamento della fede cristiana. Come il Figlio, che conosce lamore del Padre, inviato a comunicarlo ai fratelli, cos ognuno di noi, in prima persona, nella misura in cui figlio, inviato ai fratelli. La testimonianza della fede e dellamore non riservato solo a qualche privilegiato. propria di tutti e di ciascuno, ognuno secondo il proprio dono. Qualcuno poi chiamato a vivere esplicitamente a tempo pieno il carisma apostolico. La missione direttamente intesa a proclamare il regno di Dio e a guarire. un annuncio efficace del Regno, di cui le guarigioni sono segno, come per Ges (5,24; 7,21ss). Queste autenticano il vero apostolo e lo distinguono dagli altri, pur legittimi predicatori, ma non veri apostoli (cf. 2Cor 12,12; Mt 10,8; Mc 16,17)? Circa la connessione tra ascolto e guarigione vedi 6,18. v. 3: Nulla prendete. Questo imperativo che ordina di prendere nulla seguito da cinque n, che lo specificano. Questo nulla il principio del discorso apostolico, che proprio cos si apre. A chi non accetta questo inizio resta chiuso. lunico discorso di Ges sulla missione, ribadito in 10,1ss. Ignorarlo o trascurarlo ignorare e trascurare il Signore. Il motivo unico di questa povert, richiesta ai discepoli e che i discepoli effettivamente vivono (cf. At 3,6), che il Signore lha richiesta e lha vissuta per primo. possibile viverla solo come suo dono, concesso a chi conosce la grazia del Signore nostro Ges Cristo: da ricco che era, si fatto povero per voi, perch voi diventaste ricchi per mezzo della sua povert (2Cor 8,9). Non c altro motivo. Per questo in Mc 6,8 Ges ordin questa povert, sapendo che umanamente non siamo in grado di comprenderla n di attuarla: si ordinano infatti solo quelle cose che o non si capiscono o, anche se si capiscono, non si vogliono. solo sulla sua parola che cos crediamo e cos facciamo. Possiamo, dalla vita di Ges, soprattutto dal suo battesimo, dalle sue tentazioni e dalla sua morte, comprenderne la convenienza. Ma laccettiamo e lamiamo solo per amore suo, nel suo nome. La povert infatti necessaria per amare. Perch se hai cose, dai cose: solo quando hai nulla, dai te stesso, cio ami. La povert segno di gratuit, principio di ogni vita e grazia, bont e bellezza.

La povert vittoria sullidolo, il dio mammona che tutti cercano, facendo dei propri bisogni il proprio dio, invece che riconoscere in Dio il proprio bisogno. La povert fede in Dio, invece che nel dio di questo mondo (16,13). La povert necessaria per servire Dio (16,13). La povert libert da s e dalle cose, per essere discepolo (9,23; 14,33). La povert costringe a servire gli altri: i poveri devono servire (17,10). La povert porta umiliazione e umilt e ci associa al vessillo di Cristo, la sua croce. La povert il vuoto, la condizione per accogliere lazione di Dio: sacramento di salvezza, per il quale egli riempie della sua grazia (1,48-53). Nei poveri Dio agisce: vedi il Magnificat e tutto il retroterra biblico, in particolare Es 3,11; 4,10s; Ger 1,6; Is 6,5; Gdc 7,2; 3,31; 1Sam 17,33-40. I discepoli eseguono alla lettera questa parola di Ges nella loro missione dopo pentecoste (cf. At 3,1-10). Il motivo che Dio non guarda a ci che guarda luomo (1Sam 16,7) e che nessuna carne possa gloriarsi davanti a Dio (1Cor 1,28ss; Gdc 7,2; Dt 8,14.17). Limperativo nulla prendete per il cammino non negativo, ma positivo. Infatti il nulla che si deve prendere qualcosa di preciso: questo nulla ci associa al suo corpo, del quale disse nellultima cena: prendete (Mc 14,22), - ci associa al corpo di Ges, che fu nientificato (23,11; cf. 16,14), alla potenza della sua croce, somma di ogni nullit. Per altre cinque volte, quindi in totale per sei volte, Ges esprime la negazione del prendere: 6 il numero delluomo, come prendere la sua caratteristica di fondo, perch non , ma solo ha. Ges nega tutte le affermazioni che luomo ritiene necessarie per il suo cammino. Egli cerca di prendere tutto perch ha perso tutto. il cammino di Adamo, che fugge da Dio (Gerusalemme) per disobbedienza, in cerca di tutto perch di tutto bisognoso e spoglio. Invece il cammino del discepolo, che nulla prende, quello che lo associa a Ges che torna al Padre (Gerusalemme), obbediente alla Parola, che non ha bisogno di nulla, perch sa che il Signore vicino a quanti lo temono e non lascia mancare nulla a chi lo cerca (12,31; 22,35; cf. Sal 34,10s). Luomo, animal viator, necessita solo di questo nulla, che gli bastone, tesoro, pane, denaro e vestito. il suo viatico. n bastone. Il bastone, strumento primordiale, la sicurezza minima delluomo: appoggio e difesa, ma in realt si presta a infiniti usi di volta in volta. Pu servire per ammazzare un fratello e per far da ponte a una formica su un ruscello! negato al discepolo. Lunica sicurezza, strumento, appoggio e difesa degli apostoli il legno della croce del Signore, prima e ultima specificazione del nulla: Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza (Sal 23,4b). Questo bastone, lunico concesso al discepolo, il suo scettro regale: una piccola cosa di legno, ma elevata a strumento supremo di dominio onnipotente sul male. Fu prefigurato nel bastone di Mos, che apr il Mar Rosso e fece scaturire acqua dalla roccia; fu prefigurato nel legno che addolc le acque amare di Mara (Es 14,16; 17,5; 15,25); fu prefigurato anche nel bastone che Eliseo diede a Ghecazi: con esso, anche il servo pu risuscitare i morti (2Re 4,29ss). Davvero la croce di Ges bastone, strumento, sicurezza e forza dei suoi inviati! n bisaccia. La bisaccia il deposito delle provviste per il viaggio, la riserva, il tesoro da cui attingere e dove riporre i doni che si ricevono. Ma linviato non pu ricevere e depositare alcun dono (cf. Mt 10,8), perch ha ricevuto ben altro dono e ha un altro deposito da cui attingere: la riserva inesauribile della misericordia del suo Signore crocifisso. E pu capitalizzare e aggiungere altro dono solo donando (cf. 6,35-38; 16,9). Questa la bisaccia di cui avranno bisogno per sempre i suoi (22,36), che cos si faranno un tesoro inesauribile (12,33). n pane. Il pane la vita - e luomo ci che mangia, ci per cui e di cui vive. Il pane del discepolo non solo quello materiale (4,4), che pure dono del Padre (11,3), ma innanzitutto la Parola, per la quale e della quale vive. Obbedire ad essa scegliere la vita (Dt 30,19s). Il discepolo vive di Ges,

pane che realizza ogni promessa di Dio alluomo. Leucaristia, cui finalizzata la missione (vv. 10-17), questo pane spezzato, di cui il discepolo vive e al quale chiama gli altri. n denaro. Il denaro mediatore di ogni bene. Per mezzo suo - la pi grande invenzione umana! luomo disobbediente a Dio e bisognoso di tutto, ottiene tutto. Pu sostituire Cristo, mediatore universale. Mentre il Figlio, in obbedienza al Padre, mediatore universale di ogni bene e salvezza, il denaro, in disobbedienza al Padre, mediatore universale di ogni male e perdizione. lalternativa al Signore: con lui, dono e misericordia, ha nulla da spartire mammona, mezzo di scambio e di appropriazione (cf. 16,13). Per questo gli apostoli, obbedendo alla parola del Signore, non hanno argento e oro: hanno invece il nome di Ges, nel cui potere operano salvezza (At 3,6). n due tuniche. Non bisogna avere due tuniche per non cadere nella condanna del Battista (3,11) e per non fare come linfedele Ghecazi, che prende su di s il male da cui Eliseo aveva guarito Naaman (2Re 5,20-27). Al discepolo basta una tunica. Ma quale? Quella splendida del suo Signore, che Erode gli mise addosso per nientificarlo (23,11) e che egli ci lascer in eredit ai piedi della croce (23,34). il suo stesso corpo dato per noi, il suo sangue versato. Questa veste quella prefigurata nellEden, quando Dio stesso rivest la vergogna di Adamo ed Eva (Gn 3,21). Questa veste il Figlio, del quale il battezzato si riveste (Gal 3,27), luomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santit vera (Ef 4,24), che si rinnova a immagine del suo creatore (Col 3,10). v. 4 E in qualunque casa entrerete, ecc. . Entrando gli inviati fanno di qualunque luogo una casa. Infatti vi portano la pace (cf. 10,5), che ne fa uno spazio riconciliato e vivibile, in cui si pu stare di casa e dimorare, senza pi fuggire. Da cui per si esce per una nuova missione, per ampliare la casa fino agli estremi confini della terra, perch accolga tutti gli esuli e i fuggitivi. Questa casa - che per Ges allinizio altro non era che la mangiatoia per le bestie, non essendoci per lui altro posto (2,7) - la stessa dove lui si dona come pane (22,11ss) e dove si svolgono gli ultimi capitoli del Vangelo e i primi degli Atti. la chiesa, la vera famiglia di Ges, dove si pu dimorare perch si riceve il pane, si sperimenta il Risorto, si prega, si riceve il dono dello Spirito, si trovano il Padre e i fratelli e si riparte per la missione (cf. At 9,43; 16,15; 18,3... 28,30). v. 5: E quando non vi accoglieranno, ecc. . A questa casa si contrappongono coloro che non accolgono. Solo dove si accolti, si di casa! La non accoglienza rifiuto di Dio, giudizio di infedelt. Per questo si scuote la polvere dai piedi, come in At 13,51 (cf. At 18,6). Scuotersi la polvere di dosso il gesto del giudeo che lascia la terra infedele ed entra nella terra promessa, per non contaminarla. Questo rifiuto, pur essendo di valore definitivo, non di fatto definitivo, perch pu essere ritrattato. Provvidenzialmente c di mezzo questo tempo intermedio, tempo dellannuncio e della pazienza di Dio, che egli, nella sua bont, allunga a discrezione: il Signore non ritarda nelladempire la sua promessa (del ritorno), come certuni credono, ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi (2Pt 3,9). Questo il motivo del prolungarsi della storia umana! v. 6: Ora, usciti, passavano per i villaggi, ecc.. Il verbo uscire usato tre volte nei vv. 4-6. In realt i discepoli che ascoltano il comando di Ges al v. 3 e lo osservano, sono di casa con lui! Sono anzi la sua casa, perch lo hanno accolto (cf. 8,21). Come lui stesso la loro casa, perch si fa dimora di chi lo accoglie. Da questa casa i discepoli escono per la missione e dis-corrono portando la Parola in cui albergano ormai definitivamente. Cos anche gli altri, accogliendola, possono essere da essa accolti. La loro missione si svolge come evangelizzazione e terapia di villaggio in villaggio, ovunque, segno della capillarit e della universalit (cf. 8,1).

3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che invia i Dodici. c. Chiedo ci che voglio: chiedo al Signore di essere mandato come lui a compiere la sua stessa missione. d. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare soprattutto come lefficacia non dai mezzi di efficienza, bens dalla povert: - potenza e autorit su tutti i demoni - curare le malattie - proclamare il regno di Dio e guarire gli infermi - nulla prendete: n bastone, n bisaccia, n pane, n denaro, n due tuniche. 4. Passi utili Es 3,10-12; 4,10-17; 1Sam 17; Gdc 7; 2Cor 8,9; At 3,1-11.

50. CHI COSTUI?


(9,7-9)
7

Ora ascolt Erode il tetrarca tutto ci che capitava, ed era perplesso perch si diceva da parte di alcuni che Giovanni era stato destato dai morti, 8 e da alcuni che Elia era apparso, e da altri che un profeta, uno degli antichi, era risorto! 9 Ora disse Erode: Giovanni, io decapitai! Ora chi costui, di cui ascolto tali cose? E cercava di vederlo. l. Messaggio nel contesto

Il problema dellidentit di Ges si era aperto con la domanda del Battista (7,20). Egli figura dellAT, aperto alla promessa di Dio, che si interroga sul Cristo interrogando Ges. Infatti, come il mistero di Ges comprensibile solo partendo dallattesa dellAT, cos questa comprensibile solo confrontandola con Ges, sua realizzazione. Con Giovanni la questione riguardava pi il tipo di messia da attendere: Ges o uno diverso? Ora invece la questione sullidentit di Ges. Dopo aver corretto il tipo di attesa, ora bisogna riconoscere latteso. L fu il Battista a domandare e Ges a rispondere con i fatti e con le parole. Qui il decapitatore del Battista che pretende insieme di domandare e di rispondere. Ma chi vuol rispondere alla propria domanda, non attende in realt alcuna risposta. Lha gi decapitata! Ha solo un interesse da difendere e quindi non avr mai la risposta vera. In Erode ci viene detto perch non siamo in grado di riconoscere il Signore e perch fallisce il nostro incontro con lui, pur avendolo ascoltato e desiderando vederlo. Chi Ges per Erode? Un concorrente da conoscere con curiosit, da manipolare e da uccidere! Erode ci viene presentato come maschera del male (cf. At 12,22). Egli pone se stesso al centro di tutto: ogni suo conoscere o attendere strumentale al suo impadronirsi dellaltro. Per questo non pu conoscere il Signore e far una fine miseranda. Questo Erode in ciascuno di noi e ci impedisce di accogliere e di riconoscere il Signore. La domanda con cui Erode chiude la ricerca (v. 9) ha lo stesso tenore della domanda con la quale i discepoli lhanno aperta (8,25). Ma, mentre lui si interroga partendo da ci che ha udito, curioso e pauroso, per difendersi e attaccare, i discepoli si interrogano partendo da ci che hanno sperimentato, pieni di meraviglia e disposti ad accogliere. Questa ricerca abortita sullidentit di Ges un preludio alla dichiarazione di fede dei discepoli (v. 20). Mentre Erode chiede e risponde, nel caso del Battista lui domanda e Ges risponde; nel caso dei discepoli invece Ges domanda e questi rispondono. Con il Battista, c un primo movimento della fede, in cui Ges risponde allAT e ne chiarisce il senso. Con i discepoli c un secondo movimento della fede, in cui questi sono in grado di rispondere a Ges che risponde alle Scritture. Con lui il cerchio promessa-compimento si chiude come attesa per aprirsi come pienezza di chi lo accoglie. Nel caso di Erode, come gi detto, lui stesso che si chiede e si risponde. La domanda resta quindi necessariamente inevasa. Erode - il re adultero che imprigiona e uccide il profeta (3,19s) - figura del popolo adultero e infedele al suo Signore, che imprigiona e uccide chi lo richiama alla fedelt. Tagliare la gola il modo pi sicuro di far tacere la parola. Per questo il suo tentativo di identificare latteso abortir, anche se ascolta tutto ci che capita e cerca di vederlo. Anzi, il suo ascolto si tradurr in ricerca di lui per ucciderlo (13,31); il suo desiderio di vederlo in incontro mortale, in cui verr nientificato e deriso (23,11). Questo brano un anticipo, per contrappunto, della professione di fede dei discepoli (v. 20). Contemporaneamente uno scorcio sul calvario, al quale Ges giunger proprio per linfedelt che impedisce di riconoscerlo. Questo brano sommamente istruttivo per mostrare come ci rendiamo impossibile la conoscenza del Signore: pur ascoltandolo e vedendolo, non ne riconosciamo il mistero, perch non accettiamo il Battista che richiama alla conversione, anzi lo eliminiamo. Chi non disposto a convertirsi e coinvolgersi, non comprende: solo prende la verit e la soffoca. I discepoli invece, che hanno seguito Ges sulla barca e hanno sperimentato la sua salvezza, si sono volti a lui e stanno con lui. Lo riconosceranno allo spezzare del pane, luogo di pieno riconoscimento, dove si aprono gli occhi su di lui (cf. 24,30s). La domanda di Erode dopo la missione dei Dodici la stessa che si porranno le varie autorit di fronte alla predicazione postpasquale dei discepoli. Se ne mostrano gli equivoci e le incomprensioni, che porteranno dalludire e dal desiderio di vedere alla persecuzione. La vera risposta non pu essere data da chi ha solo sentito parlare, senza partecipare al suo banchetto. 2. Lettura del testo

v. 7: Ora ascolt Erode, ecc.. Il brano si apre con la parola ascoltare e termina con la parola vedere. Sono i due termini che contengono tutta lesperienza di fede che Luca propone nelle due parti del suo Vangelo: attraverso lascolto - prima parte - si giunge a conoscere chi Ges per associarsi a lui, in modo da vederlo - seconda parte - nel suo viaggio a Gerusalemme, verso il Padre. In Erode si mostra come e perch c un ascoltare che non intende, un guardare che non vede (8,10). Il vedere si tradurr addirittura in nientificazione e disprezzo (23,11)! Erode non ancora re. Andr pi tardi a Roma a brigare per ricevere il titolo (lanno 33 d.C.): tetrarca, capo di una delle quattro parti in cui stato diviso il territorio (cf. 3,1ss). lErode di 3,19-20: biasimato dal Battista come adultero, lo fece mettere in prigione. Qui sappiamo che lo ha fatto anche decapitare. Nel Vangelo uscir ancora in 13,31 e 23,8ss. La sua carriera di empio si concluder in At 12,21ss. Come capo, impersona il popolo adultero di cui figura: adultero, perch dovrebbe amare il Signore, suo sposo, con tutto il cuore (cf. Dt 6,5) e non lo fa; chiamato a conversione dal profeta, preferisce zittire la parola di Dio uccidendola, piuttosto che convertirsi. Questa la radice dellimpossibilit a riconoscere lidentit di Cristo, latteso promesso da Dio: il suo cuore chiuso a ogni intelligenza e rifiuta la medicina che lo farebbe rinsavire. Solo chi ascolta il rimprovero acquista senno, mentre chi rifiuta la correzione, disprezza se stesso (Pr 15,32). Infatti cercherai il Signore Dio tuo, lo troverai solo se lo cercherai con tutto il cuore e con tutta lanima (Dt 4,29). Diversamente non lo troverai. Se non si ascolta il richiamo alla conversione, inutile ricercarlo e bramare di conoscerlo come uno che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio (Is 58,2). Non ci si pu prendere gioco di Dio (Gal 6,7): luomo pu realmente soffocare la verit nellingiustizia (Rm 1,18) e non trovarla pi (cf. Am 8, 11s), a meno che smetta di giustificarsi e si converta. Latteggiamento radicale sbagliato di accostarsi alla verit di Dio e alla sua parola quello apologetico, che tenta a tutti i costi di giustificarsi, uccidendo la Parola stessa che accusa. Quello corretto consiste nel sentirsi peccatori, disposti a convertirsi (cf. 18,9-14). Infatti il vero peccato non tanto il peccato stesso, quanto il non riconoscerlo e ancor pi limpedirsi di riconoscerlo. Ges dice ai farisei: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane (Gv 9,41). Tacitare la parola che lo denuncia, spegnere la luce che lo fa vedere. Per questo luccisione del profeta la consumazione del peccato: lo rende irreversibile, dal momento che, eliminando chi lo denuncia, toglie la possibilit di conversione. Il livello ultimo di male infatti la stupidit, in cui non si distingue pi il bene dal male (cf. Mc 7,22): la cecit totale. Quando essa cosciente, peccato contro lo Spirito! Il rimprovero di Ges a Gerusalemme motivato proprio dalluccisione dei profeti (13,34), e la causa del suo pianto, ossia della sua morte, la conseguente incapacit a riconoscere la visita del Signore (19,41). Le donne al calvario sono chiamate a piangere su se stesse, per guarire da questa cecit (23,28ss). Erode ha quindi orecchi per udire, ma non vuole intendere; e, per garantirsi di non intendere, elimina la voce che gli fa udire. Lorecchio intende solo se la parola in circolazione, diversamente resta vuoto. Questo Erode, abile nellautogiustificarsi per non convertirsi, fino a far scomparire la Parola, imbavagliandola e uccidendola, dentro ciascuno di noi, e soffoca la verit nellingiustizia (Rm 1,18). Chiaramente questo avviene perch abbiamo i nostri interessi e il nostro io da difendere a tutti i costi. Am 8,11-12 descrive la pi grande maledizione biblica: aver fame e sete della parola di Dio, cercarla dappertutto e non trovarla! la maledizione di chi vive nellinfedelt e nellingiustizia e non vuol sentirselo dire. Se poi zittisce o uccide chi lo rimprovera, tale maledizione tende a conservarsi! Lunica risposta concessa a chi in tale situazione quella di cercare e non trovare, in modo che resti perplesso e con la domanda, senza indicazioni positive di cammino e di discernimento. il silenzio davanti a Erode: ucciso il Battista, Ges tace (23,9)! il silenzio di Dio, che nella sua misericordia tace per non condannare: ma questo suo silenzio la sua rivelazione pi alta, lultimo stimolo a cercare i motivi di questa non risposta. Tale ricerca lunica possibilit che pu aprire alla conversione, a un ascolto che porti alla verit. Ma Erode maestro di durezza: pur di non cercare i motivi del suo non capire, vaglia

tutte le possibili risposte correnti. Senza trovarle per altro soddisfacenti! La domanda resta e rester sempre inevasa proprio perch ha fatto decapitare il Battista. Dovrebbe prima riconoscere questo errore e il male che lha portato a tanto! Giovanni era stato destato dai morti. La prima risposta quella di identificare Ges con Giovanni risuscitato. Giovanni doveva aver impressionato assai il popolo. Egli, dopo un lungo silenzio della profezia, con lo spirito e la forza di Elia (1,17) aveva predicato la conversione e il giorno del Signore (3,1-18). Tale risposta, oltre che aprire il varco alla conversione, portando al rimorso chi soffoc la voce per non udire la Parola, ha un altro elemento valido: Giovanni, che incarna la promessa e lattesa dellAT, veramente risorge e trova la sua vita in Ges. Promessa e attesa cessano nel Cristo, ma non per morire, bens per trovare la loro pienezza. v. 8: Elia era apparso. La seconda ipotesi su Ges che sia Elia apparso in terra. Elia, padre dei profeti, non mor, ma fu rapito in cielo su un carro di fuoco (2Re 2,1-18). Infatti la profezia/promessa di Dio non pu morire, ma torna a Dio che lha mandata. Secondo Ml 3,23s (Sir 48,10; cf. Lc 1,17) sarebbe apparso alla fine dei tempi, per predicare il giorno del Signore; il profeta escatologico, prima della visita di Dio al suo popolo. Apparir nella trasfigurazione accanto a Ges (v. 30). In Mc 9,12ss Ges lo identifica col Battista e la sua funzione quella di ristabilire, di far nuove tutte le cose; lattesa della sua venuta menzionata proprio sulla croce di Ges (Mc 15,35; Mt 27,47). un profeta, uno degli antichi. La terza ipotesi che Ges sia uno degli antichi profeti risorti. Tutte queste ipotesi contengono verit grandi per il lettore. Luso dei vocaboli morto, risorto e apparso richiama il mistero pi profondo dellidentit sua che sar rivelata ai discepoli dopo Pasqua. Il fattore comune di tali risposte che Ges sia un profeta, risorto e apparso: traccia di un primo filone dinterpretazione cristologica, che lo identifica con il profeta degli ultimi tempi, che il popolo attende come colui che viene (7,19), colui che deve venire nel mondo (Gv 6,14). Lequivoco fondamentale di tale fede confondere latteso con la propria attesa, il nuovo con lo scontato, il presente con il passato e non accettare che Dio ha reso la sua promessa pi grande di ogni fama (Sal 138,2) e che a suo tempo ladempie (1,20). la stoltezza di chi guarda la punta del dito invece della luna indicata, o di chi tenta di risuscitare profeti morti come alibi per uccidere quelli vivi. A questo equivoco si pu rimediare solo ascoltando la parola del Battista. Invece che tagliargli la gola per giustificarci, dobbiamo sempre restare disponibili a condannarci e a convertirci. Il suo richiamo ci porta alla fedelt dellattesa (3,1-18). il suo dialogare con Ges ad accogliere latteso (7,18ss). Solo a chi risponde allinterrogativo del Battista, Cristo risponde: rispondi e ti risponder (cf. 20,1-8). v. 9: chi costui.... Erode non crede alla risurrezione. un po come i lettori di Luca, che vengono dal paganesimo. Pensa che il potere di morte sia la parola definitiva su tutto, anche sulla parola di Dio. La sua mancanza di fede nella risurrezione, che gli impedisce di identificare Ges con il Battista, gli serve positivamente a tenere aperta la domanda: Chi costui?. Tale domanda trover risposta solo dopo la risurrezione. Anche il liquidatore del Battista non pu eliminare la domanda: ne trasmette integra leredit! E desidera vederlo, conclude il brano, richiamando linizio, dove si dice lorigine di questo desiderio, che lascolto di tutto ci che capitava (v. 7). In Erode il cammino stesso del discepolo, dallascolto alla visione, tracciato come fallimentare, perch ha ucciso il Battista e zittito la parola di Dio. Non ha il cuore bello e buono per accoglierla (8,15). Quindi ascolta ma non intende, guarda ma senza vedere (8,10). Il suo ascolto lo porter a cercare di ucciderlo (13,31ss) e il suo vederlo ne decreter la morte (23,11). C una visione che finisce nella nientificazione e nello scherno. Comunque il luogo dove tutti, compresi i discepoli, sono chiamati a riconoscerlo, proprio quello della croce, dove lha condotto il misconoscimento umano. Cos far uno dei due malfattori, ricevendo oggi il dono del Regno (23,42s); cos faranno le donne, che convenute a questa visione (theora)

vedendo gli avvenimenti (ghinmena, come qui) ritornano battendosi il petto, cio si convertono (23,48). Nello stesso ultimo frutto del male la misericordia di Dio offre la suprema medicina! 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il palazzo di Erode. c. Chiedo ci che voglio: riconoscere come soffoco in me la parola che mi fa conoscere Ges. d. Mi identifico con Erode: il mio desiderio di ascoltare e vedere Ges per obbedire alla sua parola o per pura curiosit, autodifesa e controllo? 4. Passi utili Am 8,4-12; Is 58; Rm 1,18; 2Cr 36,15ss; Eb 11,36ss.

51. PRESI I CINQUE PANI, LI SPEZZ


(9,10-17)
10

E, tornati gli apostoli, raccontarono a lui quanto avevano fatto. E, presili, si ritir in privato, in una citt chiamata Betsaida. 11 Ora le folle, saputolo, lo seguirono. E, accoltili, parlava foro del regno di Dio, e quanti avevano bisogno di cura li guariva. 12 Ora il giorno cominci a declinare. Ora, avanzatisi, i Dodici gli dissero: Sciogli la folla, perch andando intorno per i villaggi e per i campi si riposino, e trovino grano, perch qui siamo in luogo deserto. 13 Ora disse loro: Date loro voi stessi da mangiare. Ora essi dissero:

Non abbiamo pi di cinque pani e due pesci. A meno che, andando, non compriamo per tutto questo popolo da mangiare. 14 Erano infatti circa cinquemila uomini. Ora disse ai suoi discepoli: Fateli sdraiare a gruppi di circa cinquanta. 15 E fecero cos e fecero sdraiare tutti. 16 Ora presi i cinque pani e i due pesci, levati gli occhi al cielo, li benedisse e spezz e dava ai discepoli per distribuirli alla folla. 17 E mangiarono e furono sazi tutti e fu levato ci che sovrabbond loro: dodici ceste di pezzi. 1. Messaggio nel contesto Nellascolto la Parola si fatta seme (c. 8). Il seme, morto e risorto centuplicato, ora si fa pane. Poi il pane si far vita di un volto splendente e forza per il cammino verso Gerusalemme. Allo spezzare del pane gli occhi dei discepoli di Emmaus si aprirono, lo riconobbero e iniziarono il cammino verso Gerusalemme (24,30-33). Pure qui, dopo il dono del pane, i discepoli riconosceranno Ges, ne vedranno fugacemente la gloria e inizieranno con lui il cammino verso Gerusalemme. Questo racconto del pane incluso tra due scene di riconoscimento di Ges: una fallita, prima (vv. 7-9) e una riuscita, dopo (18-22). Quasi a dire che solo chi mangia questo pane e ne vive, sa riconoscere il volto del Signore. Luca, come gi la tradizione prima di lui, utilizza il miracolo della moltiplicazione dei pani per illustrare quel gesto, ben noto alla comunit, che lo associa al suo Signore nel suo cammino di morte/risurrezione nellattesa del suo ritorno. Lesperienza quotidiana delleucaristia ci trasferisce nellottavo giorno, loggi della trasfigurazione - quello stesso giorno dei discepoli di Emmaus (24,13) - perch ci rende presenti al suo dono di amore eterno. Il suo pane la nostra vita e ci abilita, come Elia, al lungo cammino di quaranta giorni, fino al monte della rivelazione di Dio (1Re 19,8). Il luogo in cui si riconosce Ges non la curiosit di Erode, che lo vuol controllare e tenere in mano, ma la fragranza del pane e la meraviglia stupefatta del discepolo che ne gusta. Il senso del racconto dato dalla sua cornice, incluso com tra laborto di fede di Erode e la nascita alla fede, anche se imperfetta, dei discepoli. Lo spezzar del pane rivelazione oggettiva del suo amore per me: lo ri-cordo, lo porto al mio cuore, al centro di me stesso e mi lascio interpellare da esso cercando di rispondere. La fede questo dialogo che si fa vita comune, il suo amore che si fa mio pane e mi nutre. La lettura che Luca fa di questo banchetto, strettamente cristologica, segna il punto darrivo della missione: lattivit apostolica porta a conoscere il Signore Ges e ha il suo culmine e coronamento nelleucaristia, che ne anche lorigine. Essa fondamento e compimento insieme della chiesa, suo principio e suo fine!

Il racconto ha come sottofondo lattesa del banchetto messianico nel deserto, analogo a quello che Dio imband al suo popolo (cf. Is 25,6ss; Os 11,4; 13,4ss; Sal 23; 78,18-29; 105,40; 107,9; Ne 9,15; Sap 16,20ss; 19,11ss). Tale banchetto (cf. Nm 11,4ss. 21ss; Es 16; Dt 8,13) chiarisce molti dettagli di questo racconto, la cui struttura peraltro simile alla moltiplicazione dei pani di 2Re 4,42-44. Il pane dato a tutti. Solo i discepoli per si rendono conto di ci che accaduto. Non segue nessuna reazione. Per chi se ne rende conto, lunica reazione possibile la fede in Ges come messia, nostra speranza. Questa speranza ci avvince e associa a lui, e si chiarisce progressivamente nel dialogo con lui. Alla fine egli si rivela completamente, ci fa entrare nel suo mistero di morte e di risurrezione e ci prende con s nel suo viaggio a Gerusalemme. Il brano allude alla celebrazione eucaristica in tutto il suo valore storico-escatologico. Essa pone chi la celebra nel cuore del mistero di Dio, nella memoria della sua passione per noi, nellanticipo della risurrezione e nellattesa del suo ritorno. I Dodici (v. 12) - che diventano inavvertitamente i discepoli (v. 16) che ne continueranno lazione - sono i servi di questo banchetto. Convocano, accolgono, ricevono e distribuiscono a tutti il pane spezzato e donato dal Signore. Lavanzo non viene riposto, come lomer di manna (Es 16,32ss), ma ci che i discepoli hanno sempre in serbo per donare a tutti e per sempre. Inoltre questa si pu e si deve conservare (Gv 6,12). A differenza della manna che perisce (Es 16,1721), questo pane non perisce mai (Gv 6,27). Ha anzi il potere di preservare dalla morte chi ne mangia (Gv 6,32-36.48-51). In esso il Signore vuole e pu finalmente rivelare il suo mistero di amore verso il Padre e verso di noi (10,21s). Questo pane ci pone al centro della Trinit, come figli nel Figlio e ci fa come lui ascoltatori della parola del Padre che trasfigura il volto (cf. v. 35). Il centro di questo brano il v. 16, che ripete le parole dellultima cena. Ora la presenza del Dio che nellEsodo sazia il suo popolo sostituita dal Cristo che spezza il pane: il Krios glorificato, che la comunit sperimenta nel deipnon kyriakn (coena Domini). Ges non presentato come il nuovo Mos, ma come Dio stesso che salva e sazia. Il paragone con il miracolo di Eliseo serve a mostrare la sua superiorit nei confronti di colui che aveva ereditato la doppia parte dello spirito del padre dei profeti (2Re 2,9). I vv. 10-11, con il ritorno e lassunzione in disparte degli apostoli (cf. v. 28), preparano la lettura del fatto nella chiave cristologica che essi, figura della chiesa, ne faranno. I vv. 12-15 introducono il nocciolo del brano, che il dare da mangiare a tutti, compiuto dai discepoli su ordine del Signore. Riecheggia il fate questo in memoria di me (1Cor 11,24). Il v. 16 richiama il gesto ben noto delleucaristia. Il v. 17 nota come qui si realizza la beatitudine di 6,21a e come questa beatitudine della saziet aperta a tutti gli affamati che si ciberanno di questo pane sovrabbondante. la beatitudine piena del Regno, concessa a chi mangia il pane nel regno di Dio (14,15). 2. Lettura del testo v. 10: E tornati gli apostoli, ecc.. il primo lasso di tempo che i discepoli passano soli, testimoniando il Signore assente: figura e addestramento per il tempo successivo, quello della missione della chiesa, in attesa del suo ritorno (cf. At 1,8-11). Il loro partire ha un ritorno: gli apostoli tornano a colui dal quale sono stati mandati. Ges principio e termine della loro missione. Sono simili alla colomba di No, che, a differenza del corvo, torner sempre a lui, fino a quando non sar vinta tutta la morte del mondo e lui sar tutto in tutti (1Cor 15,28). In realt vanno in missione proprio perch stanno con lui (cf. 8,1s), per seminare ovunque la Parola, perch anche gli altri, mediante il loro annuncio, possano stare con lui, diventare suoi familiari e mangiare quel pane che assimila a lui. Gli apostoli raccontano dettagliatamente a Ges tutto ci che hanno fatto, quasi conducendolo, con il racconto, a ripercorrere passo passo il loro cammino (questo il senso della parola greca).

Questo confronto preciso e puntuale di ci che si fa con il Signore il fondamento della comunit credente, che si confronta sempre con la storia di Ges (cf. Ef 4,20-21): vive della sua memoria e si nutre di lui. Questo ritrovarsi a discorrere e a confrontarsi al ritorno della missione, prima del pane, ci che facciamo prima delleucaristia, nel confronto con la Parola (cf. 24,25-30; At 2,42), ed ci che faranno i discepoli dopo lascensione, quando tornano dalla missione (cf. At 14,27; 15,14.12). Ges prende con s quelli che aveva inviati; quasi li rapisce, come nella trasfigurazione (v. 28), in disparte (da soli al v. 18). Preludio a una rivelazione segreta e profonda, crea una distanza, uno spazio lontano, una stanza segreta, in cui saranno svelati i misteri del Regno. Essi sono tutti velati e donati nel pane spezzato, scrigno di tutta la rivelazione di Dio che si fa vita delluomo. Mentre si dona e ci rende partecipi della propria vita come fratelli, Ges rivela insieme il suo amore di Figlio verso il Padre e apre a noi lamore del Padre suo verso di lui, il Figlio. Insieme con gli apostoli Ges si ritira. Si sottrae, operando tra i suoi e gli altri una distinzione dentro/fuori non tanto spaziale, quanto interiore. Essa consiste nellandare a lui, dialogare con lui ed essere presi da lui, sperimentando quellintimit di vita con lui alla quale saranno da condurre tutti i fratelli. Questo ritiro forse da connettere con il fatto dellinchiesta di Erode sul suo conto, provocata dal successo della missione dei Dodici. Erode era preoccupato del rilievo che cominciava a prendere lazione di Ges. Un altro Battista cui tagliare la testa, o addirittura un possibile concorrente? Comunque uno che pu dar noia e che bisogna tenere sottocchio! comprensibile come, dora in poi, lattivit di Ges, per sfuggire a Erode che vuole ucciderlo, si svolga fuori dalla Galilea, territorio sotto il suo dominio. Si trasferisce prima sullaltra parte del lago, poi, attraverso la Samaria, in Giudea, fino a Gerusalemme. Perch l si deve compiere la sua missione (13,31-33). v. 11: Ora le folle, saputolo, lo seguirono . Le folle, al ritiro di Ges con i Dodici, sanno e seguono. Questo ritiro il motivo determinante per conoscere e seguire colui che, appena annunciato dai Dodici, verr poi sperimentato. Il ritorno a lui, laderire a lui e lessere con lui, rende fecondo il ministero del discepolo e fa accorrere le folle. Lannuncio stesso ad altro non serve che a portare tutti a questo esodo nel deserto. Principio e fine di ogni servizio apostolico infatti conoscere e seguire il Signore - cosa che si consuma in questo stare con lui. La missione, come parte da questa comunione, cos porta a questa comunione con lui. Raccoltili, parlava loro del regno di Dio, e quanti avevano bisogno di cura li guariva. Ges accoglie le folle: fa da anfitrione a coloro che invita al suo banchetto. La sua accoglienza, previa al banchetto, ha due aspetti: la parola sul regno di Dio e la cura dei bisognosi. La sua accoglienza consiste nella Parola che guarisce e abilita a mangiare insieme con lui (cf. 5,29-31). Essa ha il potere di risuscitare e di ammettere al banchetto della vita (8,55). Espressione perfetta della sua misericordia, si fa gioia, banchetto e danza nel c. 15 (cf. 15,1s. 6.9.22-25.32). laccoglienza previa alla celebrazione eucaristica (cf.1Cor 11,33 che conclude: accoglietevi a vicenda), quella che Paolo, maestro dellagp, fa a tutti nel finale degli Atti (28,30-31). Circa la connessione tra ascolto della parola e guarigione, vedi 6,18, prima delle beatitudini. Circa il prendersi cura, vedi 5,31, dove Ges si rivela medico dei malati e dei bisognosi, proprio nel grande ricevimento di Levi il peccatore. Mentre Marco sottolinea la compassione di Ges verso un gregge senza pastore, Luca mette in rilievo la sua cura di medico verso i bisognosi e gli esclusi, gli infelici nelle membra e nello spirito, i malati e i peccatori. Mentre Marco presenta Ges come pastore messianico secondo il Sal 23, Luca presenta il medico, salvatore della pecorella smarrita e ferita, secondo Ez 34,11.16.22. v. 12: Ora il giorno cominci a declinare, ecc.. lora in cui Ges fu invitato a rimanere dai discepoli di Emmaus (24,29). la stessa della cena eucaristica, che, come quella pasquale, si celebra al

tramontare del sole. Leucaristia, banchetto escatologico, come segn e ricorda la fine della giornata di Ges tra noi, cos segna e anticipa il giorno del Signore, fine di ogni giorno delluomo e della sua storia inquieta che in lui trover pace. la danza che, invece del lutto, conclude ormai la fatica umana. I Dodici, che in At 6,2 vediamo deputati al servizio delle mense, ora si rivolgono a Ges. Insieme consigliano di dimettere, licenziare e sciogliere piuttosto che accogliere, prendere e riunire. Non sanno che il dono della sua parola far fiorire il deserto, il suo seme germoglier in pane per tutti. Nella prima tentazione Ges fu allettato a scegliere il pane contro la Parola (4,3s). I discepoli, nella stessa falsa alternativa, sono tentati di scegliere la Parola contro il pane. Ignorano che la Parola si fatta cibo in Ges. Come il pane frutto dellobbedienza alla Parola (cf. Dt 30,1ss), cos Ges, obbediente al Padre, si fa pane dei figli, nella certezza che obbedire a Dio lunico necessario per vivere. Dio infatti sapr sfamare il suo popolo anche nel deserto (Es 16,1ss; Sal 78,19ss), se il suo popolo lo ascolta. Sciogli la folla, ecc.. I discepoli vogliono sciogliere la folla perch trovi riposo. Questa parola richiama il kat1yma dove Ges si offr al mondo nella mangiatoia delle bestie (2,7) e dove Ges si dona come pane e vino ai discepoli (22,11). Non altrove, ma proprio qui nel deserto la parola del Dio fedele si fa cibo, e luomo trova in lui il suo riposo. Perch lui solo ha parole di vita eterna (Gv 6,68). La folla, secondo i discepoli, oltre al trovare riposo deve essere dimessa per provvedersi di grano. I figli di Israele andarono in Egitto per provvedersi di grano. Vi trovarono Giuseppe, il fratello venduto che avevano voluto uccidere, che li sfam (Gn 42). Il nuovo Israele trover in Ges, pane spezzato, venduto e tradito, la Parola fatta pane di vita. Nel deserto Dio diede a Israele la Parola e il cibo, necessari luno per il corpo e la vita animale, laltra per il cuore e la vita umana. Ora Ges d se stesso, provvedendo al corpo e al cuore delluomo. Egli la Parola obbediente al Padre che si fatta sostanza di amore. v. 13: Date loro voi stessi da mangiare. Ges d ai discepoli lo stesso ordine che diede Eliseo (2Re 4,42.43). I discepoli non capiscono che il mangiare (= vivere) legato al dare. Solo il dono possibilit di vita (cf. 6,30.38)! Il comperare e il corrispondente vendere fanno parte di uneconomia che indebita con la morte. Il suo gesto di spezzare il pane e donarsi totalmente aprir loro gli occhi su questa economia di vita. Nel memoriale del suo dono i discepoli troveranno una fonte da cui attingerla. Nel ri-cordo eucaristico riporteranno al cuore, cio al centro della loro vita, il dono di Dio di cui si nutrono e vivono, che ricevono e donano. Per ora fanno i loro calcoli, sulle proprie possibilit. Non sanno ancora contare sul dono di Dio. I cinque pani e due pesci per Luca sono la provvista dei discepoli: ci che loro gi hanno e di cui possono vivere. Ma ne avvertono linsufficienza per tutti, non conoscendone la potenza. Marco invece si pone a un primo livello di catechesi: i discepoli ignorano che esista questo pane e Ges richiama la loro attenzione sul fatto che c, e li invita ad andare a vedere (Mc 6,38). Vedranno che c e che, proprio in quanto spezzato e donato, colma ogni insufficienza e sazia la fame non solo loro, ma di tutti. Lobiezione dei discepoli, oltre che rilevare lincoscienza che essi ancora hanno del dono di Dio, serve a far risaltare la grandezza del dono. I discepoli non hanno ancora capito che i cinque pani di cui sono provvisti, assommati ai due pesci, fanno il numero di sette: sembra poca cosa, invece contiene ogni completezza e trasferisce luomo (numero 6) nel riposo di Dio, il settimo giorno. v. 14: Erano infatti circa cinquemila uomini. Il numero cinquemila richiama At 4,4, la comunit primitiva di Gerusalemme dopo pentecoste, in cui realmente si vive del dono di Ges nel dono reciproco (cf. At 4,32-35; 2,42-48). Inoltre risponde al numero dei pani moltiplicato per mille. Il dono di Ges ben pi grande di quello di Eliseo: l 20 pani per 100 persone (rapporto 1/5), qui 5 pani per 5.000 persone (rapporto 1/1.000)! Il dono di Ges due volte cento pi grande di quello di Eliseo. Il suo pane dieci volte pi grande della promessa stessa del seme che d il cento per uno (cf. 8,8). Questi numeri sono un modo popolare di fare teologia: esprimono la pienezza sovrabbondante del dono di Dio

per chi ne ascolta la parola. I 5.000 sono divisi in gruppi di 50x100: richiama la disposizione di Israele ordinata da Mos (Es 18,25). Per la parola di Ges, la folla disordinata diventa popolo ordinato e ben compaginato. Il pasto sdraiato, non pi in piedi e in fretta come nel primo esodo (Es 12,11). Sono infatti ormai nel riposo della terra promessa. Sdraiarsi, parola cara a Luca (7,36; 9,14; 14,8; 24,30), latto fondamentale del vivere, cio il mangiare portato al suo apice: una vita fraterna e serena, sicura e adagiata nella festa della commensalit. il banchetto sospirato. Luomo pena e fatica nel desiderio di poter vivere pienamente, gustando in pace la convivialit. Questa del pane e del banchetto messianico lastuzia somma di Dio: per essere desiderato dalluomo si fatto cibo, suo bisogno primario. Chi ama infatti vuole essere desiderato. Ma non pu imporlo. Allora Dio, dopo essersi fatto parola, bisogno delluomo spirituale, si fatto anche cibo, bisogno delluomo animale. Per questo il suo primo luogo fu la mangiatoia degli animali. Cos anche noi, animali pi del bue e dellasino che conoscono la greppia del padrone (Is 1,3), possiamo vivere la parola: Ascolta: amerai il Signore (Dt 6,4ss). Mediante il cibo ci assimiliamo a lui che diventa nostra vita. Questo pane il vertice di tutto il creato in vista del quale Dio ha fatto ogni cosa (cf. Col 1,16): tutta la materia inanimata diventa Cristo, Parola del Padre, che si fa nutrimento delluomo. v. 15: E fecero cos. I discepoli obbediscono alla parola del Signore e fanno sdraiare la gente per questo banchetto che neanche sospettano. v. 16: Ora presi i cinque pani, ecc.. Rileviamo solo i termini eucaristici principali: prendere pane levare gli occhi benedire spezzare dare ai discepoli distribuire mangiare tutti. Questo il katlyma, il riposo/ristoro promesso da Dio. Qui, non nei villaggi dellEgitto, luomo riposa e trova frumento, sia per mangiare che per unulteriore semina (cf. vv. 1-6). Da notare che tutti i verbi sono allaoristo. Esso indica una azione precisa, fatta una volta per tutte. Il dare invece allimperfetto: iniziato allora e continua ancora e sempre nelle mani dei discepoli, succeduti ai Dodici, che distribuiscono sempre lunico pane che sazia la fame di ogni vivente. Tutto il Vangelo un commento a queste parole, una catechesi sulleucaristia, arrivo e partenza della missione, culmine e sorgente della vita cristiana. Essa introduce ogni uomo nei misteri di Dio (8,10), facendolo familiare con lui (8,19-21) e rendendolo partecipe del dialogo Padre/Figlio (10,21s), fino a quando, per semina (annuncio) e raccolto (Eucaristia) successivi, Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28) e la sua gloria sar testimoniata fino agli estremi confini della terra (At 1,8). Inoltre chi distribuisce non sono pi gli apostoli, ma i discepoli, che costituiscono lampliamento della cerchia dei Dodici nello spazio e nel tempo. comunque sempre Ges stesso che spezz e dava, come fece nellultima cena, lasciandoci in anticipo il memoriale del dono pasquale di se stesso per tutti (22,19ss). Il suo gesto, cominciato allora, continua oggi. Il pane spezzato - il corpo donato sulla croce - viene continuamente presentato, donato e offerto nel servizio dei discepoli di ogni tempo, che si riuniscono attorno a lui con i frutti della loro missione. Nelleucaristia viviamo qui e ora, oggi, del suo amore eterno che ci stato donato nelloggi della croce. il dono perfetto del Padre alluomo e delluomo al Padre, lunico s totale e

reciproco delluno allaltro. Dio fa festa perch trova il suo figlio morto e risorto e ogni figlio perduto e morto risorge ed salvato. v. 17: E mangiarono e furono sazi tutti. Chi mangia questo pane, si associa al corpo donato, entra nelleconomia dellamore e del dono e vive di questo. Tutti ne mangiano, - perch il dono non conosce privilegi - e sono sazi, perch solo il dono sazia. Il popolo entra nella beatitudine della saziet del Regno, proclamata in 6,21. finita la vita come fame, sempre insidiata dalla morte! Chi mangia di questo pane vivr in eterno, perch, unito al corpo morto e risorto del Signore, vive del suo stesso amore, in obbedienza al Padre. Questa la saziet di vita di cui si parla. Le altre pienezze sono apparenti: aumenteranno nausea e fame (cf. 6,25). Il pane che sazia richiama Es 16,8.12. sovrabbond loro. La beatitudine-saziet del Regno legata alleconomia del dono e della misericordia, data nel pane: Beato chi manger il pane nel regno di Dio! (14,15). La sovrabbondanza la benedizione gi promessa a chi apre la mano al povero (cf. Dt 15,11; 28,5). Il pane che abbonda e avanza richiama 2Re 4,42-44. Questo pane infine lo si pu conservare, a differenza della manna che perisce, perch il pane di vita (cf. Gv 6,12). Lo si conserva dandolo e lo si moltiplica dividendolo. E ne avanzano 12 ceste, una per trib e una per ogni tempo: da donare a tutti e per sempre! 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il luogo deserto, nei pressi di Betania. c. Chiedo ci che voglio: capire e gustare il pane che il Signore offre. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone, chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - gli apostoli a confronto con Ges - si ritir con loro in disparte - le folle lo seguirono - il giorno declina - la proposta dei discepoli - date loro voi stessi da mangiare - le parole delleucaristia - furono sazi tutti - sovrabbond loro dodici ceste. 4. Passi utili 2Re 4,42-44; Is 25,6ss; 55,1-3; Sal 23; 145; Lc 22,19-20; Gv 6.

52. IL CRISTO DI DIO... IL FIGLIO DELLUOMO


(9,18-22)
18

E avvenne mentre egli era in preghiera, erano con lui i discepoli da soli, e li interrog dicendo: Chi dicono le folle che io sia? 19 Essi rispondendo dissero: Giovanni il Battista, e altri Elia, e altri che un profeta degli antichi si lev. 20 Ora disse a loro: Ma voi, chi dite che io sia? Ora Pietro, rispondendo, disse: Il Cristo di Dio! 21 Egli sgridandoli ingiunse loro di non dire a nessuno questo, 22 dicendo: Bisogna che il Figlio delluomo soffra molto e sia rigettato dagli anziani dai sommi sacerdoti e dagli scribi, e sia ucciso, e sia destato il terzo giorno. l. Messaggio nel contesto Degli autori pongono qui, invece che al v. 51, linizio della seconda parte del Vangelo di Luca, con lavvio del grande viaggio a Gerusalemme. Certamente i vv. 18-51 fanno da cerniera. In essi Luca lascia risuonare in piena scioltezza tutti temi della prima parte del Vangelo e intona quelli della seconda, concludendo quanto stato aperto e accennando quanto sar svolto. Infatti si risponde alla domanda: Chi costui? in modo definitivo e da tutti i punti di vista - gente, discepoli, Ges, il Padre. Contemporaneamente si introdotti nella conoscenza dellenigma: Qual il suo Spirito?, quello che lo porter fino a Gerusalemme, ben diverso da quello che gi ve lo port per tentarlo in 4,9! Prima si andava a lui per ascoltare e guarire (6,18); ora, una volta guariti dal male e dalla disobbedienza, si chiamati a andare dietro di lui (v. 23) e vedere il regno di Dio (vv. 27ss). La parola andare (venire) diventa il filo conduttore del racconto, con un termine preciso: Gerusalemme. il lungo viaggio, per il quale ora abbiamo il pane (1Re 19,7). Nei cc. 9-13 si parler dello Spirito di Ges che il discepolo deve seguire; nei cc. 14-16 esso si rivela come dono della misericordia di Dio in Ges, che si esprime nella capacit del discepolo di essere a sua volta misericordioso. una ripresa del grande tema di 6,20-38.

