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Carlo Alfredo Clerici

LE DIFESE COSTIERE ITALIANE


NELLE DUE GUERRE MONDIALI
Testo del volume di Carlo Alfredo Clerici ”Le difese costiere italiane nelle due
guerre mondiali”. Parma: Albertelli Edizioni Speciali, 1996. Per le molte dettagliate
e rare illustrazioni si rimanda al volume.

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STORIA
MILITARE
ALBERTELLI EDIZIONI SPECIALI

"Per non vivere da bruti convennero insieme da principio gli


uomini ne' recinti, e per difendersi dalla ferocia degli altri
uomini trovarono l'arte di fortificarli, acciocché i pochi
avessero potuto a' molti resistere". (Raimondo Montecuccoli)

A te,
in perenne viaggio,
il libro promesso,
su questi lidi...
partendo oggi, anch’io,
per luoghi molto incerti...

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UN APPELLO AI LETTORI

In Italia rimangono oggi numerose vestigia delle fortificazioni


realizzate durante i due Conflitti Mondiali, per lo più
abbandonate all'incuria ed esposte al pericolo di demolizioni. Un
preciso censimento può essere pertanto l'avvio di un'azione di
tutela e valorizzazione storica.
Rivolgiamo quindi un appello ai lettori interessati a collaborare
a quest'iniziativa, affinchè ci segnalino le fortificazioni da
loro conosciute, indicandone la tipologia, la dislocazione, lo
stato di conservazione, e allegando se possibile una foto o uno
schizzo dell'opera.

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PRESENTAZIONE

Osservando dal mare o percorrendo le estese coste del nostro Paese, si incontrano
frequantemente opere di difesa, oggi per lo più in disuso, ridotte a ruderi oppure
utilizzate per altri scopi. Ognuna però emana un certo fascino che richiama alla
memoria tempi passati, quando soprattutto ad esse era affidata la protezione delle
coste dalle offese nemiche. Senza volerci riportare alle antiche opere a difesa dalle
incursioni barbaresche e simili, ma limitandci a quelle erette in epoche più recenti,
numerose sono le opere delle quali esiste ancora traccia e che furono utilizzate sino
agli anni del secondo conflitto mondiale.
E’ appunto per illustrare il sistema delle nostre difese costiere fisse in attività dal
1915 al 1945 che “STORIA militare” ha affidato a Carlo Alfredo Clerici - un giovane
studioso che fu fondatore e a lungo segretario del “Gruppo di studio delle
fortificazioni moderne” di Milano - la stesura di questo volume, prima opera italiana
sull’argomento.
Molte delle installazioni impiegate durante le due guerre mondiali, soprattutto quelle
poste a difesa di basi navali o passaggi obbligati, furono tuttavia erette in epoche
precedenti e via via aggiornate nelle strutture e nelle armi di dotazione: per questo si
è ritenuto opportuno accennare, pur se in forma sintetica, anche all’organizzazione
delle difese costiere italiane nel periodo che va dalla costruzione dello stato unitario
sino alla Grande Guerra.
Contrariamente a quello che si può in prima analisi ritenere, la documentazione
(descrizioni tecniche, disegni e fotografie) relativa alle difese costiere oggi ancora
reperibile non è molta: l’esatta ubicazione e la configurazione di tali opere furono
infatti a lungo considerate segrete e per questo motivo - oltre che per la diffusa e
deprecabile incuria nella conservazione di questo tipo di documenti in Italia - la
relativa documentazione è andata negli anni dispersa o distrutta.
Va quindi a maggior merito dell’autore l’essere riuscito, tra tante difficoltà, a trovare
e raccogliere il materiale documentario e illustrativo necessario alla realizzazione di
questo volume che, essendo per il momento unico nel suo genere, non sarà
certamente immune da involontarie omissioni o inesattezze della cui segnalazione
saremo grati a tutti coloro che vorranno farlo, proprio nello spirito di collaborazione
con i lettori che da sempre caratterizza la nostra rivista.

Milano, primavera 1996.

Il direttore di “STORIA militare”


Erminio Bagnasco

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PREMESSA

Negli ultimi anni è notevolmente aumentato l’interesse per la storia militare, in


particolare per quella dei due conflitti mondiali.
Sono stati oggetti di studio i più disparati argomenti, dalla storia delle azioni belliche
all’uniformologia, dalle armi portatili agli aerei, alle navi.
Nonostante ciò, nel panorama editoriale italiano sono comparse soltanto poche
pubblicazioni dedicate al tema delle fortificazioni moderne.
In particolare, fino ad oggi in Italia l’argomento della difesa costiera del nostro Paese
durante i due conflitti mondiali è stato assai poco studiato e la cattiva prova data dai
sistemi difensivi durante l’ultima guerra, opposti senza successo agli sbarchi degli
Alleati, ha alimentato il mito dell’impreparazione italiana anche in questo campo.
In queste pagine vogliamo analizzare gli aspetti tecnici del sistema di batterie
difensive costiere italiane, per consentire una rilettura obiettiva degli eventi bellici,
oggi possibile a mezzo secolo dagli eventi di allora.
Parleremo in un apposito capitolo delle difese mobili del litorale, basate sui treni
armati, perché molto diverse, quanto ad organizzazione e a filosofia d'impiego, dalle
opere fisse.
Prima di esaminare in dettaglio l’evoluzione delle difese costiere in Italia durante il
ventesimo secolo, è utile accennare alla storia dei suoi criteri d’impiego.
Fino alla seconda guerra mondiale queste difese erano concepite con la funzione di
contrastare l’opera di bombardamento controcosta da parte di unità navali nemiche ed
impedire l’occupazione dei porti da parte avversaria.
Prima di questo conflitto si riteneva possibile uno sbarco in massa solo dopo
l’occupazione di un porto nemico, provvisto delle strutture indispensabili allo sbarco
di uomini e materiali.
Tuttavia durante la seconda guerra mondiale venne dimostrata la possibilità di sbarchi
in massa su spiagge aperte e ciò rese necessaria non più una difesa limitata a pochi
punti strategici, ma estesa a tutti i tratti di costa pianeggianti.
Da qui il proliferare di un sistema di fortificazione a difesa di tutto il litorale
nazionale, oggetto di questo libro e del quale esistono ancor oggi ampie vestigia.

Questa ricerca è stata resa possibile soprattutto grazie alla collaborazione dell'Ufficio
Storico della Marina.
Ringrazio l’allora Direttore, ammiraglio Renato Sicurezza, e tutto il personale per la
cortesia e la competenza con cui sono state favorite le mie ricerche.
Insostituibile è stata l’esperienza del “Gruppo di studio delle fortificazioni moderne”
e la collaborazione del “Centro studi storia e tecnica militare” di Milano.
Sono inoltre riconoscente al dottor Patrizio Tocci che ha fornito informazioni
preziose per l’avvio di questa ricerca. Un grazie va anche agli amici Massimo Ascoli,
Augusto Bassetti, Giorgio Berruti, Francesco Capelletto, Valerio Giardinieri, Jenny
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Migliavacca, Pietro Mongiano, Giovanni e Massimo Muran, Silvio Poli, Giampaolo
Porta, Luca Soldati, Franco Torsoli, Fulvia Traverso, Marino Viganò per la vasta
collaborazione prestata.
Un affettuoso ringraziamento va al conte Enrico Clerici e ad Elvira Costa per l’aiuto
prestato nelle ricerche bibliografiche e nella revisione dei testi. Inoltre devo
esprimere un ringraziamento particolare agli amici Alfredo Flocchini ed Eugenio
Vajna, valenti studiosi di storia militare che hanno contribuito in modo insostituibile
ai miei studi, e al comandante Erminio Bagnasco per i consigli ricevuti e per avermi
fornito parte del materiale illustrativo pubblicato.

Carlo Alfredo Clerici


Milano, primavera 1996.

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INDICE

Presentazione
Premessa

CAPITOLO I: Dallo Stato unitario alla prima guerra mondiale.


(Tabella) I principali pezzi costieri alla fine dell’800.

CAPITOLO II: La prima guerra mondiale


1. I treni armati
2. L’esperienza dei Punti Rifugio
[INQUADRATO] Situazione delle batterie costiere di grosso calibro durante il primo
conflitto mondiale.
[INQUADRATO] Situazione dell’armamento antinave delle principali località
costiere durante la prima guerra mondiale.

CAPITOLO III: Il periodo tra le due guerre


[DocumentO INQUADRATO]: Promemoria sulla difesa costiera, 14 gennaio 1921.
[Documento INQUADRATO]: Conclusioni riassuntive aprile 1924...............

CAPITOLO IV: La seconda guerra mondiale


1. Le batterie mobili ferroviarie.
2. I compiti dell’esercito nella difesa costiera e la minaccia dei commandos.
3. Il programma di fortificazione costiera
3a. La costituzione delle Divisioni costiere.
3b. La collaborazione tedesca.
[Documento INQUADRATO] Sistemazione difensiva delle frontiere marittime 13
aprile 1942.
[INQUADRATO] La struttura standard di una batteria costiera di medio calibro
4. L’attacco degli Alleati e i difetti delle difese.
5. Gli eventi dopo l’otto settembre 1943
[INQUADRATO] Tipologie standard di fortificazioni tedesche
[INQUADRATO] L’Organizzazione Todt.
6. Le vestigia delle difese costiere.
[INQUADRATO] Situazione delle batterie costiere di grosso calibro durante il
secondo conflitto mondiale.
[INQUADRATO] Situazione dell’armamento antinave delle principali località
costiere durante la Seconda Guerra Mondiale.

