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Aesthetica Preprint

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Esperienza estetica A partire da John Dewey


a cura di Luigi Russo

Centro Internazionale Studi di Estetica

Aesthetica Preprint

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la collana editoriale pubblicata dal Centro Internazionale Studi di Estetica a integrazione del periodico Aesthetica Preprint. Viene inviata agli studiosi im pegnati nelle problematiche estetiche, ai repertori bibliografici, alle maggiori biblioteche e istituzioni di cultura umanistica italiane e straniere.

Il Centro Internazionale Studi di Estetica


un Istituto di Alta Cultura costituito nel novembre del 1980 da un gruppo di studiosi di Estetica. Con d.p.r. del 7 gennaio 1990 stato riconosciuto Ente Morale. Attivo nei campi della ricerca scientifica e della promozione culturale, organizza regolarmente Convegni, Seminari, Giornate di Studio, Incontri, Tavole rotonde, Conferenze; cura la collana editoriale Aesthetica e pubblica il periodico Aesthetica Preprint con i suoi Supplementa. Ha sede presso lUniversit degli Studi di Palermo ed presieduto fin dalla sua fondazione da Luigi Russo.

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21 Dicembre 2007

Centro Internazionale Studi di Estetica

John Dewey, 1859-1952

Esperienza estetica A partire da John Dewey


a cura di Luigi Russo

Il presente volume raccoglie gli interventi presentati nellomonimo Seminario promosso dal Centro Internazionale Studi di Estetica in collaborazione con lUniversit degli Studi di Palermo e la Societ Italiana dEstetica (Palermo, 23-24 novembre 2007), in occasione della pubblicazione delledizione italiana di Arte come esperienza di John Dewey.

Il presente volume viene pubblicato col contributo del Miur (prin 2005, responsabile scientifico prof. Luigi Russo) Universit degli Studi di Paler mo, Dipartimento di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi (Fieri), Sezione di Estetica.

Indice

Lantropologia dellesperienza estetica in Dewey di Giovanni Matteucci 7 Emozioni e soggetti nellespressione artistica: il contributo di Dewey di Roberta Dreon 19 Estetiche empiristiche di Simona Chiodo 35 Art as Experience e larte contemporanea di Marco Senaldi 49 ancora possibile unesperienza estetica? di Stefano Velotti 61 Il modello antropologico dellesperienza estetica fra Dewey, Gehlen, Plessner di Salvatore Tedesco 71 Fenomenologia ed esperienza estetica di Elio Franzini 85 Lestetica come filosofia dellesperienza. Rileggendo Dewey con Garroni di Leonardo Amoroso 99 La critica dellesperienza estetica nella filosofia analitica angloamericana di Paolo DAngelo 111 Come leggere Art as experience nel quadro dellorizzonte estetico attuale? di Mario Perniola 123 Esperienza estetica e interattivit di Roberto Diodato 137 Patologie dellesperienza estetica contemporanea di Fabrizio Desideri 151 Esperienza estetica e anestesie dellesperienza di Pietro Montani 163 Arte ed esperienza. Dopo Dewey di Fulvio Carmagnola 175

Appendice a cura di Alfonso Ottobre 191 Lesperienza estetica come fase primaria e come sviluppo artistico di John Dewey 195

Lantropologia dellesperienza estetica in Dewey


di Giovanni Matteucci

1. Come ogni opera filosofica di rilievo, Art as Experience 1 di Dewey presenta una trama concettuale fitta e densa. In tutti i casi del genere i concetti che vengono utilizzati non hanno la medesima funzione n il medesimo statuto. Vi sono concetti che definiscono alcuni elementi chiaramente enucleati nel corso della trattazione, ossia i concetti tematici. Vi sono per anche concetti che esprimono dinamiche pervasive essenziali che tuttavia non trovano uno specifico luogo di elaborazione e di definizione. Questi sono i concetti operativi. Eugen Fink, a cui si deve la classificazione, in un mirabile saggio sulla fenomenologia di Husserl ha mostrato come la concettualit del secondo tipo costituisca il nutrimento genuino della concettualit del primo tipo 2. Negli atti di determinazione e di definizione ci si serve di, ovvero si opera con, lenergia speculativa di ci che accompagna come unombra le tematizzazioni. Come si diceva, quanto alla dialettica tra tematicit e operativit Art as Experience non fa eccezione. I suoi concetti tematici principali coincidono con ci che indicano i termini che compaiono nei titoli dei diversi capitoli. Esperienza, espressione, forma, sostanza, contenuto, persino arte, sono lemmi in linea di massima ben modellati, e costituiscono in senso proprio gli elementi della riflessione estetica deweyana. Nello svolgimento dellopera, per, tali elementi vengono precisati facendo ricorso ad alcune dinamiche che non conoscono una precisa determinazione. tuttaltro che un difetto. In una prospettiva come quella di Dewey, che ammonisce costantemente a evitare forme indebite di ipostatizzazione, lesistenza di tracce robuste di una viva operativit concettuale depone a favore della coerenza tra metodo e dottrina. Ma allora per valutare lorizzonte complessivo nel quale si inscrive lestetica deweyana ci si deve impegnare a vagliare la natura dei concetti operativi mediante i quali si disegnano gli aspetti dottrinali resi evidenti dai concetti tematici. La definizione dei contenuti su cui insiste Art as Experience rinvia a concetti come resistenza, tensione, energia, forza, equilibrio, armonia, ordine, incorporazione, assimilazione, perfezionamento, la cui peculiarit di esorbitare dalla logica della contrapposizione tra soggetto e oggetto. Infatti, essi non designano n contenuti
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psichici n porzioni di enti obiettivi. Le dinamiche a cui alludono sono quelle dellinterazione tra organismo e ambiente che d adito al comportamento biologico delladattamento 3. Descrivono cio un confronto che si rivela produttivo quando lorganismo che subisce uniniziale sperequazione rispetto allambiente come inibizione allaffermazione di s, assimila lostacolo che lambiente oppone alla sua prassi vitale facendone una sollecitazione immanente alla sua condotta. In particolare, mediante i concetti di resistenza ed energia viene messo a fuoco ci che Dewey chiama il prodigio di ci che organico, vitale: ladattamento per espansione, anzich per contrazione e sistemazione passiva (AE, 41). Si pu addirittura affermare che ladattamento per espansione costituisce la cornice e determina larchitettura del progetto realizzato attraverso Art as Experience. Infatti esso viene considerato da Dewey fenomeno tipicamente umano nel momento in cui comporta la produzione di nuovi oggetti ove si addensano e si estrinsecano le alterazioni dellorganismo e dellambiente grazie a cui si stabilisce un pur momentaneo equilibrio nel momento in cui, cio, linterazione assume la medesima espressivit che connota le opere darte 4. La mia tesi che i concetti operativi che caratterizzano essenzialmente la riflessione consegnata ad Art as Experience, rinviando a dinamiche relazionali di tal sorta, sono resi omogenei da una comune natura antropologica. Se questo vero, si dovr parlare del programma estetico di Dewey come di una vera e propria antropologia dellesperienza estetica che si muove entro un territorio rispetto a cui i domini ontologici del mondo interno e del mondo esterno appaiono incongruenti nella loro tendenza a risolvere la relazione in sostanza, la modalit in assolutezza e la qualit in quantit. Qui di seguito mi soffermer sommariamente su alcune implicazioni di questo programma. 2. Nel primo capoverso di Art as Experience Dewey afferma che lopera darte risiede, piuttosto che nellente obiettivo che si presenta alla fruizione, in ci che lente prodotto dallattivit artistica fa della e nella esperienza (AE, 31). Ci che fa dellesperienza, poich esso va colto come termine di una relazione; un centro di resistenza che trasforma il corso esperienziale vigente in quanto gli conferisce una specifica intenzionalit, di modo che lesperienza sia proprio di quelloggetto. Ci che fa nellesperienza, poich un vettore che interviene a qualificare levento; un punto di energia efficace allinterno dellarco esperienziale vigente nella misura in cui lesperienza assume landamento che si addice proprio a quelloggetto. Anche la definizione dellopera darte passa, dunque, attraverso unelaborazione concettuale che ha come fulcro i concetti operativi di resistenza, energia e forza che ancorano lanalisi dellesperienza estetica alla dimensione della relazione, della qualit e della modalit. Resistenza ha un preciso connotato operativo-relazionale. A di8

stinguere il comportamento biologico umano da quello di altre creature viventi la consapevolezza che pu affiorare solo se si avverte una resistenza (cfr. AE, 61). La produzione artistica rappresenta il culmine di questo processo, tanto che per Dewey lartista deve coltivare la resistenza e acuirla al massimo grado. Egli deve cio mettere a frutto tutte le potenzialit che vi sono riposte per portare a viva coscienza unesperienza che unificata e totale (AE, 41), rendendo levento in atto una esperienza, ossia compagine articolata e compiuta il cui perimetro e il cui profilo combaciano con la forma assunta dallespressione artistica. Daltro canto, il connotato operativo-relazionale di forza ed energia altrettanto marcato. In quanto campo di forze, lopera darte consiste infatti delle interazioni che si avvertono al suo interno. Ecco perch una delle rarissime definizioni esplicite dellopera darte che offre Dewey si risolve nella descrizione di relazioni operative: quando la struttura delloggetto tale da far s che la sua forza interagisca felicemente (ma non con semplicit) con le energie che si sprigionano dallesperienza stessa; quando le loro reciproche affinit e i muti antagonismi operano insieme per determinare una sostanza che si sviluppa progressivamente e costantemente (ma non in maniera troppo rigida) verso la soddisfazione di impulsi e tensioni, solo allora c unopera darte (AE, 169). Analoghe sono le premesse che motivano la posizione alternativa che assume Dewey rispetto a prospettive estetiche e, pi in generale, teoretiche centrate sulla soggettivit. Sulla scia della destituzione della sostanzialit della coscienza elaborata da William James 5, egli attribuisce alla dimensione soggettiva un valore eminentemente funzionale. Cos la mente viene interpretata in accezione verbale. Essa coincide con le attivit mentali. Mind, scrive Dewey, denota tutti i modi in cui ci occupiamo consapevolmente ed esplicitamente delle situazioni in cui ci troviamo, e solo a causa di una maniera influente di pensare ci si abituati a trasformare i modi di agire in una sostanza soggiacente che compie le attivit in questione. Quando si tratta la mente come unentit indipendente la quale fa attenzione, si prefigge, si prende cura, osserva e ricorda, si annulla la relazionalit operativa dellattivit mentale, sciogliendola dalla necessaria connessione con gli oggetti e gli eventi, passati, presenti e futuri, dellambiente con cui sono intrinsecamente collegate le attivit di reazione (AE, 258). Quindi, come loggetto viene considerato per quel che attiene allenergia che esercita sulla configurazione di un campo esperienziale6, cos nellanalisi deweyana il soggetto appare uno dei centri di forza interni allarco esperienziale. Soggetto e oggetto sono energie correlate, anzi diventano termini tendenziali, fuochi, di una correlazione che non mette capo ad alcuna sostanzialit. Se lente lorizzonte interno verso cui converge e si distende unesperienza quasi ne fosse lancoraggio intenzionale, la mente questo stesso distendersi che si attua nella concretezza dei gesti
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e delle pratiche di manipolazione ed elaborazione dei contenuti oggettuali. La soggettualit si identifica con le maniere in cui ci si misura con lambiente, in cui cio si pone mente ad esso. Equivale a modalit e a qualit della relazione che si istituisce tra uomo e mondo. Di conseguenza, come unontologia delloggetto artistico si dimostra sviante poich assolutizza le componenti oggettuali dellesperienza trasfigurate in obiettivit, cos unontologia del soggetto artistico che, nellelevare luomo a collettore di stati mentali, interpone uno iato tra organismo e ambiente emargina e depotenzia lorgano della relazione tra uomo e mondo, ossia il corpo, nello stesso momento in cui fa della mente una sostanza autonoma immateriale che conosce solo un rapporto contingente con lalterit radicale della realt fisica. Occorre ovviare a questi impoverimenti, che comprimono lintreccio pregnante di qualit oggettuali direttamente esperite nella controparte virtuale delle impressioni sensoriali, e il crogiolo di attivit mentali e moti corporei nellevanescente spiritualit di unanima disincarnata. Ed tal fine che Dewey combatte ogni estetica che cerchi, per intonazione soggettivistica, di desumere gli elementi dellesperienza estetica da presunti contenuti mentali stabilmente definiti entro il solo perimetro della psiche individuale (cfr. AE, 258-59). 3. Posta la premessa della corrispondenza indistricabile tra attivit e passivit rivelata dalla relazione tra uomo e mondo, la riflessione tenuta a riconsiderare lintegralit antropologica precedente alla dicotomia tra mente e corpo. Sul piano gnoseologico, ci spinge Dewey a condurre una strenua battaglia contro lintellettualismo. In sede estetica, ci indirizza invece la sua attenzione alla funzione mediatrice dellorganismo vivente. Perci il tragitto descritto da Art as Experience costellato dai risultati di uninsistita analisi della sensibilit. La teoria della percezione sottesa al volume diventa addirittura banco di prova decisivo per specificare la natura antropologica del programma teoretico perseguito da Dewey. infatti nel percepire che prende dapprima rilievo come linterazione con lambiente si esplichi attraverso dinamiche che investono lessere umano nella sua interezza, a conferma di quanto sia assurda la partizione rigida tra diverse facolt e sterile la subordinazione della percezione alla conoscenza intellettuale. Laisthesis di per s evenienza pregnante di senso, una volta che si veda in essa qualcosa di pi di una serie di atti istantanei di riconoscimento di oggetti ovvero di fenomeni isolati di ricezione passiva. Anche il percepire invece insieme un fare e un subire. Articola in maniera complessa un progetto dordine dettato dal modo e dalla qualit della relazione che si istituisce mentre lesperienza procede, e che coinvolge sinesteticamente lunit della persona nella sua continuit temporale concreta e vissuta 7. Oltre che prima della forzosa dicotomia tra mente e corpo, ci avviene anche prima della differenziazione analitica de10

gli organi sensoriali e motori, e prima della contrapposizione astratta tra gli orizzonti temporali. impossibile percepire qualcosa, osserva Dewey, se non quando sensi diversi lavorano in relazione reciproca, se non quando lenergia di un centro si comunica agli altri, stimolando cos nuove modalit di risposte motorie che a loro volta suscitano nuove attivit sensoriali. Questa unit sinestetica e cinestetica anche, per, continuit temporale, poich ogni qualit sensoriale ricapitola un passato essendo condizionata da una storia e allude al futuro poich limpulso degli elementi motori che sono coinvolti genera unestensione nel futuro, predisponendosi a ci che deve venire e in un certo senso preannunciando ci che deve accadere (AE, 180). La matrice antropologica della teoria della percezione sottesa ad Art as Experience fa s che Dewey attribuisca al percepire la funzione primaria di cogliere direttamente nella tessitura qualitativa il senso della realt concreta, non concettualmente idealizzata. Questo possibile accesso diretto allo strato qualitativo che d consistenza alla realt si riflette sul piano della produzione dellarte in una ricerca naturalistica che costituisce il denominatore comune di tutte le opere pienamente riuscite. Naturalismo, per Dewey, designa perci ogni indagine artistica condotta sulla pienezza del reale che emerge nella prassi percettiva. Non indica lideologica proposizione dellideale artistico posto nella natura naturata, bens la volont di manifestare la relazione antropologica presa in tutta se stessa. Anzich in quanto esito dellintento di restituire una scena con fedelt rigidamente mimetica, lopera darte risulta naturalistica nella misura in cui si sforza di presentare uninterazione nella sua ricca dotazione di qualit. Il naturalismo diventa allora necessit di tutta la grande arte; significa che tutto quello che si pu esprimere un qualche aspetto della relazione tra luomo e il suo ambiente, e che questo contenuto raggiunge la sua pi perfetta unione con una forma quando ci si vincola e ci si affida completamente ai ritmi di base che caratterizzano la loro interazione (AE, 159-60). Alla tendenza al naturalismo corrisponde senza contraddizione la tendenza allastrazione, egualmente condivisa dalle opere darte ben riuscite. Ogni volta che la creazione artistica si prefigge di esprimere la concreta realt relazionale, essa compie una riduzione della congerie di contenuti attuali. Il senso di tale operazione non va comunque equivocato. La creazione artistica prescinde dal dettaglio, fino allestremo di raffigurare la modalit azzerando elementi obiettivamente identificabili, come spesso accade nelle ricerche artistiche del Novecento. Non lo fa, per, attraverso unastrazione intellettualistica che miri a presunti scheletri essenziali e formalisticamente determinati. Nellastrazione artistica a cadere quanto si soliti ipostatizzare assecondando labitudine a servirsi di costrutti gi confezionati che mistificano la qualit nella quantit. Questa ineludibile astrazione pienamente compatibile con lespressivit naturale delle opere darte 8.
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In questo quadro, la funzione dellarte risiede nel potenziamento qualitativo della percezione che condensa e intensifica la naturalit. Ci che esibisce la forma prodotta al pi un nuovo modo di vedere le stesse cose che si incontrano nellesperienza quotidiana. Affiora di conseguenza un duplice vincolo estetico. Lopera darte nasce nel dominio percettivo, poich dagli ordini immanenti delle qualit sensoriali che essa trae le dinamiche che la innervano. Inoltre protesa verso il dominio percettivo, poich anzitutto contribuisce a plasmare e consolidare modi di accedere al mondo talvolta inconsueti. In tal senso, si potrebbe dire che il suo compito di rendere evidenti leggi estetiche che governano complessivamente il percepire anzich particolari contenuti sentiti o pensati. Larte rivela i principi in base ai quali qualcosa diviene percepibile prima che percepito o concepito, ossia i principi della percettualizzazione 9. 4. Cos incardinata su una teoria dell aisthesis e della naturalit percepibile, quella di Dewey si profila come unestetica in senso originario che ha per argomento la soglia relazionale tra organismo umano e ambiente. Questultimo al tempo stesso fisico e sociale. Anzi, la disomogeneit di un ambiente fortemente antropizzato, di una natura pi che fisica, spinge al centro di Art as Experience il problema della ricostituzione dellunit delluomo, ossia di come pervenire a equilibrio, armonia, ordine in situazioni che tendono in misura crescente alla disgregazione 10. un programma che richiede di evadere dagli schemi dominanti del pensiero moderno e che anzi ambisce a rispondere allo svuotamento antropologico che quegli schemi hanno determinato sulla scorta di una fraintesa semplificazione della natura umana. La peculiarit risiede nel fatto che Dewey parte dallo stesso principio di tale svuotamento anzich volgergli sterilmente le spalle. La drastica diminuzione di senso delluomo dovuta non da ultimo alla pretesa di giungere alla sua totale e obiettivistica naturalizzazione. La risposta che suggerisce Dewey opposta alla ricerca di compensazioni da ottenere rievocando nostalgicamente la metafisica di un soggetto spiritualizzato. La naturalizzazione ha i suoi buoni diritti, d ottimi risultati sul piano scientifico e addirittura, osserva Dewey, produce un effetto favorevole, non sfavorevole, per larte nel momento in cui se ne coglie il senso intrinseco e non se ne interpreta pi il significato in base al contrasto con le credenze che ci derivano dal passato (AE, 321). Nel confrontarsi con questa realt epistemica la filosofia deve semmai farsi carico di mostrare come la natura delluomo ecceda lobiettivit della sua fisiologia perch fa qualcosa in, con e di essa. Per saperne qualcosa si possono solamente analizzare le forme della condotta umana 11. Lorganismo antropologico si innesta nella natura vivente con una capacit che, essendo pragmaticamente e operativamente produttiva, anomala rispetto a ogni meccanismo deterministico.
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il decentramento interno alla natura (di cui ci appropriamo in parte quando la rendiamo nostra) che crea quegli scarti vissuti dalluomo come dinamiche di sensatezza. Occorre allora radicalizzare lo studio della natura umana per enuclearne le dinamiche senza ipostatizzarle, magari perch si parte da un netto concetto di uomo o perch si attribuisce indebitamente valore esplicativo a strutture concettuali che invece ne possiedono solo uno descrittivo cos da incorrere in perniciose fallacie metodologiche 12. Ecco perch la relazione e la funzione delluomo come creatura vivente anomala, poietica, trovano espressione nellanalisi dellesperienza estetica sotto forma di una concettualit che si sottrae alla tematizzazione. Il risultato unantropologia che ha la propria forza nella mancanza di una definizione preventiva della natura umana. La realizzazione di questo progetto esige il difficoltoso studio di forze che risultano tanto pi efficaci quanto pi permangono sullo sfondo. Per affrontare questo compito, in Art as Experience Dewey effettua ripetuti rilievi sullemozione, intesa come lo scenario qualitativo sul quale si stagliano i vettori soggettuali e i vettori oggettuali che si intersecano nellesperienza estetica 13. Anzitutto lemozione viene sottratta al dominio della soggettivit. Per Dewey essa non va confusa con uno stato mentale che insorgerebbe in aggiunta a, o in occasione di, un contenuto sensoriale dato. Lemozione , invece, lintonazione che pervade e permea sia i cosiddetti stati mentali che i cosiddetti elementi obiettivi che agiscono in un arco esperienziale. Le attivit mentali e i punti di resistenza, ossia tutti gli aspetti passibili al limite di naturalizzazione, fanno la loro comparsa in un campo di per s refrattario alla quantificazione, e anzi connotato solo qualitativamente. la modalit della relazione che si avverte come emozione, di cui ci si accorge per come agisce dando configurazione alla circostanza, ossia conferendo alla circostanza potenzialit espressiva e prospettiva di senso. Per questo motivo lemozione mai va disgiunta dalla concretezza materiale dellevento in corso di svolgimento a cui afferisce14. Diventa privo di senso parlare di emozioni come se si trattasse di entit recluse nel perimetro dello psichismo. In termini fenomenologici, ogni emozione possiede una particolare intenzionalit poich costituisce il modo in cui lattivit mentale, e in generale la condotta dellorganismo, si distende verso lorizzonte attuale del mondo. Grazie alla sua pervasivit, lemozione colora la stessa attivit mentale senza tuttavia ridursi a un distinto contenuto psichico, a un definito stato mentale. Sottratta a ogni obiettivazione e a ogni soggettivizzazione, lemozione viene avvertita solo come forza. Essa rivela cos di possedere uno statuto qualitativo (qualifica lesperienza), relazionale (sussiste esclusivamente nellinterazione tra organismo e ambiente) e modale ( lindice che esprime la maniera in cui lesperienza si compagina e si articola) 15. In tal senso essa impregna anche gli strumenti espressivi che vengono
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prescelti per dare una forma allesperienza dotata di validit extraindividuale (cfr. AE, 67). Se si dicesse semplicemente che lo strato qualitativo che innerva un arco esperienziale sfondo, si rischierebbe di darne unimmagine di assoluta vaghezza e indeterminatezza. Essendo operativa, lemozione invece informata da grammatiche potenziali. , cio, uno sfondo selettivo e filtrante che tende al perfezionamento nella scansione, quando assume quella ritmicit che rende lespressione capace di restituire, in forma condensata, la misura e il passo dellambiente circostante. Pi corretto sar dire allora che nellemozione si rispecchia la struttura della percepibilit e della percettualizzazione, ovvero linobiettivabile compagine olistica che, come campo di forze, governa laggregazione e lordinamento del pattern percettivo, da cui si sviluppano anche eventuali costruzioni concettuali 16. Lenucleazione di contenuti chiari e distinti si ottiene con un esercizio analitico che diminuirebbe in senso e incisivit qualora dovesse recidere le proprie radici che si inoltrano nello sfondo da cui trae alimento. Come ogni forma il profilo che assume un gioco fluido di forze che intramano una scena percettiva (cfr. AE, 147), cos ogni elaborazione intellettuale a prescindere da che sia finalizzata alla produzione artistica o alla conoscenza scientifica non fa che restituire di scorcio lintonazione qualitativa, la tonalit, che tinge i vettori di campo sospinti di volta in volta in primo piano, e che non solo viene per prima, ma persiste quale substrato dopo che sono emerse distinzioni; esse infatti emergono come sue distinzioni (AE, 195). 5. Il riferimento alla tonalit non rapsodico. Si deve prima di tutto al luogo schilleriano menzionato da Dewey nella pagina appena citata, che verte sulla Stimmung quale origine e condizione di possibilit di unidea poetica 17. Ha per anche una giustificazione di ordine teoretico. Il registro metaforico che evoca svela che la dimensione uditivo-sonora occupa una posizione di tutto rispetto nellindagine deweyana. Infatti, pi che attraverso ogni altro senso, lefficacia di forze che insistono prevalentemente sulla soglia di relazione tra organismo e ambiente costituita dal corpo si avverte attraverso lorecchio. A differenza dellocchio, lorecchio incompatibile con linclinazione allipostatizzazione. Per almeno tre motivi. Lorecchio non prescinde dal contesto, non isola profili di enti determinati, non sopporta lipotesi di soggettivit disincarnate (cfr. AE, 233). La sua radicale contestualit testimoniata dal fatto che lascolto avviene sempre in rapporto a uno scenario estetico (presente al limite come silenzio). Inoltre, lascolto radicalmente anti-obiettivista poich laccorgersi di cambiamenti come tali, ossia proteso a fuochi oggettuali presenti nel campo uditivo solo come nuclei denergia in interazione tra loro e con lorganismo. Infine, il fatto che i suoni equivalgano alla presenza di corpi sonori, e
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non siano assimilabili a rappresentazioni mentali, smarca lascolto dal rischio di ipostatizzazioni soggettivistiche. nellordine uditivo che ci si confronta in grado estremo con lintegrit antropologica. Il suono proveniente dallesterno al tempo stesso riverbero interno di uneccitazione fisica dellorganismo. In questa struttura triadica primitiva (fonte organismo riverbero) il segmento cruciale il corpo. Con e in esso la fonte si tramuta in riverbero. In quanto ambito dazione, confine e concerto di fare e subire, il corpo si mantiene allinterno di una dimensione funzionale che vieta di metter capo a entit sostanziali 18. Avendo esclusivamente il carattere del mutamento, il fenomeno uditivo intimamente congenere allo sfondo qualitativo-emotivo a cui vuole accedere lantropologia deweyana. Di conseguenza, almeno dal punto di vista antropologico la musica diventa larte per eccellenza. Essa gestisce un mezzo espressivo che ha presa diretta sulle modalit dandamento del sistema di energie efficaci nellinterazione esperienziale. Il tessuto musicale, infatti, non rappresenta ma incarna lemozione anzi, in gran parte si limita a ci, sfruttando il fatto che i suoni hanno la forza dellespressione emotiva diretta, dal momento che un suono di per s, nella sua stessa qualit, minaccioso, lamentoso, rasserenante, deprimente, feroce, tenero, soporifero (AE, 235). In breve, nella dimensione uditivo-sonora la soglia relazionale, qualitativa e modale diviene come tale esperienza, con il suo carico di minaccia e promessa che assegna prospettiva futura al presente, e dunque imprime il sigillo antropologico del possibile sul comportamento biologico attuale: il suono ci che comunica quanto incombe, quanto sta per accadere, poich unindicazione di quel che probabile che accada. Rispetto alla visione molto pi carico del senso delle conseguenze; attorno a ci che incombe vi sempre unaura di indeterminatezza e incertezza tutte condizioni favorevoli a unintensa eccitazione emotiva (AE, 235). 6. Lo scandaglio obliquo delle dinamiche di sfondo effettuato da Art as Experience sfocia in elementi ben definiti. A connettere i due livelli, quello operativo e quello tematico, un importante insieme di ibridi che esprimono la scansione mediante la quale le dinamiche danno luogo ad elementi. Tali concetti non sono propriamente tematici, nel senso che esprimono gli elementi solo in rapporto alle dinamiche che li informano. Nemmeno sono propriamente operativi, poich esprimono le dinamiche, a loro volta, solo in rapporto agli elementi che vi danno corpo. Cos, anche se non definiti in maniera diretta, sono concetti che vengono esplicitati, svolti, nel corso della trattazione e che percorrono trasversalmente vari capitoli di Art as Experience. Concetti di tal genere sono significato, medium e ritmo. La funzione contemporaneamente semi-operativa e semi-tematica di
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alcuni di questi concetti pu essere illustrata mettendo a fuoco il modo in cui lemozione (che in s assorbe le dinamiche operative variamente alluse) prende profilo in una forma espressiva (che un concetto tematico). Ci capita, scrive Dewey, solo quando unemozione trae forma dai materiali afferrati e raccolti, poich unemozione assume forma e viene spinta in avanti quando la si sfrutta indirettamente nel cercare materiale e nel dargli ordine, non quando la si consuma direttamente (AE, 91). I concetti che mediano loperativit dellemozione nella tematicit della forma espressiva sono, in particolare, due. Da un lato quello di medium, che appunto designa il materiale in cui si realizza la forma, in cui si incarna lespressione. Dallaltro, quello di significato, che indica la vettorialit impressa su contenuti, allapparenza scalari, per effetto della spinta in avanti assorbita nellemozione. La sinergia di medium e significato traduce unemozione in costrutti che possiedono un rapporto pi che strumentale con i mezzi di cui si servono per apparire, e che nella loro presenza tendono a un prima e a un dopo e pertanto, oltre a essere, significano19. Quando si concretizzano ricerca del materiale appropriato e conferimento di un ordine, la dinamica emotiva si pone in un rapporto produttivo con gli elementi fattuali dellespressione, e gli elementi espressivi che appaiono in primo piano si pongono in un rapporto pregnante con la dinamica di sfondo. Si dovr quindi parlare di tre ordini di concettualit, il cui intreccio viene illustrato dallo stesso Dewey quando tenta di dare una definizione tematica dellespressione sulla base del doppio cambiamento generato da medium e significato: cose nellambiente che altrimenti sarebbero solo alvei scorrevoli ovvero ciechi ostacoli diventano mezzi, media. Al tempo stesso cose trattenute dallesperienza passata che sarebbero avvizzite per la routine o divenute inerti per mancanza di utilizzo, diventano coefficienti in nuove avventure e indossano la veste di un nuovo significato. Qui ci sono tutti gli elementi necessari per definire unespressione (AE, 83). Lespressione vive dellinterazione circolare tra mezzi e fini, e incorpora il proprio significato in quanto incarna la materialit vissuta degli ordini temporali. Lesperienza diviene allora un accadimento per luomo. In tal senso, la pratica che perfeziona questa funzione risulta essere larte come esperienza, e lindagine volta a sondarla coincide con unantropologia dellesperienza estetica.

1 J. Dewey, Arte come esperienza, ed. a cura di G. Matteucci, Aesthetica, Palermo 2007 (da cui si cita dora in poi con la sigla AE). 2 E. Fink, Operative Begriffe in Husserls Phnomenologie, Zeitschrift fr philosophische Forschung, 1957, pp. 321-337. 3 J. Dewey, The Development of American Pragmatism, ora in Id., The Later Works, vol. 2: 1925-1927, Southern Illinois University Press, Carbondale 1988, p. 17. 4 Dalla prima manifestazione nel bambino dellimpulso a disegnare fino alle crea-

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zioni di un Rembrandt, il s si crea creando oggetti, fatto che richiede ladattamento attivo a materiali esterni, compresa una modificazione del s al fine di utilizzare, e pertanto superare, necessit esterne assimilandole in una visione ed espressione individuale (AE, 273). 5 In particolare, cfr. W. James, Esiste la coscienza?, in Id., Saggi sullempirismo radicale, a cura di N. Dazzi, Laterza, Bari 1971. 6 Se ne veda il corrispettivo gnoseologico in J. Dewey, Logica, teoria dellindagine, a cura di A. Visalberghi, Einaudi, Torino 19652, p. 112. 7 Come Dewey scrive in Esperienza e natura (cfr. ed. it. a cura di P. Bairati, Mursia, Milano (1973) 1990, p. 142), percepire significa riconoscere possibilit finora non realizzate; significa porre in relazione il presente con delle conseguenze, con eventi finali e risolutivi, e perci comportarsi in riferimento alle connessioni degli eventi. Implica dunque una protensione pragmatica dellorganismo, come viene spiegato in polemica con Bergson in Perception and Organic Action (ora in J. Dewey, The Middle Works, vol. 7: Essays on Philosophy and Psychology, 1912-1914, Southern Illinois University Press, Carbondale 1979, pp. 1-30). 8 Cfr. AE, 111. Una significativa conferma della combinazione tra naturalismo e astrazione Dewey la ricava esaminando le riflessioni di Wordsworth su alcune sue prove giovanili, in cui si avvertirebbe gi la ricerca di un naturalismo autentico in quanto sarebbero comunque evitate forme di obiettivismo dogmatico (cfr. AE, 161-162). 9 Cfr. J. Dewey, Esperienza e natura, cit., p. 280; e AE, 95. Su queste basi appare possibile il confronto con lantropologia dellesperienza estetica delineata da Ernst Cassirer, incentrata appunto sul concetto di percettualizzazione (cfr. soprattutto E. Cassirer, Saggio sulluomo, trad. it. di C. DAltavilla, Armando, Roma 1968, p. 263; al riguardo mi permetto di rinviare a G. Matteucci, Ipotesi di una estetica della forma formans, introd. a E. Cassirer, Tre studi sulla forma formans, Clueb, Bologna 2004, pp. 18-23). 10 Si veda la cornice di critica della societ che apre e chiude Art as Experience (AE, 31-38 e 323-30). Questo intento educativo dellestetica di Dewey viene esplicitato anche nella chiusura di un saggio sullAffective Thought pubblicato nel 1926 sulla rivista della Barnes Foundation: i dipinti, quando sono estratti dalla loro nicchia specializzata, sono la base di unesperienza educativa, che si contrappone alle tendenze disgregatrici delle specializzazioni inviolabili, delle divisioni a compartimenti e delle rigide separazioni che confondono e vanificano a tal punto la nostra vita presente (J. Dewey, Educazione e arte, a cura di L. Bellatalla, la Nuova Italia, Firenze 1977, p. 37-38). 11 Condotta appunto per Dewey un interazione fra gli elementi della natura umana e lambiente naturale e sociale (J. Dewey, Natura e condotta delluomo, a cura di L. Borghi, La Nuova Italia, Firenze 1958, p. 16). 12 Esemplare al riguardo la critica della nozione di istinto in Natura e condotta delluomo, cit., pp. 141-42 (passo ripreso e giudicato positivamente, non a caso, anche da Cassirer nel Saggio sulluomo, cit., pp. 142-43). 13 Radicalizzando le medesime premesse anti-sostanzialiste, nella Logic del 1939 Dewey preferir evitare di parlare, oltre che di sentimento e sensazione, anche di emozione, a cui sostituir di fatto la locuzione situazione qualitativa totale senza tuttavia mutare la struttura della sua analisi (cfr. J. Dewey, Logica, cit., p. 113). 14 Cfr. anche J. Dewey, Esperienza e natura, cit., p. 279. 15 Sulla originariet relazionale delle situazioni qualitative cfr. anche J. Dewey, Qualitative Thought, ora in Id., The Later Works, vol. 5: 1929-1930, Southern Illinois University Press, Carbondale 1988, soprattutto pp. 244-249. Ma cfr. anche Logica, cit., pp. 112-16. Su questi argomenti si soffermata di recente Roberta Dreon ricostruendo con chiarezza la nozione deweyana di esperienza, senza per rilevare loperativit antropologica che caratterizza la posizione di Dewey, e dunque ammorbidendo il suo contrasto rispetto ad approcci ermeneutici e fenomenologico-linguistici, da Heidegger a MerleauPonty (cfr. R. Dreon, Il sentire e la parola, Mimesis, Milano 2007, pp. 55-73). 16 Si legge nel saggio del 1930 Qualitative Thought (cit., p. 259), in riferimento al riconoscimento di identit formali: la sola maniera in cui forma o pattern possono

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operare come collegamento immediato sfruttando il modo di una qualit direttamente esperita, qualcosa di presente e prioritario e indipendente rispetto a ogni analisi riflessiva, qualcosa che ha la stessa natura che controlla la costruzione artistica. 17 Il medesimo passo citato e commentato, in maniera assai affine a quella di Dewey, da Wilhelm Dilthey (cfr. Estetica e poetica, nuova ediz. ampliata, a cura di G. Matteucci, Angeli, Milano 2005, pp. 163-64), proprio per sottolineare la funzione di sfondo tonale che compete allemozione. 18 I suoni vengono dallesterno del corpo, ma il suono stesso vicino, intimo; uneccitazione dellorganismo; sentiamo lo scontro delle vibrazioni attraverso tutto il nostro corpo. Il suono sollecita direttamente un mutamento immediato perch d conto di un mutamento (AE, 234). 19 Sul piano linguistico la vettorialit semantica viene camuffata dalluso copulativo del verbo essere. Da qui una serie di equivoci che si ingenerano in particolare in riferimento alla predicazione di attributi qualitativi secondari e terziari. Al riguardo Dewey osserva: soltanto una peculiarit linguistica, non un fatto logico, che si dica questo rosso anzich questo arrossisce, sia nel senso di farsi, di diventare, rosso, sia nel senso di rendere qualcosaltro rosso. Anche linguisticamente il nostro una forma indebolita di un verbo attivo che significa sta o si presenta. Ma la natura di qualsiasi atto (designato dalla forma verbale precisa) colta meglio nel suo effetto e nel suo esito; diciamo dolce piuttosto che addolcisce, rosso piuttosto che arrossisce, perch definiamo il cambiamento attivo per il tramite del suo risultato anticipato o conseguito (J. Dewey, Qualitative Thought, cit., p. 252).

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Emozioni e soggetti nellespressione artistica: il contributo di Dewey


di Roberta Dreon

Lidea che le arti siano espressive e che, anzi, la loro espressivit sia proprio tra le caratteristiche che le rendono pi interessanti forse una delle ovviet pi trasversali, comune alle concezioni estetiche pi raffinate come alle opinioni pi ordinarie delluomo della strada. La questione si fa tuttavia estremamente intricata quando si cerca di comprendere che cosa il termine espressione significhi di volta in volta e, ancor pi, allorch si tenta di chiarire quale ruolo vi assumano le emozioni individuali, la sensibilit o lapporto dei singoli. Eppure nel corso del Novecento fino agli anni pi recenti una serie di critiche provenienti da vari fronti sembra avere mostrato linopportunit di questo tipo di categorie per comprendere e articolare i fenomeni artistici, ovvero la loro ascendenza dogmatica e dualistica. Se lermeneutica ha dato un contributo decisivo contro le concezioni soggettivistiche dellesperienza dellarte, in particolare con la critica delle nozioni di Erlebnis, di differenziazione e di coscienza estetica, sul versante fenomenologico Merleau-Ponty ha proposto una interpretazione delle espressioni artistica e linguistica radicalmente innovatrici anche rispetto alla sua stessa provenienza culturale. Se Goodman ha operato un decisivo trasferimento del concetto di espressione sul piano delle relazioni di riferimento, gli argomenti di Wittgenstein contro il mito del linguaggio privato, contro le concezioni reificanti dei significati e quelle pittografiche del linguaggio, nonch nei confronti dellopposizione tra interno ed esterno, sono stati variamente ripresi per evidenziare i limiti delle interpretazioni delle arti come espressioni soggettive. Con questo tipo di strumenti concettuali e di argomenti filosofici stata cos rilevata la debolezza di concezioni dellarte quale linguaggio delle emozioni indicibili di Susanne Langer, delle tesi di Collingwood e di Croce sullintuizione estetica come espressione di emozioni, della assunzione di Santayana della qualit estetica quale oggettivazione o proiezione di uno stato soggettivo Tra gli studi critici pi recenti in questa direzione si possono ricordare quelli di Nigel Warburton, di Garry Hagberg, e pi indietro nel tempo quello di Bouwsma, significativamente intitolato The Expression Theory of Art 1. Ci troviamo allora costretti ad abbandonare questo genere di cate19

gorie filosofiche per parlare di arte e a epurarne il lessico, in un modo o nellaltro metafisicamente pregiudicato? Come stato notato, lapproccio di Dewey al linguaggio della tradizione filosofica sempre stato caratterizzato nel senso opposto, con tentativi costanti di reinterpretazione dei termini della tradizione, spesso attraverso il ricorso agli usi del linguaggio ordinario, e sempre senza ignorare che anche le sue scelte lessicali non erano certo innocenti 2. In particolare sul tema affrontato in questa sede, si riconosciuto che Dewey riuscito ad articolare una concezione dellespressione artistica e delloggetto espressivo capace di prendere radicalmente le distanze dal principio dellespressione come estrinsecazione di sentimenti 3, di evitare la caduta nel dualismo della rappresentazione allesterno di un contenuto a essa estrinseco e antecedente, non rinunciando tuttavia ad articolare la centralit della componente emotiva e del contributo individuale nei fenomeni espressivi. Questo accaduto non solo attraverso una profonda rielaborazione della nozione di espressione, ma anche per il tramite di una concezione dellemozione, o meglio della qualit emotiva dellesperienza, maturata in una direzione che tende nettamente a evitarne lipostatizzazione e lattribuzione a un ambito psichico contrapposto alla dimensione fisica, ma anche una caratterizzazione in termini privatistici e al limite estranei alla razionalit e al linguaggio. La terza componente di questo ripensamento complessivo riguarda la reinterpretazione del soggetto, della mente e del s individuale nel corso esperienziale, in una concezione capace di sottrarsi alla contrapposizione tra dualismi e riduzionismi, nellalveo di quel naturalismo culturale professato e praticato dal filosofo americano. 1. Emozioni e stati mentali Uno degli aspetti che caratterizzano la concezione dellespressione elaborata da Dewey senzaltro la centralit che attribuita alla componente emotiva, che ha generato, tuttavia, numerosi fraintendimenti, primo fra tutti la polemica con Croce e i tentativi di ricondurre le proposte del filosofo americano in materia di espressione artistica a forme di idealismo organico 4. Ma come stato notato 5, questo genere di lettura trascura almeno un punto sul quale le indicazioni di Dewey sono sempre state molto nette: la tesi che lemozione non costituirebbe il contenuto oggettuale espresso dalle opere darte, quanto piuttosto funzionerebbe da principio di guida, controllo e selezione di quei materiali sui quali latto espressivo esercita unazione trasformatrice. A ben vedere gi in questa versione sommaria delle connessioni tra emozioni ed espressioni sono racchiusi almeno due aspetti di profonda discontinuit con la nozione crociana di arte: da un lato, appunto, lassunzione che lespressione artistica equivalga allintuizione di un sentimento, seppure purificato e reso universale, alla produzione di una sua immagine, e dallaltro lidea che questa immagine sia collocabile
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in un ambito primariamente spirituale, mentale o psichico, indifferente in linea di principio ai materiali e alle tecniche artigianali nelle quali potr successivamente ed eventualmente essere comunicato 6. Ma si torner pi tardi su questi elementi, per fermarsi ora a considerare le componenti della concezione dellemozione elaborata da Dewey. Come era gi stato sottolineato nel 1978 7, occorre assumere una prospettiva continuistica e unitaria, seppure nel senso di una progressiva maturazione e articolazione dei temi, sia nella interpretazione di Art as Experience rispetto al contesto pi ampio dellopera deweyana8, sia nel dettaglio sul tema dellemozione, che non pu essere confinata alle decisive, ma non numerose indicazioni che si riscontrano nellopera del 1934. In particolare Whitehouse recuperava lo scritto giovanile The Theory of Emotion 9, cui a mio parere vanno aggiunti un testo appartenente ai primissimi anni di quella che viene considerata la piena maturit del filosofo americano, What are States of Mind? 10, oltre ad alcune importanti indicazioni del capitolo di Experience and Nature dedicato allarte 11. Nel primo articolo menzionato Dewey propone una caratterizzazione prevalentemente fisiologica dellemozione 12, definendola come una modalit di comportamento contraddistinta da una forma di tensione e di esitazione momentanea circa la risposta da dare a una determinata sollecitazione ambientale: a essere disturbata o momentaneamente sospesa sarebbe la connessione unitaria tra attivit senso-motorie, quali il vedere, il toccare, ludire, e le attivit motorio-vegetative del cuore, dello stomaco e degli altri organi interni, regolati dal sistema simpatico, che di solito risultano fuse in atti unitari, dai quali si originano risposte abituali per lo pi non coscienti e comunque non tematiche. In certe circostanze questa unit verrebbe a rompersi in fasi apparentemente giustapposte, che richiederebbero una scelta tra pi possibilit disponibili per rispondere a quegli impulsi provenienti dallambiente che determinano una forma di disagio o di disorientamento nelle risposte abituali e consolidate. Gi a questo livello di elaborazione della questione il giovane filosofo americano ritiene pertanto che lemozione sia da intendere non tanto in termini sostantivi, quanto come modalit o qualit di un comportamento e pi in generale di una certa esperienza dellambiente, e che sia appunto caratterizzata da una direzione latamente intenzionale, ovvero che riguardi innanzi tutto non gi la presunta interiorit privata del soggetto, ma le sue relazioni strutturali con lambiente, e in particolare le sue modalit di risposta non abituali e ordinarie, in cui interviene la necessit di una scelta sul da farsi; il terzo elemento che ritorner nelle interpretazioni dellemozione proposte successivamente lassunzione per cui le esperienze caratterizzate da una forte preminenza emotiva comporterebbero una qualche forma di presa di coscienza
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delle componenti attive e passive che sono in gioco, vale a dire un approccio non diretto alla consumazione immediata dellesperienza, ma a una considerazione in qualche modo riflessa delle sue componenti soggettive e ambientali. In altri termini, gi a questo stadio di elaborazione della questione le indicazioni di Dewey appaiono molto distanti sia dalliscrizione del sentire emotivo in un ambito psichico o soggettivo primariamente privato, sia dalla contrapposizione dualistica tra laffettivo o lemozionale e lintellettuale: come dir in seguito il filosofo americano, lemozione un modo di coscienza perch comporta una tensione o una rottura di un comportamento responsivo ormai consolidato, che diventa pertanto consapevole o tematico, riflessivo e non immediato 13. Nel successivo What are States of Minds? Dewey avvia la sua interpretazione, come gli accade di sovente, dallanalisi dellespressione stato mentale nel discorso ordinario, nel quale a suo parere si possono trovare indicazioni migliori rispetto a quelle di tanti tomi di epistemologia, che gli appaiono pregiudicati dai dualismi tra mente e corpo, nonch tra mente, soggetto o coscienza, da un lato, e mondo o realt materiale, dallaltro. Nellinglese colloquiale dire che qualcuno si trova in un determinato state of mind significa ritenere che egli assuma una certa disposizione comportamentale nei confronti delle cose e degli individui che gli stanno intorno in particolare il riferimento di solito a una forma di irritazione o almeno di impazienza nei confronti delle une e degli altri. Pertanto Uno stato mentale essenzialmente un atteggiamento o una disposizione emotiva, tale per cui questo atteggiamento o disposizione sono caratteristiche di certe condizioni di un agente organico 14. Gli stati mentali non sono pertanto equiparati alle emozioni, ma riguardano sensazioni, idee, immagini, volizioni e i cosiddetti stati di coscienza 15 in quanto, prima di essere ipostatizzati in sostanze o anche solo in eventi psichici autonomi, si riferiscono ai modi in cui un organismo vivente disposto nei confronti dellambiente circostante modalit che sono caratterizzate da una certa qualit emotiva. Il genitivo non va inteso in senso possessivo, come se un certo stato appartenesse a una certa dimensione speciale chiamata mente, ma nei termini di una qualit che permea una determinata esperienza, una particolare interazione tra un organismo e lambiente al quale esso appartiene, per cui si tratta di una disposizione che percepita come tale, diventa cosciente come aspetto che caratterizza un s individuale a causa della tensione emotiva che viene a crearsi. Il punto fondamentale per Dewey interpretare questo genere di fenomeni a partire dal dato primario di ogni esperienza, il quale non costituito da una mente o da una coscienza separata e indipendente da un mondo e da una realt bruta e indifferente che si limita a offrirsi come tale alle nostre percezioni, ma di volta in volta una moving
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complex situation 16 in cui un organismo vivente si trova a lottare con un mondo dal quale dipende, dando risposte sempre interessate a differenza delle entit inorganiche , che contribuiscono a modificare lambiente circostante, su cui le sue azioni e le sue passioni retroagiscono in una forma di adattamento reciproco e sempre dinamico. Se si prende avvio da questa situazione mediale, per cos dire, in cui gli organismi viventi si trovano gi sempre situati in relazioni di dipendenza circolare da un mondo del quale sono al contempo una parte strutturale, si evitano secondo Dewey quei fraintendimenti fatali dei fenomeni mentali ed emotivi che danno per originarie la separazione tra un ambito psichico a se stante e un corpo meramente fisico, per cui diventa problematico spiegare come luno possa esercitare una azione causale sullaltro. Tra laltro, il filosofo americano ritiene che in questo modo sarebbe stata sostenibile con maggiore efficacia la teoria dellemozione sviluppata da William James, per cui le risonanze o i riverberi organici di una emozione non dovrebbero essere intesi quali conseguenze a livello di espressione corporea di stati mentali antecedenti, ma come lo stesso materiale mentale 17 di cui sono costituite le nostre disposizioni emotive verso il mondo circostante: la concezione tradizionale secondo la quale una emozione o un sentimento determinano una certa espressione del volto o una certa postura come conseguenza esteriore o puramente fisica di uno stato interiore appare inattaccabile solo se si assume come dato primario il dualismo tra mente e corpo e tra organismo e ambiente. Questo, daltra parte, non significa che la discriminazione tra un organismo vivente, una mente individuale o un s, e lambiente verso il quale disposto in un certo modo non si dia o sia fallace. Significa invece per Dewey che si tratta di una differenziazione derivata rispetto a una interazione e a una interdipendenza circolari e in particolare, nel senso che il discriminare interviene come un tipo di esperienza riflessa rispetto a quella immediata dellinterconnessione reciproca organicoambientale, rispondente allesigenza di considerare analiticamente le componenti della interazione che sta avvenendo, per poter controllare pi efficacemente i rapporti tra mezzi e conseguenze quando gli abiti di risposta consolidati diventano problematici e si crea una tensione emotiva sul da farsi, che porta ad assumere consapevolemente lintrico del tessuto esperienziale. Tra laltro, questo tipo di interpretazione rende evidenti i limiti di una caratterizzazione dellemozione in termini irrazionali o ineffabili: come si sostiene in The Quest for Certainty, se Laspetto emotivo di un comportamento responsivo la sua qualit immediata 18, questo vuol dire che una situazione di tensione circa il da farsi viene senzaltro esperita o vissuta come tale, ma non separabile dalla esigenza di una considerazione riflessa per uscire dallimpasse che si creato, ovvero non nettamente districabile dallanalisi che essa avvia delle componenti in gioco nellesperienza immediata
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della tensione, che proprio come tale ne produce una prima forma di consapevolezza. Lo scritto del 1912 si conclude attribuendo la genesi e il successo dellipostatizzazione del mentale o dello psichico, da un lato, e del corporeo e del meramente fisico dallaltro lato, insieme alla loro individuazione come dati primari, a motivazioni di matrice sociale e religiosa, oltre che a un certo autocompiacimento isolazionistico tipico delle forme darte drammatica e letteraria, ma anche di tanta psicologia. Il capitolo del volume del 1925, intitolato Experience, Nature and Art, riprende il tema dellemozione brevemente, ma con un intervento decisivo, che mette in discussione linterpretazione tradizionale dellarte come espressione delle emozioni, e in particolare limplicazione che essa porta con s per la quale unopera darte autentica comporterebbe la riduzione dei materiali e dei mezzi in cui essa si realizza a meri strumenti esteriori di esternazione di una emozione gi data in altra sede19. Di nuovo la critica di una simile concezione dellarte si rif al significato della parola emozione nella vita e nel linguaggio quotidiani:
Lemozione infatti nel suo senso ordinario qualche cosa che viene chiamato in causa da oggetti, fisici e personali; una risposta a una situazione oggettiva. Non qualcosa che esista di per s in un qualche stato e che poi adoperi del materiale attraverso cui esprimersi. Lemozione il segno indicatore dellintima partecipazione, in modo pi o meno vivace, a qualche vicenda della natura e della vita; lemozione per cos dire un atteggiamento o una disposizione che funzione delle cose oggettive 20.