Dal v. 17 al v. 18 Luca salta ben 75 versetti di Marco: la grande omissione, dove lascia cadere doppioni o materiale non facilmente comprensibile ai suoi lettori. Cos riallaccia direttamente al dono del pane la capacit di riconoscere il Signore e di compiere il viaggio (cf. 24,30-33). Nei vv. 18-50 condensa in 33 versetti i 53 di Mc 8,27-9,41. Mantiene o lascia cadere, secondo che serva o meno alla sua ottica teologica, che quella di congiungere la preghiera con lessere tolto dal mondo. Linterrogativo circa Ges - abbozzato in 4,22.36; 5,9, formulato in 5,21, ripreso dal Battista in 7,18ss. e dai commensali in 7,49, suscitato nei discepoli in 8,25 e in Erode in 9,7-9 - trova ora risposta. La risposta riservata ai discepoli che sono stati con lui e accettano di essere messi in questione da lui. Essa rimane incompleta e deve restare aperta allulteriore rivelazione che lui far di s. Chiudersi nella propria risposta tentazione diabolica per eccellenza (cf. Mc 8,32s). In questo brano si opera il passaggio tra una conoscenza religiosa di Ges secondo la carne e una conoscenza nella fede, secondo lo Spirito, concessa ai discepoli. Questi lo sanno riconoscere come novit assoluta, come il Cristo di Dio. A questo punto Ges rivela il suo mistero pi profondo: il mistero del pane spezzato, la sua morte e risurrezione. Cos risponde pienamente alla domanda: Chi costui, che esige obbedienza?. A questo punto il discepolo obbediente associato a lui, fa parte della sua famiglia e mangia quel pane che la forza nel santo viaggio (Sal 84,6). Il nodo centrale, evidenziato da Marco come scontro (cf. Mc 8,32s), il passaggio dalla risposta di Pietro a quella di Cristo: si passa da un messianismo glorioso a quello del Servo che si consegna al Padre. il mistero della croce, discriminante della fede in Ges. lo scandalo che esige conversione profonda e continua. La fede e la sequela del Signore si decidono su questa strettoia. 2. Lettura del testo v. 18: E avvenne mentre egli era in preghiera, ecc.. Luca omette lindicazione topografica: Cesarea di Filippo. Lunico luogo geografico che interessa da qui in poi in riferimento a Gerusalemme. Aggiunge invece il luogo teologico da cui ha inizio il cammino, la sua sorgente: lessere in preghiera. Come dopo il battesimo, prima di battezzarsi nella realt umana (3,21; vedi anche 6,12), cos anche qui lo vediamo in preghiera, prima di battezzarsi e immergersi nella volont del Padre (cf. 12,50). In 3,21 la preghiera ci viene presentata come principio dellazione di Ges in favore degli uomini; in 6,12 come sorgente da cui scaturisce la chiesa; ora come fonte della sua stessa vita in ascolto del Padre. Questa sua comunione con il Padre principio e fine di tutta la sua attivit, ed ci che ci rivela e di cui ci rende partecipi (cf. 10,21s). Ges ci viene presentato mentre prega e i discepoli da soli erano con lui. Dopo il dono del pane, essi sono tolti dal mondo, perch leucaristia li rapisce con lui nella solitudine unica del suo dialogo di Figlio con il Padre. La preghiera il luogo solitario e intimo dellamore di Ges verso il Padre, quellamore del quale venuto a renderci partecipi. il luogo dove incontra tutti i fratelli appunto perch presso il Padre. Questa preghiera nella solitudine con il Padre, alla quale il pane ci associa, il luogo dove lui ci interpella e si rivela. Finora era luomo che si interrogava su Ges e lo interrogava. Ora lui stesso che prende liniziativa. Qui cessa la nostra domanda, per ascoltare la sua. Egli esige la nostra risposta. Solo se gli rispondiamo, inizia il dialogo e lui risponde (cf. 20,8; 22,67s; 23,9). Finalmente siamo noi messi in questione, non pi lui, che nel pane ci ha gi detto e dato tutto di s. Ges fa esplicitamente due domande, per avvertire i discepoli sullambiguit della risposta e sul pericolo costante di regredire alla risposta della folla. v. 19 Giovanni il Battista, e altri Elia, e altri, ecc.. La risposta della folla la stessa riferita in 9,7-9. Con la differenza che Erode non ricever mai risposta alcuna (cf. 23,9), perch ha ucciso il Battista. La folla invece, se risponde allappello suo di convertirsi, pu ricevere la rivelazione di Ges (cf. 20,8; 7,29.35). Erode in Luca figura del nemico, che lavora nei tre tempi della storia della salvezza: nel tempo di Israele imbavaglia la bocca e taglia la gola alla profezia (3,20; 9,9); nel tempo di Ges indaga

su di lui, ascolta e vuol vedere (9,7-9), lo cerca per ucciderlo (13,31) e lo incontra per nientificarlo e schernirlo (23,7-12); nel tempo della chiesa imprigiona Pietro e Giovanni (At 4,27), uccide Giacomo e arresta Pietro (At 12,1-14). Per questo la sua morte visibilizzazione della morte che ha dentro. Nel momento in cui si gonfi e pot pensare di essere grande come Dio, si sgonfi o disanimal, roso dai vermi (At 12,23). La risposta della gente ripresa e sintetizzata: Ges un profeta risorto. Questa unallusione importante per il lettore. Introduce infatti al centro della rivelazione di Ges, profeta morto e risorto. Lerrore consiste nellidentificare Ges con una figura del passato. Laspetto positivo che questo passato contiene la promessa di Dio e la sua parola di risurrezione. Lerrore quello di fermarsi al cartello indicatore senza seguirne lindicazione. Per questo i discepoli saranno gli eredi spirituali della promessa di vita, mentre agli altri rester solo la lettera che uccide (cf. 2Cor 3,6). v. 20 Ma voi, chi dite che io sia?. La risposta non scontata! Importante notare che ora non la gente a interrogarsi su Ges, ma Ges stesso che interroga i discepoli. Il discepolo costituito da questa interrogazione: non mette in questione Ges e accetta di essere messo in questione da lui. Ges domanda e il discepolo risponde! Fino a quando siamo noi a porre le nostre domande, non avremo mai risposte circa la sua novit: risponderemo secondo la nostra ovviet. La domanda infatti precontiene la risposta. Deve al fine tacere la nostra domanda, per ascoltare la sua. Cessa cos la nostra risposta e siamo in grado di accogliere la sua. Allinterrogarsi e allinterrogare, succede il lasciarsi interrogare. I discepoli sono chiamati voi, in netta distinzione dalla folla. Il loro dire su Ges non sar risposta a una loro domanda, ma alla sua, diretta a loro comunitariamente. Il voi ecclesiale: la risposta a questa domanda fa la chiesa. Il Cristo di Dio. Pietro risponde, esprimendo la fede della chiesa. In Luca la funzione petrina assai evidenziata. Per questo forse si tralascia il diverbio di Mc 8,32s e si menziona pi avanti il suo incarico di confermare nella fede i fratelli (22,31s). La sua risposta riconosce in Ges il Cristo, il messia atteso, colui che deve venire secondo la promessa di Dio (cf. 23,35)! Anche se dice di Dio, la sua attesa in realt ancora pi secondo i desideri delluomo che secondo la promessa di Dio. Ma Dio esaudisce le sue promesse, non i nostri desideri! Per questo Ges, come Cristo di Dio, deluder le attese messianiche delluomo (cf. 23,35-39; 24,21). Egli infatti non latteso dalluomo. il ma di Dio a ogni sua attesa, che non pu che essere falsa e negativa, perch dettata dalla paura. il Cristo che viene da Dio e torna a Dio e porta con s noi a lui. Per questo la sua opera salvezza, e compie ci che noi non osavamo sperare in un modo che non sapevamo pensare. v. 21 Egli sgridandoli, ecc.. Sembra strano che Ges sgridi i discepoli dopo la risposta di Pietro. Ritiene giusta o meno la fede in lui come messia? Non corretto porsi il problema in questo modo. Sgridando i discepoli come i demoni che rivelano la sua identit, egli esorcizza ogni messianismo, anche giusto, perch parzialmente sempre sbagliato: il di Dio scivola sempre verso il basso e cade immancabilmente nella trappola satanica del pensiero delluomo. Solo con questo esorcismo la fede si tiene aperta alla rivelazione del mistero della croce. Diversamente cade nel laccio del tentatore, che ci muove con la paura della morte e ci suggerisce, come regola suprema dellagire, la tentazione: salva te stesso (23,35.37.39). Luca sintetizza in questo sgridare lesorcismo di Ges alla fede del discepolo che non accetta il messia sofferente (cf. il rimprovero ai discepoli di Emmaus: Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti, 24,25). Il difficile non credere che un profeta sia risorto, bens credere alla sua parola (cf. 16,31). I discepoli non possono svelare la messianicit senza la correzione che lui vi apporta con la sua morte e risurrezione. Il mistero della croce come via alla vita lo specifico della sua messianicit, il pensiero di Dio contrapposto al pensiero delluomo (cf. Mc 8,33). I discepoli lo capiranno lentamente, e solo

dopo pasqua! Le tentazioni, che Ges ha gi affrontato per s nel deserto e vincer sulla croce, ora sono nel cuore dei discepoli e della chiesa, nel tempo che va dal battesimo alla gloria. Per questo la parola della croce deve sempre esorcizzare la chiesa da ogni falso messianismo. v. 22 Bisogna che il Figlio delluomo, ecc.. Ges qui rivela il mistero del pensiero di Dio che luomo non pu pensare n accettare. Il problema non ormai pi che Ges sia il Cristo di Dio, ma come lo sia. Egli di Dio proprio perch non salva se stesso, ma perde e dona se stesso per noi (cf. le tre tentazioni sulla croce 23,35.37.39 in connessione con 9,24). Questa la via della gloria, lesperienza di Ges che la chiesa ha nel pane spezzato. Egli non il Cristo scontato dellattesa umana, ma il maestoso ed enigmatico Figlio delluomo che affronta il cammino del Servo di JHWH: la prima autorivelazione piena di Ges, il nocciolo della fede cristiana, il suo mistero di morte e di risurrezione redentrice. Il bisogna (cf. 2,49) indica il compimento della volont di Dio, rivelata nella Scrittura. Tale volont non un arbitrio capriccioso: deve morire in croce per noi, perch ci ama e noi siamo sulla croce! La sofferenza del Servo, che ama il Padre e i fratelli, il mistero di Ges. La croce il nostro male che lui si addossa perch ci vuol bene: il suo perdersi per salvarci. La sua sofferenza prodotta da tutte quelle forme di male che noi, nella nostra paura, abbiamo escogitato per salvarci (!). Gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi rappresentano rispettivamente lavere, il potere e il sapere. Ricchezza, vanagloria e superbia, strette parenti delle tre concupiscenza di 1Gv 2,16, sono le tre maschere del nemico e le tre apparenze del frutto di Gn 3,6: buono, bello e desiderabile. Esprimono il distillato del pensiero delluomo, nel tentativo di salvarsi dalla sua nudit non pi accettata. Questa paura del limite lorigine di ogni perdizione, perch lo porta a impadronirsi delle cose, delle persone e di Dio stesso. Per riempire il suo vuoto, allunga la mano su tutto: tutto prende, mangia, uccide e travolge nella sua morte. Ges il contrario del vecchio Adamo, larpagone (cf. Fil 2,5-11) e ci rivela il volto di un Dio che tutto dona per amore alluomo sua creatura. Per questo il potere lo rigetta e poi lo uccide. Ma lultima parola non spetta alla morte, bens a colui che ha detto la prima, che fu creatrice. Cos la vita sar il dono di Dio al suo Servo fedele, sua risposta alluccisione del Figlio che noi, infelici, facciamo. Lenigma della morte di Ges fu loggetto principale delle spiegazioni di Ges risorto. Si pu notare una crescita nellintelligenza di fede di questo mistero: a) un fallimento della speranza umana (speravamo! 24,21); b) un tragico incidente sul lavoro, al quale Dio mirabilmente rimedia: gli uomini cattivi lhanno ucciso, ma Dio lo ha risuscitato, la pietra scartata diventata testata dangolo (20,17; At 2,23s); c) un passaggio obbligato alla gloria: bisognava che, ecc. (24,26); d) il luogo dellobbedienza al Padre, dellamore a lui nellamore dei fratelli inguaiati, in atteggiamento contrario a quello di Adamo (Fil 2,5-11); e) il dono del Regno (23,40-43), segno massimo del suo amore (Rm 5,6-11), riscatto dei peccati (1Cor 15,33), rivelazione stessa di Dio che amore (1Gv 4,9s). L conosciamo chi lui: Quando avrete innalzato il Figlio delluomo, allora saprete che io Sono (Gv 8,28). Il punto d) particolarmente sviluppato nella figura del Servo, il giusto sofferente, che fa da filigrana al racconto della passione (cf. 23,47). Il punto e), particolarmente sviluppato da Giovanni, fa da sottofondo al perch Ges morto. Egli non salva se stesso (23,34-39), ma si perde per solidariet con noi perduti: il Dio amore, solidale con il nostro male, che ci dona il suo regno (23,40-43). Questo volto di Ges, il Figlio obbediente di cui qui sono tracciati i lineamenti netti e duri, sar oggetto di ogni cura da parte delliconografo Luca in tutta la seconda parte del Vangelo. Egli intende proprio portarci a vedere quel volto che la nostra salvezza. 3. Preghiera del testo

a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges in preghiera, da solo coi suoi. c. Chiedo ci che voglio: chi Ges per me? Mi lascio interrogare da lui? Accolgo la sua domanda e la sua risposta? Ne faccio lattaccapanni dei miei desideri o ascolto la sua parola? d. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - la domanda di Ges circa lopinione delle folle - la sua domanda diretta ai discepoli - la loro risposta: Ges il Cristo - la sua rivelazione: il Figlio delluomo, il Servo sofferente. 4. Passi utili Sal 2; 89; 110; 2Sam 7,8-16; Sal 22; Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-11; 52,13-53,12; 1Cor 1,18-31.

53. SE QUALCUNO VUOLE VENIRE DIETRO ME...


(9,23-27)
23

Ora diceva a tutti: Se qualcuno vuole venire dietro me, rinneghi se stesso e sollevi la sua croce ogni giorno e segua me. 24 Chi infatti vorr salvare la sua vita la perder; chi invece perder la sua vita a causa di me, costui la salver. 25 Che giova infatti a un uomo aver guadagnato il mondo intero e aver perso o rovinato se stesso? 26 Chi infatti si vergogner di me e delle mie parole, di lui il Figlio delluomo si vergogner, quando verr nella gloria sua e del Padre e dei santi angeli. 27 Ora dico a voi in verit: ci sono alcuni, di quelli che stanno qui,

i quali non gusteranno affatto la morte fino a che non abbiano visto il regno di Dio. 1. Messaggio nel contesto Lo spezzar del pane rivela al discepolo, insieme a quello di Cristo, il suo stesso volto. Ne la riproduzione fedele, il ritratto vivente. Prendere questo pane infatti significa vivere di lui e come lui, nellidentico cammino di passione e risurrezione. La via del Regno quella della croce, tanto per il Maestro quanto per il discepolo. Questo discorso rivolto a tutti, anche a quelli che in futuro mangeranno delle dodici ceste avanzate di questunico pane spezzato. Queste parole del Signore costituiscono lapice del cammino di ascolto e portano lascoltatore sulla soglia della visione (v. 27). Il brano profezia circa il discepolo: egli vive nella propria carne la stessa passione del suo Signore appena predetta. La trasfigurazione che segue lanticipo della risurrezione, come gloria proposta per affrontare la croce, secondo il dinamismo di Fil 3,10s (cf. Eb 12,2). Questi cinque detti di Ges sono un compendio di vita cristiana, lo specchio della Parola cui il discepolo deve conformare il proprio volto (cf. Gc 1,22-25). La nostra vita presente e futura porta impressi i lineamenti di Ges, il Figlio morto e risorto. Quanti saranno segnati con la croce sulla fronte, saranno salvati: il sigillo di appartenenza a Dio in Ges (cf. Ap 7,2ss; Ez 9,4). Il discepolo, incorporato per il battesimo al corpo di Cristo di cui nelleucaristia vive, incontra la stessa lotta e le stesse tentazioni del deserto e della croce di colui che segue (v. 23): salvare la propria vita (v. 24), guadagnare il mondo (v. 25), giungere alla gloria senza passare attraverso la croce (v. 26). Chi mangia e vive del pane spezzato , come Ges, martire dellamore del Padre. Per, nella misura in cui associato allo scandalo della croce, lo anche alla visione beata del suo regno (v. 27). Luca, come cala nel quotidiano leucaristia, cos parla di croce quotidiana. Il martirio della croce si proietta indietro su tutta la vita, che appunto testimonianza (=martirio). pi difficile vivere per Cristo e come Cristo che pretendere di morire per lui o come lui! La salvezza legata al presente in obbedienza alla sua parola. Negli Atti vediamo come i discepoli continuano nella propria vita quella di Ges, testimoniandolo con parresa. Si pu dire che il libro degli Atti un grande commento a questi detti che terminano con la promessa di vedere il Regno, seguita subito dalla trasfigurazione. Il tutto gi contenuto nella beatitudine di 6,22s. I discepoli la sperimentano lottavo giorno: il giorno del Signore, in cui li trasferisce il pane spezzato, memoria della sua morte e anticipo della gloria futura. Lescatologia si fa storia e svolge la sua funzione, che quella di esserne il motore, e non evasione! Daltronde ogni storia tale in quanto ha un fine e ha la qualit di questo fine. 2. Lettura del testo v. 23: Ora diceva a tutti. Ges si rivolge non solo alla folla e ai discepoli presenti, ma a tutti, nessuno escluso, fino agli estremi confini della terra (At 1,8). Dopo averci rivelato il suo volto, rivela a noi il nostro. lo stesso unico volto, perch noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo lazione dello Spirito del Signore (2Cor 3,18). Se. Il fine andare dietro a lui che il Cristo di Dio, nel suo cammino verso la gloria. Ora Ges pone le condizioni, che non sono facoltative: il passaggio attraverso la croce una necessit per lui (24,26.44-46) e per i discepoli, poich bisogna attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio (At 14,22).

qualcuno vuole. Andare dietro a lui, per essere per sempre con il Signore (1Ts 4,17): latto supremo di volont e di libert delluomo, che scaturisce dal dono delleucaristia. venire dietro me. la persona di Ges (me) che il discepolo cerca. Per questo lo seguo ovunque, perch la mia vita Cristo (Fil 1,21): non sono pi io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20), la mia vita nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3). Lamore per lui che per primo ha amato me (1Gv 4,10.19; cf. Gal 2,20) spinge me verso di lui, perch lamore ha la propria vita nellamato. Il cristianesimo si qualifica per questo amore a Ges, pi forte di ogni altro: pi di quello del padre, della madre, della moglie, dei figli e della propria vita stessa (14,26). NellAT si seguiva Dio e la sua parola: ora si segue Ges, perch la sua carne la Parola stessa di Dio fattasi ascolto. Mentre il pazzo ama le idee, il feticista ama le cose e legoista se stesso - ponendo rispettivamente come assoluto le idee, le cose e se stesso - luomo libero colui che sa amare una persona. Amare vuol dire seguire, uscire dal proprio io, decentrarsi, smettere di pensare a s e stare nellamato. Luomo ha necessariamente un pastore, perch guidato dal suo amore. Il suo pastore, sposo e guida, che amer con tutto il cuore, Dio (Dt 6,5; Sal 23), che lo ama di amore eterno (Ger 31,3). Se non ama Dio, il suo pastore la morte (Sal 49,14). Ges non dice di camminare come lui, bens di venire dietro me. Si esclude la pretesa di chi cammina. Si sottolinea invece linvito di chi fa camminare. Si tratta di una chiamata, cui liberamente si risponde. Non un atto cieco di volont di potenza. Suppone la sublimit della conoscenza di Cristo Ges, mio Signore (Fil 3,8). Ci che muove non la pretesa di amarlo, ma la conoscenza del suo amore, che mi chiama a seguirlo. Venire dietro me il fine a cui ci invita. Ora si pongono tre condizioni: 1) rinneghi se stesso. Tutto ci che luomo fa per affermare se stesso. Perch sa di non valere e vuol valere prevalendo, affermandosi appunto. Pone se stesso al centro, avanti tutto e soprattutto e si mette al posto di Dio. Ma non perch si creda Dio! Solo perch ha paura e vuole salvarsi. Limitato e mortale, sicuro di perdersi e fugge inevitabilmente e inutilmente dalla sua morte. Questo il risultato del peccato, la menzogna satanica, cui luomo ha dato ascolto. Il negare se stesso che Ges propone non un uccidersi, ma un uccidere la morte che noi scambiamo per vita. affermare la nostra vera vita come libert e amore, a immagine e somiglianza di chi ci ama. la libert di uscire da s per amare. Lamore infatti estatico, pone chi ama fuori dal proprio io e lo realizza pienamente come relazione. 2) sollevi la sua croce ogni giorno (cf. 14,27). latto di prendersi sulle spalle il patibulum, il braccio traverso della croce, per fare il viaggio fino al luogo dove gi infisso il palo. ci che deve fare il condannato (cf. 23,26). La propria croce quella che non si vuole, ma che non si pu fare a meno di portare, perch nostra, che ci siamo fatti noi. Libert non tanto fare ci che si vuole, quanto volere ci che si fa ed necessario. Sollevare la croce farci carico del nostro male, che giustamente ci siamo guadagnati, come dice uno dei due malfattori. Cos siamo vicini alla croce di chi si fatto vicino fino a quel punto per offrirci il suo regno. Lui gi ci ha preceduto, impalato per primo; la mia traversa di croce solidale col suo legno gi fisso, che la porta e la condivide per amore. Posso quindi sollevarla e portarla fino a quel palo dove vinto il male e cala sulla terra il Regno. Il malfattore che vuol essere sollevato dalla croce e non si accorge che l vicino c il Signore, infelice: non solo non capisce il proprio male, ma neppure conosce il Signore e la sua promessa. Il malfattore invece che si accorge che l c il suo Signore, anche se malfattore n pi n meno dellaltro - tutti facciamo il male! - associato al mistero del Salvatore sofferente con lui per renderlo con lui glorioso. La croce, da evento finale, in Luca diventa quotidiana, di ogni giorno. cessata la persecuzione di Nerone; ma il discepolo, contemplando il mistero della croce nella quotidianit delleucaristia, capisce che c un martirio quotidiano. Esso conosce lo scorrere delle ore, dei giorni e degli anni: il martirio della storia della salvezza che si misura nel tempo con lavversario, vivendo del pane eucaristico di cui si

nutre. In questa quotidianit il morire per Cristo diventa vivere per lui, credere diventa perseverare in quella fede che vince il mondo (1Gv 5,4). 3) segua me. Non semplicemente un andare dietro di lui che prima di noi ha fatto lo stesso cammino al calvario. Non che bisogni portare la croce a imitazione di Ges che prima ci ha dato lesempio. Seguire indica la presenza costante di chi si segue, senza perderlo di vista. Non si seguono le sue tracce, ma lui stesso, che realmente si accompagna a noi e ci unisce al suo cammino, facendo il nostro stesso passo (24,15). Siamo in cordata con lui, che non solo ha aperto la via, ma la sta ripetendo con noi, e ci fa sicurezza con buoni chiodi, capaci di tenere il peso del mondo e di Dio insieme, in un unico corpo. Non seguiamo la croce, ma lui, il Crocifisso per amore nostro. v. 24: Chi infatti vorr salvare la sua vita, ecc. . Rinnegare s e seguire lui non qualcosa di facoltativo: salvare o perdere la vita. Luomo, consciamente o meno, mosso dalla paura della morte e guidato dallansia di vita, fa di tutto per salvarsi. E per questo si intrica sempre di pi nella perdizione, come luccello che si dibatte nella rete. In realt la salvezza rinunciare a sollevarsi dallacqua tirandosi su per i capelli e accettare che la mandi Dio che mi ama e pensa a me. La salvezza la fede nella parola di lui che mi salva, come la perdizione la diffidenza causata in me dalla menzogna. Luomo si realizza amando, cio perdendosi e diventa ci che ama e per cui si perde. Ma, per amare, bisogna essere amati. Il cristiano pu amare Ges e perdersi per lui, perch lui per primo mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20). Mi affido a lui, nella vita e nella morte, perch lui morto ed risorto per me, vincendo tutte le barriere del mio male e della mia paura. Questa esperienza, data nel battesimo, diventa cibo quotidiano nelleucaristia, pane spezzato che d forza per camminare e libert per amare. Il paradosso: volersi salvare perdersi, perdersi per Cristo salvarsi, riferisce lesperienza battesimale che ci associa al mistero di morte e risurrezione di Ges. Queste considerazioni, per una vita salvata nellamore o perduta nellegoismo, valgono per il presente e per il futuro: ci che semini, raccogli! Il martirio e la quotidianit della croce non perdono di vista la prospettiva definitiva, il destino ultimo delluomo. v. 25: Che giova infatti, ecc.. Il primo e fondamentale tentativo di autosalvezza delluomo accumulare. Insidiato dal limite che gli richiama la propria radicale insufficienza, luomo si garantisce cibo e vita, guadagnando, accumulando e divorando tutto. la sicurezza dei beni (cf. 12,15-21; Sal 49), falsa perch ci che uno ha non riempie il vuoto di ci che non . il meccanismo che scatta nelle tre concupiscenze di cui parla 1Gv 2,16, che porta a prendere tutto ci che buono, bello e desiderabile (cf. Gn 3,6), a fagocitare cose, persone e Dio stesso. Il discepolo non solo ricorda lammonimento del suo Signore: Vedete, custoditevi da ogni avere di pi, perch anche se uno nellabbondanza, la sua vita non dalle cose che ha (12,15), ma anche le altre parole: Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non pu essere mio discepolo (14,33). Il cristiano che vuol guadagnare tutto, si perde prima come discepolo e poi come uomo. Linsaziabilit di beni, figlia della sfiducia e madre dellingiustizia, via alla perdizione. Il vero accumulo donare, facendosi borse che non invecchiano (12,33; cf. 16,9). Gli unici beni che passano alla dogana del Regno sono quelli dati per misericordia; nulla di ci che abbiamo tenuto passa. Il rovinare se stesso, che sembra meno di perdere se stesso, forse allude alle tribolazioni inutili e dannose, alla salvezza come attraverso il fuoco di cui parla 1Cor 3,15. v. 26: Chi infatti si vergogner di me, ecc.. La presa di posizione nei confronti di Ges, per chi lha incontrato e nei confronti della sua parola, per chi lo incontrer nellannuncio, decisiva per il futuro. Dio non giudica nessuno: salva tutti mediante suo Figlio. Un giudizio per c. Ma non lui a farlo: lo facciamo noi qui ed ora sul suo Figlio. Accettarlo o meno, vivere o meno la sua parola nel presente, ricevere o meno la sua gloria nel futuro. Lescatologia si gioca nella storia: il futuro si gioca tutto nel presente, in fedelt al passato, a Ges e alla sua parola. Il giudizio futuro lo facciamo noi nella storia presente. Dio ci ha rivelato il metro valido, per sempre: la parola del Figlio.

Il pericolo per il cristiano di Luca quello di smorzare lattesa del Signore e del suo giudizio, come il pericolo della generazione precedente fu quella di affrettarlo, dimenticando il valore del presente. Come prima cera stato il pericolo dellillusione, dopo ci fu quello della delusione. Per questo Luca, come pure gli altri evangelisti, riporta il futuro del giudizio nel presente della storia. Questa ha qualifica escatologica. Come la meta qualifica il cammino, cos nel cammino contenuta la meta: il risultato della partita dato solo alla fine, ma viene giocato tutto prima, in ognuno dei 90 minuti, dei quali nessuno insignificante. Tutto il futuro si gioca qui ed ora. La coscienza del presente come definitivo determinante per non vivere nel futuro che ancora non c, o nel passato che non c pi, nel desiderio o nel rimpianto, comunque nel vuoto. Se il presente definitivo, lo vivo ora in tutta la sua pienezza, aperta al passato e al futuro. Il presente dove posso cambiare il passato dando un nuovo senso, e dove posso modificare il futuro, dando una nuova direzione. importante questo richiamo al giudizio di Dio nella storia, da vivere ora: il dono delleucaristia, memoria di Cristo e pegno del futuro, che si vive al presente. Questo presente, per quanto banale, legato alla gloria del Figlio delluomo e del Padre e dei santi angeli. v. 27: non gusteranno affatto la morte fino a che non abbiano visto il regno di Dio. Questi detti di Ges terminano con unaffermazione incredibile, particolarmente solenne e cara a Luca: chi ascolta questa parola vede la basilea di Dio. Luca toglie venuto con potenza di Mc 9,1, per sottolineare che con Ges il Regno gi venuto in modo da non attirare lattenzione (17,21), e viene in modo misterioso nelleucaristia che celebriamo in attesa della sua venuta (cf. 24,31). Questa sar alla fine della vita personale e del mondo (23,43; At 1,6s), quando verr definitivamente e noi saremo per sempre con lui. Questa visione riservata a chi ascolta e comprende i misteri (8,10), a colui al quale rivelata la conoscenza mutua Padre/Figlio (10,21s) donata nel pane. La visione il punto di arrivo dellascolto e la conferma della sua validit (v. 35). Queste parole sono subito dopo lannuncio della croce e prima della trasfigurazione, in cui si compiono. Si tratta di un anticipo di gloria, donato come viatico e forza per il lungo viaggio fino a Gerusalemme, dove la visione della gloria sar nella pienezza. Essa riservata solo ad alcuni, a coloro tra i tutti del v. 23 che prendono sul serio ci che appena stato detto come condizione per vedere la gloria. In concreto questi alcuni per ora sono i tre discepoli presi e rapiti da Ges nella trasfigurazione. Tale esperienza concessa in modo stabile al malfattore che accetta la propria croce vicino a Ges (23,42s) In forza di questa visione il discepolo affronta la vita e la morte. Non viene esonerato da alcuna croce o difficolt! come Stefano, che pieno di Spirito santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Ges che stava alla sua destra (At 7,55) e il suo volto stesso ne trasfigurato, come quello di un angelo (cf. At 6,15). Per questo fa una morte identica a quella di Ges (23,46 = At 7,59; 23,34 = At 7,60). Il martirio di Stefano la realizzazione visiva che Luca offre come commento a queste parole di Ges. Il regno di Dio visibile dai discepoli, oltre che nella trasfigurazione e nellopera di Ges (7,22; 10,23s; 17,20s), nella sua risurrezione, nella pentecoste e nel diffondersi della chiesa. Esso si rende manifesto a tutti nello spezzare del pane (cf. 24,30): nelleucaristia la comunit apre gli occhi sullopera di Ges, sulla sua morte e risurrezione, ed rapita e associata con lui in un anticipo della gloria futura. Tale anticipo indispensabile per affrontare la croce (cf. Fil 3,10s), come la conoscenza della meta per muoversi nel cammino. Il brano si apriva con tutti, che sono i destinatari della parola di Ges, e si chiude con alcuni, che vedranno la sua promessa: questa riduzione di numero tra invito e banchetto, tra ascolto e visione, tra vita e Regno dovuta alla strettoia della croce. Non molti, ma tutti sono chiamati. Non pochi, ma solo alcuni eletti. E questi sono tutti coloro che accoglieranno linvito a seguirlo, sollevando la croce e perdendo la vita per lui. Questa riduzione serve a indicare la necessit e la difficolt di questo passaggio che introduce nella visione del Regno: duro, ma non c altra via. Per ci che qui detto di alcuni, aperto ora realmente a tutti.

3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges da solo coi suoi discepoli. c. Chiedo ci che voglio: rinnegare me stesso, portare la mia croce ogni giorno e seguirlo, disposto a perdere la vita per lui e per la sua parola. Gli chiedo di capire come il senso della mia vita - salvezza o perdizione - dipende dal vivere o meno ora la sua parola. d. Medito su ogni singola espressione che Ges rivolge a me. 4. Passi utili Sal 49; 16; 23; At 7,55-60; Fil 3; Eb 12,1-13; 1Pt 4,12-19; Gal 2,19s.

54. QUESTI IL FIGLIO MIO: ASCOLTATELO


(9,28-36)
28

Ora avvenne circa otto giorni dopo queste parole, avendo assunto Pietro e Giovanni e Giacomo, sal sul monte a pregare. 29 E, mentre pregava, divenne laspetto del suo volto altro e la sua veste bianco sfolgorante. 30 Ed ecco: due uomini conferivano con lui, ed erano Mos ed Elia, 31 che, visti in gloria, parlavano del suo esodo, che stava per compiere in Gerusalemme. 32 Ora Pietro e quelli con lui erano gravati dal sonno; ma, rimasti svegli, videro la sua gloria e i due uomini, che stavano con lui. 33 E avvenne, nel separarsi essi da lui, che disse Pietro a Ges: Maestro, bello che noi siamo qui! e faremo tre tende: una per te, una per Mos e una per Elia! - Non sapeva ci che diceva 34 Ora, mentre egli diceva questo, venne una nube e li copr dombra.

Ora essi temettero nellentrare nella nube. 35 E una voce venne dalla nube, dicendo: Questi il Figlio mio, lEletto. Lui ascoltate! 36 E mentre cera la voce, fu trovato Ges solo. Ed essi tacquero e non annunciarono a nessuno in quei giorni nulla di quanto avevano visto. 1. Messaggio nel contesto Si svela il cuore del mistero di Ges. Ai discepoli concesso di entrare nella conoscenza Padre/Figlio. Lobbedienza al Ges solo, che il Padre ordina - Lui ascoltate! - lapice del racconto. Lascolto confermato come via alla visione e forza del cammino verso Gerusalemme. Ora, dopo la trasfigurazione, sappiamo pienamente chi lui e perch lo dobbiamo ascoltare. Alleco in terra della proclamazione di Erode, della gente e dei discepoli, corrisponde dal cielo la voce del Padre, che conferma la parola del Figlio. Lordine di ascoltarlo riguarda particolarmente il brano precedente, dove rivela la necessit della croce per giungere alla gloria. Per questo, mentre risuona la voce, i discepoli trovano il Ges solo che va a Gerusalemme. Il Padre, dal santo monte, d il sigillo definitivo alla rivelazione di Ges e mostra il suo volto. Lascolto di lui porta a vedere ci di cui Mos ed Elia hanno parlato: la pienezza del dono di Dio. La voce del Padre e il volto del Figlio sono soprattutto una conferma a ci che i discepoli stentano a capire anche dopo pasqua (cf. 24,25ss), cio la necessit della croce. Ges, come Mos, si mette a capo del popolo per il nuovo esodo, verso la Gerusalemme definitiva; come Elia, verr assunto in cielo per ricomparire alla fine dei tempi (2Re 2,11ss). Come la sua andata, cos sar il suo ritorno! (At 1,11). Si scioglie la tensione suscitata dal problema sullidentit di Ges nella prima parte del Vangelo. Ora che lo si conosce ci si pu affidare a lui. Nel nuovo esodo che ci propone c una nuova manna, il pane spezzato e una nuova legge, il volto del Figlio obbediente. Sappiamo che, ascoltando lui, ascoltiamo il Padre e, vedendo lui, vediamo il Padre (Gv 14,9). Ci ha rivelato la sua gloria di Figlio proprio nel suo cammino di umiliazione fino a Gerusalemme. Di questo ha appena parlato ai discepoli e di questo conferisce con Mos ed Elia. La parola del Padre completa e corregge quella dei discepoli, i quali non hanno del Cristo di Dio la stessa comprensione che ne ha Dio stesso. Il Padre comanda ai discepoli di accettare il Cristo che passa attraverso lo scandalo della croce. Lui il suo Figlio e nessun altro; lui solo da ascoltare. Dal Tabor c uno squarcio di luce che lascia vedere la meta, Gerusalemme, perch i discepoli possano incamminarvisi. Hanno una visione anticipata della gloria per affrontare il passaggio obbligato della croce, appena annunciata (v. 22) e subito ribadita (v. 44): mentre le Scritture discorrono con lui sulla necessit della passione, ne contemplano la gloria. La definitivit e limportanza di questa rivelazione richiamata da 2Pt 1,16-19. Per il lettore di Luca, questo racconto serve a fargli sperimentare, attraverso il mistero del pane, la gloriosa presenza del Signore che lo trasfigura nel volto e lo rapisce nellesodo verso Gerusalemme: con la forza di quel cibo pu, come Elia, camminare per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio (1Re 19,7s). Il primo martire mostrer nel suo esodo il fulgore riflesso della stessa gloria (At 6,15), che gli permetter di testimoniare fino alla fine.

2. Lettura del testo v. 28: dopo queste parole. Luca lega la trasfigurazione direttamente ai vv. 22ss, in cui Ges rivela il cammino della croce sua e dei discepoli verso la gloria. Essa il compimento puntuale del v. 27. circa otto giorni. lottavo giorno, quello in cui si aprono gli occhi dei discepoli allo spezzare del pane (24,13). il giorno della risurrezione, del suo mangiare con i discepoli, del suo spiegare le Scritture, della sua missione e della sua esecuzione: il giorno del Signore, il primo dopo lultimo dei sette sabati che Luca riporta nel suo racconto. lottavo giorno, la domenica, loggi eterno del cielo aperto sulloggi terreno del presepio e del battesimo, di Cafarnao e del calvario; il Regno spalancato alluomo dalla vita di Ges, che inizia sul legno della mangiatoia e finisce sul legno della croce (cf. 2,11; 3,22; 4,21; 5,26; 12,32; 19,5.9; 22,34.61; 23,43). Questoggi di Dio fu gi prefigurato nellanno del Signore, che il primo dopo sette settimane di anni (Lv 25). il giorno definitivo in cui viviamo nellascolto e nello spezzare il pane, mangiando e vivendo del mistero di Dio. Lottavo giorno non solo il punto di arrivo delluomo e della sua storia: gi il suo presente, sperimentato da chi ha occhi per vedere fin dora, come in uno specchio, ci che poi vedremo faccia a faccia (1Cor 13,12). il giorno del Signore, la dies dominica in cui banchettiamo con lui nella coena Domini. Esso insieme fine e inizio, con un dinamismo continuo che cresce allinfinito, trasfigurandoci di gloria in gloria (2Cor 3,18): lepktasis, di cui parla Gregorio Nisseno. Gi ora siamo ci che poi apparir (1Gv 3,2): figli di Dio! Tutta la creazione partecipa alla generazione di questo uomo nuovo (Rm 8,19-22). Il destino del creato non la sfigurazione e la morte, ma la trasfigurazione e la gloria di Dio. Anche se ancora in esilio, siamo figli del Re, che stanno tornando alla casa del Padre. importante notare come questo ottavo giorno strettamente legato alle parole sulla passione e ci fa vedere il senso profondo della croce come mistero dellamore di Dio per luomo. La trasfigurazione infatti non mostra unaltra realt, ma la verit profonda di questa realt: la gloria del Ges solo che va verso il compimento del suo esodo. avendo assunto Pietro, ecc.. Come prima di spezzare il pane prese con s gli apostoli (v. 10), cos ora prende con s Pietro, Giovanni e Giacomo. Ges li unisce a s per sua iniziativa; li prende e li traspone in una situazione particolare di rivelazione: li porta con s nello spazio segreto della sua comunione con il Padre - lo stesso spazio da cui scaturito lo spezzare il pane per la comunione dei fratelli. Questi tre sono gli stessi testimoni della risurrezione di 8,51. Non compaiono nellagonia secondo Luca: l dormono come gli altri, mentre qui si svegliano o restano svegli. sul monte: non un monte qualsiasi, bens il monte, ben determinato, perch noto ai discepoli. il monte per eccellenza (cf. 6,12), il monte della preghiera e dellelezione, il monte della rivelazione, che richiama il monte degli ulivi, che sar il monte del compimento nella prostrazione e nellelevazione (19,29; 21,37; 22,39; At 1,12). a pregare. La preghiera, che Luca nomina spesso, il respiro della vita cristiana, comunione filiale con il Padre. il luogo della trasfigurazione, dove si vede la gloria di chi va in croce. Anche se non detto, si tratta di una preghiera notturna. come in 6,12 e 22,39ss. Infatti i discepoli sono gravati dal sonno e la discesa del monte avviene Il giorno dopo (v. 37). Il sonno e la notte possono essere illuminati solo dalla comunione con il Padre. Questa la forza di trasfigurazione e di risurrezione dalle tenebre, capace di rischiarare ogni notte e svegliare ogni sonno delluomo. E luomo conosce molte notti e molti anticipi del sonno! Qui la comunione con il Padre illumina il Figlio delluomo che ha predetto la passione sua e dei discepoli che ha preso con s.

v. 29: mentre pregava (come in 3,21, dopo il battesimo!). Si ripete, per dare rilievo, il pregare di Ges, e diventa un complemento di tempo e di luogo, quasi lo spazio che contiene la trasfigurazione, come rivelazione del Padre e gloria del Figlio. il luogo in cui scopriamo Dio come Abb, nostra sorgente, e veniamo generati nella gloria del Figlio. Vediamo la trasfigurazione solo se teniamo aperti gli occhi sulla preghiera di Ges, cio sul suo amore per il Padre che diventa il suo stesso amore per noi. Solo cos la sua croce pu essere capita come gloria del suo amore. laspetto del suo volto altro. Luca, a differenza di Marco e di Matteo, non dice: si trasfigur, per non richiamare ai suoi lettori le favole di metamorfosi (trasfigurazione in greco si dice metamorfosi). Si ferma a contemplare il volto (vedi la tematica biblica del volto di Dio!) e concentra lattenzione sullaspetto che altro rispetto a quello di qualunque altro. Di questo volto sottolinea limmagine visibile - laspetto appunto! - in quanto altra, diversa, santa! Luca liconografo del volto di Ges: ce lo descrive perch lo possiamo contemplare e riflettere sul nostro. Di questo volto ci d il vero aspetto, invisibile e ora rivelato, attraverso un solo tratto: la gloria, Dio nel suo splendore di bellezza. La gloria di cui Mos ed Elia sono rivestiti (v. 31) non loro (come dice la traduzione CEI), bens riverbero della sua (v. 32). Il volto altro identico a questa gloria. La luce taborica, tipica delle icone - una luminosit che viene dal di dentro eliminando ogni ombra - fa vedere sul volto la realt nascosta, d visibilit allinvisibile. una luminosit rovesciata: ha il suo centro allinterno, e il punto pi lontano e profondo emerge in primo piano, capovolgendo la prospettiva. la luce che non fa pi ombra perch il sole dentro. Nella preghiera si rivela pienamente la gloria di Dio, perch il luogo dove Dio acquista il suo vero peso (= kbd, cio gloria). e la sua veste bianco sfolgorante. Del volto non ha potuto dire altro se non che altro, perch la gloria. Di questa gloria ora descrive il vestito: esso bianco ed emana folgori. Se cos il vestito, che cosa sar il corpo? Ma il corpo stesso il vestito della persona e lumanit di Ges, a sua volta, vestito della sua persona divina, da cui emana appieno la dnamis della gloria di Dio. La folgore, espressione di Dio, lattributo della veste! Cosa sar il suo volto di gloria? I discepoli vedono faccia a faccia, direttamente, quella gloria che Mos desider e ottenne di vedere solo di spalle (Es 33,18.23). In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinit (Col 2,9), perch irradiazione della sua gloria (Eb 1,3a), addirittura scultura della sua ipostasi (Eb 1,3b): tutto luniverso tenuto insieme da lui, che questa potenza (Eb 1,3c). Ges, nella trasfigurazione, si rivela come il centro di tutto, di Dio e delluomo uniti in ununica storia, incredibile se non fosse testimoniata da Mos ed Elia. Proprio perch unica dei due, questa storia di passione e di risurrezione: lincontro delluomo peccatore con il Dio che lo ama. v. 30: Mos ed Elia. Svolgono nellAT la stessa funzione degli angeli (cf. 24,4) e degli apostoli del NT: parlano del mistero di Cristo morto e risorto, annunciano la promessa e il compimento della parola di Dio. Mos, la legge ed Elia, padre dei profeti sono in dialogo con Ges. Lui risponde loro perch colui che la legge e la profezia hanno promesso e atteso. Essi spiegano in anticipo il suo esodo, di cui sono appunto la promessa. v. 31: visti in gloria. Mos ed Elia, solo accanto a Ges sono visti in gloria. Diversamente o non sono visti, o non nella gloria. Infatti la gloria della legge e della profezia il Figlio obbediente, la Parola stessa, uditore perfetto del Padre. La loro gloria quella di Ges, il quale, daltra parte, solo in mezzo a loro appare nella sua gloria. la gloria del Dio della legge e della profezia, che adempie la promessa e colma lattesa.

parlavano del suo esodo. La Scrittura parla della morte di Ges e del suo significato, che appunto quello delladempimento a Gerusalemme. Tutte le Scritture spiegano il de (cf. 24,26.44.46), cio perch necessario, per Dio, finire in croce per luomo! Parlano infatti della sua passione folle (Cabasilas) per lui, della sua faticosa ricerca dellAdamo fuggitivo. La croce, grande mistero del suo amore, punto darrivo della sua ricerca e salvezza nostra. Il termine esodo scelto appositamente per evocare la salvezza di Israele dallEgitto e caricare la morte di Ges di tutto il significato della pasqua. Gerusalemme. Dopo linfanzia e le tentazioni (2,22.25.38.41.45; 4,9) appare qui. il termine del cammino e della prova di Ges, meta dellesodo al quale sono associati i discepoli stessi. il luogo del compimento perch non possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme (13,33). v. 32: Ora Pietro e quelli con lui, ecc.. Si sottolinea il ruolo di Pietro staccandolo dagli altri. Comunque, come tutti gli altri, gravato dal sonno. Nellorto dormiranno tutti e non si sveglieranno se non alla fine (22,45s). Qui invece stanno a occhi aperti, perch rimasti svegli o svegliatisi completamente. Cos videro la gloria sua. La trasfigurazione quellesperienza anticipata della risurrezione che dura quanto lapertura docchio del discepolo sulla comunione di Ges col Padre, quanto il suo stare sveglio con Ges che prega. L contempla il mistero di Dio aperto alluomo e capisce Ges nel suo mistero: la croce. quanto gli basta per affrontare lo stesso cammino. Per questo nellorto sono chiamati a vegliare e pregare (22,40-46) mentre lui prega. Diversamente, invece dellesodo, c la fuga che Marco sottolinea (Mc 14,50). In questo aprire gli occhi e il cuore sulla sua unione con il Padre, vediamo la sua gloria, la gloria come di unigenito dal Padre (Gv 1,14). Ci che nessun occhio mai vide (1Cor 2,9) n Mos (cf. Es 33,20) n Elia (cf. 1Re 19,13) e tutti desiderano vedere (cf. Sal 27,8-9), il volto di Dio stesso, ai discepoli concesso vederlo faccia a faccia. Il discepolo pu contemplare svelatamente il volto di colui di cui Mos vide solo le spalle; e dovette velarsi il volto perch il popolo non poteva sostenere la luce che di riflesso ne riverberava (2Cor 3,13; Es 34,29ss). Vedere il volto di Dio la salvezza delluomo che solo l raggiunge se stesso, perch immagine e somiglianza di quel volto (Gn 1,26). Guardate a lui e sarete raggianti (Sal 34,6). Sperimentiamo la trasfigurazione nel contemplare luomo Ges in comunione con il Padre: guardarlo mentre prega, vedere il suo volto glorioso. e i due uomini, che stavano con lui. Si ribadisce la presenza stabile (stavano) di Mos e di Elia con la gloria di Ges: di essa hanno parlato e in lui finalmente la raggiungono e stanno con lui. Anche noi ne vediamo la gloria allinterno della promessa di Dio, tra Mos ed Elia: nelloscurit dobbiamo guardare alla loro luce, finch non spunti il giorno e la stella del mattino non sia levata nei nostri cuori (2Pt 1,19). Mos ed Elia stanno con Ges come di notte la luce della luna sta col sole per illuminarci. v. 3,3: nel separarsi essi da lui. La proposta di Pietro avviene nel separarsi del mondo celeste da Ges. I discepoli desiderano arrestare la gloria visibile del Signore. Saranno sempre tentati di trattenerlo invece di seguirlo e testimoniarlo fino agli estremi confini della terra (cf. At 1,6-11). Maestro, bello. Lesperienza fatta da Pietro e compagni quella della bellezza. La bellezza originaria del volto del Figlio ha alzato un lembo del velo che la ricopre. Lui stesso ha mostrato il suo volto di sposo alla sposa, perch anchessa gli mostri il suo (cf Ct 2,14). bello che noi siamo qui, davanti a questo volto, che lunico luogo dove possiamo vivere e sostare. Qui stiamo di casa. Altrove siamo sempre fuori posto. faremo tre tende. La tenda (il greco skn richiama lebraico shekinah) simbolo della presenza di Dio, come pure la nube del v. 34. Due furono le tende o dimore di Dio nellAT: la legge e la profezia,

il passato da ricordare e il futuro da aspettare. Ora questa presenza presente in Ges. Ma non pi come passato o futuro, bens come realizzazione piena di ogni passato e pienezza di ogni futuro. Lottavo giorno, nella luce del suo fulgore, squarcia il sonno e la notte dei discepoli. Non sapeva ci che diceva, ecc. . Ormai le tende non sono tre, ma una sola. La tenda definitiva di Dio il Ges solo che va verso Gerusalemme per compiere lesodo iniziato da Mos. una tenda pi grande e pi perfetta, non costruita da mano duomo (Eb 9,11): il corpo di Ges, il Figlio che entr nel mondo per ascoltare la parola del Padre (Eb 10,5-7). Questa tenda gloriosissima: la gloria stessa tra gli uomini, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinit (Col 2,9). Non pu essere oggetto di possesso e non pu essere trattenuta: concessa a chi lo ascolta e lo segue in questo esodo. v. 34: una nube, ecc.. La nube segno della gloria di Dio. La rivelazione di Dio si svela velandosi e svelandosi si vela. La nube rivelazione luminosa delloscurit della croce. Richiama Es 24,15-18; 40,34s. Questa stessa nube sottrarr Ges agli occhi dei suoi discepoli (At 1,9). Per ora li avvolge con la sua ombra, come Maria, figura del discepolo, che ascolt e concep la Parola (1,35). la potenza stessa di Dio, nella quale entrano con lobbedienza alla parola del Padre, che dice: Lui ascoltate!. Per questo Pietro stesso guarir con la propria ombra (At 5,15). I discepoli temettero, perch il luogo della rivelazione di Dio. Comunque entrano in essa. Il versetto seguente indica cosa significa entrare nella nube, cio nella potenza di Dio che avvolge: obbedire alla voce che esce, perch questa voce Ges stesso, Parola eterna di Dio, suo Figlio obbediente che va ascoltato. v. 35: Questi il Figlio mio, lEletto. Lui ascoltate!. il centro della trasfigurazione, dove si lega la visione allascolto. Lobbedienza a Ges che si rivolge a tutti (v. 23) indica il cammino attraverso il quale tutti possiamo essere tra quei tre che giungono alla visione del mistero del Figlio. Veramente beati gli occhi che vedono ci che voi vedete (10,21.23). Nellascolto di Ges, ascoltatore perfetto del Padre, diventiamo come lui. Il grande desiderio delluomo: Mostrami il tuo volto soddisfatto, ed soddisfatto insieme il grande desiderio di Dio verso luomo: Mostrami il tuo volto (Ct 2,14). Il suo volto ormai il mio stesso, che rispecchia nellascolto quello del Figlio. una voce. Quel Dio che non ha volto, ha voce; voce che cerca un volto. Lobbedienza ad essa costruisce i lineamenti del volto. Si diventa infatti ci che si ascolta. Il volto come la grafia del cuore, la sua espressione. La voce di Dio indica ora il suo volto e si riconosce in esso perfettamente: il Figlio, immagine del Padre, sua Parola perfettamente eseguita. Non la bat-ql, leco della voce di Dio: Dio stesso che dice la sua Parola: il Figlio. Siamo infatti negli ultimi giorni. Questa voce si fa parola che si autorivela come Padre nel Figlio, combinando insieme Is 42,1 (il Servo), con il Sal 2,7 (il Messia), e Dt 18,15 (il Profeta). Il diletto di Mc 9,6 sostituito con eletto che richiama di pi Is 42,1 e apre la prospettiva sulla croce (23,35), dove si rivela il mistero del ritorno del Figlio obbediente al Padre. Lui ascoltate!. la nuova legge. La carne di Ges la Parola definitiva, il nuovo Mos: A lui darete ascolto (Dt 18,15). il volto perfetto del Padre, Figlio obbediente, Parola compiuta piena damore. v. 36: E mentre cera la voce, fu trovato Ges solo. Lui ascoltate! si riferisce al Ges solo. La parola definitiva che va ascoltata questo Ges solo che va in croce. Il trasfigurato sul monte lo sfigurato sul Calvario, e solo lui! Per questo Paolo dice di non conoscere altro se non Ges Cristo e questi crocifisso, e di aver visto ci che occhio umano mai non vide (1Cor 2,2.9). La parola della croce infatti sapienza e potenza di Dio salvatore (1Cor 1,18). La verit di Dio si rivelata nelluomo

Ges e solamente in lui (Ef 4,21): Ogni spirito che riconosce che Ges Cristo venuto nella carne, da Dio (1Gv 4,2). La sua carne va conosciuta e riconosciuta ormai spiritualmente (cf. 2Cor 5,16). Dobbiamo ascoltare lui, mentre ci dice di seguire il suo cammino. La voce del Padre serve soprattutto a confermare lincredibile cammino della croce di Ges e dei discepoli dei vv. 22-26. Solo cos la fede dei discepoli veramente quella del Cristo di Dio e non quella satanica delluomo (cf. Mc 8,33). Ed essi tacquero. Si spegne la voce, cessa la gloria di Ges e tacciono i discepoli. Essi non raccontano a nessuno ci che hanno visto. Parleranno dopo il dono dello Spirito, per portare tutti allobbedienza di Ges. Lascolto di lui la tenda che contiene la gloria: chi ascolta, vede il volto del Padre nel Figlio ormai rispecchiato nel proprio. Lascolto porta alla visione, lobbedienza alla figliolanza. Dallascolto alla visione, dalla parola al pane, dal battesimo alleucaristia, il discepolo, associato al suo Signore, si trasfigura e cresce nel suo cammino verso Gerusalemme, come lui, il Pellegrino (cf. Sal 84,8). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il monte della trasfigurazione. c. Chiedo ci che voglio: ascoltare il Ges solo. Chiedo al Padre di amarlo, conoscerlo e seguirlo nel suo cammino di Figlio. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - Ges che prega - lalterit del suo volto - di cosa parlano Mos ed Elia - i discepoli rimangono svegli - bello stare qui - la nube e la voce - questo il Figlio mio. Lui ascoltate! - il Ges solo. 4. Passi utili Sal 67; Dt 34,29-35; 18,15; 2Pt 1; Rm 8,18-30; 2Cor 3; Fil 3,20s.

55. PREGAI I TUOI DISCEPOLI E NON POTERONO


(9,37-43a)
37

Ora avvenne il giorno seguente, essendo essi scesi dal monte,

gli venne incontro molta folla. 38 Ed ecco: un uomo dalla folla gridava dicendo: Maestro, ti prego che guardi gi su mio figlio, perch il mio unigenito! 39 Ed ecco: uno spirito lo prende e allimprovviso grida e lo scuote con schiuma e a fatica si ritira da lui sbattendolo. E pregai i tuoi discepoli 40 perch io scacciassero e non poterono! 41 Ora rispondendo Ges disse: O generazione senza fede e pervertita, fino a quando sar presso voi e vi sopporter? Porta qui tuo figlio! 42 Ora, mentre ancora egli avanzava, lo spezz il demonio e lo stracci. Ora Ges sgrid io spirito impuro e guar il bimbo (= figlio/servo) e lo restitu a suo padre. 43 Ora furono colpiti tutti dalla grandezza di Dio. 1. Messaggio nel contesto Luca salta il dialogo e la discesa dal monte (Mc 9,11-13 Mt 17,10-13). In questo modo lesorcismo pi strettamente legato alla trasfigurazione. Dopo aver intravisto sul monte la gloria dellottavo giorno, termine dellesodo, ora i discepoli restano con il Ges solo (v. 36), che va verso la croce. il Figlio delluomo che porta su di s il male di tutti i figli degli uomini, per restituirli salvati al Padre. Come ora restituisce a suo padre il figlio unico, cos alla fine consegner se stesso e tutti al Padre che lha appena chiamato Figlio. Si consegner come il servo che porta il male del mondo (23,46). Dopo lesperienza entusiasmante (= divinizzante), ora scendono al basso, nella vita quotidiana. Qui si deve compiere il cammino dellesodo, in mezzo agli uomini ancora abbandonati in balia della forza del male e dellincredulit. Il racconto riferisce lesperienza della chiesa post-pasquale. In assenza del suo Signore che si separato da lei, non deve nostalgicamente guardare in alto. invece chiamata a portare avanti la sua lotta contro il male e a testimoniare la sua risurrezione. Il pane le ha aperto gli occhi sul suo Signore, facendole comprendere la sua croce e la sua gloria. Senza fare tende, in forza di questa visione - che il dono dello Spirito che apre gli occhi ai ciechi, e suscita la fede illuminando il cuore la voce del Padre porta ad ascoltare (v. 35) il Figlio e a seguire il suo cammino. Il rapporto tra trasfigurazione sul monte e lotta in basso lo stesso che la comunit cristiana sperimenta quando finisce la celebrazione eucaristica. Dopo che le si sono aperti gli occhi e ha visto la gloria del Signore risorto, passa dalla festa alla vita di ogni giorno, in cui c da portare la croce quotidiana (v. 23) col Ges solo (v. 36). Al piano, nella quotidianit della vita, i discepoli dimostrano di non avere un ascolto sufficiente per vincere il male. La visione della gloria data per confermare lascolto del Ges solo che va verso la passione: d la fede per seguirlo ogni giorno, nella lotta quotidiana contro il

maligno. I discepoli non poterono vincerlo, perch fanno ancora parte di questa generazione senza fede e pervertita (v. 41). Il rimprovero rivolto solo ai discepoli che non hanno visto la trasfigurazione. I tre sarebbero stati in grado di vincere il male. Come questi discepoli impotenti sono quanti, nella chiesa, celebrano leucaristia dormendo e non aprono gli occhi sulla gloria in modo tale da affrontare la lotta fino alla croce. Come dopo la prima salita sul monte (6,12), in comunione con il Padre, Ges scelse i Dodici e scese al piano ad annunciare il Regno (6,17-49), cos ora, dopo la sua salita definitiva presso il Padre (cf. 23,46), prefigurata nella trasfigurazione, scende tra i suoi a realizzare il Regno mediante la fede dei discepoli. Il suo essere assente un suo nuovo modo di presenza. Infatti il motivo dellincapacit dei discepoli a liberare dal male non lassenza del Signore, sempre presente e glorioso, ma lassenza nel discepolo di quella fede che lo rende presente con la sua forza. Il tema di questo brano la possibilit della salvezza in assenza di Ges. Essa data dalla fede. Limpotenza del discepolo a operare la salvezza collegata da Ges alla mancanza di fede. Lefficacia o meno nella lotta contro il male dipende dalla fede e non da altro. Il Signore onnipotente e misericordioso; ma pu agire solo dove accettata la sua azione, dove c fede. Colui che assente perch morto e risorto - e che vediamo presente e glorioso nel pane - efficace nella vita quotidiana nella misura del nostro ascolto della voce del Padre, che ci dice di obbedirgli nel suo cammino della croce. Per questo i discepoli devono piantarsi nelle orecchie la parola, cio che il Figlio delluomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini (v. 44). Devono comprendere bene questo, che il significato glorioso della sua passione. Diversamente restano nelloscurit e nelle tenebre, in balia di una forza demoniaca. E non sono in grado di vincerla, perch la sua vera forza viene dalla loro apista (= lincredulit). Questo lesorcismo pi duro di Ges, anche se Luca ne smorza le tinte rispetto a Marco. la vittoria sullo spirito pi difficile da vincere, che Marco chiama sordo e muto (Mc 9,25). Esso impedisce lascolto della fede e ha a che fare con la sordit e la mutezza dei discepoli davanti alla parola della croce (cf. v. 45). Il racconto anche un preludio al momento in cui il Figlio unico sar dato in balia delle forze delle tenebre, nellora che loro propria, quella della croce (cf. 22,53). Il racconto presenta analogie anche con la risurrezione di Nain (figlio unico v. 38 = 7,12; Io consegn a suo padre v. 42 richiama lo diede a sua madre 7,15). Questo fanciullo, chiamato figlio unico/servo, consegnato al padre, richiama Ges, il Figlio unico del Padre e servo dei fratelli, che si consegna al Padre nella sua morte (23,46). Nella trasfigurazione la voce del Padre lo chiama Figlio che va ascoltato. Qui il Figlio obbediente consegna al padre il figlio dato in balia al male, anticipo della consegna sua e di tutti al Padre. Questo brano rappresenta per la comunit la traduzione storica e attualizzata della vittoria escatologica che Ges gi ha riportato. Essa resa odierna a noi nelloggi della fede, quando celebriamo leucaristia. Questo ci d la gloria capace di metterci sul cammino della croce, in modo da giungere alla risurrezione (Fil 3,10-11). La fede che qui si richiede riguarda la parola che i discepoli sono restii ad ascoltare, ossia il v. 22 che annuncia la croce di Ges e il v. 23 che la applica al discepolo (cf. vv. 44-45). Essi non avevano certo difficolt a restare nella gloria della trasfigurazione. Anzi volevano trattenerla! C una fede impotente e una potente. La fede potente solo quella che accetta limpotenza della croce. Laltra che non conosce la potenza della croce (cf. 23,35-39), impotente a salvare. incredulit e perversione! 2. Lettura del testo v. 37: Il giorno seguente. il giorno seguente lottavo (v. 28), quello feriale dopo la festa. il giorno della vita quotidiana, in cui bisogna ascoltare il Ges solo che va a Gerusalemme, in obbedienza alla voce del Padre. In questo brano si tratta del problema del giorno dopo: come vivere la festa della trasfigurazione e la gloria del monte nella bassezza della vita sconvolta e agitata dal male. Come

riportare nelloggi quotidiano la vittoria sul male gi ottenuta da Cristo, che celebriamo nelleucaristia? Come vivere la domenica di luned? il problema della fede. La trasfigurazione, luce che vince la tenebra, avvenuta di notte (vedi lagonia nellorto!), come pure la celebrazione eucaristica. Anche il giorno seguente Ges ancora tra i suoi, ma non pi come il Signore della gloria, bens come il Ges solo che va verso la croce. Ges, definitivamente salito in alto, ancora presente tra i suoi mediante la sua potenza salvifica di Risorto per continuare la lotta contro il male. Non si eclissato. Anzi, discende, ricco dei suoi doni celesti, perch ascendendo in cielo, imprigion la prigionia, rese schiava la schiavit e diede doni agli uomini (Sal 68,19 = Ef 4,8; cf. At 2,33). Ma in un modo nuovo: mediante la fede. quanto questo racconto ci vuole insegnare. gli venne incontro molta folla. Nella sua condiscendenza verso di noi, egli ci d lo Spirito e la salvezza. Per questo accorriamo a lui. La sua discesa unisce i due mondi: quello in alto, sul monte della luce presso il Padre e quello in basso, nelle convulsioni demoniache in cui si agita luomo che siede nelle tenebre e nellombra di morte (1,79). Alla sua condiscendenza risponde la possibilit del nostro andargli incontro. v. 38: Ed ecco: un uomo, ecc.. Lattenzione si sposta dalla folla e viene concentrata su un grido. Quasi la folla stessa fosse una bocca che esprime a Ges la sua supplica. Linvocazione che lui guardi gi. Nel NT troviamo questa parola (epiblp) solo qui, in 1,48 e in Gc 2,3. Lespressione invece frequente nellAT, come invocazione a Dio perch intervenga dallalto e salvi, soprattutto nei salmi (cf. Sal 13,4; 25,16, ecc.). Lo sguardo di Dio chiamato dal padre a posarsi sul figlio mio, in balia del male. Causa del grido la speranza prigioniera delluomo, il suo futuro fatalmente compromesso. unallusione allo sguardo che il Padre non potr non avere verso il suo Figlio unigenito, quando grider a lui dallalto della croce, abbandonato alle tenebre, consegnato nelle mani degli uomini, sballottato dal potere del male. perch il mio unigenito. Questo il motivo dellinvocazione. Il motivo per cui il Padre guarda verso luomo - ogni uomo! - che egli unigenito, perch lo vede ormai nel suo Figlio Ges, leletto. Ognuno di noi amato dal Padre come unico, con lo stesso amore singolare e irripetibile con cui ama Ges. Dice infatti Ges al Padre: Li hai amati, come hai amato me (Gv 17,23) e come il Padre ha amato me, cos anchio ho amato voi (Gv 15,9): lamore del Padre verso Ges, lunigenito, aperto a ognuno di noi, perch lamore unico che il Padre ha verso di lui lo ha spinto ad amare noi allo stesso modo. La situazione la medesima del figlio unico della madre (7,12) e della figlia unica del padre (8,42) che vengono risuscitati. v. 39: Ed ecco: uno spirito lo prende, ecc.. Il figlio preda dello spirito del male che lo prende e lo sballotta - come Ges, quando si dar nelle mani degli uomini, in balia dellimpero delle tenebre (22,53)! Luomo sempre posseduto da qualche spirito. Ma quale? Spirito di morte o di vita, spirito impuro o Spirito santo? Luomo non pastore di se stesso: ha sempre una guida. O gli pastore il Signore della vita (Sal 23), oppure la morte (Sal 49,15). La libert delluomo accettare di avere Ges come Signore e lasciarsi guidare da lui che lagnello immolato: lunico agnello che pu essere pastore perch d la vita. Tutti gli altri pastori ci tolgono la vita e ci rendono schiavi. Con lui la nostra libert liberata e posta nello Spirito di vita. Diversamente restiamo nello spirito di morte. Nel caso del fanciullo, che rappresenta tutti e ciascuno di noi, il vero protagonista lo spirito del male che lo prende. Questi diventa semplicemente sua voce (grida) e sua maschera (schiuma), quasi suo vestito, marionetta che la sua mano manovra dal di dentro, scuotendolo qua e l, spezzandolo e stracciandolo (v. 42) e lasciandolo a terra come un cencio per riprenderselo poi. Questa drammatica e dettagliata descrizione del figlio unico un anticipo del destino del Figlio, nellora della croce.

v. 40: non poterono. I discepoli non possono vincere questo male. Marco, con una certa ironia, per ben cinque volte descrive il male: unanalisi accurata, che mette in risalto come la discussione dei discepoli con gli avversari approda ad analisi sempre pi corrette, ma inefficaci. Luca sottolinea in modo pi blando limpotenza dei discepoli, secondo il suo stile pi discreto. Il motivo verr detto nei vv. 44-45: la loro non comprensione del Figlio delluomo consegnato nelle mani degli uomini. Marco sottolinea ancora pi duramente il fatto, identificando il demonio muto, anzi, sordo e muto (Mc 9,17.25) con lo spirito stesso che chiude i discepoli nella sordit e nella mutezza (Mc 9,32-34). Essi non possono vincere il demonio sordo e muto, perch loro stessi sono sordi e muti. Sono impotenti a liberare dal male, perch ne sono preda. Questo male impedisce di accogliere quanto Ges ha detto circa la croce propria e del discepolo nei vv. 22-23 e quanto il Padre ha detto di ascoltare al v. 35. Se nulla impossibile presso Dio (1,37), i discepoli non sono ancora presso Dio, perch non ascoltano la sua parola di verit. Sono presso il nemico, di cui ascoltano la parola di menzogna. Il nocciolo della fede proprio questo: accettare o meno la parola della croce. Comunque limpotenza riconosciuta delluomo atrio della fede. Questo evidenziato da Mc 9,24, dove il padre crede che Ges pu venire in aiuto alla sua incredulit e lo prega. La preghiera perfetta quella per ottenere la fede, che vittoria sul mondo e sul maligno (1Gv 5,4; 1Gv 2,13). Dio strumentalizza sapientemente la nostra impotenza, il nostro peccato e la nostra infedelt come luogo del nostro incontro con lui, potente salvatore fedele. v. 41: generazione senza fede e pervertita. Ges collega immediatamente limpossibilit allincredulit, appunto perch tutto possibile per chi crede (Mc 9,23). Eppure i discepoli avevano ricevuto potere e autorit su tutti i demoni (9,1)! Ges si lamenta con i suoi con le stesse parole di JHWH (cf. Nm 14,27; Dt 32,5; Is 65,2). Lincredulit e la perversione non sono un fenomeno sporadico e casuale: sono un fatto di nascita, collettivo, che tende a perpetuarsi. Per questo Ges dice: o generazione incredula e pervertita. La forza del maligno, che la sua menzogna, perverte luomo da Dio, in modo che non si converta a lui: una parola deviante, ormai entrata dalle orecchie nel cuore delluomo. Luomo le obbedisce, disobbedendo al Padre. Questa incredulit, causa dellimpotenza dei discepoli, anche da Luca collegata alla sordit dei discepoli nei confronti del mistero della croce (cf. vv. 44-45). fino a quando sar presso di voi?. Ges allude alla sua fine, quando non sar pi con noi e sar finita la sua sopportazione. Non perch sar finita la sua pazienza con noi, ma la nostra con lui, perch noi lo avremo tolto di mezzo! Tuttavia allude anche al tempo successivo, dopo lascensione, in cui non sar con noi fisicamente e ci sosterr con la forza della fede. Porta qui tuo figlio In genere i malati vengono condotti da Ges o lui invitato verso di loro. Qui invece lui stesso chiede che gli venga condotto il figlio. Ges domanda al discepolo quella fede che in concreto porta a lui, che sulla croce ha vinto il male: essa conta non su ci che possibile a noi, ma su ci che possibile a lui, il Figlio unico, consegnato al Padre, del quale abbiamo intravisto e celebrato la gloria della trasfigurazione. v. 42: lo spezz il demonio e lo stracci. Come in tutti gli esorcismi, c lautodifesa del male, che consiste in sentimenti, agitazioni e convulsioni. Ora Ges sgrid. Ges vince il male con calma. Lo sgrida come un bimbo sbugiardato. Basta lautorit della sua parola, senza che impegni la sua forza - in realt si impegnato fino a fondo per vincerlo, consegnandosi lui stesso nelle sue mani. Cos il demonio si scottato per bene e ora si guarda bene da lui. Per altro basta il potere della parola di verit per vincere il padre della menzogna.

lo restitu a suo padre importante notare come il figlio/servo (in greco pas significa ambedue) sia consegnato al padre, sano e salvo dopo lo spasimo mortale. Richiama Ges, il Figlio/Servo, lunigenito che si consegna al Padre sulla croce (23,46). Oltre che alla croce, allude anche alla vittoria escatologica, quando sar la fine, perch il Figlio consegner il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato, potest e potenza (1Cor 15,24). la vittoria finale, quando Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28). v. 43: Ora furono colpiti tutti dalla grandezza di Dio. Essa visibile e suscita stupore in questazione del Signore, trasfigurato sul monte e vittorioso nel piano. lesperienza del Signore glorioso nelleucaristia che ci d la fede e ci fa portare la croce quotidiana fino a Gerusalemme; lo stupore per lefficacia storica della fede nel Signore trasfigurato, consegnato contemporaneamente al Padre e nelle mani degli uomini. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginandomi ai piedi del monte della trasfigurazione. c. Chiedo ci che voglio: chiedo al Signore che mi guarisca dalla mia incredulit, mi dia fede piena, in lui morto e risorto per me, perch possa vivere nella quotidianit la sua sequela. d. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - la discesa dal monte al piano il giorno dopo - il grido del padre - la situazione del figlio - limpotenza dei discepoli e lincredulit. 4. Passi utili Ger 2,13; Eb 11; Lc 8,22-25; 8,40-56.