Appendice 1: Principali artiglierie antinave/caratteristiche


Appendice 2: Glossario
Bibliografia
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LE DIFESE COSTIERE NEL SECOLO SCORSO

Quando nel 1861 si costituì il Regno d'Italia, il neonato Stato ereditò alcune opere
fortificate costiere già erette dagli Stati sardi lungo la costa ligure e dal Regno delle
Due Sicilie a difesa dei porti più importanti.
Tutte queste difese erano comunque deboli ed obsolete e necessitavano di nuovi
interventi. La Francia era allora una nazione amica; la presa di Roma ed il mancato
intervento italiano a fianco della Francia durante la guerra franco-prussiana, fecero
però deteriorare i rapporti politici tra le due nazioni.
La difesa del confine marittimo contro minacce provenienti da occidente venne così
ad assumere un’importanza preminente per il nuovo Regno d'Italia, isolato fra Austria
e Francia.
In questi anni, il dibattito sulla difesa era un tema centrale della politica nazionale.
Venne istituita la Commissione permanente per la Difesa Generale dello Stato che
avviò lo studio di sistemazioni militari alla frontiera italo-francese e lungo le località
costiere più importanti.
Il piano generale di fortificazione vide la luce il 2 agosto 1871 e prevedeva 97 siti
fortificati in tutto il paese (o 77 in una versione “ridotta”). Un nuovo piano venne
stabilito nel 1874, seguito da una serie di leggi speciali per il finanziamento dei
lavori.
Tra il 1871 ed il 1880 furono stanziati 66,6 milioni di lire per le fortificazioni del
paese e più di 31 per le artiglierie necessarie ad armarle.
Le Alpi occidentali erano uno degli obiettivi principali dei lavori di fortificazione,
assieme alle Piazze marittime di Genova e La Spezia fino a quando nel 1878
iniziarono anche i lavori di fortificazione della capitale Roma.
Dal punto di vista tecnico, nel campo delle artiglierie da costa iniziò presto la lotta fra
cannoni e corazze. Poiché in quel periodo la protezione delle navi raggiungeva già i
35 cm di spessore, nel 1875 vennero adottati potenti pezzi d’artiglieria come il
cannone Biancardi da 32 cm G.R.C. Ret.. Nel 1879 si giunse all’adozione del
cannone Rosset Giovannetti da 45 cm, denominato “Cannone da 45 G.R.C. Ret. da
100 tonnellate”, studiato per perforare corazze fino 60 cm di spessore.

Nel 1882 venne stipulata la Triplice Alleanza, con Germania ed Austria-Ungheria,


che tolse l’Italia dall’isolamento politico nel quale si trovava e mutò drasticamente lo
scenario militare europeo. L’alleanza con l’Impero Austro-Ungarico permise di
sospendere la costruzione di lavori difensivi a Nord-Est; in seguito a ciò si verificò un
notevole incremento della spesa militare per la costruzione di fortificazioni lungo il
confine occidentale.
Una nuova Commissione per la Difesa dello Stato iniziò i lavori nel 1880; prese così
forma il Secondo Piano Generale di fortificazione, approvato il 30 giugno 1882.
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Per far fronte alla minaccia di aggiramenti francesi mediante sbarchi sulla costa
ligure vennero compiuti lavori di fortificazione lungo i principali passi di
collegamento con la Pianura Padana e lungo la costa.
Per questo secondo progetto furono stanziati 72 milioni destinati alla frontiera
francese e ben 473 milioni per il litorale e le isole, e altri fondi per un totale
complessivo di novecento milioni di lire.
In questi anni numerose innovazioni tecnologiche costrinsero ad un radicale
cambiamento dei criteri di progettazione delle opere fortificate.
Gli studi degli anni attorno al 1870 avevano portato alla realizzazione di grandi
batterie costiere, con opere a tracciato poligonale, fronti di varia lunghezza, in
muratura e pietra. Dato che la maggior parte delle Piazze marittime erano circondate
da rilievi adatti ad ospitare le batterie costiere, queste opere erano per lo più prive di
protezione contro tiri diretti.
L’armamento principale era costituito per lo più da pezzi d’artiglieria di tipi e calibri
diversi in postazioni in barbetta, e spesso queste opere erano dotate di un fosso per la
difesa ravvicinata, battuto da caponiere. Si trattava, come abbiamo detto, di opere
molto esposte al tiro avversario perché ampiamente realizzate fuori terra. Soltanto le
batterie destinate ad effettuare tiri d’infilata a protezione delle imboccature dei porti
vennero dotate di casematte, non corazzate.
Negli anni seguenti al Secondo Piano Generale furono condotti studi per dotare di
batterie costiere in cupola corazzata tipo Gruson, armate con pezzi Krupp da 400 mm,
tutte le principali Piazze marittime. A titolo sperimentale un esemplare di queste
batterie venne installato alla Spezia, sull’isola Palmaria e poi denominato Torre
Umberto I. Un altro esemplare venne installato a Taranto sull’Isola di San Paolo.
Il progetto, assai ambizioso, di dotare la difesa degli arsenali con una decina di queste
batterie dovette arrestarsi di fronte ad insormontabili ostacoli di tipo economico e i
due prototipi non furono seguiti da altre costruzioni di questo genere.
Venne in compenso riconosciuta la necessità di adottare potenti bocche da fuoco a
tiro curvo, in grado di avere ragione dei ponti corazzati delle navi fino ad una
distanza di circa 8 chilometri. Come soluzione transitoria, nel 1883 furono trasformati
alcuni obici da avancarica in obici da 24 G.R.C. Ret..
Nel 1885 vennero adottati numerosi esemplari di obice da 280 mm e nel 1893 venne
adottato l’obice da 280 lungo, con una gittata di 12 chilometri.
Negli anni successivi la specialità dell’artiglieria da costa del Regio Esercito si trovò
a disporre anche di molte bocche da fuoco della Regia Marina, come i pezzi da 254 B
e gli obici da 280 nelle versioni A, B e K.

Per dare un’idea dei lavori svolti è utile considerare brevemente la situazione delle
difese costiere alla fine del secolo scorso.
La Piazza della Spezia, il principale arsenale marittimo italiano, era difeso da circa
trenta opere, armate con più di 300 cannoni, 170 dei quali con funzioni antinave (per

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lo più calibro 240 o 320 mm), 100 per la difesa del fronte terrestre e 30 con doppio
compito.
Genova era difesa da 11 batterie sul fronte a mare. La principale era costruita alla
base della Lanterna ed era armata con cannoni da 320 mm.
L’arcipelago della Maddalena, sede di un arsenale ausiliario e centro di rifornimento
di fondamentale importanza per la flotta italiana, fu pesantemente fortificato.
Vennero costruite batterie sulle isole di Santo Stefano, della Maddalena, di Spargi e
di Caprera. Alcune di queste installazioni erano dotate di pezzi Krupp da 110
tonnellate, oltre a numerosi pezzi da 100 e da 68 tonnellate.
I lavori difensivi di Napoli lungo il fronte a mare erano ancora assai carenti.
Taranto, sede di un importante arsenale, era collocata in una posizione per natura ben
difendibile dagli assalti dal mare e poteva contare sui forti Rondinella e San Vito alle
estremità del Mar Grande e su batterie collocate sulle isole di San Pietro e San Paolo.
Ancona, nonostante avesse in quegli anni un ruolo strategico di secondo piano, era
difesa da una decina di batterie costiere.
Venezia, sede del terzo arsenale navale era difesa lungo la linea costiera da 17
installazioni tra forti e batterie costiere. Circa 12 di queste ultime, costruite sulle isole
della laguna, battevano i canali fra la città e la terraferma. Cinque forti e numerose
batterie difendevano il fronte a terra della Piazza.

Nel 1900 furono avviati nuovi studi per rafforzare le difese costiere del Paese con
nuovi pezzi d’artiglieria, ad integrazione degli obici da 280 esistenti e nel 1906
l’Ispettore Generale d’artiglieria invitò le principali case costruttrici a proporre i loro
nuovi prodotti.

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LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Quando nel 1915 l’Italia entrò in guerra contro la Germania e l’Impero Austro-
ungarico, erano disponibili per la difesa delle coste nazionali soltanto poche batterie
costiere, per lo più dotate di armamento obsoleto.
In quegli anni , per la carenza di mezzi adatti allo sbarco su spiagge aperte, la
protezione delle coste poteva limitarsi alla difesa dei porti, essenziali ad un attaccante
per lo sbarco delle truppe e dei materiali logistici.
Nonostante il problema difensivo fosse quindi abbastanza circoscritto, le artiglierie in
dotazione alle principali Piazze costiere, progettate per contrastare il lento naviglio di
fine Ottocento, erano ormai inadatte a colpire unità navali moderne, veloci e coraz-
zate, come quelle in dotazione alla Marina Imperiale asburgica. Ad aggravare le
lacune del sistema di difesa costiera, va considerato il fatto che molte Piazze
dovettero poi essere disarmate per supplire alla carenza del Regio Esercito di
artiglierie pesanti, indispensabili per battere le fortificazioni austro - ungariche sul
fronte terrestre.
Per dare un'idea dell'entità di questo disarmo riportiamo l'elenco completo delle armi
cedute da ciascuna Piazza.
La Spezia:
2 cannoni da 343/30 - 12 obici da 305 - 12 obici da 280L - 14 obici da 280C - 2
cannoni da 152/45 - tutti i cannoni da 149G - 4 cannoni da 120/40 - 1 da 76/50 - 1 da
76/45 - 2 da 76/21 - 3 cannoni da 76/17 - tutti i pezzi della cinta di sicurezza della
città - 8 cannoni da 57 - tutte le mitragliatrici modello 86.
La Maddalena:
4 cannoni da 343/30 - 4 obici da 305 - 9 obici da 280A sostituiti con obici da 280C -
10 obici da 280K (4 sostituiti con obici da 280C) - 9 cannoni da 149G - 3 cannoni da
152/40 - 8 cannoni da 120/40 - 4 cannoni da 76/17 -12 cannoni da 57H - tutti i 57 del
fronte a terra - tutte le mitragliatrici modello 86.
Messina:
4 obici da 305 - 4 obici da 280A (sostituiti con obici da 280C) - 8 obici da 280C - 12
cannoni da 149C - 6 cannoni da 57H - tutte le mitragliatrici modello 86.
Rimasero armate soltanto 4 batterie con un totale di 22 obici da 280C.
Gaeta:
4 obici da 280 C - 4 cannoni da 149G - 3 cannoni da 120/40 - 4 cannoni da 57/43;

Le uniche batterie armate con cannoni di tipo moderno, disponibili allo scoppio del
conflitto erano collocate a difesa di Venezia ma fin dai primi mesi di guerra venne
dato un forte impulso alla costruzione di batterie di ogni calibro.