Lassunzione per cui lemozione costituirebbe innanzi tutto il dato di una coscienza individuale a se stante, autonoma dal mondo nel quale potrebbe in seguito rintracciare i materiali per essere resa pubblica, contraddice la sua caratterizzazione nel discorso ordinario, in cui appare evidente che abbiamo paura di qualcosa, gioiamo per un certo incontro, ci preoccupiamo per la nostra vita o avvertiamo una forma di repulsione nei confronti di un certo atteggiamento In altri termini, piuttosto che uno stato mentale chiuso in una dimensione interiore, lemozione assunta nella nostra vita quotidiana come qualit o come modalit di risposta a una certa situazione nella quale viviamo e rivela, al contrario, proprio la nostra esposizione strutturale allambiente. Art as Experience ritorna su questo aspetto, sottolineando come lemozione riguardi un s, ma gli appartenga solo in quanto coinvolto nel movimento degli eventi verso un esito che si desidera o che si avversa 21. Pertanto non c alcuna necessit che un soggetto proietti le proprie emozioni sulla natura, poich questa esperita immediatamente come avversa, ostile, o favorevole, a seconda dellaccento su cui cade il ritmo dellinterazione che costituisce di volta in volta lorganismo individuale. Questo diventa appunto un individuo, un s anche grazie alle qualit emotive delle esperienze che va compiendo, poich
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esse segnalano appunto delle rotture nel ritmo di integrazione con lambiente, che diventano pertanto consapevoli 22. Una precisazione ulteriore riguarda la distinzione tra mero conato ed emozione: a differenza del primo che offre una risposta istintuale, quasi automatica alle sollecitazioni ambientali, la seconda ha una qualit significativa che la caratterizza immediatamente proprio nella misura in cui comporta un riferimento intenzionale o oggettuale in senso lato, ovvero segnala il conforto o il pericolo che una determinata situazione offre o impone a un s. Ma laspetto che viene articolato con maggiore ampiezza nel volume del 1934 riguarda il ruolo di guida, di selezione dei materiali, di controllo e di tenuta unitaria dellemozione nellambito dellespressione, e di quella artistica in particolare. Prima di affrontare questo tema, per opportuno fornire alcune precisazioni sulla posizione del s che appare pur sempre coinvolto emotivamente nelle esperienze che va compiendo e al quale Dewey riconosce una funzione comunque decisiva nellespressione artistica. 2. Soggetti, menti e coscienze Ai temi del soggetto, del s individuale, della mente, della coscienza dedicato il sesto capitolo di Experience and Nature, intitolato Nature, Mind and the Subject, cui si devono aggiungere alcune indicazioni del successivo ottavo capitolo, Existence, Ideas and Consciousness. Il testo esordisce con una presa di posizione netta rispetto alle istanze del soggettivismo di matrice idealistica, ma anche nei confronti delle forme coscienzialistiche di interpretazione dellesperienza: La personalit, lessere un s, la soggettivit sono funzioni di eventi che emergono con il costituirsi di interazioni organiche e sociali in interazioni organiche e sociali organizzate in modo complesso 23. Fin dal primo approccio alle questioni Dewey vuole sottolineare che le individualit soggettive non si situano allinizio di un processo di costituzione del mondo, ma nemmeno dellesperienza, poich si configurano piuttosto quali fattori che si costituiscono allinterno dellesperienza stessa, delle interazioni con un ambiente che naturale e naturalmente condiviso e pubblico. In particolare, inoltre, necessario che le interazioni in corso abbiano raggiunto un grado di grande complessit, tale da comportare quelle forme di consapevolezza delle parti coinvolte nei processi di godimento o di sofferenza immediata, che sono costituiti gi dalla sensibilit emotiva e dallanalisi riflessiva che ne consegue. in questo senso che risulta sostenibile la differenza decisiva dellindividualit umana pur nellambito dellassunzione della sua continuit profonda con i processi naturali da cui insorge e a cui risponde 24. Questo non significa e la cosa ha una forte rilevanza nellambito dellespressione artistica che i soggetti non siano riconosciuti come
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fattori rilevanti e anzi decisivi per lesperienza umana, ma ne implica linterpretazione quali agent[i] di nuova ricostruzione di un ordine pre-esistente 25. I s, in altre parole, si situano in una posizione mediale nellambito di transazioni che stanno gi accadendo e che generalmente hanno gi assunto una qualche forma di equilibrio mobile ma consolidato. Sono eventi che sopravvengo non gi rispetto a una realt in s, n rispetto allesperienza tout court, quanto nei confronti dellesperienza che procede per lo pi senza intoppi, per cui In primo luogo e in prima istanza non esatto n rilevante dire io esperisco o io penso. Si (It) sperimenta o si esperiti, si pensa o si pensati sono espressioni pi appropriate 26. Nellinterazione esperienziale il singolo individuo emerge come tale da forme di esperienza prepersonali, per ricorrere al termine usato da Mereleau-Ponty27, quando si sente chiamato in causa in prima persona da quello che sta facendo o vivendo, perch si trova in una situazione di incertezza o di indeterminazione tali da fargli riconsiderare riflessivamente ci che sta esperendo e da fargli dunque assumere consapevolmente la propria individualit. Dire io vuol dire impegnarsi in una cura, addossarsi una responsabilit in vista di certe conseguenze, non significa esserne lautore, la sorgente, il primo della costituzione: Dire in modo significativo Io penso, credo, desidero, invece di limitarsi a dire si pensa, crede, desidera significa accettare e dichiarare esplicitamente una responsabilit e avanzare una pretesa. Non significa che io sia lorigine o il creatore del pensiero o dellaffezione, n che lio ne sia la sede esclusiva 28. Lio emerge dunque come un fenomeno naturale e sociale al contempo, intervenendo come evento che accade a un organismo coinvolto nellesperienza dellambiente da cui dipende e rispondendo alla istanza sociale di rendere conto di certe azioni, di attribuire delle responsabilit rispetto agli esiti di certe attivit. Da un lato, pertanto, la mente non deve essere intesa come qualcosa di primariamente individuale, ma si costituisce come tale socialmente: un sistema di credenze, riconoscimenti, omissioni, assunzioni e rifiuti, aspettative e apprezzamenti di significati che sono stati istituiti sotto linflusso del costume e della tradizione 29 non invece il polo da cui si diparte una percezione o unosservazione del mondo l fuori, gi costituito come tale. Daltra parte, la struttura partecipativa dellesperienza umana, radicata nel linguaggio, consente di distinguere tra la mente e il s, tra possibilit e modalit di comportamento comuni e relazioni riflessive, che risultano pertanto derivate nella misura in cui laccento cade innanzi tutto sui rapporti tra s e il mondo, e in particolare con gli altri s dai quali ci si pu o ci si deve distinguere la riflessivit non in altri termini una questione che si giochi nei recessi privati di una coscienza isolata e autonoma, ma nasce come istanza di differenziazione, di riconoscimento e di assunzione di responsabilit nellalveo di esperienze e di attivit partecipate 30.
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Dire di una percezione, di un riconoscimento, di un certo comportamento che soggettivo significa allora sostenere che mi appartiene, che mi coinvolge in prima persona e che posso essere tenuto a risponderne, non che per questo non dica qualcosa del mondo di cui faccio esperienza come se si dicesse che, poich lattributo di quella casa di essere mia, allora la mia propriet impedisce alla casa di essere come essa in s. In altri termini, dal riferimento soggettivo di qualcosa non si pu inferire la negazione della sua struttura intenzionale. Experience and Nature sostiene che le esagerazioni del soggettivismo che dunque segnalano pur sempre un fenomeno autentico, sebbene lo fraintendano sorgerebbero storicamente nellUmanesimo in contrasto con il primato divino tipicamente medievale, ma in particolare dalla dottrina medievale per cui la salvezza (o la dannazione) riguardano lanima individuale. Ma il nodo centrale del travisamento concerne lassunto della separazione del soggetto dalloggetto quale dato primario, la concezione per cui ci che esperito inteso come indipendente dal modo in cui esperito e i modi di esperienza del mondo sono separati e determinati autonomamente rispetto al mondo di cui fanno esperienza. I contributi successivi su questo tema sono improntati soprattutto a intendere il fenomeno in termini non sostantivi, come la qualit mentale che sarebbe tipica di relazioni organico-ambientali a elevato grado di complessit e di libert, e a sottolinearne lapertura strutturale al mondo, di contro al modello tradizionale in cui interpretata prevalentemente come un ambito privato o allestremo opposto intesa in termini fisicistici, attraverso una riconduzione di tipo riduzionistico ai fenomeni neurofisiologici, per dissolvere le difficolt del solipsismo soggettivistico e della sostantivizzazione delle rappresentazioni mentali31. The Quest for Certainty propone allora di considerare la mente come la qualit tipica di un insieme di risposte emotive, deliberative, intellettuali allincerto che caratterizza solo la vita umana, poich gli esseri inanimati non sono in grado di reagire alle cose come problematiche, ma si limitano a reazioni standard. Solo organismi dotati di una struttura complessa e che si trovano a interagire con un ambiente altrettanto complesso avvertono la problematicit delle cose, lincertezza sul da farsi, con forme di consapevolezza che vanno dalle modalit pi emotive a quelle in cui la componente intellettiva diventa dominante. Lintelligenza risulta pertanto una componente della mente: la qualit che unesperienza assume quando si affronta esplicitamente un problema, quando si tratta di mettere in atto una strategia per migliorare una interazione con lambiente, poich quella attuale non funziona ordinariamente e diventa perci problematica e cosciente. In Art as Experience la necessit di evitare la reificazione e lisolamento della mente in un ambito psichico separato si appella agli usi linguistici ordinari, dai quali risulta evidente, da una lato, la compo27

nente intenzionale o il legame strutturale con lambiente di ogni comportamento umano e, dallaltro, una tendenza a considerare il termine mind come verbo o come parte di unespressione verbale, piuttosto che quale sostantivo. Avere in mente, tenere a mente, richiamare alla mente, porre mente, significano memoria, proposito, attenzione, osservazione interessata e pi in generale cura o preoccupazione per le cose e per gli individui tra i quali ci troviamo a vivere, per cui nel linguaggio ordinario mente Non denota mai qualcosa di sufficiente, di isolato dal mondo delle persone e delle cose, ma si usa sempre facendo riferimento a situazioni, eventi, oggetti 32. I significati che risultano dalle nostre pratiche delle cose e da ci che facciamo con gli altri diventano parte di un s in fieri, che lungi dallavere una struttura indipendente dal mondo cui appartiene, appunto costituito dallo sfondo mobile, in continuo processo di assimilazione e ricostruzione delle cure, delle preoccupazioni, della partecipazione interessata a ci che va facendo. La coscienza, in questa prospettiva, viene interpretata come un fenomeno pi ristretto della mente, apparendo quale componente intermittente e di primo piano, che di volta in volta mette a fuoco una interazione particolare a partire da uno sfondo, da un subconscio, che funziona silenziosamente come insieme dei comportamenti organici, delle abitudini comportamentali, delle tendenze implicite alla selezione, al rifiuto, alla classificazione, che guidano implicitamente i nostri comportamenti pi consapevoli. 3. Atti e oggetti espressivi Come noto, Art as Experience dedica ben due capitoli al tema dellespressione, che possono essere letti come dissolvimento di una serie di stereotipi interpretativi del carattere espressivo delle arti, nonch quale rielaborazione in senso antidogmatico dei termini della questione. Innanzi tutto la concezione degli atti di espressione come forme di interazione complessa tra organismi e ambiente, e in particolare quali esperienze in cui hanno luogo profonde trasformazioni delle componenti in gioco, marginalizza da subito il luogo comune per cui esprimere, ivi inclusa lespressione che avviene attraverso materiali e mezzi artistici, consista nella mera estrinsecazione di un contenuto interiore, immateriale, spirituale, o etereo, per usare le parole di Dewey, che sarebbe gi determinato come tale prima dellapprontamento degli strumenti fisici atti alla sua resa allesterno, alla sua comunicazione in termini pubblicamente riconoscibili 33. Latto espressivo piuttosto interpretato come una esperienza complessa, vale a dire come una relazione organico-ambientale nella quale i rapporti di determinazione appaiono reciproci, circolari e strutturati dinamicamente, ma anche quale interazione caratterizzata da una forma emotiva di consapevolezza, determinata dallinterruzione momenta28

nea degli abiti di risposta consolidati in situazioni di vita abituali. Ci che caratterizza un atto come espressivo che in esso non si verifica la rappresentazione di qualcosa di preesistente stato danimo, impressione, idea, significato , ma una vera e propria trasformazione o rielaborazione in senso costruttivo di materiali ed esperienze precedenti, capace di produrre unesperienza innovativa del mondo comune, ovvero di dirla o di presentarla agli altri che ne fruiscono. Per spiegare che cosa intenda sostenendo che lespressione una trasformazione il filosofo americano sfrutta la vicinanza etimologica tra esprimere e spremere, ricordando come anche la spremitura del succo degli acini delluva non consiste nella mera espulsione del loro contenuto, nella semplice restituzione allesterno del chicco del materiale grezzo che esso contiene, poich persino unoperazione di tipo meccanico come questa comporta linterazione della materia prima con la pressione del torchio, la separazione dalla buccia e dai vinaccioli, la filtrazione 34. I materiali su cui agisce lattivit di trasformazione o di rielaborazione espressiva appaiono disparati nella interpretazione di Dewey, ma mantengono in comune la caratteristica di non appartenere a una interiorit privata, quanto piuttosto di essere prodotti di esperienze individuali o collettive di un mondo condiviso e partecipato: non solo suoni, colori, elementi tattili, ma anche disposizioni organiche motoriopercettive, abiti di comportamento dinamico e tecnico, oltre al bagaglio di significati derivanti da esperienze riflessive precedenti, ormai sedimentati e incorporati anche nelle forme di esperienza meno mediate di godimento o di sofferenza delle circostanze ambientali in cui gli individui si trovano a vivere. Lindividualit dellartista, ma anche del fruitore, assumono un ruolo decisivo, ma per cos dire, mediano o intermedio nella pratica in cui questi materiali sono modificati e rielaborati, in quanto la creazione artistica non concepita ex nihilo, alla stregua della creazione teologica, ma appunto come intervento che agisce su esperienze e significati precedenti, appartenenti a un mondo comune, che sono sottoposti al filtro dellesperienza individuale. Daltra parte entrambe le componenti, lo sfondo ambientale e organico condiviso e prepersonale, ma anche le individualit coinvolte nella loro trasformazione, vengono a trovarsi in un processo di determinazione reciproca e dinamica, per cui lesperienza espressiva alla quale prendono parte non si limita ad agire su materiali e mezzi significativi, organici e ambientali, precedenti, ma retroagisce sulle stesse soggettivit che ne sono chiamate in causa, contribuendo a determinare i loro s secondo un certo percorso esperienziale. Infine, per venire ai principi che guidano lattivit di rielaborazione in cui lespressione artistica consiste in questa interpretazione deweyana oltre che ai materiali e ai fattori attivi e passivi delle trasformazioni in corso , le emozioni, o meglio una forma di sensibilit e
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di consapevolezza emotiva, vi assumono una funzione di linea guida, di criterio di selezione e di riorganizzazione dei materiali, di bilanciamento delle componenti in un complesso unitario, che regolano sia lattivit artistica sia la possibilit di fruizione delle opere darte. Da questo punto di vista viene pertanto accantonata unaltra interpretazione tradizionale dellespressione, per cui le arti consisterebbero essenzialmente nellesprimere emozioni o stati danimo, ineffabili per via verbale e al limite sottratte alla loro privatezza e rese universali proprio dallespressione artistica 35. Si tratta, in altri termini, della tesi per cui le emozioni ne costituirebbero il contenuto oggettuale, vale a dire ci che le opere darte esprimerebbero. Su questo punto daiuto la distinzione che Dewey propone tra lo sfogo emotivo e lespressione artistica: il primo costituisce pur sempre una forma di esperienza immediata, in cui la rabbia o la gioia sono vissute per s e chi le sfoga lascia espandere liberamente le passioni da cui assorbito, restando completamente preso dallimpegno diretto in questa situazione. Le sue urla irate o i suoi sorrisi saranno certamente eloquenti per coloro che gli stanno intorno, e rinvieranno oltre se stessi in questa prospettiva, ma questo accadr solo per gli altri individui, non per chi impegnato totalmente nello sfogo. Un atto espressivo, invece, implica una qualit emotiva che, come si diceva in precedenza, comporta linterruzione di un abito di risposta consolidato in precedenza, una resistenza a lasciar procedere le cose come dabitudine e la necessit di una scelta, di una selezione o di una cernita tra pi possibilit responsive allimpulso verso il quale lorganismo si proteso 36. La sensibilit emotiva pertanto gi portatrice di una forma di consapevolezza, determinata da una esitazione o da una sospensione momentanea dellesperienza in corso, che conducono a considerare tematicamente i termini della situazione attuale e avviano una riflessione o una considerazione analitica dellinterazione che sta avvenendo, rivelandone, cos, la profonda continuit con le pratiche conoscitive, deliberative e comunque pi mediate rispetto alla fruizione diretta degli eventi per il peso che essi hanno direttamente su di noi. Di qui provengono le insistenze dellanziano filosofo a ripensare le connessioni tra un pensiero pregno di emozione e sentimenti la cui sostanza consiste di significati o idee, per mettere in questione le separazioni nette che li hanno storicamente contrapposti 37. A questo si deve aggiungere che la stessa componente emotiva, che agisce sui materiali e sulle esperienze precedenti, selezionandole, rielaborandole, unificandole, non resta a sua volta indenne dallazione esercitata, poich a sua volta subisce una trasformazione nel corso dellatto espressivo, passando da uno stadio pi grezzo e indefinito a uno pi determinato e raffinato. Proprio per questo non si pu sostenere che lemozione operante a livello espressivo preceda tout court latto della sua espressione e rimanga fondamentalmente estranea ai
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mezzi tecnici e materiali in cui si esternerebbe, per restare allennesimo stereotipo interpretativo su questo argomento. Piuttosto lemozione si determina come tale solo nel corso dellespressione, si definisce soltanto attraverso la scelta del medium espressivo pi congeniale alla situazione specifica, di cui subisce la reazione o la modificazione, che le conferisce quel particolare tratto estetico, caratterizzandola pur rispetto a una genesi comune alle emozioni ordinarie. Ma cosa significa sostenere che unopera darte espressiva? Senza esitazioni Dewey afferma che con questo si ritiene che lopera darte ci dice qualcosa 38. Allinizio del quinto capitolo di Art as Experience, Dewey articola questa formula nei tre aspetti che essa comporta. Innanzi tutto il dire parafrasato con il verbo rappresentare, dove, per, il filosofo americano ha cura di distinguere la rappresentazione intesa come riproduzione letterale di una presunta realt in s categoria che stata tradizionalmente usata per interpretare larte cosiddetta figurativa, naturalistica o mimetica , dal rappresentare inteso come presentare, offrire, proporre qualcosa alla fruizione. Tuttavia, ci che viene presentato o proposto non la resa trasparente o puramente descrittiva di qualcosa di preesistente, e in particolare di un qualche tipo di oggettualit, ma una esperienza del mondo comune che nuova, perch pur partendo da materiali e da esperienze che sono parte di una tradizione condivisa, le une e gli altri hanno subito una trasformazione espressiva che viene ulteriormente elaborata dallalambicco individuale di coloro che ne fruiscono. Anche per costoro, cui lopera darte inevitabilmente si rivolge nella misura in cui diventa parte della loro esperienza del mondo condiviso, vale il processo di selezione, di filtrazione e unificazione guidate da una sensibilit emotiva, che agisce a partire da una certa propensione organica, percettivo-motoria un affinamento delle capacit di riconoscere suoni, colori, consistenze, una dimestichezza con posture e movimenti degli arti , nonch dalla ricchezza o meno dei significati di esperienze precedenti che si sono sedimentati nellesperienza attuale dellosservatore o delluditore. Si tratta pertanto fondamentalmente per Dewey non tanto di un nuovo contenuto oggettuale, ma appunto di una nuova esperienza, ovvero di una nuova opportunit di interazione con lambiente, che facendo partecipare anche i fruitori a un fare comune che essi riprendono e proseguono ulteriormente, in grado di dire qualcosa a coloro che ne fruiscono circa la natura della propria esperienza del mondo 39. Lopera darte dunque inevitabilmente comunicativa, nel senso della parola comunicazione definito in Logic. The Theory of Inquiry, come fare qualcosa in comune. Proprio per questo pi problematica risulta la contrapposizione tra espressione e asserzione e tra significato immediatamente esperito nellarte, e segnali e significati verbali, che comporterebbero non tanto una nuova esperienza per chi ne fruisce, quanto lindicazione del percorso per giungervi. Tanto pi che il ca31

pitolo successivo esordisce con una pagina sui linguaggi delle arti, che rimette in questione queste separazioni, per altro generalmente rifiutate da Dewey. Ma qui si aprirebbe unulteriore questione, per la quale sono orami costretta a rinviare ad altrove... 40.

1 Cfr. N. Warburton, La questione dellarte, Einaudi, Torino 2004, G. L. Hagberg, Art as Language. Wittgenstein, Meaning, and Aesthetic Theory, Cornell University Press, Ithaca and London 1995, O. K. Bouwsma, The Expression Theory of Art, in M. Philipson e P. J. Gudel (a cura di), Aesthetics Today, New American Library, New York 1980. 2 Sullapproccio di Dewey al linguaggio filosofico si veda la Introduction di T. M. Alexander, John Deweys Theory of Art, Experience and Nature. The Horizons of Feeling, State University of New York Press, Albany 1987, pp. xi-xxi, ma anche V. M. Colapietro, Embodied, Enculturated Agents, in C. Haskins e D. I. Seiple (a cura di), Dewey reconfigured. Essays on Deweyan Pragmatism , State University of New York Press, Albany 1999, p. 71. 3 G. Matteucci, Presentazione, in J. Dewey, Arte come esperienza, Aesthetica, Palermo 2007, p. 19. 4 Il primo ad avanzare questo tipo di lettura stato S. C. Pepper, nel suo Some Questions on Deweys Esthetics, in P. A. Schillp (a cura di), The Philosophy of John Dewey, Northern University & Southern Illinois University Press, La Salle 1939 (1951), pp. 371-89, seguito dallo stesso Benedetto Croce, Intorno allestetica del Dewey, in La critica, 38, 1940, pp. 348-53, e Intorno allestetica e alla teoria del conoscere del Dewey, in Quaderni della critica, 16, 1950, pp. 60-68. Ma molti altri hanno partecipato al dibattito, divisi tra coloro che sostenevano lispirazione idealistica dellestetica di Dewey e la sua conseguente estraneit allimpianto pragmatista della sua epistemologia e coloro che invece hanno giustamente interpretato Art as Experience come prodotto maturo della teoria dellesperienza di Dewey. Questultimo stato del resto lapprodo inevitabile cui ha condotto lo studio dellopera completa di Dewey, ormai reso possibile dalledizione integrale delle sue opere curata da Jo Ann Boydston per la Southern Illinois University Press. Per una ricostruzione conclusiva degli aspetti della questione si veda il primo capitolo, intitolato The Pepper-Croce Thesis, di T. M. Alexander, John Deweys Theory of Art, Experience and Nature. The Horizons of Feeling, cit. 5 Cfr. L. Russo, La polemica tra Croce e Dewey e larte come esperienza, in Rivista di studi crociani, 5, 1968, pp. 201-16. 6 Cfr. B. Croce, Breviario di estetica. Aesthetica in nuce, Adelphi, Milano 1992, in particolare il primo capitolo del Breviario, dal titolo Che cosa larte? e i saggi Intuizione ed espressione e Espressione e comunicazione dellEstetica. 7 Cfr. P. G. Whitehouse, The Meaning of Emotion in Deweys Art as Experience, in J. E. Tiles, (a cura di), John Dewey: Critical Assessements, vol. iii: Value, Conduct and Art, Routledge, London-New-York 1992, pp. 379-90. 8 J. Dewey, Art as Experience, vol. 10 di The Later Works, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1987, trad. it. a cura di G.Matteucci, Arte come esperienza, cit. In Italia tra i sostenitori storici della tesi continuista si deve ricordare Aldo Visalberghi, che lha difesa fin dal primo lavoro sul filosofo americano, John Dewey, Firenze, La Nuova Italia 1951; una ripresa e uno sviluppo efficaci di questa interpretazione ora proposta da G. Sputznar, Ricostruire la filosofia. Il rapporto individuo-ambiente nel pensiero di John Dewey, Aracne, Roma 2004. 9 J. Dewey, The Theory of Emotion, vol. 4 di The Early Works, cit., 1971, pp. 15288. Da ricordare che J. E. Tiles, nel suo The Fortunes of Functionalism (in C. Haskins e D. I. Seiple, a cura di, Dewey Reconfigured. Essays on Deweyan Pragmatism, cit., pp.

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39-61), sostiene la centralit di questo saggio, unitamente a quelli sullarco riflesso e sullo sforzo (The Reflex Arc Concept in Psychology e The Psychology of Effort, entrambi in J. Dewey, vol. 5 di The Early Works, cit., 1972, rispettivamente pp. 96-109 e pp. 151-63) nel ripensamento critico delle proprie posizioni iniziali e nella elaborazione del pensiero maturo di Dewey. 10 J. Dewey, What are States of Minds?, vol. 7 di The Middle Works, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1979, pp. 31-43. 11 Id., Experience and Nature, vol. 1 di The Later Works, cit., 1988, trad. it. a cura di P. Bairati, Esperienza e natura, Mursia, Milano 1990. 12 Tra laltro, questo tipo di caratterizzazione indebolisce le accuse di riduzionismo dei fenomeni mentali ai comportamenti che da alcune parti sono state mosse a Dewey. Su questo si veda A. S. Lothstein, The Pathology of Inwardness: John Deweys Critique of the Inner Life, in J. E. Tiles (a cura di), Critical Assessements, cit., pp. 246-83. Piuttosto al limite potrebbe venirne unaccusa di riduzionismo del mentale al fisiologico, al fisico-meccanico, che avvicinerebbe Dewey ad alcuni esponenti del cognitivismo; ma, come ricorda Tiles nellarticolo citato in precedenza, vi una differenza enorme, che impedisce di accusare Dewey di riduzionismo in questo secondo senso: Le funzioni che interessavano Dewey e gli altri della sua generazione erano funzioni dellintero organismo preferibilmente (e senzaltro per Dewey) funzioni dellintero organismo che interagisce con il suo ambiente (J. E. Tiles, The Fortunes of Functionalism, cit., p. 53), per cui lontanissima lipotesi di poter ricondurre lorganismo di cui si trattava a un meccanismo dal funzionamento autonomo, come una macchina di Turing. 13 Su questo avvicinamento delle emozioni a forme di coscienza intese in senso non primariamente cognitivo sarebbe interessante verificare alcune continuit con posizioni pi recenti in ambito scientifico, come quella di A. R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000. 14 J. Dewey, What are States of Mind?, cit., p. 33. 15 Ibidem. 16 Ivi, p. 37. 17 Ivi, p. 34 e p. 36. Sulla rilevanza della teoria delle emozioni di James per Dewey cfr. sia J. E. Tiles, Dewey, Routledge, London and New York 1988, p. 35 e ss., sia T. M. Alexander, cit., p. 137. 18 J. Dewey, The Quest for Certainty, vol. 4 di The Later Works, cit., 1988, p. 180, trad. it. di E. Becchi e A. Rizzardi, La ricerca della certezza. Studio del rapporto tra conoscenza e azione, La Nuova Italia, Firenze 1966. 19 Non escluso che Dewey si riferisse proprio alle teorie di Croce il suo Breviario di estetica era gi stato elaborato sotto forma di lezioni a seguito di un invito ricevuto dal Rice Institute di Houston in Texas. Come noto, nella produzione estetica in lingua inglese linfluenza di una concezione idealistica per molti versi analoga sar sviluppata da Collingwood nel suo Principles of Art del 1928. Sicuramente un altro termine polemico era la teoria dellespressione di Santayana, come sottolinea Thomas Alexander (cit., p. 213 ss.). Che al termine del capitolo Dewey intendesse confrontarsi con il dibattito a lui contemporaneo manifesto, a mio parere, anche perch subito dopo avere discusso questo genere di interpretazione dellarte, si impegna nei confronti della teoria della forma significante, su cui aveva insistito Clive Bell nel suo Art del 1914. 20 J. Dewey, Experience and Nature, cit., p. 292, trad. it. cit. (modificata), p. 279. 21 Id., Art as Experience, cit., pp. 48-49, trad. it. cit., p. 67. 22 Cfr. ivi, pp. 20-21, trad. it. cit., pp. 41-42. Su queste basi sarebbe interessante allargare il discorso a una revisione del tema dellempatia come proiezione di sentimenti e di emozioni soggettive sugli altri, che ultimamente stata ripresa da alcuni esponenti della cosiddetta neuroestetica a partire dal ruolo attribuito ai cosiddetti neuroni specchio su questo si veda D. Freedberg, Empatia, movimento ed emozione, in G. Lucignani e A. Pinotti, Immagini della mente. Neuroscienze, arte, filosofia, Raffaello Cortina, Milano 2007, pp. 13-67. 23 J. Dewey, Experience and Nature, cit., p. 162, trad. it. cit. (modificata), p. 159.

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24 Come sostiene Vincent M. Colapietro nel saggio citato in precedenza, la scelta di Dewey di definire il soggetto come organismo umano non ha alcun intento riduzionistico, quanto piuttosto polemico nei confronti dei dualismi assunti indebitamente dalle posizioni di tipo spiritualistico. Il soggetto umano non altro che lorganismo umano; ma nel corso dellesperienza, questo organismo trasformato radicalmente nelle e attraverso le sue interazioni con gli altri (cit., p. 70). 25 J. Dewey, Experience and Nature, cit., p. 168, trad. it. cit. (modificata), p. 165. Concordo pertanto con la tesi di Colapietro che difende Dewey dalle accuse di avere vanificato il soggetto individuale, mosse in particolare da John E. Smith (John Dewey: Philosopher of Experience, in Reason and God, Yale University Press, New Haven 1961, pp. 92-114) e da Richard J. Bernstein ( John Dewey, Washington Square Press, New York 1966): nei testi del filosofo americano non si riscontra certo una dottrina sistematica della soggettivit, ma una serie di indicazioni tali da ripensarla come evento non riducibile dellesperienza, che emerge appunto da essa ed capace di retroagire sulle condizioni naturali e culturali della sua insorgenza. 26 J. Dewey, Experience and Nature, cit., p. 179, trad. it. cit., p. 175. 27 Cfr. M. Merleau-Ponty, Phnomnologie de la perception, Paris, Gallimard 1945, trad. it. a cura di A. Bonomi, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003. 28 J. Dewey, Experience and Nature, cit., pp. 179-80, trad. it. cit., p. 175. 29 Ivi, p. 170, trad. it. cit., p. 166. 30 Cfr. V. M. Colapietro, cit., p. 71, e T. M. Alexander, cit., pp. 160-61. 31 Mi limito qui a osservare che da questo punto di vista Dewey fornirebbe almeno alcuni spunti per superare il dibattito tra dualismo e monismo nella comprensione delle connessioni mente-corpo, nonch per intessere un confronto non riduzionistico con alcuni contributi delle neuroscienze. 32 J. Dewey, Art as Experience, cit., p. 268; trad. it. cit., p. 258. 33 Da questo punto di vista ricadono nella critica di Dewey anche quelle concezioni come quella di Croce e di Collingwood, secondo le quali lintuizione estetica non prescinderebbe dallespressione, anzi si realizzerebbe propriamente solo in essa, ma questa compresa a sua volta come un fenomeno puramente spirituale o comunque immateriale, del tutto indipendente rispetto al momento successivo ed esclusivamente accessorio della sua comunicazione in mezzi e materiali. Sotto questo profilo sono notevoli le affinit con la critica che Merleau-Ponty formula alle concezioni tradizionali del linguaggio come espressione allesterno di significati logici gi costituiti indipendentemente dagli strumenti lessicali nei quali sarebbero poi vicolati. Cfr., tra le altre, le prime pagine di M. Merleau-Ponty, La prose du monde, Gallimard, Paris 1969, trad. it. a cura di C. Sini, La prosa del mondo, Editori Riuniti, Roma 1984. 34 J. Dewey, Art as Experience, cit., p. 68; trad. it. cit., p. 86. 35 Si possono citare da un lato le tesi di S. Langer (si veda Feeling and Form, Routledge and Kegan Paul, London 1953) e dallaltro quelle di Croce o di Collingwood (The Principles od Art, Oxford University Press, Oxford (1938) 1958). 36 Sul confronto tra vera e propria espressione e mere act of discharge si veda T. M. Alexander, cit., p. 219 ssg. Per la distinzione tra impulso e stimolo, ovvero tra impulse e impulsion si veda J. Dewey, Art as Experience, cit., p. 63, trad. it. cit., p. 81; questa differenziazione a mio parere ha le sue radici nella critica dellarco riflesso elaborata da Dewey nel saggio del 1896, citato in precedenza. Per una disamina della questione cfr. R. Dreon, Il sentire e la parola. Linguaggio e sensibilit tra filosofie ed estetiche del novecento, Mimesis, Milano 2007, p. 167 ss. 37 J. Dewey, Art as Experience, cit., p. 80, trad. it. cit., p. 93. 38 Ivi, p. 88, trad. it. cit., p. 101. 39 Ivi, p. 89, trad. it. cit., p. 102. 40 Sui significati di linguaggio in Dewey e sulle connessioni tra linguaggio ed esperienza si cfr. R. Dreon, cit., il iv capitolo, Esperienza e linguaggio: le risposte del naturalismo culturale di John Dewey, pp. 165-207.

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Estetiche empiristiche
di Simona Chiodo

Arte come esperienza (1934) un titolo che d unindicazione importante: se vogliamo capire il significato della nozione di arte dobbiamo capire il significato della nozione di esperienza, perch, Dewey dice attraverso il titolo, larte come lesperienza, cio unesperienza. Dobbiamo concentrarci, allora, su Esperienza e natura (la prima edizione del 1925 e la seconda edizione del 1929) e soprattutto sul suo primo capitolo Il metodo della filosofia, nel quale Dewey articola la nozione di esperienza che fonda Arte come esperienza e a partire dalla quale possibile capire perch larte unesperienza e, soprattutto, che cosa significa, qui, fare uso della nozione di esperienza e dei suoi corollari. Dewey unisce il significato della nozione di esperienza alla scelta di procedere attraverso un metodo di lavoro empirico: se usiamo il vero metodo empirico, allora partiamo dallesperienza primaria 1, perch il metodo empirico richiede dalla filosofia [] che i metodi e gli oggetti rifiniti vengano rinviati alle loro origini nellesperienza primaria [] [e] che i metodi e le conclusioni secondarie vengano ricondotti alle cose dellesperienza primaria 2. Lesperienza primaria lesperienza rozza 3 nella sua generica banalit 4, , cio, lesperienza di Darwin che osserva piccioni, bovini e piante da allevamento e da giardino 5. E il metodo di lavoro empirico , allora, lo strumento che considera linclusiva integrit dellesperienza, perch assume questa integra unit come punto di partenza del pensiero filosofico 6. Al contrario, gli altri metodi cominciano sempre con i risultati di una riflessione che ha gi separato nettamente il contenuto esperito, da un lato, e le operazioni e stati dellesperire, dallaltro 7. I risultati di Dewey sono due: il metodo di lavoro empirico dice che cosa lesperienza, perch considera anche il suo grado primari[o], radicale, e, soprattutto, dice che lesperienza, se anche il suo grado primari[o], radicale, non il contenuto esperito separato dalle operazioni e dagli stati dellesperire. La filosofia empiristica di Dewey significa, al contrario, che, se un metodo di lavoro empirico agisce, allora lo spazio delloggetto (il contenuto esperito) non diviso dallo spazio del soggetto (dalle operazioni e dagli stati dellesperire). Quando Dewey ragiona sul significato della
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parola esperienza unisce il primo spazio al secondo spazio, perch la parola esperienza significa sia il lavoro del campo, la semina, il raccolto e la mietitura, i cambiamenti del giorno e della notte, la primavera e lautunno, lumidit e larsura, il caldo e il freddo sia colui che pianta e raccoglie, che lavora e gioisce, spera, teme, fa progetti, ricorre alla magia o alla chimica per aiuto, che subisce disastri o passa giorni fortunati 8. La nozione di esperienza sulla quale Dewey ragiona non sottintende, nella sua primaria integrit, alcuna divisione tra atto e materiale, soggetto e oggetto 9. E, se la nozione di esperienza, che significa lunione delloggetto con il soggetto, il risultato della procedura empirica, allora nella procedura non-empiric[a] [] loggetto e il soggetto, lo spirito e la materia [] sono, viceversa, separati e indipendenti 10. Dewey argomenta che lunione tra oggetto e soggetto caratterizza il metodo della filosofia empiristica e che la divisione tra oggetto e soggetto caratterizza il metodo della filosofia non empiristica. Ma il resoconto di Dewey su che cosa caratterizza la filosofia empiristica e che cosa caratterizza la filosofia non empiristica ha unalternativa importante, che ha una direzione contraria, perch possibile dire che luso di un metodo di lavoro empirico sottintende la divisione, e non lunione, tra oggetto e soggetto. Lunione un risultato, il risultato ultimo di una procedura empirica. E la condizione di possibilit dellunione delloggetto con il soggetto la divisione del primo dal secondo: se credo che il sole che osservo sia diviso, cio eterogeneo ex parte aut in toto, dal mio sguardo, allora ho la possibilit di dare una rappresentazione del sole fondata sulla credenza che il sole ecceda, comunque, la mia rappresentazione. Ed questa, non quella di Dewey, la posizione che caratterizza la filosofia empiristica, considerata anche attraverso il quid specifico che le sue articolazioni storiche, sia sincroniche sia diacroniche, conservano. Il filosofo che usa il metodo di lavoro empirico crede che loggetto che osserva ecceda la rappresentazione che d delloggetto, perch loggetto dato, anche se formato dallo sguardo dellosservatore, perch lo sguardo dellosservatore, anche se ha il potere di vedere un oggetto ad hoc, non ha il potere di costruire un oggetto ad hoc: da Hume agli empiristi logici di Vienna e di Berlino il quid specifico che il filosofo che usa la procedura empirica conserva la credenza che, anche se non ho la possibilit di dimostrare che il sole che osservo diviso, cio eterogeneo, autonomo ex parte aut in toto, dal mio sguardo, perch lavoro attraverso il mio sguardo, se esamino il sistema tolemaico e quello copernicano, con le mie indagini mi sforzer solo di arrivare a conoscere la condizione reale dei pianeti; cio, in altre parole, cercher di dare ad essi, nella mia rappresentazione, le medesime relazioni in cui si trovano luno con laltro nei cieli11. E credo addirittura che la verit o la falsit non mutano con il mutare delle percezioni degli uomini. Se anche tutta la specie umana
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dovesse definitivamente concludere che il sole si muove e la terra sta ferma, il sole non si sposterebbe certo di un pollice dal suo posto per tutti questi ragionamenti, e queste conclusioni rimarrebbero eternamente false ed errate 12. Da Hume, qui citato, agli empiristi logici di Vienna e di Berlino il filosofo che usa il metodo di lavoro empirico crede che il sole non si sposterebbe di un pollice se anche tutta la specie umana dovesse definitivamente concludere che il sole si muove il filosofo che usa il metodo di lavoro empirico crede che loggetto osservato, anche se visto attraverso la sua rappresentazione, non sia costruito dalla sua rappresentazione, perch, e ancora, eccede la sua rappresentazione, dalla quale non dato, ma alla quale dato. Dewey afferma che la filosofia empiristica fondata sullunione gi data tra oggetto e soggetto, e non sulla loro divisione, cio sulla loro unione non ancora data, perch un pragmatista. La filosofia empiristica di Dewey la filosofia empiristica di un pragmatista. Quando Davidson domanda se la filosofia empiristica ha altri dogmi a parte i due dogmi sottolineati da Quine, che fa riferimento soprattutto allempirismo logico, risponde che la filosofia empiristica ha un terzo dogma, cio il dualismo tra schema e contenuto, tra un sistema organizzante e un qualcosa che attende desser organizzato, che forse lultimo, perch se lo abbandoniamo non saprei dire se rimanga qualcosa di specifico da poter chiamare empirismo 13. Secondo Davidson il terzo dogma dellempirismo, che anche il quid specifico dellempirismo, la divisione tra lo spazio delloggetto (contenuto) e lo spazio del soggetto (schema), che la posizione che secondo Dewey caratterizza, al contrario, la filosofia non empiristica. Il resoconto di Davidson dice la verit: la tradizione filosofica dellempirismo conserva, anche quando varia nel corso della sua storia, la credenza che loggetto non sia gi unito al soggetto, cio alla sua rappresentazione perch loggetto, al contrario, ha il potere di sorprendere il soggetto, cio di fare variare la sua rappresentazione, dalla quale creduto eccedere. Ma Dewey soprattutto un pragmatista. E un pragmatista crede che il potere essenziale da sottolineare non sia la capacit che loggetto ha di fare variare la sua rappresentazione, ma, viceversa, la capacit che la sua rappresentazione ha di fare variare loggetto un pragmatista crede che sia soprattutto il soggetto ad avere un potere straordinario, che il potere di fare loggetto attraverso la sua rappresentazione, al variare della quale loggetto varia. Ma un quid specifico, ed essenziale, che caratterizza la filosofia empiristica marca anche il pragmatismo di Dewey, che sigilla un risultato notevolissimo, da conservare ancora, a quasi un secolo di distanza. Il quid specifico risponde alla domanda che chiede perch serve scegliere il metodo di lavoro empirico versus gli altri metodi di lavoro. E Dewey dice: il metodo empirico indica quando e come e dove sono state conseguite le cose cui si riferisce una descrizione designata. Mette di
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fronte agli altri una mappa della strada che stata percorsa; se vogliono essi possono ripercorrere in modo analogo quella strada per guardare il passaggio per conto loro. Cos le scoperte di uno possono essere corrette ed estese dalle scoperte degli altri, con quella certezza umanamente possibile di conferma, estensione e correttezza. [] Il ricercatore scientifico persuade gli altri non con la plausibilit delle sue definizioni e la forza necessitante della sua dialettica, ma mettendo di fronte ad essi il corso dettagliato dei tentativi, delle operazioni e degli arrivi, in conseguenza dei quali sono state trovate certe cose14. Dewey d, qui, una lezione magistrale: lavorare a una nozione di esperienza a partire da un metodo di lavoro empirico significa considerare lesperienza tout court, sia dellarte che unesperienza sia del ricercatore scientifico, il risultato di una relazione tra isthesis ed epistme, il risultato, ancora, di una relazione tra spazio delloggetto (delloggetto aisthets, cio sensibile, che sentito dal soggetto) e spazio del soggetto (del soggetto epistmenos, cio conoscitore, che conosce loggetto). Dewey sottolinea un dato essenziale, e radicale: fare esperienza significa, comunque, sia nellarte sia nella scienza, ma anche nella nostra esistenza quotidiana, metterci in relazione con listhesis fare esperienza significa, comunque, fare esperienza estetica, perch il metodo di lavoro empirico, che il metodo di lavoro scelto, fonda lepistme lato sensu, che comincia dalla conoscenza che dirige la nostra esistenza quotidiana e arriva sia allarte sia alla scienza, sulla sensibilit, sullo spazio delloggetto sensibile considerato in relazione allo spazio del soggetto conoscitore. Ma, ancora, relazione non significa solo unione data gi relazione significa anche unione da dare ancora, unione che conserva, comunque, la diversit dei due spazi in relazione, unione che non arriva alla fusione e, insieme con la fusione, al potere che il soggetto ha di fare loggetto attraverso la sua rappresentazione. Dewey diviso, qui, dalla tradizione dellempirismo europeo, cio dallempirismo che non contaminato dal pragmatismo. La diatriba tra Dewey e Reichenbach, unita alle osservazioni di Russell, istruttiva. Sia Reichenbach sia Russell partecipano allo studio The philosophy of John Dewey curato da Schilpp, pubblicato nel 1951, cio prima della morte di Dewey. Reichenbach scrive Deweys theory of science e Russell scrive Deweys new logic 15. Ed entrambi ragionano sul cardine della nozione di esperienza, et ergo della nozione di esperienza estetica, di Dewey, che il suo empirismo pragmatistico. Reichenbach esemplifica attraverso un caso quasi classico: Il pescatore che fa andare il suo remo in acqua e vede il remo storto [] dice che questa solo apparenza e che in verit il suo remo non storto 16. Secondo Reichenbach losservazione del pescatore corretta: il remo in acqua visto storto, ma non storto. Il remo, sia fuori dallacqua sia in acqua, , sic et simpliciter, dritto. Reichenbach argomenta: Lo sbaglio dellocchio
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nel caso del remo messo in acqua causato dal fatto che non ha la capacit di correggere loggetto visto in riferimento alle condizioni fisiche straordinarie nelle quali loggetto presentato 17. E sceglie un lessico filosofico sintomatico: il remo dritto oggettivo e il remo storto soggettivo 18. Secondo Dewey, al contrario, il remo dritto reale e il remo storto , ancora, reale 19. E cio: il remo storto non reale secondo Reichenbach ed reale secondo Dewey. Reichenbach crede che la scelta lessicale, e filosofica, di Dewey sia generata dalla paura che la scelta alternativa, che quella dellempirista logico, porti a una nozione analoga a quella di cose in s elaborata da Kant20, che, secondo il pragmatista, ha in s il pericolo di dividere, ancora, lo spazio delloggetto dallo spazio del soggetto, perch sottintende la divisione tra la cosa oggettiva, cio non sottoposta alla, e non data dalla, rappresentazione del soggetto, e la cosa soggettiva, cio sottoposta alla, e data dalla, rappresentazione del soggetto. Secondo Dewey, al contrario, c uno spazio, non due, perch lo spazio che c lo spazio dellunione, gi data, tra ci che gli uomini fanno e soffrono, ci che ricercano, amano, credono e sopportano (lo spazio delloggetto) e il modo in cui gli uomini agiscono e subiscono lazione esterna, i modi in cui essi operano e soffrono, desiderano e godono, vedono, credono, immaginano, cio i processi dellesperire 21 (lo spazio del soggetto). Dewey ha paura che la divisione tra il remo oggettivo (dritto) e il remo soggettivo (storto) significhi anche quella divisione tra loggetto e il soggetto che introduce, anche, una metafisica sui generis, che separa gli individui dalle cose, perch toglie agli individui la possibilit di arrivare alla verit delle cose, chiusa in uno spazio di oggettiv[it] diviso dagli individui, diviso, cio, da uno spazio di soggettivit che chiude gli individui dentro le sue pareti e non lascia possibilit di uscita. Ma Reichenbach risponde che le cose oggettive degli empiristi logici non sono una specie di noumeno, perch secondo gli empiristi logici le cose non osservabili non sono non conoscibili22, ma sono, sic et simpliciter, non conosciute hic et nunc, cio non conosciute ancora, ma conoscibili, perch sbagliato non considerare possibile la variazione futura dei limiti della condizione presente, e dei suoi risultati. Secondo Reichenbach il lessico del pragmatista, che chiama reali le cose soggettive, non corretto ed , comunque, meno corretto del lessico dellempirista logico, che dice che le cose soggettive non sono reali 23. Il cardine della diatriba sta qui: Reichenbach divide il remo oggettivo dal remo soggettivo perch non crede che la divisione tolga al soggetto la possibilit di unione con loggetto, e con la sua verit, attraverso la rappresentazione. Se sono su una barca e vedo il remo in acqua storto credo che la rappresentazione che dice che il remo storto sia falsa perch credo di avere a disposizione altri strumenti attraverso i quali rappresentare la verit del remo, che dritto fuori
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dallacqua ed dritto in acqua, e attraverso i quali arrivare, in ultimo, allunione con loggetto, e con la sua verit. Viceversa, Dewey non divide il remo oggettivo dal remo soggettivo perch crede che la divisione tolga al soggetto la possibilit di unione con loggetto, e con la sua verit, attraverso la rappresentazione. Se sono su una barca e vedo il remo in acqua storto credo che la rappresentazione che dice che il remo storto sia vera perch credo di non avere a disposizione altri strumenti attraverso i quali rappresentare la verit del remo, che dritto fuori dallacqua ed storto in acqua, e attraverso i quali arrivare, in ultimo, allunione con loggetto, e con la sua verit. Il cardine del pragmatismo di Dewey sta qui: non ho la possibilit di affermare che, se ho due rappresentazioni diverse di un oggetto (il remo dritto e il remo storto), la prima vera comunque, cio vera anche al variare delle condizioni pragmatiche di visione, e di uso, delloggetto. Ho due uscite possibili da qui: la prima dire che non ho condizioni di affermazione della verit delloggetto reale, perch, se il remo dritto fuori dallacqua ed storto in acqua, allora il remo reale, che un oggetto diverso al variare delle sue condizioni pragmatiche di visione, e di uso, non c e, se c, se non posso sapere a quale condizione pragmatica di visione, e di uso, corrisponde, allora non ho la possibilit di dire che cosa . La seconda dire che ho condizioni di affermazione della verit delloggetto reale, perch, se il remo dritto fuori dallacqua ed storto in acqua, allora il remo reale, che un oggetto diverso al variare delle sue condizioni pragmatiche di visione, e di uso, c, perch il remo dritto se il remo fuori dallacqua ed il remo storto se il remo in acqua e, se posso sapere a quale condizione pragmatica di visione, e di uso, corrisponde, allora ho la possibilit di dire che cosa . Dewey sceglie la seconda uscita, perch salva la possibilit di verit, cio di unione tra lo spazio oggettivo e lo spazio soggettivo, attraverso il superamento della divisione tra che cosa loggetto (il remo dritto), che quello che non varia al variare delle sue condizioni di visione e di uso, e che cosa loggetto non (il remo storto), che quello che varia al variare delle sue condizioni di visione e di uso Dewey salva la possibilit di unione tra lo spazio oggettivo e lo spazio soggettivo attraverso lunione data gi, e non da dare ancora, tra che cosa loggetto e che cosa loggetto sembra essere al variare delle sue condizioni di visione e di uso. Il remo di Dewey che cosa il remo sembra essere al variare delle sue condizioni di visione e di uso. Il pragmatismo di Dewey sceglie, qui, una soluzione alternativa alla tradizione dellempirismo classico, che divide le qualit secondarie dalle qualit primarie. Reichenbach avverte: lo scienziato mostra che i colori in generale sono i prodotti degli organi umani di percezione [e che] locchio di un uomo normale ha una possibilit di percezione assai limitata, che siamo ciechi di fronte ai colori, anche ciechi tout court,
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in riferimento alle onde elettriche al di fuori da una sezione ridotta di lunghezze donda. Anche il dibattito filosofico ha fatto riferimento a questo dato: se i nostri occhi potessero percepire i raggi ultravioletti e i raggi infrarossi il mondo avrebbe pi colori e sembrerebbe diverso da quello che sembra adesso. Se i nostri occhi potessero percepire i raggi cosmici, il cielo di notte sarebbe luminoso e avrebbe una zona di luminosit massima in prossimit della galassia, eccetera. Credo che il fisico sia abbastanza ragionevole quando nega un lessico nel quale queste variazioni sarebbero chiamate variazioni del mondo oggettivo o reale 24. Il colore, che lempirismo britannico del Seicento e del Settecento, ma anche lempirismo logico di Reichenbach, identifica con una qualit secondaria, secondo il pragmatismo di Dewey quasi una qualit primaria, cio segue il funzionamento di una qualit primaria. Se A vede X di colore azzurro e B vede X di colore blu, allora X azzurro reale e X blu , ancora, reale, perch la real[t] loggetto del quale gli individui, che sono sia A sia B, fanno esperienza. X non ha un colore diviso, cio autonomo, dal colore che A e B vedono ancora, loggetto non ha uno spazio di esistenza diviso, cio autonomo, dallo spazio di esistenza che i soggetti vedono. Il remo non ha uno statuto ontologico diviso, cio autonomo, dallo statuto ontologico che i pescatori vedono. Il colore, che secondo lempirismo classico la qualit secondaria par excellence, secondo il pragmatismo di Dewey la real[t] delloggetto, non la qualit secondaria, cio soggettiv[a], che segna la riga di separazione tra che cosa un oggetto (il remo dritto) e che cosa un oggetto sembra essere (il remo storto, ma anche X azzurro e X blu). La tradizione dellempirismo che Dewey non segue afferma: ci sono qualit oggettiv[e] (primarie), che possiamo determinare, perch non variano al variare della soggettiv[it], cio non variano se passiamo dal soggetto A al soggetto B, e ci sono qualit soggettiv[e] (secondarie), che non possiamo determinare, perch variano al variare della soggettiv[it], cio variano se passiamo dal soggetto A al soggetto B. Dewey sembra credere che la posizione empiristica classica significhi la perdita di una condizione importante, e di un suo corollario altrettanto importante: le qualit soggettiv[e] (secondarie) caratterizzano una porzione estesissima delle nostre esperienze et ergo se affermiamo che sono date da uno spazio soggettivo separato da uno spazio oggettivo affermiamo anche che una porzione estesissima delle nostre esperienze sottintende la divisione, e non lunione, tra noi e gli oggetti, cio affermiamo che quando facciamo esperienza di un oggetto succede, in casi numerosissimi, che facciamo esperienza della sua rappresentazione soggettiv[a] e che perdiamo, allora, sia la possibilit di presa sugli oggetti sia la possibilit di presa sulla loro verit. La perdita importante della quale Dewey sembra avere paura visibile qui: se dico che il colore delloggetto che vedo non reale,
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perch soggettivo e non oggettivo, dico anche che una porzione estesissima delle mie esperienze non reale, dico anche, cio, che una porzione estesissima delle mie esperienze non una presa sugli oggetti che vedo, e sulla loro verit se dico che il colore delloggetto che vedo non reale dico anche, soprattutto, che una porzione estesissima delle mie esperienze estetiche non reale. Il cardine della paura che Dewey sembra avere lesperienza estetica, perch i casi, numerosissimi, di esperienze che lempirista classico chiama secondarie sono i casi di quelle esperienze estetiche, cio sensibili, che registrano non i dati misurati attraverso criteri che non variano, ma i dati misurati attraverso criteri che variano e i dati misurati attraverso criteri che variano sono numerosissimi. Lempirismo pragmatistico di Dewey sembra corrispondere, allora, alla volont di salvare la presa diretta sugli oggetti, e sulla loro verit, esercitata attraverso lesperienza estetica tout court, esercitata, cio, attraverso la totalit delle nostre esperienze estetiche, sia misurate (e misurabili) sia non misurate (e non misurabili). Quando Dewey passa dallanalisi dellesperienza estetica lato sensu, che quella che fonda la gnoseologia (Esperienza e natura), allanalisi dellesperienza estetica stricto sensu, che quella che fonda larte (Arte come esperienza), quando, cio, passa dal dominio delle qualit primarie (anche estetiche, cio sensibili) al dominio delle qualit secondarie (soprattutto estetiche, cio sensibili), argomenta ancora la necessit di considerare gi uniti lo spazio delle qualit, sia primarie sia secondarie, degli oggetti e lo spazio delle loro rappresentazioni soggettiv[e]: Lesperienza il risultato, il segno e la ricompensa di quella interazione tra organismo e ambiente che, quando raggiunge la pienezza, si trasforma in partecipazione e comunicazione. [] Le opposizioni tra mente e corpo, anima e materia, spirito e carne, hanno tutte origine fondamentalmente nella paura di ci che la vita pu produrre. Sono segni di contrazione e arretramento. Quindi il pieno riconoscimento della continuit di organi, bisogni e istinti di base tra la creatura umana e i suoi antenati animali non implica una necessaria riduzione delluomo al livello delle bestie. Al contrario, permette di descrivere il livello elementare dellesperienza umana su cui si erge la sovrastruttura dellesperienza mirabile che contraddistingue luomo. Ci che peculiare per luomo gli permette di scendere al di sotto del livello delle bestie. Al tempo stesso gli permette di portare a nuovi e inediti vertici quella unit di senso e istinto, di cervello, occhio e orecchio, che trova esempio nella vita animale, impregnandola dei significati consapevoli che derivano dalla comunicazione e dallespressione intenzionale 25. Secondo Dewey lesperienza il risultato dellinterazione gi data tra organismo (soggetto) e ambiente (oggetto), e non, viceversa, la sua condicio sine qua non. Fare esperienza non significa, qui, mettere in atto, ma sottintendere, la relazione tra
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soggettiv[it] e oggettiv[it] fare esperienza significa, qui, che le risposte date dalla mia esperienza sono, comunque, reali, perch sono il risultato di una relazione di verit che gi sottintesa, non la condicio di una relazione di verit che ancora da mettere in atto. Scegliere di sperimentare la soluzione dellempirismo classico, e dellempirismo logico, versus il pragmatismo di Dewey non costringe a negare lesistenza di una relazione radicale, quasi genetica, tra lo spazio delloggettiv[it] e lo spazio della soggettiv[it]. Ma costringe a negare una conseguenza cruciale della radicalit quasi genetica della relazione tra loggetto analizzato e il soggetto analizzante, cio a negare che il primo e il secondo sono tanto integrati da essere quasi fusi in uno spazio unico, e omogeneo scegliere di sperimentare la soluzione dellempirismo non pragmatistico significa affermare che loggetto analizzato e il soggetto analizzante, anche se registrano una relazione radicale, non sono tanto integrati da determinare, in ultimo, una verit dellesperienza estetica quasi necessaria, quasi al di l dalla possibilit di errore, il quale essenziale da conservare se il progetto filosofico, che sembra essere sia dellempirismo classico, e dellempirismo logico, sia del pragmatismo di Dewey, fondare una nozione di verit non necessaria, ma che ha una possibilit di variazione. Secondo Dewey esperienza estetica significa esperienza par excellence, regolata da un meccanismo specifico. Dewey esemplifica attraverso limmagine di una pietra: si pu immaginare una pietra che faccia unesperienza rotolando gi da una collina. [] La pietra parte da qualche luogo e, a seconda di ci che permettono le condizioni, si muove verso un posto e uno stato in cui sar in quiete verso una fine. A questi fatti esterni aggiungiamo con limmaginazione lipotesi che essa pensi al futuro desiderando lesito finale; che si interessi delle cose che incontra sul suo cammino condizioni che accelerano e ritardano il suo movimento a seconda del loro nesso con la fine; che le sue azioni e i suoi sentimenti nei loro confronti dipendano dalla loro funzione di ostacolo o di aiuto che attribuisce a loro; e che alla fine il giungere a riposo stia in relazione con tutto quello che successo prima come culmine di un movimento continuo. In tal caso la pietra farebbe unesperienza, anzi unesperienza dotata di qualit estetica26. La nozione di esperienza di Dewey indica una stori[a] 27, non una serie di dati. Dewey contraddice la posizione di Locke e di Hume, che anche Reichenbach, insieme con gli altri empiristi logici, conserva: Il pensiero avanza per successioni di idee, ma le idee formano una successione solo perch sono molto pi di ci che la psicologia analitica chiama idee. Sono fasi, distinte emotivamente e praticamente, di una qualit sottostante in sviluppo; ne sono le variazioni dinamiche, non separate e indipendenti come le cosiddette idee e impressioni di Locke e di Hume, essendo invece sfumature sottili di una tinta pervasiva e in divenire 28. Dewey specifica con una perspicuit ulteriore che
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facciamo una esperienza quando il materiale esperito porta a compimento il proprio percorso. Allora e soltanto allora esso integrato e delimitato da altre esperienze entro il flusso generale dellesperienza. Un lavoro compiuto in modo soddisfacente; un problema trova la sua soluzione; un gioco portato a termine []. Unesperienza del genere un intero, e reca con s la propria qualit individualizzante e la propria autosufficienza. una esperienza. I filosofi, anche gli empiristi, hanno parlato prevalentemente di esperienza in generale. Il linguaggio parlato, invece, fa riferimento a esperienze che sono una ad una singolari, dotate ciascuna di un proprio inizio e di una propria fine. Infatti la vita non un corso o un flusso uniforme ininterrotto. fatta di storie, ciascuna con la sua propria trama, il proprio inizio e il proprio movimento verso una sua conclusione, ciascuna dotata del suo peculiare movimento ritmico; ciascuna dotata di una sua propria e unica qualit che la pervade per intero 29. Lesperienza di Dewey gi un intero, gi una stori[a] con una sua trama, che comincia da un inizio e arriva a una conclusione, a un compimento. La pietra che rotola desiderando lesito finale fa esperienza la pietra fa esperienza estetica, Dewey sottolinea. Le caratteristiche essenziali della nozione di esperienza progettata da Dewey sono due: lesperienza gi un intero, perch gi una storia, e, se un intero, allora estetica. Dewey, versus Locke, Hume e gli empiristi logici, crede che fare esperienza non significhi dire, in ultimo, macchia blu adesso, ma sto usando una matita blu adesso. Lesperienza di Dewey non un dato, ma un dato gi in relazione lesperienza di Dewey , ancora, una stori[a]. E una stori[a] ha una virt probabile e un vizio possibile. La virt probabile, e notevolissima, della nozione di esperienza di Dewey sottolineare che se c esperienza c relazione, c un soggetto capace sia di visione sia di uso di un oggetto. E loggetto, che loggetto sia visto sia usato dal soggetto, non sta a una distanza eccessiva, perch blu la matita che sto usando adesso prima ancora che la macchia. Ma la relazione tra soggetto e oggetto che la nozione di esperienza di Dewey sottolinea , ancora, quasi estrema. E il vizio possibile sta qui: se esperienza una relazione tra un soggetto e un oggetto tanto stretta da essere una stori[a], se esperienza, cio, quella di una pietra che rotola interessata alle cose che incontra sul suo cammino, pens[ando] al futuro e desiderando lesito finale, allora la verit dei dati dellesperienza quasi gi dentro lesperienza, quasi gi necessaria, perch quasi la condicio di unesperienza che gi una stori[a]. Se sono di fronte a una macchia blu adesso, che sta in relazione con il mio esercizio di visione ma che conserva, comunque, una distanza sufficiente dal mio esercizio di visione, il rapporto, che non quasi gi necessario, tra questo dato e altri dati attorno ha una probabilit pi alta di variare, cio di essere corretto
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dopo lindividuazione di un errore nei risultati della prima esperienza della macchia blu adesso. Ma se sto usando una matita blu adesso, che sta in relazione con il mio esercizio di visione e anche con il mio esercizio di uso e che non conserva, allora, una distanza sufficiente dai miei esercizi di visione e di uso, il rapporto, che quasi gi necessario, tra questi dati ha una probabilit pi bassa di variare, cio di essere corretto dopo lindividuazione di un errore nei risultati della prima esperienza delluso di una matita blu adesso. Lesperienza di un oggetto che gi un intero ha una verit che quasi gi dentro la storia, che non ha quasi, allora, possibilit di un errore autentico. Il remo oggetto dellesperienza di Dewey , ancora, reale sia se visto e usato dritto sia se visto e usato storto. Se lesperienza una stori[a] gi data, allora ha una verit gi articolata tra i suoi dati se lesperienza un intero gi dato, allora un intero gi vero, perch un intero costruito gi, non da costruire ancora. E lesperienza estetica, che secondo Dewey lesperienza al suo grado pi alto, quasi il simbolo di questa inter[ezza], che gi c perch radicale, quasi genetica: lestetico [] lo sviluppo chiarificato e intensificato di tratti che appartengono a ogni esperienza normalmente compiuta 30. La ricerca filosofica o scientifica pi elaborata e liniziativa industriale o politica pi ambiziosa, nel momento in cui i loro ingredienti differenti costituiscono unesperienza completa, hanno qualit estetica. Infatti in tal caso le loro parti diverse sono collegate tra loro e non si susseguono meramente luna allaltra. E le parti, grazie al loro legame di cui si fa esperienza, si muovono verso un perfezionamento e una conclusione, e non solamente verso una cessazione temporale 31. In particolare: Lesistenza dellarte la prova concreta di ci che si [] affermato in maniera astratta. [] Larte la prova vivente e concreta che luomo capace di restaurare consapevolmente, e dunque a livello intenzionale, lunione di senso, bisogno, istinto e azione che caratteristica della creatura vivente 32. Lesperienza estetica, se arte, quasi il simbolo, potentissimo, di quella unione tra lo spazio delloggetto e lo spazio del soggetto che significa, soprattutto, la possibilit del soggetto di conoscere loggetto. Larte, che esperienza, , allora, conoscenza, perch lesperienza significa nel suo grado pi alto, che il suo grado artistico, quella unione tra oggetto e soggetto che quasi gi vera, perch quasi gi data. La nozione di esperienza estetica di Dewey, allora, che arriva al vertice dello statuto artistico, salva uno spazio essenziale, che quello della funzione gnoseologica lato sensu che larte ha il potere di esercitare. Ma toglie anche, qui, quella divisione tra oggetto e soggetto che ci d una probabilit pi alta che quando conosciamo, cio quando proviamo a dire la verit, non diciamo una verit assoluta, vera comunque (il remo dritto e il remo , anche, storto), perch fare uso di un metodo di lavoro empirico non significa che siamo uniti agli
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oggetti attraverso unesperienza gi vera, cio vera comunque fare uso di un metodo di lavoro empirico significa che siamo uniti agli oggetti attraverso unesperienza che non ancora vera, cio non vera comunque (il remo dritto et ergo non , anche, storto). Lempirismo pragmatistico di Dewey salva due cose essenziali, da continuare a conservare: la messa in relazione di isthesis ed epistme, che fonda, anche, un metodo di lavoro empirico chiaro, quasi etico, cio attento a mette[re] di fronte ad altri il corso dettagliato dei [suoi] tentativi, delle [sue] operazioni e de[i suoi] arrivi, in conseguenza dei quali sono state trovate certe cose e il potere veritativo lato sensu dellarte. Ma la strategia attraverso la quale Dewey arriva sia alla relazione tra isthesis ed epistme sia al potere veritativo lato sensu dellarte sceglie una via, non necessaria, che ha un pericolo in s, perch quasi incastra gi la verit nellesperienza, che al suo grado pi alto arte, quasi incastra gi, cio, lo spazio del soggetto nello spazio delloggetto. E ha una possibilit pi alta, allora, di arrivare a una nozione di esperienza estetica quasi assoluta, cio quasi vera comunque.