56. METTETE DENTRO GLI ORECCHI QUESTE PAROLE


(9,43b-45)
43b

Ora, stupendosi tutti su tutto quanto faceva, disse ai suoi discepoli: 44 Mettete voi dentro i vostri orecchi queste parole: il Figlio delluomo

sta per essere consegnato nelle mani degli uomini. 45 Ora essi ignoravano questa parola, ed era loro velata perch non la sentissero, e temevano di domandargli su questa parola. 1. Messaggio nel contesto Dopo il pane Ges rivela lidentit propria (v. 22) e quella del discepolo (v. 23). Il Padre conferma questa rivelazione: il cammino del Figlio, che implica la strettoia della croce. Lui ascoltate!, dice, poich il Figlio mio, lEletto (v. 35), proprio in quanto Figlio delluomo sofferente. La fede accettare questa rivelazione. I discepoli in sua assenza - cio la chiesa di Luca e nostra! - non sono in grado di vincere il demonio, pur avendone ricevuto il potere (v. 1). Infatti non hanno questa fede che vince il male. Essa riguarda proprio la necessit (de) della croce del maestro (v. 22) e del discepolo (v. 23). Ora Ges ribadisce questo che il centro della fede, che i discepoli non devono dimenticare. Solo cos possono vincere il male e riportare al piano la gloria del monte. In realt i vv. 22 e 44 fanno da inclusione alla rivelazione del Figlio di Dio. II Risorto stesso non far altro che ripetere questa lezione ai discepoli ancora scioccati dalla sua passione (cf. 24,26.44-46). La Parola seminata che fruttifica e si fa pane di vita quella della croce: al discepolo, che mangia e vive di essa, si aprono gli occhi sul Signore risorto. Pur essendo il secondo annuncio esplicito della morte di Ges, i discepoli non comprendono ci che dice. Hanno anzi una reazione di chiusura, dura e cosciente: non capiscono, non vogliono capire e si guardano bene dal chiedere, in modo da continuare a non capire. unincomprensione non solo inevitabile, ma anche voluta. Si chiudono nella sordit e nel mutismo. Questa incomprensione non vanifica il piano di Dio. Anzi lo realizza! Infatti ci fa sentire della stessa stoffa del peccato del mondo e identifica noi discepoli con gli anziani, sommi sacerdoti e scribi, con tutti gli uomini increduli e perversi nelle cui mani il Figlio delluomo si consegna. Questa incomprensione, opera diabolica per eccellenza, chiude tutti nel peccato radicale, nella disobbedienza dellincredulit che insieme il luogo dove Dio trova tutti per usare a tutti misericordia (Rm 11,32). Mentre Marco scandisce la seconda parte del suo Vangelo su tre predizioni della morte/risurrezione, Luca riprende di continuo il tema, lasciandolo risuonare sempre in modo variato e diverso (9,22.31.43b45; 12,49ss; 13,31ss; 17,25; 18,31ss; cf. anche dopo la risurrezione: 24,7.20.26.44-46). Lepisodio precedente presentava la potenza del Figlio delluomo in ci che egli fa per luomo. Qui si presenta la sua impotenza, in ci che egli si fa per luomo. L si diceva ci che ha fatto lui per noi, qui cosa facciamo noi a lui nella sua consegna definitiva a noi. Se la sua azione ha suscitato ammirazione, la sua passione suscita incomprensione. La consegna del figlio unico al padre (v. 42) che suscita stupore per la grandezza di Dio (v. 43), mostra veramente qual la grandezza di Dio e lorigine della salvezza per il mondo ancora posto nellincredulit. Davanti alla nostra incredulit, Ges ripropone la parola della fede. Davanti alla nostra infedelt, egli rinnova la sua fedelt. Davanti alla nostra sordit, egli ripete la sua parola. C una corrispondenza biunivoca tra il nostro peccato, sordit al suo amore e la sua parola, dichiarazione totale di amore. Il centro del brano la Parola: il Figlio delluomo consegnato nelle mani degli uomini. Tutti gli altri termini sono imparentati direttamente con il termine parola: discepoli, orecchio, ignorare,

detto, velato, percepire, domandare. Questo indica chiaramente come tale consegna sia il contenuto della parola di rivelazione alla quale siamo sordi. 2. Lettura del testo v. 43b: Ora, stupendosi tutti su tutto quanto faceva, ecc. . Tutti, folla e discepoli, sono stupiti di tutte le cose che fa Ges. Loggetto di stupore lazione potente del Figlio delluomo a favore delluomo. Ma solo ai discepoli Ges rivela la sua passione, che sta allorigine di tale azione e che lo porter allimpotenza della croce. Davanti a questa bisogna uscire dallambiguit. O si diventa discepoli credenti, accettando la vera grandezza di Dio, che la sua umilt e piccolezza nella sua consegna a noi, o ci si chiude alla fede, nellincomprensione di questa che la Parola, restando pur aperti a tutte le altre parole in cui non c salvezza. Per tre volte si parler nei vv. 44.45 di questa parola o detto! v. 44: Mettete voi dentro i vostri orecchi, ecc.. Richiama la semina della Parola del c. 8. La Parola entra, come un seme, attraverso lorecchio nel cuore e porta il frutto della gnosi dei misteri del Regno (8,10). quellascolto che porta a fare la Parola e ci fa entrare nella famiglia di Ges (8,21), nel suo stesso mistero di amore reciproco con il Padre (10,21s). Limperativo mettete, rafforzato con laggiunta dei voi, diventa un superimperativo. Limperativo aoristo positivo indica in greco la necessit di dare inizio a unazione nuova. I discepoli sono perentoriamente chiamati a fare ci che ancora non hanno fatto. La parola mettere dentro - conficcare, piantare - denota la fatica di chi pianta e la resistenza del terreno che riceve (cf. la semina sulla strada e sulla pietra di 8,5s). Qui il discepolo chiamato a unoperazione nuova e faticosa che, vincendo ogni resistenza, porter a quella fede la cui mancanza ha impedito di portare al giorno seguente la gloria dellottavo giorno (vv. 37.28). dentro i vostri orecchi. Lorecchio lorgano delludito, depositario della parola. Anche se comune a tutti gli animali, lorecchio ha nelluomo una funzione tipica: accoglie la parola. Questa ha un potere incredibile, perch luomo diventa la parola che ascolta, generato dalla parola che ode. Ci che deposto nellorecchio, entra nel cuore e lo plasma dandogli forma. Lorecchio per luomo come la terra per il frutto: lo genera, secondo il seme che vi deposto. Luomo non natura, ma storia; un divenire secondo la parola che esegue. Marco aveva descritto il demonio del brano precedente come spirito muto e sordo (Mc 9.25), muto perch sordo. Rende luomo incapace di rispondere perch lha reso incapace di ascoltare. Si tratta di vincere il Maligno nella sua manifestazione pi radicale: egli il padre della menzogna, omicida fin dal principio (Gv 8,44), perch impedisce a noi di ascoltare lamore unico dellunico Dio per noi. Solo questo ci fa vivere, perch ci permette di rispondere amando il Signore (cf. 10,25-28). La sordit, che ci impedisce di conoscerlo (cf. v. 45), ci rende impossibile amarlo e causa la nostra morte. queste parole. Si sottolinea che queste e non altre, sono le parole da piantarsi nellorecchio. Esse non riguardano tanto ci che Ges ha fatto quanto ci che si fatto, non la sua azione, ma la sua passione per luomo. qui che si rivela Dio nella sua grandezza di amore infinito, che si fa infinitamente piccolo per consegnarsi nelle nostre mani. Solo queste parole ci guariscono dalla sordit che ci uccide. Lasciarle entrare negli orecchi la condizione per poter ascoltare e amare secondo il comando di Dt 6,4s. la fede che vince lo spirito del male, lincredulit e la perversione, la disobbedienza a Dio e la fuga da lui. Finch siamo in tale sordit non siamo in grado di vincere il male. Anzi, lo operiamo e siamo come una fonte di acqua infetta che non pu che avvelenare.

Senza questa parola, quanto Ges ha fatto per noi ambiguo. Le sue azioni di potenza non ci salvano, fino a quando non si capisce limpotenza della sua consegna a noi. Ci che salva luomo il sentirsi amato da Dio. Solo cos pu riconoscersi sua creatura e accettare senza drammi il proprio limite naturale e la morte stessa, come incontro con lui. Due cose sono proprie alluomo: la morte e il rifiuto di essa. Deve vincere questo e accettare quella, diversamente vivr sempre ogni limite, per quanto grande, come privazione e la morte, pure inevitabile, come perdizione. Uno si sente amato non se riceve tanti doni dallaltro. I doni sono segni ambigui. Lambiguit cessa solo quando, non avendo pi doni da fare, il donatore dona se stesso. Amare infatti donare se stesso. Ma il dono di s pone nellimpotenza e nella povert assoluta e avviene quando non c pi nulla da dare. Per questo conosciamo la grazia del Signore nostro Ges Cristo, perch da ricco che era si fatto povero per noi, perch noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povert (2Cor 8,9). Una sorella, in un ospedale del Mozambico, non poteva pi fare niente per i suoi malati che amava e tra i quali lavorava da 25 anni. Diventata povera lei stessa pens: inutile che resti. Non posso dare pi nulla. Me ne andr!. E lo disse a un anziano malato. Questi rispose: Come, ci lasci?! Una mamma non abbandona il figlio quando non ha pi nulla da dargli!. Lamore si rivela tale solo nel restare volontariamente inchiodato e vicino allamato, compatendone il male. Ci che fai segno di amore solo se nasce da questa compassione che patisce il male con laltro. Diversamente segno di potere. Ecco perch sono necessarie la povert e lumilt, limpotenza e la consegna di Dio. Proprio perch Dio, amore. Il Figlio delluomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini. Per questo il Figlio delluomo, glorioso e potente, giudice supremo (v. 26), Figlio eletto del Padre (v. 35), diventa il Figlio delluomo impotente e ignominioso, giudicato e nientificato, scambiato con Barabba, figlio di nessuno. La fede cogliere questo. Chi ha questa fede vince il maligno, che, con la diffidenza, ha iniziato ogni male. Cos la gloria dellottavo giorno raggiunge il giorno seguente; la festa della trasfigurazione si vive nel quotidiano. sta per. Traduce il verbo greco mllein e indica un futuro gi presente e iniziato. il futuro immediato che ogni presente porta attaccato a s, come suo secondo fondo. In ogni presente velata la rivelazione del dono di Dio: il Figlio delluomo che si consegna. essere consegnato. Lo stesso verbo indica lazione del Padre che ci consegna il Figlio, lazione del Figlio che si consegna a noi e lazione delluomo, rappresentato da Giuda, che consegna Ges ai nemici (22,6.21.22.48). Un unico verbo e ununica azione costituisce il sommo male delluomo, che tradisce il Figlio di Dio, e il sommo bene di Dio che, in questa consegna di se stesso alluomo, tradisce la sua passione segreta, il suo amore folle per lui! Il mistero pi mirabile di Dio nel mondo la sua opera di salvezza, mediante cui riesce a volgere il male in bene. La trasfigurazione questa capacit di vedere in profondit: per la croce di Ges, suo Figlio, nella stessa unica realt di male presente la potente salvezza di Dio, il suo amore per noi. Lastuzia di Dio, che sorprende e beffa la pur grande intelligenza e forza del male, quella di partire dal male stesso e da posizione di debolezza per vincerlo. Lazione di Dio come uno sviluppo fotografico: il negativo diventa positivo, per la luce della sua misericordia. Dio lascia il male nel mondo non perch lo voglia - Dio non vuole il male! - e non perch non pu vincerlo (cf. Sal 33,7). Lo lascia perch vuol bene a noi che lo facciamo, e lo utilizza per un maggior bene. I buchi e i vuoti della nostra umanit deficitaria, li riempie con perle preziose e gemme, con la sua divinit stessa che amore di misericordia (cf. Rm 5,20, ma anche gli ammonimenti di 6,1; 7,7). nelle mani degli uomini. Questi uomini sono i peccatori di 24,7. In seno al nostro peccato, concepiamo la sua misericordia. Dio si rende presente a noi allinterno della nostra situazione reale, che

quella di peccato. La stessa parola concepire ( syllabein) si usa per Maria che concepisce Ges per dargli la vita (1,31) e per il potere delle tenebre che, nella sua ora, tende le mani per stritolarlo e dargli la morte (22,54). Il bene non si nega al male; si concede per amore e lo ingravida, perch partorisca linconcepibile: Dio stesso nella sua misericordia! Cos si adempiono le Scritture e il maligno involontariamente porta a compimento il grande disegno di Dio (cf. Mc 14,49b; At 4,27s). C davvero da stupirsi della sua grandezza (v. 43a)! In questa sua consegna nelle mani degli uomini, Ges realizza pienamente la rivelazione del Dio misericordioso, usabile per i disgraziati e per i cattivi (6,35) e si rivela Figlio dellAltissimo, misericordioso come il Padre (6,36). Nella sua passione ama, benefica, benedice e prega per noi che siamo suoi nemici, odiatori, maleditori e maltrattatori. Cos ci fa dono dellamore assoluto del Padre e ci salva. Ormai, in tutte le nostre azioni negative, che si riassumono nel consegnare (= tradire) il Figlio delluomo, intervenuto il positivo: Dio si tradisce nel suo amore, consegnandosi a noi in Ges. v. 45: essi ignoravano questa parola. Questignorare, allimperfetto, indica unazione antica che dura al presente. il peccato fondamentale: la non conoscenza dellamore che Dio ha per noi. Questignoranza, peccato comune a tutti, discepoli compresi, porter alla croce. Ma proprio questa sar il luogo in cui avverr la conoscenza dei misteri del Regno. Il passaggio dallignoranza alla conoscenza, che lilluminazione della fede, frutto del piantarsi nelle orecchie il v. 44, che ci presenta la sua passione per noi. Per ora tale fede impossibile anche ai discepoli. Bisogna prima che Ges muoia e risorga e spieghi loro il significato della croce. Ora la parola solo predetta, non ancora realizzata. Ges lannuncia in anticipo, perch si creda alla promessa. Questo annuncio, cos chiaro e pur cos misterioso, non superfluo per i discepoli anche se non sono ancora in grado di capirlo. Serve a rivelare il peccato loro che lo stesso del mondo: la non conoscenza dellamore del Padre, causa della croce del Figlio. Cos si trovano tra quelli nelle cui mani si consegna il Figlio delluomo. La fede infatti capire che Cristo morto per me (Gal 2,20), per me che sono il primo tra i peccatori (1Tm 1,15). ed era velata. Il velo originario della menzogna di satana tolto nella consegna del Figlio delluomo, in cui si svela la verit di Dio che amore e delluomo che amato. Ma questo svelarsi avviene nel supremo velamento di Dio, che si ricopre in Ges di tutto il male dellamato, per salvarlo. Per ora questo mistero rimane nascosto alluomo, che vive nellincredulit e nellavversione a Dio, si nasconde e fugge da lui per ignoranza e paura, come Adamo. Ogni uomo fa parte della generazione senza fede e pervertita (v. 41), convertita in tutte le direzioni fuorch quella giusta, perch non conosce e non accetta lamore di Dio. La rivelazione di Ges in croce ci salva, perch ci porta a riconoscere e credere allamore che Dio ha per noi (1Gv 4,16). Se la Parola velata, chi lha velata? Satana, luomo o Dio? come nella consegna di Ges, dove lazione del nemico, che luomo compie, tradotta in azione di Dio. Il velo di satana e del male delluomo assumer uno spessore cosmico nelle tenebre della croce: ma Ges lo assumer su di s, rivelando lo splendore di Dio che misericordia. perch non la sentissero. sempre lazione del demonio sordo che, come ha velato, cos impedisce di percepire la sua parola di amore, in modo che non possiamo vivere secondo la nostra verit. Ma lazione di Dio, nella risurrezione, far ricordare il nostro peccato come luogo della sua grazia (cf. 24,68). e temevano di domandargli. Questo timore ha la sua radice in quello di Adamo, dovuto al sospetto e allignoranza su Dio (Gn 3,10). Ora per cresciuto ed divenuto una resistenza esplicita e precisa: non si vuole una risposta che si teme e per questo si teme di fare la domanda. Qui vediamo che c nel

discepolo il rifiuto della risposta e la volont di chiudersi nella propria tenebra, amata pi della luce! la consumazione del peccato, comune a ogni uomo! Questo timore sar vinto solamente dal dialogo col Ges risorto, che stimola e conforta il discepolo a interrogarsi sul perch della passione. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo, immaginandomi ancora ai piedi del monte della trasfigurazione. c. Chiedo ci che voglio: mettermi negli orecchi la Parola della croce, la passione di Dio per me. d. Ascolto e contemplo ogni parola di Ges e mi immedesimo coi discepoli. 4. Passi utili Sal 22; Lamentazioni; Sap 2,12-20; Lc 17,11-19; 18,35-43.

57. ENTR IN LORO UNA DISCUSSIONE


(9,46-48)
46

Ora entr in loro una discussione chi di loro fosse il pi grande. 47 Ora Ges sapendo la discussione del loro cuore, preso un bambino lo colloc accanto a s, e disse loro: 48 Chi avr accolto questo bambino nel mio nome accoglie me; e chi avr accolto me, accoglie chi mi ha mandato; infatti il pi piccolo tra tutti voi, questi grande. 1. Messaggio nel contesto Lignoranza della Parola, il velo che impedisce di percepirla e la resistenza nel non volerla conoscere (v. 45), sono radice e frutto dellautoaffermazione. Dio amore, quindi umile. Lumilt via alla sua conoscenza, la superbia ne sbarra laccesso. Impedisce di conoscerlo proprio perch ha la sua origine

nellignoranza di Dio. Lui amore per luomo: chi lo ignora, deve trovare in s la propria salvezza. Da qui lautoaffermazione che allontana dalla salvezza. Per questo il superbo non conosce Dio e, mentre cerca di salvarsi, si perde e lo conosce sempre meno. Dopo la prima predizione della passione, Ges aveva dichiarato il rapporto io-se stesso: lio si salva perdendosi per lui e si perde nel volersi salvare da lui (vv. 23-24). Ora, dopo la seconda predizione, dichiara il rapporto io-altri (vv. 46-48) e subito dopo quello noi-estranei (vv. 49-50). Come cerchiamo di possedere il mondo intero (v. 25), cos cerchiamo di distinguerci dagli altri, di essere primi, emergere e dominare, sia come singoli (vv. 46-48) che come collettivit (vv. 49-50). La paura, che porta a cercare di salvarsi, rende egoisti e avidi di cose (ricchezza), di persone (potere e vanagloria) e di Dio stesso (autosufficienza). La fiducia in Dio, invece, per chi conosce che amore, porta a perdersi in lui e rende capaci di amare in povert e umilt. I discepoli resistono al cammino di umilt di Dio perch hanno in s il peccato di protagonismo. quello di Adamo, che volle addirittura occupare il posto di Dio. il peccato che ci porta sempre e comunque a occupare il primo posto: lautoaffermazione, primo e ultimo frutto dellegoismo. il peccato originale, che sta cio allorigine di tutti i mali, sia di quelli del singolo, che non si accetta come creatura di Dio, sia quelli della comunit, che diventa campo di lotta per la supremazia. Solo la conoscenza di Dio pu rendere umili e solo lumilt porta alla sua conoscenza, perch lamore umile! Per questo lumilt porta alla salvezza e lautoaffermazione porta alla perdizione. In questa scena Ges rivela il mistero della vera grandezza: quello del Figlio dellAltissimo che si fatto pi piccolo di tutti. Questo il segno per riconoscerlo fin dalla nascita: troverete un bambino (2,12). Ancora pi avanti riprender la lezione, indicando nel bambino la condizione di creaturalit necessaria per entrare nel Regno (18,15-17). In questo brano Ges spiega la vera gerarchia allinterno della comunit dei discepoli: il pi grande il pi piccolo. Perch il pi piccolo fra tutti lui. Chi accoglie il pi piccolo, accoglie lui e accoglie Dio stesso, che tale si fatto per accogliere tutti. Contro ogni ambizione stoltissima di carriera e di arrivismo nella chiesa, Ges dichiara che la scala di valori trova in testa lultimo, perch il Figlio delluomo si fatto servo di tutti. Questo tema ripreso nellultima cena, dopo lannuncio del tradimento (22,24ss). Il racconto inizia con la parola pi grande e termina con la parola grande. Riguarda chiaramente la grandezza, da cui si misura la realizzazione delluomo. I discepoli fanno consistere la grandezza nel pi che induce a ingrandire il proprio io a spese altrui. un pi di troppo. Per Ges, grande, senza alcun pi di concorrenza o invidia, colui che pi di tutti si rimpicciolito per fare posto allaltro. Per questo la parola fondamentale accogliere. Accogliere caratteristica di Dio, amore che accoglie tutti. Per questo si fatto il pi piccolo di tutti! La minorit o umilt, caratteristica dellamore pi grande, criterio di realizzazione delluomo secondo limmagine di Dio. La minorit poi principio di fraternit: una minorit universale diventa fraternit universale, comunione con il Padre, tutto in tutti. La fede o lincredulit comprendere o meno il mistero della piccolezza e dellumilt di Ges, nostro Signore e Dio, nato in una stalla e morto sulla croce per amore. S. Ignazio pone come discriminante tra il vessillo di Cristo e quello di satana lopposizione: povert/ricchezza, umiliazione/vanagloria, umilt/superbia. La smania di grandezza, frutto di egoismo e di paura, lostacolo alla Parola: lo spirito sordo e muto, che impedisce la fede. Questo il motivo dellimpotenza dei discepoli nella lotta contro il male (cf. vv. 37-43). Non potranno mai vincerlo, fino a quando marceranno sotto il suo striscione. Si narra nella vita di s. Antonio il grande che una volta vide tutto il mondo pieno di lacci e tutte le persone del mondo irretite in essi e trascinate dai diavoli nellabisso. Allora, gemendo, disse: Chi scamper da tanti e tali lacci?. E ud la risposta: Lumile!.

2. Lettura del testo v. 46: entr, ecc.. Il parallelo di Mc 9,33s dice il luogo e il tempo in cui avvenne il fatto. Luca lo sospende quasi nel vuoto, fuori dallo spazio e dal tempo, perch avviene in ogni spazio e in ogni tempo, dappertutto e sempre. la manifestazione del peccato, che fa porre lio al posto di Dio. Come satana entr in Giuda (22,3), come la morte entrata nel mondo per invidia del diavolo (Sap 2,24), cos la sua invidia, principio di divisione e di morte, entra in noi e provoca divisione dagli altri e morte. Ci che entra e si trova nei discepoli, non tanto una discussione aperta, quanto un dialoghismo, un ragionamento traverso: quella macchinazione e calcolo che sta allorigine di ogni discussione e divisione. Si dice che entr in loro: il verbo indica lentrare dallesterno, mentre la particella in (greco en + dativo di stato in luogo) indica il permanere in loro. In loro significa che dentro ciascuno di loro o tra loro? Certamente questo calcolo si trova tra di loro, come causa della competitivit. Ma in realt tra di loro perch gi in ciascuno di loro come a casa propria. chi di loro fosse il pi grande. Ogni uomo desidera realizzarsi. Per chi conosce Dio, il realizzarsi essere come lui, povero e umile. Per chi non lo conosce, realizzarsi essere pi grande degli altri. Questa volont di primeggiare il primo frutto del peccato. Luomo, che non si conosce pi nella propria verit come amato da Dio, perde la propria identit: niente e ha paura del vuoto e della morte. Cerca quindi di salvarsi. Questo il fine fondamentale di ogni suo sapere e agire a tutti i livelli. Per questo, e non per cattiveria, diventa egoista e tenta di possedere un titolo di distinzione dagli altri, che lo faccia essere e-gregio, fuori dal gregge dei comuni mortali, che appunto sono mortali. La brama di possedere cose, persone e Dio stesso, il tentativo di colmare il vuoto infinito lasciato dalla nonconoscenza di Dio. Ma un riempirsi di vuoto, un allevare la morte che si teme. da notare che il vero peccato, quello del fariseo (18,9ss) e del fratello maggiore (15,25ss), ancora questo protagonismo, che stravolge in male ogni bene. Si utilizza tutto, anche il bene e Dio stesso, per essere primi! Questo peccato insidia sempre anche il discepolo gi convertito. Ma in modo pi sottile, perch si esercita non pi su cose perverse, ma su cose buone: chi il pi bravo nel seguire il Signore, nella fedelt, nel servizio, nellamore... nellumilt e nella povert! Le divisioni allinterno della comunit hanno sempre come radice la volont, manifesta o nascosta, vilissimamente o nobilissimamente motivata, per ragioni errate o giustissime, di essere il pi bravo! La linea pi corretta non altro che il paravento pi scorretto al volersi salvare prevalendo, emergendo e dominando sullaltro. Con il risultato di perdersi e di dividersi in nome della verit! Per questo niente pi malefico che il voler aver ragione, soprattutto quando si ha ragione! Di quanto male causa la giustizia! v. 47: Ges, sapendo, ecc.. Come il desiderio di autoaffermazione dei discepoli fa da velo alla parola del Signore, cos questa svela la superbia dei discepoli. La sua umilt e il suo amore manifestano come la via che luomo ha intrapreso quella della perdizione. cos che Dio disperde i superbi nei pensieri del loro cuore (1,51). Il bambino che Ges prende rappresenta il punto zero della realizzazione: ci da cui partiamo e che neghiamo per diventare adulti. Il bambino la negazione delluomo. Nella cultura ebraica dallora rappresentava unappendice della donna, che a sua volta era unappendice del maschio. Non conta, dipendenza assoluta: il suo essere essere di .... Non pu nulla da s, ci che gli altri ne fanno. Rappresenta in modo radicale la situazione di creaturalit, che Adamo ha rifiutato per sospetto e per paura. Il bambino oggettivamente lultimo, anche in campo religioso, perch non merita e non pu meritare nulla, se non la compassione gratuita di Dio: vive solo di misericordia dellaltro! Il bimbo, impossibilitato a osservare la legge, il parente pi povero del peccatore, al quale per s sarebbe possibile osservare la legge.

Mentre ladulto crede che la possibilit di vivere sia il primeggiare, servendosi di tutto e di tutti per essere e avere di tutto, il piccolo ha la possibilit di vivere solo in quanto servito e accolto, perch niente e bisognoso di tutto: puro bisogno e vive di accoglienza. In una lezione successiva Ges dir che per entrare nel Regno, bisogna accoglierlo come un bambino (18,15-17). Infatti il riconoscersi creatura di Dio condizione necessaria per esser battezzato. I discepoli, se vogliono capire il mistero della croce, sono chiamati a capovolgere il loro modo di pensare. Il vero criterio di realizzazione non il dominare, bens laccogliere laltro. Chi accoglie il piccolo, accoglie il suo Signore, che per accogliere tutti si fatto il pi piccolo fra tutti: il suo amore si necessariamente velato nellumilt del Figlio delluomo consegnato agli uomini, fattosi piccolo per poter stare nelle loro mani. lo colloc accanto a s. Il bambino posto da Ges in modo fisso presso di s: il suo altro io. Non solo gli fa da specchio, ma si identifica con lui in modo misterioso, come lui si identifica con colui che lo ha inviato. v. 48: e disse loro: Chi avr accolto, ecc.. Il verbo accogliere, ripetuto quattro volte in questo versetto, il medio termine che capovolge il criterio della grandezza e fa del pi piccolo fra tutti il grande per eccellenza. Accogliere dare ospitalit e fare spazio in s, restringere il proprio io e fare di s la casa dellaltro. Il bimbo vive dello spazio che gli si lascia, dellamore con cui lo si ama. In questo senso ogni uomo sempre bimbo, perch la sua vita dipende dallaltro. Mentre legoismo porta a servirsi dellaltro per primeggiare, lamore concretamente porta a servire laltro. E il servizio fondamentale che posso fare a uno, quello di accoglierlo, perch viva in me. Per questo chi ama rinnega il proprio io e si fa piccolo. Laccoglienza la qualit fondamentale di Dio, che ama e lascia spazio e vita a tutti nel suo cuore. Per questo la grandezza vera e propria di Dio consiste nella piccolezza, nellumilt e nella povert - nella minorit sprovveduta di uno che ama tutto e tutti e si pone a servizio di tutto e di tutti. Per questo Dio, laltissimo, il pi piccolo di tutti: il pi piccolo tra tutti voi, questi grande. Dio si identifica con il bambino, che vive di accoglienza. Lui, che amore e accoglienza, pu vivere solo se accolto. Gi fin dalleternit egli vive come accoglienza mutua Padre/Figlio nellunico amore reciproco. Lamore delluno verso laltro il rispettivo ritrarsi di ognuno dei due per lespandersi delluno nellaltro, fino alla perfetta unit. Per questo Dio, il grande, apparso sulla terra in Ges, si fatto ultimo e servo di tutti per accogliere tutti. Fattosi bisognoso di accoglienza, muore dove non accolto e vive dove accolto. Chi accoglie diventa veramente grande in assoluto, non il pi grande, che relativo e in concorrenza. Si realizza pienamente perch diventa come il pi piccolo fra tutti: si identifica con Cristo, che ci ha rivelato la verit di Dio come amore che si fatto piccolo. Il mistero della grandezza di Dio (v. 43) questa piccolezza di Cristo, che il discepolo deve ficcarsi nelle orecchie (v. 44). Lopera di Luca si conclude con la presentazione di Paolo, maestro dellagp. II pi piccolo tra gli apostoli, quasi un aborto (1Cor 15,8), totalmente trasfigurato in icona perfetta di Cristo, che accoglie tutti. Cos annunzia il regno di Dio e insegna il Signore Ges Cristo con limpidit e senza ostacolo (At 28,30ss). nel mio nome. Come il mio io principio di egoismo, divisione e schiavit, cos il nome di Ges principio di amore, unione e servizio. Io posso accogliere uno nel mio nome. Allora lo strumentalizzo e lo servo servendomene per sentirmi giusto e bravo! Posso accogliere uno nel suo proprio nome, e allora mi realizzo e lo realizzo nellordine naturale, che il piano terra delluomo. Allora ho la massima ricompensa umana: sono un bravo fariseo, un uomo giusto e bravo, pagato dalla virt che fa da premio a se stessa. Posso accoglierlo nel nome di Ges, che il vero nome del pi piccolo e di Dio stesso. Allora mi realizzo pienamente e coscientemente nella mia dimensione umana pi alta, come immagine e somiglianza di Dio. Mentre il primo amore cattivo, il secondo pare naturalmente buono - una forma pi sottile del primo? -, il terzo soprannaturalmente buono e dona alluomo la salvezza. Questa

consiste nellessere come Dio, mediante lo Spirito di Ges. Amare in nome di Ges una persona non le toglie nulla della sua dignit. Permette di amarla nella sua verit e di scoprire la sua vera dignit: lamore stesso di Dio che la fa vivere. La persona cos amata, diventa, invece che idolo deforme, vera icona vivente di Dio, e aiuta chi ama ad amare Dio e identificarsi a lui. Unicamente il bene fatto in nome di Cristo ci procura la grazia dello Spirito santo, la cui acquisizione il fine della vita (Serafino di Sarov). Molti (... ) ignorano completamente la differenza che esiste tra le tre volont che agiscono nelluomo. La prima la volont di Dio, perfetta e salvifica; la seconda la volont umana, che di per s non n nefasta n salvifica; la terza invece, quella diabolica, assolutamente dannosa. questa terza volont nemica delluomo che lo obbliga a non praticare per nulla la virt, oppure a praticarla per vanit, o unicamente in vista del bene e non per Cristo. La seconda, la nostra propria volont, ci incita a soddisfare i nostri istinti malvagi, oppure, come quella del nemico, ci insegna a fare il bene in nome del bene, senza preoccuparci della grazia che si potrebbe acquisire. Quanto alla prima volont, quella di Dio, salvifica, consiste nellimpegnarci a fare il bene unicamente allo scopo di acquisire lo Spirito santo, tesoro eterno, inesauribile, che nulla al mondo degno di eguagliare (Serafino di Sarov). Dio, come benedice lingrato lavoro della terra col dono di fiori e frutti, cos benedice le nostre fatiche nel nome di Ges col dono del suo Spirito: come sta la zappa al fiore e al frutto, cos lazione nel suo nome al dono di gioia e amore del suo Spirito. Non lasciamoci ingannare dal nemico, il quale desidera che peniamo soltanto e mangiamo la zappa, senza gioire dei fiori e gustare dei frutti. La stupidit di questo peccato oggi diffusissima anche sotto etichette teologiche. In pratica escludere Dio dalla propria vita e ignorare che tutto da lui e per lui, considerandolo antagonista delluomo e del suo progresso: il peccato della non conoscenza di Dio e del suo dono. La motivazione o intenzione dellaccogliere non indifferente allaccogliere stesso, perch lo indirizza in direzioni opposte: verso la rovina o verso lacquisizione dello Spirito santo. Il fine, in quanto punto di arrivo, lultimo che si vede allesterno, ma il primo che si concepisce nel cuore. Muove lazione in un senso o nel suo contrario. Lintenzione non un colore aggiunto allazione, ma la sua anima stessa. Il centro di questo v. 48 lidentificazione bambino = Ges = Dio mediante laccoglienza. Accogliendoci tutti, Ges si fatto il pi piccolo di tutti. In questa piccolezza ci ha rivelato di essere Dio, amore e accoglienza massima. Accogliendo il bambino ci facciamo pi piccoli e diventiamo come lui. Le persone possono entrare in comunione di amore tra loro, invece che in lotta di egoismo, solo accogliendosi nel suo nome. Come lautoaffermazione principio di disgregazione dellio e di divisione dagli altri, il farsi piccolo principio di unificazione con la propria verit profonda e di unione con gli altri. Cessa la lite e la concorrenza, nasce lintesa, lamore e il servizio. chi avr accolto me, ecc.. Come Cristo introduce nel Padre (chi avr accolto me, accoglie chi mi ha inviato), cos il piccolo, accolto, mi introduce in Cristo: chi avr accolto questo bambino nel mio nome, accoglie me. Laccoglienza ci fa piccoli e ci introduce nella conoscenza (accoglienza) mutua Figlio/Padre. Essa aperta solo agli infanti, che vi sono introdotti mediante lunico Amore che tutti accoglie (10,21s). il pi piccolo tra tutti voi, questi grande . I discepoli sono chiamati a smettere di guardarsi con invidia tra di loro per vedere chi il pi grande, e a guardare un bimbo, estraneo, che Ges ha posto accanto a s: devono prenderlo come modello, specchio di lui, che si fatto il pi piccolo di tutti. Il credente, che conosce Ges, si apre ad accogliere nel suo nome ogni piccolezza, scarto e rifiuto che nel mondo, perch la grandezza di Dio, che si fatto il pi piccolo di tutti. Vede nellultimo il volto del suo Signore che lo salva (cf. Mt 25,31-46).

Laccoglienza del piccolo la via attraverso la quale Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28). La piccolezza ci salva e ci realizza a immagine di Ges, volto stesso dei Padre, Figlio dellAltissimo (1,32) che si fatto bambino (2,12). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che prende un bambino, circondato dai discepoli. c. Chiedo ci che voglio: capire la sua gloria, che lumilt e la piccolezza di chi ama. d. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - chi il pi grande - un bambino - chi avr accolto questo bambino - nel mio nome - accoglie me - il pi piccolo tra voi, questi grande. 4. Passi utili Sal 8; 131; 1Sam 2,1-11; Mt 25,31-46; Lc 18,15-17; 22,24-27; 1Pt 2,2.1.

58. CHI NON CONTRO VOI PER VOI


(9,49-50)
49

Ora, rispondendo, Giovanni disse: Maestro, vedemmo un tale scacciar demoni nel tuo nome, e lo impedivamo, perch non segue con noi. 50 Ora disse a lui Ges: Non impedite, poich chi non contro voi, per voi! l. Messaggio nel contesto

Il Figlio delluomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini (v. 44). il mistero di povert, umiliazione e umilt del servo, che il discepolo deve ben piantarsi nelle orecchie. Ma, come resta incomprensibile al singolo, cos resta velato anche alla comunit in quanto tale. Al mistero dellamore di Dio che si svuota e si mette al di sotto di tutti, si contrappone il per nulla misterioso egoismo delluomo che si gonfia e mette il proprio io o il proprio noi al di sopra di tutti. Mentre lui si pone come il pi piccolo, principio di comunione fra tutti e con il Padre, lio o il noi delluomo si pone al centro di tutto e diventa principio di divisione tra noi e dal Padre. Ci che vale per il singolo discepolo - rinnegare il proprio io (9,23) e rimpicciolirsi per accogliere il pi piccolo (vv. 46-48) - vale anche per la chiesa come tale Essa deve rinnegare il proprio noi e farsi piccola, per essere al servizio del suo Signore. Il peccato originale si manifesta a livello personale nellio che si pone al posto di Dio; e a livello comunitario nel noi che si pone al posto del Signore, cercando la propria grandezza e il proprio potere. Oltre il peccato di superbia personale, c quello collettivo, molto pi grave. il peccato di ecclesiolatria, tanto meno visibile quanto pi grande. Lorgoglio collettivo infatti suppone lumilt del singolo. Per questo cos sottile da restare invisibile a chi non ha occhi puliti. Esso tende a distruggere la chiesa, perch il noi che esclude qualcuno in forza propria, esclude noi dal Signore. La comunit dei discepoli corre sempre il pericolo di diventare un noi centrato su di s, invece che sul Signore da seguire. Lui, lagnello pastore, come si identificato con il pi piccolo, cos ora si identifica con lanonimo emarginato dalla comunit. Dopo aver smascherato il delirio di grandezza del singolo, intende ora smascherare quello comunitario. Lui infatti il Signore unico di tutti. Disponibile verso tutti (6,35), non si lascia sequestrare da nessuno! Questo brano esclude il noi come fondamento della chiesa. Nessuno pu porre un fondamento diverso da quello che gi vi si trova, che Ges Cristo (1Cor 3,11). In 11,23 si determina che il discriminante per essere chiesa lessere con me riferito a Ges, non lessere con noi riferito alla chiesa! Questa non preesiste a lui e neanche lo sostituisce: Ges lalfa e lomega, il principio e il fine. Ogni qualvolta ridotto a strumento o funzione del noi ecclesiale, si perverte il rapporto di fede e si divide il corpo del Signore! Tra laltro la comunit non pu mai identificarsi con Ges, anche se Ges si identifica con essa (cf. At 9,4). Il Signore trascende sempre la sua chiesa e si identifica sempre con il piccolo e lescluso, in modo da tenerla sempre aperta e in tensione per abbracciare cos tutti gli uomini che sono suoi fratelli. Ges ci ha gi preceduto fino agli estremi confini della terra e l ci attende, per unirsi a noi. Solo allora sar finito il cammino stesso della chiesa, perch avr realizzato il disegno di Dio: sar la sposa perfetta che si unisce al suo Signore e Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28). Per questo ogni riflessione sulla chiesa deve sempre partire da chi Ges: ogni ecclesiologia si misura sulla cristologia! La parola del Signore, come la chiama cos la richiama, come la forma cos la riforma, come la fonda cos la rifonda, in un moto di apertura e di conversione continua. Il centro della chiesa sar sempre fuori di lei: il suo Signore che gi lha preceduta nel piccolo, nellescluso, nellemarginato, nel peccatore. Esiste sempre il pericolo di ridurre il Signore a pezza di rattoppo del corto vestito che ci ricopre, o di farne lattaccapanni dei nostri paludati desideri. Lidolatria dellio, il peccato di superbia, origine di tutti i mali. Dello stesso legno, ma ben pi grosso, lidolatria del noi: la superbia collettiva origine di tutti quei mali per i quali la stupidit e la cattiveria del singolo non basterebbe! E nessuno si sente personalmente chiamato a conversione! Teniamo presente che sempre a fin di bene che si fa tutto il male! Lunit della chiesa non fondata su unidentit del noi, bens sullunico Signore che si rivelato a noi nellumilt della consegna del Figlio delluomo, piccolo ed escluso. Lunit della chiesa, direbbe s. Ignazio di Loyola, al di l delle buone intenzioni, data dalla sequela del vessillo di Ges in povert, umiliazione e umilt. tragico! ma si pu stare nella chiesa e giocare per la squadra avversaria, sotto il vessillo di Lucifero. Questo contrassegnato dalla ricerca di ricchezze, potere e superbia. Per questo

c chi fa parte della chiesa visibile ma non di quella invisibile, come c pure chi fa parte di quella invisibile e non di quella visibile. Il Signore infatti si fatto piccolo ed escluso, per accogliere e includere tutti; anzi, si fatto per noi maledizione e peccato (Sal 3,13; 2Cor 5,21). Questunit della chiesa veramente cattolica, universale, non esclude nessuno; e rispetta la libert di ogni singolo, che non plagiato da nessuno, neanche dalla comunit. Ogni diversit non solo tollerata, ma positiva (cf. 1Cor 12), perch la nostra unit non un modello socio-culturale-politico o una spartizione di potere, ma il nome di Ges, escluso da ogni potere. Da ci non consegue che la chiesa, intesa come noi, sia un fatto accessorio e superfluo, o un derivato necessario - quasi un male inevitabile, un sottoprodotto, come se Ges avesse voluto il Regno e ne fosse nata la chiesa! esattamente intenzione di Dio, che ha dato il primo comandamento (Dt 6,5), fare dellumanit tutta la sua sposa fedele, un popolo di fratelli che seguono Ges, il Figlio obbediente al Padre, il nuovo Adamo. Questa sposa voluta e amata, fin dal principio, ed necessariamente una, come uno Cristo (cf. 1Cor 12,12s), ma anche universale (= cattolica), libera e diversificata nelle sue membra, col proprio centro fuori di s, cio lo Sposo! Questa chiesa non pretende che gli altri la seguano (cf. non segue noi!, v. 49), ma che tutti seguano il Signore. La sua solidariet, il suo vero noi, non una solidariet aggressiva, di paura, nella difesa del proprio nome, che si forma per esclusione degli altri. Non ha nulla a che fare con il monolitismo di una setta che cerca il noi sopra ogni cosa: essa cerca il suo Signore, si fonda sul suo nome e sul suo amore verso tutti gli uomini (Tt 2,11; 3,4). Escludere un fratello significa non avere ancora conosciuto il Padre, che Padre di tutti; non riconoscere il Signore Ges, che fratello di tutti; non avere il suo Spirito, che ama tutti. Non bisogna per altro scandalizzarsi che questo peccato ci sia nella comunit dei discepoli. Quando non ci sar pi, saremo alla fine. Ora c, ma importante riconoscerlo come male, per chiederne perdono. Diversamente si rischia di farlo, addirittura credendo di rendere culto a Dio (Gv 16,1s). Anche Paolo era per zelo persecutore della chiesa di Dio (Fil 3,6)! Il rapporto io-altri si risolve nel nome di Ges: si rinnega il proprio io che vuol primeggiare, per lasciare posto al pi piccolo che lui. Cos si opera il passaggio dallegoismo allamore che fa nascere la comunit. Il rapporto noi-diversi si risolve ancora in base al suo nome: si rinnega il proprio noi che esclude, per accogliere il diverso, che lui. Cos si opera il passaggio dalla comunit psichica, che una setta pericolosa, alla chiesa pneumatica, una e cattolica, perch fondata sullunico Signore di tutti. Se qualcuno non ama il Signore sia anatema (1Cor 16,22), scrive Paolo di proprio pugno per porre fine a ogni divisione. Egli infatti lunico fondamento in grado di reggere tutto ledificio, portando ogni tensione di libert e differenza. Principio di settarismo nelle chiese, origine di ogni divisione, il noi ecclesiale che si pone al posto dellio di Ges. 2. Lettura del testo v. 49: Ora, rispondendo, Giovanni disse. Le parole di Giovanni sono una risposta a quanto Ges ha appena detto sullaccoglienza del pi piccolo nel suo nome (v. 48). Tale risposta sulla linea dellincomprensione del v. 45 ed esprime un atteggiamento diametralmente opposto a quello del Signore. Giovanni a suscitare il problema. lunico luogo del Vangelo in cui appare da solo. Forse perch fu lui, per il suo carattere focoso e zelante (cf. v. 54), a fare la domanda. Forse perch fu lui a suscitare il problema allinterno dei discepoli: il discepolo che Ges amava avrebbe presentato nella chiesa primitiva quellaspetto carismatico di libert e diversit che con difficolt si integrava con laspetto istituzionale, pi preoccupato del noi, rappresentato da Pietro.

scacciar demoni. La vittoria sul male il fine della missione, come di Ges, cos del discepolo. in forza del suo nome che i discepoli vincono il male, non in forza del proprio (cf. gli esorcisti di Efeso: At 19,15). nel tuo nome. Vedi il v. 48: nel suo nome che si pu accogliere anche lultima diversit delluomo, ponendosi a servizio del pi piccolo. e lo impedivamo. un imperfetto di conato: indica un tentativo ripetuto e non riuscito. Invano la comunit vuole impedire lazione di salvezza di questo discepolo anonimo ed escluso. E cerca lavallo di Ges. Ai discepoli non sta a cuore tanto la salvezza dei fratelli, quanto laffermazione di se stessi e lesclusiva dellappoggio del Signore! Non interessa loro tanto la liberazione dal male, quanto, paradossalmente, la sua affermazione. Infatti annidato e nascosto anche in loro. non segue con noi. Ci che sta a cuore ai discepoli non seguire Ges ed essere con lui, termine di confronto di ogni sequela (cf. v. 23). Ges non neppure nominato col pronome, pur essendo spontaneo dire: non ti segue con noi!. Ci che conta il noi, che deve essere grande e potente, ed avere lesclusiva. Limportante quindi non seguire te, bens seguire con noi. Lespressione rivela una forma di orgoglio collettivo, ben pi nociva e disastrosa di quello individuale. naturale, umano, fin troppo umano, anzi satanico! Tale orgoglio cerca, invece che il nome del Signore e il bene dei fratelli, laffermazione del noi mediante lesclusione degli altri! un peccato religioso simile a quello della torre di Babele: al Signore si sostituito il noi umano che cerca di autoesaltare se stesso. labominio della desolazione! Questo con noi arriva anche allaberrazione del Gott mit uns, servendosi di Dio per esaltare s. E ci arriva inavvertitamente - e a fin di bene! - ogni qualvolta la comunit cristiana pone al proprio centro se stessa invece di lui, povero, piccolo, diverso ed escluso! il capovolgimento radicale della fede, quasi che non noi dovessimo seguire lui, ma lui seguire noi e farsi garante dei nostri interessi di parte (cf. 1Sam 4,1-11). Questo noi, ben definito e visibile, suppone una situazione post-pasquale, con una comunit gi formata. la chiesa, che non si dimentica mai, per grazia di Dio, di misurare il suo noi con quanto Ges ha detto e fatto. Solo cos non perde il punto di riferimento e pu correggersi dal male che sempre la insidia. La soluzione del problema qui semplice, perch nella domanda confessato in modo chiaro il peccato. Spesso a noi non cos chiaro. Comunque chiaro che, ovunque impediamo del bene o escludiamo qualcuno, cadiamo in questo peccato: non vogliamo seguire Ges, bens essere seguiti noi! Inoltre, per avere la risposta, bisogna confrontare il nostro modo di agire con il suo. Il Ges terreno, venuto nella carne, misura della nostra fede e della nostra azione (cf. 1Gv 4,2s; 2Gv 7; Ef 4,20s). v. 50: Non impedite. Questo atteggiamento del noi un impedimento a vincere il maligno. anzi unalleanza con lui, per di pi segreta, ignara e a fin di bene, come quella di Pietro in Mc 8,32s! Se Ges si fatto piccolo ed escluso per accogliere e includere tutti, anche noi dobbiamo lasciare ogni ricerca di potere e di grandezza personale e comunitaria per non escludere nessuno. Bisogna bandire ogni autoesaltazione tanto personale quanto collettiva, bisogna superare ogni forma di associazionismo, di ghetto, di partitismo e di tribalismo che ha come centro di aggregazione il noi, e si cementa solo in quanto riconosce negli altri dei nemici e concorrenti. una solidariet negativa, che, per essere con qualcuno, ha bisogno di mettersi contro gli altri. chi non contro voi, per voi. Ges prende le distanze da questo noi e si allontana da tale comunit: non tollera di essere chiamato noi e non si include con loro. Infatti li chiama: voi, perch lui in realt gi stato escluso da questo atteggiamento. Egli non pu accettare lo spirito di parte dei

discepoli. il Signore di tutti e non pu identificarsi con chi esclude qualcuno! morto per salvare ogni carne, venuto apposta per gli esclusi (cf. 19,10). Questa sentenza non indica semplicemente una tolleranza illuminata. Lascia intravedere la vera cattolicit della chiesa, che chiamata ad allargare la cerchia di coloro che seguono Ges fino agli estremi confini della terra, abbracciando tutti gli uomini. Solo allora Ges, potr dire noi, perch si sentir incluso anche lui, lultimo di tutti. Allora saranno giunte le nozze dellAgnello: la sposa sar pronta (Ap 19,7), tutta gloriosa, senza macchia n ruga o alcunch di simile, ma santa e immacolata (Ef 5,27). Allora sar il regno di Dio, che Cristo consegner al Padre, perch Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,24.28). Allora il Signore stesso sar uno (Zc 14,9). Questa cattolicit fondata sullunico Padre dellunico Signore di tutti, che al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed presente in tutti (Ef 4,6). Solo lui in grado di fondare ununit che non sia di parte, ma universale. Per questo ununit che rispetta la libert: Dove c lo spirito del Signore c la libert (2Cor 3,17). Non si tenta di imporre nessun giogo a nessuno e siamo in grado di formare un unico corpo con tutte le sue differenziazioni, nellaccettazione e nel rispetto reciproco. Dove il rispetto sar inversamente proporzionale al prestigio (1Cor 12,12-27)! Laffermazione: chi non con me, contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde (11,23) aiuta a capire questo testo e lo completa. Il termine di paragone dellunit non il noi dei discepoli, ma lio dellunico Signore: lui che bisogna seguire, con lui che bisogna stare. Diversamente, invece di raccogliere nei granai la messe gi abbondante (cf. 10,2), si manda in perdizione il fratello per il quale il Signore morto (1Cor 8,11): si distrugge lopera di Dio (Rm 14,20), il corpo di Cristo, il tempio dello Spirito. Ma, se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distrugger lui (1Cor 3,17). Quindi, sia allinterno che allesterno della comunit, le difficolt sono originate dalla ricerca dellio (vv. 46-48) e del noi (vv. 49-50). Si risolvono ponendo al centro il suo nome. La tolleranza cristiana non una virt borghese, per altro mai abbastanza lodata contro i facili fanatismi religiosi! Non neppure semplice diplomazia. invece conoscenza e fede nellunico Signore, che fonda lunit e leguaglianza di tutti e lunicit di ciascuno. Il rapporto unit-libert non dialettico: la libert sta nel vincolo allunico Signore, ed tanto pi ampia quanto pi stretto il legame con lui. Seguire lui e stare con lui fattore di unit del noi e definisce lappartenenza alla chiesa, non viceversa. La chiesa, in quanto sta con Ges, aperta a tutti e lo media a tutti, senza escludere nessuno. Per questo si adatta a ogni epoca e cultura, mettendone in crisi i (dis)valori e salvando cos ogni epoca e ogni cultura. In questo modo universale e una, nella libert e nella diversit. Lappartenenza al noi visibile non dato dal seguire con noi, ma dal seguire lui, stare con lui e operare nel suo nome vincendo il male. Non la chiesa fa il Cristo, ma il Cristo fa la chiesa. Questa deve sempre misurarsi con lui e correggere sempre il proprio cammino sul suo, che quello dellimpotenza e della stupidit del Figlio delluomo consegnato nelle mani degli uomini (v. 44). Il noi autentico non si fa mai per esclusione degli altri. Esso si autentica proprio nella tensione di includere il piccolo e lescluso, con il quale si identificato colui che ha detto: Chi non con me, contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde (11,23). La chiesa forma un noi definibile e visibile, voluto dal Signore come sempre aperto e centrifugo. La sua essenza fuori di lei: Ges che va seguito, nel suo cammino che va molto lontano, fino a farsi vicino a ogni lontananza. La tensione tra libert e istituzione inevitabile ed un bene, perch il noi resti proteso ad accogliere il diverso e si mantenga insieme uno e differenziato, corpo del Signore che abbraccia luniverso. Questunit nellamore esige e sopporta tanta diversit e pluralismo quanto stretto il vincolo di amore allunico Signore, morto per tutti, che ci spinge verso tutti (2Cor 5,14). La diversit, invece che oggetto di dominio o strumento di potere, diventa disponibilit e ricchezza di servizi. In questo modo il corpo di Cristo uno, armonico e bello, la sua chiesa una, santa e cattolica! Amen.