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Il principale sforzo fu diretto a dotare con questi nuovi materiali tutti i porti adriatici
più importanti e minacciati.
I progetti per potenziare le difese costiere di Venezia e dotarle di artiglierie a tiro teso
di grosso calibro erano iniziate, a dire il vero, già nel 1907, anno in cui la
Commissione Permanente degli Ispettori, composta, fra gli altri tecnici, anche
dall’Ispettore dell’artiglieria da costa e da fortezza, aveva avviato la selezione delle
artiglierie da acquisire.
La scelta era caduta sui pezzi da 305/50, i più moderni disponibili in quegli anni; i
progetti per queste armi e le relative installazioni erano numerosi e vennero
presentati dalle Ditte Armstrong, Krupp, e Vickers - Terni.
L’Armstrong di Pozzuoli si aggiudicò l’anno seguente la commessa per la fornitura di
sei bocche da fuoco, che portò alla costruzione di tre batterie, ciascuna armata con
una coppia di cannoni da 305/50. Si trattava per l’epoca di moderne costruzioni,
costituite da un fabbricato corazzato in muratura e calcestruzzo, al cui interno si
trovavano i depositi di munizioni, i gruppi elettrogeni, il locale di comando, gli
alloggi e vari altri depositi. I pezzi da 305/50 costituenti la batteria erano alloggiati in
due pozzi distinti, ricavati all’interno dell’opera. Ogni cannone era protetto da una
torre corazzata chiusa.
Queste installazioni vennero disposte, per coprire il più ampio settore del fronte a
mare, sulle principali isole che delimitano la laguna. La batteria Dandolo, era situata
sull’Isola di Pellestrina. Una seconda batteria, denominata Emo, venne collocata al
centro dell’Isola del Lido. L’ultima, intitolata a San Marco, patrono di Venezia, si
trovava sulla penisola del Cavallino. La costruzione della S. Marco venne avviata nel
1909 e terminata nel 1912; le altre due furono completate l’anno successivo.
Sotto la spinta dell’incombente minaccia nemica, subito dopo lo scoppio della guerra
venne progettata la costruzione di una serie di batterie da 381 mm.
Nel settembre di quest’anno furono avviati i lavori di costruzione della prima
installazione di questo tipo, sotto il controllo dello Ufficio Autonomo del Genio
Militare per la Regia Marina che durarono ben diciassette mesi, viste le eccezionali
dimensioni della opera.
Si trattava della Batteria Amalfi, così chiamata in ricordo dello omonimo
incrociatore corazzato affondato in Alto Adriatico il 7 luglio 1915 dal sommergibile
austriaco U.26; essa era collocata sulla penisola del Cavallino, ad est di Venezia.
Il progetto prevedeva l’impiego delle più moderne soluzioni costruttive e di un
armamento altrettanto all’avanguardia. Sul corpo principale, in calcestruzzo, era
collocata una torre binata, armata con pezzi da 381/40.
La modernità di questo tipo d’installazioni consisteva proprio nell’impiego di una
torre corazzata di tipo navale per ospitare le bocche da fuoco.
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Questa soluzione che si rivelò tanto costosa quanto efficace, era stata adottata prima
del 1915 solo in pochi altri casi; fra questi è celebre Fort Drum, uno scoglio
trasformato in una sorta di “corazzata di cemento”, costruito nel 1910 dagli america-
ni a protezione della baia di Manila, nelle Filippine.
Nel dopoguerra questa tecnica costruttiva venne imitata in molti altri Paesi.
All’interno della costruzione principale erano ricavati vari locali, quali riservette per
proietti e cariche, uffici, alloggi per la truppa e gli ufficiali, lavatoi, latrine e quanto
occorreva al servizio della batteria.
I muri perimetrali raggiungevano i 9 metri di spessore a sud e ad est, le zone
prevedibilmente più esposte al tiro avversario.
Punto debole della struttura era lo spessore della copertura di calcestruzzo, di circa 3
metri, misura adeguata all’entità delle offese aeree della prima guerra mondiale ma
destinata a diventare insufficiente nel giro di pochi anni.
Oltre alla struttura principale vennero costruiti due corpi secondari, a distanza
opportuna l’uno dall’altro, contenenti ciascuno una centrale elettrica, composta da un
gruppo elettrogeno con motore diesel, pompe e macchinari idraulici.
Il collegamento degli impianti con il corpo principale era assicurato da
camminamenti protetti.
La polveriera, anch’essa in calcestruzzo, era a forma di semi-ellissoide ,suddivisa in
due camere separate per proietti e cariche di lancio ed era posta a distanza di
sicurezza dalla batteria.
Tutte le strutture principali ed accessorie della batteria erano riparate dal tiro diretto
nemico, mediante la costruzione di una duna artificiale di sabbia.
Ecco in breve le caratteristiche dell’ armamento di questa batteria che ispirò lo
sviluppo della difesa costiera italiana fino alla seconda guerra mondiale.
Esso consisteva in un impianto binato da 381/40 in torre corazzata girevole, di tipo
navale, prodotto dalla ditta Vickers - Terni della Spezia.
La gittata massima era di 19.800 metri e la massima cadenza di tiro raggiungibile era
di un colpo al minuto. Il settore di tiro verticale era compreso tra + 20 e - 2 gradi.
Queste bocche da fuoco provenivano dall’armamento delle unità della classe
“Caracciolo”, la cui costruzione era stata sospesa all’inizio della guerrai
Il munizionamento impiegato aveva le seguenti caratteristiche:
• peso I carica: kg.148, in grado di imprimere al proietto una velocità iniziale di 700
metri al secondo.
• peso 2°carica: kg.111 (560 mt.\sec.)
• peso 3°carica: Kg.71 (500 mt.\sec.)

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Ciascuna granata era lunga metri 1,4665, pesava 875 kilogrammi ed aveva una carica
di scoppio di 39,340 Kg. di tritolo.
E’ importante notare come la batteria Amalfi, pur essendo concepita per un compito
esclusivamente antinave, avesse un settore di tiro di 360 gradi e in effetti l’unico suo
impiego operativo avvenne proprio con tiri sul rovescio dell’opera, contro obiettivi
terrestri nella zona del Piave.
Nello stesso periodo, fu avviata la costruzione di due batterie similari per la difesa
della Piazza di Brindisi: la Fratelli Bandiera, posta sullo Scoglio della Pedagna
Grande e la Benedetto Brin, nei pressi di Cala Materdomini a nord della radaii
L’edificio corazzato che alloggiava la torre, in questo caso di costruzione Armstrong
- Pozzuoli, era simile a quello dell’Amalfi.
In queste installazioni però i generatori elettrici e le pompe idrauliche erano alloggiati
nei locali sottostanti e non separatamente dal corpo principale.
La Fratelli Bandiera venne iniziata nel 1916 e fu collaudata nel settembre del 1917.
La Brin subì invece alcune vicissitudini che ne ritardarono l’entrata in servizio.
Iniziata nel 1916 e destinata ad ospitare una torre binata da 305/40 recuperata dalla
corazzata Benedetto Brin, affondata a Brindisi per esplosione interna nell’estate dello
stesso anno, nel 1917 venne modificata per alloggiare una torre binata da 381/40
identica a quel la della batteria Fratelli Bandiera.
Tuttavia nell’ottobre del 1917, poiché la Fratelli Bandiera era stata ultimata ed era
richiesta una maggiore potenzialità di lavorazione per altro materiale più urgente, i
lavori della batteria vennero sospesi.
Per sopperire a questa lacuna nella difesa della Piazza si decise di mettere in batteria,
su sistemazioni campali nei pressi della stessa Brin, un cannone da 381/40, quasi
pronto presso la Armstrong, e uno da 305/46 recuperato a Campagnola sul Lago di
Garda.
Di questi, soltanto l’ultimo venne completato prima della fine delle ostilità.
I lavori alla batteria Brin vennero ripresi nel 1922 e l’opera fu collaudata l’anno
seguente.
Per avere un’idea degli sforzi compiuti, vale la pena di esaminare la situazione delle
batterie di grosso calibro, a difesa delle principali Piazze adriatiche, disponibili alla
fine del conflitto.
La Piazza di Venezia, caso unico in Italia, poteva contare sulle tre batterie del Regio
Esercito S. Marco, A. Emo e Dandolo, armate ciascuna con due cannoni da 305\50,
oltre alla batteria Amalfi, armata con due cannoni da 381\40. La difesa della Piazza
era integrata, da due cannoni da 254\45 su affusto De Stefano, in postazioni campali,
e per un certo periodo dai pontoni armati Cappellini (due 381\40) e Valente (con un
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305\40). La Piazza di Venezia poteva contare anche sulle vecchie batterie Penzo, V.
Pisani, Bragadino e Morosini, ciascuna con sei obici da 280 L, e sulle batterie
Alberoni (con sei cannoni da 240 C) e S. Pietro (con sei 321).
Ad Ancona presso l’ex Forte Pezzotti erano schierati tre obici da 280 L, prelevati
dalla batteria Morillot. La batteria Casa del Poggio disponeva di tre obici da 280 C,
mentre a Forte Cialdini un cannone da 203\45 integrava una batteria di due cannoni
da 152\45. Oltre a queste armi, sul Monte Conero si trovavano tre obici da 280 C e
due cannoni da 254/45 armavano la batteria del Monte Corvi.
A Brindisi sulla Pedagna Grande era stata collocata una batteria armata con quattro
obici da 280 K, e quattro 280 C armavano due opere sulle ali nord e sud del fronte a
mare. Nel 1917 venne ultimata la batteria Fratelli Bandiera, gemella della Amalfi di
Venezia, armata con una torre corazzata con due pezzi da 381/40.
Per sostituire la batteria Brin, i cui lavori terminarono però solo dopo la fine della
guerra, fu progettata l’installazione di pezzi singoli da 381/40, e da 305/46; di questi
però, soltanto l’ultimo venne collocato prima della fine delle ostilità. Il sistema
difensivo della Piazza era integrato dal pontone Valente, armato con un cannone
Vickers da 305mm e, per un certo periodo, si era avvalso anche di alcune vecchie
corazzate alla fonda nell’avamporto (Italia, Dandolo, ecc.).
La Piazza di Taranto schierava come armamento pesante i due cannoni da 400 mm
della torre Vittorio Emanuele, costruita alla fine dell’800 e rimessa in efficienza
all’inizio del conflitto. Oltre a questi pezzi, ormai obsoleti, erano disponibili tre obici
da 280 C. della batteria Saint Bon, otto della batteria S. Vito e quattro della batteria S.
Pietro.
Tutte le batterie costiere italiane erano controllate dal corpo dell’Artiglieria da Costa,
creato nell’ambito dell’Artiglieria da Fortezza già nel 1873. Il corpo era inizialmente
formato da tre reggimenti, portati a cinque nel corso della guerra, così dislocati: 1°a
Genova, 2° alla Spezia, 3° da Costa e da Fortezza a Roma, 4° a Messina , 5° da Costa
e da Fortezza a Venezia.