J. Dewey, Esperienza e natura, a cura di P. Bairati, Mursia, Milano 1973, p. 33. Ivi, p. 45. 3 Ivi, p. 24. 4 Ivi, p. 45. 5 Ivi, p. 24. 6 Ivi, p. 27. 7 Ibidem. 8 Ivi, pp. 26-27. 9 Ivi, p. 27. 10 Ibidem. 11 D. Hume, Lo scettico, in Id., Opere, a cura di E. Lecaldano ed E. Mistretta, tr. it. di G. Preti, Laterza, Bari, 1971, pp. 567-89, qui p. 572. 12 Ibidem. 13 D. Davidson, Sullidea stessa di schema concettuale, in Id., Verit e interpretazione, a cura di E. Picardi, tr. it. di R. Brigati, Il Mulino, Bologna 1994, pp. 263-82, qui p. 271. 14 J. Dewey, Esperienza e natura, cit., p. 41. 15 B. Russell, Deweys new logic, in P.A. Schilpp, ed. by, The philosophy of John Dewey, Tudor Publishing Company, New York 1951, pp. 135-56. La critica di Russell severa: La posizione pragmatistica [] un prodotto di un scetticismo limitato integrato da un dogmatismo sorprendente (ivi, p. 154). 16 H. Reichenbach, Deweys theory of science, in P.A. Schilpp, ed. by, cit., pp. 15792, qui p. 169. 17 Ivi, p. 171. 18 Ivi, p. 169. 19 Ibidem. 20 Ibidem. 21 J. Dewey, Esperienza e natura, cit., p. 26. 22 H. Reichenbach, cit., p. 173. 23 Ivi, p. 172.
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Ivi, p. 178. J. Dewey, Arte come esperienza, a cura di G. Matteucci, Aesthetica, Palermo 2007, p. 49. 26 Ivi, pp. 64-65. 27 Ivi, p. 61. 28 Ivi, p. 63. 29 Ivi, p. 61. 30 Ivi, p. 70. 31 Ivi, p. 78. 32 Ivi, p. 51.
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Art as Experience e larte contemporanea


di Marco Senaldi

A lungo trascurato, Art as Experience va senzaltro ricollocato nella giusta prospettiva insieme storica e teorica. Qui proveremo a ricostruire una vicenda quella della ricezione e delle appropriazioni dellestetica di Dewey da parte di alcune correnti artistiche americane (e conseguentemente di grande importanza per i destini dellarte contemporanea in genere) e al contempo tenteremo di verificare lipotesi se questo testo abbia ancora qualcosa da offrire alle attuali teorie estetiche. 1. Bauhaus, Albers, Dewey Per cominciare, facciamo un passo indietro al Bauhaus (la celebre scuola darte fondata nel 1919 da Gropius a Weimar; trasferita poi a Dessau dal 26, infine a Berlino dal 32 al 33, anno della chiusura) 1. Il grande artista Josef Albers (1888-1976), che aveva studiato al Bauhaus di Weimar fin dal 1920, era entrato a far parte stabilmente del corpo accademico (insieme alla moglie Anni) nel 1925, e vi aveva applicato innovative teorie pedagogiche 2. Albers era convinto che si imparasse come risultato di una diretta interazione con la vita, e richiedeva che i suoi studenti avessero familiarit con la natura fisica del mondo materiale. Ci era dovuto in parte allinfluenza di Dewey, che aveva difeso uneducazione basata sullattivit di laboratorio e aveva coniato lo slogan learning by doing. Per Dewey, le condizioni della vita quotidiana determinavano la natura dellesperienza e cos, larte (lesperienza estetica) significava essere attivamente impegnati. Come per Dewey, la pedagogia di Albers poggiava su esercizi concreti e pratici: secondo le sue stesse parole significava learning through conscious practice 3. Ma ci che spinge a considerare pi da vicino la figura di Albers il fatto che un anno dopo la pubblicazione di Art as Experience (1934), egli redige il suo primo articolo in lingua inglese sulla rivista Progressive education che porta esattamente lo stesso titolo: Art as Experience. Il motivo che spinge Albers a scrivere larticolo la sua partecipazione al famoso Black Mountain College, ad Asheville, nel North Carolina, dove si era trasferito nel 1933. Nel suo articolo Albers combina la fraseologia di Dewey con lideologia Bauhaus, cercando di dimostrare come larte non pu essere pi
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rimossa dalla vita quotidiana. Larte non un fenomeno che pu essere considerato con distacco storico. un fatto che non pu, nei suoi fini e nella sua esecuzione, essere rimosso dalla vita (Buettner 1981, p. 129). Idea che ricorda lattacco di Dewey contro la segregazione dellarte nei musei: I nostri musei e le nostre gallerie darte doggi, in cui sono relegate e depositate opere darte bella, rendono evidenti alcune cause che hanno fatto s che larte venisse segregata (Dewey 1934, p. 35). Inoltre, sulla scorta della pedagogia deweyana, Albers sottolinea come esperienza estetica e insegnamento (come esperienza pratica) sono due lati inscindibili della crescita individuale (cfr. Kelly, 2000): Le regole sono il risultato dellesperienza e vengono dopo, e scoprire le regole pi vitale che non applicarle (Albers, 1935, p. 391). In una intervista pi tarda Albers affermer: lesempio, linfluenza indiretta e implicita, sono il pi forte strumento di educazione (Albers 1969, cit. in Adler 2004). Stewart Buettner, che ha analizzato dettagliatamente linflusso delle idee estetiche di Dewey sullarte americana del secondo dopoguerra tramite le figure degli artisti europei emigrati negli USA, sottolinea come il legame educazione-arte fosse per Albers il modo per connettere esperienza estetica e vita vissuta. In quanto disciplina educativa, listruzione artistica deve smettere di essere considerata una attivit di aula, dedicata a scopi che sarebbero per natura meramente decorativi. In istituti darte come il Bauhaus e il Black Mountain College larte doveva rappresentare un ruolo di primo piano nelle vite degli studenti. Real art scrive Albers is essential to life (Buettner 1981, p. 129). Albers era stato invitato al Black Mountain College da Philip Johnson, allepoca alle dipendenze del Moma di New York, e gi suo allievo al Bauhaus. Albers allena gli studenti a tradurre in immagini le relazioni formali e cromatiche astratte. Li orienta anche verso materiali eterodossi come foglie, legno, scarti, indicandone combinazioni incongrue. Inoltre la didattica prevede laboratori di fotografia, lavorazione del legno, metallo, stampa scultura, disegni di abiti e tessitura laboratorio questo diretto dalla mogli, Anni laboratori finalizzati alle necessit del college (costruzione di mobilio, suppellettili e anche di edifici) (Zevi 2000, p. 89 ss.). La vicinanza del suo metodo a Dewey stringente: il materiale con cui viene composta unopera darte appartiene al mondo comune [...] e tuttavia il s assimila quel materiale in modo peculiare cos da farlo riemergere [...] in una forma che costituisce un nuovo oggetto (Dewey 1934, p. 122); una delle funzioni dellarte proprio di indebolire la soggezione moralistica che spinge la mente a rifuggire da certi materiali [...] fino a comprendere (potenzialmente) ogni e qualsiasi cosa (ivi, pp. 193-94).
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Tuttavia quella di Albers una interpretazione di Dewey. Albers cio, a differenza di Dewey, che parla sovente di indivisibilit dellatto artistico (p. 215), di polisensorialit e di sinestesia corporea (p. 133), si ferma sul vedere, tende a non tradurre lesperienza visiva in esperienza totale: Quando ai laureati a Yale si chiedeva in che cosa avessero ottenuto beneficio dai loro studi con Josef Albers, invariabilmente rispondevano Albers mi ha insegnato a vedere (taught me to see) (Kelly 2000, p. 133). Inoltre, Albers resta convinto che il caso non possa entrare a far parte dellesperienza estetica (e le testimonianze degli anni di Yale sono chiare in tal senso, cfr Kelly 2000). Lenfasi di Albers sullarticolazione, il controllo, la disciplina mentale, e la precisione di esecuzione, lo conducevano ad avere una scarsa tolleranza verso gli elementi del caso e dellautomatismo che erano cruciali per pittori come Pollock (Buettner 1981, p. 131). Non che Dewey teorizzi unapologia del caso come tale, ma rimarca spesso come la forma dellopera necessiti dello scompiglio del nuovo, e di come la bellezza nasca dalla cooperazione tra il cambiamento che eccita e il compimento che calma (Dewey 1934, pp. 166-67). 2. Il Black Mountain College, laboratorio deweyano Fondato nel 1933 da transfughi del Rollins College della Florida (a causa di divergenze sul genere di educazione da impartire ai giovani studenti), il Black Mountain College si era qualificato da subito come un progetto educativo allavanguardia, dove vengono arruolati come insegnanti numerosi artisti europei. Il College nasce nellepoca entusiasta del New Deal come scuola modello di ispirazione Bauhaus; tuttavia la sua originalit irripetibile consiste nel fatto che un tentativo generoso di dar vita e realt al modello educativo delineato da Dewey in Democracy and Education (1916). Per esempio, la gestione e lamministrazione erano a carico del corpo docente; ogni questione era discussa nelle assemblee studentesche; vigeva la parit tra insegnanti e studenti, ecc. Nelle parole di John Rice, rettore del College dal 33 al 40 e fervente ammiratore di Dewey, leducazione ivi impartita era di questo tenore: Al Black Mountain College leducazione era totalizzante. Tre pasti collettivi, il tempo trascorso negli spazi comuni, gli incontri nelle classi e ovunque, listruzione impartita per strada. Era il soddisfacimento di una vecchia idea, leducazione delluomo nella sua complessit (cit. in Zevi 2000, p. 89) Leducazione delluomo nella sua complessit, lidea che leducazione non sia un training che conduce a uno scopo predeterminato, ma un continuum aperto e armonioso, nel quale processo e fine delleducazione sono una sola e medesima cosa (Dewey 1916) sono temi che tornano puntualmente nei programmi del College: Noi stiamo
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tentando, con crescente (ancorch, pi o meno, altalenante) successo di insegnare un metodo pi che un contenuto. Il nostro sforzo sul processo pi che sul risultato (Our emphasis is on process as against results) (Rice, 1938, cit. in Adler 2004). Nel 1940, inoltre, vengono introdotti campi di lavoro estivi, articolati in programmi accademici informali, condotti da ospiti di rilievo, tra cui, accanto a Gropius e Einstein, spicca, nel 1949, lo stesso Dewey (cfr. Harris 1987). Le estati dal 1945 al 49 sono ricche di novit; soprattutto vi soggiornano artisti destinati a diventare famosissimi come Motherwell, Noland e Rauschenberg e si nota lemergere dei giovani americani. In particolare nellestate del 48 soggiorna il duo John Cage Merce Cunningham, che suscita entusiasmo con le sue azioni teatrali. Ma anche i poeti W. Carlos Williams e Wallace Stevens teorizzano e praticano lidea di una poesia aperta, e della composizione come campo (invece che come opera). Accanto alle arti visive (insegnate, secondo lo spirito Bauhaus, insieme a quelle applicate) emerge limportanza del teatro. Xanti Schwainsky, tra il 33 e il 39, insegna al College una forma di teatro totale (che trae ispirazione dal suo maestro Schlemmer, pietra miliare dello spirito Bauhaus; si tratta di azioni secondo taluni ante litteram, che relegano in secondo piano la trama a vantaggio di spazio, forma, luce, tempo, e aprono la strada allhappening di John Cage. Proprio Cage, con la collaborazione di Merce Cunningham, mette in scena nel 48 The rise of Medusa, che va considerato il primo tentativo di creare un evento, anche se la pice, tratta da un poema lirico di Satie, ancora di impianto teatrale. Cage dir che in esso vi era something which engages both the eye and the ear (cit. in Buettner 1981, p. 114), unaffermazione che va letta in senso deweyano e in contrasto con il predominio affidato al seeing predicato da Albers; e anche che in esso vi era lidea di rappresentare la vita quotidiana stessa come un teatro (Cage 1965, in Buettner, ivi), altra affermazione capitale che tende verso lavvicinamento dellesperienza quotidiana allesperienza artistica. 3. Espressionismo Astratto e Dewey Vi inoltre una seconda importante direzione di influenza del pensiero estetico di Dewey che conduce alla nascita del cosiddetto Espressionismo Astratto (Jackson Pollock, Marc Rotko, Clifford Still, Roberth Motherwell, Arshile Gorky). In questo senso, la figura chiave quella di Thomas H. Benton, lunico maestro riconosciuto di Pollock negli anni tra il 1931 e il 1937. Pittore figurativo, affascinato dal muralismo messicano di Rivera e Siqueros, al punto di realizzare egli stesso dei murales, T. H. Benton era un convinto deweyano perch interessato alletnico (le forme di rappresentazione non occidentali), allo spazio (il murale come forma di pittura espansa), e allidea di comunit locale (con riferimento alla comunit organica di Dewey). Anche lui, in un
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articolo per Modern Monthly, si esprime nei termini di Art as Experi ence quando afferma che Una definizione di arte significativa deve essere compresa in base alla definizione del genere di esperienza che pu generarla (Benton, 1934; cit. in Buettner 1981, p. 62). Pollock lo segue: abbandona prima le misure ristrette del quadro per opere di grandi dimensioni (come Mural, del 43), poi il pennello e infine il contatto diretto (volontario) tra mano e tela, e nel 1947 inventa la celeberrima tecnica del dripping. Pi tardi, nel 1950, Hans Namuth fotografa e riprende Pollock al lavoro foto che lo consacrano quale primo maestro americano, ma che soprattutto evidenziano limportanza del processo antecedente il quadro come tale, e di cui questultimo non che la morta spoglia 4. Pollock non solo il primo artista interamente (cio culturalmente) americano, anche il primo artista in cui opera darte come prodotto inscindibile dal processo e dallesperienza da cui lopera stessa sorta. Secondo la definizione di Dewey, una esperienza (in quanto opposta alla normale esperienza) era vista come un incontro totale con i fenomeni esterni che seguiva un corso completo dallinizio alla fine ed era completamente integrata nella coscienza come unentit distinta da altre esperienze. Dato che unesperienza era continua e potente, non ammetteva buchi, giunzioni meccaniche e centri morti (Dewey 1934, p. 62). Allo stesso modo, Pollock parla della sua esperienza estetica: Quando sono nel mio quadro, non sono consapevole di cosa sto facendo. [] Non ho timore di fare cambiamenti, di distruggere limmagine, ecc., perch il quadro ha una sua vita propria. Tento di lasciarla venir fuori. solo quando perdo contatto col quadro che il risultato un disastro (cit. in Buettner 1981, p. 59). Questa definizione del momento creativo come una coinvolgente esperienza di unit, con un inizio e una fine discreti, si avvicina alla descrizione di Dewey, esprimendo gli stessi concetti in forma non-immediata. 4. Verso il 1952 Nei primi anni 50 le varie influenze del pensiero di Dewey tendono a sovrapporsi. Da un lato, in un articolo per Art News del 1952, H. Rosenberg definisce la nuova arte Action Painting definizione che sposta laccento dal formalismo di Greenberg (inventore della definizione di Espressionismo Astratto), verso unidea molto pi dinamica e processuale dellevento artistico 5. In questo periodo molti artisti pi o meno legati allAction Painting, da Rothko a Motherwell, a Paalen, prendono come riferimento le teorie estetiche di Dewey (cfr. Berube 1988). Dallaltro lato abbiamo la realizzazione dellevento puro, senza pi nemmeno la mediazione del quadro come opera-risultato cio il primo happening, il famoso Untitled event di Cage, Cunningham, Rauschenberg e altri, proprio del 1952.
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John Cage (1912-1992), gi invitato come docente al Black Mountain College nel 1948, nel 1952 organizza un evento considerato il precedente degli happening e dei concerti Fluxus e di tutta larte contemporanea performativa e ambientale/installativa: Untitled Event (chiamato anche Theatre Piece n. 1) che includeva una performance simultanea di pianoforte, di danza improvvisata, declamazioni poetiche e una conferenza. Levento non accadeva su un palco ma in una stanza, in mezzo agli spettatori, mentre Tim La Farge e Nick Cernovich proiettavano sulle pareti film e diapositive. LUntitled Event fu interpretato non come una performance musicale, ma come esempio di nuovo teatro. Nella stanza erano inoltre appesi i Quadri bianchi di Robert Rauschenberg. M. Kirby in Happening (1968) ne rintraccia la matrice dadaista (con riferimento al Teatro Merz di Schwitters; ma rispetto a Cage linfluenza pi diretta era piuttosto Marcel Duchamp) descrivendolo cos: I sedili per il pubblico, tutti volti verso il centro, erano stati sistemati nel mezzo del refettorio del collegio in modo da lasciare un passaggio tra la platea e le pareti. Calcolate al secondo come in una composizione musicale, le varie azioni si svolgevano tra e intorno agli spettatori. Cage, con abito e cravatta neri, lesse una conferenza su Meister Eckhart da un leggio collocato in un lato della camera [...] Mary Caroline Richard (che aveva tradotto per lAmerica Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud) declam solennemente dei versi da una scala a pioli. Charles Olson e altri attori nascosti tra il pubblico si alzarono a turno in piedi e recitarono poche battute. David Tudor suon il piano. Sul soffitto vennero proiettate immagini cinematografiche: allinizio si vide il cuoco della scuola, poi il sole che tramont quando limmagine si mosse dal soffitto al muro. Mentre Robert Rauschenberg metteva vecchi dischi su un fonografo portatile, Merce Cunningham improvvis una danza intorno al pubblico. Un cane prese a seguirlo e fu accettato nella rappresentazione (cit. in Balzola-Monteverdi 2004, pp. 457-58). La componente teatrale era molto forte, ma le differenze rispetto a una tradizionale rappresentazione teatrale erano evidenti: non esisteva una differenza netta tra palco e platea, il pubblico poteva prendere parte allazione, non era prevista una regia degli eventi e le varie azioni artistiche, oltre ad avere luogo simultaneamente, mescolavano, come si visto, arti diverse, dalla pittura, alla musica, alla danza. Limportanza di questo primo happening per una nuova concezione delle arti risiede quindi in diversi fattori. Innanzitutto, di nuovo esso sembra tentare lantica utopia wagneriana della Gesamtkunstwerk, cio di unopera darte in grado di unire in un tutto sinestetico musica, parola, rappresentazione e immagini. Daltra parte, per, invece di condurre ad uno spettacolo unitario, delimitato da una forma chiusa e del quale si pu essere solo spettatori passivi, il primo happening include elementi accidentali (vedi lesempio del cane) e tende a coinvolgere gli spettatori nellazione. In questo modo i limiti formali sono
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resi estremamente labili, sia perch lunica regola dellazione erano i segnali di inizio e di fine, e inoltre perch ogni volta che, anche in seguito, un happening verr realizzato, esso costituir un evento unico e irripetibile, diversamente da quanto accade nella rappresentazione teatrale classica (che comunque resta legata a limiti formali definiti a priori, quali un testo, una regia, una messa in scena, ecc.). Linfluenza di questa inedita forma espressiva sulla musica, le arti e il teatro stata enorme perch ha cambiato la forma dellopera, il ruolo dellartista e quello dello spettatore. Lessenza dellopera non pi legata necessariamente ad artefatti materiali, ma pu essere costituita anche da gesti, eventi, azioni; non pi solo un prodotto, ma anche un processo. La volont artistica dellautore messa radicalmente in crisi, sia dal fatto che gli autori sono pi di uno, sia dal fatto che elementi casuali e accidentali devono essere considerati non come errori da eliminare, ma come parti integranti del lavoro. Infine, il pubblico stesso diventa co-autore quindi, secondo lintuizione che fu gi di Duchamp, lopera darte stessa non potrebbe nemmeno esistere senza la presenza e la partecipazione attiva del pubblico. Da ultimo, ogni volta che un happening, cio un evento-accadimento, viene riprodotto esso ha luogo nella concreta attualit del momento in cui accade. Il pi famoso prosecutore degli happening, cio Allan Kaprow, riconoscer, alla fine degli anni 50, proprio in Pollock e Cage i suoi due maestri. Lo stesso artista in una intervista racconta di essere stato colpito particolarmente dal pragmatismo contestualista di John Dewey che sottolineava la fluidit del significato, rapportandolo al contesto in cui una azione viene compiuta e dal suo Arte come esperienza, che legava strettamente larte alle altre esperienze umane, e in definitiva alla vita quotidiana. 5. Dewey e larte contemporanea Ora, secondo Dewey non esistono oggetti darte, in quanto tali, staccati dallesperienza che ne fa luomo; se noi li vediamo cos a causa delle istituzioni museali, che a loro volta riflettono condizioni sociali ed economiche di antagonismo e separazione. Ne segue cos che oggi le opere darte siano esperite come un alcunch di separato dalla vita comune, oggetti di collezionismo o direttamente prodotti nati per il mercato oggetti feticizzati (Shusterman 1997, p. 33). Occorre riscoprire la continuit fra lesperienza estetica e il normale processo di vita; occorre ritornare a focalizzarsi sul processo pi che sul prodotto e sul godimento (enjoyment) della sua percezione. Occorre insomma che larte ritorni alla sua radice estetica in senso proprio che quella esperienziale: ossia che larte ritorni ad essere esperienza nel senso pieno del termine, in quanto azione determinata dalle condizioni di vita che il soggetto sperimenta interagendo collambiente. sintomatico che Dewey citi fra le esperienze del vivente fatti come il respirare, il
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deambulare, il prendere interesse alla cura del giardino: esperienze che senzaltro qualifica come estetiche, ponendo in tal modo per la prima volta il problema della continuit dellesperienza estetica con i processi normali di vita (Dewey 1934, p. 37). Larte considerata separata dalla vita solo perch la vita separata da se stessa, divisa in compartimenti dove larte dovrebbe trovare il suo posto. Ma cos anche lesperienza viene abbassata al rango di mera sensazione, perde il suo significato profondo, che invece quello di essere vera interazione del vivente con lambiente. Non ci sono buchi, giunzioni meccaniche o centri morti quando abbiamo unesperienza; questultima una unit, dotata di una singola qualit che la pervade tutta, a dispetto delle variazioni delle sue parti; un evento integrale. Da un punto di vista teoretico, lhappening costituirebbe esattamente quella forma darte in grado di restituire la continuit tra arte e esperienza quotidiana cosa che per implica un profondo rovesciamento dialettico nella nozione stessa di arte. Nellottica dellarte come esperienza di Dewey, molti esempi di forme darte istituzionali non andrebbero qualificate come estetiche, qualora le loro condizioni di esperienza non fossero soddisfatte [fulfillment]. Allo stesso modo, molte esperienze in precedenza considerate in- o an-estetiche diventano il materiale di base per il sorgere di esperienze artistiche. Mentre Dewey rifiutava di fare distinzioni fra lesperienza e ci che costituisce loggetto darte, il prodotto dellespressione artistica diventa una forma di esperienza [...] Loggetto darte stesso era unesperienza, sia per lartista (nel crearlo) che per lo spettatore (nel percepirlo) (Buettner, 1981, p. 59). Questo rovesciamento tuttavia, coincide lagamente con i destini di auto-negazione che pervadono il divenire dellarte almeno a partire da Hegel. La ricusazione da parte della filosofia analitica (Beardsley, Dickie, Goodman, in parte Danto) dellestetica deweyana, in quanto filosoficamente inutile per definire la nozione di arte (Shusterman 1997, p. 34 ss.) perci essa stessa filosoficamente poco significativa, in quanto fondata su unidea di determinatio della categoria arte che viene facilmente smentita dalla capacit di (auto)negazione propria dellarte (contemporanea) stessa. Viceversa, la vitalit delle tesi di Dewey suffragata dal fatto di costituire una sorta di regesto di tutte quelle tendenze artistiche che, dal dopoguerra in avanti, hanno fatto dellequazione arte=vita il loro credo fondamentale. Quando Dewey insiste sulla necessit di esperire non solo loggetto ma il processo di produzione, quando dice che anche se si tratta di unopera visiva, la vista non il solo senso impiegato per produrla o per fruirla (p. 123), non possiamo non pensare alle forme darte contemporanea extra-pittorica. Similmente, quando dice che lartista incarna in se stesso latteggiamento del percipiente (p. 72), non pu non ricordare Duchamp. Quando invita a soffermarsi sulla struttura dinamica della creazione
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che deve comprendere dei vuoti e dei silenzi (una pausa in musica non un vuoto, ma un silenzio ritmico, a pause in music is not a blank, but is a rythmic silence, p. 178), non pu non far pensare a 433, il pezzo di Cage sempre del 1952, in cui la sola indicazione per lorchestra tacet 6. E ancora, quando parla dello spazio come di una scena e del tempo non come una dimensione uniforme, ma come un flusso di impulsi ritmici per esempio come quando un lampo illumina la campagna e abbiamo una momentanea riconoscimento delle cose (p. 50), o quando parla di environment, o di embodiment le sue parole sembrano anticipare luso di spazio e tempo proprio dellhappening (e forse non un caso che negli happening di Kaprow della fine degli anni 50 venissero usati flash e luci intermittenti), ma anche della natura nella land art o del corpo nella body art (cfr. Jay 2002). Si potrebbe anche parafrasare la famosa frase di Migliorini che sosteneva la teoreticit dellarte contemporanea dicendo che Hegel lo diceva, Duchamp lo faceva ripetendo che Dewey lo diceva, Cage lo faceva (intendendo lo slogan pi in difesa di Dewey che di Cage) 7. 6. Conclusioni problematiche Fino a qui sembrerebbe dunque di essere di fronte ad un autorevole anticipazione filosofica di temi ripresi dallarte contemporanea pi avanzata (ed elitaria), se non che questo stesso fatto getta un luce assai particolare proprio sullassunto filosofico in questione, cio sullidentit fra arte e esperienza. Per Dewey infatti, il rinnovamento dellesperienza naturale preculturale non fine a se stesso, ma il mezzo per recuperare lesperienza culturale della vita significativa di una comunit organica (quella in cui, ad esempio, aveva luogo la fruizione del Partenone da parte dei Greci antichi, o lo svolgimento delle cerimonie rituali da parte dei popoli primitivi): le opere darte che non sono separate dalla vita comune, che sono ampiamente fruite da una comunit, sono segni di una vita collettiva unitaria (p. 81 ed. or.). Tuttavia, il ritorno allindietro, verso le sorgenti dellesperienza vivente, produce unarte che crea un clamoroso distacco dalla vita della comunit organica. Il fatto che tutte le opere darte che abbiamo citato abbiano incontrato una forte resistenza del pubblico lascia capire chiaramente che il ritorno allesperienza che esse promuovevano era percepito come traumatico un po come era gi accaduto oltre mezzo secolo prima con limpressionismo, quando i vetturini di Parigi digrignavano i denti e stringevano i pugni a causa dellodio verso quella pittura (Kahnweiler 1961, p. 34) senza dubbio perch quelle opere esprimevano unesperienza che risultava estranea se non proprio minacciosa. Il lascito dellestetica deweyana si rivela pertanto pi ambiguo di quanto non possa apparire di primo acchito. In tempi recenti il dibatti57

to stato riacceso dai sostenitori del ritorno a unestetica pragmatista, ben consapevoli che la rottura del legame fra esperienza comunitaria e produzione artistica contemporanea rappresenta una minaccia verso una compiuta crescita sociale in senso democratico. Questa tesi, sostenuta in particolare da Shusterman in diversi saggi, stata a sua volta criticata da Martin Jay che, in un importante articolo (Jay 2002), ha notato che Art as Experience pu essere considerato il fondamento teorico persino della body art pi shockante, e che pure questo shock/stoss ha esso stesso un valore di salutare scossa nei confronti del rischio di un conformismo estetico di ritorno. Tuttavia, entrambe queste posizioni quella per cui larte attuale brancola a tentoni e senza scopo, tagliata fuori dalle correnti del gusto popolare di una cultura democratica e quindi occorre tornare allesperienza estetica nel senso di Dewey (Shusterman), e quella per cui l(esperienza dell) arte contemporanea va invece salvata, a rischio per della disintegrazione sociale (Jay) sembrano non tenere conto della contraddittoriet gi avvertibile in Dewey stesso quando, identificando lesperienza autentica con lesperienza estetica, non pu evitare di sostenere che il solo momento residuo di autentica esperienza lesperienza stessa dellarte. Infatti, per una ironica inversione dialettica, proprio lunica esperienza possibile, quella dellarte, , oggi, anche il sinonimo della separazione dallesperienza autentica della comunit significante (simbolica). Dewey per primo riconosce che lantica comunit simbolica perduta; ed anche a lui del tutto evidente che il neo-gotico ottocentesco ha poco a che spartire col simbolismo medievale, o che Thorwaldsen non un Fidia (Dewey 1934, p. 152). Ma il rimedio proposto peggiore del male, anzi, coincide con esso: da un lato non pi possibile imitare i simboli della vita culturale ormai perduta, dallaltro lequazione arte=vita distrugge ogni possibile restaurazione della vita naturale, dal momento che lesperienza della natura esattamente ci che andato perduto nellesperienza delluomo moderno, delluomo innaturale. Cos, i concetti separati di arte ed esperienza, riavvicinati luno allaltro, non possono fare a meno di manifestare tutta la contraddittoriet che ciascuno possiede non in relazione al suo opposto, ma dentro s medesimo fatto per cui larte, per essere se stessa, deve essere anche il contrario di se stessa (esperienza, vita, ecc.), mentre lesperienza, per essere esperienza, deve anche negare la propria immediatezza (deve essere estetica, ecc.) (Senaldi 2003, parte ii, cap. 1). Il lascito di Dewey non si chiude dunque nellovvio richiamo ad una naturalizzazione del fatto artistico, ma in un ambiguo dilemma: tramite la quotidianizzazione dellestetica, pare aprire la porta ad unestetizzazione della vita quotidiana di carattere per infinitamente (in senso hegeliano) diverso dalla (immaginaria) vita della comunit organica.
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1 Sul Bauhaus cfr. il classico Il Bauhaus, di H. M. Wingler, 1962; ed. it. Feltrinelli 1972. 2 Cfr. Adler, 2004. Albers a Dessau dirigeva limportante corso preliminare, pedagogicamente fondativo. 3 J. Albers, Art as Experience, 1935. Rainer K. Wick nel suo Teaching at the Bauhaus, 2000, ha notato che The School and Society e Democracy and Education di Dewey furono pubblicati in traduzione tedesca nei primi due decenni del xx secolo e che le idee di Dewey erano ben note al Bauhaus. 4 Sul rapporto Namuh-Pollock, cfr. Krauss 1990, cap. 5. 5 Pi tardi lo stesso Rosenberg, 1959, dir che con lAction Painting il quadro diventa unarena di eventi dove la distinzione fra arte e vita tende a scomparire (cfr. Krauss 1990, p. 88). 6 Lesempio di 433 stato ampiamente discusso sia contra Dewey che in suo favore; cfr. per un utile riassunto la voce Deweys Aesthetics della Stanford Enciclopedia of Philosophy disponibile on line. 7 Inoltre, legittimo considerare la processualit dellhappening e dellAction Panting come radice delle forme darte successive, come la process art e la performance, e persino la body art contemporanea, come dimostrano le analisi di Krauss (2004) e Jay (2002).