3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginandomi ancora ai piedi della trasfigurazione. c. Chiedo ci che voglio: la liberazione dallinvidia personale e collettiva. Godere di tutto il bene che Dio opera in tutti, anche quelli che non sono dei nostri. d. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - nel tuo nome - non segue con noi - lo impedivamo - chi non contro voi, per voi. 4. Passi utili Sal 87; 117; Nm 11,25-29; 1Cor 21,1-17; Is 60; At 19,13-20; 2Cor 5,14.

59. INDUR IL VOLTO PER ANDARE A GERUSALEMME


(9,51-56)
51

Ora avvenne: mentre stavano per compiersi i giorni de suo essere levato, allora egli indur il volto per camminare verso Gerusalemme. 52 E invi angeli davanti al suo volto. E, camminando, entrarono in un villaggio di samaritani per preparare per lui. 53 E non lo accolsero, perch il suo volto era in cammino verso Gerusalemme. 54 Ora, visto, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: Signore, vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo

e li distrugga? 55 Ora, voltatosi, li sgrid: Non sapete di che spirito siete: il Figlio delluomo non venne a perdere le vite degli uomini, ma a salvarle. 56 E camminarono verso un altro villaggio. 1. Messaggio nel contesto Il Battista mand a interrogare Ges per sapere se il messia atteso fosse lui oppure un altro (7,19). La risposta fu che doveva modificare la sua attesa, perch il messia di Dio diverso da quello che luomo si attende. Infatti il suo volto si rivelato nella trasfigurazione come totalmente altro (v. 29). Di lui la voce ha detto: Ascoltatelo (v. 35). il Figlio obbediente, Parola del Padre fatta carne. Il suo profilo ci viene tratteggiato entro la grande cornice del suo viaggio a Gerusalemme. Iniziato qui con determinazione, si protrae fino al c. 18 e si completa nei cc. 19-23. Alla fine il Pellegrino rimane solo, per essere nelle cose del Padre suo (2,43-49). Il c. 24 lascia intravedere la luce della dimora definitiva di chi, arrivato alla meta, si accompagna ai fratelli per condurli con s a casa. Il suo viaggio la consegna al Padre, il ritorno del Figlio unico. In lui luomo torna davanti a colui del quale immagine e somiglianza. Il v. 51 segna la svolta decisiva nel Vangelo di Luca, gi annunciata nella trasfigurazione: il volto bello, di una bellezza unica e altra da ogni altra, gloria stessa del Padre, quello del Ges solo (v. 36) che va a Gerusalemme. Con il volto trasfigurato termina la catechesi dellascolto. Con questo volto in cammino inizia la catechesi della visione. Il volto si forma secondo la parola che ascolta, ed esprime la persona in relazione allaltro. Ges, perfetto ascoltatore del Padre e tutto rivolto ai fratelli, ci rivela il vero volto delluomo: lo stesso di Dio. il nuovo Adamo, che pu dire: Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9). Dora in poi il Vangelo non solo parola da ascoltare, ma anche e soprattutto via da seguire per giungere alla contemplazione del Figlio uguale al Padre. Essa culmina nella theoria (= contemplazione) della croce (23,46-48). Ges la tenda definitiva di Dio tra gli uomini (v. 33), proprio nella solitudine del suo cammino (v. 36); la Parola da ascoltare (v. 35), proprio in quanto Figlio delluomo che si consegna (v. 44); la bellezza da contemplare (vv. 29-33), proprio in quanto volto indurito nella misericordia (v. 51). Ora Luca chiama noi, suoi lettori, a contemplarlo a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore. Cos veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo lazione dello Spirito del Signore (2Cor 3,18). Egli cammina in mezzo a noi e ci apre il ritorno al Padre. Seguendolo, torniamo ad essere ci che siamo: suoi figli. Ma, come nessuno ha ascoltato la parola del Padre, nessuno ora accoglie il volto del Figlio. Non trova ospitalit, perch il pi piccolo di tutti e lescluso da tutti. Rifiutato dai lontani, i samaritani, non compreso dai vicini, i discepoli. escluso dagli esclusi e non accolto dai piccoli! Infatti indurito nella parola del Padre, che amore e tenerezza (6,36). Il volto del samaritano diverso da quello di ogni Adamo, in discesa da Gerusalemme a Gerico. Egli, icona visibile del Dio invisibile, si fatto pellegrino per tutte le strade del mondo, per restituire ai fratelli il loro volto di figli. Questo cammino ha due movimenti contrari. Il primo un moto con cui si allontana da noi e, lasciandoci soli, suscita in noi la nostalgia di raggiungerlo. il suo essere tolto (v. 51), che indica insieme la sua uccisione e la sua glorificazione, il suo essere rifiutato dagli uomini e accolto dal Padre, il

suo essere innalzato sulla croce e il suo essere assunto in cielo (At 1,11). Il secondo un moto con cui si avvicina a noi e, accompagnandosi al nostro cammino, accondiscende al desiderio di rimanere con noi a condividere via e vita, parola e pane. la sua venuta tra noi, preparata dai suoi inviati (v. 52). Essa realizza la salvezza nella nostra storia ed anticipazione del suo ritorno finale. Accogliendo lannuncio, lasciamo entrare nella nostra vita colui che, partito da Gerusalemme, ritorna allo stesso modo in cui labbiamo visto andare (At 1,11). Il suo viaggio verso il Padre e la sua venuta tra gli uomini coincidono in ununica missione storica, compimento del disegno di salvezza. Rifiutato dai fratelli per la loro disobbedienza, egli si consegna loro per obbedienza al Padre, e li salva attraverso la misericordia e la croce. Qui si manifesta la diversit tra lo spirito delluomo e quello di Dio. Davanti al suo volto siamo chiamati a discernere di che spirito siamo: siamo induriti come lui nellamore, oppure siamo chiusi nella durezza del nostro cuore? Siamo veramente battezzati nel suo Spirito, o in quello opposto? Discepolo colui che riconosce questo volto povero, umiliato e umile, e opera secondo il suo Spirito di misericordia. Ges inizi il suo ministero col battesimo, sua scelta di fondo, che lo rivela pieno dello spirito del Figlio proprio perch si fa fratello dei peccatori. Ora, associati al suo stesso cammino, gli apostoli devono battezzarsi, immergersi in questo volto che preparano ad accogliere. Sono induriti nel suo stesso spirito di solidariet e misericordia, di macrothyma (larghezza danimo) e symptheia (sim-patia compassione) verso tutti i fratelli lontani. 2. Lettura del testo v. 51: stavano per compiersi. Il verbo indica il compiersi del disegno di Dio. Usato per la pentecoste (At 2,1), compimento della salvezza nel dono dello Spirito, si usa pure per il cammino di Ges a Gerusalemme. il suo battesimo nello Spirito (12,50): si immerge nellamore del Padre fino allobbedienza della croce. i giorni. Tale compimento ha una storia: composto di pi giorni, con i limiti dello spazio e del tempo. levato. Come esodo (v. 31) indica insieme la sua morte e la liberazione che ne consegue, cos levato indica insieme il suo essere levato di mezzo ed elevato fino a Dio. La stessa parola esprime le due facce opposte di ununica realt, vista come azione rispettivamente delluomo e di Dio. Se il primo compie il sommo male, togliendo di mezzo il Figlio delluomo, il secondo ne fa il sommo bene, innalzando a s il Figlio. Il verbo levare o sollevare pu indicare anche il gesto con il quale il padre riconosce il figlio. Ges, il Figlio perduto per cercare i fratelli dispersi, sulla croce li leva tutti con s. E il Padre, in lui, li riconosce tutti come suoi figli. il volto. La seconda parte del Vangelo di Luca una catechesi della visione, che segue quella dellascolto. Si sviluppa lungo il cammino a Gerusalemme, e termina nella theoria del Crocifisso (23,48): ci mostra progressivamente il volto di colui che la via per ricondurci al Padre. indur. Il verbo significa: rendere saldo, stabilire in modo fermo e irrevocabile (cf. 16,26; 22,32; At 18,23). Indica la decisione ferma di Ges, la direzione precisa del suo cammino. latteggiamento del profeta e del servo, che percorre la via dellobbedienza e si indurisce in essa (cf. Ez 3,8; Is 50,7; Ger 44,11). il contrario di quello di Adamo che prese la via della disobbedienza e si indur nella fuga da Gerusalemme, lontano da Dio. Il volto, diverso da qualunque altro, ora diviene duro. La sua alterit nellobbedienza allamore del Padre, la sua diversit nella determinazione della sua mansuetudine, la sua

durezza nella tenerezza senza condizioni, che lo porta a consegnarsi ai fratelli. Questo indurimento di Ges lesatto contrapposto della nostra durezza di cuore. per camminare verso Gerusalemme. Gerusalemme il fine della vita di Ges, Egli il pellegrino che, da ogni angolo di perdizione dove ha raggiunto i fratelli, torna alla casa del Padre. Questo suo cammino, che parte dalla Samaria, la sua missione di samaritano, la sua venuta tra noi per salvarci. Tutti gli incontri che far coi fratelli riveleranno progressivamente il suo volto di Figlio del Padre misericordioso (cf. 6,36). Gi fin dora per dato il tratto fondamentale: lobbedienza damore in contrappunto alla disobbedienza paurosa di Adamo. v. 52: invi angeli davanti al suo volto. Richiama Ml 3,1ss dove si parla dellangelo inviato a preparare il giorno del Signore: il giorno ultimo del giudizio e della salvezza. I discepoli, come il Battista (1,76), sono inviati davanti al suo volto per preparargli laccoglienza. il fine di ogni apostolato: Colui che deve venire viene ovunque accolta la Parola che lo annuncia e ci si pone nel suo stesso cammino. entrarono in un villaggio di samaritani, per preparare per lui. Gli apostoli entrano in un villaggio della Samaria, che rappresenta linfedelt nel cuore di Israele. Sar la prima tappa dei discepoli dopo lascensione (At 1,8), e il primo luogo in cui fruttifica la Parola (At 8,4). Il cammino di Ges a Gerusalemme parte da qui, perch lui il samaritano! (cf. Gv 8,48). Facendo il percorso inverso a tutti quelli che scendono da Gerusalemme a Gerico, pu incontrarli e prendersi cura di loro (10,29-37). In Samaria i discepoli devono preparare perch venga accolto colui che ormai sappiamo essere il Figlio delluomo che si consegna (v. 44), e quindi il pi piccolo (v. 48) e lescluso (v. 49). v. 53: E non lo accolsero. Anche i samaritani, gli esclusi, escludono lescluso! Ges linviato del Padre che accoglie tutti: per questo il pi piccolo di tutti . Ma i samaritani, come gi i discepoli (vv. 45-50), e poi i giudei (19,41s), non lo accolgono proprio per questo. perch il suo volto era in cammino verso Gerusalemme. Non accolto perch ha il volto del messia umiliato, come Davide in 2Sam 16. povero e piccolo perch in cammino dalla Samaria a Gerusalemme per farsi carico del male dei fratelli. Il peccato comune a tutti non accogliere la piccolezza di Dio in Ges, sua vera grandezza. v. 54: visto. Ci si aspetterebbe: udito! Ma ormai, dopo aver parlato dellascolto, rimasto inascoltato! (cf. vv. 36 e 45), Luca passa alla visione di quel volto che lunico che ha ascoltato il Padre. Giacomo e Giovanni. Sono i due che in Mc 10,35ss (Mt 20,20s) vogliono i primi posti. Non possono quindi capire il mistero del messia rifiutato. Hanno pi lo spirito di Elia pauroso che si difende (2Re 1,10-15), che non quello soave che gli si manifest sullOreb (1Re 19,12s). vuoi che diciamo. Si sentono associati a Cristo. Ma ignorano che lunico suo potere limpotenza di uno che si consegna per amore. Egli non porta il fuoco che brucia i nemici, ma lamore che perdona (6,27ss). Lo zelo senza discernimento, principio di tutti i roghi di tutti i tempi, contrario allo Spirito di Cristo, e distrugge la sua opera. un fuoco scenda dal cielo. La potenza di Dio era ritenuta come una folgore divorante che distrugge. Ma in realt la fiamma che le grandi acque non possono estinguere, neanche la morte (Ct 8,6s), il suo amore per noi. I discepoli devono convertirsi dal fuoco di Elia che brucia i nemici a quello che brucer Elia stesso, portandolo in cielo (2Re 2,11). Giovanni, pi tardi (At 8,15-17), torner in Samaria

con Pietro, e invocher sugli stessi samaritani lamore del Padre e del Figlio. il fuoco dello Spirito, lunico che Dio conosce e che il discepolo deve invocare sui nemici. v. 55: voltatosi, li sgrid. Ges si volge verso di noi che non siamo ancora rivolti verso di lui. Il suo rivolgersi a noi un esorcismo: ci sgrida come i demoni e ci libera. Lui infatti la luce che scaccia la tenebra, la misericordia che vince il male. Qui suona bene laggiunta della Vulgata: Voi non sapete di che spirito siete. Poich il Figlio delluomo non venuto per perdere le anime degli uomini, ma per salvarle. Il problema del discernimento degli spiriti si pone solo davanti al volto di Ges che si consegna (v. 44). Egli disprezzato e ucciso dallavere, dal potere e dallapparire (v. 22): povero, umiliato e umile, piccolo ed escluso (vv.46-50), rifiutato dai piccoli e dagli esclusi! Rivela un Dio di compassione e di tenerezza, ignoto sia ai vicini che ai lontani. Il volto di Ges in cammino verso lumiliazione di Gerusalemme lo specchio della verit: la nostra reazione davanti ad esso ci fa capire di che spirito siamo, se di Cristo o di Satana (cf. Mc 8,31ss). Questo volto mite e umile - impotenza di un Dio che ama - la sua potenza che salva, anche se a lunga scadenza. Egli vince mediante la misericordia tenace di un amore che vuol essere liberamente amato. Ignora la prepotenza e la forza di chi vuole imporsi. Per questo sempre povero e umile, disposto a portare su di s il fuoco che dovrebbe distruggere chi non lo accoglie (vedi anche Mos e Paolo: Es 32,32; Rm 9,3). Lapostolo un contemplativo di questo volto, battezzato e immerso in esso, imbevuto del suo stesso spirito di longanimit e di simpatia verso tutti, pronto ad essere solidale col loro male senza maledire. v. 56: verso un altro villaggio. Il rifiuto non blocca la missione del Samaritano. La evidenzia come misericordia e la diffonde ovunque, in attesa che sia accolta da tutti. Perch la pietra scartata dai costruttori divenuta testata dangolo (20,17 Sal 118,22). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il cammino dalla Galilea a Gerusalemme, attraverso la Samaria. c. Chiedo ci che voglio: conoscere lo Spirito di Ges, il Figlio che si fa solidale con tutti i fratelli perduti. d. Traendone frutto, vedo, ascolto, osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - indur il volto - camminare verso Gerusalemme - angeli davanti al volto - non lo accolsero perch era in cammino verso Gerusalemme - fuoco dal cielo - di che spirito siete - il Figlio delluomo non venne a perdere le vite degli uomini, ma a salvarle. 4. Passi utili Sal 67;103; Es 32,30-32; 2Cor 5,14; Rm 9,3; At 8,15-17.

60. BEN MESSO PER IL REGNO DI DIO


(9,57-62)
57

E camminando essi nel viaggio un tale disse a lui: Seguir te, ovunque ti allontani! 58 E gli disse Ges: Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi: ma il Figlio delluomo non ha dove posare il capo! 59 Ora disse a un altro: Segui me! Ora quegli disse: (Signore,) permetti a me che prima mi allontani per seppellire mio padre. 60 Ora gli disse: Lascia i morti seppellire i loro morti. Tu, invece, allontanandoti, annuncia intorno il regno di Dio! 61 Ora disse un altro: Seguir te, Signore; prima per permetti a me di congedarmi da quelli di casa mia. 62 Ora disse (a lui) Ges: Nessuno che ha gettato la mano sullaratro e guarda ci che dietro ben messo per il regno di Dio. 1. Messaggio nel contesto La parola dei cc. 6-7 si fatta seme nel c. 8. Nel c. 9 il seme si fatto pane, e il pane bellezza e forza di un volto in esodo verso Gerusalemme. Davanti a lui siamo chiamati a discernere la differenza tra il suo e il nostro spirito.

Egli si battezza e si immerge nella povert, nellumiliazione e nellumilt; noi facciamo tutto per emergere mediante lavere, il potere e lapparire. Il volto di Ges verso Gerusalemme ci fa vedere che la nostra intelligenza disturbata. Ignorando la parola del Figlio delluomo (v. 45), manchiamo di discernimento e militiamo sotto la bandiera del nemico, ovviamente a fin di bene (vv. 46-56)! In questo brano vediamo perch la nostra intelligenza ottusa: semplicemente perch la nostra volont ha i suoi desideri e le sue priorit che si oppongono alla sequela di Ges. una volont divisa tra il desiderio di seguire lui e quello di tenere le proprie sicurezze materiali, affettive e personali. Dopo il battesimo, in cui oper la scelta fondamentale nello Spirito, Ges affront e vinse in se stesso le tentazioni. Anche il discepolo, dopo il battesimo nello stesso Spirito, chiamato a decidersi e superare le ambiguit interne alla sua volont. Il brano precedente smaschera i tranelli dellintelligenza, questo le trappole della volont. Il discepolo, come non conosce, cos neanche vuole il cammino del Figlio delluomo. Per questo, oltre che nellintelligenza, deve essere guarito anche nella volont. Essa in realt non vuole: vorrebbe il fine, senza per mettere in atto i mezzi. In questo brano emergono le resistenze che il discepolo oppone al suo Signore. Sono le stesse che egli per primo ha incontrato. Riguardano i mezzi adeguati al fine. necessaria una decisione che rompa con limmagine della madre (il mondo dei bisogni e delle sicurezze materiali), con quella del padre (il mondo degli affetti, dei doveri e dei rapporti) e con i condizionamenti dellio (sicurezza del solco e della propria identit da conservare): sono la povert, la castit e lobbedienza necessarie alla sequela, il superamento della tentazione dellavere, del potere e dellapparire. Solo a questo prezzo si ben messi per accogliere la novit del Regno. I tre doni che Ges fa al discepolo sono la libert dalle cose, dalle persone e dallio, per amare lui con tutto il cuore. 2. Lettura del testo v. 57: E camminando essi. Ges non pi solo nel suo cammino. Con lui sono i suoi discepoli, anche se non capiscono (vv. 44ss). Ora sapranno anche di non volere. nel viaggio. lesodo (vv. 31.51), il santo viaggio (Sal 84,6), che ha come termine Gerusalemme. il cammino intrapreso nel battesimo, che gli fa portare sulle spalle tutte le 76 generazioni dei figli di Adamo, per riportarli a essere figli di Dio (3,22.38). un tale. una persona indeterminata, che rappresenta chiunque vuol seguirlo. Desidera essere discepolo, ma ne accetter le condizioni? Seguir te. Ha capito il senso della vita: seguire Ges, il Signore. ovunque ti allontani. Sa anche che va lontano. il cammino lungo dalla schiavit alla libert! Per questo si va sempre pi allontanando da ogni comprensione e volont di carne. il Figlio delluomo che si consegna e si dona, diverso da ogni Adamo che prende e rapina: si dona a chi se ne impadronisce e si consegna a chi lo tradisce. Questo discepolo sembra uno che, come Pietro (22,33), ha capito e desidera. Ma seguire Ges non pretesa e iniziativa umana. v. 58: E gli disse Ges. Come con Pietro, Ges oppone al desiderio la realt, allillusione facile la dura previsione. Solo cos la pretesa pu sgonfiarsi e diventare umile attesa.

Volpi/tane, uccelli/nidi. Le volpi sono animali astuti, come i serpenti; gli uccelli, animali ingenui, come le colombe (cf. Mt 10, 16). Luomo del mondo pone la sua sicurezza nei beni materiali necessari per vivere e, se possibile, vivere bene. come Erode, la volpe (13,32), che ha il suo palazzo (7,25). Egli cerca la propria sicura dimora nella terra: scava in essa la propria tana e vi abita con tutta fiducia. Luomo religioso invece pone la propria sicurezza in Dio. Fa dipendere da lui la sua sussistenza e sospende il suo nido nel cielo come le rondini (Sal 84,4). Luomo, insufficiente a s, necessariamente pone la propria fiducia sopra di s o sotto di s, in cielo o sotto terra. Ha bisogno delle cose da mangiare come della madre per vivere! Ma al credente non basta, come luccello, avere il proprio tesoro presso Dio. Egli ha Dio come tesoro. La povert va amata come madre, perch ci fa confidare in lui solo: ci genera suoi figli, facendoci riconoscere che lui Padre. il Figlio delluomo non ha. Tutto ci che ha, lo consegna; anche se stesso. Perch dono, trasparenza dellamore del Padre. Per questo povero, piccolo, bisognoso di accoglienza, senza tana e senza nido, puro amore che vuole essere amato in nudit e povert. Chi desidera seguire Ges ma non vuole la povert, vuole il fine ma non il mezzo necessario. una tentazione analoga alla prima di Ges nel deserto: far consistere la propria sicurezza nel pane. Egli invece fece della parola del Padre la propria madre, dellobbedienza a lui il proprio pane. dove posare il capo. Allinizio, nato in una stalla, non essendoci per lui altro posto, fu adagiato sul legno di una mangiatoia di bestie. Al termine finir in pasto ai peccatori sul legno della croce, dove recliner il capo (Gv 19,30). Contro il desiderio della carne, mossa dal bisogno di proteggere la propria fragilit, Ges vive in povert assoluta (2Cor 8,9!). Non solo la condizione del pellegrino in cammino. anche il mezzo con cui realizza la propria consegna al Padre e agli uomini. Per questo la vera dimora dellapostolo la peregrinazione, che fa del mondo intero la sua casa (cf. Nadal, V, 365). v. 59: disse a un altro. Prima liniziativa era del discepolo. Ora di Ges. cos evitato il pericolo di presunzione, insito nel primo caso. A lui spetta la proposta, a noi la risposta. Siamo noi a seguire lui, non lui a seguire noi. Segui me. La chiamata chiara e precisa. la stessa che Ges rivolge a tutti (9,23), anche ai peccatori (5,27): andare dietro a lui nel suo stesso cammino. quegli disse. Quando liniziativa nostra, obietta Ges; quando sua, obiettiamo noi! Ci significa che, al di l di ogni buona volont, c qualcosa che non va. Evidentemente le sue vie non sono le nostre vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri (Is 55,8)! permetti a me. Non mette in questione la chiamata, n il fine, n i mezzi: seguire lui nel suo cammino senza tana e senza nidi. prima. Non chiede una deroga, ma solo una proroga di tempo! Prima di seguire il Signore desidera fare unaltra cosa. Esattamente compiere i suoi doveri, rispettare i suoi affetti! Questa priorit di tempo in realt nasconde una priorit dintenti. Luomo infatti vive nel tempo e fa prima ci che pi gli sta a cuore: questo diventa il suo pastore, la sua guida, il suo dio, ci che teme di perdere e che pone sopra ogni cosa. Per questo si dice: Cercate prima il regno di Dio (Mt 6,33). Diversamente c sempre qualcosaltro prima del Signore e il Signore non pi il Signore. Egli pu essere trascurato; ma non pu essere secondo a nessuno. mi allontani. Invece di seguirlo, proprio per questa priorit mal posta, si allontana da lui.

per seppellire mio padre. un dovere di piet filiale (Es 20,12; Lv 19,3). Ma anche un dovere, posto come prioritario, allontana dal Regno. il dramma della fede di Abramo: prima lamore per il figlio promesso da Dio o lamore per il Dio che ha promesso? Ogni affetto, per quanto sublime, secondario e derivato, figura del rapporto con Dio. Anche Ges, pur sottomesso a Giuseppe e Maria che angosciati lo cercano, antepone loro la necessit di occuparsi delle cose del Padre (2,48s). La scelta difficile e dura. La nostra volont, a causa del peccato, non indifferente e non ha la priorit giusta. Vorremmo che Dio seguisse la nostra. v. 60: Ora gli disse. Ges con la sua vita, ancora prima che con le sue parole, risponde alla domanda della priorit. Allinizio (2,49) e alla fine (23,46) mostra qual il Padre di cui si deve compiere la volont (22,42). Lascia i morti, ecc.. La realt umana, anche la pi grande, non va assolutizzata. riflessa, come la luce della luna che scompare quando appare il sole. Il peccato ci ha fatto perdere il volto di cui siamo immagine e idolatrare limmagine rispecchiata. Ma ogni idolatria peccato e principio di morte. Ci vale anche per il padre, figura dellunico Padre (Mt 23,9; Ef 4,6), da cui ogni paternit (Ef 3,15). Ci vale per lo sposo, perch lo Sposo di ogni uomo lui, dal cui fianco squarciato tratta la nuova Eva. Ogni bene ha in lui il suo principio e il suo riposo (Gn 1): fatto da lui e per lui, solo in lui trova se stesso. Porre la creatura prima del creatore, quasi fossero in concorrenza, invertire il rapporto vitale uomoDio. Invece di fare noi ci che lui vuole - sia fatta la tua volont! - pretendiamo che lui faccia ci che noi vogliamo. Tiriamo Dio dalla nostra e in pratica rifiutiamo lobbedienza a lui. Vorremmo il fine, che seguire Ges, ma rimandiamo i mezzi necessari, perch abbiamo le nostre priorit! una tentazione analoga alla seconda di Ges nel deserto: realizzare il Regno usando i mezzi e le priorit umane che il nemico offre. Nel primo caso la tentazione seguire o meno il Signore. Qui la tentazione pi sottile: farsi seguire o meno dal Signore, in nome di un presunto dovere. In realt lunico dovere lobbedienza al Padre, anche se sembra, come ad Abramo, di compromettere la promessa di Dio che ha gi il volto concreto dellamato figlio Isacco. Questi va sacrificato, perch sia veramente se stesso, cio dono di Dio. La chiamata al Regno suppone che nessun affetto sia mai prioritario e sia mai assolutizzato. la cosiddetta indifferenza di s. Ignazio: vede in ogni dono il donatore, e ama, attraverso il dono, chi dona. la castit delluomo: sposa di Dio, deve amare solo lui in modo assoluto. Il resto lo ama in lui e per lui. Ogni affetto prima o fuori di lui, adulterio. Se non abbandoni il padre, non diventi adulto e non ti sposi. Se non abbandoni ogni affetto prioritario rispetto a Dio e non ordinato a lui, non sei libero e fallisci il senso della vita. Vivi nel regno della morte, governato dalle tue priorit che sono i tuoi idoli che ti schiavizzano. Ci che occupa il primo posto nel tuo tempogramma loggetto primo del tuo cuore. il tuo dio! Tu, invece, allontanandoti,. Anche se ti aderisce talmente alla carne da sentirti lacerare nel separartene, bisogna che ti allontani da ci che ti allontana da lui, per seguire lui (cf. 14,26-33!). Ges la spada dellobbedienza al Padre (2,35). venuto a portare divisione (12,51). Divisione di sangue, che penetrer anche nellintimo della sua volont (cf. 22,42-44). Egli d zelo a colui a cui ha dato discernimento. Il nemico invece d zelo allo stolto o stoltezza a chi zelante. Se non ci riesce, lo rende fiacco e timoroso. annuncia intorno il regno di Dio. Chi ha posto la priorit nel Regno comincia ad annunciarlo. Esso parte da un cuore libero, per diffondersi fino agli estremi confini della terra.

v. 61: Ora disse un altro: Seguir te, Signore; prima per ecc. . Questa terza figura di discepolo assomma le difficolt dei primi due. lui che si propone ed lui che pone la priorit! Seguir te. La sequela sua pretesa, ed al futuro (come nel v. 57, mentre Ges al v. 59 dice: Segui me, al presente!). Daltra parte la priorit che pone ragionevole: religiosamente giustificabile, Bibbia alla mano, come usa fare il nemico (cf. 4,941). congedarmi da quelli di casa mia. Pi che il motivo del rimando, analogo al precedente, interessa la sua formulazione. Richiama la vocazione di Eliseo da parte di Elia, padre dei profeti, che concesse al discepolo di congedarsi dal suoi (1Re 19,19ss). Ma ora c qui ben pi che Elia (cf. 11,31.32): c il Figlio che va ascoltato (v. 35)! La sua presenza esige obbedienza immediata. Non c pi da aspettare, perch ormai il giorno del Signore (Ml 3,1ss). Elia, che doveva precedere il suo volto, gi venuto (1,16.76): la scure posta alle radici (3,9), e bisogna decidere subito, tagliando con il passato, anche con le proprie radici. Il giudizio di Dio mette in crisi tutto. il momento dellobbedienza e dellabbandono istantaneo della propria storia, per porre in lui ogni sicurezza, come Abramo quando ud: Alzati e va. ecc. (Gn 12,1). v. 62: Nessuno che ha gettato la mano sullaratro. La risposta parte ancora da unimmagine suggerita dalla vocazione di Eliseo. Chiamato mentre stava arando con dodici paia di buoi (1Re 19,19ss), dovr bruciare il suo aratro e sacrificare i suoi buoi per unaltra semina: quella della parola di Dio, da annunciare come erede di Elia profeta. Per la dilazione concessa al discepolo del profeta non pi concessa al discepolo di Ges. Questo il momento dellincontro con lAtteso. Non c tempo da perdere! Tale urgenza escatologica non brucer solo laratro; ma anche il cuore di chi ara e semina (cf. 12,49; 2Cor 5,14s). guarda ci che dietro. Anche la moglie di Lot, in fuga da Sodoma in fiamme, si volt indietro e rimase di sale (Gn 19,26). Non possibile nessun indugio: il momento in cui si decide della vita o della morte. Chi ara non guarda indietro se vuol andare diritto. Lindifferenza non solo verso cose (povert) o persone (castit), ma anche verso se stessi: bisogna non guardare ci che dietro, il proprio io e la sua storia, ma ci che sta davanti, Dio e la sua parola. Non devo cercare garanzie in me, non importa chi sono io e qual il mio passato. una cattiva premessa, da cui non posso dedurre la promessa di Dio. Lunica garanzia da cercare nellobbedienza a lui e al suo futuro. Corrisponde alla terza tentazione di Ges. In essa cadde Israele a Meriba (Es 17,7) quando pretese da Dio garanzie diverse dalla propria obbedienza a lui. Il discepolo ha come unica sicurezza la rinuncia a tutto quanto ha (14,33). Egli come Abramo che lascia paese, terra, casa, padre (Gn 12,1s); come Paolo che, dimentico del passato e proteso verso il futuro, si sforza di correre per conquistare il Signore Ges, perch stato da lui conquistato (Fil 3,12s). ben messo per il regno di Dio. Chi attaccato a cose, persone o al proprio io, e cerca altre sicurezze che lobbedienza, decisamente mal messo per il Regno. sale senza sapore (14,35). Chi supera queste tre tentazioni, associato al cammino di Ges; verr inviato (10,1ss), vincer Satana (10,17ss), sar depositario della sua rivelazione di Figlio, ed entrer nel suo stesso rapporto di amore col Padre (10,21ss). La radice comune di tutte le tentazioni lattaccamento al proprio io. Chi supera questa tentazione, ha superato le prime due. Per questo Ges dice: Se qualcuno vuol venire dietro me rinneghi se stesso (9,23). Chi, nonostante ogni tendenza e resistenza contraria, si mette in questa posizione, ben messo

per il Regno. Vuole il fine e i mezzi, e non rimanda lesecuzione. Intende obbedire a Dio, mosso unicamente dal desiderio di servirlo. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges e i suoi in cammino verso Gerusalemme. c. Chiedo ci che voglio: la libert dalle cose, dalle persone, dal mio io, il dono della povert, della castit e dellobbedienza. d. Traendone frutto, mi identifico con i tre candidati discepoli e considero attentamente ci che Ges dice loro. 4. Passi utili Sal 84; 1Sam 17,32-54; 1Re 19,19-21; Gn 19,26; Lc 4,1-13.

61. ECCO IO INVIO VOI


(10,1-16)
10 1 Ora, dopo queste cose, design il Signore altri settanta (due) e li invi due a due davanti al suo volto in ogni citt e luogo dove stava lui stesso per venire. 2 Ora diceva loro: La messe molta, ma gli operai pochi! Supplicate dunque il Signore della messe che stani operai per la sua messe. 3 Fatevi sotto! Ecco: lo invio voi come agnelli in mezzo a lupi. 4 Non portate borsa, n bisaccia n sandali e nessuno salutate lungo il viaggio. 5 Ora, in qualunque casa entrate, prima dite: Pace a questa casa!

E se l c un figlio della pace, riposer su lui la vostra pace; se invece no, su di voi ritorner. 7 Nella stessa casa dimorate mangiando e bevendo ci che da loro (viene): degno infatti loperaio della propria mercede. Non trasferitevi di casa in casa. 8 E in quella citt in cui entrate e vi accolgono 9 mangiate ci che vi posto davanti, prendete cura degli infermi in essa e dite loro: giunto su di voi il regno di Dio! 10 E in ogni citt in cui sarete entrati e non vi accoglieranno, usciti nelle sue piazze dite: Anche la polvere che dalla vostra citt si attaccata ai nostri piedi, noi ve la scuotiamo! Tuttavia sappiate questo: giunto il regno di Dio! 12 Vi dico che per Sodoma in quel giorno sar pi sopportabile che per quella citt. 13 Ahim per te, Corazin! Ahim per te, Betsaida! Perch se a Tiro e Sidone fossero avvenuti i prodigi avvenuti fra voi, da tempo, seduti in sacco e cenere, si sarebbero convertiti. 14 Tuttavia per Tiro e Sidone sar pi sopportabile nel giudizio che per voi! 15 E tu, Cafarnao, forse che fino al cielo sarai innalzata? fino allAde discenderai! 16 Chi ascolta voi ascolta me; e chi trasgredisce voi trasgredisce me. Ora, chi trasgredisce me, trasgredisce chi mi invi.

1. Messaggio nel contesto Il brano inizia con Ges che invia (v. 1), e termina con lui inviato (v. 16): manda i discepoli come il Padre ha mandato lui. Sorgente della missione sempre il Padre, nella sua misericordia per tutti i suoi figli. Il Figlio il primo inviato perch lo conosce. Dopo di lui, sono da lui e come lui inviati quelli che lhanno riconosciuto come fratello. Luca evita con cura i doppioni e ci che ne ha lapparenza. Qui invece appositamente - e lui solo! - ne fa uno, riprendendo e ampliando il discorso di 9,1-6. Cos evidenzia limportanza di tale testo per la sua chiesa. Essa si sente apostolica (= missionaria), perch chiamata a continuare lopera di Ges che, con quella dei Dodici a Israele e dei settantadue a tutti i popoli, costituisce ununica missione. Luca ne narra due, perch due il principio di molti: luno che si ripete nel tempo. Attraverso questa missione identica e molteplice dellunico Signore, il Signore diventa uno su tutta la terra (Zc 14,9) e il suo nome santificato tra tutte le genti (Ez 36,23). Unit e totalit sono le preoccupazioni di fondo del cattolico Luca. La missione nasce dallamore del Padre per tutti i suoi figli e termina nellamore dei figli per il Padre e tra di loro. Essa si allarga in un orizzonte sempre pi ampio, fino ad abbracciare gli estremi confini della terra: il cerchio delle braccia del Padre, che si apre a stringere tutti i figli senza perderne alcuno, perch non ha figli da sprecare. Le condizioni della missione dei Settantadue, come quella dei Dodici (9,1-6), sono le medesime di Ges. La differenza sta nel fatto che lui il Figlio che ha lasciato il Padre ed venuto a cercare i fratelli (5,32; 19,10). Invece i Dodici sono chiamati (9,1) e i Settantadue designati a collaborare alla sua opera. Questa missione, come da Israele va fino ai confini dello spazio, cos da Ges si estende fino alla fine del tempo. Poi giunger il Signore. Ma prima necessario che il Vangelo sia annunciato a tutte le genti (Mc 13,10). Fine della missione non solo la vittoria sul male (v. 17s), e il ritorno allo stato originario di Adamo, re del creato (v. 19); ma soprattutto il fatto che il nome dei discepoli, nel nome di Ges, scritto nei cieli (v. 20), cio in Dio. Ges venuto per darci la gioia di entrare nella sua comunione di Figlio col Padre (v. 21s). Questo lungo discorso ha un esordio: la messe molta (v. 2), cio tutta lumanit; chi conosce il cuore del Padre sollecito di tutti i fratelli. Ha unimmagine iniziale, che d il colore alla missione: agnelli in mezzo ai lupi (v. 3), sotto il vessillo del pastore che si fatto agnello immolato. Seguono quattro proibizioni che descrivono la missione in povert (v. 4), e le precisazioni circa lannuncio del Regno: dite, dimorate, mangiate, prendete cura, dite (vv. 5-9). Tale annuncio, urgente e necessario, avviene nella contraddizione e nel rifiuto (vv. 10-15). Il tutto si conclude affermando che la missione dei discepoli la stessa di Ges, inviato dal Padre (v. 16). Tutta lumanit messe matura per accogliere la salvezza. Dove c rifiuto, c un ahim analogo a 6,24-26. Non minaccia, ma forma estrema di annuncio. Lannunciatore rifiutato dice: ahim per te!. Denunciando il male, ne porta su di s la ferita. Cos realizza lofferta estrema della salvezza, che fatta a tutti senza condizioni, anche a chi rifiuta. ci che fece il Signore in croce, rifiutato da tutti. La perdizione di chi rifiuta si riversa su chi rifiutato. Il dramma dellamore non amato, che non rinuncia mai a offrirsi, lorizzonte stesso della salvezza, negata a nessuno e donata a tutti. Si vede cos la seriet del dono e la gratuit dellamore di Dio, che sa perdersi per ogni perduto. Queste parole di Ges ai suoi inviati suppongono ci che s. Ignazio chiama: terzo grado di amore (Esercizi spirituali 167): il desiderio di scegliere la povert, la stoltezza e la follia della croce, per somigliare al Signore che si ama. Questa somiglianza gi missione. quella lampada accesa che illumina (8,16; 11,33), quello stare con lui (Mc 3,14; cf. 8,2!) che si fa trasparenza davanti ai fratelli, quellessere associati alla sua croce che salva il mondo (cf. 2Cor 4,7-12; 6,10; Col 1,24). Ogni

discernimento apostolico deve tener conto di queste parole di Ges, ed possibile solo a chi desidera somigliargli nella sua missione in povert (cf. 2Cor 8,9; Fil 2,5-11). Questo desiderio un amore che purifica da ogni paura. il cuore puro vede Dio e discerne il suo volere, perch lo ama. 2. Lettura del testo v. 1: dopo queste cose. Sono le esigenze sulla sequela esposte nel brano precedente. Implicano lessere battezzato nello Spirito del Figlio e la vittoria sulle tentazioni, come ha fatto Ges nel deserto (4,1ss). La missione viene dopo queste cose, quando c la disponibilit a seguirlo, usando i suoi stessi mezzi, per amore verso di lui. Prima di queste cose non c missione. C solo presunzione e volont di potenza; si sotto il vessillo nemico, anche se si crede di militare per il Signore. lunica volta che Luca inizia cos un brano. Ci indica limportanza, per la missione del discepolo, di seguire il cammino del maestro. Diversamente non abilitato ad annunciare il Regno. Lo impedisce! design il Signore. Lo stesso termine usato nella sostituzione di Giuda con Mattia. Sar apostolo a pieno titolo, ma non per chiamata diretta di Ges, bens per designazione attraverso gli altri (At 1,2125). Cos anche questi Settantadue sono inviati (= apostoli) a pieno titolo, anche se non sono dei Dodici. La loro designazione fatta dal Signore stesso, il Ges glorificato nella chiesa. Questa missione, che si perpetua nel suo nome attraverso gli apostoli, fatta risalire al Ges terreno, e gode della stessa sua autorit (v. 16). altri. Sono altri rispetto ai Dodici. La differenza non nellorigine e nel fine. come quella che c tra le fondazioni e la costruzione dello stesso edificio. I Dodici, stando allinizio, costituiscono laggancio al Ges storico, pietra fondante, e continuano la sua missione verso le dodici trib dIsraele, erede della promessa. I Settantadue la prolungano nello spazio e nel tempo, rivolgendosi a tutte le famiglie della terra che in lui sono benedette (cf. Gn 12,3). Settanta(due) (Settanta). Settanta sono in Israele gli anziani (Es 24,1; Nm 11,16-24), i membri del sinedrio, i traduttori della Bibbia e i popoli della terra (cf. Gn 10). Tuttavia nella traduzione dei LXX, le nazioni di Gn 10 diventano settantadue; e gli anziani di Es 24 e Nm 11 diventano settantadue se si aggiungono Mos e Aronne. Al di l della questione se sono settanta o settantadue, il significato chiaro: la Parola data a Israele deve raggiungere tutti i figli di Dio, tutti i popoli. Settantadue pi dodici fanno sette volte dodici: la totalit (sette) degli uomini popolo di Dio (dodici)! li invi. Anche se per designazione e non per chiamata diretta, sono inviati, n pi n meno, come i Dodici e Ges stesso (v. 16). Inviato, missionario e apostolo sono la stessa parola, rispettivamente con radice italiana, latina e greca. due a due. A differenza dei Dodici, sono mandati in coppia. Sia per ragioni di reciproco aiuto, sia a motivo della testimonianza - per la sua validit - si richiede la concordanza di due. Inoltre due che stanno insieme testimoniano la presenza del nome che li tiene uniti (cf. Mt 18,20!). Due infine principio di molti, seme della comunit. davanti al suo volto. il volto di 9,51, diverso da ogni altro. quello che viene per il giudizio (Ml 3,1ss), ma di salvezza. ogni citt e luogo. Citt, in relazione a casa, indica il pubblico in opposizione al privato; in relazione a luogo, indica dove luomo abita. Il suo volto arriva in ogni luogo: il Signore

delluniverso. Mentre la sua venuta ovunque, la sua accoglienza riservata alluomo, come singolo o come comunit. dove stava lui stesso per venire. La sua venuta, imminente da sempre, legata allinvio di chi va davanti al suo volto (1,17.76; 3,4; cf. Ml 3,1ss). Dove accolto, anche seguito nel suo viaggio di samaritano che va a Gerusalemme. Colui che sempre sta per venire, di fatto viene ogni qualvolta ci convertiamo a lui e facciamo nostro il suo cammino. Egli sta alla porta e bussa: se uno gli apre, inizia il banchetto (Ap 3,20). La sua venuta sar compiuta quando tutti lavranno accolto. Ci che dobbiamo sapere solo che ora gli dobbiamo aprire la porta. v. 2: diceva. Limperfetto indica unazione non finita, che continua. Leco della voce di Ges risuona ancora nella chiesa. la messe molta, ma gli operai pochi. la coscienza del piccolo gregge, depositario del Regno (12,32), destinato a tutto il mondo. La responsabilit del fratello, per il quale il Signore morto, lorigine della missione: Lamore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno morto per tutti (2Cor 5,14). Per questo Ges domanda allex lebbroso che ritorna: Dove sono gli altri nove? (17,17). La missionariet della chiesa non fanatismo o proselitismo, ma conoscenza dellamore del Padre per tutti e singoli i suoi figli. Limmagine della messe richiama la venuta decisiva (Gl 4,13; Ap 14,1516; cf. Gv 4,35ss) per il giudizio di salvezza. Ogni uomo infatti ormai frumento maturo per diventare corpo del Signore, unendosi a lui nel suo cammino verso il Padre. interessante notare che linvio dei Settantadue insieme la semina della Parola e la mietitura. Questo il momento in cui chi semina incontra chi miete e ambedue godono dellabbondanza dei frutti (Am 9,13; cf. Gv 4,36). Infatti laccoglienza dellannuncio, che la semina, gi salvezza, cio mietitura. Supplicate dunque. Come Ges preg per chiamare i Dodici (6,12), cos questi pregano perch il Signore designi Mattia (At 1,24). La preghiera, comunione col Padre, la sorgente della missione, perch ne anche il fine! Siccome c la messe, dunque bisogna, per prima cosa, non fare o mietere, bens pregare. Lunione con Dio il primo e pi efficace mezzo apostolico. il Signore della messe. Tutti gli uomini sono sua messe: gli stanno a cuore, come la messe al contadino. operai. La responsabilit della salvezza - che viene dalla fede, che viene dallannuncio (Rm 10,1415)! - come fu del Signore, seminatore della Parola, ora dei discepoli. Sono operai che collaborano alla sua stessa fatica (2Cor 5,14-6,2). stani (= getti fuori). Devono essere stanati da tutte le paure e false sicurezze di cui al brano precedente. Questo coraggio non pretesa umana. dono fatto a chi lo chiede nella preghiera con insistenza, anche se sente resistenze contrarie. v. 3: come agnelli in mezzo ai lupi . la modalit dellinvio: una missione in povert e sprovvedutezza, che espone e rende indifesi come lui, lagnello, il Figlio delluomo consegnato nelle mani degli uomini (9,44). Lagnello mite e mansueto. Utile da vivo perch d lana e latte, cibo e vestito, lo ben pi da morto, quando d pelle e carne, se stesso come cibo e vestito. Richiama lagnello pasquale (Es 12,3ss) e il servo sofferente che porta il peccato del mondo (Is 53,7.12; Gv 1,29). Lagnello resta sempre tale, anche se con tanti altri. Molti agnelli non fanno mai un branco di lupi. La differenza agnello/lupo la stessa che c tra Ges/mondo, amore/egoismo, povert-umiliazione-

umilt/ricchezza-potere-orgoglio. Il mondo si comporter con i discepoli sempre come il lupo con lagnello (Gv 15,18s). Solo alla fine dei tempi pascoleranno insieme (Is 11,6). In questa storia nostra, il lupo manger sempre lagnello. Ma questo vincer e ricever il potere proprio in quanto sgozzato (Ap 5,12). v. 4: non portate borsa, n bisaccia. La borsa la sicurezza del ricco: contiene i suoi soldi. La bisaccia la sicurezza del povero e del predicatore ambulante: vi raccoglie le sue cose e le offerte. Ma lunica sicurezza del discepolo lasciare tutto (14,33) e confidare nella parola del Signore. Questa la borsa che non invecchia, la borsa e la bisaccia necessarie nel momento della tribolazione (22,36). Per questo deve vendere tutto, anche il mantello, ultima sua sicurezza. Solo cos possiede quella spada che Ges richiede nella lotta definitiva (cf. 22,36). n sandali. Lo schiavo non porta sandali. Lapostolo servo del vangelo (Col 1,23), del quale debitore a tutti (Rm 1,14). Inoltre in questa povert si vede quanto sono belli i piedi di coloro che recano il lieto annuncio di pace (Rm 10,15; Is 52,7). Questi piedi hanno la bellezza della sua sposa, tutta bella perch simile a lui, lo Sposo che la contempla (Ct 7,2). lungo il viaggio. Il viaggio del discepolo lo stesso del Maestro: in povert, castit e obbedienza, con labbandono di ogni legame e la rinuncia a ogni possesso, per vivere del dono del Regno. Questa povert la carta didentit della chiesa, che porta i lineamenti di chi lha inviata. Efficienza umana ed efficacia evangelica sono tra loro inversamente proporzionali. La prima deriva dalla ricchezza, la seconda dalla povert. Questa, frutto dellamore per il Signore e condizione per seguirlo (12,33; 14,33), di chi ha scoperto il tesoro (Mt 13,44ss). Ci che hai, ti divide dallaltro; ci che dai, ti unisce a lui. Quando hai cose, dai cose; quando non hai pi nulla, dai te stesso. Solo allora ami veramente. Perch luomo ci che d. Chi ha nulla, d se stesso: sa amare e vive per laltro, perch laltro viva per mezzo suo. Questa la via alla salvezza che dalleternit ha pensato colui che da ricco che era si fece povero, per arricchire noi mediante la sua povert (2Cor 8,9). La povert il duro banco di prova su cui suona lautenticit dellannuncio: moneta vera o falsa? Non certo causa, per condizione dellefficacia della Parola. La missione in povert rende ben messo per il Regno (9,62), perch mette il discepolo col suo Signore, e fa esercitare allaltro lesperienza divina dellaccoglienza che gli si annuncia. Essa rispecchia lessenza del Figlio, che riceve dal Padre quanto , e d ai fratelli quanto riceve. La povert e lumilt inoltre sono caratteristiche divine: allinterno della Trinit ogni persona se stessa in quanto dellaltra e per laltra - quando non anche dallaltra - in assoluto amore reciproco: ogni persona tutto d e tutto riceve. nessuno salutate lungo il viaggio. Non si perda tempo in salamelecchi, perch lannuncio questione di vita o di morte. Il discepolo fa come Ghecazi, servo di Eliseo, che non deve salutare nessuno per strada mentre va a risuscitare il figlio della vedova col bastone del suo maestro (2Re 4,29). Qui finiscono le proibizioni, che caratterizzano la missione in povert, e ne rappresentano il costo. Ora seguono gli imperativi, che ne rappresentano il frutto: la pace messianica. v. 5: casa. La Parola coglie luomo innanzi tutto in casa. Essa la tana, in cui egli abita e soddisfa i suoi bisogni di cibo e di amore. Oggetto primo di ogni preoccupazione (cf. 9,58), va lasciata per prima (18,29). Essa anche lo spazio segreto delluomo in cui Cristo entra e diventa Signore, portando i suoi doni di pace, di perdono, di salvezza, per celebrare il banchetto messianico (cf. 4,38; 5,29; 6,48-49; 7,6.37.44; 8,27.51; 9,4; 10,5.7.38; 15,8.25; 17,31; 18,29; 19,5.9; 20,47; 22,10. 11.54).

entrate. La Parola entra nelluomo perch viva, efficace e pi tagliente di ogni spada a doppio taglio: essa penetra (... ) e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12). E lapostolo entra con essa, che gi entrata in lui e lha trasformato in s. quindi estraneo e bisognoso di essere accolto, come la stessa parola che porta. Questo entrare rispettoso da ospite e non da padrone il principio dellinculturazione. prima dite. La cosa prioritaria in assoluto per la casa delluomo lannuncio del Regno. Il resto sar dato in aggiunta (12,31). Lunico potere del discepolo la debolezza della parola annunciata, forza di Dio per chi crede (Rm 1,16). La sua impotenza la potenza stessa di colui al quale piaciuto salvare con la stoltezza dellannuncio (1Cor 1,21). Essa va accolta quale parola di Dio, come veramente, che opera in chi crede (1Ts 2,13). Ogni missione per ottenere obbedienza di fede a questa parola (Rm 1,5). Limportanza e lurgenza di tale annuncio capita solo da chi ha intuito il mistero dellamore di Dio per luomo (cf. Rm 10,14ss). Se nei vv. 3-4 si sottolinea il fare del discepolo, che un non fare come i lupi; qui si sottolinea il dire. Il fare e il dire sono le due caratteristiche delluomo. Attenzione a non decurtare la missione di una delle due dimensioni. Pace. lannuncio degli angeli alla nascita di Ges (2,14). Quello dei discepoli porta il natale nellanima: Cristo nasce nelluomo che lo accoglie. Pace nella Bibbia sinonimo di ogni benedizione di Dio. Lo shlm, saluto e augurio, desiderio e attesa delluomo, frutto dello Spirito di Ges (cf. Gal 5,22; Ef 4,20ss, ecc.). v. 6: figlio della pace. il contrario di figlio dellira (Ef 2,3): una persona disposta ad accettare la pace e a lasciarsi generare da essa. riposer. detto dello Spirito che scende dallalto e trova riposo (cf. Nm 11,25.26). La pace non trova pace fino a quando non accolta. Il riposo di Dio, che amore, essere accolto dalluomo. ritorner. La Parola come una freccia: se incontra un cuore duro, non entra. Deviata e respinta, ferisce chi lha scagliata. Ma solo dalla ferita del cuore di chi ama nasce lamato! su di voi. Continua cos nei discepoli la passione di Ges per il mondo (Col 1,24; 2Cor 4,10ss). La parola di Dio irrevocabile (Is 45,23), non torna indietro senza effetto (Is 55,11). Se accolta, porta Dio alluomo e il suo riposo in lui. Se respinta, ricade su chi lha pronunciata. v. 7: dimorate. La casa diventa una dimora dove trovano accoglienza e la Parola e il fratello che lannuncia. mangiando e bevendo. Questo dimorare insieme alimentato da un cibo e rallegrato da una bevanda, che gi anticipo di quella del Regno (22,14ss): leucaristia. Nasce la comunit cristiana, la fraternit che vive del dono del Figlio. ci che da loro (viene). Dove lamore accolto, nasce la capacit di donare. Come Cristo ha dato se stesso e i discepoli hanno dato tutto (vv. 3-4) per annunciarlo (vv. 5-6), cos chi accoglie lannuncio corrisponde a sua volta dando del suo: entra nella cerchia dei discepoli, di chi dona tutto (14,33) e dona se stesso (cf. 9,24). degno infatti loperaio. La vera mercede per loperaio suscitare questa capacit di donare. La ricompensa di chi evangelizza la gioia stessa del Padre nellessere riamato dai figli: associato

allesultanza di Ges, il Figlio (vv. 21s). Egli predica gratuitamente lEvangelo (1Cor 9,18) per partecipare alla gratuit dellamore del Padre (cf. 6,32-36; Mt 10,10). Non trasferitevi. Il senso letterale quello di non andare in cerca di altri alloggi, anche per evitare di moltiplicare i saluti con relativo dispendio di tempo. Il senso profondo che ogni casa, che accoglie la Parola, diventa abitazione stabile di Dio, arca dellAltissimo, come Maria e la chiesa. La molteplicit delle accoglienze non moltiplica, ma amplia lunica casa di Dio nellaumento dei fratelli. La pace di Dio non trasmigra e non si fraziona: cresce col crescere dei figli che laccettano. v. 8: citt. La casa il privato e il personale; la citt il pubblico e il sociale. Anche qui entra la Parola. Lidentit cristiana ha certamente una rilevanza di tipo politico. Attenti per agli integrismi. Il cristianesimo non mira al potere di nessun tipo. La pace entra e converte innanzitutto il cuore delluomo allumilt del suo Signore. Nella misura in cui convertito, capace di rapporti nuovi di stampo millenaristico. Bisogna guardarsi dallipotizzare una civitas christiana di stampa millenaristico. Luca la esclude non certo per mancanza di fantasia, ma perch contraria al principio dellincarnazione. Dio ama questo mondo di peccato. Ges non ne fa uno pi pulito e non se ne ritaglia una fetta; ma lo salva, testimoniando lamore del Padre proprio per questo mondo che resta ancora nelle mani del Maligno (4,6s; At 2,40). Il Regno sempre qualcosa di trascurabile agli occhi mondani (17,21). piccolo gregge (12,32) e pugno di lievito nascosto nella farina (13,20); sale che d sapore (14,34) e luce che illumina (8,16). Non si vuol fare del mondo unimmensa saliera, n un enorme lampione! Ogni pretesa di citt cristiana sta sempre sotto il giudizio della croce di colui che fu crocifisso fuori le mura (Eb 13,12ss), respinto dal potere politico, religioso, economico e culturale. Pi che fornire ricette su come gestirlo, egli ne ha smascherata limpotenza salvifica. Il cristiano nel mondo, ma non del mondo (Gv 17,11.16). Ogni civitas christiana invece sempre buffamente fuori dal mondo e stupidamente del mondo. Ogni serio impegno nel mondo testimonianza di non essere del mondo. vi accolgono. La citt che accoglie vive rapporti nuovi. la chiesa, la comunit in cui esiste la reciprocit di accoglienza, testimonianza del mondo nuovo nel mondo vecchio, luogo dove tutti gli uomini possono celebrare la salvezza. mangiate ci che vi posto davanti. Mangiare significa vivere. Il discepolo vive di tutto ci che gli si presenta, senza preclusioni. Langelo dice a Pietro: Mangia! Ci che Dio ha purificato, tu non chiamarlo pi profano (At 10,15ss). Levangelizzatore non ha preclusioni ideologiche, culturali, politiche, sociali e religiose. Ogni uomo amato e purificato dal sangue di Cristo, riscattato a caro prezzo (1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,18). Ogni cosa in s buona perch da Dio; basta usarla correttamente e con rendimento di grazie (1Cor 10,31). Lunico limite alla libert la coscienza del fratello pi debole (1Cor 10,28ss; 8,1ss). La chiesa ha capacit di mangiare e assimilare tutto: cattolica e pu farsi tutta a tutti, come Paolo, per guadagnare tutti a Cristo (1Cor 9,22), perch lui il Signore di tutti. Infatti per noi c un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Ges Cristo, in virt del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui (1Cor 8,6). Tutto vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo di Dio (1Cor 3,22s). Questo problema sempre stato grosso nella chiesa, e ne tocca lessenza. La chiesa tanto libera di inculturarsi, quanto legata al suo Signore e a lui solo! v. 9: prendete cura. Con questo atteggiamento libero si pu prendere cura di tutti gli uomini di tutte le citt, malati di ununica malattia che porta al sepolcro (cf. 7,11-17). Ges non dice di guarirli, bens di prendersi cura. meno pretenzioso, ma pi profondo. Curarsi dellaltro la vera guarigione.