15
I treni armati

Per difendere alcuni tratti del litorale adriatico contro attacchi di sorpresa della flotta
austriaca la Regia Marina istituì nel 1915 i primi treni armati. Nel corso del primo
conflitto mondiale vennero realizzati dodici treni armati, di tre tipi.
Il modello più pesante fu realizzato in sei esemplari (T.A. I, II, III, IV, XI e XII). Era
dotato di 4 pezzi da 152/45 antinave, ciascuno installato su un pianale, e di 2 cannoni
antiaerei da 76/40 montati su un unico carro.
Un secondo tipo di treno armato fu realizzato in sei esemplari (T.A. V, VI, VII, VIII,
IX e X). Era dotato di 4 pezzi da 120/40 antinave e possibilità d’impiego secondario
antiaerei, posizionati a coppie sui carri e di due cannoni da 76/40 (o Skoda da 75 mm)
su un singolo pianale.
Il terzo tipo di treno aveva impiego antiaerei ed era provvisto di 8 cannoni da 76/40
(montati a coppie sui carri ferroviari).
La Direzione del Servizio Treni Armati trovò sede ad Ancona, con responsabilità
della difesa mobile del litorale adriatico da Ravenna a Bari.
La dislocazione iniziale dei T. A. era la seguente:
T.A. I: sede a Rimini, con compito di difendere il litorale da Cervia a Pesaro.
T.A. II: sede a San Benedetto del Tronto, con compito di difendere il litorale da Porto
Recanati a Giulianova.
T.A. III: sede a Senigallia, con compito di difendere il litorale da Pesaro (escluso) a
Palombina.
T.A. IV: sede ad Ancona, con compiti di difesa della città.
T.A. V: sede a Castellammare Adriatico, con compito di difendere il litorale da
Giulianova a Torino di Sangro.
T.A. VI: con sede a Vasto e compito di difesa della costa da Torino di Sangro
(escluso) a Ripalta. Nel 1917 venne destinato alla difesa del litorale tra Bellaria e
Cattolica.
T.A. VII: con sede a Bari, a difesa del litorale da Barletta a Monopoli.
T.A. VIII: impiegato per la difesa contraerei di Ancona.
T.A. IX: a difesa della città di Foggia.
T.A. X: con sede a Bari, aveva compiti di difesa del litorale da Barletta a Bari.
T. A. XI: con sede a Barletta, difendeva il tratto di costa da Barletta a Giovinazzo.
T.A. XII: con sede a Bari, operava a difesa del litorale tra Giovinazzo (escluso) e
Mola di Bari.

Durante il conflitto i T.A. ebbero modo di intervenire in molteplici occasioni alla


difesa del litorale contro incursioni aeronavali austriache. Fra tutte meritano di essere
ricordate:

16
16 febbraio 1916: il T.A. VI contrastò l’azione di bombardamento su Ortona e San
Vito di Lanciano, condotta dall’incrociatore Saint George, appoggiato da tre
cacciatorpediniere e da tre torpediniere.
23 giugno 1916: il T.A II intervenne per interrompere il bombardamento di
Grottammare condotto da due cacciatorpediniere.
5 novembre 1916: il T.A. III mise in fuga e danneggiò tre cacciatorpediniere tipo
“Tatra” impegnate nel bombardamento di Sant’Elpidio a Mare (Ascoli Piceno).
2 novembre 1917: il T.A. I aprì il fuoco con efficacia contro una formazione navale
austriaca composta da un incrociatore tipo “Novara” e da tre cacciatorpediniere tipo
“Tatra”.
Quella dei treni armati si rivelò un’esperienza nel complesso positiva che permise di
garantire una protezione minimale a lunghi tratti di costa adriatica impiegando risorse
economiche e umane relativamente contenute.

L’esperienza dei punti rifugio

Benché in una certa fase del conflitto il timore di pesanti incursioni da parte della
flotta di superficie asburgica fosse sfumato, si profilò una nuova minaccia, questa
volta a carico dell’intera costa italiana. Iniziarono infatti gli attacchi dei sommergibili
tedeschi e a.u. contro il naviglio da carico e le installazioni costiere (fabbriche, porti,
ponti) lungo l’intero sviluppo costiero italiano.
Come risposta vennero creati i Punti Rifugio (P.R.), ovvero una serie di postazioni
armate con pezzi d’artiglieria leggera ormai obsoleti per il tiro terrestre ma ancora
efficaci per disturbare le azioni sottocosta dei sommergibili austriaci e costringerli
all’immersione.
I Punti Rifugio vennero a formare dei punti della costa nel quale le navi mercantili
potevano trovare una certa protezione contro gli attacchi di sommergibili condotti in
emersione con le artiglierie ed eventualmente anche contro lanci di siluri, se la
località era dotata di reti para-siluro.
I primordi dell’organizzazione dei Punti Rifugio risalgono già al febbraio 1910,
epoca in cui vennero scelti 18 punti della costa nei quali approntare difese per le navi
mercantili. I primi provvedimenti vennero realizzati all’inizio dell’autunno del 1916,
quando furono messi in batteria ben 251 cannoni di vario calibro con circa 2.500
uomini addetti ai pezzi ed ai servizi di vigilanza.
L’organizzazione si sviluppò poi lentamente anche nel corso del 1917, fino a
costituire un totale di 264 batterie con 557 cannoni e circa 5.750 uomini.
Ai primi del gennaio 1918 era quasi ultimata anche la difesa della grande linea di
comunicazione ferroviaria tirrenica e nell’estate del 1918 i lavori erano terminati ed
in tutta Italia erano schierate ben 281 batterie con 636 cannoni. iii
17
Le batterie dei Punti Rifugio furono coinvolte in 643 azioni ed aprirono il fuoco 162
volte; in 85 casi ciò avvenne contro sommergibili sicuramente riconosciuti. iv In 10
casi i natanti avversari aprirono il fuoco contro le batterie.
Alla fine della guerra le batterie dei Punti Rifugio, in parte già rimosse dopo la
battaglia di Vittorio Veneto, vennero smobilitate; rimasero invece in attività le grandi
batterie in postazione permanente che abbiamo citato e molte delle numerose opere
armate con pezzi di minor calibro (per lo più 152 mm), costruite per integrare la
difesa delle Piazze o proteggere località di rilevante importanza.

18
IL PERIODO FRA LE DUE GUERRE

Dopo la prima guerra mondiale, nel Mediterraneo si costituì un condominio anglo -


franco - italiano e la difesa delle coste venne a basarsi più sull’efficienza della flotta
che su quella delle batterie costiere.
A quei tempi poi la Regia Aeronautica italiana era una forza di tutto rispetto e le sue
basi aeree sul continente e nelle isole potevano rendere assai rischioso un attacco
condotto contro le coste nazionali.
Ciò nonostante, proseguirono i progetti per aggiornare le batterie costiere lungo tutta
la Penisola, dato che la maggior parte delle opere edificate durante la Grande Guerra,
pur essendo in molti casi ancora attuali dal punto di vista tecnico, si trovava in zone
ormai strategicamente di secondo piano.
Il 14 gennaio 1921 lo Stato Maggiore del Regio Esercito, di concerto con quello
della Regia Marina, individuò quindici aree industriali e demografiche da proteggere
dalle offese da mare :
Savona-Vado, Sestri-Genova, Livorno, Elba-Piombino, Pozzuoli- Napoli-Castella-
mare, Cagliari, Palermo, Siracusa-Augusta,Brindisi-Bari-Barletta, Ancona-Rimini,
Monfalcone, Trieste, Fiume, Zara oltre a Tripoli, Bengasi o Tobruk.
Nell’ aprile 1924 la Commissione mista per la difesa del Tirreno con batterie costiere,
riassunse i lavori compiuti in un progetto complessivo che descriveva le
installazioni necessarie per la difesa del bacino tirrenico; le zone da fortificare
comprendevano:
- basi e punti d'appoggio navali (Spezia, Gaeta, Napoli, Messina, Augusta, Trapani,
S.Antioco, sistema La Maddalena - isola di Terranova);
- zone di particolare importanza militare (Riviera di Ponente, Elba-Piombino e Porto
Conte-Alghero);
- centri industriali, portuali e demografici importanti (Genova, Livorno,
Civitavecchia, Palermo e Cagliari).

Il complesso dei lavori proposti della Commissione comprendeva un insieme di venti


batterie di cannoni di grosso calibro (381, 305 e 203), oltre ad un gran numero di
batterie di medio e piccolo calibro.
Nel 1931 vennero compiuti studi per alcune batterie da 305/42 a Trapani (opera "V"
o Pizzolungo, su tre pezzi singoli) ed a Taranto (opera "L", ex opera Saint Bon), su tre
complessi singoli.
Nel 1934 venne studiata l'installazione a Tripoli di una batteria da 305\46
Armstrong - Vickers mod. 1909, su tre complessi.
Nello stesso anno fu progettata la costruzione di una batteria su tre complessi singoli
da 254/45, ritubati a 203/55, a Lero, denominata opera “Z”. Il progetto non venne
però realizzato.

19
Sempre nel 1934, fu installata alla Maddalena la batteria Rubin da Cervin con
quattro pezzi da 203/45 in torri binate, la prima opera difensiva progettata nel
dopoguerra ad essere realizzata.
L’attuazione degli altri progetti procedette invece a rilento.
Nuovi sviluppi si ebbero nel 1936, quando venne compilato un nuovo e per certi versi
grandioso progetto d'installazione di batterie di grosso calibro.
In questo periodo cominciarono ad apparire evidenti i limiti delle installazioni tipo
Amalfi. Prima fra tutti era la scarsa resistenza offerta dalle costruzioni in calcestruzzo
contro massicce offese aeree . Per questo, già dai primi anni trenta era cominciata la
progettazione di batterie con le strutture essenziali collocate in gallerie sotterranee, e
delle quali l'unica parte esposta era la torre corazzata.
Venne studiata l'installazione di batterie di nuova concezione, da armare con pezzi
da 381/40 poiché, pur essendo disponibile il progetto del nuovo cannone Ansaldo
381/50 mod. 1934, la sua gittata era giudicata esuberante rispetto alla distanza utile
del tiro da costa, stimata in 25.000 m..
Venne comunque studiato un nuovo tipo di torre che, in seguito alla maggiore
elevazione raggiungibile dai pezzi, permetteva una gittata di m. 27.300; il ritmo di
tiro era di 75 secondi per salva.
In queste installazioni era stato eliminato il sistema di caricamento di tipo navale,
con elevatore in corrispondenza del pozzo della torre, e le munizioni venivano
trasferite tramite carrelli su ferroguide dal deposito munizioni alla camera di
caricamento, attraverso un'apertura nel retro della torre.
Vennero costruite tre torri il cui impiego era inizialmente previsto per queste batterie
di nuova progettazione:
-Augusta Monte Tauro (opera “S”).
-Augusta Capo S. Panagia (opera “A”).
-La Spezia Monte Bramapane (Opera Montanari o “G”)
A Pantelleria fu prevista l'installazione di due batterie da 320/40 o 305/42 in torre
binata e di due da 203/45.
A Tobruk venne studiata l’installazione di tre pezzi da 305/42, così come a Trapani (
a S. Giuliano o all'isola di Levanzo, opera “H” ).
Sulle isole di Ponza, Ischia e Capri era stata progettata addirittura l'installazione di
tredici cannoni da 305/42, per la difesa della prevista “grande base centrale”.
Per l’isola di Lero venne proposta la costruzione di una batteria con tre cannoni da
203/45.
Nonostante i numerosi progetti di questi anni vennero realizzate soltanto le due
batterie di grosso calibro ad Augusta.
Si trattava della grande batteria di Capo Santa Panagia, ultimata nel 1939, prima
applicazione pratica del nuovo concetto costruttivo, con locali ed impianti
interamente in galleria, ed armata con una delle “nuove” torri da 381/40 Armstrong.
L’altra batteria era l’opera Luigi di Savoia, con due cannoni da 203/50 su affusto
scudato singolo in piazzole scoperte.
20
Numerosi settori costieri rimasero però privi di difese appropriate .
Il corpo responsabile della difesa costiera fu ristrutturato; i Reggimenti
dell’Artiglieria da Costa, ridotti a tre dopo la Grande Guerra vennero sostituiti dalla
Milizia Costiera, istituita nel 1935, che assunse così il compito, assieme alla
M.D.I.C.A.T. (Milizia Difesa Contraerea Territoriale), della “difesa del Paese da
attacchi aerei e navali nemici”.
Nel 1938 la Milizia Costiera prese il nome di Milmart (Milizia Artiglieria Marittima),
corpo formalmente autonomo, alle dipendenze dalla Regia Marina per il materiale,
l’addestramento e l’impiego nella difesa delle Piazze di Augusta, Brindisi, Cagliari,
La Maddalena, La Spezia, Messina, Pantelleria, Pola, Taranto, Trapani e Venezia.