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ancora possibile unesperienza estetica?


di Stefano Velotti

allesperienza estetica [...] che deve rifarsi il filosofo per comprendere che cos lesperienza 1. Limportanza di questa affermazione di Dewey pu essere misurata se si tiene presente che esperienza probabilmente la parola chiave della sua intera riflessione filosofica, pedagogica e politica. In Il mio credo pedagogico (1897), che anticipa molte tesi poi sviluppate nellimportante Democrazia ed educazione (1916), si dice per esempio che uno dei punti qualificanti del programma di educazione attiva che leducazione deve essere concepita come una ricostruzione continua dellesperienza; che il processo e il fine delleducazione sono una sola e identica cosa 2. Lidea stessa di trasmissione della conoscenza con cui si intende solitamente il compito dellistruzione e il processo cumulativo del sapere unidea confusa e forse persino contraddittoria, a meno che non venga intesa, appunto, come un processo che passa attraverso una ricostruzione dellesperienza: non possibile trasmettere un pensiero, unidea, come idea, da una persona allaltra. Quando viene detta, per la persona alla quale viene detta non unidea ma un altro fatto preciso: si impara dunque solo facendo esperienza, attraverso la sperimentazione diretta di forme di vita che vale la pena vivere per loro stesse e non come preparazione a un vivere futuro 3. Unesperienza, infatti, per essere tale, non pu essere usata solo come un mezzo per uneventuale esperienza futura, ma deve essere unesperienza essa stessa dotata di valore, secondo quella inseparabilit di mezzi e fini che un altro tratto caratteristico del pensiero di Dewey. Ancora: tutto il pensiero ricerca, ed ogni ricerca nativa, originaria, per colui che la effettua, anche se il resto del mondo gi sicuro di quello che egli sta ancora cercando 4. Non solo, dunque, lesperienza non si trasmette se non mediante unaltra esperienza, ma persino la conoscenza in senso stretto non si trasmette se non mediante una ricostruzione nativa di esperienze. Il danno prodotto dallillusione che la conoscenza si possa trasmettere senza esperienza non solo individuale: in uno scritto del 1937 sulla democrazia nellamministrazione scolastica, Dewey si interroga anche sulle cause dellinsorgere dei totalitarismi europei: Sono complesse le cause della distruzione della democrazia politica nei paesi nei quali essa era stata istituita nominalmente. Ma credo che di una cosa si
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possa essere sicuri. Dovunque caduta, essa aveva un carattere troppo esclusivamente politico. Non era diventata ossa e sangue del popolo nella sua vita quotidiana 5, non era diventata, cio, esperienza. facile capire, dunque, quanta importanza assuma per Dewey la comprensione dellesperienza estetica, se questa fornisce il modello di ogni esperienza possibile e, dunque, di ogni acquisizione e trasmissione di conoscenza, di abiti, di coscienza e responsabilit etiche e politiche. Eppure, lidea di esperienza estetica diventata sempre pi sospetta e incerta: non tanto perch vale ancora, nel senso comune, la vecchia riduzione dellesperienza estetica a esperienze di tipo estetistico, museale, o elitario, quanto perch essa, rimandando a processi di integrazione, di armonia, di equilibrio, sembra per ci stesso di rimandare a qualcosa di lontano dalla condizione che da circa un secolo a oggi riconosciamo, per lo pi, come nostra. A partire dalla prima industrializzazione, attraverso le diverse fasi o rivoluzioni industriali e tecnologiche che conducono fino a noi, le nostre forme di vita sono state descritte plausibilmente in termini di scissione tra cultura oggettiva (quella incorporata nei prodotti delluomo) e cultura soggettiva (quella di ciascun individuo), dove questultima non riesce pi ad adeguarsi alla prima e a trasformarla in esperienza (G. Simmel); di distruzione o atrofia dellesperienza (W. Benjamin); di discrepanza tra la nostra capacit di produrre e la nostra capacit di immaginare, sentire e comprendere ci che abbiamo prodotto (G. Anders); di divaricazione tra uno spazio dellesperienza, sempre pi contratto, e un orizzonte dattesa, sempre pi dilatato (R. Koselleck). A livello artistico poi ed nellarte, si presume, che lesperienza estetica dovrebbe trovare la sua occasione esemplare sembra che tutto il Novecento, e ancor di pi il nuovo secolo, contraddica lidea di unesperienza unitaria e conclusa, quando non si oppone, addirittura, allidea stessa di una qualit estetica della produzione artistica; per non dire poi delle filosofie che hanno visto nellarte del nostro secolo la rivelazione dellinsignificanza dellesperienza estetica per una comprensione delle opere darte in generale (A. Danto e, per altri versi, G. Dickie, e i loro rispettivi seguaci). Eppure, secondo Dewey, proprio nellesperienza estetica che verrebbero resi manifesti per loro stessi i fattori che fan s che qualcosa possa essere chiamata una esperienza, essendo, tali fattori, soltanto in essa innalzati molto al di sopra della soglia percettiva (AE, 79). Quali sono, dunque, i fattori che Dewey ritiene necessari affinch si dia unesperienza estetica? Lesperienza, infatti, per un certo verso accade continuamente, poich linterazione tra la creatura vivente e le condizioni ambientali implicata nello stesso processo del vivere (AE, 61). Ma questa sorta di esperienza, non ulteriormente qualificata, non necessariamente una esperienza. Linterazione tra lessere vivente e lambiente anche quando caratterizzata da unintenzione consape62

vole pu restare appena abbozzata, dispersa e frammentata, priva di un accordo tra pensiero e osservazione, desiderio e oggetto. La sua fine una semplice cessazione, non il compimento o perfezionamento di un percorso. Questi abbozzi di esperienze sono dunque diversi da unesperienza che un intero e che reca con s la propria qualit individualizzante e la propria autosufficienza (AE, 61). Ci vale per ogni tipo di esperienza, che sia unesperienza del pensiero o dellazione: qualsiasi esperienza, per avere una sua unit, dovr possedere una qualit estetica. Lestetico, dunque, non contrapposto n alla sfera pratica n a quella intellettuale, ma semplicemente allanestetico: Cediamo alla pressione esterna, oppure ci sottraiamo ad essa e cerchiamo compromessi [...] Una cosa sostituisce laltra senza per assorbirla o portarla avanti. C esperienza, ma talmente fiacca e divagante da non essere una esperienza. Inutile dire che tali esperienze sono anestetiche. (AE, 65) Le esperienze anestetiche sembrano caratterizzate da un far fronte pi o meno adattivamente a stimoli diversi, senza che essi vengano elaborati in alcuna maniera e integrati tra loro. Questo primo insieme di tratti caratterizzanti si sintetizza nel fattore che sembra davvero necessario al darsi di unesperienza (Ci sono condizioni che vanno soddisfatte senza le quali non pu istituirsi unesperienza): linterazione tra attivit e passivit, tra agire e subire, tra produrre e fruire. Affinch si dia una esperienza, non sono i tratti materiali delloggetto, dellopera, del prodotto che si esperisce a dover mostrare, secondo certi canoni, un equilibrio o unarmonia, ma proprio questa stessa interazione a dover trovare una misura armoniosa. Se, infatti, uno dei due aspetti prevale sullaltro, se si d un eccesso sul versante dellagire o su quello del patire, lesperienza risulter parziale o distorta (AE, 69). Unesperienza, naturalmente, sempre, in una certa misura, parziale: non si d mai unesperienza di cui si riesca a cogliere la totalit delle relazioni tra agire e patire che la costituiscono: Nessuno giunge a una maturit tale da percepire tutte le connessioni che sono implicate. La profondit e lampiezza dellesperienza dipendono dunque dal livello di maturit (e dunque di esperienza) raggiunto dalla persona che esperisce. Lesperienza non esauribile, non un oggetto, e dunque non pu essere interamente dominata e controllata: il suo contenuto significativo (AE, 69) dipende invece dalla capacit del soggetto che esperisce di cogliere, per quanto possibile, le relazioni tra azione e passione che la costituiscono. Ogni interferenza nella percezione di queste relazioni limita lesperienza, al punto che, come si accennato, leccesso di uno solo dei due poli lattivo o il passivo la snatura e la rende infine impossibile. Vediamo brevemente queste opposte patologie: leccesso sul versante dellazione (lo zelo nel fare, la brama nellagire) impedisce il com63

piersi di unesperienza. Soprattutto nellambiente umano frettoloso e impaziente in cui viviamo tale eccesso si traduce in una successione di abbozzi di esperienza eterogenei, dove lo scopo, spesso neppure avvertito, quello della massimizzazione dellefficienza, di poter fare il maggior numero di cose nel tempo pi breve. Decisivo, in questo sbilanciamento, il contrarsi del tempo, unimpazienza che implica, letteralmente, una prevaricazione di ogni resistenza: quella del medium in cui qualcosa si realizza (ridotto a mezzo da sfruttare in vista di un fine ad esso estraneo), quello di qualsiasi realt o alterit, che non viene ascoltata, esplorata, curata, amata, colta come un invito a riflettere, ma trattata come unostruzione da abbattere. Uno degli autori pi citati da Dewey in Arte come esperienza il poeta John Keats, di cui viene ricordata a pi riprese la famosa lettera in cui introduce la nozione di Capacit negativa 6, una nozione che, nel 1916, gi aveva attirato, per motivi analoghi, lattenzione di Freud, e che poi costituir un costante punto di riferimento per W. R. Bion (autore, non a caso, di un importante volume intitolato Apprendere dallesperienza) 7. Poche pagine prima di tematizzare la relazione necessaria tra patire e agire, Dewey ricorda come, per Keats, Shakespeare costituisse il modello di un uomo dotato eminentemente di tale capacit: il modello di un uomo, cio, capace di essere nellincertezza, nel mistero, nel dubbio senza limpazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione. Ed proprio questa impazienza che, poco dopo, Dewey identifica come ci che confonde e distorce invece di condurci alla luce (AE, 57-59). Se sul versante delleccesso di attivit predomina una percezione del reale troppo ristretta e parziale, che lo riduce alla misura dei propri scopi determinati e non permette di cogliere le opportunit impreviste che esso potrebbe racchiudere in s, leccesso di ricettivit produce un analogo e complementare disconoscimento del reale: non per un eccesso di focalizzazione, di appropriazione cieca e violenta, ma per una sorta di bulimia di sensazioni e impressioni, nellillusione che ci che rende vivi, che ci che costituisce la vita, sia laffollarsi del maggior numero possibile di impressioni, malgrado nessuna di esse sia pi di unimpressione fuggevole e rapsodica (AE, 69). Anche in questo modo la realt sfugge, dissolvendosi in una stimolazione continua e occludente, che non lascia spazio ad alcuna riflessione, ad alcuna distanza, e ci schiaccia sullambiente rendendolo cos avvolgente da essere invisibile: Qualche azione risoluta necessaria a stabilire un contatto con la realt del mondo e per far s che le impressioni possano essere messe in relazione con fatti in modo che ne venga saggiato e definito il valore (AE, 69). In definitiva, leccesso di ricettivit impedisce il pensiero, la riflessione, il giudizio. Come gli era chiaro da tempo, Dewey sa che nella percezione implicato luso del giudizio; altrimenti la percezione resta semplice eccitazione sensoriale o un ri64

conoscimento del risultato di un giudizio precedente, come nel caso di oggetti gi noti 8. Riconoscimento qui la parola chiave. Dewey sembra infatti usare, come equivalenti, termini quali il patire, lessere pazienti, il subire, la ricettivit, ma li caratterizza tutti, precisando la contrapposizione iniziale, come dotati di un elemento attivo: la ricettivit non passivit, questa ricezione comporta attivit che sono comparabili a quelle del creatore (AE, 75). possibile allora cogliere, come vedremo, il nesso tra la pazienza come attivit, la capacit negativa di Keats, il tempo e la percezione, in quanto distinta, appunto, dal mero riconoscimento: questo, infatti, una percezione che si arrestata prima di avere lopportunit di svilupparsi liberamente. Nel riconoscimento c linizio di un atto di percezione [...] [la quale] si arresta al punto in cui servir a qualche altro scopo, come quando riconosciamo un uomo per strada per salutarlo o per evitarlo e non per vederlo al solo fine di vedere che cosa c (AE, 75-76). Nel riconoscimento, anche luomo incontrato per strada solo un segnale tra segnali, solo uno stimolo sufficiente a causare una reazione (salutarlo o evitarlo), non qualcosa che si offre come la realt complessa che e che richiede di vedere che cosa c. Per vedere che cosa c richiesto del tempo: il processo della percezione non comprimibile nel tempo istantaneo del riconoscimento (quel tempo che, come sappiamo, nellambiente umano frettoloso e impaziente in cui viviamo non , per lo pi, a nostra disposizione), richiede una pazienza attiva, una capacit negativa, una tolleranza per la complessit, un permanere e un indugiare sul reale senza risolverlo in fatti e ragioni. I due fattori necessari al darsi di unesperienza (patire e agire, recepire e fare) non sono dunque due ingredienti che si sommano o si combinano, ma devono presentarsi in una relazione indissolubile, quale che sia. Lequilibrio, larmonia, laccordo tra i due fattori non infatti comprensibile altrimenti che come una perdurante relazione. Lo squilibrio, la disarmonia, il disaccordo non possono essere altro che il dissolversi di quella relazione, lo sganciarsi di uno dei due fattori dallaltro, la scissione che elimina ogni resistenza dallattivit e ogni regola dalla ricettivit e che porta a una perdita di contatto con il reale: la perdita di contatto tra i due fattori necessari allesperienza infatti insieme perdita di contatto con la realt (quale che sia), e senza un contatto con la realt non pu esserci esperienza, nel senso pieno del termine. Ora, se vero che lestetico non si intrufola nellesperienza dallesterno, a causa di un lusso ozioso o in virt di unidealit trascendente, ma che lo sviluppo chiarificato e intensificato di tratti che appartengono a ogni esperienza normalmente compiuta, per comprendere ogni esperienza normalmente compiuta bisogner guardare a unesperienza esemplarmente estetica quale quella artistica. Nel discutere lesperienza artistica, Dewey assimila lartistico al
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lato attivo, fattivo, creativo dellesperienza e lestetico, in senso stretto, al suo lato recettivo, fruitivo, valutativo, lamentando una mancanza di un terzo termine che designi i due processi presi insieme. Lartistico, infatti, non pu in alcun modo stare senza lestetico, in quanto si ridurrebbe al prodotto di un processo essenzialmente meccanico, alla produzione di uno stimolo per un riconoscimento, non per una percezione intessuta di tempo e di relazioni. per questo che labilit dellartefice, per essere indubitabilmente artistica, deve essere amorosa: deve prendersi cura a fondo del contenuto su cui si esercita la sua tecnica (AE, 71). Una cura amorosa non per soltanto una cura meticolosa, attenta, partecipe, che richiede tempo e dedizione, ascolto e rispetto dellaltro nella sua autonomia: perch si sia amorosi deve accadere qualcosa di spontaneo, qualcosa che non interamente riconducibile alle mire intenzionali e consapevoli del soggetto (non si prova amore grazie a una scelta deliberata, intenzionale e consapevole), qualcosa che induca a vedere il contenuto su cui si esercita la propria tecnica come dotato di una propria fisionomia individuale e non come unostruzione da abbattere. Se continuando nella nostra ricostruzione del pensiero di Dewey guardiamo ora alla nozione di spontaneit, possiamo mettere in questione lassimilazione esclusiva della sua nozione di esperienza alla Erlebnis vitalistica, come invece accaduto anche in chi, come R. Shusterman, si dedicato a riscattare il pensiero di Dewey dalloblio in cui stato consegnato per molto tempo dallestetica analitica 9. Se, per un verso, attribuendo allesperienza di Dewey il carattere di Erlebnis, di esperienza vissuta, si intende preservarne a ragione il carattere fenomenologico, sentito, vivo, daltra parte ci si lascia sfuggire del tutto il suo spessore, il suo radicamento nella storia dellindividuo e della collettivit a cui appartiene, il cambiamento duraturo che essa provoca, il suo aspetto costituente dellessere stesso di una persona e di una civilt quella che, insomma, in contrapposizione a Erlebnis, si chiamata Erfahrung. Come si sa, il volume Arte come esperienza ha la sua origine nella serie di lezioni istituite dalla Harvard University in memoria di William James. Ora, lomaggio reso da Dewey a James nelle sue lezioni non affatto rituale, ma interviene anzi in un punto cruciale della sua argomentazione, in cui ritroviamo lintreccio tra patire e agire che, come abbiamo visto, costituisce il vero nodo della sua teoria dellesperienza (estetica). Dewey si sta interrogando su ci che rende un atto espressivo: un atto espressivo solo quando in esso c unisono tra qualcosa che si accumulato da unesperienza passata, e dunque qualcosa che si generalizzato, e condizioni presenti (AE, 92). Nei bambini questo accordo facile, e facilmente spontaneo, in quanto il passato lo spazio dellesperienza in loro molto ridotto (ci sono pochi ostacoli da superare, poche ferite da sanare, pochi conflitti da risolvere), e
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si adatta facilmente al presente: lo spessore, la densit dellespressione sar per proporzionale alla facilit dellaccordo o, meglio, alla limitatezza dellesperienza messa in gioco nel presente. Nelle persone adulte il rapporto rovesciato: lo spazio dellesperienza accumulata, il passato, ingombrante, e richiede una lunga elaborazione per trovare unespressione felice, cio riuscita e spontanea, nel presente. La spontaneit, negli adulti, viene [...] solo a coloro che si sono immersi in esperienze di situazioni oggettive; a coloro che sono stati a lungo assorti a osservare materiali correlati e la cui immaginazione stata a lungo occupata a ricostruire ci che si vede e si ode [...] La spontaneit il risultato di lunghi periodi di attivit, altrimenti tanto vuota da non essere un atto di espressione (AE, 92). E qui interviene il decisivo riferimento al James autore di Le varie forme dellesperienza religiosa 10, il cui sottotilo Uno studio sulla natura umana certamente molto impegnativo, ma anche giustificato. James infatti coglie qualcosa che ha a che fare non tanto con ci che gli esseri umani si rappresentano, vogliono, intenzionano, quanto con ci che riguarda la loro natura al di qua di ci che dominabile e controllabile da intenzioni e volizioni consapevoli. Vale la pena di riportare per esteso il passo che Dewey cita dallopera di James: Lintelligenza cosciente e la volont dellindividuo, quando si affaticano verso lideale, mirano a qualcosa di immaginato solo in modo confuso e indefinito. Tuttavia le forze organiche di maturazione progrediscono in tutto quel periodo verso il loro fine prestabilito, e gli sforzi consapevoli liberano alleati subconsci dietro le quinte i quali a modo loro, operano in direzione dellassetto; e il riassetto verso cui tendono tutte queste forze pi profonde definito con sufficiente sicurezza, e nettamente differente da quello che lindividuo concepisce e determina coscientemente. Esso pu, quindi, essere effettivamente disturbato come fosse inceppato [...] dagli sforzi volontari dellindividuo, che lo fanno desistere dalla giusta direzione. [...] quando il nuovo centro dellenergia personale stato tenuto in incubazione subconscia abbastanza a lungo per essere pronto a fiorire, gi le mani lunica regola per noi, perch deve sbocciare senza soccorsi (AE, 93). Nel leggere questo passo, non bisogna pensare ai luoghi comuni di origine romantica riguardo al genio inconscio o a alle forze irrazionali che lo guiderebbero, quanto invece a un altro aspetto quello della maturazione, dellelaborazione questo s essenziale per comprendere la natura dellesperienza, e in particolar modo della creazione e della ricezione artistica che ne costituisce il modello: lo sforzo diretto di intelligenza e volont commenta Dewey di per s non ha mai dato origine a qualcosa che non fosse meccanico; la loro funzione necessaria, per deve lasciare agire alleati che esistono al di l dei loro scopi. Lavorare volontaristicamente in vista di uno scopo sar ci per mezzo di cui possibile formare e dare espressione a unesperienza, ma non
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anche ci grazie a cui tale esperienza, e la sua espressione spontanea, possono prendere forma. Pi che lavorare, si tratter quindi di elaborare: cio di valorizzare il proprio vissuto, nel dialogo con altri soggetti, con una cultura ( per mezzo dei rapporti sociali che un individuo acquista una mente, scrive Dewey 11), e dentro di s; di digerire, in un tempo non comprimibile, mediante i succhi della riflessione, le proprie relazioni con lambiente, gli altri, la realt, gli eventi reali, psichici, emotivi. Si tratter, insomma, di esercitare quella pazienza attiva, quella capacit negativa di cui Dewey, a ben guardare, non rinuncia mai a mettere in rilievo il ruolo fondamentale nella costituzione dellesperienza, e innanzitutto dellesperienza artistica o creativa: Quando la pazienza ha svolto tutto il suo lavoro, luomo cade preda della musa appropriata, e parla e canta nel modo dettato da qualche divinit (AE, 93). Certo, Dewey sa benissimo che leterogeneit delle cose che ci accadono quotidianamente richiede puntualit e determinatezza nelle reazioni e negli scopi che mettiamo in gioco per affrontarle: compiamo atti differenti, ciascuno dei quali con il suo risultato particolare (AE, 93). Questa frammentazione inevitabile, tanto pi nellambiente metropolitano e industriale in cui maturano tutte le riflessioni sullesperienza che hanno preso corpo nel Novecento. La cosiddetta parcellizzazione dellesperienza ha poi raggiunto oggi livelli neppure immaginabili negli anni in cui Dewey andava scrivendo le sue riflessioni. Dagli anni trenta dal decennio, cio, in cui Dewey, e Benjamin, andavano riflettendo sulla costituzione e il destino dellesperienza abbiamo assistito a una incredibile escalation dei fenomeni di disgregazione e scissione degli ambiti vitali: non solo la vita frenetica e spaesante delle grandi metropoli, la divisione del lavoro e la sua crescente automazione, ma il trauma della seconda guerra mondiale, con i campi di sterminio e la distruzione su una scala letteralmente inimmaginabile resa possibile e attuata dagli armamenti atomici; i televisori in tutte le case, internet e la realt virtuale; la globalizzazione, i grandi flussi migratori, le nuove ricchezze e le nuove povert, le nuove guerre e le nuove minacce. vero, dunque, che lindividuo deve far fronte con strategie diverse e puntuali a questa complessa e gigantesca massa di stimoli, ma, come scrive Dewey, anche vero che tutta questa eterogeneit fa riferimento a ununica creatura vivente, i cui atti sono in qualche modo legati insieme al di sotto del livello dellintenzione. (AE, 93). Si potrebbe obiettare, naturalmente, che qui si esprime solo una ingiustificata fiducia da parte di Dewey, e si potrebbe contrapporre cos un ottimismo pragmatico tutto americano disposto a dare credito allonnipotenza delleducazione e alla possibilit astorica di fare unesperienza unitaria e integrata a una coscienza critica e tormentata tutta europea, volta a diagnosticare la progressiva atrofia dellesperienza; si potrebbe obiettare, ancora, che il problema della disgregazione dellesperienza viene in tal modo aggirato e che ci che si tratta di
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dimostrare, la possibilit di unesperienza unitaria, viene circolarmente presupposto con il richiamo alla debole unit di ununica creatura vivente; o, per riprendere unespressione di Anders, che il bisogno molto concreto e reale che si esprime nella fame non costituisce una dimostrazione dellesistenza del pane. Tuttavia, innegabile che chi denuncia una disgregazione o unatrofia dellesperienza deve sapere qualcosa anzi, deve aver esperito, in qualche forma quellesperienza di cui va diagnosticando la perdita. Chi avesse sempre vissuto soltanto in uno dei due eccessi, del fare e del patire irrelati, non saprebbe nulla di unesperienza integrata che sarebbe in via di disgregazione o di atrofizzazione. Di questa esperienza, infatti, non si potrebbe sapere nulla mediante uninformazione o una conoscenza mediata: se di esperienza si tratta, bisogna serbarne una traccia esperita. Ci non toglie, naturalmente, che questa sorta di presupposto anamnestico non garantisce affatto leventualit di fare e avere esperienza. Dewey non si fa alcuna illusione sul proprio tempo: la diffusa disgregazione (AE, 320), le condizioni di iniquit sociale, il controllo oligarchico sul lavoro, (AE, 324-26), non sono condizioni che si possano superare con le buone intenzioni, n certo il singolo artista volenteroso pu incidere in alcun modo. Dewey, indagando le condizioni di unesperienza sensata, non pensa affatto a fornire ricette empiriche, n si fa tentare da nostalgie per una condizione che apparterrebbe al passato: una cosa certa; lunit non si pu raggiungere predicando il bisogno di ritornare al passato, anche perch dubbio che ci sia mai stato in qualsiasi tempo un certo numero di persone che abbia visto la vita con fermezza e per intero (AE, 322-23). Tuttavia, da Dewey viene unindicazione importante, anche riguardo allarte dei nostri tempi: tutti i tentativi, o le tentazioni, di assimilare le opere darte a dispositivi semantici anestetici, di normalizzare la produzione artistica per ricomprenderla nel grande e vago calderone della cultura, tradiscono la stessa ragion dessere del fare arte, quella cio di far sentire possibilit che sono irrealizzate e che potrebbero realizzarsi (AE, 327). Ma, come si visto, la realizzazione e la fruizione di opere in grado di far sentire queste possibilit presuppongono degli esercizi costanti di attenzione, di cura amorosa. Il circolo evidente, ma lo stesso circolo dellesperienza, che funziona finch fare e patire mantengono una relazione e non si scindono. Dewey, di questa relazione, ha offerto un quadro plausibile, che non pu e non deve garantire alcuna prassi effettiva, n dettare condotte che determinino in un modo o in un altro la realizzazione di queste o quelle relazioni empiriche. Ma la teoria garantisce almeno la possibilit di tali relazioni: una possibilit, per, che non una mera possibilit, unopzione tra tante possibili, ma che ha rivelato di possedere un carattere normativo, essendo inscritta, come compito, nella struttura stessa dellesperienza.
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Il modello antropologico dellesperienza estetica fra Dewey, Gehlen, Plessner


di Salvatore Tedesco

Fra i numerosi meriti della nuova edizione italiana di Arte come esperienza di John Dewey curata da Giovanni Matteucci 1, c sicuramente quello di aver illuminato le profonde innervazioni che da Dewey si dipartono su alcuni momenti essenziali del dibattito novecentesco, promuovendo una lettura in chiave antropologica del concetto di esperienza in Dewey. Detto in tutta brevit e con la necessaria approssimazione, se lesperire in generale non altro per Dewey che la relazione ambientale in cui il vivente costantemente immerso, il perfezionamento, la consummation dellesperienza risiede poi nella qualit individualizzante, nella auto-sufficienza che il materiale dellesperienza acquisisce nel momento in cui porta a compimento il proprio percorso 2. Ovvero, per citare un altro straordinario passaggio dellargomentazione di Dewey, lesperienza emotiva, ma in essa non ci sono cose separate chiamate emozioni 3. Esperienza ed espressione stanno cos, nel paradigma antropologico di Dewey, in una relazione che ritengo si possa utilmente porre a confronto con le riflessioni pi o meno coeve dellantropologia filosofica tedesca. Il vero filo conduttore che ci guider nella nostra breve analisi sar il concetto di movimento espressivo, la cui enucleazione costituisce il vero obiettivo di quanto segue. Se, come scrive Dewey, la funzione cognitiva dellesperienza sta in ultima analisi nel controllo prospettico delle condizioni dellambiente 4, il concetto gnoseologico di esperienza verr superato, come ben argomenta Matteucci, e per cos dire ripensato allinterno di una pi ampia lettura antropologica. giusto da questa prospettiva che parte, riferendosi del resto esplicitamente ai risultati di Dewey, la ricerca di Arnold Gehlen. Nel 1936, muovendo tanto da suggestioni nietzscheane quanto nello specifico da William James e dal Dewey di Natura e condotta delluomo 5, Gehlen pubblica un saggio Sullessenza dellesperienza 6, che costituisce un passaggio decisivo per lelaborazione della sua prospettiva antropologica. Risultato dellanalisi dellesperienza l condotta sar infatti la determinazione del concetto di esonero (Entlastung), ed il ripensamento dei rapporti fra azione e teoria della conoscenza, dunque gli aspetti centrali del pensiero di Gehlen.
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Gehlen vede empirismo e metafisica accomunati da un approccio parziale ai problemi dellesperienza, un approccio che riconducendo in ogni caso lesperienza alla coscienza, e dunque intendendola come un genere del sapere 7, mancherebbe di coglierne laspetto decisivo per cui essa consiste anzitutto nellinterazione fra uomo e mondo, in unelaborazione della realt che immediatamente si traduce (come invece era stato compreso da Aristotele, primo grande pensatore dellorganismo 8 e con ci di una filosofia dellaisthesis al tempo stesso in cui il filosofo dellagire e della tecnica) in un saper deliberare e in un fare esperto, quello della techne, in quanto tale neutrale rispetto alla distinzione fra fisico e psichico 9. Anche Plessner, ci si permetta una breve parentesi, osserver per parte sua nella premessa alla seconda edizione delle Stufen che il concetto di azione di Gehlen e di Dewey evita la fatale spaccatura dellessere umano in una regione corporea e in una non-corporea 10. Un uomo esperto, prosegue Gehlen, non in prima linea uno che ha a disposizione giudizi giusti, ma invece uno che in qualsiasi campo si tratti pure in definitiva di mera destrezza corporea costruisce qualcosa, lo ha a disposizione, e semplicemente pu qualcosa 11. Ambito dellesperienza dunque linterazione costruttiva con le cose, con le situazioni, con gli altri e con se stessi, e lesperienza ha innanzitutto un carattere di prestazione, ovvero un modificare se stessi e le condizioni del proprio rapporto col mondo. Decisivo a questo punto, ma ci torneremo, il rapporto fra il fare esperto della tecnica e laistheticit del vivente. Esemplare, per Gehlen, il caso del bambino che impara a camminare: di tutte le innumerevoli varianti della locomozione [], alcune vengono fissate, e proprio queste vengono rese possibili e costruite da tutto ci che si svolge in precedenza e viene lasciato cadere 12. La nostra esperienza della realt si orienta sempre sulle maniere in cui le cose ci concernono; ben lungi dal permetterci di pervenire ad un immutabile esser-cos della realt, aggiunge Gehlen in polemica con lantropologia spiritualista di Max Scheler, lesperienza che noi facciamo sempre un tentativo di fissare univocamente per la disponibilit futura il genere e la maniera di questo concernere 13; loggettivit non che una momentanea posizione di riposo nellinterazione uomo/ mondo. E qui, al ricordo della polemica di Dewey contro il disinteresse si aggiungono probabilmente gli esiti del dibattito tedesco di quegli anni, e in primo luogo le riflessioni di Uexkll e di Rothacker sulla valenza antropologica dellistituzione di un piano di significato, di un orizzonte di ci che per noi vitalmente ed emozionalmente significativo 14. Gi in questa iniziale descrizione dellesperienza si prospettano alcuni dei grandi temi che Gehlen affronter negli scritti successivi, a partire da Der Mensch, e si prospetta soprattutto il carattere simbolico
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e dunque esonerante dellesperire umano: costruiamo forme della percezione e in generale del sapere vitale pi elevate, simboliche, cio semplicemente abbreviate e quindi esoneranti, che esonerano intere concatenazioni esperienziali ampie e conquistate con difficolt 15. Riflettere sullesperienza significa dunque per Gehlen riflettere sui modi in cui si realizza lapprendimento umano e considerare luomo come colui che, non limitandosi a vivere ma conducendo la propria vita16, profondamente rielabora, dissoda e ridefinisce i terreni di confine fra i comportamenti istintivi e le prestazioni coscienti. Abbiamo dunque innanzi un primo piano di lavoro indubbiamente assai articolato: alle relazioni fra esperienza e tecnica corrisponde la messa in discussione della dicotomia fisico/psichico e il ripensamento della relazione fra soggetto e oggetto in funzione della relazione simbolica fra luomo e il mondo. Gehlen ritorna sul senso della lezione di Dewey in un breve saggio del 1951, Der gegenwrtige Stand der anthropologischen Forschung 17, affermando che la caratteristica essenziale del comportamento umano, in specie di quello sociale, quella di affiancare alla relazione con loggetto la tematizzazione del proprio s e lautopercezione. Luomo cio capace di assumere su di s il ruolo dellaltro e di vivere se stesso oggettivandosi nella relazione con laltro. Lesempio ancora una volta quello del bambino, che nel suo modo di agire e parlare capace di prefigurare la risposta dellaltro, il comportamento dellaltro, e di regolare di conseguenza il proprio. Non si tratter tanto di imitazione, quanto della creazione di strategie di autopotenziamento, o ancor meglio di vere e proprie strutture del comportamento che a giudizio di Gehlen iniziano a costruirsi nel corso di quella che Portmann 18 definiva la primavera extrauterina durante la quale il neonato, vero e proprio parto prematuro normalizzato, lentamente d vita a una serie di processi di maturazione e di crescita sotto linflusso degli stimoli provenienti dal mondo esterno. E infatti, spiega Gehlen, persino il parlare e il movimento umano si sviluppano in quel tempo sotto linflusso dello stimolo immediato dellambiente simbiotico, come una motorica acquisita tanto auto quanto eterodiretta 19. A giudizio di Gehlen si d cos la possibilit di seguire la vita spirituale delluomo sin nelle sue radici, nella sua materia costitutiva, procedendo dunque dal livello superficiale della coscienza a quello pi profondo delle interazioni motorie e percettive con il mondo esterno, sino a ricostruirne, con Louis Bolk 20, i nessi con il complesso degli equilibri del sistema ormonale. Gehlen si muove qui davvero sulla zona di confine fra lambito degli istinti e quello della progettualit umana, meglio ancora del prendere posizione circa se stesso 21 da parte dellessere umano; se nel caso del comportamento animale le interazioni fra le strutture della percezione e quelle del movimento conducevano alla definizione dei modi della
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relazione fra ambiente e animale (in breve, lambiente Umwelt composto per Jakob von Uexkll 22 appunto dal prodotto della relazione fra mondo percettivo Merkwelt e mondo agito Wirkwelt), lunit complessa fra percezione e movimento andr compresa nel caso delluomo in un sistema di relazioni profondamente differente. Da qui anche, occorre sottolineare, le ragioni delle parziali riserve di Gehlen nei confronti di Dewey 23: il terreno dellesistenza umana, dice infatti Gehlen, non senzaltro la vita quotidiana come afferma Dewey, ma piuttosto costituito dal nostro cronico proiettarci dalla vita quotidiana verso il futuro: dalla chiusura ambientale propria dellanimale, in direzione dellapertura al mondo del circolo funzionale delle nostre relazioni percettive e motorie con la realt. Il discorso si apre qui in due direzioni differenti, entrambe del pi grande interesse per il nostro ripensamento delle condizioni dellesperienza estetica: per un verso la relazione fra luomo e la tecnica, per laltro verso quella fra istinti e azione. Pi in breve quanto al primo punto: va anzitutto ricordato che gi nel saggio del 1936 lanalisi dellesperienza si legava alle condizioni storiche della tarda modernit, e dunque alla crisi dellesperienza, in maniera in qualche modo analoga alla diagnosi benjaminiana della povert dellesperienza, se si vuole, bench come noto con implicazioni politiche del tutto differenti: lattenzione per le strategie esoneranti legate al comportamento simbolico dellessere umano era anche una difesa delle strategie culturali delluomo occidentale contro loggettiva perdita di pregnanza dellesperienza nellera contemporanea 24. Negli anni Cinquanta il discorso di Gehlen si approfondisce con la considerazione della mediazione tecnica dellesperienza; occorre anzitutto ricordare che Gehlen definisce circolo dellazione la forma generale dellinterazione fra percezione e movimento nelluomo, e la descrive in base al principio di retroazione per cui il comportamento viene sperimentato nei suoi risultati, e tali risultati retroagiscono influenzando i comportamenti futuri 25. Ebbene, sottolinea Gehlen, sono proprio le propriet costitutive del circolo dellazione e del principio dellesonero a fungere da determinanti dellintero sviluppo della tecnica 26, sino al suo esito estremo, cio non solo la sostituzione dellorgano con lo strumento inorganico, ma lautomatismo della macchina, vero punto di arrivo delle strategie esoneranti e insieme del processo di autoapprendimento instradato dal circolo dellazione. Tenendo conto di ci, probabilmente non sar sufficiente nel caso di Gehlen parlare di integrazione dellinorganico nellambito dellorganico, ma piuttosto si dovranno fare i conti con la chiara percezione da parte del nostro autore di una svolta assai pi radicale, che certo anche il compimento, alla lettera, di un processo antico quanto lominazione stessa, e cio del tentativo, operato tanto con gli strumenti della magia quanto con quelli della tecnica,
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di pervenire a quella che significativamente Gehlen definisce stabilit ambientale: linteresse umano elementare per luniformit del corso della natura assai rilevante e corrisponde a un bisogno di stabilit ambientale quasi istintivo 27. Quasi un ritorno alle condizioni di sicurezza della vita animale. La Instinkthnlichkeit, la prossimit allistinto di questo bisogno apre per per noi al secondo aspetto del problema, e cio quello della zona di confine fra esecuzioni istintive ed esecuzioni intellettuali negli esseri umani 28, cui Gehlen dedica nel 1961 un saggio che costituisce probabilmente il suo principale contributo al dibattito sullesperienza estetica. Proviamo dunque a seguire per qualche tratto la densa argomentazione di Gehlen, che muove giusto dallassunzione che esista una proporzionalit inversa fra istinto e coscienza, per cui luomo si caratterizzerebbe per un processo di riduzione degli istinti da porre molto indietro nella storia evolutiva della nostra specie, che presenta di fatto a giudizio di Gehlen solo dei residui istintuali 29. Alla riduzione degli istinti si accompagna, daccordo con le teorie di Bolk sullominazione, un insieme di inibizioni ormonali che determinano il mantenimento sino allet adulta di un sistema di caratteristiche evolutivamente primitive (prolungamento dellinfanzia e tarda maturit sessuale, assenza di peli, elevata aspettativa di vita, instabilit della vita pulsionale). Sulla base di queste premesse Gehlen si domanda se sia ancora possibile nel caso dellessere umano rintracciare reazioni istintive come quelle studiate dalletologia di Konrad Lorenz, e consistenti in un processo di scatenamento per cui in determinate specie determinate figure di movimento vengono disinibite da parte di uno stimolo che sopraggiunge dallesterno 30, secondo una relazione definita chiave/serratura. Caratteristica comune di questi meccanismi scatenanti la loro improbabilit e semplicit, ovvero, spiega Gehlen, i segnali scatenanti sono soliti staccarsi nellambiente delle diverse specie animali dallo sfondo solito, appaiono insoliti, vistosi, insistenti 31, e insomma, come gi osservava Lorenz, si distaccano da un ambiente per lo pi fatto di configurazioni irregolari e indistinte per quella regolarit e simmetria, che solitamente rende belli agli occhi degli uomini i fattori scatenanti ottici degli istinti animali (i colori puri e le forme regolari). Occorrer allora chiedersi se esiste la possibilit di rintracciare qualcosa come un substrato biologico delle esperienze propriamente artistiche 32, che permetterebbe di addentrarsi nel territorio secondo Gehlen mai esplorato 33 di una fisiologia dellarte. Per chi si occupa di storia delle idee in effetti piuttosto singolare dover osservare come anche qui Gehlen, bench evidentemente a sua insaputa, stia seguendo le orme di Herder e di ampia parte del dibattito dellIlluminismo tedesco in direzione di una fisica dellanima e di unestetica fisiologica. Come che sia, la risposta di Gehlen passa ancora una volta attra75

verso quel grande discrimine costituito dalla riduzione degli istinti, che implica anzitutto laffrancarsi nelluomo degli organi di senso dai circuiti funzionali animali 34, dove andr notato che lespressione circuito funzionale (Funktionskreis) fa riferimento una volta di pi alla teoria ambientale di Uexkll, e vale a indicare linterazione e gli effetti di feedback fra animale e ambiente tanto nellambito della percezione quanto in quello del movimento. Ecco perch il passo successivo di Gehlen sta nella distinzione fra la motorica innata, ereditaria, dellanimale, e la motorica acquisita, istintualmente esonerata 35, delluomo. Infatti per un verso la massima parte di ci con cui luomo interagisce artificiale, prodotto dalluomo stesso, come tavoli, sedie, penne, case, strade, e dunque non si danno circuiti funzionali innati nelluso di tali elementi artificiali. Ma soprattutto, poi, il movimento e la sua relazione con la percezione sono volti nelluomo allattiva modificazione di circostanze in linea di principio imprevedibili, alle quali appunto funzionale il carattere autoavvertito delle prestazioni sensomotorie umane. Lesuberante ricchezza delle pulsioni umane ha caratteristiche tali (cronicit, convertibilit) da sfuggire del tutto alla traduzione in precise figure motorie. Si ha cos, nel caso di una situazione biologicamente significativa (riguardante la sessualit, la nutrizione, il pericolo di vita ecc.), una scossa sensoriale 36 che per non necessariamente si traduce in un determinato comportamento, e talvolta anzi non si traduce affatto in azione, ma semmai in un differimento dellazione. per importante osservare come lo stesso Gehlen registri quasi a margine lesistenza di una via alternativa di sfogo della scossa sensoriale, costituita dalla motilit periferica, involontaria, legata ai canali vegetativi, con fenomeni dellespressivit quali il riso, il pianto, larrossire, che dovrebbero a giudizio di Gehlen venir compresi come vie di sfogo non pratiche (che non modificano nulla nel mondo esterno) di scosse sensoriali, che per parte loro sarebbero reazioni istintive, trattenute allinterno, a stimoli o situazioni scatenanti 37. Vedremo come gi nella ricerca di Plessner e Buytendijk dei primi anni Venti proprio lanalisi di tali fenomeni abbia portato a risultati del pi grande interesse. La plasticit e convertibilit della nostra vita pulsionale ha poi a giudizio di Gehlen unaltra conseguenza di grande portata, ovvero ha per effetto lunit temporale della nostra vita interiore, che non disseminata in un pulviscolo di presenti irrelati relativi alle varie sfere pulsionali, n per unificata solo a livello della coscienza intellettuale, ma alla lettera getta le sue radici sin nelloscurit della vita vegetativa: si costruisce in un costante processo di autotrasformazione, di cui solo la minima parte diviene consapevole, qualcosa come una base di reazione storica, che per viene anchessa costantemente ridefinita38. Una volta di pi un risultato riportabile a un dibattito oggi troppo ingiustamente dimenticato (i nomi sarebbero qui soprattutto quelli di
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Erich Rothacker e di Philipp Lersch 39), nonch una prestazione aisthetica dellessere umano. Cosa ne per dello stimolo scatenante, nel momento in cui esso, nellessere umano, non genera pi una figura motoria, e dunque almeno tendenzialmente non genera pi gli esiti cui sarebbe biologicamente preposto? Tutte queste cose, cio tutte le configurazioni scatenanti improbabili, risponde Gehlen, risulterebbero vistose in primo luogo dal punto di vista ottico, in modo pienamente indipendente da qualsiasi valenza biologica anche residuale, e a loro volta sarebbero coordinate con unattenzione e una coordinazione sensoriale con gli istinti del tutto astratta, soltanto rudimentale, e quindi dotata di una sua propria qualit 40. qui che si radica antropologicamente il primato del ben formato indagato dalla psicologia della Gestalt, ed qui che si fonda la possibilit di unestetica fisiologica. Gehlen non esita ad esprimere la sua insoddisfazione nei confronti dei metodi pi accreditati della scienza filologica dellarte uninsoddisfazione di cui si ricorder ancora Hans Belting nella sua recente BildAnthropologie 41 avvertendo lesigenza di una comprensione dellarte che sollevi il velo su quella animazione [Belebung] ed entusiasmo che fanno battere il cuore e mozzano il fiato 42, e che restano totalmente inspiegabili senza alcuna partecipazione di istanze fisiche 43. Occorrer allora rintracciare nelle esperienze estetiche la partecipazione di qualcosa come una motorica particolare, che va vista in relazione ad altre particolarit del movimento umano 44, ovvero, come spiega il rinvio alla seconda sezione di Der Mensch 45, va posta in relazione col carattere acquisito e autoavvertito del movimento, in grado di nutrire la fantasia motoria, in primo luogo nella sua qualit ottica. In modo corrispondente prosegue Gehlen deve essere possibile mettere in relazione con la qualit della struttura delle pulsioni umane certe propriet delle esperienze estetiche vissute, o addirittura il loro intero ambito 46. La sobria precisazione ulteriore di Gehlen che ovviamente in tal modo ambito della fisiologia dellarte sarebbero solo gli strati prossimi allistinto nel campo dei fenomeni estetici 47. allora giunto il momento di raccogliere tutti gli elementi sinora dispiegati analiticamente da Gehlen: in cosa consiste la qualit della struttura delle pulsioni coinvolte nellambito estetico, e che genere di Sondermotorik (motorica particolare) quello cui esse danno vita rendendosi indipendenti da ogni valenza biologica e traducendosi nella qualit del ben formato? Gehlen risponde dicendo che ci che rimasto delleffetto scatenante evolutivamente primordiale un residuo divenuto privo di funzione, depotenziato, che per proprio per questo motivo pu irradiarsi allintera ampiezza del campo della percezione in interminabile multiformit 48. Se la percezione e la motorica animale sono per Gehlen meramente elementi del circolo funzionale ambientale, la zona di confi77

ne prossima allistinto nel comportamento estetico umano pu viceversa essere investita di un godimento che commisurato alla raggiunta libert dallazione: sentiamo di fronte a questi valori estetici qualcosa come un impulso di genere particolare, libero dal comportamento []. Abbiamo limpressione di un venir attirati sensibilmente forte, molto immediato e vivificante, ma daltro lato decisamente puntuale e per cos dire senza risultato 49. Insomma risulterebbe soppressa o ridotta la concatenazione fra stimolo scatenante e risposta motoria istintiva, e proprio nel raggiungimento della libert dallazione, dunque direi in una sorta di prefigurazione del compimento del processo esonerante del circolo dellazione, consisterebbe il piacere estetico 50. La valenza antropologica dellesperienza estetica si traduce dunque per Gehlen gi dai primordi dellumanit nel tentativo di fissare in determinate configurazioni un sentimento di piacere in cui si custodisce un residuo istintuale che non pi accentuato per singoli gruppi di oggetti determinati, ma proprio perci risponde a oggetti tout court, se solo essi esibiscono quelle qualit scatenanti, bench biologicamente depotenziate 51. Dunque va da s in nessun caso una qualche forma di determinismo biologico, ma al contrario una straordinaria apertura alle infinite potenzialit plastiche dellazione umana. In questo senso, anche quelle che Gehlen descrive come fonti ulteriori del piacere estetico si lasciano piuttosto riportare allo stesso processo, a partire proprio dal piacere che pi direttamente Gehlen riconduce allesonero, e cio quello che si lega a quelle forme che ci fanno avvertire la nostra esperienza come libera da obbligazioni 52 e dunque liberatoria, o ancora il piacere intellettuale per la razionalit che avvertiamo appunto nelle forme geometriche, nel ritmo, nella regolarit. Un ultimo punto dellargomentazione di Gehlen per noi del pi grande interesse, e non da ultimo perch ci riporta ancora a quel grande controaltare dellantropologia gehleniana costituito dalla riflessione settecentesca, con la quale ancora dovremo confrontarci. Gehlen osserva infatti che il godimento estetico realizza una peculiare inversione nella direzione delle pulsioni, che non tendono pi a modificare la realt esterna, ma piuttosto il nostro stato interno: lessere umano pone come scopo del suo comportamento non unutile modificazione del mondo esterno, ma una modificazione biologicamente priva di senso del proprio stato soggettivo []. Un comportamento in qualche modo tecnicamente determinato termina in una configurazione (ornamento, corona di piume, ecc.) la cui funzione e senso consiste nella qualit di stimolo della costellazione scatenante, nellesperienza vissuta del bello53; ben lungi dal costituire una manifestazione marginale dellumano, quello che in tal modo luomo esperisce esteticamente il tratto pi profondo della sua essenza, lo sganciamento dallincatenamento agli istinti, lesonero dallesterno 54.
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Era stato Moses Mendelssohn, in via definitiva nelle Morgenstunden del 1785 55, a distinguere dallatteggiamento conoscitivo per mezzo del quale io modifico i miei concetti per adeguarli alla realt delloggetto la facolt di apprezzamento estetico, che mi conduce viceversa ad agire in vista del mio stato danimo, e dunque a plasmare in ragione del mio sentire estetico la configurazione delloggetto; e Mendelssohn, come si ricorder, individuava con chiarezza nellillusione estetica lo strumento perch ci avvenga. Gehlen ne riprende in certo modo il gesto teorico quanto al primo aspetto; quanto al secondo, prevale adesso decisamente lattenzione per la configurazione, ovvero per la traduzione del circolo dellazione in cui si realizza lesperienza umana in un comportamento in qualche modo tecnicamente determinato 56. Anche per questa via, dunque, lambito della tecnica costituisce lorizzonte in cui si iscrive per Gehlen il problema dellesperienza estetica. Possiamo chiederci a questo punto se tutto il percorso sin qui seguito da Gehlen non possa essere ulteriormente illuminato mettendo in relazione la motorica particolare coinvolta nel nostro apprezzamento estetico, la motorica soppressa se mi si passa lespressione, con quella motilit periferica che lo stesso Gehlen aveva ritenuto esser cos caratteristica dellespressione delle emozioni, e nella quale aveva trovato in certo modo un residuo di un movimento istintivo, lo sfogo non pratico di una scossa sensoriale. questa la via che, in uno straordinario saggio del 1925, era stata effettivamente seguita da Helmuth Plessner e Frederik Buytendijk 57. Mi limito in questo caso a qualche indicazione pi rapida, solo per circoscrivere un insieme di problemi teorici che richiederebbero ben altro approfondimento: si diceva intanto dei referenti settecenteschi della teoria del movimento espressivo, referenti che restano per la verit impliciti nel saggio del 1925, per esser esplicitati solo in alcuni lavori assai pi tardi di Buytendijk 58, nonch nelle ricerche di Klages 59. Faccio riferimento in particolare alle riflessioni di Schiller sulla relazione fra movimenti volontari e movimenti simpatetici, sviluppate nel celebre saggio su Grazia e dignit 60. E vediamo brevemente: i movimenti volontari sono quelli che il soggetto prescrive al corpo per mezzo della volont; quelli involontari avvengono invece senza concorso della volont 61. Questi ultimi cio avvengono secondo una legge necessaria, ma tuttavia per impulso e sulloccasione di un affetto. I movimenti involontari, o appunto simpatetici, accompagnano un sentimento, da cui si occasionano: la volont quale causa di quelli si determina secondo sentimenti morali, dai quali nascono questi 62. E tuttavia decisivo che mentre i movimenti volontari seguono a una decisione, sono cio effetto di una determinata finalit dellazione, non di una persona e del suo stato danimo, il movimento simpatetico invece
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accompagna lo stato danimo. Il legame dei movimenti volontari con lo stato danimo dunque accidentale, quello dei movimenti simpatetici necessario. Il movimento simpatetico esprime dunque la natura dellanima assai pi di quanto non faccia il movimento volontario, che lanima, diremmo, meramente dirige: non si pu nemmeno dire che lo spirito si manifesti in un movimento volontario, poich esso esprime solo la materia della volont (lo scopo), ma non la forma della volont (lo stato dellanimo) 63. Analoga a quella schilleriana fra movimenti volontari e simpatetici la distinzione proposta da Plessner e Buytendijk fra azione (Handlung) e movimento espressivo (Ausdrucksbewegung): se cio la prima temporalmente scorre mirando ad un determinato fine esterno alla configurazione assunta dal movimento in quanto tale, il secondo invece dura nella configurazione stessa del movimento, ha il suo fine in s, si compie in s stesso, secondo la propria essenza non finalisticamente orientato verso alcunch 64. Come intendere dunque la natura del movimento espressivo, e con ci alla lettera la possibilit della comprensione dellaltro, o meglio, in senso pi peculiare, della configurazione espressiva del vivente? Il ritmo, la configurazione dinamica del movimento espressivo osservano Plessner e Buytendijk si aprono a una comprensione solo se considerati a partire dalla relazione dellorganismo vivente con lambiente 65; si tratter dunque di considerare la sfera del comportamento (Verhalten, Benehmen) in cui si costituisce il senso della relazione ambientale fra organismo e realt, indifferente alla contrapposizione fra corpo e spirito come a quella fra soggetto e oggetto 66, e di considerare le forme del movimento come forme del comportamento del corpo vivente (Leib). Essenziale alla comprensione del vivente appunto lattivo relazionarsi ad un ambiente; di pi, allunit della configurazione strutturale del corpo vivente appartiene proprio il suo indirizzarsi verso un ambiente esso stesso strutturato, configurato (eine gestaltete Umgebung, dice Plessner 67). C dunque una reciprocit fra organismo e ambiente nel processo di costituzione del senso, ovvero, come affermano i nostri autori, questa intenzionalit ambientale del corpo vivente (Leib) [] garantisce tramite la sua indifferenza soggettivo-oggettiva lunit dellesperienza con gli oggetti dellesperienza 68, ed proprio questa reciprocit e questa indifferenza nei confronti della scissione fra soggetto e oggetto a costituire la sfera per eccellenza aisthetica dellesperienza 69. La riflessione di Plessner degli anni Trenta e Quaranta da Sensibilit et raison sino al celebre saggio su Il riso e il pianto 70 si occuper di declinare in senso storico la categoria dellesperienza aisthetica del corpo vivente. Il corpo, dir Plessner in Sensibilit et raison, una categoria storica, e storicamente si struttura lesperienza della configurazione espressiva del vivente 71.
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J. Dewey, Arte come esperienza, Palermo 2007. Questa e le cit. precedenti ivi, p. 61. 3 Ivi, p. 67. 4 Id., The Development of American Pragmatism, cit. nellintroduzione di G. Matteucci alla cit. ed. it. di Arte come esperienza, p. 9. 5 Id., Human Nature and Conduct, New York 1930, ed. it. Firenze 1958. 6 A. Gehlen, Vom Wesen der Erfahrung, in Bltter fr deutsche Philosophie, 10, 1936, pp. 207-24. Il saggio stato ripubblicato in Id., Anthropologische Forschung, Hamburg 1961, pp. 26-43, nuova ed. it. Prospettive antropologiche, Bologna 2005, pp. 45-67; si veda anche Id., Gesamtausgabe, Bd. 4, Philosophische Anthropologie und Handlungslehre, Frankfurt am Main 1983, pp. 3-24. 7 A. Gehlen, Prospettive antropologiche, cit., p. 46. 8 A. Baeumler, sthetik, Mnchen 1934; ed. it. Estetica, Padova 1999, p. 74, e cfr. p. 71. Gehlen contrappone al modello kantiano e post-kantiano di esperienza quello aristotelico, cfr. A. Gehlen, Prospettive antropologiche, cit., pp. 47-48. 9 A. Gehlen, Prospettive antropologiche, cit., p. 48. 10 H. Plessner, Die Stufen des Organischen und der Mensch (1928), in Id., Gesammelte Schriften, vol. IV, nuova ed. Frankfurt am Main 2003, ed. it. Torino 2006, p. 16. Plessner si riferisce al cit. Human Nature and Conduct. 11 A. Gehlen, Prospettive antropologiche, cit., p. 48. 12 Ibid. 13 Ivi, p. 55. 14 E. Rothacker, Die Schichten der Persnlichkeit (1938), Bonn 1966, p. 51. Per quanto riguarda Uexkll si veda riassuntivamente J. von Uexkll, Bedeutungslehre (1940), in J. von Uexkll e G. Kriszat, Streifzge durch die Umwelten von Tieren und Menschen Bedeutungslehre, Hamburg 1956. Su questi problemi mi si permetta di rinviare al mio Forma e tempo nellantropologia storica a cavallo della met del Novecento, in FIERI. Annali del Dipartimento di Filosofia, Storia e critica dei Saperi, n. 4, Palermo 2006, pp. 419-37. 15 A. Gehlen, Prospettive antropologiche, cit., p. 57. 16 Ivi, p. 60. 17 Id., Der gegenwrtige Stand der anthropologischen Forschung, in Merkur, V, 4, 1951, pp. 379-389; ora in Id., Gesamtausgabe, Bd. 4, Philosophische Anthropologie und Handlungslehre, cit., pp. 113-26, qui pp. 120-21. 18 Cfr. ad es. A. Portmann, Zoologie und das neue Bild des Menschen, Hamburg 1956, pp. 68-80. 19 A. Gehlen, Der gegenwrtige Stand der anthropologischen Forschung , cit., p. 120. 20 L. Bolk, Das Problem der Menschenwerdung, Jena 1926, ed. it. Roma 2006. 21 A. Gehlen, Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt (1940), nuova ed. Wiesbaden 1986, ed. it. Milano 1983, p. 35. 22 Si veda ad es. il cit. J. von Uexkll e G. Kriszat, Streifzge durch die Umwelten von Tieren und Menschen. 23 Cfr. A. Gehlen, Der Mensch, cit., pp. 143-44, ed. it. cit., pp. 176-77. 24 Mi riferisco in senso specifico ai 6 e 7 del cit. Vom Wesen der Erfahrung. 25 Cfr. Id., Die Seele im technischen Zeitalter, Hamburg 1957, pp. 17-18. 26 Ivi, p. 19. 27 Ivi, p. 15. 28 Id., ber instinktives Ansprechen auf Wahrnehmungen (1961), pubblicato per la prima volta nel cit. Anthropologische Forschung, pp. 104-26, ed. it. cit., pp. 149-79, qui a p. 149. 29 Ivi, p. 150. 30 Ibid. Trad. modificata. 31 Ivi, p. 155. Trad. modificata. 32 Ivi, p. 156.
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Ivi, p. 170. Id., Der Mensch, cit., p. 30, ed. it. p. 56. 35 Id., ber instinktives Ansprechen auf Wahrnehmungen, cit., ed. it. p. 157. Qui Gehlen si basa sulla ricerca di Otto Storch, Die Sonderstellung des Menschen in Lebensabspiel und Vererbung, Wien 1948; cfr. specialmente la discussione del concetto di Umwelt (ambiente) alle pp. 36-46. 36 Idem, ber instinktives Ansprechen auf Wahrnehmungen, cit., ed. it. p. 159. 37 Ibid. 38 Ivi, p. 166. 39 Si veda del primo almeno il gi cit. Die Schichten der Persnlichkeit, e del secondo Aufbau der Person, Mnchen 19525, originariamente apparso nel 1938 col titolo Der Aufbau des Charakters. Ci interessano i concetti di Tiefenperson e di Endothymer Grund. 40 A. Gehlen, ber instinktives Ansprechen auf Wahrnehmungen, cit., ed. it. p. 169. Trad. modificata, e cfr. led. tedesca, p. 119. 41 H. Belting, Bild-Anthropologie, Mnchen 20063, p. 241. 42 A. Gehlen, ber instinktives Ansprechen auf Wahrnehmungen, cit., ed. it. p. 170. Trad. modificata. 43 Ibid. 44 Ibid. 45 Gehlen per la verit si limita a un rinvio generico alla seconda sezione, ma direi in modo pi circoscritto che il 18, Bewegungssymbolik, in A. Gehlen, Der Mensch, cit., pp. 188-93, ed. it. cit. pp. 223-29, ad esser pertinente ai nostri problemi. 46 Id., ber instinktives Ansprechen auf Wahrnehmungen , cit., ed. it. cit., pp. 17071. 47 Ivi, p. 171, si profondamente modificata la trad. it., che stravolge il senso delloriginale; cfr.led. tedesca, p. 121. 48 Ivi, p. 172. Ancora una volta la trad. it. da modificare. 49 Ivi, p. 173, trad. modificata. 50 A questo punto Gehlen pu anche sperimentare una variazione del detto kantiano affermando che bello ci che piace senza conseguenze (ivi). 51 Ivi, p. 173, trad. modificata, e cfr. led. tedesca, p. 123. 52 Ivi, p. 174. 53 Ivi, pp. 175-76, trad. modificata, e cfr. led. tedesca, pp. 124-25. 54 Ivi, p. 175, trad. modificata. 55 M. Mendelssohn, Morgenstunden, Stuttgart 1979. 56 A. Gehlen, ber instinktives Ansprechen auf Wahrnehmungen , cit., ed. it. cit., p. 176. 57 F. J. J. Buytendijk e H. Plessner, Die Deutung des mimischen Ausdrucks. Ein Beitrag zur Lehre vom Bewusstsein des anderen Ichs (1925), in H. Plessner, Ausdruck und menschliche Natur, in Gesammelte Schriften, vol. vii, nuova ed. Frankfurt am Main 2003, pp. 67-129. 58 Cfr. F. J. J. Buytendijk, Allgemeine Teorie der menschlichen Haltung und Bewegung, Berlin-Gttingen-Heidelberg 1956; parzialmente ripreso in Id., Die Anmut, in F. J. J. Buytendijk, P. Christian, H. Plugge, ber die menschliche Bewegung als Einheit von Natur und Geist, Schorndorf bei Stuttgart 1963, pp. 9-18. 59 Si vedano i lavori oggi raccolti in L. Klages, Werke , vol. 6, Ausdruckskunde , Bonn 2000, e specie Prinzipielles bei Lavater (1901), pp. 3-12; e il capitolo su Schiller in Grundlegung der Wissenschaft vom Ausdruck (1936), pp. 528-31. 60 Fr. Schiller, ber Anmut und Wrde, in Id., Theoretische Schriften, cit., pp. 33094; ed. it. in Id., Saggi estetici, a cura di C. Baseggio, Torino 1959, pp. 137-202. Mi permetto di rinviare in proposito al mio Antropologia e retorica della dignit in Schiller, in galma. Rivista di studi culturali e di estetica, n. 11, 2006, pp. 69-79. 61 Cfr. ivi., ed. it., p. 154. 62 Ivi, p. 155.
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Ivi, pp. 156-57. F. J. J. Buytendijk e H. Plessner, Die Deutung des mimischen Ausdrucks, cit., p.