giunto il regno di Dio. Il regno di Dio, molto modesto, questo accogliere la pace e chi la porta, questo prendersi cura dei mali. un cuore nuovo che vive sotto il segno dellaccoglienza e del dono. v. 10: non vi accoglieranno. Leventualit del rifiuto trattata pi ampiamente (vv. 10-16) di quella dellaccoglienza. Tutte e due le ipotesi si verificheranno (At 17,32; 18,10s). Lannuncio sempre fatto in debolezza, per lasciare la libert di accogliere. Il rifiuto associa i discepoli al mistero della croce del loro Signore. Saulo, che si sente dire: perch mi perseguiti? (At 9,4), dir a sua volta: completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che la chiesa (Col 1,24), di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita (2Cor 4,12). Il rifiuto, lungi dal vanificarlo, realizza il piano di salvezza. Ges, proprio attraverso la croce, ricevette il Nome (Fil 2,9) e port la salvezza. Egli fu crocifisso per la sua debolezza (2Cor 13,4). Cos anche noi, che siamo deboli in lui (ivi), possiamo dire: quando sono debole, allora che sono forte (2Cor 12,10), forte della forza di Dio. usciti nelle sue piazze dite. Il rifiuto pubblico occasione di annuncio pi solenne, che ne evidenzia la gravit. Tanto pi che spesso consumato in sordina. Che il rifiuto sia normale, chiaro sia per Ges che per i discepoli. Laccoglienza viene solo dopo, come la risurrezione dopo la croce (cf. 9,51ss e At 8,1ss; cf. inoltre At 2,36-37). Il nemico gioca nel rifiuto lultima carta della sua resistenza. In esso anche il Signore gioca la sua ultima carta: si espone, offrendo alluomo il suo amore in tutta la sua nuda evidenza. Il rifiuto la soglia tra la vittoria e la sconfitta del male, tra la pace e lahim. Il male vinto quando vince, perch lamore vince perdendo. v. 11: anche la polvere... attaccata noi ve la scuotiamo. il gesto di chi entra nella terra promessa da una terra infedele. Lascia fuori ogni impurit. Qui un atto di denuncia: non c nulla in comune con chi ha rifiutato la pace, neanche la polvere casualmente attaccata ai piedi. Ma anche un gesto di annuncio, atto a risvegliare la coscienza sopita di chi non accoglie. Questo rifiuto la ferita mortale di Dio: gli trafigge il cuore, lo penetra e lo fissa sulla croce. pure la ferita della chiesa e del discepolo che ne continua la missione e la passione. Il termine attaccata, detto della polvere, come pure il verbo scuotere, hanno in greco un senso tecnico: indicano rispettivamente il rimarginarsi e lasciugarsi di una ferita aperta e sanguinante. La ferita aperta e sanguinante del rifiuto si asciuga e si rimargina solo nellannuncio estremo dellamore crocifisso, possibilit stessa della salvezza. Dalle sue piaghe siamo stati guariti (Is 53,5). Le sue ferite sanguinano ancora nei discepoli: Difatti io porto le stigmate di Ges nel mio corpo, dice Paolo (Gal 6,17). Il discepolo quindi nel rifiuto non si ritrae: realizza ci che annuncia, offrendo un amore senza condizioni. Non c altra guarigione alla sua ferita, che questo annuncio stesso. Diversamente manca alla sua missione. Questo gesto quindi non di condanna o di rifiuto del destinatario, verso il quale levangelizzatore si sente sempre in debito dellEvangelo (cf. Rm 1,14) Tuttavia. La salvezza e resta offerta e annunciata, riofferta e riannunciata anche a chi rifiuta. Guai a me se non evangelizzo (1Cor 9,16)! Non posso non amare il fratello che costato al Padre il sangue del Figlio. sappiate. Il rifiuto non fa ritrarre la mano che dona. annuncio a oltranza. Non per fanatismo o per proselitismo, ma perch si conosce il cuore del Padre. v. 12: Sodoma. Chi rifiuta paragonato a Sodoma, che maltratt gli angeli venuti per salvare la famiglia di Lot (Gn 19). Sinonimo di perversione, significa probabilmente luogo triste: il luogo di chi rifiuta la pace.

in quel giorno. il giorno per eccellenza, quello della venuta del Signore e del suo giudizio. il giorno del quale tutti sono in attesa, e che d senso a tutti i nostri giorni. Per Luca loggi, in cui la Parola entra nellorecchio e nel cuore di chi ascolta. Avviene quando lannuncio accolto, e lobbedienza della fede ci attualizza al Signore. Quel giorno non far che rivelare il significato pieno della salvezza annunciata e accolta oggi. v. 13: Ahim per te. Non una minaccia (guai!) ma un compianto e un lamento (cf. 6,24ss). il dolore di Dio per il male delluomo, il dolore dellamore non riamato. La pena del giudizio non : guai a te, bens: guai a me per te! . Diventa infatti la croce di Cristo, che lahim! di Dio per i guai delluomo. Per s il rifiuto, come ogni male, non contro Dio. contro chi rifiuta, che cos si fa male. Ma come il male dellamato tocca direttamente lamante, cos il male delluomo tocca direttamente e in modo infinito il cuore di Dio, perch egli lo ama in modo infinito. Per questo il nostro peccato provoca il suo lamento e la sua sofferenza reale. La croce indica insieme la seriet del suo amore e la gravit del nostro male. Lamore non amato non minaccia. Non pu che lamentarsi e morire di passione. E la passione di Dio infinita come il suo amore. Da qui si capisce la libert, ma anche la tremenda responsabilit di rifiutare. Ma il giudizio del rifiuto, e il male che ne consegue, non ricade su di noi, bens su di lui che continua ad amare e a offrirsi. Infatti il castigo che ci d salvezza si abbattuto su di lui (Is 53,5), e colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratt da peccato in nostro favore (2Cor 5,21): Cristo ci ha riscattati dalla maledizione, divenendo lui stesso maledizione per noi (Gal 3,13). Questo ahim di Dio il pi forte annuncio di salvezza. Tiro e Sidone. Sono le citt degli affari e dello sfruttamento dei poveri (Is 23,1-11; Ez 26-28), simbolo dellingiustizia che impedisce di accogliere la Parola di cui tutti hanno fame e sete (Am 8,1412). Il loro nome sinonimo di inconvertibilit. Non si condannano Corazin e Betsaida; si intende mostrare la grandezza del dono di amore che hanno ricevuto, sufficiente a convertire anche chi non pu convertirsi! da tempo, seduti in sacco e cenere. Richiama Ninive di Gio 3,8. Oltre che inconvertibile e corrotta, la nemica di Israele. Il profeta fu inviato ad essa con frutto! convertiti. Il fine di ogni parola di Dio alluomo la conversione. v. 14: giudizio. la prima volta che esce questo termine in Luca (cf. 11,31.32 in contesto analogo!). In 11,42 messo sullo stesso piano dellamore di Dio, che viene trascurato. Il giudizio infatti trascurare questamore, che per resta irrevocabile e fisso in croce, passione eterna di Dio per luomo. v. 15: Cafarnao. il luogo dinizio del ministero di Ges, prima ancora di Nazaret (4,23). Da l vengono i primi cinque discepoli. la citt che voleva trattenerlo (4,42). L ipotizza il rifiuto pi duro! Viene apostrofata con le parole che Is 14,15 rivolge a Babilonia, la citt superba e dal lusso sfrenato. Sodoma, Tiro, Sidone, Ninive, Babilonia!... Tutto ci che Israele considera il peggio, niente di fronte al male del rifiuto della visita del Signore (19,41s). La sua sofferenza proporzionale al suo amore infinito! Tuttavia, se Cafarnao sar precipitata fino agli inferi, anche l Ges scender a visitarla. Perch lama, tanto che i suoi di Nazaret lo vogliono precipitare proprio per ci che ha compiuto a suo favore (4,29).

v. 16: Chi ascolta. Ascoltare accogliere la Parola in un cuore bello e buono, custodirla e produrre frutto con perseveranza (8,15). Voi/me. A differenza di 9,49ss, dove Ges ci tiene a distinguersi dal noi dei discepoli, qui si identifica con loro in quanto esclusi e rifiutati. Nel rifiuto si d lidentificazione con lui, il pi piccolo, lescluso, la pietra scartata. chi trasgredisce. Il termine significa: non fare, trasgredire una legge. La non accoglienza dei discepoli di Ges trasgressione dellunica legge di quel Dio che amore. Voi/me/chi mi invi. Linvio unico, unica la missione. Il suo principio lamore del Padre. Egli vuole che tutti siano salvati (1Tm 2,4), e d suo Figlio per la salvezza del mondo (Gv 3,16). I discepoli ne mediano laccoglienza attraverso lo spazio e il tempo con lannuncio. Cos tutti gli uomini che lascoltano possono entrare nelloggi della salvezza. Come Ges lapostolo del Padre, cos i Settantadue sono apostoli suoi, designati a continuare la sua stessa missione, alla pari dei Dodici, che gi prima aveva chiamato. Lannuncio la forma pi alta di sequela, che associa alla passione di Ges: ci mette con il Figlio, esposti insieme con lui, inviato a testimoniare lamore del Padre. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che designa e invia altri settantadue discepoli. c. Chiedo ci che voglio: secondo le mie condizioni e possibilit, essere cosciente della mia responsabilit nellannuncio del vangelo a tutti i fratelli. E, se il Signore mi chiama a questo servizio a tempo pieno, non essere sordo alla sua voce. d. Traendone frutto, ascolto le parole di Ges. Da notare: - la messe molta/gli operai pochi - supplicate il Signore che stani operai - agnelli in mezzo ai lupi - n borsa, n bisaccia, n sandali - non salutate - entrate/dite - mangiate/bevete - ahim. 4. Passi utili Lc 9,1-6; Mt 10,1-42; 28,18-20.

62. GIOITE INVECE CHE I VOSTRI NOMI SONO SCRITTI NEI CIELI
(10,17-20)
17

Ora ritornarono i settantadue con gioia dicendo: Signore, anche i demoni sono sottomessi a noi nel tuo nome! 18 Ora disse loro: Contemplavo il Satana cadere dal cielo come folgore. 19 Ecco: ho dato a voi la potest di calpestare su serpenti e scorpioni e su tutta la potenza del nemico, e niente affatto vi nuocer. 20 Tuttavia non gioite in questo, che gli spiriti vi si sottomettono. Gioite invece ch i vostri nomi sono scritti nei cieli. 1. Messaggio nel contesto Al ritorno della missione, Ges ne rivela il senso ultimo. Il cammino chiaro solo quando gi percorso tutto! Il colore del rientro la gioia, dono definitivo degli operai. Se la messe molta (v. 2), ora, nelle valli ammantate di grano, tutto canta e grida di gioia (Sal 65,14). La gioia dei discepoli (vv. 17-20), si fa esultanza di Ges, perch la sua conoscenza di Figlio rivelata ai piccoli (v. 21s). Questa sua esultanza rimbalza poi in beatitudine per i discepoli, perch i loro occhi vedono ci che i loro orecchi odono: il compimento di ogni promessa e profezia (vv. 23s). Per tre volte si parla di gioia, e per tre motivi. In primo luogo (v. 17) i discepoli gioiscono per la vittoria su Satana che si compie oggi, nella loro missione. La storia presente sdemonizzata. La lotta escatologica tra Michele e il drago (Ap 12,7-12; cf. Dn 12,1-3) avviene gi ora nellopera di Ges che i discepoli continuano nel suo nome e sotto il suo sguardo. Questo ritorno gioioso dei discepoli, che riferiscono sul risultato del ministero apostolico, richiama la consuetudine della prima comunit (cf. At 8,6-8; 11,17s; 14,27; 15,3). In secondo luogo Ges specifica che la missione non solo vittoria su Satana che precipita dalla sua posizione di dominio (v. 18). anche ritorno alla condizione originaria del paradiso, in cui luomo riprende il suo ruolo di signore del creato. Nessun male e nessun veleno, neanche la morte, pu danneggiarlo e avvelenargli la vita (v. 19; cf. Sap 1,14; 2,24). In terzo luogo si dice il vero motivo di gioia: la missione non solo vittoria sul male e ritorno al giardino perduto. soprattutto iscrizione nel libro della vita, che contiene la registrazione del popolo di Dio (v. 20; cf. Es 32,32ss; Sal 69,29; Is 4,3; Fil 4,3; Eb 12,23; Ap 3,5; 13,8; 17,8; 20,12; 21,27). lelenco di

quelli che fan parte della sua famiglia. I nomi di coloro che sono inviati nel suo nome e hanno adempiuto la missione, sono a pieno titolo iscritti nei cieli, ossia in Dio, come Ges stesso, il primo inviato. Sono associati a lui: i loro nomi, nel suo nome, sono nel Nome. Partecipano, come si dir subito dopo, del rapporto ineffabile Padre/Figlio. Non sono pi stranieri n ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio, per essere tempio santo del Signore, per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2,19.22). Non solo siamo chiamati, ma siamo in realt figli di Dio (1Gv 3,1). Maria ricevette il saluto gioisci (1,28), perch concep il Figlio dellAltissimo (1,47). Ges dice ora ai discepoli: gioite, perch sono entrati con lui in seno al Padre, e possono dire con verit: Abb. Fine ultimo della missione renderci a perfetta somiglianza del Figlio. Beneficiario dellinvio linviato, che diventa pienamente figlio. Per questo, ciascuno secondo la sua chiamata, siamo tutti inviati a testimoniare lamore del Padre ai fratelli. 2. Lettura del testo v. 17: ritornarono i Settantadue. Come il Padre per Ges, cos Ges per il discepolo principio e termine della missione. La partenza fu sotto il segno della croce, in povert e umilt, come agnelli in mezzo ai lupi. Il ritorno sotto il segno della risurrezione e del trionfo sul male: lagnello sgozzato il Pastore grande della vita. Il contadino nellandare se ne va e piange, portando la semente da gettare. Ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni (Sal 126,6). Questo ritorno dei Settantadue figura del rientro di ogni missione, alla fine dei tempi: quando tutto gli sar sottomesso, anche lui, il Figlio, sar sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perch Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28). Il frutto della prima missione fu il pane che ci associa al Cristo morto e risorto. Il frutto della seconda la vita che conferisce questo pane: la partecipazione piena allesultanza del Figlio, lingresso nella stessa vita trinitaria. Sono i due aspetti dellunico risultato della missione. con gioia. La gioia, preannunciata nel Battista (1,14), cantata a Betlem (2,10), propria di chi accoglie la Parola (8,13), che si celebra in cielo per il ritorno del peccatore (15,7.10), che nella risurrezione risulta incredibile (24,41) e che dopo lascensione riporta i discepoli a Gerusalemme (24,52), trova la sua pienezza alla fine della missione universale, nel ritorno dei Settantadue. la gioia del ritorno al Signore, per stare con lui, il Figlio, e partecipare alla sua esultanza (cf. vv. 21s; 1,28.47). Tale gioia non ostacolata dalle tribolazioni: trova anzi in esse la propria conferma (6,23; At 5,41). Luomo fatto per la gioia, perch fatto per Dio. Diversamente triste fino a detestare la vita. i demoni sono sottomessi. Fine primo della missione la sottomissione del demonio. La nostra lotta infatti non contro creature fatte di carne e di sangue. Non contro gli uomini, ma contro il male che li tiene schiavi: contro i principati e le potest, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti (Ef 6,12). Essi abitano in alto, e dominano luomo fin nel pi intimo. Lo schiacciano, e gli fanno da diaframma perch non possa vedere la gloria di Dio. Ora il male non liquidato. solo sottomesso nel suo nome. Bisogna per prestare attenzione ai colpi di coda del drago ferito e vinto, altrimenti la nostra condizione diventa peggiore di prima (11,26). Prima eravamo schiavi. Una volta liberi, dobbiamo lottare per non tornare in schiavit. Per certi aspetti, pi faticoso dominare il male che esserne dominati! Il cristianesimo, a differenza di ogni illuminismo e umanesimo ateo o meno, non fa come lo struzzo. Riconosce il male. Era in noi come padrone. Il Signore ce ne ha liberato. Rimane in noi come possibilit e tentazione naturale, ma che non porta necessariamente alla caduta. Sappiamo di non essere pi schiavi di colui che ha tutto in suo potere (4,6; 22,53). Dio infatti ci ha liberato dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio

diletto (Col 1,13): ci ha liberati dalle mani dei nemici, per servirlo senza timore in santit e giustizia (1,75). La fede nella parola di misericordia del Padre ci sottrae al potere della menzogna. Lannuncio evangelico un esorcismo che defatalizza la storia di male e ci rende liberi e responsabili. a noi nel tuo nome. Ora i demoni si sottomettono ai discepoli come prima a Ges. Nel suo nome, per, non nel loro nome! In nome proprio i discepoli ricadono in preda al male: litigano per il prestigio proprio (9,46ss; 22,24ss) o collettivo (9,49s) e invocano fuoco dal cielo su coloro ai quali sono inviati (9,54)! Nel nome di Ges invece si accolgono reciprocamente, accolgono lescluso e faranno scendere lo Spirito anche sui samaritani (At 8,15-17). v. 18: Contemplavo (al passato continuo). Dalleternit il Figlio contemplava la sua missione di Figlio delluomo: vincere il male dei fratelli, scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati (Ef 1,4). Ma anche alla fine delle tentazioni Ges ha gi contemplato la caduta di Satana, che si allontan da lui per tornare (4,13); ma cadde sconfitto con fragore quando credette daver vinto perch aveva in suo potere il Figlio delluomo (22,53). Non si era accorto - cecit del male! - che le tenebre non possono chiudere la luce. Ne sono irrimediabilmente sconfitte. Questa contemplazione di Ges pu anche riferirsi alla sua assistenza continua ai discepoli. Mentre essi operavano nel suo nome, lui era con loro. Anche tornato presso il Padre, dalla sua destra guarda e assiste sempre il discepolo che lo testimonia (At 7,55ss). il Satana cadere dal cielo. Richiama la caduta di Babilonia, la superba, che precipita come Lucifero, figlio dellaurora (Is 14,12). C unidentificazione di Satana con Babilonia e Lucifero per via della superbia, radice e consumazione di ogni peccato. Egli il grande drago, il serpente antico, colui che chiamano diavolo e Satana, e che seduce tutta la terra (Ap 12,9). Non c pi posto per lui in cielo (Ap 12,8.9). Il suo cadere dallalto significa che non ha pi un potere superiore alluomo. Cessa la nostra sudditanza. Inizia per la lotta, che possiamo vincere solo nel nome di chi gi lha fatto cadere dal suo trono. Non ci tiene pi schiavi come padrone, ma resta sulla terra e ci insidia al calcagno (Ap 12,13ss; Gn 3,15). Il drago detronizzato cerca di vendere cara la pelle. Per questo, prima della sua sconfitta finale, ci sar una recrudescenza del male: sar segno non di forza, ma di debolezza estrema. La vita del discepolo , come quella di Ges, inclusa tra le tentazioni e la croce. Inizia con la vittoria battesimale che ci sottrae al potere delle tenebre, e continua in una lotta che si conclude solo alla fine. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita (21,19). come folgore. La folgore cade dal cielo con impeto e collisione, con fragore e tuono. una forza elevata, ma concentrata e contenuta; di grande potere devastante, ma solo l dove pu colpire. Cos Satana caduto dal cielo. Questa sua caduta dallalto implica la sdemonizzazione della figura di Dio: vinto il Maligno, che si era frapposto tra noi e lui, dandoci di lui la sua propria immagine. Tale menzogna sta allorigine di ogni peccato. Nella missione Dio torna a essere Dio. v. 19: la potest. I discepoli inviati hanno la stessa potenza di chi invia. Il greco exousa traduce laramaico shaltan, da cui sultano. un attributo divino. Passa da Ges ai discepoli. calpestare su serpenti e scorpioni. il seguito delle parole che il diavolo rivolge a Ges nellultima tentazione (4,10s; cf. Sal 91,13). Il serpente, astuto e nascosto, veloce e mortale, che ingann fin dal principio, non ha pi potere su chi ascolta e obbedisce alla parola del Signore: da lui calpestato. Si realizza la promessa di Gn 3,15. La sua vicinanza, anche inavvertita, non pu pi nuocere; il suo veleno resta inefficace (cf. At 28,3-5). Per questo luomo torna allEden, al suo stato originario di signore del creato. Schiacciata la testa dalla cui bocca uscita la menzogna, la sua vita non pi avvelenata dalla morte, che sta alla fine. Per questo calpestato anche lo scorpione, che ha il pungiglione nella coda. Se

il serpente figura di Satana, lo scorpione figura della morte, sulla quale egli ha il potere. Calpestare lo scorpione significa superare la paura della fine, che ammorba mortalmente tutta la vita (cf. Eb 2,14s; 1Cor 15,56). La vittoria su Satana restituisce allo stato primitivo, quando non cera la sua menzogna e la sua morte (cf. Sap 2,23s). Luomo ritorna a essere lAdamo a immagine e somiglianza di Dio, secondo la propria specie. Si realizza il sogno messianico di Isaia: il lattante si trastulla sulla buca dellaspide e il bambino mette la mano nel covo di serpenti velenosi (Is 11,1-10; cf. 65,13-25). niente affatto vi nuocer. La forza del nemico rimane, ma non reca danno a chi non gli presta orecchio. La sua forza quella di intimorire e uccidere con la paura: Ma non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare pi nulla (12,4). In verit nemmeno un capello del vostro capo perir (21,18). Infatti noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio (Rm 8,28). Il male, anche se c, non pu danneggiare il discepolo. Al massimo pu ucciderlo. Ma in tale caso lo rende simile al suo Signore, suo testimone, associato alla sua morte e risurrezione. Il suo veleno non ha pi potere su di lui, n la menzogna che fa ignorare lorigine, n la paura che fa temere la fine. Il male, che pure continua nel mondo posto nellincredulit, diventa il luogo della salvezza: ci fa esercitare la misericordia, che ci rende simili a Dio. Come il potere del discepolo sopra il potere del male, cos la forza del suo amore sopra ogni miseria e sopra la morte stessa: una fiamma del Signore, inestinguibile (Ct 8,6). Il nemico non pi forte di Dio! Lui dal cielo lo irride (Sal 2,4), e gli fa eseguire il suo disegno (At 4,28)! LAltissimo sta costruendo un tappeto meraviglioso. Lavora dallalto, dirigendo i fili secondo il suo disegno. Il nemico lavora dal basso facendo continuamente dei nodi. Sembra tutto insensato quaggi! Invece tutto esegue il suo piano prestabilito. Egli lOnnipotente: ha misurato con il cavo della mano le acque del mare (Is 40,12), e le raccoglie come in un otre (Sal 33,7)! Il male c, ma non gli sfuggito di mano! Se non lo vuole, lo lascia perch rispetta la nostra libert e, con uno stratagemma che gli costa caro, ne sa trarre un bene maggiore. v. 20: non gioite in questo. Ges non vieta di gioire per i motivi precedenti. Rivela ai discepoli una gioia pi profonda, che sar lesultanza stessa del Figlio (v. 21). i vostri nomi sono scritti nei cieli. Questo il vero motivo di gioia. Nel nome (= persona) di Ges venuto sulla terra il Nome stesso. In lui e con lui, il Figlio, entriamo in seno al Padre. Il nostro nome non solo nel libro della vita, addirittura nel cielo (= Dio). Dio si fatto uomo perch luomo diventasse Dio. Siamo realmente figli nel Figlio, redenti dal suo sangue e in lui eredi (Rm 8,16s; 1,4ss). A questo il suo amore ci aveva destinato fin dal principio. Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre, per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente (1Gv 3,1). La vostra vita ormai lass, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio, nascosto con Cristo in Dio (Col 3,13). Il fine della missione non solo la liberazione dal male e la restituzione alla condizione di Adamo. lelevazione allintimit e alla pienezza di vita di Dio. Oltre il ritorno al giardino dellinfanzia, c il ritorno al Padre della luce, nella comunione di vita con lui. La nostra gioia perfetta per il nostro dimorare in lui e per il suo dimorare in noi (Gv 14,15-24; 15,111): lunit damore, per cui fin da principio ci ha fatti. Amandolo con tutto il cuore (v. 27; cf. Dt 6,5), diventiamo con lui ununica carne. Siamo sua sposa. Motivo di gioia non sono tanto i frutti immediati della missione - spesso aleatori e contrastati! - quanto il fatto che essa ci rende figli nel Figlio, unendoci a lui in un unico destino damore per la morte e per la vita. Il primo frutto della missione per chi inviato: diventa come Cristo, il Figlio, che ama il Padre e i fratelli. Da qui si capisce come la missionariet di tutta la chiesa, se vuol raggiungere il fine di essere come il Figlio.

3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando i discepoli che tornano da Ges dopo la loro missione. c. Chiedo ci che voglio: capire il triplice significato della missione: vincere il male, tornare alla libert dei figli e partecipare alla vita di Dio. d. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - ritorno nella gioia - sottomissione dei demoni - potere di calpestare serpenti e scorpioni - i vostri nomi sono scritti nei cieli. 4. Passi utili Sal 126; Ap 12,7-12; Is 11,1-10; Eb 2,14s; 1Gv 3,1; Ap 2,17.

63. S, PADRE
(10,21-22)
21

In quellora esult nello Spirito santo e disse: Esalto te, Padre, Signore del cielo e della terra: perch velasti queste cose per sapienti e prudenti e rivelasti proprio queste a infanti. S, Padre! Perch cos compiacenza fu davanti a te. 22 Tutto a me fu consegnato dal Padre mio, e nessuno conosce chi il Figlio se non il Padre, e chi il Padre se non il Figlio,

e colui al quale il Figlio vorr rivelare. 1. Messaggio nel contesto Il brano, che parla cinque volte del Padre, tre del Figlio, una dello Spirito, una danza di gioia del Figlio per il dono che il Padre in lui concede agli infanti. una meteorite caduta dal cielo giovanneo, un masso erratico abbandonato da un ghiacciaio ritiratosi su vette inaccessibili. Ges rivolge queste parole al Padre in quellora in cui rientra la missione dei Settantadue. Rivela loro il vero motivo di gioia (v. 20), che fa esultare lui stesso: la loro partecipazione alla sua comunione di conoscenza e amore col Padre. Questo il fine della missione, compimento del mistero della salvezza. Ci che Dio per natura, luomo lo diventa per grazia. Gi fin dora, anche se ancora non manifestato (1Gv 3,1s)! La missione dei Settantadue ha portato il Regno fino agli estremi confini della terra. Ges gioisce. Tutto compiuto! Lamore del Padre amato e la bellezza del Figlio rispecchiata in tutti i fratelli. Luomo ha veramente un nome nuovo, che nessuno conosce. scritto nel cielo, dentro il rapporto intimo Padre/Figlio. Il nostro destino pi sublime di ogni immaginazione e ci d una dignit infinita. Siamo preziosi agli occhi di Dio e degni di stima, perch ci ama (Is 43,4). Il Padre ci ama di amore unico e totale, come il Figlio (Gv 17,23); anzi, paradossalmente, pi di lui che non ha risparmiato per noi (Rm 8,32). Infatti ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito (Gv 3,16). E questi ci ama con lo stesso amore del Padre (15,9.13). Dio ci ha creati perch, vedendo in s la nostra immagine, se ne innamorato (s. Caterina). Ci ama di amore eterno (Ger 31,3), e desidera che lo possiamo amare con lo stesso amore e unirci a lui. Luomo assetato e infelice fino a quando non raggiunge la sorgente da cui scaturito. Per questo Agostino dice: Ci hai fatti per te, Signore; ed inquieto il nostro cuore, fin che non riposa in te. Nel Figlio siamo figli, ai quali il Padre ha dato tutto. Quando conosceremo come siamo da lui conosciuti - ci che ora avviene solo imperfettamente in specchio e per enigma (1Cor 13,12) - lo vedremo faccia a faccia, e il nostro volto risplender della sua luce. Allora io vedr te nella tua bellezza e io mi vedr in te nella tua bellezza. Che io sembri te nella tua bellezza e tu sembri me nella tua bellezza e la mia bellezza sia la tua e la tua sia la mia, cos io sar te nella tua bellezza e tu sarai me nella tua bellezza, poich la tua stessa bellezza sar la mia (s. Giovanni della Croce). In Luca Ges rivolge altre tre preghiere personali al Padre (22,42; 23,34; 23,46). Questa la pi lunga. Le altre tre indicano la via che porta allesultanza: il compimento della sua volont (22,42), il perdono dei fratelli (23,34) e labbandono della vita nelle sue mani (23,46). Questa invece lascia intravedere il termine del cammino: la festa dellamore corrisposto, fine della missione. Nel Padre nostro (11,24) ci insegna a chiedere di percorrere la sua stessa via per giungere alla sua stessa esultanza. 2. Lettura del testo v. 21: In quellora. Tutta la storia e i suoi giorni, con le sue ore positive e negative, riportano a ununica ora senza fine: quella dellesultanza del Figlio e del Padre nello Spirito. Da questa danza eterna scaturisce il tempo della salvezza, il tempo di Ges, oggi eterno di Dio che nellannuncio e nellascolto si rende presente a ogni uomo.

esult. Lesultanza, preannunciata a Zaccaria (1,14) e realizzata nellincontro di Elisabetta con Maria (1,44.47), ha la sua origine nella gioia che Ges ha come Figlio del Padre. Lesultanza una gioia interiore che trabocca dal cuore e si manifesta allesterno in canto e danza. nello Spirito santo. Questa danza avviene in un luogo preciso: lo Spirito santo. Lo Spirito (= vita) santo (= di Dio) Dio stesso come amore. Soffio di vita che il Figlio ha in comune col Padre, lamore mutuo tra i due, che li unisce nella distinzione. Respiro unico di ambedue e bacio eterno delluno allaltro, lestasi reciproca delluno nellaltro che fa di Dio una tri-unit damore. Mos aveva intuito e desiderava questo bacio, vita intima di Dio, sua gloria e vittoria sulla morte. Ogni esultanza e ogni preghiera, ogni respiro e ogni amore un raggio dello Spirito santo, conoscenza e amore tra Padre e Figlio. Sulla croce Ges lo doner anche a noi. Il battesimo, incorporandoci in lui, ci immerge e affoga in questa vita di Dio. Ci che egli per natura, noi lo diventiamo per grazia. Il suo principio vitale diventa anche nostro. Il peccato, tagliandoci fuori da questo, ci uccide per asfissia. Sar la tragica morte del Crocifisso, che prende su di s la nostra pena di vivere nellaffanno di morte. Lo Spirito santo il mistero profondo della vita cristiana: ci unisce a Dio, donandoci la sua vita. Per questo Ges esorta i discepoli a gioire (v. 20). Esalto te. La preghiera, come esultanza del Figlio, cos esaltazione del Padre. Egli il tu, riconosciuto e amato come sorgente dellio. Ogni preghiera lode del Padre, e nasce dalla gioia del Figlio per lui, che la stessa che lui ha per il Figlio. Nella lode anche noi ne partecipiamo. Padre. Le prime e le ultime parole del Verbo nominano il Padre (2,49; 23,46): la sua paternit uninclusione, quasi un arco che le racchiude tutte. La missione del Figlio condurre i fratelli a occuparsi delle cose del Padre (2,49), per diventare come lui (6,36), e affidargli la vita (23,46). Padre traduce Abb, termine familiare usato dai bambini. posto sulla bocca di Ges nellora decisiva di lotta per compiere la sua volont (Mc 14,36), ed usato dalla chiesa primitiva per esprimere la vita nuova dei figli (Gal 4,6; Rm 8,15). In Luca Ges si rivolge direttamente al Padre nominandolo 8 volte (di cui 5 volte qui: le altre tre sono in 22,42; 23,34.46). Inoltre chiama Dio col nome di Padre altre 10 volte (2,49; 6,36; 9,26; 11,2.11.13; 12,30.32; 22,29; 24,49) e per ben 12 volte esce la parola padre nella parabola del figlio perduto e ritrovato per cui si fa festa. Dio, Padre di Ges, lo anche dei discepoli. E, come lo del figlio perduto, vuol esserlo anche del fratello maggiore. Egli non cessa mai di esserci Padre; diversamente non esistiamo. Siamo figli, anche se non lo riconosciamo. La sua paternit, come origine della nostra fraternit, anche principio e fine della creazione. Essa geme nelle doglie del parto, in attesa di entrare nella libert della gloria dei figli di Dio (Rm 8,19ss). Accettare la paternit di Dio trovare la sorgente della vita, vivere la verit di figli. il dono che ci fatto in Cristo. in te, o Padre, la fonte della vita: nella tua luce, che Cristo, vediamo la luce (Sal 36,10)! La menzogna del serpente ci fece mettere in dubbio, stravolgere, temere, dimenticare la tua paternit. Per questo abbiamo cominciato a vedere la vita sospesa nel vuoto, senza capo n coda, insensata e angosciata, perennemente insufficiente nel tentativo di assicurarsi sufficienza. Padre significa radice e frutto, presente e futuro, memoria di amore e progetto di festa del Figlio insieme ai fratelli. Qui, per la prima volta, Ges chiama direttamente Dio col nome di Padre. Infatti il rientro della missione dei Settantadue prefigura lora in cui la paternit di Dio sar santificata in tutti i fratelli. In questa paternit diventiamo ci che siamo. La nostra creaturalit non pi nudit fragile, ma rapporto col Creatore, distanza necessaria per vivere. Lo stesso limite assoluto, la morte, non pi avvertito come minaccia, ma come contatto con colui dal quale siamo ci che siamo. comunione con lui, guarigione di ogni differenza, medicina dogni insufficienza.

In sintesi, tutto il mistero del Regno, che Ges rivela ai suoi discepoli (8,10), la conoscenza della paternit di Dio. Questa la liberazione dal male originario, il ritorno nellutero del Padre insieme col Figlio unigenito che ce lha dischiuso (Gv 1,18). Il sorriso della paternit di Dio la luce che rende possibile la vita. Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto (Sal 27,10). Ogni paternit e maternit umana transitoria, segno fugace e sacramento di colui dal quale scende ogni paternit (Ef 3,14s), e le cui viscere di misericordia durano in eterno (Sal 117). Egli mi pi madre di mia madre: lui che mi ha tessuto nel suo grembo (Sal 139,13). E mi genera di continuo: come la sorgente non d mai la stessa acqua, cos la mia esistenza scaturisce sempre nuova da lui. Di ogni vivente si dice che creato secondo la sua specie (Gn 1). Delluomo no. Creato a immagine e somiglianza del Creatore, della specie di Dio, figlio nel Figlio! Questa la sua essenza vera, di cui tutta la sua vita ricerca. Ne segno il bisogno di una paternit-maternit assoluta, impossibile sulla terra, perch implica insieme libert e necessit. Questa esigenza contraddittoria lo fa uomo, punto di congiunzione tra creato e Creatore, sempre insoddisfatto di ogni creatura. Il desiderio profondo di unirsi al proprio principio, giustamente proibito tra gli uomini, soddisfatto con colui che solo padre e madre, principio e fine, partenza e approdo. Assolutizzare unimmagine terrena di padre e madre impedirsi di crescere. Lisraelita a 13 anni diventa bar miswah, figlio del Comandamento, alla quale obbedisce. adulto e affrancato dal padre. Prima si lasci generare dalla sua parola come suo figlio, ora in grado di lasciarsi generare dalla parola di Dio come figlio di Dio. Perch luomo generato dalla parola che ascolta. Il Verbo, Parola eterna di Dio, venuto a renderci la nostra condizione perduta: lascolto di lui ci dona il suo stesso volto glorioso di Figlio. Signore del cielo e della terra. Questo Padre, cos vicino da essere in noi e noi in lui (cf. Gv 14,20ss), non un Dio addomesticato. laltissimo, il potente e il despota (1,32.49; 2,29). Ma laltissimo che si abbassato e si fatto piccolissimo (9,48), il potente che si ridotto allimpotenza e si consegnato a noi (9,44; 22,53), il despota che si fatto nostro servo (22,27). La sua piccolezza, impotenza e tapinit rivelano la grandezza, la forza e laltezza del suo amore, che riempie il cielo, la terra e gli abissi. Se la parola Padre carica di affetto e di tenerezza, questa espressione carica di forza e di rispetto. Il Padre principio e fine dellincreato e del creato, Signore non solo in terra, ma anche in cielo! Questa vicinanza/lontananza, tipica dellamore, impedisce di ridurre Dio a un idolo. Dove cessa il rispetto e il timore, non c amore, tanto meno di Dio. perch velasti (alla lettera: nascondesti o sotterrasti). Ma come pu sottrarsi e nascondersi colui che dice: Eccomi, eccomi! anche a chi non lo cerca (Is 65,1)? Dio si nasconde per farsi prendere. Il peccatore, che ha paura di lui, si camuffa sotto tante foglie di fico. Allora anche lui si nasconde perch cessi la sua paura. Si concede a lui come piccolo e debole, perch ne approfitti. Cos, non conoscendolo, luomo prende nelle sue mani il Figlio delluomo che si consegnato per amore. Dio ha liniziativa nel bene, ma non la perde neanche nel male. Qui vince perdendo. Si dona a Maria che dice: S, e lo concepisce. Ma si dona anche a chi gli dice: No e lo afferra. La stessa parola concepire usata sia per lincarnazione di Nazaret (1,31) che per la cattura nellorto (22,54). Colui che benevolo verso tutti (6,35), ha coi perversi unastuzia (Sal 187,27), che mette in pieno risalto la sua benevolenza. Infatti sono suoi figli e non pu lasciarli. Se luomo si nascosto da lui (Gn 3,8), Dio, velandosi, se ne addossa la colpa (cf. Is 54,7s). Il suo nascondimento sulla croce giustificazione per tutti, che giustificatamente lo ignorano (23,34; cf. 1Cor 2,8). Insieme anche un invito a cercarlo. Dio ha con noi la tattica che si usa per accostare un animale impaurito, che fugge e sta precipitando in un burrone.

queste cose. quanto ha fatto e detto Ges per rivelare lamore di Dio. Egli, il primo e laltissimo, si fa lultimo e il pi piccolo per essere vicino e unito a tutti; lui, cibo di vita, si fa fame; lui, acqua viva, si fa sete; lui, da cui e per cui tutto, si fa alieno, estraneo e forestiero; lui, gloria di luce, si fa nudo; lui, vita, si fa malato; lui, libert, si fa carcerato. Tutto questo per essere trovato, visitato, vestito, ospitato, dissetato e sfamato da noi. Perch lamore bisogno di essere accolto dallamato! Egli realmente innamorato delluomo, sua sposa. La Bibbia tutta un canto damore di Dio per colui che ama di amore eterno nel Figlio. La sposa pu dire con verit: Io sono per il mio diletto, e la sua brama verso di me (Ct 7,11). Lazione di Dio mira a una cosa inaudita: II Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cinger luomo! (Ger 31,22) - che significa: luomo abbraccer Dio, la sposa riamer lo Sposo e si ritrover con lui, che da sempre lha amata e cercata. sapienti e prudenti. Sapiente chi sa come stanno le cose; prudente chi le sa dirigere per il verso giusto. La sapienza riguarda la teoria, la prudenza la pratica. Sono come locchio e la mano. Hillel diceva: Un ignorante non evita il peccato e un analfabeta non pu essere pio. Il Talmud recita: Non vi altro povero se non chi povero di sapere. Ancora Hillel: Molta Legge, molta vita; molta sapienza, molti discepoli; molto consiglio, molta intelligenza. Israele la religione della parola e dellascolto, della sapienza per capire e della prudenza per eseguire. In Israele adulto e libero solo luomo maschio che conosce la Legge ed in grado di osservarla. La donna invece conta poco, perch non tenuta o non pu osservarla. Il piccolo, a sua volta, non conta nulla, perch addirittura impossibilitato a comprenderla. Per questo la conoscenza Padre/Figlio, nuova legge e verit delluomo, riservata agli infanti. Perch la sapienza di Dio, dettata dallamore, stupidit e debolezza di uno che ama fino alla croce (cf. 1Cor 1-2). ben diversa da quella umana, dettata dallegoismo, che cerca di salvarsi a tutti i costi dalla morte. Le due si contrappongono come menzogna e verit, paura e fiducia, egoismo e amore, possesso e dono, morte e vita. Per questo Dio, nel suo sapiente disegno (1Cor 1,21), distrugge la sapienza dei sapienti e annulla lintelligenza degli intelligenti (1Cor 1,19; cf. Is 29,14). rivelasti. unazione gi avvenuta, perfettamente compiuta. Infatti non c pi altro da rivelare, oltre il volto del Ges solo, il Figlio delluomo che va a Gerusalemme per il suo esodo. In lui il Padre ha mostrato la sua gloria, e ha detto: Ascoltate lui (9,35s). Sulla croce di Ges Dio toglie il suo velo e si espone nella nudit del suo amore. Non ha pi nulla da dire o da dare, dentro o fuori di s, perch, dando tutto se stesso, ha rivelato se stesso come dono assoluto. la sua parola definitiva, la sua rivelazione piena come amore. Se questo si misura dalla distanza che ricopre, l lo vediamo dilatato allinfinito. La croce lxtasis di Dio, lo star fuori di s dellamore che porta lamante nellamato. Le sue braccia avvolgono ogni lontananza, anche il male estremo, luccisione del Figlio. infanti. Sono i piccoli non ancora in grado di parlare. In Israele la conoscenza della Parola via alla salvezza e la sua ignoranza peccato. Ora la parola eterna di Dio il Figlio, uguale al Padre, che dice: Abb. il primo suono che gli infanti balbettano con insistenza. Per questo a loro riservata la Parola che salva. Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli (Sal 8,3). Il bimbo nulla da s e tutto dallaltro. La sua vita bisogno, e lui stesso ci che gli altri ne fanno. Rappresenta la verit delluomo come creatura: egli non si appartiene, costitutivamente figlio di. Il suo limite naturale il suo bisogno del Padre, in cui incontra colui da cui e per cui . Il bimbo uno che riceve: apri la tua bocca: la voglio riempire (Sal 81,11). Ges dice che bisogna diventare bambini, per entrare nel Regno (Mt 18,4). Dobbiamo diventare ci che siamo, e che abbiamo dimenticato di essere: Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci d forma, tutti noi siamo opera delle tue mani (Is 64,7). Il piccolo, dicendo Abb, esprime la propria verit

davanti a Dio e la verit di Dio nei suoi confronti. Per questo anche il vecchio pu e deve tornare piccolo e rinascere dallalto (Gv 3,4). Il bambino non buono o migliore delladulto. Sa per che il male il luogo dove la mamma lo bacia. Pur essendo pi egocentrico del peggior egoista, ma il suo egoismo semplice fiducia e abbandono a chi gli d, invocazione a chi apre la sua mano e sazia la fame di ogni vivente (Sal 145,16). Il male delluomo non ci che gli manca, e neanche ci che fa per soddisfarlo: la diffidenza, la paura, lautodifesa e la conseguente aggressione. Luomo fa giustamente di tutto per diventare adulto. Ma non deve dimenticare che la sua vera autonomia un rapporto filiale con il Padre. La sua maturit conoscere il proprio limite, senza illusioni, delusioni o depressioni. Si sa amato per ci che , non per ci che non e vuole o deve essere! Accoglie s come dono del Padre, e si ama come suo figlio amato in modo assoluto e gratuito. Diversamente impossibile vivere. Luomo che dice: S, Abb!, libero, capace di vivere e di morire. Diversamente passa tutta la vita schiavo della paura della morte (Eb 2,14s). Cercando di salvarsi a tutti i costi, diventa sapiente e prudente secondo la carne, operando la morte. Essa diventa suo pastore (Sal 49,15); e lui diventa come uno che si siede sul ramo che sta tagliando con tanta furia, e, finito il lavoro, si aggrappa alla sega che lo ha tagliato! Per questo la rivelazione del Figlio - cio la paternit di Dio - la salvezza delluomo: la vita conoscere che Dio Padre, conoscendo il Figlio suo Ges (cf. Gv 17,3). un mistero che supera ogni conoscenza esprimibile a parole, e si rivela ai piccoli, perch il simile conosciuto dal suo simile. La parola infante, non-parlante, esprime lineffabilit di ci che nessun discorso sapiente e prudente pu vanificare. S. Ges il s pieno che non conosce no (2Cor 1,19s). Ma, prima che il reciproco s tra Dio e uomo, il s eterno del Figlio al Padre. In questo s lui Figlio e il Padre Padre: luno esiste per laltro, in un moto reciproco damore, che lo Spirito santo. Il Figlio si incarnato, perch in lui ogni uomo diventasse s al Padre. Ora il nostro s facile: accogliere il s del Figlio per noi, che ci offre senza condizioni lamore del Padre. Lunico nostro s accettare che siamo no, e che in Ges il Padre rimane sempre s per tutti noi (cf. Rm 8,32ss). compiacenza. La compiacenza del Padre la sua rivelazione ai piccoli, motivo dellesultanza stessa del Figlio. Inebriante la dignit delluomo, se il punto darrivo della compiacenza del Padre e dellesultanza del Figlio. Siamo la gioia stessa di Dio. v. 22: Tutto a me. In Ges abita corporalmente tutta la pienezza della divinit (Col 2,9). Chi vede lui, vede il Padre (Gv 14,9). La sua vita racconto e icona dei Dio invisibile (Gv 1,18). Dalla sua pienezza noi tutti attingiamo grazia su grazia (Gv 1,16). fu consegnato dal Padre mio. Il tutto che il Padre dona al Figlio il suo essergli Padre, che lo genera Figlio. Le lettere di Paolo iniziano nel nome del Padre di Ges, nostro Signore. Tutto fluisce da lui al Figlio, nel quale, dal quale e per il quale tutto stato fatto. Ges non inferiore al Padre. tutto ci che lui, ma in quanto Figlio, che per il suo s riceve tutto. La sua obbedienza filiale non subordinazione, bens unit perfetta dintelligenza e di volont, identit nellunico amore. La parola consegnare esprime lessenza di Dio come dono. Infatti il Padre il tutto che si dona, il Figlio il tutto donato, lo Spirito il dono reciproco di amore tra donante e donato. Ma a sua volta il Figlio il tutto che si dona al Padre, che nel suo s filiale vive la propria paternit. Questo il mistero della vita di Dio, la sua danza di amore eterno, aperto ora a tutti gli infanti che dicono Abb.

Consegnare qui indica la generazione stessa del Figlio da parte del Padre. Altrove la stessa parola (greco: paraddmi; latino: tradere = consegnare, donare, tradire) indica il dono che il Figlio fa di s agli uomini (9,44), come pure il tradimento delluomo che non conosce il dono (22,22.48). Per noi la parola tradire ha conservato solo il carattere negativo. nessuno. Loblio della paternit di Dio, origine di ogni male, comune a tutti. Nessuno ha mai visto Dio (Gv 1,18). Ges, il Figlio, lunico che lo conosce come da lui conosciuto. Linfelicit delluomo non conoscere il proprio nome di figlio, detto con tenerezza dal Padre nel Figlio. conosce. La conoscenza di cui si parla esperienza di amore, dono di s allaltro. Tutto mi stato donato dice Ges, e, dicendo s al Padre, gli si dona tutto. Questa conoscenza collegata da Giovanni con il dono della vita. Conoscere amare e dare la propria vita per laltro che la propria vita (cf. Gv 10,15; 1Gv 4,8-10). chi il Figlio se non il Padre. Come il mistero del Figlio nel Padre, cos il mistero delluomo nascosto con Cristo in Dio (Col 3,3). Per questo il Padre ci attira a Ges (Gv 6,44): ci vuole mettere con lui, perch siamo nella nostra verit di figli. Siamo infatti a sua immagine e somiglianza. Se vuoi conoscere il tuo vero volto, rispecchiati in Ges, Parola del Padre fatta carne. L conosci il tuo io, che lamore di Dio per te. Egli pi te di quanto lo sia tu stesso. Solo il Padre ti conosce, ti ama e ti chiama per nome, come figlio nel suo unico Figlio prediletto. E solo questi ti rivela il tuo nome e il tuo volto di suo fratello. Conoscendo lui, in lui conosci te. Perch egli a te pi intimo di te a te stesso (s. Agostino). Chi il Padre se non il Figlio . Il mistero del Padre nel Figlio che dice: S, Abb!. Egli conosciuto solo da lui e da chi consente a essere suo fratello. Il Padre trasale di compiacenza ascoltando nel suo s anche il nostro Abb. La paternit di Dio, anche se eternamente appagata nel Figlio, senza pace in terra da quando Adamo lha misconosciuta. Il Padre sar santificato sulla terra come in cielo solo quando il pi perduto tra i figli lo avr riconosciuto. colui al quale il Figlio vorr rivelare. Questa danza di amore amante e amato, uno e trino, dischiusa agli infanti. Ges, il Figlio, la Parola che rende parlante il Padre, si fatto il pi piccolo e pi perduto di tutti, per estendere a tutti la sua paternit. Con la sua venuta vinta la menzogna che ci ha fatto fuggire. scacciato ogni timore antico (1Gv 4,18), e davanti a lui rassicuriamo il nostro cuore, nonostante ogni incubo della trascorsa paura (1Gv 3,19). Egli ci rivela chi Dio per noi e chi siamo noi per lui. Ci dona la sua stessa conoscenza del Padre, perch lo amiamo con il suo stesso amore. Amen. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che danza di gioia davanti ai suoi discepoli che tornano dalla missione. c. Chiedo ci che voglio: partecipare alla gioia e allamore del Figlio verso il Padre e del Padre verso il Figlio. d. Contemplo e adoro il mistero che si cela in ogni parola. 4. Passi utili

Sal 8; Gv 1,1-18; 1Gv3,1; Rm 8,14-17; Gal 4,4-7; Ef 1,3-14; Col 1,15-20.

64. BEATI QUEGLI OCCHI CHE GUARDANO CI CHE VOI GUARDATE!


(10,23-24)
23

E, voltosi verso i discepoli, in privato disse: Beati quegli occhi, che guardano ci che voi guardate. 24 Dico infatti a voi che molti re e profeti vollero vedere ci che voi guardate, e non videro, e udire ci che voi udite, e non udirono! 1. Messaggio nel contesto Sei volte si parla di occhi-guardare-vedere, tre volte di udire e tre volte di ci che visto e ascoltato, e che Ges ha appena rivelato, cio la sua comunione col Padre aperta ai piccoli. Questa beatitudine, pi che ai discepoli, rivolta agli occhi che guardano ci che essi guardano. per noi lettori, che, attraverso le parole dei testimoni oculari (1,2; cf. 1Gv 1,1-4), possiamo contemplare ci che re e profeti desiderarono vedere. una beatitudine modulata sulla visione, che implica lascolto. Lo sguardo del Figlio scende ora dal Padre sui fratelli. Ma puntato ancora molto lontano, in avanti e indietro: nel futuro a quanti crederanno in lui; nel passato a quanti lhanno atteso. Colui che i discepoli hanno davanti, il centro del passato e del futuro, il senso di tutta la storia come desiderio e beatitudine, promessa e compimento. Il volto di colui che guardano rivela il mistero di Dio: lamore mutuo Padre/Figlio, nel cui abisso sono custoditi tutti i piccoli. Questa beatitudine, posta tra la rivelazione di tale mistero (vv. 21s) e il comandamento che ne scaturisce (vv. 25-28), di chi vede in lui la piena realizzazione dellamore di Dio e dellamore delluomo, descritta nella parabola del samaritano. Il discepolo colui che guarda Ges e ascolta la sua parola che spiega ci che vede. Non basta guardare. La verit, invisibile, tuttavia comprensibile. Per questo, chi vede il fatto, ne deve ascoltare la spiegazione. Solo cos capisce il senso di ci che guarda e ha la visione della verit comunicata dalla Parola. Per questo lascolto rester sempre, fino a quando vedremo il Verbo e parleremo faccia a faccia col Volto! Visione-ascolto e ascolto-visione sono le due vie di accesso al mistero di Ges. Prima il Verbo si fatto carne per farsi vedere; poi la carne tornata Verbo per farsi ascoltare. I suoi contemporanei prima lo guardarono, ma poi la dovettero ascoltare per vederlo. Noi prima lo dobbiamo

ascoltare, e poi lo vediamo. La prima fu la situazione dei testi oculari, che divennero servi della Parola (1,2); la seconda la nostra, che, come Teofilo, ne siamo istruiti, perch obbedendo ad essa, veniamo come loro trasformati nel Figlio, e vediamo rispecchiato nel nostro il suo stesso volto. Il discepolo, presente e futuro, sia cosciente del grande privilegio: i suoi occhi guardano e i suoi orecchi odono il compimento di tutta la promessa di Dio. Mentre vede Ges, ascolta la Parola che gli porta lamore del Padre; e, mentre ne ascolta la Parola, introdotto a vederlo nella fede. 2. Lettura del testo v. 23: E, voltosi verso i discepoli. Prima era rivolto verso il cielo, ora verso i discepoli. Egli sta contemporaneamente rivolto al Padre e ai fratelli, in un unico e identico amore. il pontefice, ponte tra Dio e gli uomini: in lui Dio totalmente per luomo e luomo per Dio. In Ges avviene ladmirabile commercium: noi tocchiamo e gustiamo la profondit dellamore del Padre, e il Padre raggiunge tutti i suoi figli. Il suo essere rivolto al Padre, che lo costituisce Figlio, lo fa rivolgere a noi, suoi fratelli. La sua missione al mondo scaturisce dal suo essere verso il Padre: il suo essere Figlio lo rende fratello sollecito di tutti. in privato. Non indica esclusione, bens intimit, in un luogo inaccessibile: labisso dellamore Padre/Figlio. Tale espressione da Luca usata qui e in 9,10, rispettivamente al ritorno della missione dei Dodici e dei Settantadue. Il fine della missione infatti introdurre in questa vita di Dio. Dopo 9,10 segue il fatto dei pani: il corpo del Figlio dato per la vita del mondo. Qui appena stato imbandito il banchetto della conoscenza del Figlio, da cui scaturisce il pane e al quale il pane introduce. Beati. Ges si congratula e si rallegra. La beatitudine fondamentale in Luca quella della fede (1,45; 11,28), che d il pane del Regno (14,15) e fa passare dallascolto alla visione di Ges. Alla luce di questa beatitudine si capiscono le altre di 6,20ss. quegli occhi che guardano. Locchio, organo del cuore, si posa dove il cuore riposa. Vedere amare. Locchio di Dio, che vede bello il mondo, il suo stesso amore, che lo crea tale. Esistere essere visti, ossia amati: Quanto uno ai tuoi occhi, tanto egli , e nulla pi (s. Francesco dAssisi). In realt esse est videri: essere essere visto. In Ges, il Figlio, noi scrutiamo la profondit di Dio, e vediamo come siamo visti dal Padre: ci vede come figli nel Figlio. Alla tua luce vediamo la luce (Sal 36,10): in questa luce, che il Figlio, vediamo la luce che il Padre, da cui scaturiamo. Solo in questa visione viviamo. Se luomo vivente gloria di Dio, la visione di Dio vita delluomo (Ireneo). Per questo bisogna che ogni occhio che guarda e non vede, veda per avere la vita. Qui Ges non proclama beati quelli che guardano lui, bens gli occhi che guardano ci che i discepoli guardano. Sono gli occhi di tutti i discepoli di tutti i tempi, che, attraverso la testimonianza dei testimoni oculari, giungono alla comunione con il Padre nel Figlio. Dio ha dato gli occhi agli uomini perch possano leggere la Scrittura, e gli orecchi per ascoltare la sua parola. Tutto il resto non sazia il cuore delluomo, fatto per amare Dio e unirsi a lui. ci che voi guardate. Il motivo della beatitudine non il guardare, ma ci che guardato: Ges stesso, nella cui carne rivelato e donato ai piccoli lamore eterno del Padre per il Figlio (v. 21). v. 24: molti re e profeti. Egli il compimento delle promesse di Dio, il desiderio di tutto lAT. I profeti parlarono di lui e i re lo prefigurarono. Ora i discepoli lo vedono! Ci che i discepoli vivono sta allAT come la beatitudine dellappagamento sta al vuoto del desiderio. Per questo il pi piccolo nel Regno pi grande del profeta pi grande tra i nati di donna (7,28).

vollero vedere. Ges immagine del Dio invisibile (Col 1,15), corpo di Dio (cf. Col 2,9), irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza (Eb 1,3). il volto della gloria che Luca, dopo averlo descritto in 9,29ss nel suo fulgore esterno, ci ha appena presentato nella sua luce intima di Figlio del Padre. Tutto lAT desiderio di vedere quel volto che i discepoli contemplano tra Mos e Elia (9,30). Luomo ricerca del volto di Dio (Sal 27,8). Quando Dio nasconde il suo volto, egli tutto sconvolto, come uno che scende nella fossa (Sal 30,8); si dissolve nel nulla come limmagine quando scompare la realt che riflette. Luomo se stesso quando Dio fa splendere su di lui la luce del suo volto (Sal 67,2): anela a vederlo (Sal 42,2s), perch la salvezza del suo stesso volto (Sal 42,6.12; 43,5). Se Dio mostra il suo volto, siamo salvi (Sal 80,4.8.20). Per questo Mos sospira di vedere la gloria, il volto di Dio (Es 33,18-23). Luomo costituito dal desiderio naturale di vedere Dio. Per i medioevali lapice delle sue facolt, ci che lo fa uomo e lo apre al suo fine. Il natale dellanima (Eckart) avviene nellocchio, che ci fa vedere come siamo da lui visti. Questo occhio Ges stesso, il Figlio in cui e per cui siamo fatti. In lui siamo visti dal Padre ed esistiamo, in lui vediamo il Padre e viviamo. Diversamente esistiamo senza vivere: viviamo la morte e la negazione del nostro volto. Luomo se stesso solo davanti a Dio, quando riflette in s colui di cui immagine e somiglianza. Lontano da lui, rispecchia il nulla di s e resta spoglio della propria realt. Il desiderio delluomo di vedere Dio un riflesso del desiderio che ha Dio di vedere luomo, suo figlio amato e perduto. Fin dalla prima sera passeggiava per lEden, chiedendo ad Adamo: Dove sei? (Gn 3,9), e la sua preghiera : Mostrami il tuo volto! (Ct 2,14). Nei discepoli Ges vuol risvegliare tutto questo desiderio dellAT, perch abbiano coscienza della bellezza del Volto che contemplano. e udire ci che voi udite. La visione non toglie lascolto. Esso rester sempre la forma pi alta di comunicazione: ora spiega la visione, poi sar silenziosa partecipazione al dialogo damore del Verbo col Padre. Anche i primi discepoli, pur guardando, furono chiamati dal Padre ad ascoltare (9,35). Lascolto del Ges solo la via alla gloria del Figlio, intravista nella trasfigurazione. Il volto diventa la parola che lorecchio ascolta. Il vedere ha pi del compimento desiderato, lascolto dellobbedienza comandata. C sempre una tensione tra i due, fino a quando conoscer perfettamente come anchio sono conosciuto (1Cor 13,12). Ges proclama beati quelli che crederanno senza aver visto (Gv 20,29). Ma anche chi ha visto, beato solo se crede (cf. 11,28; 1,45), fidandosi della Parola. Il mistero del Figlio, che Dio aveva predisposto gi prima della fondazione del mondo (Ef 1,4ss), fu rivelato a frammenti per mezzo dei profeti; ora ci dato tutto in Ges (Eb 1,1ss). In noi, che guardiamo e ascoltiamo, esulta lAT, i suoi giusti e i suoi profeti: Tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perch essi non ottenessero la perfezione senza di noi (Eb 11,39s). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che si volge in privato ai suoi apostoli. c. Chiedo ci che voglio: capire il dono sublime che mi tocca quando leggo il Vangelo di Ges: vedo e ascolto la parola e il volto stesso di Dio che mi trasforma in figlio. d. Considero con attenzione ogni parola di Ges. 4. Passi utili

Sal 63; 1Gv 1-4; Eb 1,1-14. Contemplare il Sal 119, tenendo presente che Parola (e sinonimi) corrisponde a Ges, Verbo fatto carne.