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra ed il caso volle che la prima azione
compiuta ai danni del territorio nazionale sia stato proprio un bombardamento portato
da una formazione navale francese contro Genova e Savona (14 giugno 1940). Il
principale porto commerciale italiano era difeso da alcune batterie terrestri di medio
calibro e da treni armati che non riuscirono, da soli, a contrastare efficacemente
l’azione anche se un cacciatorpediniere fu raggiunto con una granata da 152 della
batteria.
Dopo l’incursione francese del 1940 la stessa città dovette subire i 9 febbraio 1941,
un più pesante bombardamento da parte di una squadra inglese, comandata
dall’ammiraglio Somerville, prima che fosse possibile installare delle adeguate
batterie pesanti.
In conseguenza di quest’ultima azione, il Regio Esercito, dal quale dipendeva la
Piazza di Genova, decise la costruzione di due moderne batterie in galleria, del tipo
“Augusta”, a Quinto al Mare (M. Moro) ed Arenzano (Punta S. Martino).
Per l’armamento l’Esercito ottenne dalla Marina la cessione delle uniche due torri
binate da 381/40 rimaste, approntate per le previste batterie della Spezia ed Augusta -
M. Tauro, la cui costruzione era stata in precedenza annullata.
I lavori iniziarono immediatamente e le due batterie erano pronte nell’estate del 1942.
21
Dopo l’inizio del conflitto fu avviata l’installazione nelle Piazze ancora sguarnite di
altre batterie di grosso e medio calibro.
Nel 1941 il progetto difensivo di Pantelleria venne modificato in modo da avere una
batteria su tre pezzi da 305/42 su affusto singolo a Cuddie Bruciate, una su tre pezzi
da 203/45 singoli in località Brignone ed una su quattro pezzi da 190/45 sul Dosso
Dietro Isola. Neanche quest’ultimo progetto venne eseguito per la difficoltà di fare
affluire nell’isola i materiali ed il personale necessari alle costruzioni.
Sempre nel 1941, venne approvata la costruzione dell’opera “L” di Taranto, da
collocare in località Torre Blandamura, con la denominazione di Batteria ammiraglio
Cattaneo.
Quale armamento si decise di utilizzare i tre cannoni da 305/42 già affustati per
Tobruk. Stranamente la struttura dell’installazione non rispecchiava i nuovi canoni
costruttivi adottati ad Augusta e Genova. Le artiglierie erano installate in piazzole
scoperte mentre in posizione interrata e protetta si trovavano solo le riservette e la
centrale di tiro.
Si trattava di una struttura semplice che nulla aveva in comune con le complesse
installazioni in torre. I lavori iniziarono nello stesso anno, ma alla data dell’armistizio
risultavano ancora in corso, anche se quasi ultimati.
Sempre a Taranto iniziarono nel 1942 i lavori per la costruzione, in località Ginosa
Marina, della Batteria ammiraglio Toscano, già opera “M”, con due torri binate da
203/45 in precedenza previste per Pantelleria. Anche per questa costruzione valgono
le considerazioni costruttive esposte per l’opera “L”. Al momento dell’armistizio i
lavori erano comunque stati sospesi da alcuni mesi per la mancanza di mezzi di
trasporto.
La disponibilità di artiglierie pesanti da impiegare per la difesa costiera era senz’altro
superiore alle possibilità economiche per la loro installazione nei tempi brevi imposti
dall’andamento del conflitto.
Un rapporto ufficiale del 17 gennaio 1941 riferisce l’esistenza di ben ventotto bocche
da fuoco da 305/46 disponibili per installazioni costiere. Questo pezzo Armstrong -
Vickers mod. 1909 derivava dalla demolizione delle vecchie corazzate Dante
Alighieri e classe “Regina Elena”.
I lavori di affustamento erano più costosi rispetto a quelli per il pezzo 305/42 di
preda bellica ex austro ungarico, rispetto al quale però era più semplice lo
approvvigionamento di munizioni.
Il medesimo rapporto annuncia la disponibilità in quella data di altri venti pezzi da
305/42 da affustare. Due erano destinati ai pontoni armati G.M. 191 e G.M. 192 e sei
erano in corso d’affustamento per le batterie di Tobruk (opera “H”) e Tripoli.

22
Alla vigilia dell’invasione del territorio nazionale da parte degli Alleati, risultavano
attive le seguenti batterie, armate da personale della Milmart :

6 da 381/40 in torre binata (Brin e Bandiera a Brindisi, Amalfi a Venezia ed opera


“A” ad Augusta; batterie di Monte Moro ed Arenzano a difesa di Genova (controllate
e armate dal Regio Esercito).

3 batterie da 305/50 con un totale 6 pezzi (Dandolo, Emo e San Marco a Venezia).

1 batteria da 305/42 su 3 pezzi ( Cattaneo a Taranto), non completata.

4 batterie da 305/17 con quattro pezzi ciascuna (Cascino e Cavour alla Spezia e Pes
di Villamarina e De Caroli alla Maddalena).

8 batterie da 280/9 con 48 pezzi (sulle due sponde dello Stretto di Messina, Siacci (6
pz.), Beleno (6 pz.), Gulli (6 pz.), Pellizzari (4 pz.), Masotto (6 pz.), Crispi (8 pz.),
Schiaffino (6 pz.), Cavalli (6 pz.),
Nel 1942 erano attive solo le batterie Cavalli, Masotto, Beleno e Pellizzari (per un
totale di 22 pezzi).

1 batteria da 203/50 su 2 pezzi (Luigi di Savoia ad Augusta).

2 batterie da 203/45 per un totale di 8 pezzi (Rubin de Cervin alla Maddalena e


Toscano a Taranto, quest’ultima in avanzato stato di costruzione)

2 batterie da 190/39 per un totale di 4 pezzi. (Cappa a Pola e Caracciolo a Napoli).

Oltre a queste batterie principali esistevano anche opere minori ad integrare le difese
delle Piazze principali e secondarie sul suolo metropolitano e nelle colonie:
1 batteria da 156/47 su 4 pezzi.
20 batterie da 152/50 con un totale di 74 pezzi.
12 batterie da 152/45 con 46 pezzi.
11 batterie da 152/40 con 37 pezzi.
2 batterie da 145/47 con 8 pezzi.
3 batterie da 149/37 con 10 pezzi.
12 batterie da 120/50 con 49 pezzi
5 batterie 120/40 (18 pezzi)
3 batterie da 102/35 con un totale di 12 pezzi.
1 batteria. 100/47 su 5 pezzi
2 batterie da 66/47

23
Per integrare le difese di alcune località particolarmente importanti erano disponibili
due pontoni armati con due cannoni da 305/42 ciascuno, un pontone con due
190/39, uno con due 190/45, due pontoni con due 149/47 ed infine il vecchio
monitore G.M. 194 (ex Faà di Bruno) che con i suoi due 381/40 fu schierato a
Genova ed in seguito a Savonav.

I settori esterni alle Piazze Marittime erano difesi da numerose le batterie del Regio
Esercito in postazioni campali, alcune delle quali erano armate anche con pezzi di
grosso calibro. In particolare, due batterie da 305/17 vennero installate a difesa del
porto di Napoli, mentre alcune altre furono impiegate per la difesa della Sicilia.

1. LE BATTERIE MOBILI FERROVIARIE

A complemento delle artiglierie in postazione fissa, prima della guerra vennero


allestite alcune batterie mobili su carri ferroviari. Nel giugno 1940 esistevano nove
treni provvisti di armamento anti - nave e tre con armamento contraereo.
Le batterie mobili ferroviarie erano organizzate su due Gruppi. Il Primo aveva base
logistica alla Spezia e comando a Genova e comprendeva quattro treni armati con
quattro pezzi ciascuno da 120/45, un treno armato con quattro cannoni da 152/45 ed
uno armato con sei cannoni a 76/40:
T.A. 120/1/S con IV - 120/45 e 2 mitr. da 13.2
T.A. 120/2/S con IV - 120/45 e 2 mitr. da 13.2
T.A. 120/3/S con IV - 120/45 e 2 mitr. da 13.2
T.A. 120/4/S con IV - 120/45 e 2 mitr. da 13.2
T.A. 152/5/S con IV - 152/40 e 2 mitr. da 13.2
Il Secondo Gruppo aveva base logistica a Taranto e il comando operativo a Palermo.
Poteva contare su quattro treni armati ciascuno con quattro cannoni da 152/40 e due
76/40; oltre a questi esisteva un treno armato con sei cannoni da 102/35 ed uno
armato con sei pezzi da 76/40:
T.A. 152/1/T con IV - 152/40, II - 76/40 contraerei e 2 mitr. da 13.2.
T.A. 152/2/T con IV - 152/40, II - 76/40 contraerei e 2 mitr. da 13.2.
T.A. 152/3/T con IV - 152/40, II - 76/40 contraerei e 2 mitr. da 13.2.
T.A. 152/4/T con IV - 152/40, II - 76/40 contraerei e 2 mitr. da 13.2.
T.A. 102/1/T con VI - 102/35 contraerei e 2 mitr. da 13.2.
T.A. 76/1/T con IV - 76/40 contraerei e 2 mitr. da 13.2.

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All’inizio del 1943 si decise inoltre di utilizzare cinque cannoni ferroviari Ansaldo da
381/40, residuati della prima guerra mondiale e giacenti in deposito presso l’Arsenale
della Spezia per la difesa della stessa Piazza.
Un analogo studio per l’impiego di cannoni francesi di preda bellica da 340/45 su
affusto ferroviario per la difesa di Taranto non ebbe applicazione.
Il Regio Esercito si trovò anche a disporre del seguente materiale su affusto
ferroviario, che non trovò però mai occasione di essere impiegato in azioni di fuoco.