Ivi, pp. 77-79. Cfr. ivi, pp. 87-89. 67 Ivi, p. 80. 68 Ivi, p. 122. 69 Cfr. in tal senso specialmente le conclusioni del saggio, ivi pp. 128-29. 70 Cfr. Id., Sensibilit et raison. Contribution la philosophie de la musique (1936), in Id., Gesammelte Schriften, vol. vii, cit., pp. 131-83; Id., Lachen und Weinen. Eine Untersuchung der Grenzen menschlichen Verhaltens (1941), ivi, pp. 201-387, ed. it. Milano 2000. Parte delloriginaria redazione tedesca di Sensibilit et raison adesso edita in Id., Politik Anthropologie Philosophie. Aufstze und Vortrge, Mnchen 2001, pp. 119-43. 71 Cfr. Id., Sensibilit et raison, cit., p. 136 e pp. 161-62.
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Fenomenologia ed esperienza estetica


di Elio Franzini

Il termine esperienza , notoriamente, uno dei pi ambigui presenti allinterno del vocabolario filosofico, al punto che quasi sempre necessario un aggettivo che lo qualifichi, delineandone lorizzonte tematico. Il problema si aggrava nel momento in cui si usa lesperienza per tradurla in movimento filosofico, costruendo lempirismo. Empirismo che soltanto un modo di straordinaria importanza storica per delineare il concetto di esperienza, ma che certo non ne esaurisce la densit sia teorica sia storica. Questo legame con lempirismo sembra perseguitare la fenomenologia, come se Husserl non fosse stato, a questo proposito, di straordinaria chiarezza. Locke ed difficile non concordare con lui empirista solo per i manuali, dal momento che opera come uno psicologo della conoscenza, mentre Hume apprezzato proprio nella parte non empirista del suo pensiero, quello in virt del quale si presenta come il primo tentativo sistematico di una scienza delle pure datit di coscienza, la cui fenomenologia ha come difetto proprio quelli di essere empirica e sensistica. Lesperienza per la fenomenologia non pu dunque essere quella dellempirismo di Hume, notoriamente definito da Husserl, sin dagli anni Venti, come la bancarotta della conoscenza oggettiva o, in modo pi radicale, la bancarotta di ogni filosofia che intenda dare chiarimenti scientifici sul mondo mediante la scienza della natura o la metafisica1, che finisce cos per essere la bancarotta di qualsiasi conoscenza. noto come Husserl risolva la questione, ovvero spostandola sul piano di unesperienza trascendentale, che non ricerca dei modi per costituire unesperienza possibile, bens il tentativo di coglierne le condizioni di possibilit. Non si pu ignorare che in questa esigenza vi sia leco dellavvio della Critica della ragion pura, in virt della quale se vero che ogni nostra conoscenza incomincia con lesperienza, tuttavia da ci non segue che essa derivi interamente dallesperienza. Daltra parte, chiaro che anche questa affermazione kantiana che avvia la problematica della sintesi a priori non pu soddisfare, proprio per il rovesciamento di tale sintesi che la fenomenologia propone. Non mi soffermer, considerata la loro notoria complessit, sui mo85

tivi di tale assenza di soddisfazione, limitandomi a osservare che nella nozione sia humeana sia kantiana di esperienza, manca un concetto qui centrale, ovvero quello di percezione, che qualifica lesperienza per il fenomenologo. Una percezione che non conoscenza del mondo esterno (espressione che di per s non significa proprio nulla, e che implica una strana dicotomia tra un occhio e un mondo, come se fossero realt del tutto distinte), ma tentativo di cogliere le operazioni connesse allesperienza del percepire, vederne lessenza, che non un dato immutabile da descrivere, bens le strutture costanti che si rivelano nei suoi atti. Esperienza dunque, in prima istanza, e al di l dei molteplici giochi linguistici che intorno a essa possono instaurarsi, la percezione in quanto capacit che ci pone alla presenza di oggetti, e proprio nei modi e nelle forme in cui essa si differenzia 2. Ma, in un accezione pi ampia, esperienza, sono esperienza, tutti quei modi che, a loro modo ci mettono alla presenza di oggetti. Per cui, appunto, in unaccezione pi ampia, anche il ricordare unesperienza di cui possibile determinare i modi di operare 3, come peraltro sono esperienza limmaginare, il desiderare, gli stati emotivi e via dicendo. Si sar allora compreso che non si nega affatto la vastit e la genericit della nozione di esperienza peraltro dimostrata dalla storia stessa del pensiero, del linguaggio comune, delle idee, ecc. ma che la questione non quella di fissarne, magari solo linguisticamente, una o plurime definizioni, bens di indicare suo tramite uno spazio aperto di problemi 4. Ci significa che lesperienza che diciamo estetica (fermo restando che, nellaccezione sopra riportata, a rigore tutte le esperienze sono estetiche) una modalit di questo spazio descrittivo che si apre, di cui si devono dispiegare le funzioni intellettuali, nellovvia consapevolezza che lintelletto non un complesso di dispositivi predisposti da proiettare sullesperienza, ma ha le sue radici nellesperienza stessa in quanto essa si auto-organizza nelle forme di correlazione necessaria tra i dati della sensibilit e la soggettivit concreta che li riceve 5. Per cui alla via trascendentale-kantiana che procede dal giudizio allesperienza contrapponiamo una via che procede dallesperienza al giudizio senza con ci ricadere in forme di riduzionismo empirista. In questa direzione non si ha una definizione astratta o empirica delle rappresentazioni estetiche, ma esse si determinano in una correlazione necessaria che va indagata nelle sue specifiche modalit intenzionali. Lesperienza dellarte dunque un modo particolare di esperienza estetica, che determina una correlata esperienza giudicativa. In sintesi, sul piano dellanalisi descrittiva va in prima istanza precisato che cosa si possa intendere con esperienza estetica, in seguito stabilendo come tale esperienza possa diventare artistica. chiaro che, su questa strada, anche Dewey pu fornire utili in86

dicazioni fenomenologiche, proprio perch si muove dallesperienza verso il giudizio. In un saggio dei tardi anni Cinquanta, infatti, Formaggio osserva che egli un autore che non ama le nebbie delle estreme astrazioni metafisiche e piuttosto simmerge nel concreto delle esperienze divenienti, ascolta ed opera in esse 6. La teoria dellesperienza deweiana ha dunque un suo significato fenomenologico in quanto, come osserva Formaggio, denuncia le fratture che attraversano il pensiero e la prassi del nostro tempo, proclamando al tempo stesso la necessit di ristabilire la continuit. Ci accade proprio attraverso lidea di percezione, o coscienza, o idea che sono lesperienza stessa, il flusso stesso degli eventi, nel momento di crisi in cui ciascuna cosa sboccia in significato 7. Dewey permette cos di delineare un concetto di esperienza che porta con s principi di connessione e organizzazione, rendendo inutile, come egli stesso osserva, una sintesi sovrannaturale o sovraempirica, e ponendo invece lintelligenza come un fattore di organizzazione allinterno dellesperienza. Questo aspetto, peraltro, che segna, come giustamente scrive Matteucci 8, la sua posizione eccentrica rispetto alla tradizione cartesianokantiana, anche il segnale di una comune eccentricit, che proprio in unidea di autorganizzazione dellesperienza e del suo senso intrinseco, vede operante, negli stessi decenni, la tradizione dellestetica fenomenologica (che forse potrebbe essere studiata anche attraverso il lavoro di William James). tuttavia indubbio che, se si esce da unispirazione generale che peraltro non pu essere sottovalutata le analogie svaniscono nel momento in cui, approfondendo Dewey, si coglie la sua idea di esperienza connessa allinterazione tra organismo e ambiente, che se da un lato utile per spazzare artificiose dicotomie, e per sottolineare il valore sociale dellestetico e dellartistico, dallaltro enfatizza una visione priva di quei connotati conoscitivi che sono invece un caposaldo del descrittivismo fenomenologico, e che, come gi si osservato, vedono lesperienza solo come modo operativo, rifuggendo da una sua naturalizzazione, che solo laspetto uguale e contrario di unaltrettanto equivoca sua psicologizzazione. La distinzione tra contenuto apprensionale e apprensione, che un caposaldo essenziale per la fenomenologia, non pu incontrarsi con la sostanziale identificazione tra lesperienza e i suoi modi di apprensione che si ricava da Dewey. Tuttavia ed un punto dal quale si pu ripartire significativo che sia per la fenomenologia sia per Dewey il campo estetico-artistico sia un orizzonte esperienziale in cui si verifica il senso stesso dellesperienza, della sua operativit e dei modi in cui essa si articola, permettendo cos di sfuggire a quegli orizzonti critici che vorrebbero cogliere lapprensione, lo studio e lanalisi del fenomeno artistico in una sua astratta autonomia, separata dalla concreta prassi esperienziale, da una sua funzione espressiva e comunicativa. Si ha invece consapevolezza,
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come ancora scrive Formaggio, che compito dellestetica non quella di discutere sullarte, sulle sue opere, sulla loro attualit, sui molteplici risvolti delle sue pi o meno ideologiche poetiche, bens quello di reintegrare lesperienza artistica ed estetica nellesperienza ordinaria, qui descrivendo i rapporti di distinzione-relazione che allinterno di questa si possono rintracciare 9. La posizione di Dewey qui chiara, e coincide con quella di certa tradizione fenomenologica, Dufrenne in prima istanza: scoprire, attraverso lesperienza estetico-artistica, la qualit estetica dellesperienza stessa. Cogliere, come avrebbe detto Dufrenne, come dallesperienza ordinaria si possa afferrare il senso dellesperienza estetica e, da qui partendo, cercare il potere espressivo e ontologico dellesperienza stessa, il suo valore simbolico, in modo che larte diventi testimonianza di una possibilit antropologica, quella di trascrivere ed organizzare in ritmo ed equilibrio le energie viventi del mondo 10. Allo stesso modo, e proprio perch non ha senso definire lesperienza, va osservato che se termine che non tutta la tradizione fenomenologica ama e apprezza (centrale in Husserl, ben presente in Dufrenne, invece termine quasi del tutto assente nella prima estetica fenomenologica tedesca e, elemento che pu destare maggior stupore, anche in Merleau-Ponty), viene comunque sempre considerato come un modo per afferrare le relazioni estetiche tra il soggetto corporeo e il suo mondo circostante, al fine di formare un intero, di cui le qualit si determinano attraverso una rete di atteggiamenti, intenzionalizzazioni, determinazioni qualitative. Descrizione, analisi trascendentale e ricerca del significato metafisico che sono poi i tre obiettivi che Dufrenne pone per la sua fenomenologia dellesperienza estetica sono su un piano comune, che quello attraverso il quale, al di l di ogni psicologismo, si consapevoli che la coscienza che si volge alloggetto costitutiva, ma a condizione che loggetto si presti alla costituzione, dal momento che la sussunzione possibile soltanto se si presuppone unautocostituzione delloggetto che comprende in qualche modo il soggetto, soggetto e oggetto essendo un momento assoluto di cui la finalit testimone 11. Siamo cos allinterno di una prospettiva che, in modo esplicito, prende avvio da unantropologia per concludersi in unontologia, dove lunit carnale e organica di soggetto e oggetto costituisce un insieme che definisce la vita stessa dellesperienza estetica, allinterno della quale lopera darte si pone come campo privilegiato, quello che potr con maggiore sicurezza condurci alloggetto estetico e allesperienza estetica 12. La conclusione della fenomenologia dellesperienza estetica cos, per Dufrenne, unontologia che, sulla scia di Merleau-Ponty, vede nellincontro ontologico dei due piani la destinazione finalistica dellesperienza estetica, che assume, in rinnovata analogia con Dewey (pur mai citato da Dufrenne), aspetti espressivi, dove lespressione
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caratterizzata da quella stessa interattivit che si ritrova in Arte come esperienza. In tutti questi casi, pur separati da impostazioni, tradizioni e finalit teoriche, si ritrova sempre una specie di quello stesso elogio naturalistico dellorganico di cui sono grandi esempi Diderot o Goethe, che pi rifiuto ideologico di forme precostituite di determinismo, meccanicismo e, allopposto, di psicologismo ed empirismo ingenuo che precisa opzione teorica. Opzione che invece costituisce lossatura dellargomentazione di Dufrenne: perch, se esperienza estetica la correlazione intenzionale di soggetto e oggetto, e se questultima realizza il suo senso eidetico come sintesi passiva, si tratta di descrivere lo svolgersi modale di questo incontro, cio gli atti che illuminano i punti di vista che meglio dispiegano le qualit intrinseche alloggetto estetico. Pur viziata da qualche retaggio humeano, e da alcune utilizzazioni non rigorose di Husserl, la descrizione dufrenniana dellesperienza estetica ha comunque fatto scuola. Anche senza indulgere in particolari analitici, importante sottolineare che qui, come in Dewey, vi una centralit di un piano percettivo, visto non come isolamento atomistico, ma in quanto dinamicit attiva. Esperienza cos, in prima istanza, rifiutando Sartre e il suo elogio idealistico e nullificante dellimmaginazione e della sua eterea libert, lo svolgersi della percezione, che in prima istanza presenza estetica e capacit di costruire rappresentazioni che si sottopongono a unattenzione riflessiva. Se questo dunque il piano generale dellesperienza, vi sono oggetti che richiedono un diverso atteggiamento ricettivo, cio un diverso modo esperienziale, in quanto esprimono (e questo termine va ovviamente sottolineato) un universo di senso che il piano presenziale e quello rappresentazionale non esauriscono. Alle qualit intrinseche a questi oggetti che Dufrenne chiama, sulla scia della terza Ricerca logica di Husserl, gli apriori materiali dellaffettivit, che la loro intrinseca espressivit corrisponde unespressivit del soggetto che viene chiamata sentimento, che un modo per cogliere la profondit delloggetto stesso. Vi , a questo punto, unimplicita divaricazione, che Dufrenne stesso sottolinea. Se si segue infatti laspetto organicistico ed empatico della relazione espressiva e sentimentale con loggetto estetico, sorge la domanda su che cosa esso si fondi, introducendo quellipotesi organicistica cui si accennava, che ha esiti ontologici. Se si lascia cadere questo aspetto, ci si concentra invece sulla relazione sentimentale ed espressiva, chiedendosi che significato abbia la profondit espressiva e sentimentale che rende possibile quella particolare tipologia di esperienza che chiamata estetica, esperienza dove la percezione e la rappresentazione tendono al di fuori di s, verso territori descrittivi che, a partire dal visibile, hanno come orizzonte linvisibile o il sovrasensibile. Scegliendo questo percorso, al centro dellesperienza estetica si
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pone quel particolare oggetto che eccede la percezione ordinaria, che con le sue sintesi estetiche stimola lattenzione sinergica di un corpo vivo organico e operante: oggetto che, appunto, si chiamato opera darte. Lesperienza estetica non esperienza dellarte, ma larte lorizzonte estetico che permette di far venire in luce il senso espressivo dellesperienza stessa, la forza sentimentale e organica di un corpo proprio, che , come tutti gli autori citati potrebbero dimostrare da vari angoli di visuale, il vero protagonista dellesperienza estetica, sulla scia di quel che Husserl scrive nel secondo volume di Idee e nelle Meditazioni cartesiane. Senza il Leib, e le cinestesie che ne costituiscono la prassi descrittiva e operativa, non sarebbe possibile porsi nellorizzonte dellesperienza estetica, che capacit di cogliere nella variazione immaginativa lessenza delle cose stesse, che non nulla di immutabilmente platonico come spesso ancora non si comprende bens una struttura corporea, una struttura desperienza. una corporeit che, come scrive Formaggio, una emergenza polifonica da molti contesti e che dunque chiede di essere considerata in tutta la sua ampia complessit fenomenologica 13 perch solo da questa che il corpo pu apparire come qualcosa di geneticamente dinamico, qualcosa che non mai un se stesso, poich sempre il s e laltro 14. Un corpo, quindi che, come afferma Husserl, ma come si pu desumere anche da Dufrenne, nel suo essere Leib, corpo vivo e vivente, muta, proprio in virt della sua costitutiva dinamicit, i suoi atteggiamenti descrittivi, cercando nelle anse percettive non solo rappresentazioni, prospezioni immaginative, nessi memorativi, cause finali ed efficienti, bens, ove loggetto lo richieda, interrogando in questa direzione la percezione, orizzonti motivazionali, qualit espressive, contenuti spirituali. Un corpo in movimento il motore mobile di unesperienza dinamica, che su di esso disegna i suoi percorsi: ed questa la mobilit di unesperienza estetica che cerca sempre di nuovo, attraverso larte e i suoi complessi piani motivazionali, di uscire dalle strettoie della ripetitivit, della museificazione: sia Dewey sia Dufrenne, attraverso la mobilit organica dellesperienza espressiva del corpo, vedono un modo per liberare lesperienza, liberando con essa larte. Lopera, scrive Dufrenne, deve offrirsi alla percezione: deve essere eseguita per passare in qualche modo da unesistenza in potenza a unesistenza in atto 15. Larte autentica, aggiunge, una parola originale che al tempo stesso desta un sentimento e scongiura una presenza, pi che recarci un senso concettuale 16. Lo schema dellesperienza estetica ha dunque una sua lineare chiarezza concettuale: possiede una struttura percettiva, una concettualizzazione rappresentazionale, una organica mobilit corporea, che diviene espressivit e sentimento quando un oggetto estetico denso di profondit che la tradizione chiama opera darte sollecita una percezione a sua volta pi profonda, una tipologia di esperienza che
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antropologica, organica, forsanche ontologica, una percezione che non pu rimanere rinchiusa in una istituzionalizzazione dellartistico proprio perch, per dirla con Dewey, lopera darte ha una qualit peculiare, che , per, quella di chiarire e concentrare significati che sono contenuti in modo disperso e debole nel materiale di altre esperienze 17. Ci si pu chiedere, a questo punto, che cosa tutto ci significhi, e soprattutto a che cosa conduca. Il significato generale , si ritiene, evidente, e ha anche recentemente trovato vari avversari in alcune manifestazioni della filosofia analitica. Infatti, se lesperienza estetica definisce il suo pi alto livello di consapevolezza avendo di fronte loggetto artistico, anche questultimo non pu che sprigionare il suo senso se non inserendosi nei processi di questa stessa esperienza, nelle dinamiche motivazionali, storiche e intersoggettive che stratificano la dottrina e la prassi dellesperienza che sempre esperienza corporea, intercorporea connessa agli atti della percezione e delle sue modificazioni immaginative e memorative. Unarte senza estetica posta, come avrebbero detto Banfi e Formaggio, in unastratta autonomia pu forse essere oggetto di ricerche critiche, iconologiche, linguistiche, storiche, non di una dinamica filosofica di carattere conoscitivo. questo un caposaldo che, se unisce Dewey e la fenomenologia, anche perch fa da spartiacque tra ricerche, segnando differenze che troppo spesso si preferisce ammorbidire o annegare in raffinatissime storie delle idee. Se le opere darte sono forme di vita, ebbene, la vita non quella del linguaggio, ma della prassi esperienziale e corporea, pur coniugata secondo differenti e articolate modalit. Lanalisi di singole esperienze, di singole forme di vita artistiche, non dice nulla sul significato generale del processo: soltanto una forma di empirismo, non sempre raffinato, che riporta ogni cosa a un orizzonte fattuale che si pu definire solo come pre-critico (in senso kantiano) o addirittura, per dirla ancora con Banfi, pregalileiano. Si eserciti pure lo sguardo, pi o meno definitorio, sullarte o sulle sue singole esperienze, purch non si dimentichi il monito aristotelico, da cui la filosofia ha preso avvio, cio che del particolare non si d scienza. La singola esperienza, lesempio, deve cercare di far risalire alla condizione di possibilit, ovvero al valore generale conoscitivo dellesperienza estetica dellarte. significativo che molte esperienze della cosiddetta arte concettuale che sembrerebbe un mero elogio del linguaggio accompagnato da una anestetizzazione dellesperienza estetico-artistica possa in realt condurre in tuttaltre direzioni. Infatti, come ben osserva Migliorini 18, a partire da Duchamp e dalla sua volont di annullare la definizione dellarte, si vede nellarte non un luogo sacrale e museale, da sottoporre alle raffinate indagini dei critici e dei sociologi, bens il luogo dove si svolgono gli esercizi e i riti della sensibilit.
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tuttavia indubitabile, come ancora osserva Migliorini 19, che siano stati certi eccessi peraltro proprio in stile con esperienze filosofiche come quelle di Dewey o di alcune espressioni della fenomenologia ad avere originato una ricerca nel senso opposto, che alla hyle preferisse, con procedimento astrattivo, la morph intenzionale (sviluppando, a rigore, unaltra direzione implicita nella fenomenologia stessa). questo, appunto, il primo risultato cui unenfatizzazione del valore corporeo dellesperienza estetica pu condurre, cio alla restaurazione di una nuova dicotomia, tutta giocata sulle raffinatezze analitiche, in cui cade nelloblio anche la pi banale delle ovviet, cio che noi si esperisce sempre con il nostro corpo, e che tale esperienza ha una sua struttura che si definisce in processi e funzioni, e non in formule linguistiche (cui pure stato trasportato anche il pragmatismo, senza che in tale trasformazione alcuna responsabilit si possa attribuire alle pagine di Dewey). Per evitare dunque che lesperienza estetica, di cui gi si guardato con sospetto la deriva sociologista e critica, convinta che vi sia pensiero nuovo ovunque si verifichi qualche prassi nuova, si ossifichi in una contrapposizione tra materia e forma, rigettando la lezione di Goethe, si tratta di avere ben presente, in conclusione che i due punti di vista coesistono. Una coesistenza gi ben compresa da Kant, al di qua di dialettiche scissioni e riconciliazioni, nella consapevolezza che ove si colgono i limiti speculari dellempiria e del razionalismo, si deve trovare lo spazio e lesperienza estetica tale spazio per una comunicabilit, dove comunicare significa in prima istanza un mettere in comune una prassi consentanea, compossibile e cosensibile, del mondo 20. Anche quando larte sembra diventare linguaggio o parola, come per esempio accade nelle esperienze dellarte concettuale, si deve quindi evitare lequivoco che ci accada per rigetto di regole esperienziali, assumendo invece un paradigma linguistico o semiologico. Siamo invece di fronte a un trapasso da un universo segnico a un altro di campo diverso non in virt di una nullificazione dellesecuzione materiale, fisica, corporea, gestuale, bens in un tentativo di cogliere i sensi problematici della progettualit intrinseca allesperienza estetica. Di conseguenza, proprio larte concettuale, anzich verificare una ineliminabile condizione linguistica dellarte (come pur stato detto), verifica, proprio allopposto, una intransivit dallarte alla lingua o meglio alla condizione linguistica, se non mettendo in scacco metaprogettuale sia luna sia laltra 21. Seguendo dunque le fila di un esempio, quello dellarte concettuale, Art after Philosophy di Kosuth, mettendo tra parentesi le sue notevoli ingenuit filosofiche, pu indicare una direzione, aporetica quanto il concetto di esperienza estetica. Sembra infatti che Kosuth, basandosi sullovvia citazione da Wittgenstein, dica che The meaning is the use, mirando a determinare un concetto allinterno di un uso, cio sul piano di un gioco linguistico che non vuole n deve
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verificare i suoi riferimenti. A ci, peraltro, si accompagna unesplicita volont di separare lestetica dallarte, intendendo con il primo termine proprio ci che connette percezione e bellezza, avendo a che fare, a suo parere spesso in modo estetistico, con le forme decorative. Quando, invece, si tratta di condurre larte al di fuori dellesperienza estetica per riportarla, come nella logica dei ready-mades, nella quotidianit della pratica percettiva. Come ben riassume Migliorini: La forma delloggetto, la sua organizzazione, il suo presentarsi come tale alla sensibilit, solo equivocamente possono essere riconosciuti come arte: lartisticit delloggetto, la sua appartenenza ai piani dellarte puramente occasionale, dovuta allintervento nei suoi confronti di qualcosaltro che non sia la semplice oggettivit, allintervento cio dellidea, del concetto, che attribuiscono un valore darte a ci che ne fondamentalmente privo. Ma larte, allora, lartisticit, una volta sottratto loggetto nella sua occasionalit, resta in s pura e incontaminata, si presenta per essere colta in quanto tale 22. La famosa espressione kosuthiana che tutta larte (dopo Duchamp) concettuale (nella sua natura) perch larte esiste solo concettualmente sembra dunque essere lesplicito rifiuto di un edonismo morfologico e formalistico, che abbandonando lesteticit ritiene che lesperienza dellarte non sia propriamente estetica, bens si riferisce alla sola contemplazione del concetto stesso di arte: in senso proprio, artista solo colui che non costruisce opere particolari attraverso specifiche forme o generi dellarte, bens indaga e riflette sulla natura dellarte. Concetto che per Kosuth a priori e che dunque, malgrado lindagine, dovr essere considerato, come la matematica e la logica, in quanto struttura formale priva di contenuti empirici e che, attraverso Linguaggio, verit e logica di Ayer, finisce per essere riducibile a proposizioni analitiche che ne esprimano le conseguenze formali. Da ci facile dedurre che il piano di presentazione dellarte il linguaggio e quindi ogni sua risoluzione esperienziale potr essere solo linguistica e preposizionale. Lunico modo per operare nel campo dellarte cos quello di derivare proposizioni analitiche nei confronti dellarte (dellartisticit come autovalore) 23. Questa posizione ha un solo esito: se fare arte significa soltanto contemplare e definire la struttura formale dellautovalore arte, le relazioni, forse, dellautovalore con altri autovalori, in una ricerca infinita 24, allora il risultato soltanto il silenzio e proprio un silenzio dellesperienza. A meno che, ed ci che accade a Kosuth pochi anni dopo, in un saggio dedicato allidea di contesto, si introduca in questa dinamica una visione contestuale dellarte, dove per, come osserva, il contesto finale ed essenziale sconosciuto e non pu esistere in alcun modo riferibile a una Gestalt o a qualsiasi entit iconica implicita. Si esce cos da una definizione tautologica e linguistica dellarte dal momento che larte stessa rifiuta di essere definita. E tale rifiuto non
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pu che essere un ritorno allesperienza, come se, alla fine, si fosse appresa la lezione di Goethe, comprendendo che gli esperimenti hanno senso solo se inseriti nel quadro generale che ne pone le condizioni di possibilit empiriche, e che si chiama, appunto, esperienza: la parola puro suono se non sostenuta da un concetto, ma il legame tra il concetto e il suono comunque un evento estetico, che ha in s un elementi misterico Lantica affermazione di Lewitt, per la quale gli artisti concettualisti sono dei mistici piuttosto che dei razionalisti, torna dunque di attualit: essi balzano a conclusione cui la logica o, si pu aggiungere, la parola come puro evento non pu giungere. La parola, lirriducibile alla forma, dellarte concettuale si perde infatti qui in un plotiniano anideon, che il segno dellimpossibilit dellarte a essere ricondotta a una forma, ma che anche, al tempo stesso, disperata tensione verso un valore perduto o nascosto, tentativo di indurlo ad una impossibile rivelazione (quasi a una incarnazione del logos) 25. La parola un nulla che esplode, un visibile che chiede di andare fuori da s, in un invisibile che nellatto si incarna, sempre di nuovo. Si sar intuita la conclusione cui si voleva giungere: non soltanto quella che bisogna arrivare ai limiti estremi della parola-concetto per rovesciarne il nulla in valore comunicativo, ma anche che i processi dellesperienza estetica hanno nelle loro stesse condizioni di possibilit quelle di non limitarsi al dato e alla sua presenza sia esso una forma empirica, un concetto, una parola, un atto nel momento in cui questo stesso dato richiede domande che mentre ne rivelano laspetto sensibile muovono, sempre e comunque, oltre la sua esteticit. Se questo principio decade, perdendo nel frammento la propria teleologia, confondendo lintero e la parte, essa va recuperata nel suo senso originario, cercandone lattivit di base, quella che si vede in funzione nei processi della sensibilit e dove, con larte, ma non soltanto con larte, bens in tutte quelle configurazioni il cui senso non si limita al primo sguardo, essa si realizza attraverso strumenti simbolici, in cui il giudizio esce dai limiti del linguaggio e coinvolge modalit giudicative e fondative del nostro corpo vivo. Il senso del percorso dellesperienza estetica che senso estetico e razionale insieme va cercato l dove appare originariamente, in quelle immagini sensibili che fanno pensare, il cui senso intrinseco ai dati che appaiono, alla loro forza presentativa e rappresentativa. Le opere non si esauriscono nella loro presenza, e apparenza, in quanto tali substrati conducono alla questione della fondazione di un senso che rinvia a un processo di formazione del senso stesso. in tal modo che, al di l delle mistiche dellautonomia dellarte, della parola, del linguaggio, della forma di vita, del logos o dellaisthesis, della forma o dellimmagine, una fenomenologia degli strati dellesperienza estetica sempre da Giotto ai concettualisti il tentativo di chiarificare e ricomporre la frattura tra
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visibile e invisibile, tra un significato legato alla presenza e uno che la trascende, nella consapevolezza che la nostra esperienza del mondo, che lesperienza stessa della ragione, non pu limitarsi alla mera visibilit e deve piuttosto, attraverso il visibile, senza il quale nulla potrebbe essere conosciuto, avviare il recupero di una dimensione invisibile, cio di una genesi profonda in cui si incrociano, senza mai unificarsi in una tranquillizzante ontologia, i piani dellimmanenza e della trascendenza. Le rappresentazioni simboliche, le forme che hanno profonde stratificazioni di senso, gli atti concettuali e le parole che le costituiscono, nelle intenzionalizzazioni di uno sguardo che indaga, appaiono comunque come esperienze che generano al tempo stesso emozione e ragionamento: non sono entit astratte, n esempi di svolte epocali cui larte ci avrebbe condotto, bens correlati di unesperienza che una rinnovata interrogazione della complessa stratificazione degli atti del rappresentare. Unesperienza di tal genere non per soltanto lattestazione empirica di alcune attualit particolarmente significative, bens, loro tramite, mira a porre le condizioni di possibilit per uninterrogazione generale sul senso delle cose mondane: un senso che si fonda certo sul loro apparire sensibile, ma ad esso non limita il loro valore cognitivo, afferrandone invece le regole sulla base delle quali se ne evidenziano le qualit intrinseche, le specificit espressive e significanti. Lesperienza simbolica, il pensiero che da essa scaturisce, si radica nel darsi stesso del sensibile, e nella forza immaginaria che in esso si pone, nel divenire delle sue forme, nel celarsi in esse di mondi possibili, nella convinzione che da qui che si pu avviare un recupero del senso non contingente della conoscenza. Un senso che ha in queste sintesi estetiche, quelle che Husserl chiama sintesi passive, che sono il senso stesso dei dati empirici, una condizione di possibilit che non forma astratta, bens conoscenza estetica del mondo, che sul piano metodologico procede interrogandone e descrivendone le differenze, gli strati di significato, le modalit dellintuizione sensibile, le regole di costituzione degli interi, gli intrecci di dimensioni temporali, tutti quei modi dessere il cui senso non si limita al primo sguardo. Numerosi fondamentali testi di estetica o teoria dellarte tra gli anni Sessanta e Settanta, anche se di impostazione diversa, si trovavano quasi costretti a confrontarsi con le variatissime posizioni sociologiche, linguistiche, semiotiche, spesso tra loro commiste e occasionalmente attraversate dalla psicanalisi. Le stesse opzioni di teoria critica o sociologica, tramontate nella loro autonomia ideologica, si sono, spesso inconsapevolmente, riversate sul piano linguistico, disegnando una sorta di autonomia dellartisticit nel senso kosuthiano dellarte come autovalore, spesso attraversato dalla banalizzazione irrispettosa dei giochi linguistici di Wittgenstein sino alla deriva a quella che per me una deriva di un discorso analitico che riduce larte a linguaggio, dimen95

ticando laisthesis, il desiderio, il corpo, le sue operazioni di senso. Forse stato leccesso di carne a condurre a questa reazione uguale e contraria, allambigua anestetizzazione linguistica dellestetico o, al contrario, alla sua autonomia linguistica che ne cancella la valenza di pensiero simbolico cui abbiamo assistito negli ultimi trentanni, lorgia di estetizzazione cui la quotidianit spesso conduce, facendo divenire estetica anche le poetiche dei grandi scrittori del secolo scorso, confondendo dunque gli ambiti in una notte in cui tutte le vacche sono nere, e tutti gli artisti filosofi. Un testo come quello di Dewey, allora, oggi pu avere il valore che nel Seicento ebbero gli Essais di Montaigne: un richiamo, a fronte di tutti i riduzionismi, alla salute dellesperienza. Una salute che dallarte o, meglio, dallartisticit, dal legame tra lartistico e lestetico deve riprendere avvio. Le utopie sociali sono superate, e sono la parte transuente della riflessione deweyana, ma non lo sono affatto le istanze antropologiche, quelle che devono farci uscire dallorgia incontrollata dellesperienza come esperienza linguistica che non affatto esperienza per riportarci alla convinzione che il pensiero, non la parola, che noi coltiviamo. E il pensiero mai si dimentichi lincipit della Critica della ragion pura cieco e vuoto senza lesperienza (esperienza di unopera, di un cancello di ferro battuto, di un atelier ben fatto, come quelli in cui passeggiava Diderot) perch la sua specificit antropologica proprio quella di comprendere, come scrive Dewey, che la fame che ha lorganismo di trovare appagamento attraverso locchio a mala pena inferiore al suo pressante bisogno di cibo.

1 E. Husserl, Storia critica delle idee, a cura di G. Piana, Guerini, Milano 1989, p. 193. 2 G. Piana, Elementi di una dottrina dellesperienza , Il Saggiatore, Milano 1979, p. 19. 3 Ivi, p. 20. 4 Ibidem. 5 Ivi, p. 217. 6 D. Formaggio, Lestetica di John Dewey, in D. Formaggio, Studi di estetica, Renon, Milano 1962, p. 104. 7 Ivi, p. 109. 8 G. Matteucci, Presentazione a J. Dewey, Arte come esperienza, Aesthetica edizioni, Palermo 2007, p. 9. 9 D. Formaggio, cit., p. 115. 10 Ivi, p. 119. 11 M. Dufrenne, Fenomenologia dellesperienza estetica, Lerici, Milano 1969, p. 19. Questopera di Dufrenne del 1953. Di essa stato tradotto in italiano solo il primo volume. 12 Ivi, p. 31. 13 D. Formaggio, Arte, Mondadori, Milano 1981, p. 228. 14 Ibidem. 15 M. Dufrenne, cit., p. 67.

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Ivi, p. 206. J. Dewey, cit., p. 103. E. Migliorini, Lo scolabottiglie di Duchamp, Il Fiorino, Firenze 1970, p. 201. Id., Conceptual Art, Il Fiorino, Firenze 1972, p. 12. D. Formaggio, Arte, cit., p. 173. Ivi, p. 178. E. Migliorini, Conceptual Art, cit., p. 153. Ivi, p. 158. Ivi, p. 160. Ivi, p. 164.

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Lestetica come filosofia dellesperienza Rileggendo Dewey con Garroni


di Leonardo Amoroso

Il progetto di una rifondazione dellestetica nel senso di una filosofia dellesperienza stato autorevolmente proposto e approfonditamente sviluppato da un autore che un riferimento imprescindibile nella storia recente dellestetica italiana: Emilio Garroni. La sua proposta ben presente a tutti noi. Sar dunque sufficiente che la richiami dapprima in maniera telegrafica, per passare subito dopo a valorizzare i riferimenti e le critiche di Garroni a Dewey. Seguendo la via indicata da Garroni, e sviluppandola come posso, cercher di inquadrare lopera di Dewey in un orizzonte pi ampio: quello della definizione teorica dellestetica e, insieme, della riconsiderazione della sua storia. Lestetica di Garroni una filosofia non speciale, come suona il sottotitolo dellopera in cui essa stata per la prima volta proposta: Senso e paradosso 1. Non una parte, magari marginale, della filosofia, dedicata a unesperienza, quella dellarte bella, tutto sommato secondaria rispetto ad altre forme di esperienza (quella conoscitiva, quella morale, etc.), ma una filosofia dellesperienza in genere. Ma ci non significa che essa sia, daltro canto, una filosofia generale al modo di una metafisica che pretenda di descrivere dallesterno lesperienza e le sue forme. N filosofia speciale n filosofia generale, lestetica intesa al modo di Garroni si configura invece, secondo quanto suggerisce il titolo stesso del libro, come un risalimento, allinterno dellesperienza, verso il suo senso. I pensatori ai quali Garroni si richiama nel proporre questestetica sono soprattutto Kant e poi Wittgenstein e Heidegger. Ma significativo anche il riferimento a Dewey. Quanto e perch lo sia risulta immediatamente chiaro da poche frasi di unintervista concessa da Garroni, un anno prima della morte, a uno studente, Fiorenzo Ferrari, che gli stava dedicando la tesi di laurea 2. Alla domanda relativa, Garroni rispose: Lestetica di Dewey unestetica precisamente nel mio senso pi che non nel senso di molti altri. Non unestetica dellopera darte. Ha come oggetto non solo lopera darte, ma certe esperienze, che rimandano ad un certo principio che lo stesso di quello del giudizio estetico in senso stretto. Veramente, Dewey non parla esplicitamente di principi, ma fa esempi che non hanno niente a che fare con larte, assimilandoli tuttavia a questa sotto un comune denominatore: il
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pranzo in un ristorante fran cese, oppure la tempesta (se ricordo bene) durante una crociera, e cos via. Gli esempi qui ricordati da Garroni (e da lui pi ampiamente discussi come vedremo in Senso e paradosso) sono addotti da Dewey nel terzo capitolo di Art as Experience 3, quello che ne conclude la parte introduttiva, dedicata alla nozione di esperienza e al suo rapporto con la nozione di arte. Data limportanza fondamentale di questi tre capitoli per il progetto di unestetica come filosofia dellesperienza, ne richiamo, sia pur brevissimamente, i temi pi significativi per quel progetto. Tuttavia, preciso subito che Dewey non si discosta dalla nozione tradizionale (o, pi precisamente, ottocentesca) di estetica come filosofia delle belle arti 4. Quello che critica la concezione dellarte e delle opere darte come un regno separato dellesperienza: una concezione che, lungi dal valorizzarle, ne impedisce la comprensione. Per questo argomenta occorre invece acquisire consapevolezza della continuit fra lesperienza estetica e lesperienza ordinaria, riscoprendo quellelemento estetico che presente gi in questultima e che lesperienza specificamente estetico-artistica sviluppa e accentua. Dewey fa valere anche una continuit fra lesperienza la natura, come risulta chiaro, del resto, fin dal titolo dellopera che costituisce la premessa immediata di Art as Experience, cio Experience and Nature5. In questo modo, lesperienza ricondotta alla nozione, pi generale, di vita e descritta, pi precisamente, nel senso di uninterazione fra organismo e ambiente. Lesperienza un adattamento per espansione 6, una vitalit intensificata 7 che si produce quando una perdita dellintegrazione viene superata e si realizza una nuova integrazione: Lesperienza il risultato, il segno e la ricompensa di quella interazione tra organismo e ambiente che, quando raggiunge la pienezza, si trasforma in partecipazione e comunicazione 8. Gi questa concezione dellesperienza ha tratti che possiamo definire estetici. Ma la qualit estetica dellesperienza viene ricondotta da Dewey soprattutto a quella che si potrebbe chiamare la vocazione dellesperienza allunit. Pi che di esperienza in generale, come fanno i filosofi (compresi gli empiristi), infatti opportuno parlare, dice Dewey richiamandosi al linguaggio comune, di esperienze che sono ad una ad una singolari, dotate ciascuna di un proprio inizio e di una propria fine 9. Lunit numerica (il fatto che lesperienza sia sempre questa o quella esperienza determinata) trova per cos dire il suo suggello come gi si evince dalla fine del passo appena citato nellunit qualitativa, quella che il linguaggio comune definisce accentando larticolo: Facciamo una esperienza quando il materiale esperito porta a compimento il proprio percorso. Allora e soltanto allora esso integrato e delimitato da altre esperienze entro il flusso generale dellesperienza. [] Unesperienza del genere un intero, e reca con s la propria qualit individualizzante e la propria auto-sufficienza. una esperienza 10.
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in riferimento a questunit qualitativa, quella per cui unesperienza pu essere un evento integrale 11 (o, anzi, deve esserlo per valere come una esperienza), che Dewey ricorre agli esempi del pranzo e della tempesta ricordati da Garroni. Solo alla fine di questo terzo capitolo Dewey parler dellesperienza specificamente estetica (quella in cui anticipo vengono resi manifesti per loro stessi i fattori12 estetici di ogni vera esperienza). Subito prima porter gli esempi di unesperienza intellettuale e di unesperienza pratica, dotate anchesse di una qualit estetica. Ma prima ancora degli esempi relativi a queste tre forme elevate di esperienza (la conoscenza, lazione e larte), che sono quelle per lo pi tematizzate dai filosofi, Dewey porta volutamente esempi tratti dalla vita ordinaria. Tuttavia, siccome questultima per lo pi, purtroppo, non-estetica, quegli esempi hanno comunque qualcosa di straordinario. Per questo osserva Dewey si soliti ricordarli qualificandoli come vere esperienze o commentando: quella stata unesperienza. E non si tratta nemmeno necessariamente di esperienze di grande importanza, che abbiano segnato la vita di una persona. Pu trattarsi per lappunto di qualcosa di relativo scarso rilievo (come quella tempesta e quel pranzo), ma che proprio per il suo scarso rilievo mostra al meglio cosa pu essere unesperienza 13. Su questultima osservazione fa leva Garroni al quale possiamo adesso ritornare per poter rintracciare in Dewey unestetica non speciale. In Senso e paradosso, in un denso riferimento a Dewey 14, Garroni sottolinea infatti che quegli esempi sono non tipici, come sarebbero invece quadri e opere darte, e che rispetto a questi ultimi hanno addirittura una funzione euristica maggiore. Lhanno argomenta perch, proprio in quanto non sono tipici, non possono passare come rappresentanti di una classe di oggetti di tipo presuntivamente estetico, cio di unideale collezione di oggetti artistici di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Seguiamo ancora Garroni nella sua interpretazione. Quel pranzo e quella tempesta nominati da Dewey sono stati real experiences 15 e possono dunque ben esemplificare ci che merita di essere appunto chiamato unesperienza, cio commenta Garroni lesperienza genuina, non parcellizata nel tempo. E ad esplicazione aggiunge immediatamente, dopo due punti: lesperienza come tale. Poche righe sotto, Garroni arriva a parlare di esperienza in genere, traendo infine questa conclusione: Quadri, pranzi, tempeste non sono che esempi di qualcosa che li rende possibili come esempi. Cos che, in Dewey, una vera e propria riflessione sullesperienza reale non pu non essere che risalimento, allinterno dellesperienza concreta, verso la sua condizione di possibilit, verso quellesperienza in genere, anticipata a priori, che ci consente e di avere e di parlare di questa o quella esperienza. In questo passo ritornano, accanto ai pranzi e alle tempeste, anche
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i quadri, cio opere darte. Ne discuter pi avanti. Adesso vorrei invece soffermarmi su un ritorno ben pi sconcertante: il riferimento allesperienza in genere, che Dewey sembrava avere tolto di mezzo. Tuttavia, Garroni non vuol certo ricadere in posizioni filosofiche astratte, proprie della filosofia moderna, dalle quali Dewey intendeva risolutamente uscire (come si visto col suo riferimento allempirismo. Ma il razionalismo non certo meno astratto). Anche Garroni intende uscirne, ma in un modo diciamo meno sbrigativo di quanto gli pare che faccia Dewey, il quale, a suo avviso, non sfrutt fino in fondo le possibilit di comprensione delle sue proprie tesi. Garroni, dunque, rilancia il riferimento allesperienza in genere e lo fa addirittura nella sua interpretazione di Dewey. Si potrebbe forse dir cos: proprio lesperienza in genere, per essere pensata davvero, va pensata tenendo conto anche di quel tratto singolare, individuale, che caratterizza volta a volta lesperienza appunto in quanto esperienza, nel suo essere cio esperienza concreta. Altrimenti ci si trova a che fare con unastrazione che, nel caso dellesperienza pi che in altri, ci fa perdere lessenziale. Questo riferimento allindividuale anim del resto a suo tempo il fondatore dellestetica, Baumgarten, e gi, anzi, la sua fonte: Leibniz. Si trattava, per esempio, di pensare il rapporto fra individualit e universalit (o fra singolarit e totalit) in un modo diverso da quello di una mera subordinazione logica di particolare e generale. E questistanza ha poi animato, in vario modo, molti autori della successiva storia dellestetica, per esempio (e non certo un mero esempio fra gli altri) gi il Kant della terza Critica 16, dove si parla per lappunto, fra laltro, di ununiversalit, diversa da quella logica, rivendicata paradossalmente da giudizi singoli e da singoli giudicanti. In generale, in questopera Kant compie un tentativo poderoso di pensare lesperienza, pur restando a livello trascendentale, in modo meno astratto e tautologico (e, dunque, pi specificato e determinato) di quanto non accada quando la si concepisce semplicemente dal punto di vista delle categorie dellintelletto 17. Ma la possibilit di pensarla in tal modo, ha mostrato Garroni con ottimi argomenti, offerta da Kant dalla scoperta di un principio e da una facolt in senso lato estetici18 che permettono un risalimento dellesperienza, dal suo interno, verso il suo senso. Abbiamo ritrovato questa formulazione (gi citata in apertura, riassumendo telegraficamente Senso e paradosso) alla fine del brano di Garroni su Dewey, del quale vorrei ora citare alcuni punti (finora volutamente omessi) che avvicinano Dewey proprio a Kant in riferimento a unestetica non speciale, ovvero in riferimento a una filosofia dellesperienza che riconosca come fondamentale in questultima un principio (Kant) o una qualit (Dewey) estetici (in senso lato). Lexcursus su Dewey infatti introdotto, nel libro di Garroni, appunto a partire da
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Kant, sia pure nel senso di voler mostrare come non ci sia per niente bisogno di essere seguaci fedeli di una tradizione trascendentalista 19 (quindi come non ci sia bisogno di riconoscersi kantiani) per far valere una concezione estetica dellesperienza. Poche righe pi avanti, dove suggerisce (come abbiamo ricordato) che Dewey non avrebbe sviluppato compiutamente le possibilit di comprensione delle sue proprie tesi, Garroni imputa questo fatto a un qualche eccesso [] di vitalismo, che imped a Dewey anche di vedere le profonde consonanze tra il suo pensiero del Kant della Critica del Giudizio, che anzi egli fraintese affatto 20. Garroni torna poi brevemente su questo fraintendimento (o, quanto meno, su un suo aspetto) in un altro luogo del suo libro, quando, prima dintrodurre la sua interpretazione della terza Critica (quella secondo cui essa il primo, fondamentale tentativo di unestetica come filosofia dellesperienza), sgombra il campo da ogni interpretazione riduttiva di quellopera kantiana come quella, per esempio, che non vede in essa altro che unaggiunta al sistema critico gi delineato come ingenuamente e curiosamente pensava Dewey, e non solo lui per completare la trinit classica del Vero, del Bene e del Bello 21. Vediamo pi da vicino, e discutiamo (proseguendo lungo la via indicata da Garroni), largomentazione di Dewey. Con tutto lamore per Kant, non si pu dire che Dewey non abbia qualche ragione quando afferma che Kant era un provato maestro nel tracciare prima distinzioni e nellinnalzarle poi a divisioni per compartimenti 22. Ma la critica non coglie affatto nel segno nel caso del significato della terza Critica, che senzaltro irriducibile (come Garroni ben argomenta e come anche il processo stesso della genesi di questopera conferma) a quello che vorrebbe Dewey. Questultimo scrive, in riferimento alle tre critiche kantiane: Dopo aver risolto il problema della Verit e del Bene cera ancora da trovare una nicchia per la Bellezza, il termine che rimaneva della triade classica 23. La parola nicchia (niche) era comparsa gi nelle prime pagine di Art as Experience 24, cio in quellincipit polemico nel quale Dewey aveva criticato, nel contesto di una polemica pi vasta (perch anche sociale e politica), ogni teoria che consideri larte come un regno separato, per esempio la concezione dellesperienza estetica come mera contemplazione 25. Ed appunto nel contesto di una critica alla concezione dellesperienza estetica come contemplazione ( opportuno sottolinearlo) che Dewey critica Kant. Con la sua estetica afferma Dewey venne [] aperta la strada [] che conduce alla torre davorio della Bellezza lontana da ogni desiderio, azione e turbamento dellemozione26. Dewey ha ragione a dire che lestetica kantiana stata recepita anche (e forse soprattutto) in questo senso. illuminante, al riguardo, il fatto che, pi avanti, discutendo dellinadeguatezza di varie teorie dellesperienza estetica 27 e, nella fattispecie, di quelle che la intendono come
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una fuga dal mondo verso un altro mondo, al di l dellesperienza, Dewey indichi in Schopenhauer il continuatore della teoria della contemplazione di Kant 28, considerandolo quasi linterprete accreditato dellestetica kantiana. Ma quello di Schopenhauer non lunico (e non il pi fedele) sviluppo del tema kantiano della contemplazione e del disinteresse29. Basti pensare, in alternativa, a Schiller 30, che proseguendo in tuttaltro modo sulla strada indicata da Kant vede nellesperienza estetica non un vuoto, ma un pieno, nel senso che proprio in essa che luomo pu fare esperienza della propria integralit e della totalit delle sue possibilit 31: da questo punto di vista che Schiller parla di educazione estetica e collega arte e politica. Non cito Schiller solo come obiezione allinterpretazione che Dewey d di Kant. Lo cito anche perch ritengo che Dewey, trattando di arte, di educazione e di politica, riprenda a suo modo non pochi temi schilleriani. Una qualche conferma pu venire da unimportante nota di Art as Experience che dice che la filosofia di Schiller un coraggioso tentativo da parte di un artista di sottrarsi al rigido dualismo della filosofia kantiana pur restando allinterno del quadro da essa delineato 32. La nota suggerisce ed certo unosservazione convincente che, una volta posto un dualismo, poi difficile sottrarcisi o superarlo. E si pu anche convenire sul fatto che, se possibile, meglio tagliare a monte il dualismo, come appunto Dewey tenta di fare con la sua filosofia dellinterazione di organismo e ambiente. Ma in ogni caso, almeno il tentativo di superare il dualismo gi presente, con tutta evidenza, nella terza Critica di Kant. Ed sorprendente che Dewey non lo colga, cos come non coglie il significato positivo, e non anemico 33, della teoria del disinteresse. In Kant, infatti, il disinteresse dellesperienza estetica fa tuttuno (come poi in Schiller) con la sua libert da costrizioni (sia dei sensi sia della ragione). E questo libero gioco, questa libert estetica, tale, come poi Kant argomenta, da vivificare lanimo 34 di chi fa tale esperienza e addirittura da congiungersi con gli interessi pi alti delluomo35. In questo senso lesperienza estetica, con la sua peculiare finalit formale36, sinserisce, quale elemento centrale, in una teleologia cha vede nella cultura la continuazione della natura 37, come risulta ben chiaro nella seconda parte della terza Critica, dove sono centrali i temi della vita e degli organismi (anche artificiali, cio culturali e politici) 38. Insisto su questi temi ben noti (ma, pare, non a Dewey) non solo per portare altre prove della tesi di Garroni di una consonanza tra la filosofia di Dewey e quella di Kant, ma anche per tentare uninterpretazione dellaffermazione di Garroni secondo cui il mancato riconoscimento, da parte di Dewey, della consonanza fra la propria filosofia e quella (da lui fraintesa) di Kant dipende da un eccesso di vitalismo. Forse vorrei commentare stato tale eccesso a impedire a Dewey
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di cogliere il vitalismo moderato, per chiamarlo cos, presente, come appena ricordato, nellestetica e nella filosofia di Kant. Alleccesso di vitalismo di Dewey Garroni imputa anche come si detto il fatto che egli non seppe realizzare appieno le possibilit di comprensione della sua stessa filosofia. Anche a proposito di questa tesi vorrei suggerire una glossa: forse in Dewey la nozione stessa di esperienza rischia talvolta di essere di fatto impoverita per un eccesso di vitalismo. Per chiarire questo paradosso, far un rapidissimo rimando a un altro pensatore importante per il progetto di Garroni di unestetica come filosofia dellesperienza. Heidegger ha distinto due modi opposti dintendere lesperienza: quello, inautentico, dellErlebnis (mera esperienza vissuta, puntuale e superficiale) e quello, autentico, dellErfahrung (un incontro che trasforma) 39. senzaltro possibile che cos dicendo Heidegger sia un po manicheo. Ma anche possibile che Dewey, nonostante che egli sostenga senzaltro una concezione dellesperienza come Erfahrung, lappiattisca talvolta sul mero Erlebnis. Ora per, a prescindere dal problema di questo eventuale scivolamento di Dewey verso la mera esperienza vissuta e anche da quello, pi generale, di ripensare la dicotomia Erlebnis-Erfahrung in relazione allesperienza estetica, vorrei piuttosto concludere questo mio intervento guardando al nesso di arte ed esperienza, nominato fin dal titolo del libro di Dewey e al problema del rapporto fra unestetica intesa come filosofia dellarte e unestetica intesa come filosofia dellesperienza. Notavo prima che nel brano di Garroni che riporta gli esempi del pranzo e della tempesta compaiono di nuovo anche i quadri. La cosa pone qualche problema: pi precisamente, il problema di una possibile differenza del carattere esemplare di questi due tipi di esempi. Forse si potrebbe distinguere dicendo che i primi sono come osserva Dewey e come sottolinea Garroni particolarmente significativi perch, proprio in quanto non convenzionalmente artistici, svolgono la funzione euristica di farci riscoprire lestetico gi nellesperienza comune, e di porre dunque le basi per una teoria dellarte fondata nellesperienza. Ma sono i secondi (i quadri e, in generale, le opere darte) ad essere effettivamente esemplari, nel senso forte di Garroni, in quanto manifestano esemplarmente le condizioni estetiche dellesistenza. Dewey la pensa in modo simile: Un oggetto peculiarmente e prevalentemente estetico, e dunque consente il godimento caratteristico di una percezione estetica, quando i fattori che fan s che qualcosa possa essere chiamata una esperienza sono innalzati molto al di sopra della soglia percettiva e vengono resi manifesti per loro stessi 40. In questo passo Dewey parla di oggetti, ma pi avanti distingue chiaramente fra i meri oggetti, cio i prodotti artistici, e le opere darte, che si realizzano solo nellesperienza che ne viene fatta41. Questa distinzione (che chiarisce fra laltro uno dei significati del titolo Art as Experience) ha qualche analogia, mi pare, con quella di Garroni fra
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le opere darte intese come meri rappresentanti di una presunta classe oppure come occasioni esemplari per unesperienza del senso. Il significato dellaggettivo esemplare come lo usa Garroni ha poi qualche analogia con quello dellaggettivo ideale col quale Dewey indica questa capacit propria dellarte: Attraverso selezione e organizzazione, quei tratti che fan s che ogni esperienza diventi unesperienza degna di essere fatta sono predisposti dallarte a una percezione adeguata 42. Cos dicendo, non intendo sovrapporre le due prospettive che restano comunque diverse: un naturalismo, con qualche eccesso di vitalismo, in un caso, e invece un trascendentalismo, radicalizzato in modo paradossale, nellaltro. Per quanto riguarda in particolare la concezione dellestetica, Dewey continua a tener ferma (come ricordato in apertura) la concezione dellestetica come filosofia dellarte bella, mentre Garroni propone una nuova concezione dellestetica come filosofia dellesperienza. Tuttavia, le considerazioni appena svolte mostrano che la distanza meno grande di quanto non sembri. Infatti (e accenno a un altro significato del titolo Art as Experience), Dewey intende non solo larte come esperienza, ma anche, reciprocamente, lesperienza come arte, quanto meno in germe 43, e Garroni, dal canto suo, indica proprio nelle opere darte le occasioni esemplari per cogliere il senso dellesperienza. Il problema che vorrei toccare in conclusione appunto quello del rapporto di unestetica ripensata in modo nuovo, cio come filosofia dellesperienza, con il suo vecchio oggetto, larte. un problema con il quale noi cultori di estetica facciamo i conti da decenni. Ricordo per esempio una bella discussione di alcuni anni fa in un altro seminario organizzato, come questo, dal Centro Internazionale di Estetica, al quale partecip anche Garroni 44. Allordine del giorno era appunto il problema se lestetica debba essere ancora una filosofia dellarte. Se debba esserlo, ma anche, in realt, se possa esserlo, visto che stato anche lo stesso declino, nel Novecento, dellarte bella a privare lestetica del suo oggetto istituzionale. Ma quelloggetto istituzionale in realt tale solo dallOttocento. Nella sua fondazione settecentesca (per esempio con Baumgarten, dal quale prendeva le mosse quel seminario) lestetica riguardava un ambito ben pi vasto. E c poi la difficolt di applicare la concezione dellestetica come filosofia dellarte bella a periodi storici pi antichi (o a mondi geografici diversi dallOccidente). Con tale difficolt ha variamente fatto i conti la storia dellestetica, un ambito di studi al quale attribuisco pertanto unimportanza fondamentale anche da un punto di vista teorico. Ma lalternativa, se lestetica debba o no essere (ancora) una filosofia dellarte, d spesso per scontata dicevo in quel seminario e vorrei ripetere ora, richiamandomi questa volta a Dewey unidentit discutibile fra arte e arte bella, prendendo per buona la posizione (per lappunto ottocentesca) secondo cui quellaggettivazione sarebbe
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pleonastica e ridondante. Ora, uno dei meriti di Dewey quello di rilanciare la nozione antica di arte come techne. Mettendo in primissimo piano il rapporto di esperienza e natura, Dewey riscopre infatti il nesso greco di techne e physis: con i Greci dice la concezione delluomo in quanto essere che usa larte divenne al tempo stesso la base per distinguere luomo dal resto della natura e la base per legare luomo alla natura 45. Alla fine del brano da cui tratta questa citazione Dewey rimanda al capitolo sullarte di Experience and Nature 46. Esso si apre affermando che, secondo il suo concetto greco, lesperienza lequivalente dellarte 47 e continua poi argomentando che il venir meno, nella scienza e nella filosofia moderne, dellessenzialismo antico dovrebbe condurre a riconoscere il primato dellarte in quanto culmine supremo della natura 48. Questo primato non quello dellarte bella in quanto separata dalle arti utili: sia in Experience and Nature sia in Art as Experience costante la polemica contro questa separazione 49, strettamente connessa alla separazione fra mezzi e fini (e solidale a determinati assetti storico-sociali). Non minteressa adesso entrare nel merito delle ricostruzioni storiche di Dewey, che proprio per quanto riguarda la storia dellestetica sono spesso discutibili (come si visto nel caso di Kant). Minteressa piuttosto sottolineare listanza teorica di fondo (che potrebbe essere peraltro sviluppata anche in studi storici). Essa, infatti, pu forse aiutarci ad uscire da quella falsa alternativa pro o contro lestetica come filosofia dellarte, ricomprendendo anche larte, ma pensata in un modo sufficientemente ampio, in unestetica concepita come filosofia dellesperienza.