65. AMERAI
(10,25-28)
25

Ed ecco: un legista si alz, tentandolo dicendo: Maestro, facendo che cosa erediter la vita eterna? 26 Ora egli gli disse: Nella legge cosa scritto? come leggi? 27 Ora egli, rispondendo, disse: Amerai il Signore Dio tuo dallintero cuore tuo, con lintera vita tua, con lintera forza tua, con lintera mente tua, e il vicino tuo come te stesso. 28 Ora disse a lui Ges: Rettamente rispondesti! Questo fa e vivrai! l. Messaggio nel contesto Alla fine della missione dei Settantadue c la rivelazione del rapporto Padre/Figlio aperto ai discepoli (vv. 21-24). Ora, a questo amore che dal cielo scende sulla terra, risponde dalla terra lamore di figli e di fratelli che si alza fino al cielo. Inizia il regno del Padre, leredit della vita sulla terra, che vediamo e ascoltiamo nel Figlio (vv. 23s). Egli contemporaneamente il s di Dio alluomo e delluomo a Dio. La carne di Ges, oltre che racconto della sua passione per noi, anche nostra risposta perfetta damore per lui. Il comandamento dellamore il cardine dellAntico e del Nuovo Testamento. Definisce la verit delluomo, nella sua relazione con Dio, con gli altri e con se stesso (Dt 6,4ss e Lv 19,18). La morte, prodotta dal peccato, lincapacit di amare. Ges ci ha riaperto il Regno lavandoci i piedi e dandoci il

potere di lavarci i piedi gli uni gli altri nel suo nome. Luomo, come fatto per amore, cos fatto per amare; se non ama, fallito. La novit del suo comandamento sta nel fatto che non pi una legge, impossibile da osservare, che denuncia il peccato, ma vangelo, annuncio del dono di un Padre che ama luomo con tutto il cuore, e di un Figlio duomo che ama Dio con tutto il cuore e i fratelli come se stesso. Tutto il mondo non vale un atto di amore, come tutte le brocche dacqua non valgono la sorgente da cui sono state attinte. Chi ama, raggiunge il fine. Per questo pi prezioso al cospetto del Signore e dellanima e di maggior profitto per la chiesa un briciolo di amore puro che tutte le altre opere insieme, quantunque sembri che lanima non faccia niente (s. Giovanni della Croce). Il problema di tutto il brano nominato allinizio (v. 25) e alla fine (v. 28): che fare per ereditare la vita, ossia per vivere la vita stessa del Padre? Ci sar chiaro dopo la parabola autobiografica del samaritano, quando Ges potr dire: va e fa anche tu lo stesso (v. 37). 2. Lettura del testo v. 25: un legista. La domanda riguarda il problema fondamentale della Legge: che fare per ereditare la vita. La Legge la via alla vita. tentandolo. Nel deserto, dopo la scelta di solidariet con i fratelli, Ges fu tentato di seguire altre vie da quella dellamore. Istintivamente luomo religioso cerca la vita nella irreprensibilit della giustizia che deriva dallosservanza della Legge (Fil 3,6). Ma essa viene solo dalla sublimit della conoscenza di Cristo Ges, mio Signore (Fil 3,8), perch appunto la rivelazione dellamore del Padre nel Figlio (vv. 21s). Anche Dio fu tentato nel deserto da Israele, quando il popolo dubit del suo amore (Es 17,7). Qui la tentazione non riconoscere lamore del Padre nel Figlio e chiedere altri segni (11,29). maestro. Ges il maestro della Legge: il Figlio che rivela il Padre agli infanti. Verbo eterno di Dio, si fatto carne per raccontare nel tempo lamore infinito del Padre. facendo che cosa (cf. 18,18). La Legge promette la vita a chi fa ci che essa ordina. Lobbedienza alla Parola la condizione per vivere (Lv 18,5; Dt 4,1; 8,1; 11,1-32). Questo vale anche per Luca: il che fare fa da inclusione a tutta la catechesi di Ges in viaggio a Gerusalemme (v. 23; 18,18; cf. anche v. 37; 3,10-14; 6,46; 8,21; 16,4; At 2,37; 16,30). La terra promessa, pure restando un dono, sempre legata a un fare, come risposta di amore al donatore. Vita eterna. una vita piena, senza limiti di qualit, di spazio e di tempo: la comunione con Dio fin oltre la morte (Dn 12,2; 2Mac 7,9). Lui infatti la vita di chi vive la sua parola (Dt 30,20) e ne fa il suo pane (Dt 8,3b). erediter. Leredit non conquista: spetta al figlio dallamore del Padre. Il levita, che non ha parte nella terra promessa, ricorda a tutti la vera eredit: il Signore mia parte di eredit, e continua: magnifica la mia eredit (Sal 16,5.6). v. 26: cosa scritto?. La Scrittura richiama cosa fare per restare nelleredit: la memoria del dono e il rendimento di grazie (cf. Dt 6-9; 11; 29; 30). Loblio via al lesilio, il ricordo via del ritorno. Fondamento della Legge la preghiera quotidiana di Israele: Ascolta, Israele, amerai ecc. (Dt 6,4ss). Il ricordo di quanto Dio ha fatto rende possibile amare lui come Padre e gli altri come fratelli.

come leggi?. Ma il popolo non riconosce (= legge) questo amore. Basta vedere lappassionata requisitoria di Ez 16, linfelice amore di Osea e il difficile incontro del Cantico. Fin dallinizio Adamo non ascolt Dio, bens il diavolo. Il peccato originale la sordit che ci impedisce di ascoltare il suo amore di Padre. Di conseguenza siamo muti, incapaci di dire la parola del Figlio: Abb. Tutta la Scrittura ci narra lamore folle di Dio per noi (Cabasilas). Ma una parola che nessuno ascolta. Solo in Ges si compie. Lui infatti apre il libro chiuso e riconosce cosa scritto, e dice: oggi si riempita questa Scrittura negli orecchi vostri (4,21; cf. 15ss). Senza di lui la Parola resta assurda, come udita da un sordo. Con lui invece lamore del Padre trova udienza, e si fa per noi non solo esegesi, ma anche visione (cf. Gv 1,18.14). Cos anche i sordi possono riconoscere in lui il compimento di ci che scritto. Egli insieme luomo che ama totalmente Dio e Dio che ama luomo come se stesso. In lui la Legge, lettera morta, diventa vangelo di vita. v. 27: Amerai. La prima parte citazione dello Shema Israel (Dt 6,4ss). Luca sopprime la parola iniziale: Ascolta. Ne ha fatto il tema della prima parte del Vangelo. Come ha appena detto, la beatitudine promessa a re e a profeti quella di vedere e ascoltare Ges. La bellezza del suo volto il compimento dello Shema, ascolto perfetto del Padre. Il futuro amerai, forma del linguaggio giuridico, un imperativo. Lamore di Dio un ordine! Se non ce lo avesse ordinato, non solo lo riterremmo impossibile, ma addirittura sconveniente. Tutta la Scrittura racconta ci che per luomo ha fatto e si fatto quel Dio che dice: Ascolta! Amami, poich io ti amo!. Lamore altro non ama che essere riamato da chi ama. Chi vede questo amore, vede il Regno - anche l dove non pu e non deve stare, come sulla croce (cf. 23,40-43)! Dio non pu non amare luomo. Se con un gesto libero lo ha creato, con amore necessario lo ama in modo infinito, pi di se stesso. Lessenza delluomo lamore che il Padre ha per lui nel Figlio. Per questo deve amarlo, per realizzare se stesso. chiamato a nulla di meno. Guai se punta pi in basso! Gli ideali a basso profilo in questo campo producono infelicit, perch lo frustrano nel suo desiderio pi profondo e vero. Lamore porta allo scambio e allunit tra amante e amato. Per questo in Ges Dio realmente uomo, in una sola carne, e luomo realmente Dio, in un unico Spirito. In lui, il Figlio, abita corporalmente tutta la pienezza della divinit (Col 2,9), e tutta lumanit rapita in seno alla Trinit. Lui infatti, il Samaritano, Dio stesso, sceso dalla sua gloria per farsi carico di noi (vv. 33s e 23,40). Di sua natura luomo dovrebbe amare Dio, perch la sua realt - a sua immagine e somiglianza. A maggior ragione possiamo e dobbiamo amarlo da quando, avendo noi rifiutato di andare a lui, venuto lui verso di noi. dallintero cuore tuo. Dio va amato con interezza, con cuore indiviso (cf. 1Cor 7,32-34). Per quattro volte, quante sono le dimensioni del creato, si parla dellesigenza totalizzante dellamore per lui. Infatti amabile senza misura, perch amore smisurato. Daltra parte lamore non conosce altra misura che la totalit. Per questo lo amer ogni giorno di pi, e oggi con tutto lamore che mi possibile. Non posso comprendere Dio, perch sono limitato. Solo il suo Verbo, Figlio eterno e perfetto, lo abbraccia totalmente. Posso per buttarmi in lui ed essere compreso da lui, abbandonandomi al suo amore totale. Luomo stato creato, dotato di vita e di intelligenza per amarlo con tutto se stesso. Troppo grande per bastare a se stesso (Pascal), niente pi grande di lui, che ha il suo centro nellinfinito per cui fatto. Solo lui va amato dallintero cuore, che la sorgente dellamore; con lintera vita, dando tutto per lui; con lintera forza, facendo tutto per lui; e con lintera mente, cercando di conoscerlo. Poich lui per primo mi ha amato, ha dato se stesso per me, ha fatto tutto per me e mi conosce fino in fondo. Per questo il mio amore per lui intimo e assoluto, e si esprime in una vita appassionata e laboriosa, che in tutto cerca di amarlo e conoscerlo. Amare non significa fare una cosa invece che unaltra, ma il modo di fare: qualunque realt, anche la pi piccola, vissuta come dono e segno del suo amore, nella gioia e nella gratitudine.

il vicino tuo. In genere si traduce come prossimo, superlativo di vicino. Il vicino facile da amare, perch nessuno ha mai preso in odio la propria carne (Ef 5,29). Ma anche facile da detestare. Per questo bisogna amare i nemici (6,27). pi facile amare il lontano che non vedi che il vicino che vedi, e che forse ti cos vicino da toglierti il tuo spazio. Daltra parte amare uno farglisi vicino, essergli prossimo. Perch lamore a distanza non esiste. Nella parabola del samaritano si chiarir chi il vicino (vv. 29-36). come te stesso. Devo amare il vicino non in modo assoluto, ma come me stesso (Lv 19,18). E io amo me quando amo Dio da tutto il cuore. Lamore per laltro deve quindi aiutarlo a raggiungere il suo fine, che quello di amare Dio in modo assoluto. Solo cos se stesso e si realizza. Amarlo di amore assoluto e immediato, cio in s e per me, idolatria ed egoismo, che distrugge me e lui. ros che fagocita tutto, thnatos (morte) che divora la vita. Io per lui e lui per me, detto tra uomini, solo immagine e somiglianza dellamore tra Dio e uomo. Posso e devo amare luomo di amore totale, ma solo in modo mediato, cio per amore di Dio, che lo ama di amore infinito. Solo cos lo amo in se stesso, per ci che . Diversamente lo amo per me e per ci che non . Amare un fratello per Dio non sottrargli qualcosa: accettare la sua verit e libert di figlio, che sempre rimane. Questo medesimo comando espresso in 6,31: Ci che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. La definizione, pi operativa, sulla linea della parabola successiva che la illustra. Legoismo fa porre il proprio io al centro di tutto; la conoscenza di Dio fa spostare il proprio centro dallio allaltro. la conversione allamore, che ci restituisce a noi stessi, facendoci simili a lui. Luomo un abisso infinito. Se riempito dellamore di Dio, come il sole che manda fuori i suoi raggi. Se si sente vuoto, un buco nero che assorbe e distrugge tutto nel nulla. Amare come se stesso pu anche significare che uno in grado di amare laltro solo se ama se stesso. E ama se stesso solo se si sente amato in modo diretto e assoluto, in s e senza condizioni. Questo lamore che ha Dio per noi in Ges, il samaritano. Grande virt volersi bene nel nome di Dio, e amare noi stessi come e perch lui ci ama. Inoltre amare come se stesso pu significare che un giusto amore per s fa conoscere cosa giova allaltro. la discreta caritas, lamore di un cuore illuminato dal discernimento. Inoltre nessuno pi cattivo di chi cattivo con se stesso: chi ama se stesso, ama tutti (Antonio il Grande). v. 28: Rettamente rispondesti. Lamore infatti la sintesi di tutta la legge come rapporto con Dio (Dt 6,4s) e con luomo (Lv 19,18). In Mc 12,34 Ges risponde: Non sei lontano dal Regno. Siccome nessuno osa pi interrogarlo, lui stesso provoca a riconoscere nello Spirito chi il Signore (Mc 12,34s). Chi aspetta il Regno deve osare e chiedere a Ges fino in fondo sullamore (cf. Mc 12,34 con 15,43). Solo cos ottiene, come Giuseppe, il suo corpo, in cui si manifesta pienamente chi il Signore: colui che per primo mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20). Questo dono introduce nel Regno. Luca mostra nel brano seguente chi il Signore da amare con tutto il cuore: il samaritano che mi ama. Questo fa e vivrai (cf. v. 37). La vita legata al fare la parola che Ges ha detto e per primo ha realizzato in s. Fare la sua parola vivere da figlio, ereditare la vita di Dio che amore (v. 25). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la scena, che legata strettamente alla precedente. c. Chiedo ci che voglio: amare Dio con tutto il cuore, amare me stesso come amato da Dio e

chiamato ad amarlo, amare il prossimo come me stesso. d. Traendone frutto, considero attentamente ogni parola di Ges. 4. Passi utili Sal 16; Dt 6,4ss; Gal 5,13-6,2; Rm 8,31-39; 13,8-10; 1Cor 13.

66. E A ME CHI VICINO?


(10,29-37)
29

Ora egli, volendo giustificare se stesso, disse a Ges: E a me chi vicino? 30 Rispondendo, Ges disse: Un uomo discendeva da Gerusalemme a Gerico e incapp nei briganti, che, spogliatolo e riempito di colpi, si allontanarono, lasciandolo semimorto. 31 Ora, per combinazione, un sacerdote discendeva in quella stessa via, e, vistolo, devi oltre. 32 Ora, similmente, anche un levita, venuto sul luogo e vistolo, devi oltre. 33 Ora un samaritano viaggiando, venne presso di lui e, visto, si commosse, 34 e, avvicinatosi, fasci le sue ferite, versando sopra olio e vino, e, caricatolo su ci che si era acquistato,

lo condusse nel tutti-accoglie e si prese cura di lui. 35 E lindomani, tirati fuori, diede due denari a chi tutti-accoglie e disse: Prenditi cura di lui; quanto spenderai di pi, io, al mio sopraggiungere, render a te. 36 Chi di questi tre sembra a te si fatto vicino a chi incapp nei briganti? 37 Ora egli disse: Chi fece misericordia con lui! Ora gli disse Ges: Va, e anche tu fa lo stesso! 1. Messaggio nel contesto La parabola del samaritano una miniatura di quel volto di Dio rivelato nellAT che Ges riflette pienamente nel suo: Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9). rivolta al legista, perch veda lamore Padre/Figlio aperto ai piccoli. Egli uno che, tutto teso nello sforzo di amare Dio e il prossimo, giustamente si chiede: Ma a me chi vuol bene?. Per luomo, infatti, prima dellamare, viene lessere amato: di amore si muore, di essere amato si vive! Se lamore di Dio e del prossimo il cammino della vita (v. 27s), luomo non lo percorre se non in senso inverso, proprio perch non si sente amato. La legge dellamore, buona in s, non fa che evidenziare il suo fallimento. La via alla salvezza diventa per lui condanna a morte! Ordinando: Va, e anche tu fa lo stesso (v. 37), Ges non ribadisce una legge impossibile. Sarebbe una beffa, non una risposta alla domanda: che fare per ereditare la vita? (v. 25). Fa invece un annuncio evangelico: in lui, il samaritano. Dio si preso cura di me e mi ha amato; perch anchio, guarito dal mio male, possa amare lui con tutto il cuore e i fratelli come me stesso. Il legista, che ha risposto esattamente su ci che scritto, ora chiamato a leggere (v. 26) che quanto scritto si va compiendo sotto i suoi occhi e nei suoi orecchi mentre ascolta Ges (cf. 4,21). C uno bollato come samaritano (Gv 8,48). perch, accogliendo i peccatori, trasgredisce tutta la Legge. Costui, che va oltre ogni limite per farsi vicino alluomo, rivela in realt lamore del Padre. Io scendo da Gerusalemme a Gerico e mi nascondo lontano da Dio; lui mi vede da lontano (cf. 15,20), fossi anche allestremit della terra (cf. Sal 139,1-12)! Io fuggo da lui; lui mi viene incontro in ogni abbandono, fino a dire: Dio mio, Dio mio, perch mi hai abbandonato? (Mc 15,34). Io sono incappato nei briganti; lui fin per me tra i malfattori (23,33.39-43). Io sono stato spogliato della sua immagine; la sua nudit mi ha rivestito (cf. 23,34b). Io sono stato coperto di percosse; dalle sue piaghe sono stato guarito (1Pt 2,25). Io sono stato abbandonato mezzo morto; il suo abbandono totale alla morte mi ha dato la vita (23,40). Io ho lasciato il Padre, perdendo la vita; lui me lha ridonata, consegnandosi al Padre (23,46). Egli sceso, ha visto (cf. Es 3,7s), si commosso, mi si fatto vicino e ha fasciato le ferite del mio cuore (cf. Sal 147,3), perch grazia e misericordia (cf. Es 33,19). il mio Dio, che mi ama di amore eterno (Ger 31,3)!

Ora anchio posso riamarlo di tutto cuore, unirmi a lui e diventare una sola cosa con lui. E perch nessuna briciola damore venisse sottratta alluomo che egli ama, si identificato con chi nel bisogno estremo; cos che, amando lultimo, abbraccio insieme lui e ogni uomo: ogni volta che avrete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli minimi, lavete fatto a me (Mt 25,40). Posso quindi amare con cuore indiviso lui e il vicino. Da quando lui mi si fatto vicino e fratello, posso amare Dio e luomo con lo stesso e identico amore con cui il Figlio e il Padre si amano. Per questo tu, pane di vita, ti sei fatto fame per nutrirci nel cammino; tu, acqua viva, ti sei fatto sete per dissetarci nel deserto; tu, accoglienza, ti sei fatto esule per ospitarci nella fuga; tu, gloria, ti sei fatto nudit per rivestirci nella vergogna; tu, forza, ti sei fatto debolezza per visitarci nella malattia; tu, Figlio, ti sei fatto schiavo per liberarci dalle catene; tu, giusto, ti sei fatto condannare per inchiodare il chirografo della nostra condanna e vincere in te ogni inimicizia. Sulla croce, albero della verit, hai voluto farti tutto ci che noi siamo e non vogliamo essere, per darci il tuo regno che avevamo rifiutato sullalbero della menzogna. Hai chiuso cos nelle tue braccia aperte ogni lontananza e hai compiuto la tua missione di Figlio: offrire a tutti i fratelli la misericordia del Padre. Ora il comandamento dellamore di Dio e del prossimo non pi legge impossibile, ma buona notizia, dono per tutti: coloro dei quali il samaritano si preso cura sono abilitati a percorrere ormai il suo stesso cammino. Luca non dice che i due comandamenti sono simili (Mt 22,39) o uno solo (Rm 13,9; Gal 5,14). Fa invece un ribaltamento: ci porta a vedere e accogliere quellamore di Dio per noi che ci permette di amare gli altri. Per questo sono beati gli occhi che vedono il samaritano (cf. v. 23) Nel racconto c un dissolversi di un personaggio nellaltro, quasi una sovrimpressione progressiva: luno si fa laltro fino a diventare tutti ununica persona. Il legista - insieme al sacerdote e al levita - chiamato a identificarsi colluomo mezzo morto, di cui si fa carico il samaritano che scompare allorizzonte verso Gerusalemme, dove porter su di s il suo male. Nel frattempo questuomo guarisce, grazie a uno che tutti-accoglie, perch gi prima accolto e guarito. Il nuovo guarito, a sua volta, potr anche lui accogliere, e prendersi cura di tutti i mezzi morti: diventer come colui che tutti accoglie, come il samaritano stesso, nellattesa dei suo ritorno. Questa unificazione di tutti in una sola persona il prodigio dellamore: amante e amato formano ununica carne. Dio ti si fatto vicino ed diventato il percosso e ferito che tu eri, in modo che tu, guarito, diventi il samaritano nei confronti di lui, che, nel frattempo, si fatto bisognoso di te. A questo punto lui te e tu sei lui. E tu, amando lultimo, ami direttamente lui, il primo, che si fatto ultimo di tutti per servire tutti e cos aver bisogno di ciascuno. Questa parabola mostra il messianismo di Ges, che Luca propone alla sua chiesa. Non ha nulla a che fare con un sogno millenaristico, in cui tutti marceranno uniti verso Gerusalemme o Roma, con un successo socio-politico-religioso di qualunque stampo, di sinistra, di destra o di centro. Si tratta piuttosto del cammino di chi si prende cura del male del mondo, che ci sar sino alla fine, e trova rifugio in un pandocheon (= tutti accoglie). Questa una fragile casa, sospesa tra Gerico e Gerusalemme, che nasce ovunque uno disposto ad accogliere tutti. lanticipo della Gerusalemme celeste, che al suo ritorno accoglier chi ha accolto. Il messianesimo di Ges non liquida la storia con la sua lotta tra bene e male, dove il bene perde e il male vince - appunto perch il male vuole vincere e il bene disposto a perdere per amore (cf. 6,27-35)! Nella storia rimane sempre la croce. Ma la vittoria dellamore, gloria e salvezza di Dio. Quando sar il Regno? lultima domanda ansiosa dei discepoli a Ges (cf. At 1,6). Non questione di tempi o di segni particolari: in mezzo a noi (17,21) in modo non appariscente. Il Figlio delluomo torna allo stesso modo in cui labbiamo visto nel suo camminare terreno fino al cielo (At 1,11): egli il Samaritano che, ormai con i piedi di tanti fratelli, va di continuo per le strade del mondo e porta tutti alla casa che tutti accoglie. In questa sua missione sono associati a lui quanti gi sono stati accolti. Il Regno, affidato al piccolo gregge (12,32), questa testimonianza di chi ripercorre il suo stesso umile cammino.

Lopera lucana termina con la figura di Paolo che, in una casa non sua, accoglie tutti a sue spese (At 28,30). il maestro dellagp, divenuto ormai come il suo Signore. Anche lui prima era un legista, zelante e irreprensibile nellosservanza della Legge (Fil 3,6). Ma mentre scendeva da Gerusalemme, gli si fa incontro Ges, il samaritano gi carico del suo male (At 9,4ss!). Si scopre cieco, atterrato e morto. quindi guarito e subito conquistato da lui che lo fa un vaso di elezione (At 9,15). Il senso della parabola ovvio: Ges si mostra con le stesse caratteristiche di quel Dio che ha salvato Israele; la sua missione prosegue nel discepolo che ha gi sperimentato in prima persona la sua misericordia. Una lettura della parabola, che escluda elementi allegorici, sembra inadeguata. Infatti c una pluralit di significati concentrici, che rimandano a un unico punto ineffabile: il volto di Dio in Ges! Ogni minimo dettaglio, con risonanze anticotestamentarie, lo abbellisce di colori e sfumature. Gi il Maldonado, commentando questo passo, accenna a un interessante metodo di lettura: stabilito il senso unico della parabola, cerca di distinguere, tra i vari particolari, quelli illustrativi (allegorici) da quelli di semplice contorno. 2. Lettura del testo v. 29: volendo giustificare se stesso. La Legge giusta e vuole render giusti. Per questo non giustifica, ma accusa chi la conosce. Pone nellalternativa di volersi giustificare o di essere giustificati da Dio. Il legista sceglie la prima soluzione. Ges cercher di farlo passare alla seconda, raccontando per lui, mezzo morto, questa parabola. a me chi vicino?. Sembra che si possa tradurre meglio cos la sua domanda. La risposta di Ges la volge comunque in tal senso. Il problema del legista non quello di individuare chi da amare: tutti sono da amare, vicini e lontani (cf. 6,27-38). La questione non chi devo amare ( quis diligendus), bens di chi mi ama ( quis diligens). Infatti nessuno pu amare n s n laltro n Dio se prima non ha sperimentato la vicinanza di chi lo ama. da notare che lo sposo e la sposa del Cantico si chiamano reciprocamente col nome di vicino, tradotto in italiano con la parola amico/a (1,9.15; 2,2. 10.13; 4,1.7; 5,2.16; 6,3s). Si potrebbe anche tradurre: Chi il mio amico, colui che mi ama e che amer con tutto il cuore?. Ges ci presenta se stesso come il samaritano: Questo il mio diletto, il mio amico (Ct 5,16). v. 30: Un uomo discendeva da Gerusalemme. il cammino di Adamo che va lontano e si nasconde da Dio. Se luomo fuggiasco, il Figlio delluomo pellegrino. Egli percorre la stessa strada, in senso inverso; lesule che torna in patria, perch ama e brama gli atri del Signore (Sal 84,3). incapp nei briganti. In questa fuga, luomo cade nelle mani del nemico, il menzognero e omicida fin dal principio, per la cui invidia entr la morte nel mondo (Sap 2,24). La sua menzogna ci fa fuggire da Dio e quindi cadere nella morte. spogliatolo. Chi ha una cattiva opinione di Dio, non si accetta pi come una sua creatura. Si sente quindi fragile e indifeso; avverte il proprio limite non pi avvolto dal suo amore, ma aggredito da lui e insidiato dal bisogno. Luomo non solo ha dei bisogni; bisogno dellAltro per essere se stesso: senza di lui, spoglio di s. riempito di colpi. La nudit non accettata vulnerabilit. Il nostro limite diventa mancanza di vita e prodromo di morte, che di continuo ci colpisce in attesa del colpo finale.

si allontanarono. Il nemico, una volta colpito, se ne va. semplicemente quello di nuocere, per invidia (Sap 2,24).

Ha raggiunto il suo fine, che

lasciandolo semimorto. Luomo, che non accetta di essere creatura di Dio, vive il vuoto di se stesso, langoscia e la paura della morte (cf. Eb 2,14ss). Conduce una vita mezza morta, che poi sar morte piena. v. 31: un sacerdote discendeva in quella stessa via . Il sacerdote il custode della Legge. Qualunque religione ne presenta una, come via per raggiungere Dio e cos guarire dal male di vivere. Ma nessuna legge in grado di fare ci! Infatti se sbagliata, accresce il male e ce lo fa pagare; se giusta, lo denuncia e ce ne fa soffrire! Per questo anche il sacerdote discende da Gerusalemme, si allontana da Dio, seguendo la stessa via di ogni uomo. vistolo. La Legge evidenze la caduta delluomo, vede il male nella sua malizia. Senza Legge infatti il peccato resta occulto. Ma, sopraggiunto il comandamento, il peccato ha preso vita, e io sono morto; la Legge che doveva servire per la vita, divenuta per me motivo di morte (Rm 7,9s). devi oltre. La Legge vede, ma non provvede. Anzi denuncia e segrega il male, descrivendo un cerchio di isolamento attorno al malato. Dicendo che bisogna andare oltre, lo uccide sanzionandone la morte! v. 32: similmente, anche un levita. Il levita laddetto al culto. Si ribadisce che nessuna legge e nessun culto, per quanto giusti, sono in grado di salvare luomo. Giungono sul luogo del male, toccano il problema, fanno la diagnosi precisa e lo lasciano comera, per di pi con la cattiva coscienza! Daltronde questa la loro funzione, per altro positiva e necessaria, di distinguere il bene dal male, il puro dallimpuro. Se si fermassero per solidarizzare e aiutare cesserebbero di essere ci che sono: dichiarazione del male e dellimpuro. E sarebbe peggio, perch dominerebbe la stupidit di chi non distingue la destra dalla sinistra: la semplice animalit, mossa dal bisogno e dal piacere immediato, diventerebbe legge, senza pi il minimo di ragionevolezza. La denuncia del male pedagogo a Cristo (Gal 3,24). v. 33: un samaritano. una persona non gradita ai custodi della Legge e del tempio. Rappresenta lempiet pagana nel cuore di Israele. Ges, che dalla Samaria ha indurito il volto verso Gerusalemme (9,51). Egli mangione e beone, trasgredisce la Legge dei padri (7,34; cf. Dt 21,20), bestemmia (5,21), mangia e beve con i peccatori e i pubblicani (5,30; 15,ls), tocca il lebbroso e si lascia toccare dalla peccatrice (5,13; 7,36ss), ha cambiato la legge di santit e la perfezione di Dio in misericordia per tutti i miseri (6,36)! A buona ragione lo chiamano: samaritano (Gv 8,48). Non conosce la spada dei cherubini che gli vietano laccesso al volto di Dio (Gn 3,24)? viaggiando. Egli sta andando in direzione opposta alluomo che scende da Gerusalemme: compie il viaggio dalla Samaria a Gerusalemme, nel quale si svolge la seconda parte del Vangelo. E chi costui che ascende, se non il Figlio delluomo che disceso (Gv 3,13)? Egli infatti disceso in tutte le zone di perdizione, le Samarie delluomo, per condurre gli esuli in patria, portando a tutti lamore del Padre. In lui, che si fa carico di noi, entriamo come figli nel Padre. La sua danza per la compiacenza del Padre di avere a casa tutti i figli (10,21s), passa attraverso la sua passione di Figlio perduto e ritrovato, morto e tornato in vita! Il suo viaggio a Gerusalemme lesodo di cui parlano con lui Mos ed Elia sul monte della trasfigurazione (9,30s).

venne presso di lui. La carne di Ges la venuta di Dio a visitare il suo popolo. Viene a noi, perch noi non possiamo andare a lui. In lui vediamo, ascoltiamo e tocchiamo lamore del Padre per il Figlio rivolto a noi, suoi fratelli perduti. Visto. la stessa azione del sacerdote e del levita. Ma l fu inefficace: solo constat e sanzion il male. Qui invece come locchio del Dio dellesodo: vide la miseria del suo popolo, conobbe i suoi dolori e scese per liberarlo (Es 3,7ss). si commosse. la caratteristica fondamentale di Dio: le sue viscere materne si muovono di commozione alla vista del male delluomo, suo figlio, che non pu non amare. Il viaggio del samaritano - la missione di Ges - la compassione stessa di Dio per i suoi figli. Questa espressione, oltre che a Ges quando vede la vedova madre del figlio morto (7,13), applicata al padre del figlio perduto, quando lo vede tornare da lontano (15,20). Locchio e il cuore del Padre lo stesso del samaritano, il Figlio che si perde per amore dei fratelli. v. 34: avvicinatosi (alla lettera: fattosi avanti). Dio si fa avanti: si candida nostro prossimo, vuol restarci vicino nel nostro male. Fa il contrario del sacerdote e del levita. Se il figlio cade nel burrone, il padre scende a cercarlo. Se cade nel pozzo e lacqua gli arriva sopra la testa, si mette sotto di lui. Il farsi vicino una decisione del cuore buono. Locchio cattivo vede e devia; locchio buono vede e si avvicina. fasci le sue ferite. Attraverso le ferite si perde il sangue, la vita, come lemorroissa. La vicinanza e il tocco della sua carne rimarginano la ferita mortale delluomo. versando sopra olio e vino. Ges ci cura con lolio, che fa splendere il volto (Sal 104,15). la sua parola, il cui ascolto fa risplendere sul nostro il suo volto. Luca pone in stretta connessione ascolto della Parola e guarigione (6,18). Come il male viene dallascolto della menzogna, cos la salvezza dallascolto della verit. Se la disobbedienza produsse la morte, Ges, Parola fatta carne e obbedienza al Padre fatto uomo, ci ridona la vita. Questolio anche lunzione della sua umanit che guarisce la nostra disumanit. Il vino il dono del suo Spirito, lebbrezza della nuova vita di figli. caricatolo su ci che si era acquistato. La parola greca, pi che giumento (cf. At 23,24), indica propriet, bene acquistato. E cos che si acquistato a caro prezzo (1Cor 6,20; 7,23), se non il proprio corpo? Infatti gli cost tutto ci che era, lo svuotamento e la rinuncia alla forma di Dio per prendersi quella del servo (Fil 2,6ss): da ricco che era si fatto povero, per acquistare un corpo su cui caricare il peso della nostra miseria e arricchirci con la sua povert (2Cor 8,9). Questo giumento lumanit di Ges, la sua miseria di piccolissimo e di servo (9,48; 22,27), lasinello su cui il Signore fece lingresso nel suo regno (19,38 = 2,14!). Infatti egli port i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perch noi vivessimo (1Pt 2,24). Veramente la sua umanit, nuda e ferita a morte, si caricata di ogni nostra spoliazione e percossa. La croce di Ges il luogo in cui Dio si fa prossimo a noi, nella nostra stessa maledizione. Noi la meritiamo e non la vogliamo; lui non la merita, ma la vuole per starci vicino. Luca ci presenta un messia crocifisso, giusto giustiziato (cf. 23,50): lEmmanuele, che vuol subire la nostra stessa condanna per stare con noi, perch ci vuol bene. Cos ci aperto il Regno (23,40ss). lo condusse nel tutti-accoglie. Lalbergo che accoglie-tutti figura di Ges che, nel suo cammino a Gerusalemme, raccoglie e ospita tutti gli esclusi dalla Legge e dalla vita. Dopo la sua dipartita e nellattesa del suo ritorno, anche figura della comunit di coloro che fanno come lui. la casa di Maria

(10,38ss) posta tra Gerico e Gerusalemme, dove accolto lui stesso, povero e pellegrino. L i fratelli si raccolgono nel Figlio, lo ascoltano e imparano a dire: Abb (cf. 11,1ss). In questa casa chiunque nel bisogno trova ospitalit, pagata in anticipo dal samaritano. In essa, accogliendo il fratello nel bisogno, si accoglie colui che si fatto piccolissimo, schiacciato da tutta la debolezza del mondo. Nel fratello bisognoso si accoglie il proprio Signore generoso. Nessun male escluder mai dallaccoglienza. Nella croce del Figlio ha gi trovato rifugio tutto il male del mondo. Ogni miseria sar solo misura della misericordia. e si prese cura. Il verbo esprime, nella sua forma greca (aoristo), la cura che Ges si accollato nel tempo determinato della sua vita terrena. Dopo di lui, e come lui, faranno nel suo nome quelli che da lui sono stati curati: diventeranno albergatori, ossia tutti-accoglienti (vedi Paolo in At 28,30s). v. 35: lindomani. Il soggiorno del Samaritano con noi fu breve. Oggi domani e dopodomani bisogna che io vada per il mio cammino dice Ges, il terzo giorno avr finito (13,33.32). Il primo giorno quello della preparazione e della realizzazione della sua venuta: si estende dalla creazione alla sua ascensione, che la conclude. Il secondo giorno tutto il tempo che segue: il tempo della chiesa che ascolta e vive nella storia il suo oggi. Il terzo sar il giorno senza fine della gloria, quando sopraggiunger. In questi tre giorni, che abbracciano tutto il tempo, egli sempre in cammino. Nelleucaristia ci donato di riviverli: proclamando la sua morte, viviamo nel secondo il primo giorno; annunciando la sua risurrezione, nellattesa della sua venuta, anticipiamo con trepidazione la festa del terzo. due denari. Prima di andarsene, il Samaritano ci ha lasciato ci con cui vivere, oggi e domani: la capacit di amare. Dopo che lui ci ha amati per primo, anche noi ora possiamo amare Dio e il prossimo, e cos ereditare la vita (vv. 28.25). I due denari, oltre che i due comandamenti, possono rappresentare anche le promesse e il compimento, la legge e levangelo. Certamente Ges ha pagato di persona tutto il prezzo dellamore dei Padre e dei fratelli. quanto basta per vivere fino al suo ritorno. Prenditi cura. Questi due denari li spendiamo prendendoci cura del prossimo, amandoci come e perch lui ci ha amati. Questo prendersi cura la missione della chiesa che continua quella del samaritano ormai assente. lordine di Ges (vv. 28.37). quanto spenderai di pi. Il sovrappi verr abbondantemente ripagato al suo ritorno. Lamore deve moltiplicarsi e produrre frutto come il denaro investito. Chi non linveste perde tutto (cf. la parabola delle mine: 19,11ss). Infatti chi accetta di essere amato e perdonato, a sua volta ama e perdona (11,4). Se siamo generosi nel dispensare quanto ci stato dato, siamo accolti nelle dimore eterne (16,1-11). Donando, ci viene data la nostra vera ricchezza (16,12): diventiamo come lui, misericordiosi come il Padre (6,36). Questo il frutto centuplo della Parola (8,8.15). al mio sopraggiungere. Il suo sopraggiungere non sar quello del ladro indesiderato, ma del Signore atteso, che viene a servirci nel banchetto del Regno (12,35-48; cf. 17,7ss; 22,27). Sopraggiungere in Luca usato solo qui e in 19,15. Indica il ritorno del Messia, investito della sua autorit regale. Ritorner allimprovviso per dare il premio ai suoi servi fedeli che hanno fatto fruttare le mine ricevute. la sua seconda venuta, nella gloria. render a te. Questa restituzione insieme un dono e un debito di giustizia (2Tm 4,8): il premio che la sua promessa ha stabilito per chi vince. Il premio un debito, perch dovuto secondo la promessa a chi lha meritato; ma anche un dono, perch sorpassa ogni merito. Infatti la sua promessa

pi grande di ogni fama (Sal 138,2). Questo dono Dio stesso che si offre come premio a chi lo accoglie. la grande mercede, la misura sovrabbondante data a chi dona per amore (6,35.38). v. 36: Chi... vicino?. Il vicino nel v. 27 colui che bisogna amare come se stesso. Qui il vicino colui che mi ama pi di se stesso: il Signore. Se lui mi cos vicino, e mi ha amato e ha dato se stesso per me, anchio posso amarlo con tutto il cuore e vivere per lui, che morto per me (Gal 2,20). Vedere in Ges lamore del Padre per me il vangelo, passaggio dalla lettera che uccide allo Spirito che d vita (2Cor 3,6). Ges il Dio che si fatto prossimo alluomo, per amarlo ed essere riamato. Beati quindi gli occhi che vedono il Samaritano, e ascoltano in lui la tenerezza di Dio! v. 37: Chi fece misericordia. Far misericordia, sintesi di tutta lazione storica di Dio verso luomo (cf. Sal 136), il senso della missione di Ges. Egli infatti pass benedicendo e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perch Dio era con lui (At 10,38). Con lui scesa sulla terra la misericordia stessa del Padre. Vicino a ogni uomo che scende da Gerusalemme c ormai uno che vede e fa misericordia. Ora anche il legista, vedendolo e sentendolo, in grado non solo di sapere cosa scritto, ma anche di riconoscerlo realizzato (cf. vv. 26; 4,16-21). La Legge si fa vangelo sotto i suoi occhi. Va, e anche tu f lo stesso. Noi abbiamo riconosciuto e creduto allamore che Dio ha per noi (1Gv 4,16). Questo ci fa uomini nuovi, capaci di metterci in cammino (va) e compiere la sua stessa missione (fa lo stesso). Durer fino alla fine del tempo, quando tutti i fratelli saranno portati nel pandocheon. Allora sar il ritorno in gloria del Figlio, ancora perduto e da ritrovare tra gli ultimi fratelli perduti. Egli infatti il primo che si fatto ultimo di tutti, lunico che non volle restare solo, per essere il primogenito tra numerosi fratelli (Rm 8,29). Ora anche il legista, che ha chiesto: a me chi vicino?, sa la risposta. Vicino a lui, mezzo morto sulla strada che scende da Gerusalemme, c uno. Come Paolo, pu vedere in lui la compassione di Dio che lo porta al pandocheon. Da l pu partire e fare altrettanto, dando ci che lui stesso ha ricevuto. I vari personaggi del racconto. anche i pi disparati, alla fine sono le mille sfaccettature di un unico volto bellissimo e misterioso: quello del Figlio che lo stesso del Padre. Dio realmente tutto in tutti attraverso la misericordia. Il rapporto chiesa-mondo definito da queste parole di Ges, che invia la chiesa a continuare la sua stessa missione di Samaritano: Va, e anche tu fa lo stesso. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la strada che va da Gerusalemme a Gerico, passando attraverso il deserto di Giuda. c. Chiedo ci che voglio: sperimentare la cura del samaritano per tutte le mie ferite. d. Traendone frutto, immedesimandomi con 1uomo incappato nei briganti, vedere e sentire tutto ci che il samaritano fa per me. Da notare ogni sua singola azione e considerazione, come se fosse per me. 4. Passi utili Sal 18; Dt 30,10-14; Sal 147; 103; Es 3,7-12; Is 53.

67. SEDUTA, ASCOLTAVA LA SUA PAROLA


(10,38-42)
38

Ora, nel loro viaggiare, egli entr in un villaggio. Ora una donna, di nome Marta, lo accolse in casa. 39 E costei aveva una sorella, chiamata Maria, la quale, addirittura seduta accanto, presso i piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40 Ora Marta era distratta in giro nel molteplice servizio. Ora, fattasi sopra, disse: Signore, non ti curi che mia sorella sola mi abbandon a servire? Di dunque a lei che mi venga ad aiutare. 41 Ora, rispondendo, disse il Signore: Marta, Marta! Ti affanni e ti turbi per molte cose. 42 Ora di una sola cosa c necessit. Maria infatti prescelse la parte buona che non le sar tolta. 1. Messaggio nel contesto Ges ricevuto due volte in casa di farisei (7,36ss; 14,1ss), e due volte in casa di peccatori (5,27ss; 19,1ss); da questi con gioia, da quelli con critiche. Qualcosa di simile accade con Marta. Essa lo ospita, ma la vera accoglienza offerta da sua sorella Maria, che essa biasima e che Ges difende (cf. 7,36ss)! Il samaritano ora pu fermarsi nel suo cammino verso Gerusalemme: c una casa che lo accoglie. Ma ci sono due modi di accoglierlo: Marta e Maria. La maggiore probabilmente figura di un certo Israele: tutta occupata nel fare molte cose per colui che per tre volte chiamato il Signore, osserva i 613 precetti per prepararsi allincontro con lui. Ma non si accorta che giunto. Maria, la minore, lIsraele che conosce la visita del suo Signore. Come Maria di Nazaret, dice eccomi e ne accoglie la Parola. Per questo blocca tutti gli altri servizi e gioisce della presenza dello Sposo, la cui gioia che la sposa gioisca. Si siede ai suoi piedi e ne ascolta la voce. una dei figli del talamo. Sono giunte le nozze (5,34): da discepola della Legge, diventa discepola del Signore.

La casa di Marta - in quanto casa di Maria! - quel pandocheon sospeso tra Gerico e Gerusalemme dove il samaritano si ferma col suo peso e si riposa. Accolto, lui stesso che accoglie e insegna il mistero dellaccoglienza del Padre nei fratelli. Qui egli rivela il mistero del Padre e del Figlio a chi lo ascolta: lo guarisce con il balsamo della sua presenza, lo inebria con il vino della sua parola, perch possa seguirlo nel suo cammino. Questa Maria, sorella di Marta e di Lazzaro, la stessa che in Gv 12,3 compie lunzione di Betania narrata dagli altri due sinottici (Mc 14,3-9; Mt 26,6-13). Potrebbe essere quella di 7,36ss: irrora di lacrime e asciuga coi capelli, profuma e bacia i piedi di colui che ha tanto camminato per farsi vicino a lei. Ora, riconciliata, ha una casa dove accoglierlo (cf. 5,24.25.29): lei stessa, i cui occhi si beano del suo volto e i cui orecchi ne accolgono la parola. Con libert sovrana gode del suo amore, senza badare al disappunto della brava Marta, come prima non bad a quello di Simone, fariseo o lebbroso che sia. E Ges lapprova senza riserve! La sua presenza gioia per Maria, e fatica per sua sorella Marta. Le due non sono in semplice opposizione: sono sorelle! La contrapposizione vista solo da una che vuole richiamare laltra al suo dovere. Ges invece richiamer Marta a trasformarsi in Maria. Lattesa si apra al suo compimento e in esso si plachi! Non esatto contrapporre Marta e Maria come azione e contemplazione. Luca vuole semplicemente purificare lazione nella contemplazione. Sorgente dellazione di Maria lascolto e la gioia dello Sposo. Riconoscendo e stando vicina a colui che le si fatto vicino, in grado di fare quanto lui dice: Va, e fa lo stesso (v. 37). La sua azione scaturir dalla contemplazione, e non se ne staccher mai: rester sempre contemplativa anche nellazione. In lei si vede il capovolgimento operato dal vangelo; pu finalmente amare e accogliere, perch lui per primo lha amata e accolta (1Gv 4,10). Il silenzio assoluto di Maria, che non fa e non dice niente, il perfetto rinnegare il proprio io (9,23) che si affanna ad affermarsi, col bene o col male poco importa, pur di essere protagonista. Dimentica di s, si realizza nella forma pi alta di vita: per laltro e dallaltro, tutta intenta in colui che ascolta, tutta accolta nellaltro che accoglie. In Maria che ascolta e vede il Samaritano, c la consumazione della beatitudine del discepolo: vedere e ascoltare il Signore (vv. 23s). Il brano ci richiama il fondamento del nostro discepolato. Non consiste nelle cose che si fanno - pure necessarie e importantissime! - ma nellascoltare Ges. La sua parola la prima opera di misericordia del Padre verso tutti i suoi figli. Per questo i discepoli dicono: Non giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense (At 6,2). Infatti non di solo pane vive luomo (4,4 = Dt 8,3), ma di ogni parola che esce dalla bocca dei Signore (Dt 8,3), poich lui la sua vita (Dt 30,20). Questa parola un seme che, accolto, fruttifica nel pane che ci d la vita del Figlio. Partecipiamo cos alla sua compassione e agiamo come lui, che fa ci che vede fare dal Padre (Gv 5,19). 2. Lettura del testo v. 38: nel loro viaggiare. il camminare del samaritano verso Gerusalemme. Ora non pi solo. Luca parla del loro viaggiare. Stanno con lui coloro ai quali gi si fatto vicino. una donna, di nome Marta, lo accolse in casa. Era sconveniente per un uomo essere ospitato da una donna. Leffetto voluto, tanto pi che sappiamo che essa sorella di Lazzaro (Gv l1,1s; 12,1ss). Nel cammino, anzi nellesodo di Ges (9,3), tutta Gerusalemme chiamata a riconoscere la visita del Signore (13,34s; 19,41ss). Per ora accolto solo da questa donna, o meglio, come vedremo, da sua sorella! Pi oltre sar accolto dal pubblicano Zaccheo (19,1ss)! Ges, stranamente, accolto dai pi lontani - da chi non pu accoglierlo o non pu volerlo (cf. 18,23.24.25!). Anche lui sta facendo un

cammino strano per un samaritano: andare a Gerusalemme! Immediatamente dopo la scena, per certi aspetti analoga, di 7,36ss, c una sezione sulla verifica dellascolto. In essa da una parte c una costellazione di termini che indicano accoglienza (donna, terra, ascolto, madre, fare) e dallaltra la Parola paragonata al seme, bisognoso di essere accolto come dalla donna che ascolta, lo custodisce e diventa terra feconda (8,1-21). proprio della donna accogliere e generare, diventando come Maria, arca dellalleanza, casa di Dio (cf. 1,38.45; 2,19. 51; 8,21; 11,27s)! Luomo infatti la sposa di Dio. Lui lo Sposo da accogliere nel suo amore e da riamare con tutto il cuore (cf. v. 27). v. 39: Maria. Probabilmente la sorella minore, dato che lincombenza dellospitalit lasciata a Marta. quella che in Gv 12,3 profuma Ges per lultima tappa del suo viaggio. Lo profuma per i tre giorni, in cui resister l da solo (cf. 2,43). Tale unzione non ricordata da Luca, perch ha gi narrato lidentico fatto, arricchito di dettagli, in 7,36ss. Se questa Maria la stessa donna di 7,36ss, si capisce meglio il suo atteggiamento. Raccolta per strada, difesa nella casa di Simone il fariseo (7,36.40), che in realt il lebbroso immondo (cf. Mc 14,3), associate al suo viaggio (Maria di Magdala di 8,2?), ritorna a casa sua (cf. 5,24.25), a Betania, dove fa la vera accoglienza al Samaritano. Questa casa, alle soglie di Gerusalemme, sorge ovunque il Signore accolto e accoglie. il pandocheon del v. 34! addirittura seduta accanto. Interrompe tutto e sta seduta, nellatteggiamento del discepolo. La sua unica attivit ascoltare il maestro. Si sottolinea questo sia perch era vietato alle donne essere discepole, sia per contrapporlo allatteggiamento di Marta. Trasgredisce ogni formalit. Addirittura, invece di servire e compiacere al Signore, semplicemente si compiace di stargli vicina e udirne la voce. Essa non pi la serva, ma la Sposa. Questo susciter in Marta disappunto misto a invidia. presso i piedi del Signore. Sono i piedi del Pellegrino della Samaria (9,51ss), i piedi del Samaritano che va a Gerusalemme, sulla via della pace (cf. 1,79; 7,50; 8,48), quei piedi che, da tutti gli angoli di perdizione dei mondo, camminano verso il Padre. Questi piedi sono ben noti, sette volte noti alla peccatrice in casa di Simone (cf. 7,38.44-46!). Sono i piedi di colui che d amore e perdono, sui quali si riversano le sue lacrime e i suoi capelli, i suoi baci e i suoi profumi. Veramente sono i piedi del Signore, colui che da amare con tutto il cuore (v. 27)! Ges in questo racconto chiamato Signore per tre volte, di cui due volte dal redattore. Per Maria Ges a pieno titolo il suo Signore. ascoltava la sua parola. Maria la prima che obbedisce alla voce che disse del Ges solo che va verso Gerusalemme: Questo il mio Figlio, leletto; ascoltate lui! (9,35). Si mette negli orecchi la parola: il Figlio delluomo sta per essere consegnato in mano degli uomini (9,44). ci che i discepoli ignorano e non percepiscono (9,45), ma che il Padre e il Figlio si compiacciono di rivelare ai piccoli (vv. 21s): lamore del Padre verso il Figlio, e in lui per tutti. Marta, figura del popolo sotto la legge, fa molti servizi in attesa dello Sposo; Maria, figura della chiesa, accetta ci che lui fa per lei, lolio e il vino della sua vicinanza. Al tentativo impossibile di piacere al Signore, sostituisce il piacere di stargli vicino, perch le si fatto prossimo. La contemplazione e lascolto ai piedi del Signore lazione somma delluomo: lo genera figlio di Dio e lo associa alla missione di Ges. Ogni missione parte dai suoi piedi, perch ad essi porta. utile osservare una cosa, forse ovvia per noi, ma non altrettanto per gli antichi: anche la donna chiamata ad essere discepola a pieno titolo. Discepolo chiunque ascolta e accoglie il Signore. A ci subordinata ogni altra funzione nella chiesa, compresa quella gerarchica. v. 40: Marta era distratta in giro nel molteplice servizio. Marta presa, agitata e smembrata da tutte le cose che si devono fare, secondo la Legge e la convenienza. Conosce il suo dovere! Sua sorella seduta, e lei tutta indaffarata! Quando capir che la vera accoglienza lascolto? Ci che Dio ama il compiacersi di lui, non il tentativo di soffocarlo per piacergli. La contrapposizione Marta e

Maria, schematica e calcata, c, ma non definitiva. Marta espressamente invitata a diventare come Maria. Questa, a sua volta, assumer in modo nuovo il servizio di Marta, perch ascolta la parola che dice: Va, e fa lo stesso (v. 37). La tensione Legge/evangelo si risolve proprio perch evangelo solo permette di compiere la Legge. Infatti pu amare solo chi amato. fattasi sopra. Maria e Ges sono seduti. Marta, in piedi, incombe, in posizione di superiorit e di giudizio. Signore, non ti curi. Pi che dellaiuto di Maria, Marta invidiosa dellapprovazione che il Signore d alla sorella. Desidera che il Signore la rimproveri, e cos approvi lei, che sa cosa fare e fa ci che sa. Questo riconoscimento della sua bravura sarebbe gratifica sufficiente per lei. il rimprovero che Israele, sotto il peso della Legge, muove ai discepoli, il cui giogo soave (cf. Mt 11,30). il rimprovero del figlio maggiore al minore e al Padre stesso. Forse anche adombrata una certa tensione costante che si crea nella comunit tra azione e preghiera e che va superata ponendo in questa il principio e il fine di quella. Diversamente, come Marta, oltre il danno si ha la beffa di faticare e sentirsi disapprovati! Non conta fare tanti servizi per lui! Giova di pi farsi lavare i piedi che sforzarsi di essere tutti lindi. Chi ha orecchi, capisca! Marta deve capire che bisogna diventare Maria. quanto capisce Paolo in Fil 3,1-11. mi venga ad aiutare. In greco c laoristo, non il presente. Significa che non pretende - cosa impossibile! - che la sorella laiuti sempre. Ma almeno una volta, questa volta! chiaro che a Marta interessa lapprovazione implicita di quanto fa lei nella disapprovazione esplicita di sua sorella. v. 41: Marta, Marta. chiamata due volte, come Mos (Es 3,4) e come Samuele lultima volta (1Sam 3,10). chiamata e richiamata, in modo solenne. segno di una grande vocazione; quella di Israele e del legista, chiamati a riconoscere/leggere nel samaritano il compimento di ci che scritto nella Legge (v. 26). Ges non rimprovera Marta; la esorta a diventare come Maria. In lei chiama il legista e Israele stesso ad ascoltare la voce dello Sposo. Nel suo cammino si fatto vicino e fratello, per poter essere baciato e accolto in casa. L insegna ci che nessuno ha mai udito: larte dellamore che solo Dio conosce (cf. Ct 8,1s). La chiamata di Marta analoga a quella del fariseo Saulo: Saulo, Saulo, perch mi perseguiti? (At 9,4). Egli passer dalla irreprensibilit della Legge alla sublimit della conoscenza di Cristo Ges, suo Signore; conquistato da lui, correr sul suo stesso cammino, per giungere dove lui arrivato (Fil 3,6.8.12). Ti affanni e ti turbi per molte cose. Principio del servizio di Marta, fino a quando non diventa come Maria, il proprio io. Lio religioso il pi duro a convertirsi, perch non ne sente il bisogno. Si ritiene infatti a posto perch cerca di piacere e sacrificarsi a Dio. I molti servizi nascono da una sorgente inquinata, e sono segnati da turbamento e affanno. Si pu arrivare anche a eroismi supremi, fino a morire per laltro (cf. 22,33), per affermare il proprio io. Ma la salvezza delluomo non morire per Dio, bens Dio che muore per lui. La prima superbia diabolica, di chi pretende di porsi alla pari con Dio. Inoltre segno di ignoranza: si immagina un Dio cattivo che esiga la vita! La seconda invece il vangelo: lannuncio indubitabile dellamore di Dio per luomo! Si pu osservare la legge dellamore solo perch lui per primo mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20). Diversamente la Legge resta una pretesa umana, che condanna il fratello e non conosce Dio: serve solo a essere pi bravo dellaltro e a posto con Dio. Gli empi sono come un mare agitato che non pu calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. Non c pace per gli empi (Is 57,20s). La peggiore empiet quella del giusto che agisce per compiacersi di s, cercando anche lapprovazione di Dio (cf. 18,9-14).

v. 42: di una sola cosa c necessit. Lunica cosa necessaria alluomo per vivere lessere amato senza condizioni. Chi ascolta il Samaritano, se ne accorge. Scopre, come nellEden, che tutto il creato dono del Creatore alla sua creatura. Tutto per luomo, e luomo per Dio che tutto per lui in tutte le sue creature. Chi ascolta la menzogna del serpente, preso da paure; comincia ad agitarsi, intorbidendo sempre di pi la propria vita e comprendendo sempre di meno. La stessa legge religiosa diviene un mezzo per affermarsi, per difendersi da Dio e comperare il suo amore. Contro tutti gli affanni, nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nellabbandono confidente sta la vostra forza (Is 30,15; cf. Es 14,13). Convertirsi abbandonarsi al suo amore per noi, che vediamo e ascoltiamo stando ai piedi di Ges. Egli ci rivela la tenerezza dei Padre: lunica cosa necessaria. venuto e ha bussato alla porta. Maria ha aperto. Messa da parte laffannosa ricerca, dice con la sposa: Trovai lamato del mio cuore. Lo strinsi fortemente e non lo lascer (Ct 3,4). veramente stolto attendere a fare tutti i preparativi per lo sposo e non riconoscerlo quando arriva! Maria. Come la donna di 7,36ss, il centro del racconto. L fu il fariseo a criticare, nellunzione di Betania, i discepoli, qui la sorella. Essa tace. Ges ne prende le difese. Solo lui capisce lei, che sola lo ha capito. Ma non dice neanche una parola. Ges la sua parola. Essa puro silenzio: il silenzio assoluto che, come la verginit di Maria, solo pu concepire la Parola. Essa laccoglie con cuore bello e buono, si fa sua casa. sua madre sulla terra (cf. 8,15.21; 11,27s), come il Padre lo nel cielo. La generazione eterna del Verbo in seno al Padre (v. 21s), avviene nel tempo in casa di Maria che lo ascolta in silenzio. Questo silenzio la spoliazione assoluta, oblio del proprio io: lestasi dellamore di chi contempla ed tutto in colui che, accolto, accoglie. la parte buona. Parte significa eredit. Fra le due parti, Maria ha scelto quella buona. Anzi quella ottima. Essa pu dire: Il Signore mia parte di eredit, per me la sorte caduta su luoghi deliziosi, magnifica la mia eredit (Sal 16,5.6). Sono espressioni del salmo del levita: senza terra promessa, ricorda a tutti che la vera promessa colui che promette. Il dono segno di chi si dona! Lei ha capito, e pu dire: Tu sei con me, per questo non manco di nulla (Sal 23,4.1). Vera eredit della terra promessa il Signore stesso, riposo delluomo, suo settimo giorno. non le sar tolta. Agostino fa dire da Ges a Marta: Tu navighi, essa in porto. Siamo fatti per amare Dio con tutto il cuore. Il resto tutto e solo a questo fine, e siamo inquieti fino a quando non riposiamo in lui. Di fronte a lui tutte le altre cose promesse e donate sono un semplice pegno, come lanello di fidanzamento nei confronti dello sposo. Egli la nostra eredit che dura sempre: un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma (12,33). Il cuore di Maria gi dove il suo tesoro (12,34). Essa ha scelto il Signore, principio e fine di tutto. Ha preferito la sorgente dacqua alle cisterne screpolate, costruite con tanto affanno, che perdono acqua (Ger 2,13). Qui attinge e vive. Accoglie Ges come si sente accolta, e ascolta la parola che la unisce al suo cammino: Va, e fa anche tu lo stesso (v. 37). Maria una Marta convertita alla compassione del Signore: diventa la casa che accoglie tutti nel Samaritano che tutti accoglie. Questa casa prelude ci che sar alla fine, quando tutti, insieme accolti e accoglienti, riceveranno e daranno amore. Allora sar finita la fatica del Samaritano. Non rester che la parte di Maria, lottima, perch Dio stesso accolto dalluomo. Seduta ai suoi piedi, gi ora si nutre della parola di vita. Il seme germina e si fa pane per il lungo cammino che ancora resta. Ma la dolcezza della voce dello sposo gi laccompagna. Maria ha lanticipo di ci che Dio vuol donare a tutti. Per questo non le verr mai tolto. Il suo bene stare vicino a Dio (Sal 73,28). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito.

b. Mi raccolgo immaginando di essere nella casa di Lazzaro a Betania. c. Chiedo ci che voglio: capire e scegliere la parte buona, che non sar tolta. d. Traendone frutto, vedo, ascolto, osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - accogliere in casa - Maria, seduta ai piedi di Ges, ascolta la parola - Marta distratta in giro dal molteplice servizio - le parole di Marta a Ges - le parole di Ges a Marta - il silenzio di Maria. 4. Passi utili Sal 14; Gn 18,1-10; Fil 3,1-11; Is 57,20s; 30,15; Es 14,13; Cantico dei Cantici.