ARTIGLIERIE MOBILI IN DOTAZIONE AL REGIO ESERCITO PER IMPIEGHI DI


DIFESA COSTIERA

Tipo di pezzo e Tipo di affusto Esemplari


calibro disponibili
Cannone da Su affusto 12 pezzi
194/29 ferroviario
Cannone da Su cingoli 2 pezzi
194/32
Cannone da Autotrasportato 4 pezzi
220/32
Cannone da Su affusto 4 pezzi
240/27 ferroviario
Cannone da Su affusto 3 pezzi
340/45 ferroviario

2. I COMPITI DEL REGIO ESERCITO NELLA DIFESA COSTIERA

L’esercito dal canto suo creò uno Stato Maggiore per la difesa del territorio, con alle
dipendenze i Comandi Difesa - uno per ciascun corpo d’armata di pace. Sul territorio
metropolitano era quindici: Torino, Genova, Alessandria, Milano, Bolzano, Treviso,
Trieste, Udine, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Palermo e Cagliari. Dai co-
mandi di difesa dipendevano 28 comandi di zona militare, responsabili della difesa
delle coste, nei tratti non dipendenti dalla Marina.
Per la difesa contro le incursioni aeree venne costituita la M.A.C.A., Milizia
artiglieria contraerea composta da 22 legioni con un totale di circa 200 batterie.
25
Un centinaio di battaglioni territoriali dell'esercito e della milizia assicuravano la
difesa degli impianti e delle comunicazioni.
I Carabinieri e le Guardie di Finanza erano responsabili del servizio di pattugliamento
delle spiagge.

La difesa delle coste dell’Italia Meridionale tornò alla ribalta in conseguenza delle
operazioni aereonavali che i britannici, riuscirono a condurre ai danni della nostra
flotta. In Sicilia venne inviato un reparto celere proveniente dalla divisione
“Emanuele Filiberto Testa di Ferro” e la divisione autotrasportabile “Piave”,
provenienti dall'Italia settentrionale.
Vennero trasferite al sud anche la divisione motorizzata “Trieste”, destinata in
Albania e dislocata invece in Puglia, e la divisione di fanteria “Pistoia”, schierata in
Calabria. Queste unità rappresentavno quanto di meglio aveva disponibile il Regio
Esercito in quel periodo.
Il 15 febbraio 1941 il comando della VI Armata del Po venne trasferito da Verona a
Cava dei Tirreni per coordinare le forze dislocate in Italia meridionale e nelle Isole
Maggiori. Suo compito principale era lo studio e la preparazione delle difese delle
coste.
Di pari passo, grazie alla chiamata alle armi di numerose classi anziane vennero
costituite unità territoriali e territoriali mobili.
Furono create le prime unità costiere che assorbirono parte delle artiglierie da
posizione, prima inquadrate nella GAF, la Guardia alla Frontiera.
Assieme ai battaglioni territoriali e territoriali-mobili, le batterie costiere vennero a
formare i settori di brigata costiera, in seguito le brigate ed infine le divisioni costiere.
Il 30 settembre 1941 il comando della 6° Armata si spostò in Sicilia ed assunse la
responsabilità della difesa dell'isola. Sul continente fu ricostituito il comando della 7°
Armata alle cui dipendenze vennero poste le forze dislocate in Italia centro -
meridionale ed in Sardegna. Nella difesa del territorio nazionale venne data la priorità
alla Sicilia.

Nell'autunno del 1941 lo stato maggiore dell'esercito emanò le direttive per la difesa
delle frontiere marittime, base dottrinaria per i successivi sviluppi.
Il programma prevedeva il potenziamento delle fortificazioni dei grandi porti -
militari e mercantili - e i punti della costa più vulnerabili. In seguito furono previsti
lavori difensivi lungo la costa, con posizioni più arretrate di sbarramento ed infine le
bretelle trasversali attraverso le grandi isole e la penisole per impedire l'eventuale
avanzata di forze nemiche che fossero riuscite a superare la linea costiera e gli
sbarramenti. La priorità fu data alla Sicilia, quindi alla Sardegna, poi alle coste
dell'Italia meridionale, infine al versante tirrenico centro - settentrionale. Poco o nulla
venne previsto per le coste adriatiche.
Per armare le fortificazioni e formare le riserve per i contrattacchi e le controffensive
si resero così necessarie ingenti forze. Il programma prevedeva l'impiego di divisioni
26
mobili per presidiare gli sbarramenti di contenimento e le bretelle trasversali. Sulla
linea fortificata costiera venne previsto l'impiego di divisioni costiere appositamente
costituite.

Oltre alla minaccia di sbarchi in forze, cominciò a profilarsi il rischio di attacchi


contro obiettivi sensibili del territorio nazionale, da parte di truppe speciali come i
Commandos che proprio in questo periodo gli inglesi iniziarono ad impiegare
largamente.
In tutto il territorio nazionale vennero quindi organizzati appositi nuclei
antiparacadutisti (NAP), composti ciascuno da un plotone di fucilieri autotrasportati,
con il compito di contrastare le azioni paracadutisti e sabotatori avversari.
La struttura dei NAP venne realizzata in breve tempo e con buoni risultati.
Contemporaneamente vennero organizzati in Sicilia, in Sardegna ed in Puglia, reparti
per la difesa degli aeroporti e contro operazioni di aviosbarco.
Ogni aeroporto poteva contare su un reparto di difesa, formato da un battaglione di
fanteria e una batteria di artiglieria.

3. IL PROGRAMMA DI FORTIFICAZIONE COSTIERA

Il programma di costruzione delle fortificazioni fu realizzato molto più lentamente


del previsto. Lungo il territorio nazionale ci furono numerose differenze nella scelta
dei sistemi e delle opere difensive. La mancanza di acciaio e l'impegno dell'industria
siderurgica nella realizzazione di materiali bellici più urgenti costrinse a rinunciare
alle opere blindate. L’impiego di cemento fu notevolissimo sebbene la produzione
nazionale fosse solo di 120.000 tonnellate mensili.
Di queste inoltre, per varie esigenze, non ne erano disponibili neanche la metà.
L'estensione della linea da fortificare era di alcune migliaia di chilometri; il cemento
a disposizione consentì di fortificare solo il fronte a mare delle piazze militari ma-
rittime e di alcuni porti. Venne realizzata soltanto in parte la difesa del fronte a terra
delle principali Piazze e furono fortificati ampi tratti della costa in Sicilia e in
Sardegna. Alcuni lavori vennero avviati sulle coste della Calabria e del versante
Tirrenico, fino al confine italo-francese.
Nell' entroterra furono avviati i lavori di realizzazione di due "bretelle": una
all'altezza di Castrovillari in Calabria, l'altra all'altezza di Cassino.

La realizzazione delle opere fortificate era attuata con questa procedura. Lo Stato
Maggiore dell'esercito stabiliva le linee generali del programma; i comandi d'armata e
di corpo d'armata traducevano tali linee in direttive sempre più particolareggiate e
27
vigilano sulla loro attuazione; i comandi di divisione provvedevano all'attuazione
sulla carta ed infine i reparti provvedevano a costruire le fortificazioni. I principali
problemi sorsero per il fatto che soltanto una parte degli ufficiali in servizio aveva
una preparazione adatta a questo compito.
Dato che le direttive dello Stato Maggiore non scendevano nei dettagli,
l’intepretazione e l'applicazione sul terreno fu abbastanza diversa da zona a zona e
mutò con l'avvicendarsi dei comandanti.
Nonostante queste difficoltà si giunse a costruire opere e capisaldi persino in misura
superiore alla disponibilità di truppe per presidiarli.

LA COSTITUZIONE DELLE DIVISIONI COSTIERE

Poiché il Regio Esercito operante era impegnato oltremare od oltre frontiera si


organizzò la costituzione di unità costiere e mobili attingendo dai reparti territoriali o
territoriali mobili, di seconda linea, formati da classi di leva più anziane. Nel 1941
vennero costituiti undici settori di brigata costieri. Otto furono trasformati in divisioni
costiere e tre in brigate; poco dopo venne formata una nona divisione costiera.
Nel 1942 proseguì la formazione di settori di brigata costieri per costituire brigate o
divisioni. Le unità costiere salirono così a 9 brigate e 13 divisioni. Nel 1943 si
raggiunse il livello di 11 brigate e 25 divisioni.
Tutte queste unità non ebbero un organico omogeneo, anzi, estremamente variabile. Il
battaglione costiero era costituito su due compagnie di fucilieri e due di mitraglieri
(su quattro plotoni di tre armi). Le armi automatiche in dotazione erano 24
mitragliatrici e 24 fucili mitragliatori. I reggimenti costieri erano composti da 2, 3 o
4 battaglioni. Le brigate erano formate da due reggimenti e le divisioni da due, tre o
quattro reggimenti, a seconda del tratto di costa da difendere. Brigate e divisioni
erano rinforzate anche da reparti di fanteria: battaglioni e compagnie mitraglieri,
reparti motociclisti. I reggimenti inquadravano inoltre una compagnia di ciclisti e i
battaglioni un plotone celere, ciclisti o autoportato.
L'artiglieria costiera - in media due batterie per battaglione - aveva un notevole
sviluppo organico, anche se poteva disporre nella maggioranza dei casi di materiale
antiquato o di preda bellica.
Il fabbisogno di truppe da impiegare nelle posizioni costiere andò crescendo di giorno
in giorno e si giunse persino a creare reparti di alpini costieri.
La cavalleria arrivò a destinare alla difesa costiera la maggior parte dei suoi quaranta
gruppi appiedati.

Nella primavera del 1942, i comandi con competenza costiera nel territorio
metropolitano subirono alcuni cambiamenti.
La fascia tirrenica, dalla Spezia al Garigliano, nonchè la Toscana, il Lazio e la
Sardegna, furono poste alla dipendenza della ricostituita 5° Armata, comandata dal
28
generale Mario Caracciolo di Feroleto. La fascia adriatica, da Trieste alle Marche, fu
lasciata ai comandi di Difesa di Trieste e Bologna. La costa abruzzese, attraverso il
comando di zona di Pescara, dipendeva invece dalla 5° Armata, comandata dal
generale Adalberto di Savoia-Genova, duca di Bergamo. Alla 6° Armata, comandata
dal generale Ezio Rosi, restò la Sicilia.