1 Cfr. E. Garroni, Senso e paradosso. Lestetica, una filosofia non speciale, Laterza, Roma-Bari, 1986. 2 Lintervista ora disponibile on line fra i testi del sito della Cattedra Internazionale Emilio Garroni: http://w3.uniroma1.it/emiliogarroni. 3 J. Dewey, Art as Experience, 1934, ora in Id., The Later Works, a cura di J. A. Boydstone, vol. 10, a cura di H. F. Simon, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1987, tr. di G. Matteucci: Arte come esperienza, Palermo, Aesthetica 2007, p. 62. 4 Ivi, p. 31. 5 Dewey, Experience and Nature, 1925-29, ora in Idem, The Later Works, a cura di J. A. Boydstone, vol. 1, a cura di P. Baysinger e B. Levine, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1981, tr. di P. Bairati: Esperienza e natura, Mursia, Milano 1973. 6 Id., Arte come esperienza, cit., p. 41. 7 Ivi, p. 45. 8 Ivi, p. 49. 9 Ivi, p. 61. Il passo continua cos: Infatti la vita non un corso o un flusso uniforme ininterrotto. fatta di storie, [] ciascuna dotata del suo peculiare andamento ritmico.

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Ibidem. Ivi, p. 64. 12 Ivi, p. 79. 13 Ivi, p. 62. 14 Garroni, cit., pp. 184-85. 15 Garroni cita dallunica versione allora esistente, quella curata da C. Maltese: Larte come esperienza, La Nuova Italia, Firenze 1951, che (a p. 46) rende real experiences con esperienze reali. Matteucci traduce molto meglio con vere esperienze. 16 I. Kant, Kritik der Urteilskraft, 1790, tr. di L. Amoroso: Critica della capacit di giudizio, BUR, Milano 1995, tr. di E. Garroni e H. Hohenegger: Critica della facolt di giudizio, Einaudi, Torino 1999. 17 Cfr. L. Scaravelli, Osservazioni sulla Critica del Giudizio (1955), poi in Id., Scritti kantiani, La Nuova Italia, Firenze, 1969, al quale Garroni (cit., sp. pp. 212-14) si richiama. 18 Ne ho discusso recentemente in Emilio Garroni interprete di Kant e maestro di estetica, in Studi kantiani, XIX/2006, pp. 107-12. 19 Garroni, cit., p. 183. 20 Ivi, p. 184. 21 Ivi, p. 212. 22 Dewey, Arte come esperienza, cit., p. 249. Nella nota 196 (cit., p. 341) Dewey osserva, contro lessenzialismo germanico (di Kant, dunque, ma non solo): Leffetto sul pensiero tedesco delluso delle maiuscole non ha ricevuto adeguata attenzione. 23 Ibidem. 24 Ivi, pp. 34 e 38 (la seconda occorrenza del termine nicchia, in questa pagina, traduce un sinonimo inglese: pigeon-hole). 25 Ivi, p. 37. Le istanze filosofiche (e anche politiche) di Dewey sono a mio avviso senzaltro valide, ma in queste pagine egli accomuna un po sbrigativamente (come cpita quando si polemizza) concezioni e fenomeni s in parte interconnessi, ma non identici, per esempio spiritualismo, art pour lart e teoria della contemplazione. 26 Ivi, p. 249. 27 largomento del cap. 12, intitolato La sfida alla filosofia. Per la filosofia (o, pi precisamente, per una filosofia che voglia essere filosofia dellesperienza) vitale vincere la sfida, ossia riuscire a comprendere lesperienza estetica. Infatti, se questultima manifesta per cos dire allo stato puro le condizioni dellesperienza, non comprendere quellesperienza significa non comprendere lesperienza in generale. 28 Ivi, p. 284: Kant aveva gi identificato esperienza estetica e contemplazione. Schopenhauer dichiar che la contemplazione lunica maniera di trovare scampo e che, quando contempliamo opere darte, noi contempliamo le oggettivazioni della volont e di conseguenza ci liberiamo dalla presa che la volont ha su di noi in tutti gli altri modi dellesperienza. 29 Cfr. Kant, cit., sp. 1-5. 30 Sullopposizione fra la ripresa schilleriana e quella schopenhaueriana del disinteresse kantiano cfr. M. Heidegger, Nietzsche, 1961, tr. di F. Volpi: Nietzsche, Adelphi, Milano, 1994. vol I, p. 114 ss. 31 Fr. Schiller, ber die sthetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen, 1795, tr. di G. Pinna: Leducazione estetica, Aesthetica, Palermo 2005 (sp. lettera XV e lettera XXII). 32 Cfr. Dewey, cit., p. 342, n. 219. Pi in generale, limportanza, per Dewey, dellestetica classica (kantiana e post-kantiana, tedesca e inglese) mi pare implicitamente riconosciuta dal passo di Experience and Nature (cit., p. 258) in cui egli afferma che giusta laffermazione (anche se fatta senza alcuna base o alcun valore empirico) dei sistemi filosofici che hanno concepito larte come lunione di necessit e libert, larmonia dei molti e delluno, la riconciliazione del sensibile e dellideale. 33 Questaggettivo si trova nel brano contro la teoria della mera contemplazione, la quale conduce osserva Dewey a una concezione dellarte completamente anemica
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(Art as Experience, cit., p. 250). Dewey, anzi, afferma che Kant addirittura trascura, ritenendoli irrilevanti, il fare e il creare implicati nella produzione di unopera darte (e i corrispondenti elementi attivi interni alla risposta fruitiva). Pare quasi che della terza Critica Dewey abbia letto solo (e male) il primo momento dellAnalitica del bello. 34 Cfr. Kant, cit., per es. 9. 35 Ivi, 43. 36 Ivi, 10-17. 37 Ivi, sp. 83. 38 Ivi, 65 n. 39 Ne ho discusso in Arte, poesia e linguaggio, cio nel cap. V di Heidegger, a cura di F. Volpi, Laterza, Roma-Bari 1997. Per quanto riguarda la nozione di esperienza, Heidegger e Dewey hanno senzaltro una fonte comune: Hegel, che a quella nozione dedic lintroduzione della Phnomenologie des Geistes, 1807, tr. di V. Cicero: Fenomenologia dello spirito, Rusconi, Milano 1995, pp. 146-67. 40 Cfr. Dewey, cit., p. 79. Ma le citazioni si potrebbero facilmente moltiplicare. 41 Cfr. ivi, p. 169, e anche gi p. 123: Unopera darte [] effettivamente, non gi potenzialmente, unopera darte solo quando vive in qualche esperienza individuale. [] Essa viene ricreata ogni volta che se ne fa esperienza estetica. 42 Cfr. ivi, p. 189. 43 Cfr. ivi, p. 45. Ma anche qui le citazioni si potrebbero facilmente moltiplicare. 44 Mi riferisco al seminario Baumgarten e gli orizzonti dellestetica (9-10 ottobre 1998). Da esso ha tratto spunto una pubblicazione con lo stesso titolo (Aesthetica Preprint, 54, 1998). 45 Cfr. Dewey, cit., p. 52. 46 Si tratta del cap. ix, intitolato Experience, Nature and Art. 47 Id., Esperienza e natura, cit., p. 255. 48 Dewey, cit., p. 257. Gi la Prefazione (p. 18) aveva anticipato: Nellarte si ritrova la pi alta, perch pi compiuta, incorporazione delle forze e dei processi naturali nellesperienza. [] Larte rappresenta [] levento culminante della natura e nello stesso tempo il grado pi elevato dellesperienza. Cfr. anche Id., Experience, Nature and Art, in Id., Art and Education, 1954, tr. di L. Bellatalla: Educazione e arte, La Nuova Italia, Firenze 1977. 49 Cfr. per es. Arte come esperienza, p. 52, cio il seguito del brano sopra citato, e p. 323 ss., cio le pagine conclusive del libro, nelle quali il tema collegato, come anche in altri luoghi, alla critica delle condizioni socio-economiche del sistema basato sul profitto privato.

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La critica dellesperienza estetica nella filosofia analitica angloamericana


di Paolo DAngelo

1. In questo mio intervento intendo soffermarmi brevemente sulle critiche alla nozione di esperienza estetica che sono state elaborate in ambito analitico a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Queste critiche rappresentano indubbiamente un allontanamento, e quasi un rifiuto, dellordine di problemi affrontati da John Dewey nella sua estetica, e questo sufficiente a giustificare il fatto che ce ne occupiamo in questa sede. Ma ci sono altri elementi di interesse ai quali vorrei rapidamente accennare. In primo luogo, anche se certamente possibile trovare nellambito della filosofia cosiddetta continentale altre critiche molto serrate alla nozione di esperienza estetica (si pensi allattacco portato da Heidegger alla nozione di Erlebnis in riferimento allarte, o alle critiche di Gadamer alla soggettivizzazione dellestetica che avrebbe luogo con Kant, o ancora alle teorie sviluppate da Pierre Bourdieu nel volume sulla Distinzione), lattacco radicale alla nozione di esperienza estetica resta un fatto tipico dellestetica analitica. E dato che lestetica analitica comincia appena a essere discussa in Italia, credo non sia male soffermarsi su di un aspetto che, anche se non ha riguardato tutta lestetica analitica, certamente ne ha segnato in profondit una gran parte. Proprio perch in una vasta area dellestetica continentale degli ultimi decenni si non solo continuato a parlare di esperienza estetica, ma le si anzi assegnato un ruolo spesso centrale (penso allopera di Mikel Dufrenne Phnomnologie de lexprience esthtique in Francia, alla Kleine Apologie der aesthetischen Erfahrung di Jauss, ma anche alle posizioni argomentate di recente da Martin Seel in Aesthetik des Erscheinens) pu essere interessante verificare come invece in unaltra tradizione filosofica si sia cercato di farne a meno. In secondo luogo, lattacco allesperienza estetica portato dallestetica analitica stato insolitamente radicale e distruttivo. Non si trattato, per alcuni autori almeno, di affiancare allesperienza estetica altri princip esplicativi, di mostrare dei limiti o delle difficolt, ma proprio di eliminare dallorizzonte problematico dellestetica la nozione stessa di esperienza. Lesperienza estetica stata considerata un mito, una chimera, unillusione della quale sbarazzarsi il pi rapidamente possibile. Ci ha avuto naturalmente conseguenze molto nette sul modo in
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cui si creduto di poter dar conto per esempio dellarte. Ma tutto questo ha per noi il vantaggio di metterci sotto gli occhi posizioni ben delineate e implicazioni molto chiare, il che sempre istruttivo. In terzo luogo, credo che il momento sia propizio per una riconsiderazione del problema. Dopo decenni in cui il tema dellesperienza estetica era stato guardato con sospetto e diffidenza, gli ultimi anni hanno portato ad una sua riproposizione, anche in ambito analitico. Le tesi liquidatorie non mi pare godano pi di molta fortuna. Lesperienza estetica riconquista centralit, si torna a discutere di come si possa caratterizzare, descrivere e utilizzare questa nozione, mentre si fa strada la consapevolezza che la sua eliminazione crea molti pi problemi di quanti ne risolva. Per dirla in una battuta, oggi molti filosofi analitici pensano che parlare di esperienza estetica pu s implicare che ci si muova in un circolo, magari vizioso, ma non parlarne, presumere di poterne non parlare, ci chiude in qualcosa di peggio, un vicolo cieco. Il pendolo torna a oscillare dal lato dellesperienza estetica. Non ho usato a caso la metafora del movimento pendolare. Infatti possibile dire che alla filosofia angloamericana della prima met del Novecento la nozione di esperienza estetica era tuttaltro che estranea, e che quindi la situazione che si sta delineando negli anni a noi pi vicini rappresenta in qualche misura un ritorno, se non su vecchie posizioni, almeno a temi tradizionali. Non credo sia necessario insistere a lungo su questo punto, dato che qualche semplice rinvio baster a chiarirlo. noto per esempio che allinizio del secolo scorso un autore inglese, fortemente influenzato per dallestetica tedesca, come Edward Bullough, aveva teorizzato la distanza psichica come caratteristica essenziale dellesperienza estetica. Nello scritto del 1912 Psychical Distance as a Factor in Art and an Aesthetic Principle, Bullough interpretava appunto in termini di distanza psichica il tradizionale concetto di disinteresse estetico, e se ne serviva per marcare lopposizione tra fatti di mero piacevole ed esperienze estetiche vere e proprie, fino a vedere nella distanza psichica il principio fondamentale di quella che chiamava coscienza estetica: la distanza estetica a rendere loggetto un fine in se stesso. Ed ci che innalza larte al di sopra della sfera dellinteresse individuale []. proprio la distanza a fornirci uno dei criteri per discernere i valori estetici da quelli pratici (utilitaristici), scientifici o sociali (etici) [] pertanto la distanza estetica incarna uno dei tratti distintivi della coscienza estetica, di quella particolare mentalit o sguardo sullesperienza e sulla vita che [] nella sua forma pi significativa e sviluppata condurr allarte 1. N si pu dimenticare che proprio lestetica di Dewey, poco pi di ventanni dopo, aveva fortemente contribuito a orientare la riflessione su alcuni caratteri dellesperienza, ponendo questultima in primo piano. Certo, ben noto, ed ben ribadito nella Presentazione scritta da Giovanni Matteucci per questa nuova, importante edizione dellopera
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deweyana che per Dewey non esiste unesperienza estetica come campo separato e speciale (larte una tendenza interna allesperienza e non unentit in se stessa 2), e che lestetico piuttosto lo sviluppo chiarificato e intensificato di tratti che appartengono a ogni esperienza 3, ma proprio perci i caratteri che costituiscono lesteticit (la compiutezza, lunit, il perfezionamento) si colgono nellesperienza e attraverso lesperienza. Piuttosto che appellarsi, nel caso di Dewey, al dato di fatto che il ciclo di lezioni dal quale ha preso origine Art as Experience si intitolava Art and Aesthetic Experience, insomma, utile fissare la nostra attenzione sulla circostanza che per Dewey dai caratteri dellesperienza che si va allarte, cio larte non che la specificazione e lintensificazione di caratteri che sono propri dellesperienza, di qualsiasi esperienza, ragione per cui il campo dellesperienza estetica assai pi ampio di quello che indichiamo tradizionalmente come arte. In terzo luogo, ricorder che allinizio degli anni Sessanta Jerome Stolnitz aveva ribadito, in chiave storiografica, limportanza della nozione di disinteresse nella nascita dellestetica moderna, cio in particolare nel costituirsi della teoria estetica del Settecento 4, mentre negli stessi anni la nozione di esperienza estetica era il nucleo attorno al quale si andava costruendo la teoria estetica di Monroe C. Beardsley. Nella sistemazione complessiva che Beardsley offrir con ledizione del 1981 di Aesthetics: Problems in the Philosophy of Criticism, lesperienza estetica viene definita come quella esperienza che implica cinque caratteristiche salienti: (1) rivolta verso un oggetto, (2) libera da interessi esterni, (3) loggetto di tale esperienza deve essere emotivamente distanziato, (4) si deve avere un senso di scoperta, (5) si deve dare un senso di integrazione tra il soggetto e lesperienza che egli viene compiendo. Si sar notato che in questo sintetico quadro storico ho messo assieme teorie dellesperienza estetica propriamente dette, indagini sulla aestehtic Attitude, sullatteggiamento estetico, e teorie del disinteresse estetico. In effetti, anche se si tratta di aspetti diversi, sono tutti strettamente interrelati e in qualche modo coinvolti pressoch costantemente nel discorso sullesperienza estetica 5. Proprio il loro ripetuto affiorare in autori e momenti diversi dimostra che la nozione di esperienza estetica, nelle sue varie declinazioni, era ben presente nella filosofia angloamericana del Novecento. 2. contro questo complesso di teorie, ma soprattutto contro le loro elaborazioni pi prossime nel tempo (vale a dire contro Beardsley e Stolnitz) che si appuntano le critiche allesperienza estetica formulate dallestetica analitica negli anni Sessanta. Le pi note, perch espresse con la rudezza e la mancanza di sfumature tipica di questo autore, sono quelle esposte da George Dickie nei due saggi The Myth of the Aesthetic Attitude del 1964 e Beardsleys Phantom Aesthetic Experience
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dellanno seguente 6. Nel primo di questi due saggi Dickie attacca la teoria della distanza psichica di Bullough e la teoria del disinteresse avanzata da Stolnitz allo scopo di sbarazzarsi della nozione di atteggiamento estetico, che viene definita an encrusted article of faith e considerata un mito del quale sbarazzarsi al pi presto, perch inutile e fuorviante. La cosiddetta distanza estetica, infatti, solo una forma di attenzione rivolta allopera, e chi non la sa attingere non ha una diversa forma di attenzione ma semplicemente disattento. Perch allora moltiplicare gli enti e parlare di un nuovo stato di coscienza, che allanalisi si rivela soltanto illusorio? Anche nel caso del disinteresse estetico, definito da Stolnitz come assenza di coinvolgimento per scopi ulteriori, si pu dimostrare, secondo Dickie, che i comportamenti opposti a quello disinteressato non sono altre forme di attenzione ma forme di disattenzione. Lo scopo per il quale facciamo qualcosa, sostiene Dickie, altra cosa dal modo in cui la facciamo, e si pu prestare attenzione, la stessa attenzione, a unopera, per scopi molto diversi. Largomento di Dickie , al fondo, il medesimo sia quando si tratta di criticare la distanza estetica che quando in gioco il disinteresse: perch si possa parlare della prima o della seconda sarebbe necessario che si potesse parlare sensatamente del comportamento opposto, ossia di un comportamento non distanziato e interessato. Ma, a parere di Dickie, tutti i comportamenti di questo secondo tipo proposti dai sostenitori dellesistenza di un atteggiamento estetico sono in realt esempi di non-attenzione allopera darte. E la disattenzione, conclude Dickie, non un tipo speciale di attenzione. Daltronde, se seguo unopera letteraria o teatrale con unattenzione finalizzata (per esempio se voglio riscrivere il dramma o se sono un regista che sta pensando a una sua messa in scena) la mia attenzione non differisce affatto da quella di chi lo segue disinteressatamente. Anche in questo caso, il disinteresse non un tipo particolare di attenzione, ma attenzione tout-court. Porsi in un atteggiamento estetico per Dickie significa soltanto guardare attentamente unopera darte o un oggetto naturale. La teoria della aesthetic Attitude incammina lestetica su di una strada sbagliata, inducendola ad assunzioni errate su ci che esteticamente rilevante, facendole supporre che latteggiamento del critico darte sia diverso da quello del comune fruitore, e infine mettendo luna contro laltra etica ed estetica. Nellanno seguente, il 1965, la teoria dellesperienza estetica di Beardsley ad attrarre gli strali di Dickie. Nella prima edizione di Aesthetics: Problems in the Philosophy of Criticism, apparsa nel 1958, Beardsley aveva sostenuto che la nostra relazione con gli oggetti artistici caratterizzata da alcuni tratti specifici che permettono di parlare di unesperienza estetica. Essa distinta dal fatto di essere complessa, intensa e unificata. Dickie critica queste determinazioni sostenendo che Beardsley sta semplicemente facendo slittare i caratteri delloggetto estetico
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su quelli dellesperienza estetica. Unopera darte pu essere completa, complessa e coerente, ma da ci non segue che sia tale lesperienza che ne facciamo. Lesperienza di certe propriet non unesperienza con quelle propriet. La replica di Beardsley arriva qualche anno dopo con larticolo Aesthetic Experience Regained, nel quale viene offerta una definizione dellesperienza estetica che, pur mantenendo le caratteristiche prima individuate, insiste ora maggiormente sul fatto che qusto tipo di esperienza implica piacere: A person is having an aesthetic experience during a particolar stretch of time if and only if the greater part of his mental activity during that time is united and made pleasurable by being tied to the form and qualities of a sensuously presented or imaginatively intended object on which his primary attention is concentrated 7. Dickie replicher a sua volta nel capitolo finale di Art and the Aesthetic del 1974, nel quale ribadisce che, a suo parere, non ci sono tratti caratteristici che differenzino lesperienza estetica da altre esperienze, e che quindi questultima pu essere identificata solo se si prima e indipendentemente definito che cos un oggetto estetico. La strada non va dallesperienza estetica allarte, ma caso mai in senso inverso, dallopera darte allesperienza estetica 8. Questultima conclusione non solo di Dickie, cos come Dickie tuttaltro che solo, in questi anni, a pensare di potere fare interamente a meno dellesperienza estetica. Si prenda il caso, indubbiamente pi rilevante per la statura dellautore e per la complessit della cultura che lo ispira, di Arthur Danto. Danto non accetta la teoria istituzionale dellarte proposta da Dickie, ma approva le critiche di Dickie alla nozione di atteggiamento estetico e al disinteresse estetico. Quasi allinizio di The Transfiguration of the Commonplace troviamo il rifiuto di Danto per queste nozioni, cos come per quella di distanza psichica. Il fatto che sia possibile assumere un atteggiamento distanziato o disinteressato nei confronti di qualsiasi oggetto o avvenimento dimostra che il riferimento allatteggiamento estetico non ci di nessun aiuto quando si tratta di identificare le opere darte. Inoltre il discorso sul disinteresse non fa che elevare a norma generale un atteggiamento che proprio soltanto di periodi limitati della storia dellarte: a lungo larte ha avuto una serie molto ampia di concreti scopi pratici 9. Perch Danto pu essere per una volta daccordo con Dickie? Perch anche per Danto una definizione estetica dellopera darte (cio una definizione che si basa su di un tipo particolare di esperienza che compiremmo dinanzi allopera darte) minacciata dalla circolarit. Ora vero invece che per apprezzare esteticamente le qualit sensibili di unopera darte secondo Danto noi dobbiamo gi sapere che quelloggetto unopera darte, e questo non lo sappiamo dallesperienza che compiamo con quelloggetto, ma dalla teoria e dalla storia dellarte 10. Il che confermato, a parere di Danto, dal fatto che ci sono opere darte che non presentano affatto requisiti estetici, cio che sono del tutto prive di qualit esteticamente
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valutabili o pregevoli. Ci possono dunque essere, tra un oggetto che unopera darte e un oggetto che non lo , differenze che non sono in alcun modo differenze percettive. Non tutte le differenze artisticamente rilevanti sono di natura percettiva. Quindi non lesperienza estetica quella che ci permette di decidere che cosa unopera darte e cosa non lo , ma piuttosto un atto interpretativo nel quale ci basiamo su teorie e tradizioni storiche. Per Danto, linterpretazione deve andare a occupare il posto che nelle teorie tradizionali era occupato dallesperienza estetica. Si potrebbero facilmente moltiplicare gli esempi di autori che condividono il rifiuto di Dickie o Danto nei confronti dellesperienza estetica. Per venire ad anni ancora pi vicini, ricordo che entrambi gli aspetti, ossia tanto la critica al disinteresse quanto quella pi generale allesperienza estetica, sono espliciti nel volume del filosofo israelo-americano Eddy Zemach, Real Beauty (1997). Zemach sostiene che il cosiddetto disinteresse solo un tipo particolare di interesse, e che lesperienza che noi facciamo dellopera darte non sono altro che i suoi effetti su di noi. Ora, molte opere hanno effetti del tutto diversi, e non c nessun effetto che sia comune a tutte le opere darte. Inoltre Zemach sottolinea come teorici dellesperienza estetica da Dewey a Beardsley abbiano sempre fatto riferimento ai caratteri positivi dellesperienza estetica, mentre noi possiamo fare esperienza anche di propriet negative (squilibrio, aridit, bruttezza), il che dovrebbe implicare che lanalisi dovrebbe andare dalle propriet allesperienza, e non the other way around 11. Visto che ho citato le propriet estetiche, accenno infine a un altro ordine di attacchi che sono stati rivolti allesperienza estetica. Mi riferisco alla critica, elaborata da Ted Cohen, alla possibilit di distinguere fra termini estetici (come grazioso, elegante) e termini non-estetici (come cilindrico o curvo), cos come essa era stata argomentata da Frank Sibley. Cohen sostiene che non sia possibile dividere i termini sulla base del fatto che si applichi loro, o non si applichi, il gusto. Ci sono esempi di distinzioni sensoriali che implicano particolari abilit (si pensi al riconoscimento delle grafie), senza che con ci sia implicato il gusto. Insomma, non possibile arrivare a una definizione di cosa intendiamo con estetico, e, quel che pi conta, possibile parlare di arte senza fare riferimento alla distinzione tra estetico e non estetico, che anzi si rivela non solo superflua ma dannosa 12. 3. Non intendo discutere in dettaglio queste critiche alla nozione di esperienza estetica. Non solo perch in questa sede ci verrebbe a mancare il tempo per farlo, ma anche perch sulle singole contestazioni si sviluppato un dibattito assai ampio. Del resto molte delle obiezioni che sono state mosse da parte analitica al concetto di disinteresse possono trovare risposta anche nella tradizione continentale che si misurata con lestetica kantiana, e che spesso si trovata a
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fronteggiare critiche analoghe. Ma soprattutto vorrei concentrare la mia attenzione su alcune conseguenze che si sono prodotte quando si pensato di poter fare a meno della nozione di esperienza estetica. Mi pare, come accennavo in apertura, che oggi sia divenuto chiaro che le strade percorse in alternativa alla nozione di esperienza estetica si sono rivelate irte di difficolt, e assai meno produttive di quanto era parso in un primo momento. Per esempio, il rifiuto dellesperienza estetica ha indotto una parte dellestetica analitica a puntare tutto su una definizione dellarte che rendesse superflua tale nozione. Cos sono fiorite le definizioni di tipo istituzionale e procedurale, pensate appunto come definizioni che prescindono totalmente dalle qualit estetiche delloggetto, e si appoggiano invece al puro dato di fatto del riconoscimento di un oggetto come opera darte. Queste teorie presumono di poter descrivere tale riconoscimento senza alcun riferimento ai motivi per cui viene compiuto, ossia appoggiandosi alle mere procedure che portano allidentificazione dellopera darte. Il legame tra esclusione dellesperienza estetica e ricorso alla definizione procedurale del tutto evidente in Dickie, nel quale il rifiuto di nozioni quale distanza estetica, disinteresse, atteggiamento estetico ecc. serve appunto come pars destruens che dovrebbe dimostrare come lunica alternativa percorribile sia rappresentata dal nudo fatto del conferimento dello status di artisticit da parte dei componenti di un mondo dellarte. Ma le cose non sono poi troppo diverse anche nel caso della cosiddetta teoria storico-intenzionale di Levinson, nella quale il ruolo svolto dal mondo dellarte soltanto sostituito dal riferimento alla storia precedente. Ora, non solo i limiti di questo tipo di definizioni si sono fatti sempre pi chiari (scarsa o nulla informativit, circolarit, difficolt a dar conto degli stati iniziali dellarte o dellarte elaborata al di fuori dei circuiti deputati, illusione di poter trattare il concetto di arte come concetto puramente classificatorio e avalutativo, ecc. 13) ma, quel che pi conta ai fini del nostro discorso presente, non affatto detto che questo tipo di definizioni riescano veramente a fare a meno di ogni riferimento allesperienza estetica. Si prenda in esame la teoria istituzionale di Dickie. Nella sua forma pi semplice, essa definisce lopera darte come un artefatto che possiede degli aspetti i quali lo hanno candidato allapprezzamento da parte di uno o pi agenti che operano a vantaggio di un modo dellarte. Ora, la natura di questo apprezzamento non viene mai ulteriormente chiarita. Eppure, se si tratta di un apprezzamento qualsiasi, cio poggiato su qualunque motivo, loggetto artistico non potrebbe distinguersi da qualunque altro oggetto sia apprezzato per qualche ragione (economica, utilitaria, religiosa ecc.); se invece lapprezzamento deve essere un apprezzamento specifico dellopera darte, come si vede lesperienza o latteggiamento estetico che erano stati cacciati dalla porta rientrano dalla finestra. Ma qualcosa di molto simile vale anche per la teoria di
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Levinson. Se dico che un oggetto unopera darte se stato prodotto per esser considerato in uno qualunque dei modi in cui sono state considerate le opere darte in un tempo precedente, siamo alle solite: o questa considerazione una considerazione specifica per larte (e allora siamo di nuovo allesperienza estetica), oppure qualsiasi tipo di considerazione buona, ma allora, dato che in passato non c dubbio che certe opere darte siano state considerate, per esempio, anche come delle forme di investimento, dovrebbe logicamente seguirne che quel che oggi consideriamo tale, per esempio un buon fondo obbligazionario, unopera darte. Le cose non vanno molto meglio nel caso dellaltro presupposto largamente condiviso dai critici dellesperienza estetica, ossia il fatto che ci sono ci sarebbero molte opere darte del tutto prive di qualit estetiche. Si potrebbe anzi avanzare lipotesi che il rifiuto della nozione di esperienza estetica sia nato proprio dalla volont di giustificare lesistenza di questo tipo di opere. Nella teoria di Dickie, ma anche in quella di Danto, il caso dei ready-made o delle opere darte concettuale appaiono come i fenomeni centrali di cui occorre dar conto da parte di una teoria dellarte. La svolta anestetica delle teorie dellarte analitiche una diretta conseguenza della medesima svolta anestetica compiuta da molta arte figurativa a partire dagli anni Sessanta. Le cose, per, sono pi complesse di come appare. Intanto, le opere darte concettuali non sono opere darte prive di aspetti estetici: in Self- Described and Self-Defined di Kosuth vediamo una scritta gialla al neon su di un fondo nero, e il contrasto tra sfondo e scritta non estraneo alleffetto dellopera. Il caso del ready-made apparentemente insuperabile, perch qui loggetto veramente scelto (almeno nel caso dei primi ready-made duchampiani) senza alcun riguardo alle sue propriet retiniche. E tuttavia sufficiente pensare al carattere intimamente parassitico del ready-made (che arte perch nega il suo legame con larte precedente, ma cos facendo paradossalmente lo conferma) per rendersi conto che qui lerrore consiste nel prendere come fenomeno centrale dellartisticit una sua manifestazione estrema e derivata (possiamo immaginare un mondo in cui le uniche opere darte sono tele dipinte a olio, o disegni a sanguigna, ma non un mondo in cui le uniche opere darte siano ready-made: il ready-made, per funzionare, ha bisogno che ci sia altra arte). Unaltra conseguenza indesiderata, o almeno ai nostri occhi indesiderabile, dellesclusione dellesperienza estetica rappresentata dal fatto che in questo modo diventa del tutto impossibile parlare di esteticit al di fuori dellarte, per esempio nel caso della bellezza naturale. Non per nulla tanto Dickie che Danto hanno voluto fare una filosofia dellarte, e non hanno mai prestato attenzione ai comportamenti estetici che non hanno luogo dinanzi ad artefatti umani. Questo disagio di fronte allesperienza estetica nella natura si riscontra anche in quei
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teorici analitici che pure hanno cercato di fare i conti con il fenomeno. Sintomaticamente Allen Carlson, che ha dedicato tanti studi allenvironmental Aesthetics, non riesce neppure a costituire il rapporto estetico con la natura, perch riduce lesperienza esteticamente corretta della natura alla conoscenza di essa sulla base delle appropriate categorie scientifiche: ma quello che otteniamo attraverso lo scientific cognitivism di Carlson non un rapporto estetico con la natura, un approccio scientifico, con tutte le difficolt che pensare questo approccio per il comune fruitore della natura comporta 14. Infine, un problema simile rappresentato, per gli avversari dellesperienza estetica, da quella che ormai si chiama estetica diffusa, cio da quei fenomeni di estetizzazione che si manifestano al di fuori del campo proprio dellarte in senso stretto, nella vita quotidiana, negli spazi pubblici, nella moda, nel design. Persino larte di massa e quella popolare, tuttavia, creano difficolt allatteggiamento purista degli avversari dellesperienza estetica (si pensi al disprezzo di Danto per tutto quel che nellarte produce piacere in luogo di conoscenza). Proprio lultimo libro di Danto, The Abuse of Beauty, appena tradotto in italiano, mi pare una spia significativa di questo disagio. Esso reca il sottotitolo Aesthetics and the Concept of Art, un titolo che solo pochi anni fa sarebbe parso a Danto impossibile, o possibile al pi come segnalazione di un errore, e rappresenta lo sforzo cui Danto si sottopone per rendere pensabile alla sua teoria un qualche uso sensato del termine bellezza e di altri predicati estetici. Mentre la teoria di Danto era nata da una netta separazione tra filosofia dellarte ed estetica, e dal rifiuto di questultima, ora si torna a parlare di estetica, anche se non a proposito della grande arte dellirriducibile avanguardia ma a proposito della vita quotidiana e dellarte di intrattenimento 15. 4. Credo che tutti questi motivi abbiano concorso a riaccendere linteresse per la nozione di esperienza estetica nellestetica analitica degli ultimi anni. Intendiamoci: lesperienza estetica non mai veramente uscita di scena, nel senso che ci sono sempre stati autori di ambito analitico che hanno ritenuto utile e anzi indispensabile parlare di esperienza estetica. Al caso gi visto di Beardsley se ne possono aggiungere parecchi altri: gi negli anni Settanta Roger Scruton aveva offerto una teoria nella quale lesperienza estetica e i suoi rapporti con limmaginazione giocavano un ruolo centrale 16. E nellultimo decennio del Novecento molti sono tornati a parlare di esperienza estetica, da Jerrold Levinson (che non considera pi un tab parlare di piacere a proposito della nostra risposta alle opere darte 17) a Kendall Walton (che incontra lesperienza estetica nel cammino che porta verso una teoria del valore estetico 18) a Malcom Budd (anche lui in un volume che si intitola non per caso Values of Art 19). In conclusione, tuttavia, vorrei soffermarmi su due casi, quello di
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Nol Carroll e quello di Richard Shusterman. Non li scelgo perch siano i pi accesi o i pi convinti sostenitori dellesperienza estetica. Da questo punto di vista, anzi, qualcuno degli autori che ho appena citato si presterebbe forse meglio a fare da portabandiera del ritorno dellesperienza estetica in ambito analitico. E tuttavia i casi di Shusterman e Carroll mi sembrano particolarmente significativi, e buone testimonianze del cambiamento in atto, proprio in quanto, pur condividendo in buona parte le critiche allesperienza estetica che siamo venuti esponendo, nondimeno entrambi questi autori sono tornati a parlarne, ritenendo che le difficolt che incontriamo nel definire o caratterizzare lesperienza estetica non ci esimono dalla necessit di fare i conti con essa. Il caso di Carroll il pi marcato in questo senso. Carroll daccordo con molte delle obiezioni che sono state mosse allesperienza estetica e soprattutto non accetta affatto il concetto di disinteresse di derivazione kantiana proprio di molte teorie formaliste. Ma nella sua introduzione allestetica Philosophy of Art il capitolo sullesperienza estetica c, e la tesi che vi si sostiene che, anche se lesperienza estetica non lunica risposta corretta allopera darte, essa tuttavia una risposta fondamentale, che pu essere adeguatamente caratterizzata in termini di contenuti, facendo riferimento alle propriet estetiche. Il saggio di Carroll Four Concepts of Aesthetic Experience illustra bene questa posizione, che lautore stesso definisce una delfazione ovvero un ridimensionamento del concetto20. Carroll vi distingue tre concezioni tradizionali dellesperienza estetica, quella formalista basata sul disinteresse, quella pragmatica di Dewey, quella che denomina allegorica di Adorno e Marcuse (nel senso che in loro la mancanza di finalit dellarte diventa il simbolo del valore utopico di essa e della sua funzione di protesta politica contro i sistemi in cui tutto asservito allutilit). Nessuna di esse resiste alle critiche che le sono state mosse. Ma possibile parlare di esperienza estetica in termini pi modesti, evitando di rintracciare unessenza comune dietro i comportamenti estetici e limitandosi a descrivere lesperienza estetica in termini di attenzione agli aspetti formali e compositivi dellopera e alle sue qualit estetiche ed espressive. Quel che importa, conclude Carroll, porre fine alla moratoria che ha colpito lesperienza estetica impedendo per parecchio tempo che se ne parlasse e si riflettesse su di essa. Apparentemente, il saggio di Richard Shusterman The End of Aesthetic Experience ancora pi disincantato, o almeno il titolo stesso lo fa pensare. Buoni quattro quinti del saggio di Shustermann sono occupati da un bilancio degli attacchi portati alla nozione di esperienza estetica in ambito sia continentale sia analitico, un bilancio culminante nella risoluta negazione di Danto. Ma proprio da questa negazione riparte, in coda al saggio, unappassionata difesa dellesperienza estetica. Dividere e opporre, come fa Danto, piacere e significato, sentimento e conoscenza, godimento e comprensione significa perdere di vista che
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quel che larte fa proprio tenere assieme queste coppie di presunti opposti. Le critiche allesperienza estetica hanno dimostrato che essa non fornisce n una condizione sufficiente n una condizione necessaria per lapplicazione del nostro concetto di arte, ma questo non significa che essa non costituisca a more general background condition for art. Lanestetizzazione dellestetica propiziata da Dickie e Danto non ha portato niente di buono, perch, riflettendosi sulle arti stesse, le ha chiuse sempre di pi in un circuito autoreferenziale e intellettualistico lontano dal gusto popolare. Vale la pena, dunque, di richiamare in vita la nozione di esperienza estetica, not for a formal definition but for arts reorientation toward values and populations that could restore its vitality and sense of purpose 21. Ma con Shusterman il sentiero che abbiamo cercato di percorrere si rivela un cammino circolare, e ora il cerchio si chiude. Shusterman infatti lestensore del capitolo su Dewey nel recente Routledge Companion to Aesthetics 22, unappassionata difesa dellestetica di Dewey e del contributo che la tradizione pragmatista pu apportare allestetica. Come gi aveva sostenuto in Pragmatist Aesthetics del 1992 23, Shusterman convinto che lorientamento esclusivo verso gli oggetti artistici piuttosto che verso lesperienza estetica manifestato dallestetica analitica sia una strada poco fruttuosa, che proprio linnesto della tradizione pragmatista sullestetica analitica pu aiutare a evitare. E lapporto pi fruttuoso che questa tradizione pu dare proprio il concetto di esperienza elaborato da Dewey, un concetto trasformazionale, ben diverso da quello meramente demarcativo-definitorio proprio della filosofia analitica, e quindi attento alla considerazione fenomenologica dellesperienza estetica e alla sua relazione con lesperienza in genere. Dietro il ritorno dellesperienza estetica nella filosofia angloamericana contemporanea si delinea insomma, ben chiaramente distinguibile, lombra per nulla minacciosa, anzi bonaria e amichevole, del vecchio Dewey.

1 E. Bullough, La distanza psichica come fattore artistico e principio estetico, tr. it. di G. Compagno, Aesthtetica Preprint, 50 (agosto 1997), pp. 58-59. 2 J. Dewey, Arte come esperienza, tr. it. a c. di G. Matteucci, Palermo, Aesthetica, 2007, pp. 314-15. 3 Ivi, p. 70. 4 J. Stolnitz, On the Significance of Lord Shaftesbury in Modern Aesthetic Theory, in Philosophical Quarterly, 1961; On the Origins of Aesthetic Desinterestedness, in Journal of Aesthetics and Art Criticism, 1961. 5 Lo nota correttamete A. Goldman in The Aesthetic, in B. Gaut e D. Lopes, The Routledge Companion to Aesthetics, London New York, Routledge, 2002, p. 255 ss. 6 G. Dickie, The Myth of the Aesthetic Attitude, in American Philosophical Quarterly, 1964, 1, pp. 55-66; 7 M. C. Beardsley, Aesthetic Experience Regained (1969), in Id., The Aesthetic Point of View, Ithaca, Cornell University Press, 1982, pp. 77-92.