68. PADRE
(11,1-4)
11 1 E avvenne, mentre egli stava pregando in un certo luogo, quando ebbe cessato, disse uno dei suoi discepoli a lui: Signore, ammaestraci a pregare, come anche Giovanni ammaestr i suoi discepoli. 2 Ora disse loro: Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, 3 venga il tuo regno, il pane nostro di domani da a noi ogni giorno, e rimetti a noi i nostri peccati 4 perch anche noi stessi rimettiamo a ogni nostro debitore. E non indurci in tentazione. 1. Messaggio nel contesto

La missione del samaritano sar compiuta solo quando tutti gli uomini diranno Abb. Questa la parola che ci genera nella nostra verit di figli. Ges venuto a insegnarcela, se lo ascoltiamo come Maria. Dopo averci svelato il suo mistero di Figlio e di fratello, con questa preghiera ci fa entrare nella paternit di Dio: in essa desideriamo quanto ci occorre per viverla. quanto lui stesso ci dona nelleucaristia, in cui offre se stesso come nostro cibo. Solo alla fine cesser la preghiera di richiesta del pane (vv. 3.5-8) e dello Spirito (vv. 9-13) perch avremo la sua pienezza di vita. Allora esulteremo con lui nello Spirito. Questa danza di amore il fine di tutta la creazione, delle sue sofferenze e delle sue doglie (Rm 8,19-23). il suo fine perch la sorgente da cui scaturita. Questa preghiera un dialogo diretto tra un tu, che il Padre, e un noi, che il vero io, in quanto in comunione con il Figlio e con i fratelli. In Ges posso riprendere a rispondere tu al Padre che nel suo infinito amore da sempre mi ha rivolto la sua parola. In questo tu che rivolgo al Padre, nella solidariet con me del suo Figlio, ritrovo anche il noi dei fratelli. La scoperta della paternit fonda e costruisce la fraternit. Senza il tu non c preghiera. E non c neanche luomo, che o fuga da s o risposta al tu che Dio gli rivolge. Ma anche senza il noi non c preghiera, perch non si pu stare davanti al Padre separati dal Figlio e dai fratelli. Sarebbe negare la sua paternit, proprio mentre lo chiamiamo: Padre. Per questo, se non amo e perdono i fratelli, non amo il Padre: non ho accettato il suo amore e il suo perdono nel Figlio. Pregare in spirito di verit questa preghiera, gi lesaudimento stesso di ogni preghiera. Infatti, chiamando Dio col nome di Padre, ne accettiamo la paternit e gli chiediamo quel pane che sempre necessario ogni giorno: il suo amore e il suo perdono, per amare e perdonare i fratelli. Ci che chiediamo nel Padre nostro gi tutto realizzato e donato a noi nel Figlio: la santificazione del Nome, il regno, il pane, il perdono e la forza della fiducia. Chiedendolo, apriamo la mano per riceverlo. la miglior preghiera che possiamo fare sia per noi che per i fratelli; chiediamo quei doni che il Padre vuol fare a tutti nel Figlio. 2. Lettura del testo v. 1: mentre egli stava pregando in un certo luogo . La preghiera comunione con Dio. Quella di Ges si svolge in un luogo e tempo indeterminato, perch in ogni luogo e in ogni tempo. Lui loggi eterno di Dio, luogo stesso della preghiera del discepolo, sempre fatta nel suo nome (Gv 14,13). Il suo nome, in quanto persona umana-divina, la preghiera sempre ascoltata, la perfetta comunione tra uomo e Dio, unit damore Padre/Figlio. Ora, grazie a lui, la preghiera di Abramo per Sodoma e Gomorra pu aggiungere la settima richiesta di un solo giusto che risparmia tutti (Gn 18). Abramo si dovette fermare alla sesta, perch non cera ancora il giusto a lui promesso come sua discendenza, nel quale sarebbero state benedette tutte le famiglie della terra (Gn 12,3). Pregare entrare in Ges, intercessione eterna per noi che in lui siamo creati e salvati. Pregare ascoltare il suo s eterno alla compiacenza del Padre, partecipare alla sua filialit, gioire del suo stesso amore del Padre. La novit che egli venuto a portare sulla terra il suo rapporto col Padre (10,21). Qui ci viene donato di chiederlo, perch lo possiamo desiderare e ottenere come dono. Ogni creatura ha in s la propria natura. Luomo invece no, perch la sua natura specifica quella di essere a immagine e somiglianza di quel Dio che amore. E lamore ha il suo centro fuori di s: eccentrico, mosso dal desiderio dellaltro, la stella che gli manca. Per questo luomo diventa ci davanti a cui si sta, secondo loggetto del suo desiderio. Questo diventa il suo fine, verso cui tende e in cui si realizza. Nella preghiera cristiana ci mettiamo davanti a Dio e accettiamo di essere amati da lui come Padre e di amarlo come tale nei fratelli. Cos realizziamo la nostra natura di suoi figli.

disse uno dei suoi discepoli a lui: Signore, ammaestraci a pregare. Un discepolo indeterminato, cio ogni discepolo, rivolge a lui la domanda e impara da lui a dire Abb. Lui il Figlio che conosce e rivela il Padre (10,21). quindi il solo maestro interiore di preghiera. Questa lunica cosa che il discepolo chiede al Signore di insegnargli. E non gli chiede poco. La preghiera cristiana entrare nel dialogo di Ges con il Padre. Egli lunico che ne conosce il linguaggio, perch ne il Verbo eterno. Pregare desiderare, ascoltare, credere e sentire lo Spirito del Figlio che geme in noi e in tutto il creato. La vita di Ges, Verbo di Dio, il suo colloquio di amore con il Padre, dal quale tutto riceve e al quale tutto d. Cos anche noi, figli nel Figlio, abbiamo nella preghiera la nostra sorgente di vita. Per questo, chi ha imparato a pregare, ha imparato a vivere (s. Agostino). Si impara a pregare pregando Ges di insegnarcelo. La preghiera dono suo, non conquista nostra. come anche Giovanni, ecc.. Il tipo di preghiera qualifica il tipo di vita. Come preghi, cos vivi. Il tuo rapporto con Dio viene rispecchiato nel rapporto che hai con te stesso e con gli altri. v. 2: Quando pregate, dite. La preghiera cristiana dire, in obbedienza a Ges, ci che lui ci insegna: invochiamo il dono di conoscere e accettare la paternit e la conseguente fraternit. Questo il compimento della sua volont di amore, per la quale ci d come pane suo Figlio, forza di riconciliazione con lui e con i fratelli, cos che non cadiamo preda del male. Questa preghiera contiene ogni preghiera. Una preghiera diversa e non riconducibile a questa ignorerebbe il dono di Ges e del Padre, e sarebbe frutto di altro spirito. Padre. Questa parola riferita da Ges a Dio circa 180 volte nei Vangeli, mentre nellAT in riferimento a Dio usata solo 15 volte. Poter dire a Dio Abb il grande dono di Ges. Possiamo farlo perch davvero ci Padre nel Figlio, e ha riversato su di noi il suo Spirito. Con questa preghiera diciamo eccomi alla nostra verit di figli, e riconosciamo la nostra identit nascosta: il suo amore per noi come di Padre verso il Figlio. Questo il fondo del nostro essere, ci che siamo e ci al cui servizio tutto il creato. Abb la prima parola che linfante balbetta, suo primo cenno di comunicazione, gioiosa sorpresa di chi lascolta con amore. Dio il padre delle misericordie (2Cor 1,3), che ci propizio e ama noi pi di s (cf. Rm 8,32-39). Il colore della vita cristiana il suo sorriso paterno, la sua tenerezza verso di noi e la nostra fiducia in lui. Eravamo smarriti. Il fratello maggiore si perduto per incontrarci e riportarci a casa. Come il fine della missione dei Settantadue la rivelazione del rapporto Padre/Figlio (10,1-22), cos il fine della missione del samaritano, come di ogni missione (10,37), portare luomo, con lazione e la parola, al pandocheon, dove accolto e impara a conoscere il Padre. Lolio e il vino che ci guariscono dalle nostre ferite mortali, lamore di Dio che si riversa su di noi, il dono dello Spirito del Figlio che ci fa gridare: Abb. Da quando il Figlio si fatto per noi maledizione e peccato (Gal 3,13; 2Cor 5,21; Rm 5,6-8), questa invocazione pu farla anche il peccatore (15,18.21), ancora pi facilmente del giusto. Il Padre non cessa mai di essergli Padre. Lo cerca perch da ritrovare e, quando lo ha trovato, fa festa. Dio infatti non pu rinnegare se stesso, e resta fedele anche se noi manchiamo di fede (2Tm 2,13). In Ges Dio ci ama perdutamente, con lamore totale del Padre verso il Figlio (Gv 17,23b). La nostra lontananza, la nostra piccolezza e non-amabilit, sono lunica misura del suo amore, che, essendo infinito, non ne conosce altra che il bisogno dellamato. Infatti quale la sua grandezza, tale anche la sua misericordia (Sir 2,18). Essa in qualche modo per noi misurabile solo dalla nostra miseria. Luomo non viene dal nulla e non va verso il nulla, in una vita breve e triste (Sap 2,1). Veniamo da Dio e a lui torniamo. Siamo figli del grande re, in esilio per un malinteso. Veniamo dallo splendore del suo amore, e siamo in cammino per tornarci. La nostra vita desiderio e ricerca di colui che si lascia desiderare e cercare solo perch superiamo linganno che ci ha fatto fuggire da lui. In lui troviamo la nostra sorgente che ci disseta di delizie.

Abb la parola ineffabile di Dio, che il Verbo dice nellamore verso il Padre di cui appunto la parola damore. lestasi del Figlio nel Padre: come luno uscito da s per darsi allaltro, cos laltro ritorna alluno come parola piena: Abb. Essa contiene tutta la realt del Figlio mentre dice quella del Padre. Dio sar sempre nostro Padre, perch il Figlio si fatto definitivamente nostro fratello. Per questo chiamare Dio Abb conoscere e proclamare lamore per me di Ges, mio Signore. essere in comunione con lui che si fatto carico di me. riconoscere il dono che mi partecipato in lui il Figlio (10,22), in cui esisto e sono ci che sono. Fuori di lui non sono ci che sono e sono ci che non sono. La realt di questa nostra figliolanza lo Spirito di Dio, riversato nei nostri cuori, che in noi geme con gemiti ineffabili (Rm 5,5; 8,26). La liturgia celeste, la danza eterna dellamore Padre/Figlio, riportata sulla terra nel cuore di chi dice: Abb. il momento in cui Dio attratto nelluomo e luomo, rapito in Dio, entra nella gioia del Figlio che dice S allamore del Padre che si compiace di lui. Gridare Abb fede nel Figlio che ci ha amati e ha dato se stesso per noi (Gal 2,20); speranza certa di un mondo nuovo in cui il Signore Signore e noi siamo tutti fratelli. amore come risposta al Padre e a tutti i suoi figli: letizia del ritorno a casa; ricchezza di ogni benedizione; saziet di ogni desiderio e desiderio di ogni saziet; partecipare al banchetto con il vestito pi bello, con lanello e i sandali, mangiando il vitello sacrificato; la festa con sinfonia e danze che il Padre ha preparato per il Figlio suo perduto. Colui che sempre nei cieli Padre del Verbo, lui che laltissimo e sta sopra ogni cosa, ora mio Padre! Il samaritano, che prima era sceso per incontrarmi, ora risalito per riportarmi a lui. Questa parola Abb il cuore della vita cristiana e contiene tutto laffetto del figlio verso il pap. Dio mi padre, non solo come chi una volta mi ha generato. Mi sempre padre, perch mi genera sempre: ogni istante della mia vita scaturisce da lui. Se un istante cessasse il suo amore e ricordo di me, cesserebbe il mio stesso esistere e cadrei nel nulla. sia santificato il tuo nome. Santificare il nome di Dio significa glorificarlo, dandogli nella vita il peso che si merita. Che la sua paternit sia nota, amata, tenuta in conto da me e da tutti i figli! Come in cielo da sempre conosciuto e amato dal Figlio come Padre, cos lo sia in terra. Ges, amando lui e tutti i fratelli, ha santificato il suo nome: gli ha dato nel tempo la gloria e il peso che ha nelleternit. Egli dice: Padre, ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo far conoscere, perch lamore con il quale mi hai amato sia in essi ed io in loro (Gv 17,26), cos che il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me (Gv 17.23). Il nome di Dio santificato quando conosciamo il suo amore per noi, ci arrendiamo ad esso, acconsentiamo alla sua paternit e accettiamo di essere sue creature, senza paura del nostro limite e della nostra morte. santificato quando, dalla sua paternit, accogliamo noi stessi e tutto come suo dono, in tutto amando lui stesso sopra tutto. Il suo nome di Padre sar santificato quando sul volto di tutti gli uomini splender la bellezza del Figlio. Chi misconosce la paternit di Dio, cerca di fare da padre a se stesso, santificando il proprio nome. Da questa ignoranza, radice del peccato, nasce lorgoglio e lansia di vita, la paura che ci allontana da lui e ci divide da noi, la voracit che ci separa dai fratelli e distrugge il creato. Tutti gli uomini, che cercano la propria gloria, non possono pi capire nulla del creato: sono come un gancio che cerca di agganciarsi a s. Inoltre non possono credere in Ges, il Figlio: Come potete credere, voi che prendete la gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? (Gv 5,44). Il Figlio gioisce quando riconosciuto e amato il Padre, e sa che riconoscere il Padre amare tutti i suoi figli come fratelli. Soffre quando la paternit e la fraternit sono misconosciute. La missione del Figlio quella di far conoscere la paternit nella fraternit. Che il nome del Padre non sia bestemmiato per causa nostra! il fallimento di ogni missione cristiana! (cf. Rm 2,24; Is 52,5). Quando il suo Spirito ci avr purificato da ogni sozzura e da ogni idolo, allora sar santificato il suo nome che noi credenti abbiamo disonorato davanti ai non credenti (Ez 36,22s).

v. 3: venga il tuo regno. la grande promessa di Dio, termine sicuro di tutta la storia umana, quando il Figlio consegner il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potest e potenza, e Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,24.28). Il regno di Dio non questione di cibo o di bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito santo (Rm 14,17). la sovranit di Dio che libera luomo da ogni schiavit e ingiustizia, e lo guarisce da ogni inquietudine e tristezza per lesilio in cui si cacciato. la casa promessa a Davide, dove pu finalmente stare di casa (2Sam 7,8-16). incrollabile e sicuro, nonostante tutte le insidie e le incertezze. Il regno di Dio non unutopia: venuto oggi nel Signore Ges, viene ogni volta che entriamo con la conversione nel suo oggi, e verr nella sua pienezza quando tutti i fratelli saranno figli del Padre. gi affidato al piccolo gregge (12,32), ed in mezzo a noi sotto parvenze modeste (17,21), sotto il segno del pi piccolo (9,48; cf. 2,12!). il seme gettato e nascosto che cresce in albero (13,18s). Ges, morto, risorto e asceso, che torna allo stesso modo nel quale labbiamo visto camminare tra noi (At 1,6-11): torna in chi si fa giumento per portare su di s il peso della debolezza dei mondo. il dono che il Crocifisso fa al malfattore con la sua vicinanza (23,40ss). il paradiso, il giardino dal quale ci scacci la non conoscenza dellamore del Padre. il luogo che Dio ha fatto apposta per luomo, e al quale ci riporta con la sua vicinanza a noi che ci siamo allontanati da lui. Il regno di Dio si realizza in quella stessa ora in cui il samaritano, e tutti i samaritani, si prenderanno cura dei fratelli: questo il regno di Dio che viene e giunge al suo compimento a Gerusalemme (19,38; cf. 2,14!). Non dobbiamo attenderne un altro (7,18-23). Contro tutte le false attese messianiche, nostre e del mondo (cf. tentazioni e croce: 4,1-11; 23,35-39), qui sulla terra esso resta sempre sotto il segno della croce, nella povert, umiliazione e umilt di un amore che dona tutto e alla fine se stesso. Queste sono le armi del trionfo dellamore che libera luomo. Sognare diversamente umano, fin troppo umano, anzi... diabolico (cf. 4,1-11; Mc 8,33). Comunque non cristiano, anche se molti cristiani lo fanno! Inoltre il regno di Dio di Dio, nel senso soggettivo e oggettivo: riguarda lui ed suo. Lui solo dice cos e lui solo lo fa, perch lui stesso, che si fa nostro prossimo. A noi spetta chiederlo e cercarlo per accoglierlo ed entrarci (18,17). Linvocazione ne affretta la venuta pi di ogni altra opera delluomo, che diversamente lo allontana. un dono che attende solo di essere accettato nella conversione alla Parola. La suprema attivit la passivit di dire: S, come Maria di Nazaret, di ascoltarlo come Maria di Betania. Chi accoglie il Regno, coinvolto nella stessa missione del samaritano. Il regno di Dio avanza ogni qualvolta noi ci arrendiamo alla compassione di Dio per noi suoi figli e concepiamo la stessa passione per i fratelli. Il regno del Padre poter dire in Spirito e verit: Abb, nella filialit dei fratelli e nella fraternit dei figli. il pane. Il pane la vita. Come la vita biologica serve per quella eterna, cos il pane materiale serve per quello spirituale, che leucaristia. Ambedue sono dono e li chiediamo al Padre. Non sono in alternativa, ma in continuit, rispettivamente come bisogno primo dellanimale, e bisogno primo delluomo. Dietro ogni pane c la mano del Padre che lo porge come segno del suo amore, e c il volto del Figlio, nostra vera vita. Per il pane materiale non c da affannarsi, perch il Padre sa che ne abbiamo bisogno (12,22-30): Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta (12,31). Chi ha il pane spirituale, non ne manca, perch lavora, riceve come dono e condivide. Ogni pane, per quanto condito di sale a causa del peccato, sempre donato. Solo di dono luomo vive. Perch creatura e vive di ci che riceve per amore. Chiedere il pane non significa forzare la mano di Dio, quasi fosse restio a concederlo; semplicemente riconoscere come principio della propria vita lui invece della paura della morte.

nostro. Non mio. Dono del Padre ai figli, va condiviso tra i fratelli. Se non nostro diventa principio di morte. Chi ne defrauda laltro, priva laltro della propria fraternit e se stesso della paternit di Dio. Dopo il peccato esso va guadagnato con il sudore della fronte (Gn 3,19; cf. 2Ts 3,6-13). Diversamente rubato. Cesser la pena della fatica quando il pane non sar pi rubato e non sar solo ricevuto o donato, ma insieme ricevuto e donato. di domani. La manna non si poteva conservare; periva il giorno dopo (Es 16,16-21). La vera manna invece cibo di vita eterna: oggi il cibo di domani. Per questo, come lo si conserva (Cf. 9,17; Gv 6,12), lo si chiede per domani. Beato chi manger il pane nel regno di Dio (14,15). Il pane di domani quello che il Padre gi oggi ci offre in Ges; lo stesso che chiediamo allamico che dorme e si sveglia, per darlo a ogni amico che ancora viaggia nella notte (cf. vv. 5-8). il pane necessario per essere figli e chiamarlo Padre. Nulla pu mancare a chi lo riceve: la vita del Figlio, donata a noi come nostra vita, perch ne doniamo agli altri. Ci associa a lui, e ci fa figli nel dono del suo Spirito. Questo pane il cibo eucaristico, che ci unisce a lui (cf. Gv 6,56s), donandoci la forza di camminare fino al monte di Dio (1Re 19,8). il pane che si spezza nella fraternit cristiana (At 2,42), in sua memoria, nellattesa del suo ritorno (1Cor 11,23ss). insieme quotidiano e di domani, sovrasostanziale e pieno. v. 4: rimetti a noi i nostri peccati. Il pane di cui luomo vive lamore di Dio. concesso per grazia a ogni figlio, anche ribelle e perverso, proprio secondo la misura del suo peccato! Egli mi accetta anche l dove io non mi accetto. Come mi crea per dono del suo amore, cos mi ricrea col per-dono della sua misericordia, dono ancora pi grande di amore. Il cristiano non uno che o si crede giusto. Giusto solo Cristo, e tale si crede solo il fariseo. Ma mentre questi si giustifica e condanna gli altri, quegli giusto e li perdona. perch anche noi stessi rimettiamo. Luca, scriba mansuetudinis Christi, ha centrato tutto il suo Vangelo sulla misericordia del Padre che si specchia sul volto del Figlio. Ha fatto di questo tema la dominante di tutte le azioni e parole di Ges. ormai sicuro che il credente perdona, perch in lui ha conosciuto la grazia di Dio (6,27-36). Si pu peccare, anzi scontato che si pecca. Per questo si chiede perdono. Per, come siamo perdonati - e il Padre non pu non perdonarci - cos perdoniamo, e non possiamo non perdonare. Diversamente non conosciamo n il Figlio n il Padre. Lunico peccato imperdonabile quello di chi non perdona e non ritiene di dover essere perdonato per questo. La cecit di chi si ritiene giusto (Gv 9,41) e non conosce il perdono da dare e da ricevere il peccato contro lo Spirito. Infatti la conoscenza della salvezza nella remissione dei peccati (1,77). Il Signore si conosce solo nel perdono, dove si rivela nella sua essenza di amore gratuito (cf. Ger 31,34). Il nome di Dio con noi Ges: egli infatti salver il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,21). Il cristiano non giusto, ma giustificato; non perfetto, ma misericordioso; non santo, ma accogliente; non forte contro il male, ma compassionevole verso chi caduto. Per questo non condanna, ma perdona. La giustificazione del peccatore mediante la propria croce lunica vera condanna del peccato che Dio conosca. La sola condizione per il dono del Padre il perdono al fratello (Cf. Mt 6,14-15; Mc 11,25). non indurci in tentazione. unespressione sintetica, tradotta dallaramaico. Non chiedo a Dio che non mi tenti, ma che mi protegga, perch non soccomba nella prova. Infatti nessuno, quando tentato, dica: sono tentato da Dio, perch Dio non pu essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. Ciascuno piuttosto tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quando consumato, produce la morte (Gc 1,13-15). La tentazione viene dalla mia debolezza, e il nemico agisce in me attraverso la paura del bisogno e trova il suo alleato nel mio egoismo. Tuttavia Dio fedele, e non permetter che siate tentati oltre le vostre

forze, ma con la tentazione, vi dar anche la via di uscita e la forza per sopportarla (1Cor 10,13). Per questo preghiamo con fiducia. Diversamente soccombiamo. Qui non chiediamo a Dio di essere preservati dalla prova, ma di non cadere in essa. Il pericolo quello di cedere per scoraggiamento e timore nella lotta. Ma il Signore ci ha preparati ad essa, dicendoci: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno (9,23). Sappiamo che nessuno pu giungere al regno di Dio se non passato attraverso la tentazione (detto apocrifo di Ges nellorto), perch necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio (At 14,22). Ammonisce anche il Siracide: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione ... (Sir 2,1ss). tentazione. quella di perdere la fiducia nel Padre durante lafflizione finale: lapostasia, scopo di ogni tentazione, che vuol strapparci dallamore di Dio. Essa gi in atto e vince in coloro che non credono (2Ts 2,11). Anche il credente sempre insidiato da questa incredulit nel Dio di misericordia. forte il veleno del serpente. Ma questa la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede (1Gv 5,4). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la grotta dove Ges stava pregando. c. Chiedo ci che voglio: pregare il Padre nostro nello Spirito di Ges. d. Mi fermo su ogni parola gustandola. 4. Passi utili Gv 17, 23b; 15,9.

69. PER LA SUA SFACCIATAGGINE DAR A LUI QUANTO ABBISOGNA


(11,5-8)
5

E disse loro: Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte e gli dice: 6 Amico, abbisogno da te tre pani, poich un mio amico giunse da un cammino e non ho cosa mettergli davanti. 7 E quello, rispondendo, dice:

Non darmi fastidi; gi la porta chiusa e i miei bambini sono con me nel letto. Non posso sorgere e darti. 8 Dico a voi: Anche se non glieli dar, sorto, per lessere suo amico, per la sua sfacciataggine, destatosi, dar a lui quanto abbisogna. 1. Messaggio nel contesto Questa parabola un commento al v. 3: Dacci oggi il nostro pane di domani. Ci esorta a una preghiera sostenuta da una fede sfacciata nellamico che dorme. Linizio e la fine parlano di tre pani di cui abbiamo bisogno - dono dellamico sorto e destatosi - da donare allamico in cammino nella notte. Si tratta delleucaristia, che mette lui in comunione di vita con noi e noi con chi ancora viaggia nelle tenebre. Cos circola in tutti i fratelli la stessa vita del Figlio, donata a noi dal Signore morto e risorto. Associati a lui che si prende cura di noi, anche noi possiamo prenderci cura degli altri, nei quali vediamo lui caricato dei nostri mali. Come nessuno ama se non amato, cos nessuno, se accetta di essere amato, non ama. Lamore vive in pienezza solo se insieme accolto e corrisposto. Ricevendo da lui il pane, che la sua vita data per noi, siamo in grado di amare come lui ci ha amati. E amiamo con un unico atto Dio, che per amore si fatto nostro fratello nel bisogno, e il fratello nel bisogno, amando il quale veniamo fatti Dio (cf. 6,36). Veramente prodigioso questo pane: fa circolare nel mondo lunica vita del Figlio e porta tutti allunit! Leucaristia realmente ci trasforma in lui. Essa lesaudimento pieno della preghiera al Padre: riceviamo quel pane che ci permette di gridare Abb, e accogliamo ci che lui da sempre desidera darci, suo Figlio come nostra vita. Ma il dono eucaristico esige una fede sfacciata, davanti alla porta chiusa, capace di varcare la soglia della casa del Padre ed entrare nel riposo dei figli. La sfacciataggine consiste nel credere che il sonno dellamico il luogo stesso in cui siamo esauditi: la sua morte il dono della sua vita, fatta per noi pane di domani. Proprio quando sembra sottrarsi a noi, si dona tutto a noi (cf. il suo sonno sulla barca 8,2225!), affinch noi possiamo diventare, come lui, pane per chiunque in viaggio. Siccome noi abbiamo perso il nostro volto di figli, anche Dio ha perso il suo volto, che il Figlio (cf. Col 1,15; Eb 1,3), per venirci a cercare. Questo suo amore colto solo da una fede che non viene meno neanche davanti alla croce. Anzi, come uno dei due malfattori, ha laudacia di riconoscerlo proprio in essa (23,40-43). Leucaristia, celebrata con fede sicura nel sonno dellamico che si risveglia, la preghiera dove otteniamo quel pane che chiediamo al Padre per donarlo ai fratelli. Questo pane, sfacciataggine somma dellamore di Dio per noi, trasfigura il nostro volto in quello del Figlio, che tutto riceve e tutto d, e ama pienamente come pienamente amato. Questa parabola risponde anche a un interrogativo che sorge comunemente in chi prega: se Dio ci vuol bene, e parliamo a lui come lamico parla con lamico (Es 33,11), perch ci sembra di trovarci davanti a un nemico, restio a dare? La preghiera il luogo dove percepiamo per la prima volta la realt del peccato: la nostra lontananza e ostilit nei confronti di Dio, che proiettiamo su di lui. Per scoprire il suo vero volto sar necessario vederlo sfigurato per noi mentre porta su di s la nostra inimicizia (cf. Is 53,4). Il suo silenzio sordo e ostile ha un significato profondo di salvezza: esige una fede senza limiti nel

suo amore senza limiti, una fede sfacciata nel suo amore sfacciato che lo porta a fare del suo sonno il luogo in cui si dona a noi. Nel suo silenzio ci affidiamo a lui, senzaltra prova che la fiducia in lui che si consegnato a noi. Proprio cos vinciamo la menzogna antica che ci fece vedere in Dio un nemico, e ci abbandoniamo a colui che abbiamo abbandonato. Torniamo a essere figli! 2. Lettura del testo v. 5: Se uno di voi ha un amico . Colui al quale chiediamo il pane un amico (cf. Rm 5,6-11). Di questo siamo sicuri, anche se ci sembra che abbia difficolt a risponderci. Di notte tutti dormono, e temiamo che lui non si svegli. Questo amico Ges, il Signore morto e risorto, che ci sembra ora in una lontananza inaccessibile. Ma nessun altro che lui pu darci il pane che abbiamo chiesto al Padre (v. 3): lui questo pane! e va da lui a mezzanotte. Mezzanotte lora in cui grande il buio e lontana la luce: lora del bisogno pi acuto e della somma improbabilit di esaudimento. il punto pi lontano dal sole, che se ne andato e non ancora tornato. lora della chiesa, che si sente sempre pi lontana dalla dipartita e dalla seconda venuta del suo Signore. Ma lora della necessit pi impellente di pane anche quella del grido che annuncia lo sposo (cf. 12,38). abbisogno da te. Il pane la vita. Solo lui pu darmelo perch lui la vita (Gv 1,4). Per questo abbisogno proprio da lui, che ha dormito per darmela. E ne ho bisogno per dare allaltro, e vivere cos io stesso. Questo pane, unica cosa necessaria (cf. 10,42) che chiediamo al Padre (v. 3) e otteniamo dallamico risvegliato dal sonno, la vita stessa del Figlio; la sua comunione con il Padre, il dono del suo Spirito (v. 13), che ci fa partecipare alla sua danza di gioia nella Trinit (cf. 10,21s). tre pani. Il pane che chiediamo al Padre si moltiplica ora misteriosamente per tre, come il numero degli amici che esso rende uniti, facendo circolare in tutti e tre la stessa vita. Il primo amico che dorme e si sveglia e d il pane il samaritano che si preso cura di te. Tu, dando ci che hai ricevuto, diventi come lui. Il terzo, lamico in viaggio, ancora lui, cibo che si fatto la fame che tu eri per permettere a te di essere per lui ci che lui stato per te. v. 6: un mio amico giunse da un cammino. il Samaritano stesso, ancora e sempre in cammino (10,33). Infatti, avendo dato tutto, diventato uno che ha bisogno di tutto. Si fatto carico dei nostri mali, guarendo noi perch noi potessimo a nostra volta, come lui, prenderci cura di lui negli altri. Il principio e il termine del pane sempre lo stesso amico, anche se sembrano due. In quanto dorme, si sveglia e d il cibo, il samaritano che ha gi viaggiato e ha gi compiuto il suo oggi. In quanto giunge a mezzanotte ed nel bisogno, ancora lui, il povero Pellegrino in viaggio anche nel nostro tempo, perch noi possiamo diventare samaritani nei suoi confronti. Infatti chi fa la carit al povero fa un prestito al Signore (Pr 19,17). Questo pane, da noi ricevuto da parte sua e a lui donato da parte nostra, ci associa alla sua stessa missione, e protrae nel tempo loggi del Figlio che vive la misericordia del Padre. mettergli davanti. Questo pane da mettere davanti (termine eucaristico!) quello della proposizione cui si alludeva in 6,4. Viene a me dallamico, che nel suo sonno si pro-posto mio pane, e lo pongo innanzi allamico nel bisogno, amandolo come lui mi ha amato.

v. 7: Non darmi fastidi. Richiama la vedova ostinata che importuna il giudice iniquo (18,5; cf. 8,49). Egli si sveglia, si alza per la nostra insistenza. Ci significa che la nostra fede desta e tenace ottiene tutto da colui che sappiamo essere nel riposo con i figli. La nostra necessit gli d fastidio. Ma non come crediamo noi. Gli ha procurato addirittura fastidio mortale: ha dormito per liberarci da ogni nostra necessit, compresa quella del sonno della morte. la porta chiusa. Lamico sembra insensibile alla nostra preghiera. La sua porta chiusa sulla nostra notte. Il suo sonno e il suo risveglio lo hanno posto in una distanza irraggiungibile. lesperienza dellascensione (At 1,9-11), il suo distacco da noi, quando sembr richiudersi il cielo che nel battesimo si era aperto. i miei bambini sono con me nel letto. I bambini sono forse i figli del Regno, quelli che, diventati piccoli - piccolissimi come lui e caduti nel sonno - sono passati per la porta stretta (13,24; cf. 18,15ss). Il samaritano, finito il suo viaggio, gi arrivato al riposo con i figli di Abramo (cf. 16,19ss): il Figlio in seno al Padre, che riposa in una pace sovrana insieme con tutti quelli che lhanno raggiunto o lo raggiungeranno. Si disturber per darci il pane? Fuori metafora: la celebrazione eucaristica luminosa; ma la sua luce sembra troppo lontana dalla nostra vita concreta, che ci pare una notte in cui moriamo di fame, senza ricevere e senza dare nulla. Questo ricordo della gloria passata, e attesa della speranza futura, come pu essere cibo per il nostro presente? La fede sa che proprio nel cuore di questa notte fonda ci dato ci di cui abbiamo bisogno. Nelleucaristia tutta la gloria di Cristo e dei suoi santi si desta, si leva e ci viene incontro, per darci quel pane che trasforma noi stessi in pane da dare allamico. v. 8: per la sua sfacciataggine. necessario pregare sempre, senza incattivirsi (18,1). Dio ritarda a esaudire innanzitutto perch la fede cresca, fino a credere al suo amore senzaltra prova che il suo amore stesso, testimoniato proprio dal suo sonno. Inoltre la dilazione dellesaudimento dilata il desiderio, aumentando la capacit di accogliere il dono. Il gioco di Dio il gioco di amore del Cantico dei cantici: si concede e sottrae nei suoi doni, perch desidera essere desiderato lui, che sta oltre ogni desiderio e cosa desiderata. Cos pu donare se stesso oltre ogni dono. Quando scompare nel sonno, perch vuol farsi pane che sazia ogni nostra fame. La sfacciataggine della fede osa chiedere, cercare e bussare proprio davanti al suo silenzio, sicura di ottenere, trovare ed essere accolta. Sa che cos questo sonno dellamico: la sfacciataggine di Dio, che rivela alluomo tutto il suo amore. Tale fede oltrepassa il muro stesso della morte, nellinvocazione dellamico. destatosi, dar a lui quanto abbisogna. Nel risvegliarsi della nostra fede e del nostro desiderio, si desta lui stesso in noi, come nostra vita: lui ci si dona come nostro pane del quale e per il quale viviamo. Cos anche noi diventiamo, come lui, pane per chi nel bisogno. E chi pi nel bisogno di essere amato che colui che ama? La parabola tutta nel bisogno del pane dellamico per lamico. Questo quanto avviene per la nostra fede nelleucaristia. la celebrazione della reciprocit damore tra Padre e Figlio e tra fratello e fratello: il pane di domani, ricevuto e dato ogni giorno, che ci rapisce oggi nella vita di Dio. La notte del bisogno si illumina del dono dellamico da dare allamico. Cos continua il viaggio del Pellegrino, che salva tutti i suoi amici: d loro il pane che desidera ricevere, per farli diventare come lui, termine e principio di amore. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito.

b. Mi raccolgo immaginando lo stesso luogo dove Ges ha insegnato a pregare. c. Chiedo ci che voglio: una fede sfacciata nel suo amore, davanti al suo sonno. d. Medito attentamente la parabola, applicandola alleucaristia e alla preghiera. 4. Passi utili Sal 63; 27; 28; Lc 18,1-8.

70. CHIEDETE: IL PADRE DAL CIELO DAR LO SPIRITO SANTO


(11,9-13)
9

E io vi dico: chiedete e vi sar dato, cercate e troverete, bussate e vi sar aperto. 10 Perch: chiunque chiede, prende, e chi cerca, trova, e a chi bussa, sar aperto. 11 Ora quale padre tra voi cui il figlio chieder (un pane gli dar una pietra?), un pesce, e invece del pesce gli dar una serpe? 12 Oppure chieder un uovo, e gli dar uno scorpione? 13 Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare doni buoni ai vostri figli, quanto pi il Padre dal cielo dar lo Spirito santo a quanti chiedono a lui.

1. Messaggio nel contesto La presente parabola caratterizzata da nove parole che indicano il desiderio (cinque volte chiedere pi due volte ciascuno cercare e bussare) e da undici che indicano il dono (sei volte dare, pi due volte ciascuna trovare ed essere aperto, pi una volta prendere). Il desiderio rappresenta la creatura, in quanto bisogno; il dono Dio, in quanto creatore. Il desiderio di Dio il pi grande dono fatto alluomo: lo costituisce tale, libero da tutto perch fatto per linfinito. Solo Dio pu colmare il suo cuore. Egli ci d molto di pi di quanto possiamo domandare o pensare (Ef 3,20): essendo amore infinito, desidera dare tutto se stesso; non si nega a nessuno e si comunica a ciascuno secondo il suo desiderio. Questa lunica misura del dono. E il suo dono lo Spirito santo, Dio stesso come amore mutuo Padre/Figlio. Il pane notturno dei vv. 5-8 ci fa entrare col Figlio sempre pi profondamente nellamore del Padre e ce lo fa invocare con sempre maggior fiducia e abbandono. Il suo nome la medicina che ci guarisce il cuore dallo spirito muto (v. 14): ogni volta che lo invochiamo, la nostra bocca ne sorbisce una goccia. Anche il Padre, come lamico, sembra restio a dare. Pare che doni addirittura cose cattive: pietra, serpente, scorpione. Non ha forse dato il sonno della morte anche al Figlio? Ma questo il mistero del pane, che la sua vita per noi! Il tema dominante la paternit di Dio, che si esprime nel dare. Ma per questo bisogna chiedere. Non perch lui ignori o trascuri il nostro bisogno, ma perch il dono pu essere ricevuto solo da chi lo desidera. Se lui tarda nel dare, solo perch il desiderio cresca; non esaudisce perch la dilazione lo dilati; non d ci che chiediamo, perch lo purifichiamo e chiediamo non pi un dono, ma lui in dono. Laridit nella preghiera serve a rendere puro il desiderio e a romperne ogni argine, perch diventi capace di ricevere, oltre ogni dono, il Donatore stesso che desidera donarsi. La pedagogia del Padre ci fa passare dai bisogni che abbiamo al bisogno che siamo. Se abbiamo bisogno dei suoi doni, siamo soprattutto bisognosi di lui. Dalla ricerca delle consolazioni del Padre, dobbiamo passare a cercare il Padre delle consolazioni. Quando non cercheremo pi noi stessi in lui, troveremo lui stesso in noi. Saremo figli che amano e conoscono il Padre come da lui sono amati e conosciuti. Questo brano ci esorta ai grandi desideri, che ci fanno capaci del grande Dono. Bisogna avere ali di aquila ed eccedere ogni misura umana, fino a puntare su Dio stesso. Dobbiamo desiderare lui stesso, per essere ci che siamo e non possiamo essere senza di lui. Oggi c una falsa umilt, con modelli a basso profilo e costi non elevati, in modo da evitare illusioni e delusioni. Ma in realt superbia, che ci suggerisce di aspirare solo a ci che possibile a noi. Lumilt vera si eleva fino a concepire linconcepibile, e accoglie il dono impossibile di Dio. Per questo la tapinit assoluta di Maria attrasse laltissimo sulla terra e gener Dio stesso. Il desiderio sempre di ci che manca: necessariamente dellaltro, e solo laltro pu soddisfarlo. Queste parole di Ges ci esortano a chiedere, per ricevere ci che lui gi ci ha dato nel pane: lo Spirito santo. il nuovo principio vitale, che ci fa entrare nel s eterno del Figlio alla compiacenza del Padre. Ma su questa terra non deve mai cessare la nostra preghiera di richiesta, per partecipare in misura sempre maggiore alla gioia di Dio. 2. Lettura del testo v. 9: chiedete. Bisogna chiedere. Per non come i pagani, che credono di essere esauditi a forza di parole (Mt 6,7). Questa magia o sfiducia di ottenere; chiediamo invece con la libert e la fiducia dei figli (Mc 11,24). Il Padre sembra restio a dare, perch non d ci che uno vuole, ma ci che ci vuole: lo Spirito santo, per compiere la sua volont (22,42). In genere chiediamo a Dio che diventi soddisfazione dei nostri

bisogni. Chi invece lo conosce come Padre sa che, pur saziandoli in tempo opportuno (12,30), desidera piuttosto farci scoprire e colmare il nostro bisogno essenziale, che lessergli figli. Per questo la nostra richiesta, anche fiduciosa, resta a lungo non esaudita: ci nasconde i suoi doni, perch cerchiamo lui, fonte di ogni bene. Cos passiamo dal ruscello alla sorgente. Ci bene per lui, perch lamore altro non desidera che essere desiderato; ed ottimo per noi, che diventiamo noi stessi cercando lui, salvezza del nostro volto e nostro Dio (Sal 42,12). Fine di ogni dono mettere in comunione chi d con chi riceve. Tutto il creato non altro che lanello di fidanzamento di Dio alluomo, segno del suo amore, piccolo pegno del grande dono di s. Per questo non bisogna mai appagarsi nei doni, ma cercare sempre il donatore. Luomo troppo grande per bastare a se stesso (Pascal): immagine di Dio. Desideri pi piccoli lo fanno una freccia scoccata da un arco allentato: fallisce il proprio fine. Perch luomo diventa ci che desidera. La pi grande ingiustizia che gli si pu fare quella di ridurlo ai bisogni che ha. A differenza dellanimale, egli infelice anche e soprattutto quando li ha soddisfatti tutti. C in lui un inalienabile bisogno: il desiderio naturale di vedere Dio, che lo fa essere quello che , trovando in lui il proprio volto. La nostra cultura, borghese o meno, comunque materialista e con obiettivi terra terra, castra luomo della sua essenza. Tutta la pedagogia di Dio invece un gioco a nascondino: si scopre e si copre, si concede e si nega, per tener vivo allinfinito un desiderio che deve crescere allinfinito. Secondo Gregorio di Nissa, tale gioco damore non finir neanche nella vita eterna: parla di epktasis, come estensione di un desiderio sempre pi grande. stimolato da un appagamento che lo alimenti senza fine. Amore e desiderio infatti si nutrono reciprocamente. Lamore cibo che non nausea: saziando produce fame per la gioia della saziet che porta; acqua che delizia: dissetando, fa crescere il piacere di berla. La sorgente infinita e ne attingiamo in proporzione alla sete. S. Teresa dAvila detesta la falsa umilt, che impedisce di nutrire grandi desideri, voler imitare i santi e desiderare il martirio (Vita. 13,4). Luomo un esule figlio di re. Solo se ne ha coscienza pu tornare nella sua terra, dove di casa. La nostalgia (= dolore del ritorno) la forza del cammino. vi sar dato. Mentre il chiedere al presente, lesaudimento al futuro. Il dono viene dopo il desiderio. Nel v. 10 invece lesaudimento in parte presente e in parte futuro. Qui inoltre il verbo al passivo, per non fare il nome di Dio, nominato solo alla fine come il Padre del cielo che d lo Spirito. Il verbo dare (con la sfumatura di dare dallalto nei vv. 11.12) si aggancia al pane che dar lamico che dorme e si risveglia (v. 8). Lo Spirito lo stesso dono del Padre e del Figlio che ci si d come pane e vita nostra. Dio, per definizione, colui che d gratuitamente (cf. 6,27-38), amore che si comunica attraverso i suoi doni, fino al dono totale di s. cercate e troverete. Il chiedere di chi ha capito che solo il Padre pu soddisfare il bisogno. Il cercare di chi sa che il Padre ha gi donato. Infatti si cerca ci che c. Ma la ricerca non soddisfatta fino a quando non si trova la sorgente del dono, che va cercata perch ci ancora nascosta. Il Cantico dei Cantici tutto una lettura della storia come ricerca di Dio: Voglio cercare lamato del mio cuore. Lho cercato ma non lho trovato (Ct 3,1-3; 5,6; ecc.). Si desidera poter dire: Trovai lamato del mio cuore. Lo strinsi fortemente e non lo lascer (Ct 3,4). A dir la verit, luomo, pi che cercare Dio, si nascosto da lui. Dio che lo cerca. Tutta la Bibbia, dalla Genesi allApocalisse, non parla che dellamore folle di Dio che stuzzica luomo perch lo ami, lo cerchi e dica alfine: vieni! (Ap 22,17). La vita umana comunque ricerca, perch bisogno e desiderio. Ci che si trova, dipende da ci che si cerca! bussate e vi sar aperto. La tensione chiedere/essere dato fa scoprire il vero bisogno: colui che d! La tensione cercare/trovare conduce davanti alla porta dellamico. Qui bisogna bussare, perch nel suo sonno e nel suo risveglio abbiamo il pane necessario per vivere. In realt lui che sta alla porta e bussa:

se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verr da lui, cener con lui ed egli con me (Ap 3,20). Non lamico che dorme, ma io. Egli sta fuori e dice: aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia, perch il mio capo bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne (Ct 5,2). Il cielo si aperto su Ges battezzato in preghiera per lasciar scendere lo Spirito (3,21s). Da allora sempre aperto su ogni battezzato che prega. v. 10: Perch: chiunque chiede, prende. Si dice che chi chiede, prende ci che dato (v. 9). Sono chiare allusioni alleucaristia, il pane dellamico risvegliato dal sonno. Il futuro: sar dato e troverete nel v. 9 diventano, dopo la richiesta e la ricerca, un dono presente che si prende e si trova ora. Ma la porta verr aperta solo alla fine. Per ora, misteriosamente, si apre solo per concederci il pane e lo Spirito che in esso si dona. Questo quanto ora ci basta, per chiedere cercare e bussare a quella porta che solo allora rester aperta, quando sar compiuto il lungo cammino. v. 11: pane/pietra. Vedi la prima prova di Ges (4,3s), quando peregrin nello Spirito per il deserto. la stessa del battezzato: quella del bisogno e della fame. Ma Dio sembra che non ascolti, e dia pietra invece di pane. In realt questa la maschera della nostra durezza di cuore. Lui invece la roccia della nostra salvezza. il nostro Padre: espande la sua tenerezza su tutte le creature, provvede per ciascuna il cibo a suo tempo (Sal 145,9.15), e non lo nega neanche ai piccoli del corvo che gridano a lui (Cf. 12,24; Sal 147,9). Se sembra che non esaudisca e dia pietre, per rafforzare la fede e il desiderio di lui (Dt 8,3). Non il suo cuore, bens il nostro di pietra. Il pane dellamico morto e risorto ce ne dar uno di carne, colmo del suo Spirito di Figlio (Cf. Ez 36,26ss). pesce/serpe. Il serpente il nemico di Gn 3: nascosto, subdolo e dalla bocca mortifera, si mimetizza, cambia pelle e colpisce. Il pesce lamico, il Cristo che vive anche nelle acque profonde della morte. Il nemico proietta su Dio la propria maschera. Questa menzogna verr vinta dal dono dellamico che affronta labisso per nostro amore. Lentamente, nella preghiera che sembra non esaudita e pure continua con fiducia, si spurga il veleno dei nostri idoli - esattamente tutto ci che il Padre non esaudisce! - e siamo nutriti del pane che ci conforma allamico e ci associa al suo cammino. v. 12: uovo/scorpione. Luovo il principio da cui germina la vita. Lo scorpione come la vita stessa, che ha il veleno alla fine. Infatti la morte avvelena mortalmente la vita fin dal principio. Il pane dellamico che si sveglia - la sua morte e il dono del suo Spirito di verit - ci libera la vita dalla paura della morte (Eb 2,14ss). v. 13: che siete cattivi. Pur nella nostra cattiveria, portiamo limmagine e il desiderio del Padre. La nostra paternit, per quanto scadente, sempre unombra di quella di Dio (Ef 3,15). dar lo Spirito santo (Mt 7,11: cose buone). il dono, principio di ogni cosa buona, di cui fu ricolmo il Figlio nel battesimo. lo Spirito damore che lo rende Figlio misericordioso come il Padre. Dopo essere andato incontro a tutti i fratelli, alla fine si consegna al Padre, carico di tutta lumanit perduta e ritrovata, e le apre la porta del Regno: la paternit di Dio (23,43-46). Nel suo sonno ha dato per noi la vita per farci il dono della sua vita: lo Spirito santo, amore suo e del Padre. Esso segna linizio della missione di Ges in obbedienza al Figlio, che lo invia a portare lo stesso pane fino agli estremi confini della terra. Lo Spirito e il pane, dono del Padre e dellamico, ci rendono partecipi della loro vita di amore reciproco. quanto Dio voleva darci fin dal principio. Ci aveva creati per unirsi a noi in un unico amore di Padre verso il Figlio. Ora, grazie al pane, fatti figli nel Figlio, per il dono dello Spirito, gridiamo: Abb.

vinto il demonio muto (v. 14), che ci aveva tolto quella parola che esprime la verit di Dio come Padre e la nostra come suoi figli. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando il luogo dove Ges ha insegnato a pregare. c. Chiedo ci che voglio: chiedo di chiedere, cercare e bussare - sapendo davanti a chi sto quando chiedo, cerco e busso - per ottenere il dono dello Spirito. d. Medito su ogni singola parola di Ges. 4. Passi utili Sal 16; 145; 147; Lc 18,1-8.9-14; At 1,14; 2,1-11.