Fino all'estate del 1942, poche divisioni mobili furono dislocate sul territorio del
gruppo d'armate. In Sicilia, le divisioni “Aosta”, “Assietta” e “Napoli”. In Sardegna,
la “Sabauda” e la “Calabria”. In Italia meridionale, la “Superga”, la “Pistoia”, la
“Bari” e la “Piceno”. In Toscana, la “Livorno”, la “Friuli” e la “Cremona”. La
“Pistoia” fu però destinata in Africa Settentrionale, dove giunse nella tarda estate del
1942. Le divisioni “Assietta”, “Napoli”, “Superga”, “Livorno”, “Friuli”, “Cremona” e
“Bari” furono prescelte per operazioni di sbarco a Malta e in Corsica (operazioni C2
e C3).

Verso la fine del 1942, la penisola rimase praticamente senza forze mobili, se si
eccettua la divisione “Piceno” nelle Puglie. Infatti, la “Superga” venne inviata in
Tunisia; la “Bari” e la nuova divisione paracadutisti “Nembo” in Sardegna; la
“Cremona” e la “Friuli” furono sbarcate in Corsica; tutte le altre divisioni mobili
disponibili, inquadrate nella 4° Armata, occupavano il territorio francese sotto il
controllo italiano.
Alla 4° Armata fu affidata la difesa delle coste di Provenza e di Liguria, fino a La
Spezia esclusa. A questo scopo, furono lì dislocate alcune divisioni costiere.

LA COLLABORAZIONE TEDESCA

Nel 1943 il rischio di grandi sbarchi nei mesi estivi si profilava sempre con maggior
concretezza. Le forze mobili italiane capaci, anche se con mezzi inferiori, di
impegnare combattimento contro unità modernamente armate erano poche e alquanto
sparse; una divisione corazzata in corso di costituzione in Lombardia (la nuova
“Ariete”), una divisione motorizzata in Provenza, la “Piave”, una divisione corazzata
della milizia, la "M" in corso di costituzione nel Lazio; qualche battaglione di carri
medi o di semoventi e qualche divisione meglio attrezzata, come la “Livorno”. Il
resto delle forze mobili, anche se antiquato, era nei Balcani.
Il nuovo capo di stato maggiore generale Ambrosio, si decise a chiedere ai tedeschi
un congruo numero di divisioni da dislocare nelle isole e in Italia meridionale, ma i
tedeschi risposero di non averne disponibili.
Ciò era vero fino a un certo punto.
In realtà i vertici tedeschi cominciavano a nutrire dubbi sulla volontà italiana di
continuare la guerra e temevano che, in caso di pace separata italiana, quelle divisioni
sarebbero rimaste intrappolate, tagliate fuori da ogni rifornimento le cui linee
passavano attraverso la stretta penisola e il mare.
29
Dopo la caduta della Tunisia, a maggio, i tedeschi offrirono finalmente cinque
divisioni per rinforzare la difesa della Sardegna, della Sicilia e della Penisola. Ma
Mussolini e Ambrosio ne accettarono soltanto tre per "conservare la libertà di
manovra" .
Con truppe parzialmente già in Italia per essere avviate in Tunisia, furono ricostituite:
in Sardegna, la 90° Panzer Granadiere; in Sicilia, la 15° Panzer Granadiere; in
Campania, poi trasferita in Sicilia la divisone Panzer Granadiere della Luftwaffe
Herman Goering, Mentre in Corsica fu inviata una brigata corazzata delle SS.
A giugno, Ambrosio si decise a chiedere altre unità oltre a quelle rifiutate a maggio.
Così vennero in Italia la 16° Panzer che si dislocò in Campania, nella zona di Eboli;
la 26° Panzer e la 29° Panzer Granadiere che giunsero in Calabria; la 3° Panzer
Granadiere che, per volontà tedesca, giustificata da timori di sbarchi sulle coste
toscane e laziali, si dislocò a nord di Roma.

Nell’ estate del 1943, alla vigilia dell' invasione del territorio metropolitano, le truppe
costiere raggiunsero il mezzo milione di uomini.

Le truppe furono schierate nella fascia di copertura costiera: una zona profonda una
decina di chilometri dal litorale verso l'interno, scorporata dal territorio posto alle
dipendenze dei Comandi di Difesa Territoriali e di Zona Militare. Tale fascia era
sottoposta alla responsabilità dei comandi di unità costiere (battaglioni, reggimenti,
brigate e divisioni). Il territorio era quindi diviso in due zone ben distinte: fascia di
copertura costiera e territorio propriamente detto. Le due zone, attraverso i comandi
costieri e , rispettivamente, territoriali, dipendevano dai Corpi d'Armata.

4. L’ATTACCO ALLEATO E I MOTIVI TECNICI DEL CROLLO DELLE


DIFESE

Nonostante i grandi sforzi compiuti nel 1941-42, le difese italiane vennero travolte
dagli sbarchi angloamericani, dapprima a Pantelleria e poi in Sicilia.
Fra i punti deboli del sistema difensivo era particolarmente grave l’estrema
vulnerabilità delle batterie all’offesa aerea (con l’eccezione delle poche opere in
torre corazzata di grosso calibro). Anche se accuratamente mimetizzate, le postazioni
in barbetta (a cielo aperto) per le artiglierie non offrivano un riparo sicuro contro i
pesanti bombardamenti aeronavali che precedevano gli sbarchi.
Le truppe costiere non disponevano che di pochi reparti del genio, necessari a
realizzare le opere fortificate, la cui costruzione fu di conseguenza affidata a truppe
non specificamente addestrate a questo compito.

30
A peggiorare il quadro complessivo va ricordata la grave carenza d’impianti radio per
i collegamenti fra i capisaldi e la scarsità di mine, indispensabili per formare i previsti
sbarramenti anti-sbarco.
La stessa efficienza delle truppe da costa era poi assai relativa. Il generale Mario
Caracciolo di Feroleto nel suo E poi? La tragedia dell’esercito italiano, (op. cit. in
biblografia) annotava così:
“....Per ragioni che ho sempre ignorato, i reggimenti costieri (formati ciascuno su
due o su tre o anche su un solo battaglione) erano raggruppati in unità che in Lazio e
in Sardegna si chiamavano divisioni, in Toscana brigate: misteri dell’organica.
Erano in principio reparti costituiti di gente anziana, con servizio direi territoriale,
comandati da ufficiali anche essi anziani, richiamati dalla riserva o dal
complemento. Avevano il modesto compito di sorvegliare la costa, ma, scarsi di
forza, privi in gran parte di collegamenti e di mezzi di segnalazione - anche questo
compito potevano assolvere imperfettamente. Più tardi, quando dalla fase offensiva
della guerra si passò a quella difensiva, si capì che queste unità sarebbero state le
prime ad essere attaccate; erano quindi unità di prima linea anzi di frontiera....
....... L’esiguità delle forze obbligava questi reparti a distendersi su tre compagnie
diluiti per trenta e perfino per cinquanta chilometri di costa; una cosiddetta divisione
(due reggimenti con un complesso di cinque battaglioni) aveva da sorvegliare
centosettanta chilometri. In tali condizioni, altro che battaglia sulla costa! Era
appena possibile un servizio di avvistamento, e anche quello in alcuni tratti non
perfetto...”
Molti storici hanno imputato la debolezza del sistema di difesa costiere italiana
all’impreparazione delle Forze armate, ignorando che per la difesa costiera vennero
messe a disposizione enorme risorse umane e materiali. In realtà nessun esercito,
anche più ricco di mezzi avrebbe potuto svolgere efficacemente un compito tanto
gravoso, quanto la difesa di un fronte così ampio come le coste della Penisola. Anche
nel caso italiano valse quindi l’antico principio dell’arte fortificatoria che spesso gli
strateghi del ventesimo secolo persero di vista, secondo il quale “chi vuole difendere
tutto, finisce per non tenere nulla!”.

5. GLI EVENTI DOPO L’OTTO SETTEMBRE 1943

Si giunse così all’armistizio dell’ 8 settembre 1943 ma la storia delle difese costiere
in Italia non si fermò qui.
Le truppe germaniche presero il controllo delle fortificazioni e delle batterie italiane,
in molti casi sabotate prima della resa. La necessità di un sistema antisbarco efficace
diventò per i tedeschi assolutamente vitale. Uno sbarco nel golfo di Genova o di
31
Trieste o nella laguna veneta avrebbe permesso agli anglo - americani di aggirare le
linee difensive, faticosamente costruite dall’esercito germanico lungo la Penisola,
tagliando fuori le divisioni tedesche nel resto dell’Italia.
L’Organizzazione Todt, struttura paramilitare tedesca che aveva realizzato prima
della guerra il Westwall più noto come Linea Sigfrido lungo il confine franco -
tedesco, lavorò a ritmo serrato per realizzare un vasto sistema fortificato secondo un
copione già sperimentato in Francia con la costruzione del Vallo Atlantico.
Furono dapprima rimesse in efficienza le installazioni italiane; molte erano state rese
inefficienti, gli otturatori ed i congegni di puntamento dispersi ,ma nella maggior
parte dei casi fu possibile ripristinarne l’efficienza.
Il punto successivo del programma mirò ad assicurare la migliore protezione
all’offesa aerea alle batterie già esistenti, che si era rivelata il punto debole delle
difese italiane.
Molte postazioni di artiglieria furono ricoperte, a questo scopo, da un “guscio di
tartaruga” in cemento armato, in grado di proteggere i serventi e i pezzi .
Nel contempo vennero installate molte nuove batterie costiere, utilizzando
l’abbondante numero di pezzi campali di medio e grosso calibro catturati e già
appartenenti al Regio Esercitovi.
Ma i lavori più vistosi si svolsero sulle spiagge, dove fu eretto un sistema di
ostacoli anticarro, coperti dal tiro di fiancheggiamento di mitragliatrici in casematte.
Per integrare questo sistema furono costruite altre casematte per cannoni anticarro e
per pezzi, d’artiglieria destinati a colpire i mezzi da sbarco. Tutte le opere erano
costruite sulla base di modelli standard (Regelbau), appositamente studiati per
garantire il miglior rapporto fra costo (in ore lavorative e materiali) ed efficacia.
Lungo la penisola italiana dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, vennero realizzate
dalle forze germaniche numerose linee difensive, come la Linea Gustav o Linea
Gotica, con il compito di ritardare l’avanzata degli alleati lungo la penisola.