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8 G. Dickie, Art and the Aesthetic. An Institutional Analysis, Ithaca, Cornell University Press, 1974 9 A. Danto, The Transfiguration of the Commonplace, Cambridge, Harvard University Press, 1981, pp. 21-24. 10 Ivi, p. 90 ss. 11 E. Zemach, Real Beauty, Pennsylvania State University Press, 1997. 12 T. Cohen, Aesthetic-Non aesthetic and the Concept of Taste: a Critique of Sibleys Position, in Theoria. A Swedish Journal of Philosophy, 1973, pp. 113-52. 13 Per una pi ampia critica alle teorie procedurali di definizione dellarte mi permetto di rinviare al mio La definizione dellarte, in P. DAngelo (a c. di), Introduzione allestetica analitica, Roma-Bari, Laterza, 2008. 14 Per una critica pi articolata a queste posizioni mi permetto di rinviare al mio saggio Su cosiddetto cognitivismo scientifico nellestetica ambientale contemporanea, in R. Calcaterra (a cura di), Le ragioni del conoscere e dellagire. Scritti in onore di R. Egidi, Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 243-57. 15 A. C. Danto, The Abuse of Beauty. Aesthetics and the Concept of Art, Chicago, Open Court, 2003. Si veda in part. p. xix. 16 R. Scruton, Art and Imagination. A Study in the Philosophy of Mind, London, Methuen, 1974. 17 J. Levinson, The Pleasures of Aesthetics, Ithaca, Cornell University Press, 1996. 18 K. Walton, How Marvelous! Toward a Theory of Aesthetic Value, in Journal of Aesthetics and Art Criticism, 1993. 19 M. Budd, Values of Art, London, Penguin, 1995. 20 N. Carroll, Four Concepts of Aesthetic Experience, in Id., Beyond Aesthetics, Cam bridge, Cambridge U. P., 2001. 21 R. Shusterman, The End of Aesthetic Experience, in The Journal of Aesthetic and Art Criticism, 1997, 1, pp. 29-41; di recente Shusterman ha accentuato la sua riabilitazione dellesperienza estetica in Aesthetic Experience: from Analysis to Eros, in The Journal of Aesthetic and Art Criticism, 2006, 2, pp. 217-29. 22 R. Shusterman, Pragmatism. Dewey, in B. Gaut e D. Lopes, The Routledge Companion to Aesthetics, cit., pp. 121-32. Un altro saggio recente nel quale le tesi di Dewey vengono considerate un punto di orientamento ancora valido per la discussione odierna sullesperienza estetica J. Petts, Aesthetic Experience and the Revelation of Value, in The Journal of Aesthetic and Art Criticism, 2000, 1, pp. 61-70. 23 R. Shusterman, Pragmatist Aesthetics. Living Beauty, Rethinking Art , Oxford, Blackwell, 1992. Per il ritorno delle dottrine pragmatiste in altri campi della filosofia analitica, si veda R. M. Calcaterra (a cura di), Pragmatismo e filosofia analitica, Macerata, Quodlibet, 2006.

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Come leggere Art as experience nel quadro dellorizzonte estetico attuale?


di Mario Perniola

1. Lorizzonte estetico Quale posto occupa la grande opera estetica di John Dewey nel quadro dellestetica attuale? A quali pericoli di fraintendimento esposta? Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto descrivere sommariamente la tendenza prevalente nella ricerca estetica di oggi, che caratterizzata da un duplice processo. Da un lato si assiste ad un ampliamento dellorizzonte estetico che tende a includere sempre nuovi territori e oggetti di studio. Dallaltro lunit dellorizzonte estetico si spezza in una molteplicit di ricerche e di indirizzi e che sembrano avere poco che fare gli uni con gli altri. La situazione mi pare caratterizzata da due tendenze opposte: luna verso lespansione, che si potrebbe definire come la svolta culturale dellestetica, attraverso la quale lestetica finisce a identificarsi con lo studio della cultura; laltra verso la frammentazione, che si potrebbe definire come la decostruzione dellestetica, attraverso la quale perfino le nozioni fondamentali dellestetica perdono il loro carattere unitario. Come tutti sappiamo, lorizzonte estetico si costituito fin dal Settecento dallincontro di quattro problematiche differenti che facevano capo a quattro oggetti distinti: il bello, larte, la conoscenza sensibile e leducazione. Tuttavia questo accordo durato molto poco. Gi per Kant il giudizio non appartiene pi allambito della conoscenza sensibile. Dopo poco Schelling ed Hegel spezzano laccordo tra la bella natura e larte e ritengono che il titolo Filosofia dellarte sia preferibile a quello di Estetica. Lo stile di vita estetico, che Schiller aveva identificato con la formazione dellumanit, diventa oggetto della critica di Kierkegaard. Lorizzonte estetico non pi un luogo di pace e di armonia, ma un campo di battaglia in cui quattro contendenti (il bello, larte, la conoscenza e gli stili di vita) si confrontano e si affrontano dando luogo alle pi varie situazioni strategiche. Lorizzonte estetico caratterizzato da un dinamismo permanente che di tanto in tanto si manifesta in aperti conflitti, ma che sempre attraversato da tensioni e attriti. I contendenti che agiscono allinterno di tale orizzonte non sono individuabili in modo essenzialistico indipendentemente dalle relazioni che via via stabiliscono gli uni con gli altri. Chi si interroga sulla loro identit, cio si chiede che cos larte, che cos il bello, che
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cos lestetico (inteso al neutro come loggetto per eccellenza della disciplina estetica), che cos la condotta esemplare, corre il rischio di arrivare a risultati nulli. Questo approccio metodologico, anche se preceduto da unampia rassegna storica dei vari modi in cui sono stati pensati il bello, larte, lestetico e lo stile di vita esemplare, arriva alla conclusione sconfortante che tutto pu essere considerato come bello (anche il brutto nelle sue varie declinazioni), come arte (anche lantiarte), come estetico (anche lanestetico), come stile di vita esemplare (anche labiezione). 2. Espansione dellorizzonte estetico Nel mio libro Lestetica del Novecento 1 ho cercato di fornire le linee generali dellorizzonte estetico di quel secolo delineando cinque concetti fondamentali allinterno delle quali possono compresi i pi significativi contributi a questa disciplina. Questi concetti filosofici sono la vita e la forma (riportabili a Kant), la conoscenza e lazione (riportabili a Hegel), e infine il sentire (riportabili a Nietzsche). Ancora oggi una gran parte dei contributi estetici contemporanei si muovono allinterno di queste cinque nozioni. Tuttavia un numero crescente di ricerche e di studi sta ampliando ulteriormente lorizzonte estetico allargando in modo considerevole i confini della disciplina e mutando le sue caratteristiche essenziali. Il senso generale di questa tendenza quella di considerare lestetica come un campo di studi pi vasto della filosofia. Questo fenomeno stato descritto come la svolta culturale dellestetica. Due recenti opere monumentali condividono questo progetto: la prima lEncyclopedia of Aesthetics, diretta da Michael Kelly, recentemente pubblicata in quattro grossi volumi 2, alla cui stesura hanno contribuito pi di cinquecento studiosi di varie specialit; la seconda lAesthetische Grundbegriffe, diretta da Karlheinz Barck, in sette grossi volumi 3. Si tratta di opere differenti tra loro e di diverso rigore metodologico; tuttavia presentano alcuni aspetti comuni. Lenciclopedia anglo-americana molto esplicitamente ispirata da una metodologia che considera lestetica come un meeting place, un luogo dincontro di numerose discipline e di varie tradizioni culturali. Essa cerca cos di colmare lo iato esistente tra il sapere estetico e la societ contemporanea. Infatti ci che caratterizza questultima lincontro e la mescolanza di codici appartenenti ad ambiti diversi: essa si sviluppa attraverso una continua interazione di segni e un incessante slittamento di significati. A essere inadeguato rispetto alle sollecitazioni della societ contemporanea non sarebbe tanto il sapere estetico tradizionale quanto la sua pretesa teoretico-speculativa. Sembra che lestetica possa essere fruttuosa solo se riesce ad aprire un orizzonte epistemologico caratterizzato dalla flessibilit. In fondo, alla base della metodologia dei Cultural Studies sta il principio barocco dellingegno che consiste nellavvicinare cose a prima vista lontane e nellallontanare
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cose a prima vista prossime. Tale principio ancora pi importante se applicato alla ricerca, la quale generalmente tanto pi originale e innovativa, quanto pi esplora le zone marginali e i confini delle conoscenze canoniche. Trovano unampia trattazione voci su fenomeni alternativi e considerati come marginali dalla tradizione estetica come lesbian aethetics, gay aethetics, feminism, Aids, aesthetics and activism, obscenity sexuality, situationist aethetics, iconoclasm and iconophobia. Questa scelta non conformistica confermata dallintroduzione nel canone estetico di fenomeni che non appartengono allalta cultura, come comics popular culture fashion, rock music, jazz, oppure fanno parte dellavanguardia artistica pi trasgressiva come anti-art, performance art, installation art. Le origini dellattuale svolta culturale si trovano gi nel Settecento per esempio in Inghilterra dove la parola usata per designare lestetica criticism. Fin dallinizio dunque lapproccio estetico anglosassone alla societ e alle arti si caratterizza in senso non conformistico ed con unidea della cultura intesa come formazione di una sfera pubblica discorsiva a cui tutti possono partecipare. Con la parola criticism si intende infatti il diritto di ciascuno ad esprimere una valutazione ed un apprezzamento indipendenti dai canoni ufficiali e dalle gerarchie convenzionali. Anche lopera tedesca, le cui voci sono veri e propri saggi, ha un approccio non conformistico alla problematica estetica contemporanea, in particolare in alcune voci come Alltglish, Alltag, Design, Ekel, Erotisch, Erotik, Erotismus, Film, filmisch, Kommunication, Medien, medial, Ngritude, Black Aesthetics, crolit, Performance, Schrecken, Schock, Subkultur, Warenaesthetik, Kulturindustrie. C per dietro lopera tedesca una conoscenza molto maggiore della storia dellestetica e delle origini di questa svolta culturale, la quale non poi cos nuova come pretendono i sostenitori dei Cultural Studies. Il padre fondatore dellestetica culturale in Germania pu essere considerato Jakob Burckhardt il quale ha considerato la cultura come una potenza critica nei confronti dello stato e della religione, definendola come la somma complessiva delle manifestazioni dello spirito che avvengono spontaneamente e non rivendicano nessuna validit universale e coercitiva. Essa nasce da una eccedenza, da un surplus inutilizzato che inizialmente pu essere anche molto esiguo, ma si sviluppa se trova le condizioni favorevoli, cio lassenza di repressione, la possibilit di avere relazioni sociali non funzionali, la sicurezza delle condizioni materiali di vita. Ogni azione se eseguita con zelo e non per puro servilismo contiene in se stessa questa eccedenza che trova nellarte la pi alta manifestazione. Con Burckhardt lintera storia universale diventa loggetto di una visione estetica, cio distanziata e disinteressata, che prende in considerazione anche lindividuo, relativizzando le nozioni di successo e di fallimento.
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La svolta culturale dellestetica implicita nellopera storica di Burckhardt consente di inserire nella storia dellestetica del Novecento e quindi nel canone estetico tutta una serie di autori e pensatori che comunemente sono rubricati nella storiografia o nelle scienze umane come lo storico Georg Mosse, i sociologi Plessner e Gehlen, il semiotico Umberto Eco, il pensatore giapponese Watsuji e molti altri. In epoca pi recente importantissimo per questo ampliamento culturale dellestetica mi sembra il sociologo francese Pierre Bourdieu e dei suoi allievi. La riflessione di Pierre Bourdieu sulla nozione di disinteresse interessato della pi grande importanza, perch espande le frontiere dellestetica e getta le premesse di una nuova sintesi pi vasta in grado di rispondere alla sfida proveniente dalla globalizzazione dei saperi e delle conoscenze. Non si tratta infatti di proporre una generica interdisciplinariet che il pi delle volte apre la strada al confusionismo comunicativo. La strategia teorica della nuova sintesi estetica consiste nel prendere sotto legida di uneconomia dei beni simbolici tutte le attitudini, i comportamenti, le azioni, in una parola tutti gli habitus guidati da quel disinteresse interessato, che nel corso dei secoli ha costituito laspetto essenziale dellesperienza estetica. Sotto lestetica vengono cos a trovarsi non solo le arti, ma anche tutte quelle attivit scientifiche, professionali e burocratiche che implicano per definizione libert e autonomia rispetto alleconomia del profitto immediato e della negoziazione e che sono dirette verso la formazione di un capitale culturale e simbolico non riducibile al capitale economico. Lestetica finisce cos col fornire i criteri deontologici dai quali retto lesercizio di ogni attivit intellettuale e sui quale si fonda il suo prestigio. A maggior ragione rientrano nellestetica i rapporti familiari, educativi, di amicizia, e di amore che da sempre sono stati considerati come indipendenti da contrattazioni esplicite e controllate, ma anche come fonti di obbligazioni molto pi impegnative e prolungate nel tempo. Lessenziale cominciare a sottrarsi nelle piccole come nelle grandi cose a quel pensiero unico che pretende di appiattire sotto il suo rullo compressore delleconomia ristretta e quantitativa tutti gli aspetti dellesistenza. La nuova sintesi estetica pu fornire cos le coordinate teoriche e gli strumenti concettuali che consentono di trasformare la crescente insofferenza nei confronti della comunicazione massmediatica, in una strategia globale di resistenza e di lotta. Attraverso questo ampliamento del resto possibile comprendere ed apprezzare le logiche che regolano i rapporti sociali nelle cosiddette societ tradizionali le quali non a torto si oppongono ad una colonizzazione che ha assunto laspetto di una dissennata autodistruzione della stessa cultura occidentale. 3. Frammentazione dellorizzonte estetico A questa espansione del126

lorizzonte estetico corrisponde tuttavia una linea di tendenza opposta, che decostruisce i concetti fondamentali dellestetica occidentale, mostrando come essi siano inseparabili dalle lingue in cui sono espressi. Il Vocabulaire Europen des Philosophies. Dictionnaire des Intraduisibles, realizzato sotto la direzione di Barbara Cassin 4, costituisce un risultato rilevantissimo di questo tipo di approccio metodologico ai problemi della filosofia, che ha nel Vocabolario delle istituzioni indoeuropee di mile Benveniste, il suo modello ispiratore. Il punto di partenza di questopera che in milllecinquecentotrentadue pagine prende in esame quattrocento parole chiave delle principali lingue europee la constatazione che molti termini del linguaggio filosofico sono cos strettamente legati alla lingua nella quale sono elaborati concettualmente da risultare intraducibili, oppure traducibili solo attraverso uno slittamento di significato che deve in ogni caso evidenziato. Ne risulta che da un lato non c concetto senza parola: poich questultima appartiene ovviamente ad una lingua specifica, la condizione di un approccio metodologico non ingenuo alla filosofia passa attraverso lo studio del singolo termine e dalla comparazione del modo in cui tradotto nelle altre lingue. La parola non affatto il segno di un concetto, ma radicata nelle lingue. Come spiega Barbara Cassin nellintroduzione, tale metodologia implica il rifiuto delluniversalismo logico che sostiene lesistenza di un universale logico, identico in tutti i luoghi e in tutti i tempi: poco importa la lingua in cui viene detto. Il modello a cui esso si ispira la logica matematica: nellimpossibilit di una formalizzazione radicale del linguaggio filosofico, luso di un inglese internazionalizzato (cio privato delle sue caratteristiche letterarie) costituisce un compromesso accettabile per i tempi moderni, svolgendo cos una funzione analoga a quella svolta dal latino per quasi due millenni. questa la scelta della corrente analitica della filosofia contemporanea, la quale secondo Barbara Cassin unisce langelismo del razionale col militantismo del linguaggio ordinario. Nello stesso tempo tuttavia la metodologia seguita da questopera rifiuta la posizione opposta alluniversalismo logico, il nazionalismo ontologico, che enfatizza il rapporto tra la filosofia e la lingua al punto di ritenere la meditazione filosofica inseparabile dalla lingua in cui si manifesta. I concetti sarebbero cos radicati nellesperienza collettiva di un popolo al punto che ogni traduzione o decontestualizzazione darebbe luogo al fraintendimento e al malinteso. Latteggiamento di sufficienza e di altezzosit con cui vengono percepiti dalle grandi culture nazionali i contributi che le riguardano provenienti da stranieri, appunto un sintomo quanto mai significativo di tale atteggiamento, quasi che ognuno sia legittimato a parlare solo degli autori che appartengono alla sua lingua madre. Secondo i sostenitori del nazionalismo ontologico, le lingue filosofiche per eccellenza sarebbero il greco per lantichit e il tedesco per la modernit.
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Lapproccio metodologico che ispira questo vocabolario si configura come una terza posizione alternativa rispetto alle prime due. Esso studia i principali sintomi di differenza tra le lingue e va alla ricerca dei termini che nelle singole lingue europee presentano caratteri cos particolari da risultare intraducibili. Nello stesso tempo si interroga sulla specificit del linguaggio filosofico delle singole culture nazionali, per cui il francese, linglese, il tedesco, litaliano, lo spagnolo, il russo, il portoghese e il greco costituiscono altrettanti lemmi autonomi, mentre il greco antico, il latino, lebraico e larabo sono trattati nella voce Lingue e tradizioni. I presupposti teorici su cui costruito questo vocabolario sono due. In primo luogo in ogni termine filosofico di qualsiasi lingua esiste una tensione tra la pretesa di universalit del concetto e la sua espressione linguistica: proprio su tale tensione si basa la specificit del linguaggio filosofico rispetto a qualsiasi altro. In secondo luogo, ogni lingua apre su un modo particolare di vedere il mondo e contiene un intero un sistema di concetti che si rimandano lun laltro. Ne deriva che anche i concetti fondamentali dellestetica non sfuggono a questa decostruzione. Prendiamo la parola da cui prende origine lestetica e la sua traduzione in molte lingue occidentali. La parola senso una delle pi ambigue del vocabolario filosofico. Essa infatti ha quattro differenti significati che si intrecciano e si contaminano in modo molto complesso. Ve le elenco brevemente: (1) sensazione, percezione sensibile (aisthsis); (2) comprensione, percezione intellettuale (nous); (3) significato (sma); (4) a queste bisogna aggiungere anche direzione (come quando nella segnaletica stradale si parla di un senso vietato). Tale polisemia non esiste in greco, il quale dispone di termini differenti per indicare queste quattro accezioni. Faccio un esempio che riguarda direttamente lidea intorno a cui ruotano alcuni miei libri recenti: il sentire impersonale 5. Se traduciamo la parola senso in inglese: troviamo feeling (di etimologia anglosassone). stato infatti osservato che il verbo to feel sovente usato al passivo, senza indicazione di colui che sente, come nellespressione spesso ricorrente nellopera di Hume: Something felt, che si riesce a tradurre molto male con qualcosa di sentito. A questa desoggettivazione corrisponde una deoggettivazione, perch il feeling non ha un oggetto prestabilito come ha la sensazione, tanto vero che si pu dire I feel a sensationo I feel my mind, mentre lespressione sento una sensazione costituisce un pleonasmo. Feeeling rimanda quindi ad un sentire impersonale. La difficolt di tradurre la parola feeling non deriva soltanto dalla sua etimologia che completamente differente da senso. Pi radicalmente loperatore ing a essere intraducibile. Tradurre feeling con il sentire significa sostanzializzarlo troppo. Certo il sentire pi impersonale del senso, ma si configura o come una facolt soggettiva sostanzializzata o al contrario
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come un non sentire affatto, nel caso che non si riesca ad immaginare un sentire senza soggetto. Per esprimere pi correttamente il tipo di esperienza neutra ed impersonale che costituisce il cardine intorno a cui ruota la mia riflessione sullaffettivit, si dovrebbe inventare una parola che la grammatica italiana non consente, il sentendo, cio la sostantivazione di un gerundio. Nella sostantivazione di un infinito, il sentire, va perduta la dimensione progressiva implicita nelloperatore ing In altre parole, in italiano, in francese e in tedesco, trasformare un verbo in un sostantivo, implica nello stesso tempo sostanzializzarlo metafisicamente, correndo il rischio di regredire da una metafisica del soggetto (di derivazione cartesiana) a una metafisica della sostanza. Linglese invece ci fornisce la possibilit di sostantivare senza sostanzializzare, di creare concetti che eludono lo schema soggetto-oggetto allinterno del quale rimaniamo prigionieri in lingue che hanno una impronta metafisica. 4. Arte come esperienza o esperienza come arte? Se considero il grande libro di Dewey, Art as experience, alla luce dellattuale situazione dellestetica, osservo che esso corre il rischio di costituire una legittimazione di un approccio pseudo-culturalistico che propone considerare di qualsiasi esperienza quotidiana, sic et simpliciter, come dotata di un significato e di un valore estetico. Se cos fosse il libro di Dewey avrebbe dovuto intitolarsi Experience as art. Ora invece non c dubbio che laccento posto sullarte, intesa come il punto di arrivo di una vera esperienza. In un passo particolarmente significativo, Dewey paragona lesperienza estetica al sentire una pietra che rotola gi da una collina per avere unesperienza (A generalized illustration may be had if we immagine a stone, which is rolling down ill, to have an experience) 6. Dewey suppone che questa pietra sia dotata di immaginazione, si interessi alle cose che incontra nel suo cammino, attribuisca loro leffetto di accelerare o di ritardare il suo movimento, provi sentimenti nei confronti del loro aiuto o del loro ostacolo e alla fine si fermi al termine della sua corsa. Tutto ci le accaduto pensato da lei come il culmine di un processo continuo. Per Dewey questa pietra senziente avrebbe fatto unesperienza dotata di qualit estetica, innanzitutto perch non si limitata a soltanto pensare tutto il suo cammino, ma lo ha effettivamente compiuto. Dewey sottolinea il carattere pratico di tale vicenda, non tanto per opporsi a quelle estetiche che attribuiscono allarte una funzione solo conoscitiva, ma per separare lesperienza estetica dalle prospettive meramente edonistiche. Perch lesperienza arrivi alla sua dimensione estetica necessaria una lotta che comporta per lo pi sofferenza e dolore: ci consente a Dewey di emancipare lesperienza estetica dalla connessione col piacere, che era stato loggetto della critica di Tolstoj. Dewey si muove in un una direzione che rompe risolutamente con le estetiche edonistiche: in ogni
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esperienza c un elemento di patimento, di sofferenza in senso lato (There is [] an element of undergoing, of suffering in a large sense, in every experience) 7. Il piacere e il dolore, come tutte le altre emozioni, daltra parte, non devono essere considerate separatamente, ma connesse col carattere processuale dellesperienza, che si svolge come la vicenda di un romanzo o di un dramma: lemozione appartiene a una entit che impegnata in una lotta dalla quale essa acquista significato. La sospensione, che tante teorie considerano come un aspetto essenziale dellesperienza estetica, non deve essere intesa come distacco dalla pratica, ma come attesa, incertezza sullesito, tensione verso il perfezionamento dellesperienza. La domanda sul come va a finire un fattore estetico determinante perch consente di intendere lesperienza come ununit non immobile, ma articolata e dinamica, fatta di azioni e passioni. Perci Dewey preferisce parlare di esperienza anzich di azione estetica: infatti lagire e il subire si alternano e si compenetrano. Ogni azione in realt interazione col mondo esterno, mutuo adattamento dellindividuo e dellambiente, interscambio di sensazioni e di riflessioni. Lattivismo frenetico impedisce di accedere alla dimensione estetica, vale a dire ad una vera esperienza, perch non lascia il tempo di pensare, di approfondire e rielaborare cognitivamente ed emozionalmente ci che si vive. Anche leccesso di ricettivit costituisce un ostacolo, perch deforma lesperienza attraverso un accumulo di fantasie e di impressioni passive, le quali fanno perdere il contatto con la realt del mondo e non portano a nessuna risoluzione. La preoccupazione fondamentale da cui prende le mosse il discorso di Dewey quella di collegare strettamente lesperienza estetica allesperienza ordinaria: perci egli critica quelle teorie che separano larte dalla vita quotidiana e che la isolano collocandola in un regno suo proprio; occorre invece ristabilire la continuit tra la dimensione estetica e i fenomeni vitali normali che implicano processi di continua lotta e interazione col mondo circostante. Non esiste, secondo Dewey, una differenza radicale tra lesperienza comune e quella estetica: ogni esperienza pu diventare estetica se essa, invece di essere interrotta e abbandonata (come continuamente accade), viene proseguita e portata a compimento. Ci che caratterizza lesperienza estetica dunque il compimento (fulfillment): lazione diviene bella nella misura in cui io mi impegno in essa, mi dedico ad essa, combatto per la sua piena estrinsecazione. Il contrario di una esistenza estetica una vita che va alla deriva, che non ha n capo n coda, n inizio n termine; oppure unesperienza che ha un cominciamento, ma che viene abbandonata per ignavia, vilt, inclinazione al compromesso, desiderio di quieto vivere, ossequio alle convenzioni. 5. The Rolling Stone Tuttavia il fatto che Dewey trovi in una pietra che rotoli il paragone pi adatto per spiegare la sua idea di espe130

rienza estetica mi sempre sembrato molto strano. Questa impressione viene da lontano: Arte come esperienza il primo libro di estetica che ho letto in vita mia, quando avevo sedici anni, lunico volume che ho fatto rilegare facendo imprimere il nome dellautore e il titolo con caratteri doro sul dorso, nonch lopera che mi ha accompagnato fino a oggi attraverso il suo frequente inserimento nei programmi dei corsi tenuti allUniversit. Inoltre stato una fonte essenziale per lelaborazione dellestetica della formativit del mio maestro Luigi Pareyson 8. Col senno di poi, vi vedo la formulazione archetipica della nozione di una cosa che sente, la quale costituisce lidea centrale intorno alla quale ruota il mio libro Il sex appeal dellinorganico 9. Come molti sanno, lespressione ritorna nel nome di un notissimo gruppo musicale che ha rappresentato per decenni il modello alternativo del rock, quello che ha espresso nel modo pi radicale la rivolta giovanile a cominciare dagli anni Sessanta, The Rolling Stones appunto. Tuttavia difficilmente si pu immaginare che siano stati lettori di John Dewey! Probabilmente tanto Dewey quanto i Rolling Stones traggono spunto da una stessa fonte: un proverbio molto noto nel mondo anglosassone, ma di origine antica, commentato anche da Erasmo nei suoi Adagia. Questo suona in latino Saxum volutum non obducitur musco, in inglese suona A rolling stone gathers no moss, letteralmente una pietra che rotola non raccoglie muschio. In siciliano si dice petra smossa non pigghia lippa. Al proverbio vengono comunemente attribuiti due significati. Nel primo senso, vuol dire che persone che sono sempre in movimento non riescono a piantare radici da nessuna parte; in un secondo, senso si riferisce a persone che evitano di assumersi incarichi gravosi. 6. Vivere coraggiosamente Si detto che la pietra che rotola, metafora dellesperienza estetica, fa unesperienza che ha un compimento. Ma che cosa vuol dire esperienza e compimento? Queste sono le due nozioni chiave dellestetica di Dewey, il cui senso prima vista tuttaltro che chiaro. Experience (come litaliano esperienza e il francese exprience) viene dal latino experientia, parola che sta nello stesso campo semantico-concettuale di periculum e di peritus. Si tratta di un campo semantico molto ampio allinterno del quale sta tanto lexperimentum quanto il perire: esso rimanda quindi insieme allidea di insicurezza e di rischio quanto a quella di competenza e di maestria. Allo stesso ambito linguistico appartiene il greco pera, che vuol dire prova, tentativo, esperimento. Il campo semantico-concettuale invece cambia completamente se facciamo adoperiamo la parola tedesca Erfahrung, sulla quale Heidegger ha scritto uno testo fondamentale, Hegels Begriff der Erfahrung10. Secondo Heidegger, esiste una specie di coappartenenza essenziale
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tra la nozione di Erfahrung e la dialettica hegeliana: lesperienza la modalit propria dellesser-presente, dellauto-rappresentazione. Tale connessione implicita nella lingua. Lesperire (erfahren) implica un fahren, cio un procedere, uno studiare la via da prendere, un porsi in cammino verso il sapere assoluto: il suo punto di arrivo la scienza, non il rotolare della pietra. Lesperienza per Hegel inaccessibile al sapere naturale: la continuit posta da Dewey tra la dimensione ordinaria dellesistere e la dimensione estetica non appartiene alla dialettica hegeliana, la quale mira ad un sistema della scienza, cio ad una organizzazione stabile dellassoluto. Se nelle parole di origine romanza implicita lidea del pericolo e di un tentare pratico (quasi direi artigianale, tecnico, nel senso che la tecnica un procedere per tentativi anzich per deduzioni, come nella nozione greca di metis) 11, lErfahrung il cammino attraverso il quale lo spirito si insedia completamente in tutto il regno della sua verit. Erfahrung non perci una parola che appartiene al pensiero heideggeriano. La traduzione in termini heideggeriani della nozione di esperienza piuttosto Gefahr, che formato dallo stesso verbo fahren, ma significa pericolo, e quindi sta nello stesso campo concettuale di esperienza 12. In altre parole, cosa vuol dire in primo luogo avere unesperienza? Lo aveva detto Nietzsche in una frase famosa: vivere pericolosamente (gefhrlich leben). Vivere senza mettere radici, cio in transito. Non si tratta tuttavia di andare alla deriva (non to drift, essere trascinato dalla corrente), ma vivere con coraggio, secondo quella virt cardinale che molti secoli prima Tommaso dAquino aveva definito come magnanimit, magnificenza, pazienza e perseveranza 13. 7. Vivere coerentemente Il proverbio A rolling stone gathers no moss pu essere interpretato anche in un altro senso: vivere senza assumere impegni ed essere coinvolti in responsabilit e impegni gravosi. Qui tocchiamo la specificit dellesperienza estetica rispetto allesperienza in generale. Infatti il disinteresse costituisce un aspetto che a partire da Kant viene attribuito molto spesso allesperienza estetica. Non mi sembra che Dewey accetti questa posizione. Per quanto affermi che esiste continuit tra esperienza ordinaria ed esperienza estetica, tuttavia sottolinea energicamente che una differenza esiste: la cosiddetta esperienza ordinaria non una vera esperienza. La strategia concettuale che sottende al pensiero di Dewey non va affatto in una direzione riduttiva (come spesso viene erroneamente interpretato): laccento non posto sulla nuda esperienza, ma sul fatto che solo lesperienza veramente tale solo quando estetica, cio pericolosa e coerente. Cosa vuol dire coerenza? Cohrens viene da hreo essere attaccato, dimorare fisso. A prima vista sarebbe tutto il contrario del rotolare. Ma se si approfondisce lindagine da un punto di viste etimologico si
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scopre che la parola appartiene a un ceppo linguistico indoeuropeo da cui proviene anche la parola lituana gaistu, il cui significato esitare, temporeggiare. La coerenza non perci separabile dalla esitazione, dal temporeggiare, dal riflettere per avere il tempo di elaborare le sensazioni e le impressioni ricevute dallesterno. Avere unesperienza non an exercise in bookkeeping, un esercizio di contabilit: the experience is of material fraught with suspense and moving toward its own consummation through connected series of varied incidents 14. Certo che per Dewey perch lesperienza sia tale, essa deve essere coerente, cio deve contenere uncertainty and suspense. 8. Lopera il compimento dellesperienza Dewey inserisce nellazione un parametro che indipendente dalla riuscita o dal fallimento pratico, senza tuttavia introdurvi delle istanze che sono estranee alla natura dellazione, quali la moralit. Egli fa saltare lidentit stabilita da Kant tra ragion pratica e moralit: lazione compiuta, cio lazione che pienamente e integralmente tale non etica, ma estetica. Nello stesso tempo egli sottrae lambito dellazione alla politica (e alla guerra), perch la mera efficacia non basta a compiere unesperienza: il risultato in se stesso non compie lazione se separato dal processo che porta ad esso. Il vero uomo dazione non n luomo pio, n il politico (e nemmeno il guerriero), ma lartista! Certo anche le azioni di Cesare e di Napoleone avevano una qualit estetica, ma questa non dipende dal loro successo pratico, ma dalle loro qualit specifiche. Labisso posto da Tolstoj tra lestetica e larte colmato da Dewey con unidea geniale: lesperienza veramente completa (e perci pienamente estetica) quando si materializza in unopera darte! Non solo perch il processo artistico costringe lartista ad un continuo confronto tra ci che ha fatto e ci che ha ancora da fare, obbligandolo a procedere coerentemente e unitariamente, ma soprattutto perch solo a partire dal momento in cui lesperienza si concretizzata in unopera, essa diventa trasmissibile, comunicabile e socialmente rilevante. Dewey fornisce cos una soluzione molto acuta al potenziale conflitto tra la ricerca individuale delleccellenza (che implicita nel perseguimento di unesperienza compiuta) e la solidariet sociale (che induce a spostare lasse della propria attenzione da se stessi verso gli altri): in realt riesce a comunicare con gli altri ed essere loro utile solo chi porta a termine le proprie esperienze! Del resto si sa da sempre che riesce ad andare daccordo con gli altri soltanto chi va daccordo con se stesso! Lesperienza resta incompleta se non diventa percepibile per gli altri attraverso il suo risultato. Lopera, secondo Dewey, sempre virtualmente di dominio pubblico; la sua appartenenza a un mondo comune non dipende dal fatto della pubblicazione, dellesposizione o della ricezione, ma dalla sua esistenza fisica la quale sollecita un giudizio. Perci ogni tensione tra lindividuale e il sociale superata nello stesso momento
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in cui si coglie lintima coappartenenza tra la dimensione estetica e quella artistica. Nessuna esperienza potr mai essere compiuta fintanto che rimane estetica, cio puramente prigioniera del sentire individuale, come un sogno o una fantasia! Chi vuole portare la propria esperienza a compimento deve dunque per forza entrare nella produzione letteraria o artistica? Una ricerca scientifica o filosofica oppure unimpresa politica o industriale non sono esperienze veramente compiute? La differenza tra queste ultime e lesperienza artistica consiste, secondo Dewey, nel fatto solo nellopera darte il processo ha altrettanto importanza quanto la conclusione: mentre nelle esperienze non artistiche possibile estrarre una verit, una formula, un risultato, un esito che presenta un valore autonomo indipendente dal cammino cui ad essi si giunti, nellarte invece la compiutezza riguarda non solo la fine ma anche lo svolgimento, non solo il termine ma anche linizio. Ci non vuol dire per che per Dewey la dinamica dellesperienza abbia, come in Hegel, un andamento circolare, tale che il punto di arrivo si congiunga in qualche modo col cominciamento. Lazione estetica corre verso un compimento effettivo e si conclude nel perfezionamento dellopera. Le esperienze estetiche sono le uniche sulle quali possibile con buona coscienza scrivere la parola fine, perch esse sono anche in tutte le loro parti comunicabili e trasmissibili. Lessenziale dellazione sembra in Dewey consistere in questa possibilit di chiusura, di conclusione. Sotto questo aspetto lestetica e larte offrono di pi di tutte le altre attivit pratiche, alle quali sembra mancare qualcosa di importante: la vittoria o la sconfitta non sono determinanti per se stesse; importa altrettanto come si vinto o come si perso. La lotta conta quanto il risultato; la pacificazione estetica non proviene tanto dalla soluzione dei conflitti, quanto dalla coscienza di avercela messa tutta nel portare a termine limpresa iniziata.

M. Perniola, Lestetica del Novecento, Bologna, Il Mulinom, 1997. M. Kelly, Encyclopedia of Aesthetics, New York - Oxford, Oxford University Press, 1998, 4 voll. 3 K. Barck (a cura di), Aesthetische Grundbegriffe, Stuttgart-Weimar, J. B. Metzler, 2000-06, 7 voll. 4 B. Cassin (a cura di), Vocabulaire Europen des Philosophies. Dictionnaire des Intraduisibles, Paris, ditions du Seuil, 2004. 5 M. Perniola, Del sentire, Torino, Einaudi 2002; Il sex appeal dellinorganico, Torino, Einaudi 2004; Larte e la sua ombra, Torino, Einaudi 2004. 6 J. Dewey, Art as experience [1934], New York, Perigee, 2005, p. 41; tr. it di Giovanni Matteucci, Palermo, Aesthetica Edizioni, 2007, p. 65. Questa nuova traduzione stata preceduta da quella di Corrado Maltese, Firenze, La Nuova Italia, 1951. 7 Ivi, p. 41; tr. it. p. 66. 8 M. Perniola, Arte e interpretazione, in Rivista di Estetica, 1972, n. 2. 9 Cit.
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10 M. Heidegger, Hegels Begriff der Erfahrung, in Holzwege, Frankfurt an Main, Klosterman, 1957, pp. 105-92. 11 Per questa concezione della tecnica rimando a M. Detienne & J.-P. Vernant, Les ruses de lintelligence: la Metis des Grecs, Paris, Flammarion, 1974. 12 M. Heidegger, Bremer und Freiburger Vortrge, Frankfurt an Main, Klosterman, 1994. 13 R.-A. Gauthier, Magnanimit. Lidal de la grandeur dans la philosophie paenne et dans la thologie chrtienne, Paris, Vrin, 1951. Cfr. anche S. F. Maclaren, La magnificenza e il suo doppio. Il pensiero estetico di Giovanni Battista Piranesi, Milano, Mimesis, 2005. 14 J. Dewey, cit., p. 44. Riporto le due traduzioni italiane: Corrado Maltese traduce: Lesperienza esperienza di un materiale carico di sospensione che muove verso la propria perfezione attraverso una serie coordinata di incidenti diversi (cit., p. 54). Giovanni Matteucci traduce invece: Lesperienza di un materiale carico di tensione che va verso il suo perfezionamenro per una serie connessa di episodi.

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Esperienza estetica e interattivit


di Roberto Diodato

1. Propongo semplicemente di prendere nel senso pi forte possibile il titolo dellopera di Dewey, per cui Art as experience vuol dire lArte quale esperienza 1: lopera darte esperienza estetica compiuta e viceversa, e ci comporta pensare lopera darte non soltanto e primariamente come oggetto, ma come evento, o meglio pensarla come oggetto-evento. Abbiamo cos una convergenza stretta e determinata tra estetica e ontologia, per la quale appunto convergono in unit larte come questa opera e larte come questa esperienza. Ci vale a due livelli, particolare e generale, in quanto il singolare intreccio tra opera darte ed esperienza estetica in Dewey inteso come caso esemplare che svela il senso dellesperienza in genere. Dewey esplicita con precisione la questione nel terzo capitolo di Art as experience, dove scrive: lestetico [] lo sviluppo chiarificato e intensificato di tratti che appartengono a ogni esperienza normalmente compiuta. Considero questo fatto la sola base sicura su cui poter costruire una teoria estetica 2; e proprio su tale affermazione 3 Dewey innesta immediatamente un problema: Nella lingua inglese non c una parola che comprenda senza ambiguit ci che designato dalle due parole artistico ed estetico. Dal momento che artistico si riferisce anzitutto allatto della produzione ed estetico a quello della percezione e della fruizione, un peccato che manchi un termine per designare i due processi presi insieme 4. Nella sua inesausta lotta contro ogni forma di dualismo, Dewey indica nellarte quale esperienza il luogo in cui le polarit di passivit e di attivit, di costituzione e fruizione si intersecano esemplarmente dando vita alla concretezza esistenziale dellopera, concretezza che oltre le differenze tra mente e corpo, sensi e intelletto, spirito e materia. Sotto questo aspetto lopera darte una struttura dinamica densa, leggibile come realt solo negli strati genetici dellesperienza in cui consiste a livello sia costitutivo sia fruitivo, come oggetto-evento pensabile soltanto nella sua complessa struttura antropo-ontologica. da questo punto di vista che intendo il tema del compimento o perfezionamento dellesperienza che caratterizza per Dewey lesperienza estetico-artistica: non come piacere o godimento per quanto complesso che il soggetto dellesperienza estetica proverebbe quale contrassegno della compiutezza dellesperienza stessa, quasi fosse possibile una risonanza e una traduzione nellambito
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dei flussi di interessi esistenziali del piacere disinteressato di kantiana memoria, ma come perfezionamento e quindi comprensione vissuta insieme intelligente e sensibile del senso dellesperienza. Che quanto nellarte quale esperienza estetica peculiarmente si disvela sia estendibile come senso dellesperienza in genere e quindi dellessere stesso del mondo credo venga in chiaro nellanalisi della funzione della copula nella costruzione del giudizio predicativo che Dewey compie nella sua Logica, teoria dellindagine, dove scrive: Etimologicamente la parola deriva da una radice che significa stare o soggiornare. Il rimanere e perdurare un modo dazione. Quanto meno, esso indica un temporaneo equilibrio dinterazioni. Ogni mutamento temporale di natura esistenziale. Di conseguenza la copula nel giudizio, sia essa un verbo transitivo o intransitivo, o lambigua forma , ha di per se stessa riferimento alla realt 5. Ora la copula pu anche, a livello riflessivo-esplicativo, essere segno di una relazione puramente logica, ma La situazione alla quale la frase si riferisce determina senza ambiguit se ha una forza attiva, che esprime un cambiamento in atto o potenziale, o se esprime una relazione fra significazioni o idee [] La copula di un giudizio esprime di conseguenza, a differenza del termine della relazione formale, la trasformazione effettiva della materia trattata da situazione indeterminata a situazione determinata. Lungi dallessere un elemento isolabile, la copula pu essere addirittura considerata come ci che mette in opera i contenuti soggetto-e-predicato 6. Dewey vede insomma addirittura nei giudizi predicativi la forza esplosiva del plesso essere-esperienza, la sua dinamicit, che viene prima delle oggettualit isolabili, bens le costituisce come reti relazionali, come distribuzione di fattori attivi, come cooperazioni regolate, come progetti di lavoro solo successivamente rappresentabili in proposizioni, a loro volta leggibili, a questo livello, come cartografie definite dalle loro funzioni 7. quanto con sempre maggiore chiarezza emerge dal passaggio, nel lessico che Dewey finalmente adotta in Knowing and the Know, dal concetto di interazione a quello di transazione: Se linterazione suppone che lorganismo e gli oggetti del suo ambiente siano presenti come esistenze o forme di esistenza essenzialmente separate, antecedenti al loro sottoporsi congiuntamente ad esame, la transazione non ritiene adeguata alcuna preconoscenza n del solo organismo n del solo ambiente [] ma esige che essi si accettino prima di tutto in un sistema comune 8. Cio, a me pare, semplicemente esplicativo di quanto gi Dewey scriveva in Esperienza e natura, rammentando i Saggi sullempirismo radicale di James: esperienza una parola a due facciate in quanto nella sua primaria integrit non riconosce alcuna divisione tra atto e materiale, soggetto e oggetto, ma li contiene entrambi in una totalit non analizzata 9. In altri termini la materia dellesperienza consiste in processi di adattamento tra azioni, abiti, funzioni attive tra fare e subire, cio materia dellesperienza non sono innanzi tutto oggetti di
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cui un soggetto farebbe esperienza: abbiamo cosi immediatamente la destrutturazione di un rapporto meramente naturalistico tra oggetto e soggetto, tra interno ed esterno. Lesperienza piuttosto sintesi di materia e atto, e tale sintesi interazione; ma se il termine interazione implica azione tra polarit, si dovr allora dire che lesperienza accade nel suo senso perfetto o compiuto quando tali polarit non si relazionano come poli in s costituiti ma si coordinano in unit di senso, come avviene appunto esemplarmente nellesperienza estetico-artistica, che non n emotiva, n pratica, n intellettuale, ma realizza in unit questi fattori: Larte rappresenta cos levento culminante della natura e nello stesso tempo il grado pi elevato di esperienza 10. 2. Ora si intende procedere allo sfruttamento del risultato di Dewey. Com noto infatti Dewey intende la nozione capitale di esperienza in genere come linterazione tra organismo e ambiente dalla quale risulta un adattamento che garantisce un utilizzo del secondo 11. Ma, possiamo domandarci, cosa accade quando lambiente non pi soltanto e forse principalmente quello, ascrivibile a dinamiche biologico-vitali quali motori originari di rapporti e istituzioni sociali, a cui Dewey poteva riferirsi? La mia risposta, che ora cercher di giustificare, che in tale nuova situazione la relazione arte-esperienza come esemplare del senso dellesperienza pensata da Dewey acquista un significato peculiare e radicale. Il nostro attuale, comune ambiente, in cui costantemente cerchiamo adattamento e riequilibrio, ha oggi i tratti dellimmaginario mediale e del relativo regime del desiderio proprio dellepoca del marketing emozionale; lambiente dellesteticit diffusa (dalla moda al design, dalla pubblicit al videoclip, dal packaging alla progettazione ambientale ecc.) di cui gusti, sentimenti, emozioni e propensioni grazie a complessi processi di mediazione configurano lapparente immediatezza. certamente tanto complesso quanto necessario tener conto di tutto ci per riscoprire leventuale pregnanza del messaggio di Dewey, ma qui mi permetto di isolare, per dir cos, un aspetto dellambiente contemporaneo che mi pare consenta la ripresa e il ripensamento del nostro modello. Da questa limitata prospettiva ci che chiamiamo ambiente lambiente in senso lato virtuale, reso possibile da dispositivi tecnologici che interagiscono non sempre ma per lo pi con organismi proteseizzati, organismi non pi soltanto biologici ma biotecnologici. Ci si chiede allora che ne sia, in tali ambienti, dellesperienza in genere e dellesperienza estetico-artistica. Le nuove tecnologie di natura fondamentalmente numerica consentono unuscita dal duplice paradigma che ha di fatto orientato le riflessioni sulla tecnica: la tecnica come strumento di supplenza delle carenze adattive tipicamente umane (tesi classicamente esposta da Gehlen 12 e da molti altri) oppure la tecnica come protesi naturale,
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cio originariamente connessa alla natura umana, in s stessa ibridata con lartificiale (nota tesi di Leroi-Gourhan 13). Le nuove tecnologie si collocano oltre lesperienza adattiva di controllo, riequilibrio ed espansione, poich lesperienza si riconfigura non attraverso di esse ma sostanzialmente in esse, come intorno a un centro gravitazionale mutevole e plurale. Radicalizzata secondo lormai classica metafora della deterritorializzazione, questa idea si ritrova in Baudrillard: invece di gravitare intorno a lui in ordine concentrico, tutte le parti del corpo delluomo, ivi compreso il suo cervello, si sono satellizzate intorno a lui in ordine eccentrico, si sono messe in orbita per se stesse e, di colpo, in rapporto a questa estroversione delle sue stesse tecnologie, a questa moltiplicazione orbitale delle sue funzioni, luomo che diviene esorbitato, luomo che diviene eccentrico. Rispetto ai satelliti che ha creato e messo in orbita luomo che oggi, con il suo corpo, il suo pensiero, il suo territorio, divenuto esorbitante 14. Baudrillard elabora al proposito il concetto di videosfera come senso complessivo delle nuove tecnologie digitali, ipermediali e telematiche, un concetto tutto sommato riduttivo e potenzialmente fuorviante poich le nuove tecnologie informatiche non sono soltanto e forse essenzialmente processi di analisi e sintesi dellapparenza, in qualche modo soltanto televisivi. Ma al di l dei termini il messaggio chiaro: le nuove tecnologie pi che essere strumenti o esplicazioni della natura per dir cos, umana, sembrano costituirsi come flussi autonomi, forse espressioni di un aspetto prima celato della physis, che implicano, cio strutturano e destrutturato, lumano (le modalit percettive, le emozioni e i desideri, gli scambi sociali, in generale il plesso corporeo-mentale) allinterno dei loro processi, lautonomia sempre maggiore dei quali rende lumano eccentrico rispetto a essi, e quindi non li sottopone pi alla presa della volont e del progetto, per quanto gettato. Forse ci costringe a pensare in modo nuovo la sintesi physis-techne come luogo proprio dellethos, dellabitare umano, e se fino a ora la polis stata lespressione pi articolata di questa sintesi, adesso la dimensione del politico non appare pi sufficiente. Ora per comprendere la relazione tra arte e nuove tecnologie a mio avviso la prospettiva telematica, intesa come attenzione rivolta alle nuove tecnologie nella loro qualit nuovi media, non sufficiente e forse non coglie lessenziale; infatti necessario esaminare i concetti di virtuale e di corpo-ambiente virtuale, i quali da un lato sono alla base delle nuove tecnologie informatiche e digitali in senso generale, e daltro canto sono alla base di produzioni artistiche non immediatamente mediali o che non hanno una finalit specificamente comunicativa, se non nel senso che laspetto comunicativo pu eventualmente competere a qualsiasi produzione artistica 15. 3. Con lespressione corpo-ambiente virtuale possiamo intendere in primo luogo e in senso ampio unimmagine digitale interattiva, il
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fenomenizzarsi di un algoritmo in formato binario nellinterazione con un utente-fruitore. Si tratta di qualcosa di preciso, su cui da anni la sperimentazione estetica internazionale lavora, vale a dire a tutti quegli oggetti-ambienti informatici con i quali un fruitore pu interagire attraverso le periferiche di un computer, le quali possono assumere la forma protesi bio-robotiche atte a consentire gradi di immersivit molto elevati. Con tali ambienti informatici, elaborati per lo pi non da un individuale singolo autore-(eventualmente)artista ma da una mente collettiva, talvolta lutente interagisce attraverso i suoi avatar, gli alter-ego virtuali che gli appaiono agire allinterno di tali ambienti, producendovi delle trasformazioni, altre volte la sua funzione spettatoriale coincide con lessere attore della situazione. Ora, le trasformazioni o modificazioni estetiche prodotte dagli utenti negli ambienti informatici o virtuali sono possibili in quanto le percezioni sensibili (visive, uditive, tattili ecc.) che essi percepiscono/producono non sono altro che differenti fenomenizzazioni di una matrice algoritmica, non sono altro che le differenti possibili attualizzazioni estetiche permesse dal programma. Tuttavia, si noti, il grado di interattivit di tali oggetti informatici muta a seconda che linterazione avvenga sulla base di matrici algoritmiche rigide che preordinano le possibili interazioni oppure sulla base di matrici flessibili che apprendono e si modificano attraverso linterazione. Quando linterazione implica esperienza estetica in senso deweyano, cio un perfezionamento dellesperienza che assume caratteri tipici ai quali accenner, ed tale da costruire il senso delloggetto-evento, del corpo-immagine o ambiente virtuale qualificandolo come opera darte, allora linterazione propriamente interattivit. Sarebbe a questo punto necessaria una descrizione del campo, una fenomenologia dei corpi virtuali che qui interessano la quale li distingua in base al grado di immersivit e di interattivit che consentono. Questo quanto, certamente, qui non possibile fare; mi limito al proposito a notare che attualmente le tecnologie stabiliscono almeno una differenza di rilievo, tra ambiente virtuale nello schermo (schermo informatico, che non ovviamente quello televisivo) e quindi anche, ma non necessariamente, nella rete (web) cos come pu fenomenizzarsi sullo schermo, e quello che chiamerei ambiente virtuale in senso proprio. Si tratta di una differenza essenziale, che consente la produzione di sperimentazioni artistiche e di poetiche molto, quasi completamente, diverse. Per quanto concerne lesperienza mediata dallo schermo troviamo, divisi in due campi che si intersecano, da un lato gli ipertesti narrativi costruiti specificamente per la rete, tra i quali assumono ora un rilievo specifico i blog che sviluppano narrazioni 16, dallaltro la cosiddetta net-art 17 con altre forme che potranno essere inventate in second life. Questi campi si distinguono per il prevalere di linguaggio verbale, in genere alfabetico, oppure di immagini e suoni, ma sono entrambi caratterizzati dallessere sempre apparire di scritture ipertestuali, le quali si fenomenizzano
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nei limiti delle possibilit intrinseche dello schermo. Ci implica forme specifiche di programmazione dellinterattivit, dove con il termine interattivit si intende sia lazione dellutente che le retroazioni che comportano queste azioni sullinterfaccia (principalmente automatismi e azioni di feedback) 18. Si tratta di operazioni di scrittura informatica intesa essenzialmente come montaggio di oggetti-scrittura che derivano da unidea fondamentale di ipertesto come documento elettronico che prevede un accesso interattivo ai suoi contenuti e alle unit discontinue riunite dal montaggio [in cui] rispetto agli altri documenti elettronici, linterattivit strutturata nelle sue componenti19, le quali in ultima analisi sono i punti di intervento o bottoni di collegamento o link, che consentono forme di interattivit differenti e trasformano il fruitore in fruitore-utente. Perci 20 la specificit estetica dellipertesto, eccedente rispetto a una qualsiasi forma testuale anche digitale, consiste nella qualit dei nessi e quindi nellesperienza interattiva resa possibile dai collegamenti. Unestetica della rete, e quindi dellipertesto in quanto in rete, implica probabilmente una revisione della nozione di schema corporeo, della relazione Krper-Leib e del rapporto percezione-immaginazione, cio di quelle dimensioni strategiche del rapporto uomo-mondo che abbiamo assorbito, e ormai pensiamo come ovvie, dalla tradizione fenomenologica: ci che costituisce una difficolt quasi insormontabile per i programmatori, far vivere lavatar sullo schermo e farlo navigare nella rete come se avesse un corpo vivo, e quindi in modo da trasmettere in tempo reale allabitante dellavatar i processi estetico-noetici di presenza, costituisce probabilmente una sfida per il pensiero che si vede costretto a elaborare nuove categorie per render conto della relativa in-esperibilit della rete 21. Oltre questo aspetto genericamente ipertestuale della scrittura elettronica esiste com noto una linea di ricerca che procede dalle sculture immateriali agli ambienti sensibili con interfacce naturali, ai corpi proteseizzati in ambienti telematici, fino alle prime sperimentazioni di ambienti virtuali propriamente detti. E un discorso ancora a parte meriterebbero le sperimentazioni artistiche nellambito della bioestetica telematica 22 e quelle che tentano una connessione o con-vivenza tra corpo proteseizzato e reti telematiche 23. 4. Per quanto invece concerne il corpo virtuale in senso proprio, possiamo intenderlo come ambiente strutturalmente relazionale ed essenzialmente interattivo; ispezioniamo quindi per sommi capi lontologia del corpo-ambiente virtuale. Per descriverla in massima sintesi possiamo enunciarne le caratteristiche essenziali: lintermediariet e la virtualit caratteristiche tra loro strettamente connesse. I corpi virtuali sono realt intermediarie 24 a mio avviso per due ragioni fondamentali: il corpo ambiente-virtuale in quanto si fenomenizza nellinterattivit sfugge alla dicotomia tra interno ed esterno: non n un prodot142