71. GIUNSE SU DI VOI IL REGNO DI DIO


(11,14-26)
14

E stava scacciando un demonio (ed egli era) muto. Ora avvenne uscito il demonio, parl il muto e si stupirono le folle. 15 Ora alcuni di loro dissero: con Beelzebul, il capo dei demoni, scaccia i demoni. 16 Ora altri, tentando, chiedevano da lui un segno dal cielo. 17 Ora egli, conoscendo i loro pensamenti, disse loro: Ogni regno diviso contro se stesso devastato e cade casa su casa. 18 Ora se anche il Satana fu diviso contro se stesso, come regger il suo regno? Poich dite che con Beelzebul io scaccio i demoni! 19 Ora se con Beelzebul io scaccio i demoni,

i vostri figli con chi scacciano? 20 Per questo essi saranno vostri giudici! Ora se col dito di Dio io scaccio i demoni, allora giunse su di voi il regno di Dio! 21 Quando il forte, armato, custodisce il suo palazzo, i suoi possessi sono in pace. 22 Ora se uno pi forte di lui, sopravvenuto, lha vinto, prende il suo armamento in cui confidava e distribuisce le sue spoglie. 23 Chi non con me contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde. 24 Quando lo spirito impuro uscito dalluomo, vaga per luoghi senzacqua cercando riposo, e, non trovando, dice: Ritorner nella mia casa, da dove uscii. 25 E, venuto, la trova spazzata e adorna. 26 Allora va, prende con s altri sette spiriti pi cattivi di lui, ed entrati, abitano l; e diventa lultima condizione di quelluomo peggiore della prima. 1. Messaggio nel contesto Nella preghiera al Padre domandiamo quel pane di domani, dono dellamico che gi riposa, da dare allamico ancora in viaggio (vv. 3.5-8): leucaristia, amore ricevuto che ci abilita ad amare. In essa, preghiera infallibilmente esaudita, otteniamo lo Spirito santo (vv. 9-13), che ci libera dallo spirito muto (v. 14; cf. Mc 9,29!) e ci fa dire: Padre. Siamo cos pienamente guariti dalla sordit a quella parola che costituisce la nostra verit di figli nel Figlio. Questa guarigione santifica il suo nome di Padre: finalmente lo riconosciamo e proclamiamo tale. Inizia cos il suo Regno, che viene sulla terra quando la nostra lingua in grado di sciogliersi nella lode del suo nome. Il pane, che fa circolare in noi la vita del Figlio, ci autorizza a dire questa parola che fa di noi il regno dei figli. Per il dono delleucaristia, al dominio dello spirito impuro succede quello dello Spirito di Dio. Essa apre lamore del Padre e del Figlio a tutti i fratelli e libera in tutti i cuori la parola del Regno (vv. 15-22). il

compimento della missione di Ges. Il suo passaggio tra noi tutto unopera del dito di Dio per salvare luomo e condurlo a questa comunione di vita con lui. Il Figlio il pi forte, che ci strappa dalle mani del nemico e ci restituisce al Padre. Per questo essere con lui raccogliere i frutti della vita, essere contro di lui perdersi (v. 23). Stare con lui la decisione che ci salva perch ci rende figli: ci d la nostra essenza. Finch viviamo nel tempo, tale decisione sempre instabile e insidiata dal nemico (vv. 24-26). vero che con il pane e lo Spirito venuto in noi il Regno; per chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere (1Cor 10,12). Lultima domanda che facciamo al Padre che ci preservi dal cadere nella tentazione (v. 4b), e che continui a liberarci dal male e dal maligno (Mt 6,13). Le ostilit non sono ancora finite. La lotta che il Figlio condusse contro Satana nel deserto, ora continua nei figli che sono condotti dallo stesso Spirito (4,1; cf. Rm 8,14). La sua forza fu lo Spirito del Padre che lo chiam: Figlio mio prediletto (3,22); la nostra forza lo stesso Spirito del Figlio, ricevuto nel battesimo, che ci fa gridare: Abb (Rm 8,14ss; Gal 4,4ss). E come lui alla fine del cammino si consegn al Padre (23,46), cos il fine della nostra vita ricondurla tutta allabbandono filiale in lui. Per questo il centro il v. 23: essere con Ges significa essere nel Regno, avere lo Spirito del Figlio; essere contro di lui significa esserne fuori, ancora schiavi dello spirito muto che ci impedisce la parola che ci fa liberi. Il seguito del Vangelo unopera di discernimento per distinguere i due spiriti, contro ogni tentativo di confusione. 2. Lettura del testo v. 14: uscito il demonio, parl il muto. A Pentecoste gli apostoli, che prima erano muti, cominciarono a parlare. Leucaristia realizza lo stesso mistero. Il pane e lo Spirito ci permettono di dire la parola Padre, per la quale fatta la bocca e il cuore delluomo. Nel dono dellamico che dorme e si alza vinta la nostra sordit che ci impedisce di parlare: riconosciamo lamore sfacciato di Dio che ci d il Figlio per darsi a noi come Padre. Lo spirito muto, da cui lo Spirito ci guarisce, quello del serpente, che ci rub dalla bocca la parola che ci fa essere ci che siamo. Per la sua menzogna luomo non sent pi la paternit di Dio, e non seppe pi esprimere la sua filialit nella fraternit. Si spense in lui la luce della vita: si sent dal nulla e per il nulla, figlio e fratello di nessuno. Relegato nel potere delle tenebre e preda della morte, si fece cooperatore della sua paura! Ges entrer in questo abisso per incontrare tutti i suoi fratelli che vi erano caduti e ridoner loro la parola che santifica il nome del Padre e porta nel regno dei figli. v. 15: con Beelzebul, il capo dei demoni, scaccia i demoni . Da che spirito viene lazione di Ges? Non riconoscerlo e giudicarlo impuro peccato contro lo Spirito santo, che il suo (Mc 3,29; cf. Gv 8,38). I nemici gli prestano il loro spirito cattivo, presumendo per s quello buono. Si pu pensare che la bestemmia contro lo Spirito (cf. Mc 3,29) sia questa presunzione di avere quello buono e non essere disposti a convertirsi. quanto fanno i farisei: sono dei ciechi che credono di vedere. Per questo non possono essere guariti (Gv 9,41). Peccato non tanto il male che si fa, quanto il non ammetterlo per giustificarsi. Il vero peccato difendersi giudicando cattivo laltro, addirittura lAltro! Fu gi linganno del serpente che fece cadere Adamo, facendogli ritenere bene il male e male il bene. Tale confusione il contrario dello spirito di Dio, che opera la vita, distinguendo con la Parola (Gn 1). v. 16: tentando, chiedevano da lui un segno dal cielo . Le tentazioni che Ges sub nel deserto, prima di tornare tutte insieme nellora (4,13; 22,53; 23,35-39), escono alla spicciolata durante la sua vita. Il nemico usa la maschera dei vari nemici che, come lui, chiedono segni divini e di potere. Ma, pretendere che lui ascolti i nostri desideri invece di obbedire noi ai suoi, il capovolgimento della fede, che irrita Dio (cf. Es 17,7). Lobbedienza alla sua parola vale pi di tutti i segni: la fede che ci genera figli. Se

Dio ne d, solo in vista di questa (cf. v. 29). Essi non serviranno per il credente, ma ne accompagneranno lazione per portare altri a credere. Chi pretende segni, non ottiene perch non ha fede. Chi invece si fida, come chiede e ottiene dal Padre ci che necessario per il Regno, cos in grado di dare ad altri quei segni che la sua provvidenza ritiene utili. Comunque il segno dal cielo che Dio d, non mai di potenza, ma di umilt. la croce (cf. v. 30). Non ne dar nessuno pi grande perch non pu. L infatti dona tutto se stesso, e ci si rivela come amore per noi. Le varie interpretazioni millenaristiche del Regno sono un tentare Ges, come se dovesse darci qualcosa di pi importante di quanto ci ha dato: la sua vita come amore per il Padre e per i fratelli. Questo e non altro il Regno. Noi qui ne vediamo sempre e solo la semina, il Padre gi vede il raccolto. Al segno dal cielo si contrappone quello di Giona (v. 30). v. 17: regno diviso/devastato. La divisione il principio della fine, sia nel bene che nel male. Essa porta alla devastazione, letteralmente alla desertificazione. Infatti lEden fu ridotto a deserto per colpa della menzogna che divise i figli dal Padre. La divisione nasce sempre da una confusione, che il contrario della distinzione. v. 18: Satana fu diviso. Il male ha ununit interna pi monolitica di quella del bene, perch non deve rispettare la verit e la libert altrui. Inoltre conserva la sua coesione senza particolare difficolt, perch possiede mezzi preventivi, repressivi ed esecutivi, quali la menzogna e la violenza, di cui il bene non pu disporre, neanche contro il male! Se il Satana diviso, significa che sta per finire il suo regno. Lo confermano, senza volerlo, gli stessi nemici di Ges. Egli, prima di confutare linterpretazione maligna, fa forza sulla constatazione del fatto che si impone anche a loro. Vincere lo spirito del male il primo obiettivo della sua missione (10,18), per donare alluomo il suo Spirito di Figlio. v. 19: i vostri figli con chi scacciano. Ogni vittoria sullo spirito di menzogna e di egoismo non pu essere che nella forza dello Spirito di verit e di vita (cf. 9,49s). In esso anche gli esorcisti giudei scacciano i demoni. v. 20: col dito di Dio. (cf. Dt 9, 10; Es 31,18; Sal 8,4). Spirito, potenza e mano di Dio sono sinonimi: esprimono il suo amore che agisce per la salvezza delluomo. Mentre la mano indica la potenza, il dito indica la raffinatezza e la bellezza di ci che opera: lazione accurata e amorevole dellartigiano, preciso ed esperto nel suo lavoro. Con il dito di Dio Ges ricostruisce nelluomo il suo volto di figlio, pi bello di comera prima e diverso da qualunque altro: la trasfigurazione (9,29; 2Cor 3,18s). Questa lopera dello Spirito santo - digitus paternae dexterae - che ci viene comunicato nel pane dellamico. giunse su di voi il regno di Dio. Il Regno un dono che ci proviene dallalto: ci viene dal Padre nel Figlio suo Ges. Fino a quando non giunge lui, il pi forte, restiamo sempre sotto il dominio del forte. La vittoria da lui compiuta su Satana, lo stesso Regno che ci precede e ci viene offerto. La casa delluomo era occupata dal nemico a causa del peccato. Ora viene liberata da Ges, e il peccatore pu tornare a casa sua nel regno del Padre da cui era fuggito (cf. 5,24.25.29!). v. 21: Il forte, armato, custodisce il suo palazzo, i suoi possessi. Satana ha vinto nel primo ogni uomo. Il suo veleno ha ucciso la parola Abb nel suo cuore e ha relegato Adamo e tutti i suoi figli in esilio, lontano dal Padre. Egli il forte, armato della sua arma vincente, la menzogna mortale. Con questa fa la guardia al suo palazzo, che altro non che lagglomerato delle abitazioni di tutti gli uomini che ha fatto fuggire dal luogo della loro verit. I suoi possessi sono estesi quanto leffetto della sua parola: abbraccia tutti i regni della terra (4,6)! Luomo ha abdicato in suo favore, dandogli il potere

su tutto, che Dio gli aveva conferito (Gn 1,28). Non pensabile nessuna insurrezione o tentativo di ribellione, perch lui il principe delle tenebre. Dallinterno non pu mai spuntare il giorno della libert. Ma sorger il sole ed entrer la luce per rischiarare tutti quelli che siedono nelle tenebre e nellombra di morte (1,79). v. 22: uno pi forte di lui, sopravvenuto, lha vinto. Ges il pi forte preannunciato dal Battista (3,16), il sole che viene dallalto (1,78) per vincere il regno delle tenebre. La sua vittoria automatica, come quella della luce sulla notte. Pu sottrarsi solo chi chiude gli occhi nella cecit volontaria (Gv 9,41). Sul momento per chiunque viene dal buio avverte il sole come nemico. Il suo occhio si chiude e resiste ad aprirsi, addolorato e accecato dalla luce. Ma, presto o tardi, si aprir, quando si accorger di non vederci per colpa propria. La vittoria di Cristo certa. Ci che chiediamo al Padre: venga il tuo Regno, gi venuto nel Figlio. Basta che lo accettiamo, desiderando e chiedendo, cercando e bussando. armamento. Il pi forte spoglia Satana di tutte le sue armi nella sua nudit in croce. L smaschera il nemico e fa vedere alluomo il male della sua menzogna e il bene che Dio gli vuole. le sue spoglie. Ges spoglia il ladrone che aveva spogliato luomo che scendeva da Gerusalemme (10,30). Restituisce a questi ci che gli fu tolto e gli dona di poter dire: Abba. Cos riprende la sua vera veste, limmagine del Figlio; e rientra nella sua casa, leredit del Padre. v. 23: Chi non con me... . Per entrare nel regno del Padre bisogna essere con il Figlio, avere il suo Spirito. Diversamente si resta nello spirito di morte, sotto il dominio di Satana. Lo stare con Ges qualifica la vita presente (8,2; cf. Mc 3,14) e futura del discepolo (cf. 1Ts 4,17!). Chi non con lui ancora fuori di s nelle mani del nemico. Essere con lui il principio per discernere di che spirito siamo. v. 24: Ritorner nella mia casa. Satana, anche se caduto dalla sua posizione di dominio, cerca di riprenderlo quel poco che pu. La lotta continua nella nostra vita, come gi in quella di Ges. Verso la fine, ci sar il terribile colpo di coda del drago morente. Per questo chi perseverer fino alla fine, sar salvo (21,19). Ges ci dice di stare attenti per non tornare dal Padre della luce al padre della menzogna. Il nemico, non rassegnato alla sconfitta che poi sa essere definitiva (cf. commento a 10,18), furibondo. Anche se in gabbia, un leone ruggente che cerca chi divorare. Bisogna resistergli nella fede (1Pt 5,8s), per non ricadere nella schiavit di prima (cf. Gal 3,1; 5,1.13). Lo si vince semplicemente non avendone paura e tenendo salda la fiducia nel Padre. v. 25: spazzata e adorna. Luomo, gi dimora dello spirito immondo, ora ripulito e abbellito. Ripulito dal lavacro del battesimo, abbellito dalla bellezza del Figlio mediante il pane e lo Spirito. v. 26: sette spiriti. Colui che fin dal principio ebbe invidia di Adamo (cf. Sap 2,24!), a maggior ragione ha invidia di colui che ancora pi bello, come il nuovo Adamo. Per questo cerca di entrarci con maggior desiderio e maggior forza di menzogna. Linvidia, principio di morte (Sap 2,24), il contrario della lode: ci fa contristare invece che gioire del bene altrui. Se uno invidia, fa del paradiso linferno; se uno loda, fa dellinferno il paradiso. peggiore della prima. Non accettare la salvezza di Ges e imputarla al nemico il peccato contro lo Spirito, per il quale non c perdono, se non ci si converte. Il ritorno alle tenebre dopo lilluminazione un peccato ancora pi grande: la caduta dalla fede (cf. Eb 6,4-6; 10,26ss). Tra i Dodici, Giuda preso

come esempio di questa situazione peggiore di prima (22,3; At 1,16-20). Allinterno della prima comunit vedi lesempio di Anania e Saffira (At 5,1-11). Che questultima condizione non sia il rifiuto definitivo della luce! 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la scena di Ges che scaccia lo spirito muto. c. Chiedo ci che voglio: chiedo di essere libero dallo spirito muto, e di restare libero, stando sempre con Ges. d. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Da notare: - demonio muto - laccusa contro Ges - il segno dal cielo - il regno diviso - vittoria sul demonio come venuta del Regno - chi non con me, contro di me - ritorno del demonio. 4. Passi utili Mc 3,22-30; 9,14-29; Eb 6,4-6; 10,26-40.

72. BEATI QUANTI ASCOLTANO LA PAROLA DI DIO E CUSTODISCONO


(11,27-28)
27

Ora avvenne: mentre egli diceva questo levando la voce una donna dalla folla gli disse: Beato il ventre che ti port e le mammelle che succhiasti! 28 Ora egli disse: Anzi, beati

quanti ascoltano la parola di Dio e custodiscono. 1. Messaggio nel contesto Le folle erano piene di stupore per la parola restituita al muto (v. 14). Una donna presa da stupore per chi ha generato colui che restituisce la parola, e proclama beata sua madre. Ges estende tale beatitudine a chiunque lo ascolta. Come da seminatore divenne il seme (8,11), cos ora Ges che annuncia la Parola diviene la Parola che lo annuncia. Si passa dal tempo di Ges a quello della chiesa. Essa, nellascolto e nella custodia della Parola, si fa contemporanea a lui, attuale alloggi del Figlio che realizza il regno del Padre. come Maria, figlia fedele di Sion, che genera nel tempo la parola eterna del Padre da cui generata come figlia. Ges il centro del tempo. Come nel passato i profeti e i re desideravano lui che doveva venire, cos nel futuro tutti i credenti desidereranno lui che venuto. Egli la realt prima attesa e poi compiuta, la realizzazione della Parola che da profezia si fatta ricordo e racconto. Ges il verbo eterno di Dio, promesso nellAntico e trasmesso nel Nuovo Testamento. Tutto il passato sboccia in lui, germoglio del tronco antico; tutto il futuro matura in lui, suo frutto pieno. In lui il regno del Padre aperto a tutti, perch egli fa fiorire sulla bocca di tutti la parola Abb. Quanto i suoi contemporanei ebbero il privilegio di vedere e di udire, resta ancora a noi accessibile nella parola su di lui. Non siamo svantaggiati nei loro confronti. Infatti, anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo pi cos (2Cor 5,16). La nuova e vera conoscenza di Ges lascolto della sua parola. In questo breve dialogo ci viene indicato il passaggio che la fede deve operare in ciascuno di noi. La donna, invece di invidiare Maria, chiamata a imitarla: la sua vera realt di madre di Dio ascoltare e custodire la Parola (cf. ascoltare e fare di 8,21). La generazione del Figlio, che dalleternit nellamore del Padre, avviene nel tempo nellobbedienza di chi ne ascolta e custodisce la Parola. Questi, mentre genera il Figlio nel tempo, generato alleternit come figlio del Padre. Luomo infatti generato dalla parola che ascolta, fatto dalla Parola che fa. Il Verbo, fatto carne in Ges, tornato ad essere Parola per farsi carne in chi lascolta. Il pane e lo Spirito (vv. 5-13) ce ne danno la possibilit. 2. Lettura del testo v. 27: mentre diceva questo. Ges sta parlando del Regno che venuto. Esso si realizza proprio nella sua parola che va ascoltata come parola di Dio, che opera in quanti credono (1Ts 2,13). una donna. Questa donna, presa da ammirazione per la madre di Ges, rappresenta la chiesa di Luca, che ha una santa invidia per quanti hanno conosciuto Ges secondo la carne. Bisogner invece passare dalla sua carne alla sua parola, perch sincarni in noi. Beato. Gi Elisabetta aveva esaltato la maternit di Maria, dicendo: Beata te che hai creduto (1,45). Essa aveva compreso che la fede la vera beatitudine della madre del mio Signore (1,43). Questa donna non ancora. Come i profeti e i re guardavano in avanti, cos essa guarda indietro con desiderio. Rischia di fermarsi alla sterile nostalgia del temporibus illis. Ignora che la fede nella Parola compie limpossibile: non solo ci rende contemporanei di Ges, ma ci concede di incarnarlo oggi. Il suo

sentimento, pure devoto, la distoglie dalla fatica storica di unobbedienza, che genera e fa crescere nel tempo la Parola. Questa maternit non onore riservato a qualcuno, bens onere di ciascuno. Tutti infatti siamo chiamati ad ascoltare la Parola e darle corpo nella nostra carne. ventre/mammelle. Della maternit fanno parte sia il generare del ventre che il far crescere delle mammelle. Il ventre, che accoglie il seme, lascolto che fa concepire la Parola. Le mammelle, che nutrono ci che fu concepito, sono lattiva custodia, il ricordo di ci che ascoltato, perch cresca fino alla misura piena. una distinzione analoga allaccogliere e al crescere della Parola di 8,15, allascoltare e al fare la Parola di 8,21. v. 28: Anzi, beati. La vera beatitudine di Maria non consiste in quanto dice la donna come sua prerogativa unica, bens nel fatto che essa anticipa in s ci che Dio dona a ogni credente. Ges estende qui alla chiesa la beatitudine che Elisabetta disse di Maria: Beata te che hai creduto (1,45). Veramente feconda la maternit di Maria, da riprodurre in tutti i credenti e in tutti i tempi. Perch la vera beatitudine Ges: egli, Verbo eterno del Padre e Parola fatta carne nellobbedienza, tornato Parola nellannuncio per incarnarsi in quanti laccolgono. quanti ascoltano. Maria fu la prima che ascolt e disse: Eccomi (1,38). La sua maternit, prima che nel ventre, fu nellorecchio e nel cuore. Essa obbed, e per questo fu madre. La sua stessa beatitudine quindi di chiunque accoglie il seme della Parola. la parola di Dio. Per lascolto di Maria il Verbo di Dio si fatto sua carne. Lascolto, come lo fu allinizio, cos resta per tutto il tempo successivo il principio dellincarnazione. custodiscono. Come ascolt e concep, cos conserv e fece crescere la Parola nel suo cuore (2,19.51!). Se la vera beatitudine del ventre quella dellorecchio che ascolta la Parola, la vera beatitudine delle mammelle quella del cuore bello e buono, che custodisce questa Parola e produce frutto con perseveranza (8,15). Lorecchio il principio dellascolto, il cuore il principio della crescita: custodita nel ricordo costante, la Parola cresce, fino a trasformare in s tutto luomo. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando la folla e il grido della donna che da essa si leva. c. Chiedo ci che voglio: fare dellascolto e del ricordo del vangelo il principio della mia vita. d. Contemplo la scena, immedesimandomi nei sentimenti della donna e sentendo la risposta di Ges. 4. Passi utili Lc 1,26-38.39-45; 2,19.51; 8,19-21; 10,23s; 1Gv 1,1-4; 1Pt 1,23; 1Ts 2,13.

73. IL SEGNO DI GIONA


(11,29-32)
29

Ora, accalcandosi le folle, cominci a dire: Questa generazione una generazione maligna: segno cerca e segno non le sar dato se non il segno di Giona. 30 Poich come Giona fu segno per i niniviti, cos sar anche il Figlio delluomo per questa generazione. 31 La regina di Noto si dester nel giudizio con gli uomini di questa generazione e li condanner, perch venne dai confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ed ecco pi di Salomone qui. 32 Gli uomini di Ninive si leveranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perch si convertirono allannuncio di Giona; ed ecco pi di Giona qui. 1. Messaggio nel contesto Non dobbiamo avere invidia della generazione dei contemporanei di Ges. Pur avendo visto, non ne hanno ascoltato la parola; invece di dare segno di obbedienza, hanno addirittura preteso che lui obbedisse loro, esibendosi con ulteriori segni. Egli rifiuta di darne, perch egli stesso un segno come lo fu Giona: segno della misericordia di Dio per tutti, tanto efficace che perfino i niniviti si convertirono al suo annuncio. Quanto Ges ha detto e fatto costituisce lanno di grazia e la salvezza offerta a ogni carne (3,6). La sua parola pone chi lascolta davanti al Salvatore. Invece di chiedergli segni, bisogna convertirsi al kerygma, cio allannuncio della sua morte e risurrezione per noi. Nessun segno sostituisce la fede; tutti portano ad essa, e in essa, in qualche modo, finiscono. Quando ci fidiamo di Dio, non gli chiediamo pi delle prove; cominciamo invece a dargli fiducia. Il vero segno della fede quindi la nostra conversione alla sua parola. Quanto Ges ha fatto sufficiente per credere che con lui finito il regno di Satana e iniziato quello di Dio. La Parola che lo annuncia nella potenza dello Spirito (At 1,8), capace di aprire il cuore (At 16,14b) e riempirlo della nuova sapienza, quella del Figlio rivelata ai piccoli (10,21). Nel brano seguente (vv. 33-36) vedremo come essa luce che illumina chi lascolta e lascia nelle tenebre chi

la rifiuta. Dio concede come segno definitivo lannuncio della sua misericordia. Cos rispetta sia la libert delluomo, che pu aderire o meno alla proposta, sia la propria verit di amore, che non pu non rispettarla. Altri segni di tipo spettacolare, che costringono allassenso, sono rifiutati come tentazioni. Lamore esige, anzi crea libert! Chi ama sempre esposto al rifiuto: pur di non costringere laltro, muore lui stesso di passione non corrisposta. Ma proprio cos d, oltre ogni segno, la realt di un amore assoluto e senza condizioni. La Parola, che ci chiama alla conversione, lannuncio di questo amore rifiutato e crocifisso per noi. Dio non ci pu dare nessun segno pi grande di questo. Pretenderne altri, non aver capito chi lui e cos la fede. Dio amore, e la fede accettare questa sua prova di amore. La vera sapienza convertirsi allannuncio. Non ci sono altri segni di sapienza e di potenza (1Cor 1,17-25). Chiave del brano la parola segno, che gioca un ruolo determinante nel rapporto con Dio, come in ogni comunicazione. Limportante saperlo leggere e cogliere la realt che significa. 2. Lettura del testo v. 29: Questa generazione. Lespressione, di sapore negativo, sulla bocca di Ges indica la generazione dei suoi contemporanei. Per Luca ogni generazione successiva che si rende a lui contemporanea nellannuncio. costituita da tutte quelle persone religiose che cercano miracoli (1Cor 1,22). generazione maligna. ancora sotto lo spirito del maligno, perch maligna su Ges (v. 15) e chiede segni (v. 16), invece di convertirsi allannuncio. segno cerca. Il popolo malvagio e ribelle a Massa e Meriba chiede a Dio dei segni, perch non crede al suo amore e non si fida di lui: il Signore in mezzo a noi, s o no? (Es 17,7). Se la fede obbedire a Dio, la sua perversione pretendere che lui obbedisca a noi. Per quattro volte si parla di segno. Esso, di sua natura, un rimando a unaltra realt, come il fumo al fuoco o il cartello indicatore a ci che indicato. Giunti alla realt indicata, di per s cessa, perch finisce nella realt che indica e finisce la sua funzione di indicare. Solo lo stolto, se gli indichi la luna, continua la guardarti la punta del dito. giusto che ci siano segni per indicare qualcosa che va oltre il nostro orizzonte; per sbagliato sia fermarsi ad essi invece che andare oltre, sia cercarne ancora quando si giunti a ci che indicano. Per questo Dio concede dei segni per farci giungere alla fede. Ma poi cessano. Chi ne cerca ancora, non solo non accetta la fede, ma se ne allontana, perch instaura con Dio un rapporto di ricatto invece che di fiducia. Quanta gente, anche oggi, ansiosa di segni... e scarsa di fede... anche se con tanta devozione! Inoltre bisogna notare che Dio concede solo quei segni che rispettano la sua verit e la nostra libert. Questi hanno le caratteristiche della povert, dellumiliazione e dellumilt (cf. 1Cor 1,17-25; 2Cor 8,9; Fil 2,5-11). Segno definitivo la croce, la teoria (= contemplazione) di Dio (23,48) dove vediamo la verit del suo amore che ci fa liberi (Gv 8,32). Egli nega invece quei segni che tolgono la libert e puzzano di egoismo e di morte: la ricchezza, il potere e la superbia (4,1-13; 11,16; 23,35-39). Nega anche quei segni che vengono pretesi, perch ogni pretesa allontana dal dono (cf. 4,23; cf. Mc 8,11s). il segno di Giona. Tutti i segni che Dio concede in Ges si riassumono nel segno di Giona che tutti li interpreta. Cercarne altri una tentazione (v. 16). v. 30: Giona fu segno per i niniviti . Giona fu segno di un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore, che si lascia impietosire (Gio 4,2). Ci di cui egli suo malgrado fu segno, la realt stessa che Ges venuto a portare (5,31s; 6,27-36; 10,30-37; c. 15; 19,10; ecc.). Il Figlio delluomo,

consegnato nelle mani degli uomini (9,44), il dono totale della misericordia di Dio. Esso offerto ai contemporanei di Ges e a tutte le generazioni successive nellannuncio della sua morte e risurrezione. Questa parola esterna accompagnata da un segno interno: Dio stesso muove il nostro cuore ad aprirsi alla fiducia e alla speranza di quanto annunciato, rimuovendo lincredulit e la sfiducia che viene dalle nostre paure e dal nemico. v. 31: La regina di Noto. 1Re 10,1-10 narra della regina di Saba, che venne dagli estremi confini del mondo, per conoscere la sapienza di Salomone. Anche questa pagana si pu annoverare tra coloro che hanno desiderato vedere ci che i contemporanei di Ges hanno visto (10,24). E lha visto, di riflesso, come in uno specchio, nella sapienza di Salomone che costru il tempio a Dio. ed ecco pi di Salomone qui. Mentre Salomone ebbe in dono la sapienza, Ges la sapienza stessa. Essa resta velata alla pretesa di chi cerca segni di potenza o di argomentazione. Si rivela nella debolezza e nella stoltezza del suo amore crocifisso. Come resta nascosta a giudei e greci, invece manifestata ai piccoli che si convertono ad essa (10,21s; cf. 1Cor 1,17ss). v. 32: si leveranno nel giudizio. Nel giorno del giudizio, si dice dei niniviti che si leveranno, come della regina di Saba che si dester. Destarsi e levarsi sono le parole stesse che indicano la risurrezione del Signore, alla quale saranno associati quanti ricercarono la sapienza e si convertirono. condanneranno. La loro conversione suona accusa contro chi non ha accettato la venuta del Regno. La condanna non verr dal Figlio delluomo, ma dal nostro rifiuto di convertirci. La salvezza dipende dalla nostra risposta allannuncio di misericordia. Esso interpella la nostra libert e ci fa responsabili, abilitati a rispondere. si convertirono allannuncio. La salvezza nel giudizio la conversione allannuncio (= kerygma: cf. At 2,38-40) di colui che ben pi di Salomone e di Giona. pi di Giona qui. Giona annunci controvoglia la conversione; Ges invece dice: Per questo sono venuto (5,32; 19,10; cf. Sal 40,8). Giona medi a malincuore la misericordia; Ges invece questa stessa misericordia. 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges incalzato dalla folla in cerca di segni. c. Chiedo ci che voglio: credere e affidarmi al suo amore crocifisso per me. d. Traendone frutto, medito sulle parole di Ges. Da notare: - generazione maligna - cercar segni - segno di Giona - sapienza di Salomone - convertirsi allannuncio di Giona. 4. Passi utili

Es 17,1-7; Ml 3,13-15; Gio 4,1-11; 1Re 10,1-10; Lc 2,12; 1Cor 1,17-25.

74. DISCERNI CHE LA TUA LUCE NON SIA TENEBRA


(11,33-36)
33

Nessuno una lampada accesa mette in un nascondiglio, (n sotto il moggio) ma sopra il lampadario, perch quanti entrano vedano la luce. 34 La lampada del tuo corpo il tuo occhio: se il tuo occhio semplice anche lintero tuo corpo luminoso, se invece cattivo, anche il tuo corpo tenebroso. 35 Discerni dunque che la luce, quella in te, non sia tenebra. 36 Se dunque il tuo corpo tutto luminoso, senza alcuna parte tenebrosa, sar luminoso tutto, come quando la lampada col fulgore ti illumina. 1. Messaggio nel contesto Ges ha appena detto che lunico segno concesso quello di Giona ai niniviti: lannuncio e la conversione alla misericordia di Dio. Ora parla per ben undici volte della luce, con termini diversi (lampada, lampadario, luce, luminoso, fulgore, illuminare). Chi si converte passa dalle tenebre alla luce; diviene lui stesso una lampada accesa, destinata a illuminare anche gli altri (v. 33; cf. 8,16; At 1,8). Ognuno per veda innanzitutto se acceso o spento (v. 34), e poi discerna bene tra luce e luce - perch c anche una luce tenebrosa (v. 35)! - fino a quando tutto sar trasfigurato in luce (v. 36). La luce in

Israele sia Dio che la sua parola come norma di vita. Ora Ges stesso, il Signore morto e risorto. Luomo accende la sua lucerna convertendosi al suo annuncio. Ges nega segni a chi li richiede (v. 29), ma ne d uno nuovo a chi si converte: lilluminazione concessa a chi si riconosce cieco e bisognoso di essere guarito. In altre parole: lunica bont necessaria per convertirsi la propria cattiveria ammessa con semplicit di cuore. Il fariseo, che si ritiene giusto e non sente il bisogno di conversione, si esclude dal banchetto (15,28) e resta nella notte del peccato (18,14; 7,29-35). Il peccatore, che riconosce la sua tenebra e chiede la misericordia, entra nella luce. Ges infatti venuto proprio per chiamare i peccatori a conversione (5,32; 19,10). Una caratteristica del Ges di Luca quella di voler persuadere i giusti a riconoscersi peccatori, in modo da poter essere salvati (vedi 15,25-32: il fratello maggiore; 18,9-14: il fariseo e il pubblicano). Le tematiche di questo brano sono due, strettamente connesse. La prima missionaria (v. 33): il discepolo non dimentichi la responsabilit di illuminare anche gli altri che entrano nella casa del Padre. La seconda esortativa (vv. 34-36): per illuminare bisogna essere illuminati. Si quindi chiamati a discernere bene la luce dalle tenebre, in un processo di purificazione continua. Sembra che lintento del brano sia analogo a quello di Gv 9,41: scoprirsi ciechi per invocare la guarigione, riconoscersi cattivi per convertirsi. Paradossalmente, per essere luminosi bisogna riconoscersi tenebrosi. Diversamente si rimane ciechi che credono di vedere e rifiutano la luce. Questa conversione al kerygma il segno indubitabile che Ges concede ai credenti: divenuti luminosi, sono in grado di vedere segni che prima non vedevano e di diventare segno per gli altri. 2. Lettura del testo v. 33: Nessuno una lampada accesa, ecc. (cf. 8,16). Ges la luce del mondo (Gv 8,12), e il discepolo la lampada accesa a tale luce mediante il battesimo (Ef 5,14). Essa destinata a illuminare tutti gli uomini, fino agli estremi confini della terra (At 1,8), perch tutti giungano alla conoscenza dei misteri del Regno (8,10) e possano, nella rivelazione del Figlio (10,21s), dire Abb. Il discepolo badi bene a non occultare la luce e sottrarsi alla sua responsabilit davanti al mondo (cristiano dellassenza). Questo non vuol dire che deve entrare in concorrenza con il mondo, facendo un altro mondo a s e per s, che ancora... tutto mondano (cristiano della presenza). Deve invece essere in questo mondo testimone della luce del suo Signore, convertendosi a lui e portando gli altri a fare lo stesso (cristiano della mediazione). Per questo bisogna che si confronti di continuo con Ges, per associarsi al suo mistero di povert, umiliazione e umilt. Solo cos vince il male dellegoismo, del potere e della superbia, e trasfigura la terra mediante lamore del Padre. La chiesa una lampada che illumina gli altri solo se accesa alla luce del Cristo morto e risorto. Essa vive nel mondo come il suo Signore, perch vive di lui. Vi entra pienamente, ma con spirito non mondano. Lautenticit e la testimonianza, lidentit e la rilevanza della fede sono strettamente connesse. La priorit sta nellautenticit e nellidentit che rende umili, poveri e mansueti come il Signore. Da qui scaturisce la testimonianza e la rilevanza agli occhi del mondo. Se la sorgente inquinata da potere, superbia e arroganza, ogni sua attivit nociva. Infatti ci che sei parla pi forte di ci che dici. La candela non si preoccupa di illuminare. Semplicemente brucia; e, bruciando, illumina. v. 34: lampada del tuo corpo il tuo occhio. Quello che la lampada per la casa, locchio per il corpo: la finestra, attraverso cui entra la luce. Locchio del discepolo non come quello di coloro che guardando non guardano (8,10). invece come quegli occhi che Ges chiama beati, perch vedono lui (10,23). Egli infatti la luce (Gv 1,9) che entra dalla finestra e illumina il cuore. Locchio collegato al cuore: gli trasmette le cose da desiderare, e ne trasmette il desiderio, volgendosi alla ricerca di ci che ama. la porta attraverso cui il cuore riceve e d.

se il tuo occhio semplice. Semplice locchio che riconosce il suo unico bisogno: la luce. Per questocchio sta scritto: svegliati, o tu che dormi, destati dai morti, e Cristo ti illuminer (Ef 5,14). Si contrappone a cattivo. La cattiveria la mancanza di semplicit propria di un cuore chiuso nei suoi idoli: si volge a cercare con ansia i suoi amori, e non riconosce il suo unico bisogno. Locchio cattivo esprime un cuore cattivo, refrattario alla luce, che si nasconde e trincera in complicazioni e doppiezze per non riconoscersi tale e non convertirsi. il cuore di Adamo, che si nasconde da Dio e si giustifica con varie ragioni profonde: paura, nudit, donna e... Dio stesso (Gn 3,10.12). La vera cattiveria non tanto il male che si ha o si fa, quanto il giustificarsi per paura di un Dio ritenuto cattivo. lintero tuo corpo luminoso. Locchio semplice riconosce insieme il proprio male e lamore di Dio. Questa la conversione che rende luminoso il suo corpo e cambia la vita, trasfigurandola secondo il volto stesso del Signore. Chi si volge a lui, viene illuminato (Sal 34,6). Leconomia della salvezza ha il suo apice nella trasfigurazione. Come il legno acceso diventa fuoco, cos il corpo, materia opaca, diventa luce, e luomo stesso fatto Dio. Il prodigio dellincarnazione del Verbo si estende a tutti coloro che ne ascoltano la parola. Questa informa (= d forma) luomo, diventando per lui nuovo principio di vita e di azione: Alzati, sii di luce, poich viene la tua luce (Is 60,1) se invece cattivo, anche il tuo corpo tenebroso. Locchio cattivo, preferendo le tenebre alla luce (Gv 3,19), resta nella propria cecit: guardando non guarda (8,10), perch chiuso nel buio che vuol difendere. La sua cattiveria non tanto la cecit: Se foste ciechi non avreste alcun peccato (Gv 9,41a). Locchio da solo, non vede: per essere se stesso, ha bisogno di luce. Cos luomo, per essere se stesso, ha bisogno di Dio. Questa, lungi dallessere una menomazione, la sua dignit! Il vero male delluomo quella menzogna che lo porta a voler vivere senza Dio: siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane (Gv 9,41b). Il corpo tenebroso lesistenza di chi, intento a cercare il proprio io e a giustificarsi, non si converte alla luce di Dio. v. 35: Discerni dunque che la luce, quella in te, non sia tenebra. Bisogna discernere bene, perch c una luce tenebrosa. quella del fariseo, che si chiude nella trappola dellio, e resta nella notte dellautogiustificazione. la falsa sicurezza di chi si ritiene giusto per non accettare il perdono, di chi copre la propria miseria per non accogliere la misericordia. Lesterno, bello lustro e ripulito, apparenza che camuffa linterno pieno di rapina e cattiveria (v. 39!). Questa luce oscura il peccato radicale e la radice dei peccati: il fariseismo, sempre presente in ciascuno di noi (vv 37-54!) un misto di stupidit e di orgoglio, frutto della menzogna originaria che ci ha portato a credere di doverci difendere da Dio. Ultimo a morire, questo peccato insidia sempre anche il credente, in forma pi sottile degli altri: chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere (1Cor 10,12). Il discernimento indispensabile. Buon discernimento quello che porta a riconoscere la propria cecit e chiama a conversione. Il fariseo Saulo, irreprensibile nella sua giustizia religiosa (Fil 3,6), scoprir che la sua luce tenebra. La luce del Risorto gli far vedere la propria cecit, e ne far un vaso eletto per testimoniarlo davanti a tutto il mondo (At 9,1-19). v. 36: Se dunque il tuo corpo tutto luminoso, senza alcuna parte tenebrosa, ecc.. Il discernimento e la vigilanza ci portano a una conversione continua. Questa dissolve progressivamente le tenebre che sono in noi, e tutto il nostro corpo diventa luminoso, a immagine di quello di Cristo. Lobbedienza alla Parola ci rende come lui, il Figlio eletto (9,35).

Lesistenza cristiana, nata alla luce mediante il battesimo, un crescere della luminosit del corpo. una vita che rivela il volto del Padre, conformandosi a lui mediante la misericordia che ci rende suoi figli (6,35.36). La parola del Vangelo rimane per la chiesa un invito alla conversione continua per discernere la propria cecit e per chiedere la luce della misericordia. Locchio si fa sempre pi limpido e il cuore sempre pi puro, fino a quando sar dissolta ogni tenebra. Allora saremo immersi nel fuoco del Signore e capaci di illuminare. Lultimo miracolo di Ges lilluminazione del cieco di Gerico (18,35ss). Seguir la guarigione dellorecchio di Malco (22,51), cos che anche i nemici abbiano modo di ascoltare ci che ormai il discepolo vede e testimonia con la sua luce. La funzione dellesame di coscienza e del discernimento quella di scamparci dal giudizio (cf. 1Cor 11,28-32), facendoci riconoscere peccatori e bisognosi di misericordia fino alla fine. col fulgore ti illumina. Di mano in mano che come folgore cade il potere delle tenebre che tutto ha in mano (cf. 10,18), luomo si accende di luce e diventa sfolgorante: lascia trasparire la gloria di Dio, come la veste di Ges nella trasfigurazione (9,29). Il fine del mondo lincontro con il Signore, che verr repentino, potente e luminoso come una folgore (17,24). Questo finale splendido anticipato in ogni discepolo che, avendo ammesso con semplicit la propria tenebra, si converte e accoglie con gioia la luce senza frapporre resistenza. Se in noi c ancora un velo di tenebre, quando ci sar la conversione al Signore, quel velo sar tolto. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo lazione dello Spirito del Signore (2Cor 3,16.18). Per questo facciamo bene a volgere lattenzione alla parola dei profeti, che ci chiamano a conversione. come una lampada che brilla in luogo oscuro, finch non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori (2Pt 1,19). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando le folle che si accalcano attorno a Ges. c. Chiedo ci che voglio: riconoscere la mia tenebra e convertirmi alla sua luce. d. Confronto le parole del Signore con la mia vita. Da notare: - la lampada accesa - nascondiglio/lampadario - occhio semplice/occhio cattivo - luce tenebrosa - corpo tutto luminoso. 4. Passi utili Gv 9,1-41; Mt 5,14-16; 6,22s; Lc 9,28-36.

75. AHIM PER VOI! SARA CHIESTO CONTO A QUESTA GENERAZIONE


(11,37-54)
37

Ora, mentre parla, gli domanda un fariseo di pranzare presso di lui; ora, entrato, si sdrai. 38 Ora, il fariseo, visto, si stup che prima non si fosse lavato prima del pranzo! 39 Ora il Signore disse a lui: Ora voi, i farisei, purificate lesterno del calice e del piatto, e linterno vostro colmo di rapina e cattiveria. 40 O stolti, colui che fece lesterno non fece anche linterno? 41 Invece date in elemosina quanto dentro, ed ecco tutto puro per voi. 42 Ma ahim per voi, i farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su ogni ortaggio, e trasgredite il giudizio e lamore di Dio. Ora questo bisognava fare e quello non trascurare. 43 Ahim per voi, i farisei, che amate il primo seggio nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze. 44 Ahim per voi, che siete come i sepolcri, quelli non manifesti, e gli uomini che camminano sopra non lo sanno. 45 Ora, rispondendo, uno dei legisti gli dice: Maestro, dicendo questo insulti anche noi.

46

Ora egli disse: Anche per voi, i legisti, ahim! perch caricate gli uomini di carichi insopportabili e voi stessi neanche con un vostro dito toccate i carichi. 47 Ahim per voi, perch costruite i sepolcri dei profeti: ora i vostri padri li uccisero. 48 Quindi siete testimoni e consentite con le opere dei vostri padri: perch essi li uccisero, e voi costruite. 49 Per questo anche la sapienza di Dio disse: Invier loro profeti e apostoli; ma li uccideranno e perseguiteranno. 50 S che a questa generazione sia chiesto conto dei sangue di tutti i profeti, versato dalla fondazione del mondo, dal sangue di Abele 51 fino al sangue di Zaccaria ucciso fra laltare e la casa. S, vi dico: Sar chiesto conto a questa generazione. 52 Ahim per voi, i legisti, che avete levato la chiave della conoscenza: voi stessi non entraste e tratteneste quanti entravano. 53 E, uscito di l, cominciarono gli scribi e i farisei a prendersela terribilmente e a provocarlo a parlare su pi cose 54 insidiandolo, alla caccia di qualcosa dalla sua bocca. 1. Messaggio nel contesto Nei vv. 29-32, a chi domanda dei segni per credere in lui, Ges dichiara che bisogna convertirsi allannuncio di chi ben pi di Salomone e di Giona. Nei vv. 33-36, al discepolo che continua la sua missione annunciando ad altri la salvezza, ribadisce che innanzitutto deve essere lui stesso convertito dalla Parola. Nel v. 35 gli dice in particolare di saper ben discernere tra la luce luminosa e la luce tenebrosa. Mentre la luce luminosa viene dalla conversione alla parola del Signore, vera giustizia e vera sapienza, quella tenebrosa la falsa giustizia del fariseo (vv. 37-44) e la falsa sapienza del legista (vv. 45-54). Il problema della giustizia della Legge in rapporto al vangelo di misericordia presente nella chiesa fin dallinizio, e si acutizza proprio nel momento della missione al mondo. Non a caso il brano

inizia con entrare (v. 37) e termina con uscire (v. 53), le due parole che Ges usa nel suo duplice discorso missionario per indicare il cammino degli apostoli e dei Settantadue (9,43; 10,8.10). I farisei e i legisti di sempre, credenti o atei (oggi ne esistono anche di atei!), identificano la salvezza con la propria giustizia e la propria legge. Questo problema preso di mira in modo particolare da Paolo dopo la sua conversione. Vedi le lettere ai Galati, ai Romani e Fil 3,1ss. Negli Atti degli apostoli se ne tratta dal c. 9 fino al c. 15. Alla giustizia, impossibile da ottenere mediante la Legge, subentrata la giustificazione mediante la misericordia di Dio nella croce di Ges (Fil 3,9). Cos, mentre i farisei e i legisti trasgrediscono la volont salvifica di Dio su di loro, i pubblicani e i peccatori sono i figli della sapienza, perch riconoscono e accettano la misericordia di Dio. Il brano contiene sei ahim!, tre per i farisei e tre per i legisti. Non c il settimo, perch i sei precedenti dovrebbero bastare per convertire tutti, in modo che, al suo posto, ci sia la beatitudine di colui al quale perdonato il peccato (Sal 32,1ss), perch ha creduto alla Parola (1,45). la beatitudine di Saulo, fariseo e legista: guarito dalla cecit, diventa maestro dellagp, e accoglie tutti come il suo Signore (At 28,30). Anche i giusti e i sapienti sono chiamati alla luce della verit comunicata agli infanti. Dio vuole salvare proprio tutti i suoi figli! Per i farisei ci vuole molta compassione, perch sono vittime della falsa sapienza. Dopo la menzogna del peccato originale, essa diffusa quanto lignoranza di Dio: abita ogni uomo e sta allorigine di tutti i mali. Nella tradizione orientale la preghiera per ottenere lilluminazione suona cos: Ges, Figlio di Dio, abbi piet di me peccatore. Combinazione della richiesta del cieco con quella del pubblicano (18,13.38), linvocazione che illumina le tenebre, perch convince la giustizia di peccato e la sapienza di cecit. Luca ci tiene molto a smascherare il fariseo che si annida nel credente, perch non decada dalla grazia del battesimo. Si rivolge infatti a Teofilo, perch non dimentichi, anzi si consolidi nella dottrina del Salvatore. 2. Lettura del testo v. 37: un fariseo. Fariseo significa separato. Questa separazione dal resto del mondo da lui desiderata e fatta per potersi costruire un mondo a parte, in cui vivere con purezza secondo tutte le esigenze esplicite e implicite della Legge. Il fariseo in Luca ha due caratteristiche: presume di essere giusto, e nientifica gli altri (18,9). A questo ne aggiunge una terza, comune a tutti: ama il denaro (16,14), senza il quale nessuna presunzione in grado di farsi valere! Egli si vanta davanti a Dio e agli uomini, rubando la gloria di Dio e disprezzando i fratelli. uno che ha sostituito la misericordia di Dio con la propria impeccabilit. Invece di porre Dio e il suo amore al proprio centro, ha posto se stesso e lamore della propria figura al centro di tutto. Anche Dio funzionale alla sua bont! Il fariseo il nemico per eccellenza del Ges di Luca, scriba mansuetudinis Christi. quindi particolarmente amato, secondo il comando del Signore (6,27.35). Il Vangelo di Luca pare scritto apposta per convincere i giusti di peccato in modo da convertirli e salvarli insieme con i peccatori (vedi particolarmente il discorso centrale: 6,20-49; vedi inoltre: 5,27-32; 7,29-35.36-50; 10,25-37; 15,1ss; 16,1-9.19-31; 19,1-10). Questa conversione deve continuare sempre nella chiesa; diversamente si chiude al mondo verso il quale inviata e a colui dal quale fu inviata. Il problema di sempre passare dalla legge giusta che condanna, allamore gratuito che giustifica. Il passaggio tremendamente duro per il giusto presunto, che nega misericordia a s e agli altri; invece facile per chi, guarito dalla cecit, conosce la propria miseria. di pranzare presso di lui. In tutti gli altri pasti, assieme ai farisei sono presenti anche i peccatori. Qui invece no. Per il fariseo il peccatore Ges che trasgredisce le abluzioni; per Ges il fariseo che non conosce il suo peccato. lo scontro diretto e frontale tra miseria e misericordia, che in 7,36-50

mediato dalla peccatrice. Il Signore accetta sempre linvito a pranzo dei farisei, anche se finisce sempre per andare di traverso a lui e a loro. Il pasto di cui si parla quello di mezzogiorno; quello della sera, che si protrae nella notte, pi intimo, riservato ai familiari e agli ospiti amici. Per questo si dice che i farisei invitano Ges a mangiare (7,36) o a pranzo, ma non a cena (cf. Ap 3,20). Levi il peccatore invece fa addirittura un gran ricevimento per lui (5,29); Zaccheo, presso il quale Ges si era autoinvitato per rimanere, lo accoglie e se ne fa carico come di un ospite (19,5.6). v. 38: lavato prima del pranzo. Qui si usa la parola greca baptzein, battezzarsi, cio immergersi, per indicare il lavarsi. un gesto di purificazione prima di ricevere degnamente il cibo, che dono di Dio. Ges non si lava con lacqua, perch ben diverso il suo battesimo, come ben diverso il suo cibo. Infatti si immerger nellobbedienza alla parola di misericordia fino alla morte (12,50), e il suo cibo sar bere il calice della volont del Padre, ricolmo del suo sudore di sangue (22,42-44). Questo suo battesimo la vera purificazione del discepolo e di ogni uomo che, riconoscendosi peccatore, accetta linvito al banchetto che il Padre ha imbandito a tutti. Il fariseo sempre contrariato dal fatto che Dio non discrimini e offra il suo dono anche agli immondi (cf. Gio 4,1ss). Altrove borbotta (5,30; 15,1) o sragiona (5,22); qui si meraviglia. una sua reazione naturale contro tutto ci che sa di condiscendenza verso limpuro. v. 39: il Signore. Ges solennemente chiamato cos (cf. 7,13; 10,1), perch. con tutta la sua potenza divina, cerca di compiere lopera pi difficile di tutta la creazione: chiamare a conversione il giusto, convincendolo del suo peccato e della propria misericordia! esterno/interno. Il comportamento esterno del fariseo ineccepibile, se vuole gloriarsi davanti a Dio e davanti agli uomini. Ma la sua giustizia solo presunta davanti a Dio. Infatti ci che la luce per locchio, la misericordia di Dio per il cuore delluomo. La luce del fariseo, per quanto fulgida allesterno, allinterno tenebrosa. Rapina e cattiveria sono il veleno mortale che sta dentro i recipienti lustri della sua mensa: rapina nei confronti della gloria di Dio e cattiveria nel confronto degli altri uomini. Discerne bene solo chi riconosce questa sua tenebra, e accetta il segno di Giona (vv. 29.32), cio la conversione. Questo discernimento necessario nella missione, Perch la chiesa resti realmente la casa del Padre che Ges ha aperto a tutti i fratelli. Essa ha come modello la casa dellex-fariseo Paolo: un luogo non proprio ( in affitto, probabilmente da un pagano!), aperto a tutti, dove si annunzia il Regno e si fa conoscere il Signore Ges con parresia e senza impedimento. la prospettiva con la quale Luca finisce tutta la sua opera indirizzata a Teofilo (At 28,30)! v. 40: O stolti. La stoltezza il contrario del discernimento. Confonde le tenebre con la luce e volge in male anche il bene, facendoci usare la Legge per autogiustificarci, invece che per invocare misericordia. Cos pretendiamo di salvarci per opera del nostro peccato! La prima stoltezza delluomo fu credere allinganno che gli fece pensare male di Dio e rifiutare di essere da lui e per lui. La seconda stoltezza fu nascondersi per paura di non essere perdonato. La terza e ultima stoltezza pensare, per vanagloria, di non averne bisogno e di essere autosufficienti. Questa la cecit del fariseo. Non un peccato per locchio non vedere senza la luce, bens voler vedere senza di essa. Il suo bisogno di luce addirittura ci che lo fa se stesso. Per questo il peccato, secondo Gv 9,41, non la cecit, ma il credere di vederci. colui che fece lesterno non fece anche linterno?. Significa che tutto opera di Dio, e quindi buono (cf. At 10,15; Mc 7,19b). La distinzione tra bene e male passa attraverso il cuore delluomo. Se questo nella rapina e nella cattiveria, tutto immondo, come un sepolcro; se nella misericordia e d in elemosina tutto, allora tutto mondo, perch resta nel circolo della vita.

v. 41: date in elemosina quanto dentro. A una luminosit esteriore Ges contrappone la luce del dono e della misericordia che viene dal di dentro. Paolo gett via ogni suo tesoro come unimmondizia, di fronte alla sublimit della conoscenza di Cristo, suo Signore (Fil 3,8). Lelemosina laspetto materiale della misericordia. Per essa, la ricchezza ingiusta diventa buona: da possesso, che ci divide dal Padre e dai fratelli, torna a essere dono, che riceviamo e doniamo. Lelemosina in Israele dovere di giustizia - siamo in uneconomia di sussistenza - perch siamo tutti fratelli. Essa salva dalla morte che nel cuore delluomo e purifica da ogni peccato (Tb 12,9), perch ci rende misericordiosi come il Padre (6,36). v. 42: pagate la decima. Pagare le decime offrire una parte dei prodotti ai fratelli per indicare che tutto viene dal Padre (Dt 26,1-15). La legislazione di Israele codifica questa economia del dono, con le prescrizioni sulle decime, sui poveri e sullanno sabbatico (Dt 14,22-15,18; 26,1-15). Il fariseo, almeno allesterno, riconosce il dono di Dio anche nelle cose minime. In realt, allinterno, egli rapina addirittura la gloria di Dio ed cattivo con i fratelli. trasgredite il giudizio e lamore di Dio. La parola giudizio in Luca esce solo quattro volte: 10,14; 11,31.32.42. Qui il giudizio associato allamore. Infatti la norma del giudizio la misericordia: il giudizio giusto consiste nel non giudicare, non condannare e nel dare (cf. 6,36ss). Esattamente il contrario di quanto fa il fariseo. questo bisognava fare e quello non trascurare. Chi ama compie tutta la Legge (Rm 13,10), anche quella sulle decime, proprio perch riconosce che tutto dono della misericordia di Dio e d tutto ci che ha. v. 43: amate... . Invece di amare Dio e il prossimo, il fariseo ama se stesso con tutto il cuore, con tutto lanimo, ecc.: si mette al centro di tutto, facendo dellio il suo Dio. v. 44: sepolcri... non manifesti. I sepolcri venivano imbiancati per segnalarli, cos che la gente non contraesse impurit camminandovi sopra. I farisei sono sepolcri non segnalati. Paradossalmente sono segnalati come sepolcri da quella luce di cui si ammantano nella pretesa di sembrare giusti: la loro bont imbiancatura di sepolcro, la loro vita oscurit di morte. v. 45: uno dei legisti. uno dei teologi dei farisei. Sono detentori del potere culturale; definiscono e programmano quanto gli altri devono fare per essere salvi! v. 46: caricate gli uomini di carichi insopportabili . I legisti aggravano il giogo della Legge attaccandovi a rimorchio un carro di prescrizioni supplementari: il carico pesante di chi ha la pretesa di salvarsi. Il giogo di Ges invece dolce e il suo carico leggero (Mt 11,30). La sua misericordia ci alleggerisce sempre di pi, svuotandoci di ogni rapina e iniquit. neanche con un vostro dito toccate i carichi. Le infinite disposizioni che i legisti escogitano, tocca ai farisei portarle. Ges critica nel legista soprattutto il potere culturale: dice e non fa, esercitando il dominio su chi fa quanto lui dice. Se il legista si sforzasse di compiere quanto dice, come Paolo (cf. Fil 3,6), potrebbe almeno avvertirne il peso. v. 47: costruite i sepolcri dei profeti, ecc. . Mentre i profeti annunciano la parola di Dio, i legisti la vanificano, soffocandola in infinite prescrizioni. Se i loro padri hanno ucciso i profeti per non convertirsi, questi uccideranno la Parola stessa. La loro sapienza di perdizione: invece di aprire allinvocazione della misericordia, chiude nellautosufficienza della presunzione.

v. 48: siete testimoni, ecc.. I legisti, invece di essere testimoni della sapienza di Dio, portano a consumazione il mistero di iniquit dei loro padri, come loro e come tutti insensati e tardi di cuore a credere a quanto dissero i profeti (24,25). v. 49: la sapienza di Dio disse, ecc.. La sapienza di Dio da sempre sa di essere perseguitata e uccisa: la sapienza della croce, del bene che vince il male portandolo. ci che sta scritto in tutte le Scritture, in Mos, nei Profeti e nei Salmi (24,44.27). vv. 50.51: a questa generazione sia chiesto conto del sangue. Questespressione sottolinea come alla generazione di Ges, il profeta e il giusto (cf. 23,47; At 2,23; 3,14; 7,52), verr chiesto conto del sangue di tutti i giusti e di tutti i profeti, dallinizio del mondo. Infatti il mistero di iniquit si consuma nellora della sua passione (22,53). Ma qui si compie anche il mistero della bont del nostro Dio. Lahim che Ges rivolge ai legisti, veramente un Ahim per voi!. Questo ahim la sua stessa croce, dove porta su di s tutta la maledizione della Legge e paga il conto di ogni delitto nostro. Se il sangue di Abele, il primo giusto ucciso, grida dalla terra a Dio (Gn 4,10), quello di suo Figlio la lava da ogni macchia. Se Zaccaria, lultimo profeta ucciso, muore dicendo: Il Signore veda e ne chieda conto (2Cron 24, 20ss), Ges crocifisso dir: Padre, perdona loro (23,34). Anche Stefano, il primo figlio della sapienza, mentre viene ucciso dir: Signore, non imputare loro questo peccato (At 7,60). La giustizia della Legge infatti denuncia e fa vedere il peccato davanti a Dio; la sapienza del vangelo invece lo perdona e se ne fa carico. v. 52: avete levato la chiave della conoscenza. La chiave della conoscenza richiama la casa della conoscenza (bet hammidrash) o casa dello studio, dove si impara la parola di Dio. I legisti ne hanno in mano la chiave. Ma ne stanno fuori, e defraudano i semplici della conoscenza dei misteri. La parola levare significa, oltre che togliere, anche uccidere e innalzare. La chiave della conoscenza di quel Dio che misericordia la croce di Ges, innalzato e tolto di mezzo proprio a causa della Legge. I legisti tolgono la chiave della conoscenza di Dio, perch danno limmagine di un Dio senza misericordia. Ma la sapienza di Dio user la loro insipienza: la croce che essi leveranno, sar la chiave stessa offerta a tutti per entrare nella conoscenza di Dio. vv. 53.54: Cominciarono gli scribi e i farisei a prendersela terribilmente Comincia a realizzarsi quanto appena stato predetto. Ges porta su di s la maledizione della giustizia e della sapienza della Legge. Gli ahim, ricadendo su di lui, lo porteranno al calvario e alla croce. L sar dato a noi di vedere la theoria di Dio (23,48), che confonde la sapienza dei sapienti (1Cor 1,19). Per questo il legista Paolo dir di non conoscere altro se non Ges Cristo, e questi crocifisso (1Cor 2,2). 3. Preghiera del testo a. Entro in preghiera come al solito. b. Mi raccolgo immaginando Ges che va a pranzo da un fariseo, senza lavarsi le mani. c. Chiedo ci che voglio: conoscere la tenebra che nel mio cuore, e chiedere di essere purificato. d. Medito sulle parole di Ges. Da notare: - purificare lesterno - interno colmo di rapina e cattiveria

- date in elemosina - e tutto sar puro - pagare la decima/trasgredire il giudizio e lamore di Dio - amare i primi seggi - sepolcri - carichi insopportabili - costruire sepolcri - Dio chiede conto di tutto il sangue a questa generazione - sequestrare le chiavi della conoscenza - la reazione degli scribi e farisei. 4. Passi utili Mc 7,1-23; At 10,1-15; Fil 3,1-16- Lc 18 9-14

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