Queste linee difensive, erano per lo più di tipo misto, con opere permanenti affiancate
da numerosissime altre di tipo campale.
Oltre alle difese citate venne eretto lungo le coste dell'Italia occupata, in particolare
lungo quelle del Mar Ligure e dell'Adriatico Settentrionale, un sistema difensivo
antisbarco ispirato agli stessi criteri costruttivi delle fortificazioni terrestri, con ampio
impiego di modelli standard. Il Vallo Ligure, fu la più grande opera difensiva
tedesca nel nostro Paese ed impegnò una grande quantità di personale. Nell'aprile
1944 erano al lavoro più di trentacinquemila operai italiani e settemila uomini della
Todt, per realizzare più di ottomila postazioni campali e semi - permanenti mentre
lungo la costa adriatica lavoravano circa ventimila operai.
32
La dispersione di forze lungo un fronte esposto alla minaccia di un attacco degli
Alleati esteso centinaia di chilometri rese necessario l’impiego di costruzioni di rea-
lizzazione relativamente economica. Per di più l'allestimento di queste difese avvenne
in fretta, sotto l'incalzare dell'avanzata anglo-americana, spesso in condizioni
meteorologiche avverse che rendevano impossibili gettate di calcestruzzo di grandi
dimensioni.
Per la realizzazione di queste linee difensive si fece ricorso quindi ancora di più che
nel Westwall, a piccole opere, che avevano anche il vantaggio di essere poco vul-
nerabili dall' offesa nemica.
Anche se l'impiego di queste linee difensive non riuscì a mutare il corso egli eventi
bellici, ormai volti irrimediabilmente a sfavore della Germania, dimostrò tuttavia
l'efficacia della tecnica fortificatoria tedesca, costringendo gli Alleati a risalire lungo
la Penisola a prezzo di gravissime perdite.
Alla costruzione di tutte le opere lavorò, come abbiamo detto, l'Organizzazione Todt,
impiegando largamente manodopera civile di reclutamento locale, sotto il controllo
di personale germanico.

Dopo la fine del conflitto gran parte delle batterie costiere italiane dovette essere
smantellata in osservanza alle disposizioni del Trattato di Pace. Fra gli obblighi
dell’Italia era contemplata la smilitarizzazione di un tratto di costa di 15 chilometri
adiacente la frontiera italo - francese e quella italo - jugoslava. Era prevista la
demilitarizzazione entro un anno dall’entrata in vigore del trattato, delle isole di
Pantelleria, Lampedusa, Lampione, Linosa e Pianosa. All’Italia veniva anche
interdetta la costruzione di nuove fortificazioni costiere in Sicilia, in Puglia e in
Sardegna. In particolare in Sardegna era stato disposto lo smantellamento delle opere
difensive costiere poste a meno di trenta chilometri dalle acque territoriali francesi.
Le opere che scamparono alle demolizioni imposte dal Trattato di Pace rimasero in
servizio ancora per alcuni anni fino a quando furono definitivamente abbandonate
perché divenute obsolete.

LE VESTIGIA DELLE DIFESE COSTIERE

Oggi esistono ancora numerose fortificazioni costiere del periodo relativo alle due
guerre mondiali.
Avendo perso ogni interesse militare, versano tutte in condizioni di estremamente
precarie; abbandonate a loro stesse sono state oggetto di spoliazioni e demolizioni
indiscriminate.
Le vestigia, a volte assai imponenti, del grande sistema di difesa costiera italiano
costituiscono oggi testimonianze storiche assai preziose per gli studiosi degli
33
avvenimenti bellici del passato recente e meriterebbero adeguati interventi di tutela
contro il degrado che minaccia di anno in anno di farle scomparire.

i
L'assegnazione della fornitura per le artiglierie principali delle quattro navi da
battaglia classe “Caracciolo” risale al 1913 per le prime tre , ripartita fra Ansaldo,
Armstrong-Pozzuoli e Vickers-Terni, nella proporzione di un armamento completo di
otto pezzi più due di riserva per ognuna di esse.
All’inizio del 1914 venne assegnata la fornitura per la quarta nave, aggiudicata alla
Armstrong-Pozzuoli in virtù della maggior fiducia che la Regia Marina riponeva nel
tradizionale sistema costruttivo delle artiglierie inglesi rispetto all’innovativo sistema
costruttivo del cannone Ansaldo, prodotto su licenza Schneider, e della maggior
puntualità nelle forniture dimostrata in precedenza dalla Armstrong nei confronti
della Vickers - Terni.
Pertanto la fornitura risultò così ripartita:
Francesco Caracciolo e Francesco Morosini alla Armstrong;
Marcantonio Colonna alla Vickers-Terni;
Cristoforo Colombo all’Ansaldo.
Le caratteristiche balistiche dei tre modelli di arma erano uguali, ma differenti erano
le caratteristiche costruttive.
Sinteticamente i cannoni di tipo inglese erano costituiti da un’anima alla quale
venivano sovrapposti, alternati, tre ordini di cerchi, ognuno composto da un diverso
numero di elementi e da una cerchiatura a nastro d’acciaio in culatta.
Il cannone Schneider era invece costituito da tre elementi tubolari riuniti a
cannocchiale e forzati a caldo. Invece della semplice culatta con otturatore a vitone
degli altri due modelli era presente un complesso blocco di culatta che, oltre
all’otturatore, conteneva i congegni di frenamento e di recupero. Da notare che il
pezzo Schneider, in virtù del suo nuovo sistema costruttivo, pesava 63 t. in luogo
delle circa 84 dei cannoni di tipo inglese.
Da parte dell’Ansaldo, nel corso della guerra, vennero prodotti nove pezzi, mentre
uno venne fornito al balipedio, nel 1914, direttamente dalla Schneider, per le prove di
accettazione.
Un’altro documento riporta che la Armstrong nel 1922 aveva ancora in costruzione
nove pezzi, a completamento delle precedenti commesse; fra questi, quelli della torre
in corso di installazione alla Batteria Brin di Brindisi.
34
Durante il primo conflitto mondiale, 5 artiglierie di costruzione Ansaldo furono
cedute al Regio Esercito per essere montate su affusti ferroviari e due vennero
utilizzate dalla Regia Marina per la torre binata del pontone Faa’ Di Bruno.
I cannoni della fornitura Armstrong e Vickers furono utilizzati per i pontoni armati,
su affusto singolo, e per le batterie costiere di Venezia e Brindisi.
Come vedremo, sempre questi saranno utilizzati in seguito per le installa zioni
delle batterie di Augusta e Genova.
ii
La R. Marina installò anche due batterie pesanti “lacustri”. Nel gennaio 1916
iniziano i lavori di sistemazione di un cannone da 305/46 a Campagnola sulla sponda
orientale del Lago di Garda e di uno da 305/40 a Limone su quella occidentale. Le
installazioni vengono terminate fra il marzo e il maggio dello stesso anno ma furono
poi rimosse nel novembre del 1917, in seguito allo sfondamento di Caporetto e
sostituite con artiglierie di minor calibro.
(Da A. Santoni, La Marina italiana sul lago di Garda durante la prima guerra
mondiale, in “La prima guerra mondiale e il Trentino”, Ed. Comprensorio
Vallagarina, Rovereto 1980.
iii
Furono sistemati in batteria ben 24 tipi di artiglierie. La maggior parte fu assegnata
dal Ministero della Guerra ma anche la Regia Marina concorse abbondantemente. Nei
primi tempi furono impiegati solo cannoni da 87 B (bronzo) su affusto a ruote e
cannoni da 75 B su affusto a piedistallo, ma in seguito vennero impiegate batterie
armate anche con cannoni di questi calibri e modelli: da 152/50, 152 C, 152/40, 149
B (R.M.), 149 G, 120/40, 120 n.2 (R.M.), 120 G, 102/35, 87 A, 87 B, 87/98, 76/45
A.A. (R. Esercito), 76/45 (R.M.), 76/40, 76/17, 76 G.B. (inglesi, campali), 76 B. da
campo, 75/21 su affusto a piedestallo, 75/12 (da montagna), 57/40, 57 H, 47 A.A.
(R.Esercito), 37.
iv
Le 162 azioni di fuoco furono, nel tempo, ripartite come segue:
1916................n.° 4
1917................n.° 85
1918................n.° 73
Azioni di fuoco contro sommergibili manifestamente accertati (azioni nelle quali
presero anche parte due o più batterie): 85.
Avvistamenti di galleggiamenti sospetti contro i quali fu eseguito fuoco a salve od a
granata: 37.
Azioni di fuoco contro sommergibili non individuati, dirigendo i colpi dove cadevano
quelli sparati da altre navi: 8.
Fuoco a salva contro sommergibili a distanze superiori alla gittata ed inferiori ai 10
chilometri, ovvero per allarme: 18.
Azioni di fuoco per cause riconosciute errate: 14.

35
v
Il trasferimento avvenne probabilmente dopo l’entrata in servizio delle batterie da
381/40 di Monte Moro ed Arenzano nell’estate 1942. Il monitore fu affondato
dall’equipaggio il 23 aprile 1945.
vi
Vedi C. A. Clerici, H. L. Weisz Prytz e C. Robbins, I combattimenti dell’artiglieria
costiera tedesca lungo il litorale italiano nella seconda guerra mondiale, in
“Bollettino G. S. F. M.”, novembre - dicembre 1993.

BIBLIOGRAFIA
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defences of Genoa during the Second World War”. Fort, volume 23, 1995. pp.
111 - 125.
• Carlo Alfredo Clerici. “La difesa costiera in Italia”. Uniformi ed Armi n°25,
febbraio 1993.
• Carlo Alfredo Clerici, Eugenio Vajna de Pava. “La batteria costiera di Monte
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• Carlo Alfredo Clerici. “Il colosso di Venezia”. Uniformi ed armi, luglio 1993, pp.
38 - 44. Article about Amalfi battery, the main battry of Venice during I WW.
• Carlo Alfredo Clerici. “La difesa costiera del Golfo di Genova”. Uniformi &
Armi, settembre 1994, pp. 35 - 41.
• Carlo Alfredo Clerici, Alfredo Flocchini, “Appunti per una storia delle
fortificazioni costiere italiane del XX secolo”. Bollettino d’Archivio dell’Ufficio
Storico della Marina Militare, giugno 1994. pp. 153 - 169.
• Carlo Alfredo Clerici. “Le fortezze della perla nera. In visita alle difese costiere di
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• Carlo Alfredo Clerici, Piero Pesaresi. “Le difese costiere della Spezia”. Uniformi e
Armi, agosto/settembre 1999, pp. 48 - 53.
• Carlo Alfredo Clerici, Alfredo Flocchini, Charles B. Robbins. “The 15”
(381mm)/40 guns of the “Francesco Caracciolo” Class Battleships”. Warship
International, n°2, 1999. Pag. 151 - 157.
36
• Carlo Alfredo Clerici. Le difese costiere italiane nelle due guerre mondiali.
Parma: Albertelli Edizioni Speciali, 1996.
• Furio Lazzarini, Carlo Alfredo Clerici. Gli artigli del Leòn. La Batteria “Amalfi”
e le fortificazioni costiere di Venezia nelle due guerre mondiali. The Lion's claws -
The Amalfi battery and Venice's coastal fortifications during the two World Wars..
Parma: Albertelli Editore, 1997.

37

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