to cognitivo della coscienza, non immagine della mente in quanto lutente consapevole di esperire una realt altra anche nel senso di un paradossale raddoppiamento sintetico della percezione n esterno a essa in quanto pur sempre dipendente dallazione del fruitore. Il corpo-ambiente virtuale quindi esterno-interno (di questo, che un punto che ritengo essenziale, ovviamente si pu discutere. Prego soltanto di non ritenere che i termini interno ed esterno siano presi qui in modo ingenuo o naturalistico o che siano privi di senso fenomenologico). Ci significa che i corpi virtuali non devono essere propriamente intesi come rapprentazioni della realt, ma come realt costruite in modo essenzialmente differente da quelle costituite dalla partecipazione circolare del corpo vivo con il mondo, il quale grazie alla percezione-visione attraversa il corpo e diviene gesto, movimento del corpo, eventualmente mediato da strumenti di riproduzione analogica, e quindi immagine. I corpi-ambienti virtuali sono piuttosto finestre artificiali che danno accesso a un mondo intermediario 25 nel quale lo spazio stesso il risultato di uninterattivit, il mondo non accade al modo della presa di distanza, bens del senso-sentimento dellimmersione, e il corpo, in quanto percepito come altro, assume il senso della sua realt, della sua effettualit, come incisione patica e immaginaria, come produzione di emozione e di desiderio, al punto che la sensazione di realt trasmessa dallambiente virtuale dipende in gran parte dallefficacia con cui provoca emozioni allutente 26. Da questo punto di vista la realt virtuale pu produrre unesperienza capace di autenticarsi da sola 27, ma appunto in quanto realt, cio come alterit rispetto allutente, come ambiente nel quale pu agire, come corpi che pu manipolare. Dunque il corpo-ambiente virtuale intermediario non soltanto come mediazione tra modello informatico e immagine sensibile, ma primariamente intermediario tra interno e esterno come facce dello stesso fenomeno, strano luogo in cui il confine diventa territorio. Quindi corpi-ambienti virtuali non sono n semplici immagini, n semplici corpi, ma corpi-immagini i quali sfuggono alla distinzione ontologica tra oggetti ed eventi, perch, cos come gli oggetti, hanno una relativa stabilit e permangono nel tempo, ma, cos come gli eventi, esistono solo nellaccadere dellinterattivit. Lindividuo che ne risulta s concreto, in quanto percepibile e soggetto-oggetto di azioni, ma peculiarmente sottile, proprio perch interattivo. Si tratta di un ibrido dallo statuto ontologico incerto; possiamo anche chiamarlo corpo sottile di un mondo non continuo, composto di punti-dati che si manifestano come fluidit e densit e saturano la percezione: un corpo reso leggero dalla digitalizzazione, che ha linterattivit come condizione di manifestazione. Possono qui tornare alla mente i corpi derivanti da processi biotecnologici che popolano il mondo creato da William Gibson in Neuromante e la sua definizione del cyberspazio come allucinazione consensuale: un ambiente che per certi aspetti include lutente stesso
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nella misura in cui questo si trova trasfigurato nel proprio avatar, e partecipa allambiente virtuale come un quasi-cyborg. 5. Ora da un lato le stesse possibilit artistiche dellopera virtuale sono (come sempre per larte, ma come viene bene in chiaro nelle esperienze di produzioni tecnologiche in grado operazioni precise di simulazione) connesse alle operazioni di scarto rispetto alla riproduzione come simulazione di esperienza reale o di realt: le operazioni di simulazione virtuale possono riguardare aspetti ludici e commerciali, mentre loperazione artistica implica quelle possibilit di realizzazione dellimmaginario che sempre irrealt e apertura di faglia nellesistente. Daltro lato per la questione della riproducibilit dellopera connessa alla relazione tra opera ed esperienza: e qui, come si diceva, siamo di fronte a una sostanziale novit, in quanto lopera darte virtuale non intrinsecamente riproducibile, perch incorpora, in quanto interattiva, in modo inedito lazione del fruitore. Ci perch interattivit in questo caso non propriamente (soltanto) interazione, o azione tra, ma intervento e modificazione della matrice che permette allopera stessa di esistere, oltre che ovviamente incidenza nel divenire esteticonoetico del corpo ibridato tecnologicamente del fruitore 28. Questo aspetto fondamentale dellinterattivit introduce sia nellopera sia nella fruizione dellopera (distinguibili solo rationis) un elemento di imponderabilit tale da far s che proprio lessenza digitale, cio numerica, e quindi programmatica dellopera, introduca una componente di indeterminismo. Credo che questa nozione di interattivit sia rilevante anche per definire le possibilit in senso lato etiche dellarte virtuale, ma intanto implica non una sottrazione bens unaccentuazione dei caratteri di irripetibilit e unicit dellopera (non pi oggetto o evento ma oggetto-evento), e rende pi complesse la nozioni di autenticit. Infatti la specifica virtualit del corpo virtuale mette in evidenza il fatto, implicito nella definizione iniziale di corpo virtuale, che il corpo-immagine digitale interattivo non attualizza mai completamente la virtualit della sua matrice algoritmica 29. Il virtuale si configura insomma come complesso problematico, nodo di tendenze che si sviluppa in un imprevedibile processo di attualizzazione formale. Se supponiamo di considerare a questo livello lesperienza estetica come relazione con ci che un certo sistema di prassi e di valori indica essere opere darte, e quindi allinterno di una variegata ma riconoscibile tradizione, allora dovremmo pensare lesperienza estetica privandola della distanza, che stata condizione di possibilit di una forma rilevante del valore artistico, e di pensarla piuttosto nella dimensione del risucchio, dellingresso da parte del fruitore nel corpo dellopera e insieme dellopera nel proprio corpo, o immaginario. Ci comporta laccentuazione della dimensione patica e panica della relazione: fare corpo con lopera, la quale subisce leffetto della mia presenza, e che attraverso il mutamento
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prodotto da questo subire, modifica il mio sentire. Da questo punto di vista lesperienza estetica relazione empatica sui generis, in quanto espone compiutamente lambiguit fondamentale tra internamento e unificazione tipico dellempatia, poich il movimento proiettivo che annulla lalterit non presuppone semplicemente una dualit polare che viene superata, ma esso stesso condizione di possibilit per quel minimo di polarizzazione che consente la proiezione. Quindi, da questo punto di vista ci che un tempo avremmo chiamato soggettivo, lo stesso processo di trasferimento di s nellaltro insieme processo di costituzione dellaltro; daltro canto per tale processo di costituzione consentito dallessenza virtuale dellambiente, ed limitato dal suo schematismo nascosto, dalla sua natura informatica e digitale, la quale pu essere processata empaticamente solo al livello del suo fenomenizzarsi. E ci implica comunque procedure di eterodirezione, strategie di modellizzazione seppure plastiche e fluide. (Tra parentesi ci conduce, tra laltro, a unesperienza inedita: il corpo-ambiente virtuale viene per dir cos attratto nellorizzonte della percezione, rendendo possibile quello che impossibile in ambiente non virtuale, lo sdoppiamento della percezione in se stessa: almeno tendenzialmente, per quanto concerne i processi primari sui quali si innestano poi modalit complesse di azione-fruizione 30, nellambiente virtuale ad alto grado di immersivit lutente percepisce di percepire). Tutto ci costringe a pensare la struttura del corpo-ambiente virtuale come essenzialmente relazionale, o come luogo che esiste solo nellincontro. E ci implica che quanto possiamo, vogliamo o intendiamo chiamare opera darte nellepoca dei dispositivi virtuali sia, per la sua natura interattiva, una forma irriproducibile di esperienza, o la messa in forma di unesperienza irriproducibile (cos che potremmo tranquillamente intitolare un saggio su questi temi: Lopera darte nellepoca della sua irriproducibilit tecnologica). Dunque oggi, come mai prima dora, possibile in senso stretto dire, in linea di principio, che larte sia esperienza. 6. Forse opere darte che siano corpi-ambienti virtuali nel senso sopra descritto non ne sono ancora comparse, se non come progetti e sperimentazioni. Sono comunque da seguire con interesse quelle ricerche che sfruttano la qualit interattiva della fruizione estetica consentita dai processi di digitalizzazione. Per esempio rispetto alla sostanza patica dellarte interattiva, accentuata dalluso di interfacce naturali e quindi dallassenza di protesi tecnologiche innestate nel corpo del fruitore, e dalla relativa maggiore immediatezza dellesperienza, notevoli sono gli ambienti sensibili di Studio Azzurro, a partire da Tavoli (perch queste mani mi toccano?) del 1995, fino almeno a Le zattere dei sentimenti del 2002. Le zattere dei sentimenti sono poi, come afferma Studio Azzurro31, un journey of feelings nel quale gli spettatori possono, toccando in diversi modi tavole alle quali naufraghi disperati tentano di aggrap145

parsi, aiutare o ostacolare la salvezza delle immagini interattive. A partire da questi esperimenti Studio Azzurro ha da un lato sviluppato una riflessione sul senso dellinterattivit per loperazione artistica, dallaltro recentemente avviato un nuovo spazio di sperimentazione artistica che mi sembra tra i pi promettenti proprio per la sua potenziale rilevanza etica. Relativamente al primo punto, scrive Paolo Rosa: per interattivit intendo quella relazione intercettata sotto forma di dati informativi, che la distingue in modo netto dalla semplice definizione di interazione, in quanto risulta essere una relazione diretta e in qualche modo pi intima. Vale a dire che grazie alle nuove tecnologie si rende possibile interferire sui processi relazionali, raccogliendo attraverso interfacce i pi svariati dati sensibili, per trasferirli in uno dei tanti database. Se al posto di utilizzarli, come avviene, per scopi di marketing o di sorveglianza, riuscissimo virtuosamente a renderli tracce vive e partecipative, avremmo un mezzo straordinario per accrescere il senso di condivisione, di elaborazione costante, che alla fine sono validi strumenti di costruzione didentit, di unicit, di appartenenza 32. Se questa definizione di interattivit ancora non esplica propriamente le potenzialit del senso tecno-ontologico che sopra ho delineato, certamente si muove nella direzione, a mio avviso valida e ricca di futuro, di unestetica delle relazioni, accentuando laspetto collettivo e socializzante di costituzione dellopera come costruzione dello spazio pubblico partecipativo. impegnata in questo senso lattuale ricerca di Studio Azzurro, per esempio attraverso la elaborazione di musei tematici del territorio, da intendersi come spazi interattivi di identit e di memoria: Non ragioniamo pi nel senso strettamente museale, ma in termini di luoghi di condensazione in cui la memoria del passato si confronta con una partecipazione nel presente [] Partiamo da elementi caratteristici di tipo storico o produttivo [] Raccogliamo immagini e testimonianze e le immergiamo nei nostri sistemi interattivi. Cos lo scenario oltre che raccontare di un passato, di una storia racconta qualcosa dei linguaggi stessi con cui messa in scena 33. A mio avviso questa tendenza, che si pone non certo come alternativa a una etica della forma, ma come complemento se si vuole in minore, promette qualcosa, quanto pi assumer valore estetico, nella direzione di quanto, negli stessi anni di Art as experience, Benjamin avrebbe chiamato politicizzazione dellestetica e anche rispetto al compito che Dewey, noto nemico dei musei, ci affidava, il compito di ripristinare la continuit tra quelle forme raffinate e intense desperienza che sono le opere darte e gli eventi, i fatti e i patimenti di ogni giorno che, com riconosciuto universalmente, costituiscono lesperienza 34. Innestare lanima dei luoghi, la memoria delle persone e la cultura che gli spazi abitati esprimono, nelle tecnologie davanguardia in modo da farla parlare nuovamente, in modo inedito e produttivo; unire il ricordo e il racconto della tradizione con forme di interattivit che contaminandoli li rendano fecondi di esperienza: quanto pi la
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sperimentazione artistica sapr interagire con la nuova cultura museale, capace di pensare larte come occasione di esperienza collettiva e partecipativa orientata al futuro, a forme e linguaggi non standardizzati che invitano al superamento dei clich percettivi e cognitivi, e soprattutto quanto pi sapr dialogare con quelle tendenze aperte e spregiudicate della progettazione urbanistica e territoriale 35 che oggi tentano di superare una cultura astratta di piano regolatore riconsiderando le dimensioni della temporalit e dellinvisibile che la logica cartografica aveva costretto ad abbandonare, tanto pi sar possibile lavorare nella direzione di un ethos estetico di qualche utilit.

1 As significa per me qui in the same way that. Penso che questo senso risulti complessivamente anche dallintroduzione di Giovanni Matteucci alla nuova, ottima edizione di Art as experience (Arte come esperienza, a cura di G. Matteucci, Aesthetica, Palermo 2007, pp. 7-26). Si tratta ovviamente di un modo figurato dove il termine quale indica qualit; cfr. Arte come esperienza, cit., p. 311. 2 Arte come esperienza, cit., p. 70. Nel cap. 12, significativamente intitolato La sfida alla filosofia, Dewey, p. 267, ribadisce: Lesperienza estetica esperienza pura. Essa infatti esperienza liberata dalle forme che ostacolano e confondono il suo sviluppo in quanto esperienza [...] allesperienza estetica, dunque, che deve rifarsi il filosofo per comprendere cos lesperienza. 3 Che certamente pu essere, ed stata acutamente criticata. Sullindebito enjambement, che opera il Dewey, fra esperienza comune ed esperienza estetico-artistica si veda L. Russo, La polemica fra Croce e Dewey e larte come esperienza, Rivista di studi crociani, 5, 1968, soprattutto pp. 212-13. 4 Arte come esperienza, cit., p. 70. 5 Logica, teoria dellindagine, trad. it. A. Visalberghi, Einaudi, Torino 1973, vol. i, p. 170. 6 Ivi, p. 171. 7 Come aveva ben compreso Enzo Paci, Dewey e linterrelazione universale, in Tempo e relazione, Taylor, Torino 1954, p. 155: Il riconoscimento della interdipendenza e della relazione di tutti gli eventi una caratteristica fondamentale della filosofia di Dewey. Tutto esperienza, tutto ci che nellesperienza relazione reciproca; luniverso stesso pu presentarsi ai nostri occhi come una grande societ di fatti ed eventi. 8 J. Dewey - A. F. Bentley, Conoscenza e transazione, trad. it. E. Mistretta, La Nuova Italia, Firenze 1974, p. 146. 9 Esperienza e natura, a cura di P. Bairati, Mursia, Milano 1973, p. 27. 10 Ivi, p. 18. 11 Rifare la filosofia, trad. it. S. Coyaud, Donzelli, Roma 1998, p. 70. 12 Cfr. A. Gehlen, Luomo nellera della tecnica, Sugar Editore, Milano 1967, pp. 10-11. Gehlen cita Sombart, Alsberg e Ortega y Gasset a appoggio di questa tesi. 13 Cfr. A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Einaudi, Torino 1977, pp. 283-84. 14 J. Baudrillard, Videosfera e soggetto frattale, in L. Anceschi (a cura di), Videoculture di fine secolo, Liguori, Napoli 1989, p. 30. Per uno sviluppo di questo tema in direzione del virtuale cfr. Baudrillard, Il delitto perfetto, postfazione di G. Piana, Cortina, Milano, 1996. 15 Per una panoramica generale sullarte digitale cfr. L. Taiuti Corpi sognanti. Larte nellepoca delle tecnologie digitali, Feltrinelli, Milano, 2001; Ch. Paul, Digital Art, Thames & Hudson, London 2003; F. De Meredieu, Arts et nouvelles technologies. Art vido Art numrique, Larousse/VUEF 2003; sugli aspetti specificamente multimediali cfr. L.

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Taiuti, Multimedia. Lincrocio dei linguaggi comunicativi, Meltemi, Roma 2005; in particolare sullarte virtuale cfr. O. Grau, Virtual Art. From Illusion to Immersion, Cambridge (Mass.)-London, MIT Press 2003. Per unanalisi accurate delle opere e delle poetiche E. Couchot- N. Hillaire, Lart numrique, Flammarion, Paris, 2003; A-M Duguet, Djouer limage. Crations lectroniques et numriques, Jacqueline Chambon, Nimes, 2002. 16 Cfr. per approfondire questo punto A. Tursi, Estetica dei nuovi media. Forme espressive e network society, costa & nolan, Genova 2007, pp. 116-36. 17 Per lo studio accurato di un caso ormai storicizzabile cfr. D. Quaranta, NET ART 1994-1998. La vicenda di daweb, Vita e Pensiero, Milano 2004. 18 A. Zinna, Le interfacce degli oggetti di scrittura: Teoria del linguaggio e ipertesti , Meltemi, Roma 2004, p. 219. 19 Ivi, p. 220. 20 Come gi sostenevo in questa sede allepoca del convegno La nuova estetica italiana. 21 Ha avviato uninteressante riflessione sullestetica del web Vincenzo Cuomo nel volume Al di l della casa dellessere. Una cartografia della vita estetica a venire, Aracne, Roma, 2007. Concordo con Cuomo quando, p. 76, scrive: ritengo sia un errore fenomenologico (e ontologico) confondere lambiente-corpo digitale con il data-space, con il flusso tele-presente dei dati (e del software-data) nel web. Lo spazio interattivo del web non pu essere ridotto allambiente virtuale, pena la riduzione della sua problematicit; e ci vale anche viceversa: si tratta in effetti di due ambienti strutturalmente differenti. 22 Per esempio le ormai celebri opere di Edoardo Kac; per una riflessione sulla responsabilit etica della bioarte cfr. la conversazione tra Maurizio Bolognini e Edoardo Kac in http://www.ekac.org/luxflux2005.html 23 Si pensi al progetto MOVATAR di Stelarc che comprende un esoscheletro in parte eterodiretto dagli utenti della rete Internet: Si tratta di un avatar dotato di unintelligenza artificiale che lo rende in un certo senso autonomo e operativo. Sar in grado di essere attivo nel mondo reale collegandosi a un corpo fisico. Quindi se qualcuno indosser lattrezzatura e si connetter allavatar, diventer lospite di unentit virtuale intelligente un mezzo attraverso il quale il movimento dellavatar pu attualizzarsi. Un fantasma che possiede un corpo e agisce nel mondo fisico [] Lesperienza sarebbe allo stesso tempo quella di un corpo posseduto e di un corpo agente [] La questione non tanto chi controlla laltro, quanto piuttosto lidea di un sistema di rappresentazione pi complesso, di interazione tra corpi reali e virtuali, cfr. STELARC, Linvolontario, lalieno e lautomatizzato. Coreografie per corpi, robot e fantasmi, in La scena digitale. Nuovi media per la danza, a cura di A. Menicacci e E. Quinz, Marsilio, Venezia 2001, pp. 268-69. 24 Cfr. soprattutto Ph. Queau, Metaxu. Thorie de lart intermdiaire, Seyssel, Champ Vallon/INA 1989. 25 Ph. Queau, Metaxu, cit., p. 18. Non seguo per la teoria degli enti intermediari di Queau ed elaboro la questione a modo mio. 26 Si pensi al proposito agli esperimenti di acrofobia virtuale condotti al Georgia Institute of Technology: i malati di acrofobia utenti di questi ambienti virtuali, ambienti che non sono simulazioni particolarmente persuasive dal punto di vista percettivo, mostrano gli stessi sintomi che accuserebbero in ambienti reali. Lambiente virtuale consente lai pazienti di provare e quindi controllare le loro reazioni in assenza di pericolo. 27 J. D. Bolter - R. Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, a cura di A. Marinelli, Guerini e Associati, Milano 2002, p. 195. 28 Lesposizione dei problemi logico-fisici impliciti in questa nozione di interattivit non qui possibile, ed un luogo di ricerca interessante e impegnativo. 29 Cfr. P. Levy, Il virtuale, Cortina, Milano, 1997, pp. 130-31; cfr. anche M. Heim, The Metaphysics of Virtual Reality, Oxford University Press, New York-Oxford 1993, p. 132. 30 Per quanto riguarda le modalit dellesperienza estetica in ambienti virtuali mi permetto di rinviare al mio Estetica del virtuale, Bruno Mondadori, Milano 2005. 31 Come si legge nel loro sito www.studioazzurro.com

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32 Oltre i confini delle immagini: lestetica delle relazioni. Conversazione con Paolo Rosa a cura di B. Di Martino, in Studio Azzurro, Tracce, sguardi e altri pensieri, a cura di B. Di Martino, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 49. 33 Ivi, pp. 48-49. Primi esperimenti il museo della Resistenza a Fosdinovo e il museo della ruota nel biellese, sulla cultura del tessile. 34 Arte come esperienza, cit., p. 31. 35 Nellambito disciplinare della Pianificazione territoriale va in questa direzione il notevole contributo teorico di Lidia Decandia, e in particolare i volumi: Dellidentit. Saggio sui luoghi. Per una critica della razionalit urbanistica, Rubettino, Soveria Mannelli, 2000, e Anime di luoghi, FrancoAngeli, Milano, 2004.

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Patologie dellesperienza estetica contemporanea


di Fabrizio Desideri

Patologia nel suo senso esteso indica normalmente il malfunzionamento di un organismo, una qualche anomalia. In maniera pi sbrigativa e pi consuetudinaria potremmo anche dire che quando usiamo il termine patologia implichiamo che qualcosa non va. Il difficile in questi casi dire quando qualche cosa va ossia e pi precisamente quando un organismo (non necessariamente biologico, anche sociale oppure istituzionale) funziona normalmente, non soggetto ad anomalie. Il normale funzionamento di un organismo o di un sistema, di cui lorganismo (vivente) costituisce senza dubbio un sottogenere (nel senso appunto che ogni organismo un sistema, ma non viceversa), pi facilmente definibile ex negativo (in opposizione alle sue manifestazioni patologiche) che in via direttamente positiva. Senza con questo dover affatto concludere in un apofatismo puro semplice. Non sostengo infatti che il normale funzionamento di un sistema o di un organismo sia ineffabile: le sue patologie delimitano gi in positivo alcuni tratti significativi della condizione di normalit funzionale. Ovviamente, rispetto alleffettivit di sistemi-organismi la norma esprime una sorta di media ideale che possiamo esprimere nella forma di un modello. Da una parte, tale modello dipende da una serie di osservazioni empiriche, tanto pi significative quanto pi si presentano in forma patologica; dallaltra, queste osservazioni sono influenzate dal modello e dai criteri di interrogazione-analisi che fornisce. A questo proposito un modello, nella fattispecie un modello relativo ad una funzionalit sistemica, sar tanto pi potente quanto pi sar permeabile a degli aggiustamenti e a delle correzioni e quindi quanto pi sar flessibile. Sulla base di questa premessa generale mi propongo di analizzare il problema delle patologie dellesperienza estetica contemporanea. Un aspetto non secondario del mio proponimento, anzi strettamente congiunto con esso, dato dallintenzione di contrastare la tesi abbastanza diffusa circa lestetizzazione o, come suo rovescio speculare, circa lanestetizzazione quale chiave interpretativa di certi caratteri salienti della contemporaneit quanto al problema estetico. Dico subito che a me questa tesi , nel suo carattere di attribuzione generalizzante, pare inconsistente. Non solo per la sua scarsa efficacia descrittiva, ma anche e forse ancor pi decisamente per il modello teoricamente normativo da
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cui consapevolmente o inconsapevolmente deriva. Riprendendo a questo proposito una tesi di Jean Marie Schaeffer 1, senza doverla abbracciare in toto sia nella sua articolazione analitica sia nel suo sviluppo successivo 2, identifico questo modello come direttamente derivante da una concezione speculativa dellestetica, dove questultima abbandonando progressivamente il terreno aisthetico (e dunque percettivo-sensoriale) del sentire si risolve sostanzialmente in una filosofia dellarte, conferendo a questultima la prerogativa di un accesso privilegiato alla verit. Con qualche approssimazione si pu individuare la genesi di questo modello speculativo dellestetica nellambito della filosofia romantica e idealista (segnatamente in Schelling ed Hegel) e vederne lo sviluppo e la prosecuzione nel corso del Novecento in autori come Heidegger e Gadamer. La conseguenza pi macroscopica di unidentificazione dellestetica con una filosofia dellarte (di cui, ad esempio, la risoluzione gadameriana dellestetica in ermeneutica una diretta conseguenza) che qualora venga ammessa una qualche specificit e pertinenza della nozione di esperienza estetica (in Heidegger, ad esempio, essa esplicitamente esclusa, fino a convertire lEstetica in una Poietica ossia nel considerare lorigine dellarte in una messa in opera della verit), essa viene comunque assorbita nella sfera dellartistico. E molto spesso non nellartistico in genere, bens in una sfera dellarte da scriversi con la maiuscola. Solo questultima, infatti, in quanto costituita da opere-eventi eccezionali rende possibili esperienze estetiche altrettanto eccezionali. Lesperienza estetica si fa cos sinonimo di esperienza autentica, mentre proprio della possibilit di questultima e dellesperienza in generale ci di cui, nella diagnostica oscillatoria di estetizzazione e anestetizzazione, si lamenta la perdita. In questi casi non ci si accorge, per, che il leit-motiv diagnostico una conseguenza del modello speculativo soggiacente. Quel modello, di cui appunto estetizzazione e anestetizzazione rappresentano rispettivamente lesplosione e limplosione. Il modello esplode o implode per un sovraccarico di investimenti teorico-speculativi nei suoi confronti e di conseguenti attese nei confronti della realt. Siamo forse di fronte analogamente a quanto avviene nei mercati finanziari allesplosione o allimplosione di una bolla speculativa alimentata dalla forza dinerzia delle tradizioni filosofiche e dalleccesso di previsioni negative. Un primo passo critico (che non pu essere svolto qui) consisterebbe nel riconoscere la relativit e la problematicit di questo punto di vista che, a partire da un lettura ipersemplificata della contemporaneit (ad esempio nella forma di un circolo infernale tra globalizzazione, accelerazione tecnologica, post-humano e dominio di un fantomatico pensiero unico) evoca miticamente un senso autentico dellidentit umana di cui lesperienza estetica in relazione allArte (con la maiuscola) significherebbe e lespressione e il compimento. Anche una versione pi moderata di questa lettura mitica della modernit e della ipermodernit quale quella di Marquard (esplicitamente collegata
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allestetica della ricezione jaussiana) ne condivide i difetti di fondo: alla perdita di esperienza tipica del Moderno (alla sua trasformazione in un puro e semplice mondo dattesa 3) il mondo dellesperienza viene conservato nella dimensione estetica a condizione, certo, che lestetico sia inteso come regno poetico-ermeneutico e che, di conseguenza, lesperienza estetica sia identificata come esperienza dellarte da trasformarsi in arte dellesperienza. Non casualmente Marquard, nel saggio cui ho finora fatto particolare riferimento, attacca in maniera esplicita le tesi di Dewey contenute in Arte come esperienza: Lattuale situazione congiunturale dellesperienza estetica compensa quindi [] la crisi dellesperienza della vita che caratterizza la modernit e il nostro tempo. [] Infatti, a poco serve scoprire, come Dewey, ci che vi di estetico nellesperienza della vita quotidiana, se poi si vive in unepoca che, allopposto, deve ancora trarre in salvo lesperienza della vita quotidiana nella dimensione estetica pur di poterla conservare. Unoperazione che, invece, riesce [] unicamente quando la dimensione estetica (larte e la sua ricezione) vuole e concepisce se stessa, appunto, come esperienza 4. Contrariamente a quanto intende Marquard, a me pare invece che il metodo scelto da Dewey, ossia quello di spiegare il senso dellarte per la vita umana a partire dalla primariet dellesperienza come commercio attivo e vigile con il mondo 5, sia lunico corretto e sensato. Innanzitutto perch muove da una nozione di esperienza come medium implicativo della continua interazione tra la creatura vivente (il sistema-organismo) e le condizioni ambientali, anzich come remedium contro lestraneit al mondo 6. Rispetto al criptognosticismo di Marquard, che suppone un soggetto gi in s definito in opposizione allestraneit mondana, la prospettiva naturalistica, ma non riduzionistica, di Dewey offre la possibilit metodica di intendere lesperienza come un continuum geneticamente anteriore al costituirsi di una soggettivit autoriflessiva. E ci permette di disporre, relativamente alla stessa definizione di esperienza estetica, le tre nozioni cardine della teoria della ricezione jaussiana poiesis, aisthesis, katharsis nella loro giusta sequenza sia dal punto di vista genetico-evolutivo sia da quello logico-concettuale, mettendo al primo posto laisthesis. Larte nella sua significativit estetica la si comprende, infatti, a partire dalle dinamiche percettive che costituiscono ogni esperienza del mondo. Sono queste, nella loro intrinseca e non aggiuntiva esteticit, a costituire il germe dellarte 7 e non solo dellarte cosiddetta bella, ma di ogni arte, anche di quella che Dewey chiama tecnologica 8. Di conseguenza lestetico, in quanto qualit valutativa, percettiva e fruitiva dellesperienza, pi ampio del fatto artistico, seppur stia con esso in una relazione di continuit genetica e di discontinuit logica. Sulla base di questo chiarimento preliminare, relativo allampiezza
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e alla costitutivit dellestetico in opposizione al suo carattere speciale e compensativo, possiamo anche tentare unapprossimazione analitica a quelle che ho chiamato patologie dellesperienza estetica contemporanea. Con tre precisazioni, e conseguenti limitazioni, aggiuntive. La prima riguarda il vigere di una qualche connessione, stretta o remota non importa, tra determinate patologie e la tesi dellestetizzazione/ anestetizzazione. Ci non fa altro che confermare il fatto che le teorie estetiche non solo implicano credenze e atteggiamenti nei confronti del mondo, ma spesso li influenzano, facendo leva su disagi effettivi e propensioni nei suoi confronti. La seconda precisazione relativa allesclusione dalla mia analisi di patologie per cos dire sistemiche, riguardanti il S come sintesi biologico-culturale, limitandomi a quelle che riguardano lesercizio di quella che chiamerei meta- funzione estetica. La terza precisazione concerne il metodo di rilevamento: escluder qualsiasi approccio direttamente fenomenologico, assumendo come terreno danalisi atteggiamenti e correlativi contenuti proposizionali (nel presupposto che questultimi dicono sempre qualcosa circa il paesaggio interno di cui sono espressione). Come si capir, il mio scopo non tanto quello di opporre una versione corretta dellesperienza estetica (ci significherebbe ancora difendere il mito dellesperienza estetica come esperienza autentica), quanto piuttosto di verificare, a partire dallinterpretazione di alcuni fenomeni sintomatici (e degli atteggiamenti che implicano), se, in che misura e a quali condizioni possiamo delineare un modello antropologicamente costante e quindi transculturale della (meta)funzione estetica nella costituzione mediale dellesperienza (nel suo essere un medium prima ancora che un remedium). Per ragioni di economia mi limiter a tre fenomeni-credenze esemplari anche per la loro diffusione: lo psichismo, lestetismo e lesotismo. Nella convinzione, a questultimo proposito, che sia giunto il momento di affrontare il problema estetico non solo a partire da casi per cos dire estremi, che eccedono la media degli atteggiamenti estetici, ma anche da considerazioni circa quel che avviene innanzitutto e per lo pi. La prospettiva, insomma, quella di unestetica capace di cogliere la qualit nella quantit (unestetica quantitativa se volete) indagando lo stabilizzarsi di preferenze, valutazioni, giudizi e rifiuti estetici di lungo periodo. Nellipotesi che il gusto non possa esser considerato del tutto e radicalmente artificiale (frutto, cio, soltanto di dispositivi culturali e, dunque, privo di una qualche base biologica) e che, comunque, debba esser rivista in senso concettualmente accorto la linea di confine tra naturale e artificiale. In tale direzione ritengo necessario ripensare anche contro quanto da me sostenuto in precedenza la definizione kantiana di arte in senso generico come produzione mediante libert 9. Forse dovremmo sostituire libert con intenzionalit e prepararci a riconoscere che noi umani a questo riguardo non siamo soli (questo ovviamente non centra niente con le
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fantasie intorno ai primati che fanno simil-Picasso o simil-Pollock: in merito condivido pienamente quanto sostenuto in maniera esemplare da Lucia Pizzo Russo 10). Prima di impegnarmi in una pur breve analisi di psichismo, estetismo e esotismo ho per lobbligo di esplicitare cosa intenda qui per contemporaneit o almeno quali tratti salienti del presente ritenga significativi sotto il profilo dellesperienza estetica. Quanto dir potr sembrare ovvio, ma preferisco lovviet alloscurit. I tratti salienti sono: (1) il globalismo ovvero lunificazione sistemica del mondo, (2) lo sviluppo pervasivo di una infosfera e delle relative interfacce intelligenti di accesso ad essa, (3) la modellizzazione ipertecnologica dellambiente e della vita quotidiana, (4) la revisione da parte della ricerca scientifica di alcuni tradizionali confini tra natura e cultura, (5) lintreccio pluralistico tra culture e visioni del mondo e il relativismo de facto che ne consegue 11. Rispetto a questo elenco, aggiungo ununica osservazione. Se il globalismo, che corre sul filo immateriale-concreto del sapere tecnologico-informatico e su quello materiale-astratto delleconomia finanziaria, unifica il mondo e pi precisamente i mondi vitali e di senso, di cui il mondo costituisce lunit differenziale, tale unificazione riguarda solo la sfera comunicativa (caratterizzata dalla velocit e dallubiquit dei processi di produzione e di accesso allinformazione), trasformandola in vettore di ogni altro processo e di ogni altra trasformazione. Ci significa anche che lattuale pervasivit della sfera comunicativa non produce identit, ma rivela differenze: differenze di forme di vita, di tradizioni culturali e di modi e tempi nelladeguarsi e nellinteragire con la facies tecnologica dellambiente e con linterfaccia di accesso allinfosfera. Non siamo insomma di fronte ad una omogeneizzazione del paesaggio umano. Semmai di fronte al fatto che tradizioni culturali e forme di vita remote e distanti si sono fatte estremamente prossime, in un intreccio da cui non assente il conflitto (in tutte le sue versioni). Di qui la questione pratica ed etica, ancor prima che teorica, del pluralismo e del relativismo in relazione al problema dellidentit umana e delle sfide scientifiche e tecnologiche cui esposta. Sotto il profilo dellesperienza estetica ci dovrebbe invitare a relativizzare alcuni assunti generalizzanti e ad abbandonare alcune chiavi interpretative (ad esempio quelle che identificano la dimensione estetica dellesperienza con larte, anzi con il mondo dellarte nel suo senso istituzionale, e con la fruizione delle opere). Da questo punto di vista lesperienza estetica di uno spettacolo nel teatro parrocchiale ha un grado di significativit pari alla partecipazione alle performances pi trendy. Sono infatti convinto che proprio oggi abbiamo bisogno di una teoria che miri a spiegare tanto la prima esperienza quanto la seconda, senza la pretesa di ordinarle in una gerarchia di valore. Questultimo il compito di una critica e non di unestetica. Sulla base di queste precisazioni possiamo ora, pur brevemente,
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caratterizzare le tre patologie dellesperienza estetica enumerate innanzi. Per psichismo intendo tutti quegli atteggiamenti estetici che fanno precipitare la relativa esperienza nellorbita del vissuto. Di conseguenza la misura della verit dellErfahrung estetica offerta essenzialmente dallErlebnis. Anzi: lesperienza estetica non , alfondo, altro che Erlebnis. E ci nel presupposto che il senso dellidentit umana sia definibile in maniera puramente intrapsichica. La manifestazione pi evidente dello psichismo si pu cos individuare in una difficolt ad orientarsi in ambienti poco familiari, non riscaldati dal tepore della consuetudine e non confortati dai legami della tradizione. Riducendo il simbolico, di cui lesperienza estetica grembo fecondo, a contrassegno e/o congiungimento con loriginario, lo psichismo manifesta un acuto disagio, fino al disadattamento, nei confronti della modellizzazione tecnologica dellambiente. Psiche diviene lantitesi di techne: la techne vista come un ingombrante complesso protesico che complica inutilmente, quando addirittura non impedisce, il ritorno in s. Degradato a mezzo o feticizzato a destino il medium tecnologico si trasforma nellaltro rispetto allumano: nellantitesi della sua dimensione miticamente naturale o autentica. Pi che svilupparsi come uneffettiva relazione lesperienza estetica tende qui a invilupparsi sul confine di una regressione interiore. Lo psichismo conseguente tende perci a consegnare lestetico in quanto vissuto allineffabile, il senso al sentimento. Caricando latteggiamento nei confronti dellesterno dellaspettiva di una rassicurante conferma rispetto alla dimensione soggettiva del vissuto, lo psichismo vive sempre negativamente le dinamiche trans-formative dellesperienza. Cos nei confronti del presente si sente sempre in perdita, investendolo di un eccesso di negativit e di catastrofismo. E perci tale ateggiamento genera nevrosi e talvolta depressione, oscillando appunto tra la fatica di essere se stessi 12 e limpossibilit di un bilancio attivo nel commercio estetico con lambiente. Unica requie, in questa nevrotica oscillazione, offerta dalla poesia. Qui larte pu ancora difendersi, seppur residualmente, ed offrirsi come un dialogo interpsichico tra io e tu. Alla barbarie dei linguaggi artistici contemporanei lo psichismo oppone un senso poetico-sentimentale dellarte e dellesperienza estetica, dove il conoscere e il sentire stanno in perpetuo disaccordo. Simmetricamente antitetico allo psichismo lesotismo. In questo caso la dinamica della relazione estetica tutta consegnata ad un puro fuori 13: a unesteriorit assoluta. Quanto pi loggetto percepito come astratto dalla prospettiva del mondo ed estraneo alla cerchia delle relazioni e degli abiti che definiscono la mia forma di vita, tanto pi prediletto esteticamente. Mentre per lo psichismo la misura del valore estetico una prossimit dove il familiare scivola insensibilmente nellintimo, per lesotismo il valore dettato dalla distanza. Perci loggetto estetico desiderato in quanto assolutamente distante e, quindi, sigillato in se stesso. Non importa che la sua distanza sia geografica
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o culturale, basta che opponga resistenza a rivelare i fili e le relazioni che lo connettono al mio mondo. Bloccato nella sfera del desiderio, il senso dellestetico implica qui la chiusura al cognitivo. Nellesotismo si persegue, cos, lutopia di un oggetto in s, perfetto nel suo isolamento e distante perfino dal proprio ambiente da cui emerge, appunto, come fosse unisola. In quanto emergenza assoluta loggetto esotico dunque indifferente al problema del confine tra physis e techne, tra vita e artificio. Chi insegue linsula felix delloggetto esotico trascura che, al fondo, ogni isola tale, ma solo relativamente. Sempre in balia della pulsione a fare della vita stessa unopera darte lestetismo 14 tende invece a rimuovere i confini tra esperienza in generale (quella che con Paolo DAngelo potremmo anche chiamare esperienza quotidiana 15) ed esperienza estetica. Il motivo sta nel fatto che surroga la (meta)funzione estetica, e lesperienza che la pone in esercizio, nel suo input iniziale: la sensazione. Trascurando la differenza (pur micro-logica e micro-temporale) 16 che intercorre tra la pluralit tendenzialmente caotica degli input sensoriali e le selezioni percettive, lestetismo persegue una rotondit e una definitezza della sensazione, dove la significativit precipiti ad un grado zero. Ricercando una fantasmatica sensazione pura, lestetismo riduce la qualit in gioco nella dinamica percettiva dellesperienza estetica in una qualit della sensazione che si traduca in un senso senza significati. Per questo il modo in cui la sensazione si presenta nellestetismo si fissa spesso nella forma dello choc. un aspetto questultimo ben colto da Dewey e proprio nel suo carattere patologico: La connessione tra qualit e oggetti scrive in Arte come esperienza intrinseca in ogni esperienza dotata di significativit. Se si elimina questa connessione non rimane che una successione di fremiti transitori priva di senso e non identificabile. Quando facciamo pure esperienze di sensazioni esse ci capitano attirando dimprovviso e violentemente lattenzione; sono shock, e perfino gli shock servono normalmente a suscitare la curiosit di indagare la natura della situazione che ha improvvisamente interrotto la nostra occupazione precedente. Se la condizione persiste senza cambiamenti e senza che si sappia calare ci che si sente in una propriet delloggetto, il risultato pura esasperazione una cosa assolutamente distante dal godimento estetico. E non promettente fare della patologia della sensazione la base del godimento estetico 17. Trasformando e trans-valutando lesperienza estetica in un ethos vero e proprio, se non addirittura in unetica, lestetismo traduce lattitudine attenzionale nellintenzionalit (in senso forte) di unattesa: attesa che la sensazione si faccia forma. Ma leidos una promessa che la pura sensazione non pu mai mantenere. Di qui lesasperata tensione meta-eidetica dellestetismo, talvolta nella ricerca dellinforme fino alla regressione materica. Quando non incontra thanatos come la
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vera perfezione di eros (il volto in-significante di cui in cerca) lestetismo non pu far altro che rimettersi ad attendere il prossimo shock, innalzando progressivamente lasticella che misura il grado della sua intensit. E poich lasticella che sposta ha il colore grigio dellabitudine, spesso lestetismo finisce per consegnarsi alla noia ovvero al suo nemico mortale. Rispetto a queste tre patologie dellesperienza estetica mi guardo bene dal proporre una qualsiasi versione corretta o sana di esperienza estetica, opponendo un dover essere al loro essere. Mi si potrebbe anche obiettare che lessere di queste patologie riguarda la possibilit pi che leffettivit. La caratterizzazione di ogni patologia, in forma di breve schizzo, ha certamente il valore di un modello, con tutte le semplificazioni e le astrazioni che comporta. Tutto sta nel vedere se questo modello funziona e ci aiuta a capire alcuni aspetti diffusi e salienti dellesperienza estetica contemporanea e se, tornando al mio proposito iniziale, non lasci anche scorgere un modello di esperienza estetica nel suo funzionamento per cos dire normale. Laddove normale sta ad indicare lapprossimazione descrittiva ad una funzione o meta-funzione che ho definito in termini di costante antropologica transculturale. Cos intesa, la dimensione estetica dellesperienza perderebbe il suo carattere speciale e il suo valore puramente regionale nel panorama delle pratiche umane, per acquisire il senso di un primo orientamento nei confronti del mondo, di una prima capacit di organizzare sensatamente, nel commercio percettivo, le informazioni dellambiente: di organizzarle in una maniera gratificante (e dunque con un effetto di rinforzo) per il sistema o lorganismo in gioco. In quella che Schaeffer chiama unattivazione ludica del discernimento cognitivo 18 e che Kant definisce nella famosa formula dellanticipazione della forma di una conoscenza in generale, il piacere si configura infatti come una sintesi densa tra lelemento emotivo e quello cognitivo della percezione. Una sintesi che unifica, nella forza performativa di un giudizio, la dimensione percettiva, quella valutativa e quella fruitiva 19. Se poi assumiamo con una valenza dinamica il termine anticipazione usato da Kant, e lo assumiamo cos proprio in rapporto al carattere rafforzante e gratificante del piacere che lo contraddistingue, allora anticipa, in quanto congiunge il livello temporale con quello logico, pu qui tradursi in: orienta attivamente, costituendo un significativo assaggio di una relazione sensata (densa di senso) con il mondo. Lassaggio tipico dellesteticit di ogni comprensione, dove il gusto del sapere, la sintesi densa di un sapere come (di un know how) sempre in anticipo, precedendo le articolazioni e le categorizzazioni di un sapere che. Una tesi, questultima, forse in sintonia con lo spirito, se non con tutta la lettera dellanalitica kantiana del bello e condivisa per altri versi da Stuart Kaufmann nelle sue Esplorazioni evolutive, laddove sostiene: I fatti sono enunciati dal sapere che. Ma il sapere
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come ha preceduto il sapere che. Io continua Kaufmann -, anche se pienamente consapevole dellingiunzione di Hume [a separare l dal devessere] credo che nella prospettiva dellagente autonomo la dicotomia disgustoso-delizioso sia primaria, inevitabile e, per quellagente, della massima importanza 20. In questo passo Kaufmann non intende per riferirsi allestetico come anticipazione del cognitivo. La precedenza dellestetico, comunque prefigurata nella coppia oppositiva disgustoso-delizioso e caratterizzata nel senso di un sapere come, riguarda piuttosto la base biologica dellatteggiamento etico. Convinzione di Kaufmann , infatti, che rudimenti di semantica, di intenzionalit, di valore e di etica nascano con gli agenti autonomi, ossia con tutti i sistemi viventi capaci di autorganizzazione. Senza dover condividere del tutto la tesi di Kaufmann, si tratta ora di capire se anche, e in che misura, alcuni rudimenti di estetica siano ravvisabili prima dellemergenza dellumano. Possiamo, in altri termini, parlare di presupposti naturali e quindi evolutivi dellemergenza dellestetico nella trasmissione linguistico-culturale che contraddistingue, differenzialmente, luomo in quanto specie? Per tentare una risposta positiva possiamo prendere in seria considerazione le osservazioni che Darwin dedica al problema estetico in una chiave evolutiva nella sua seconda grande opera: The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex. Queste osservazioni sono state recentemente discusse e analizzate non solo da un punto di vista psico e sociobiologico 21, ma anche da un punto di vista filosofico e segnatamente estetico, in particolare da Winfried Menninghaus nel libro Das Versprechen der Schnheit 22 e da Wolfgang Welsch nel saggio Animal Aesthetics 23. Di particolare interesse per il nostro discorso mi sembrano le tesi avanzate da questultimo. Riprendendo alcune osservazioni autocritiche dello stesso Darwin, relative appunto allaver attribuito troppa importanza allazione della selezione naturale o alla sopravvivenza del pi adatto, Welsch mira infatti a contestare una posizione abbastanza diffusa in ambito sociobiologico, ossia che i criteri estetici della scelta del compagno per la riproduzione siano definibili in termini di semplici indicatori di fitness. Contro questa posizione parlano alcune osservazioni dello stesso Darwin. Lo sviluppo di alcune parti del corpo (quali la coda nei pavoni o le corna dei cervi) come attrattiva estetica per la scelta del partner sessuale da parte della femmina ha un costo troppo elevato dal punto di vista della sopravvivenza del pi adatto. Daltra parte un analogo dispendio energetico riguarda lo sviluppo coevolutivo di un senso capace di distinzione estetica implicato nella selezione sessuale. Tra selezione naturale e selezione sessuale si apre cos una forbice (gli ornamenti maschili designati al successo nella lotta sessuale sono spesso controproducenti nella lotta per la vita); una forbice, ai cui estremi stanno
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la competizione estetica (tra maschi della stessa specie) e lapertura di un ventaglio di possibilit nella scelta estetica del partner. La conseguenza che da ci ne trae Welsch, coerentemente con le osservazioni di Darwin, che qui assistiamo alla prima emergenza di una funzione estetica nellambito della vita animale. Una funzione di cui certo non si pu misconoscere la piega utilitaria e cio il suo emergere in rapporto al problema della selezione sessuale. Questo per non impedisce di cogliere come la funzionalit emergente, proprio per i suoi costi elevati e per il dispendio energetico che implica, sia pi ampia del contesto di utilit in cui sorge. Unampiezza che potremmo anche interpretare come tendenzialmente meta-funzionale e quindi come nucleo di unauto-elevazione semantica allinterno di una funzione naturale. Si potrebbe anche ipotizzare, a questo proposito, che la funzione estetica specificamente umana non stia in un rapporto di assoluta discontinuit con quella animale: in qualche modo (tutto da pensare e da verificare) emerge da essa. Il punto critico dellemergenza, oltre che ovviamente nello sviluppo su basi biologiche di unintelligenza plastica, potrebbe essere colto come sembra suggerire lo stesso Welsch in uno svincolarsi del desiderio dal suo originario legame con limpulso sessuale e in una correlativa indeterminazione dellambiente in cui esercitare la preferenza estetica. In questa inedita connessione, rispetto a cui la tesi freudiana della sublimazione appare riduttiva, una funzione di vettore potrebbe essere rappresentato proprio dallemergere nella specie umana di unattitudine estetica nei confronti del mondo. Accettare questa ipotesi ci induce a correggere il modello kantiano di esperienza estetica, quale delineato nella Terza critica, in un punto significativo, quello relativo al primo momento del giudizio di gusto e cio al disinteresse che ne definisce la qualit 24. Se verso la forma delloggetto il disinteresse del giudizio di gusto, in quanto contemplativo, indifferente alla sua esistenza e, quindi, nel caso della differenziazione tra piacevole e buono, al suo stesso concetto, dal lato del soggetto esso implica la libert dal desiderio e dalla sfera degli impulsi da cui muove. E questa la condizione perch lesperienza estetica implicata nel giudizio abbia un carattere di autofinalit, secondo quanto Kant sostiene nel terzo momento, quello relativo alla relazione, dove si parla appunto di una finalit senza scopo. Anche qui, come nel caso della dimensione quasi cognitiva del giudizio di gusto, vale la categoria del come se: come se, appunto, la forma delloggetto venisse incontro allesigenza di un buon accordo tra le facolt cognitive, configurando, perci, nel giudizio estetico la possibilit di unanticipazione ludica (il libero gioco delle facolt!) di una conoscenza in generale. Il problema, a questo punto, se la modalit del come se possa estendersi anche allesigenza di accordo tra le facolt cognitive (immaginazione e intelletto) o se, piuttosto, proprio questa estensione sia improponibile e non si debba ammettere che laddove vi unesigenza, e dunque, una mancanza, l vi
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un qualche tipo di desiderio, non necessariamente determinato quanto alloggetto della sua soddisfazione. Si tratta perci di salvare o forse di trasformare la staticit della nozione kantiana di disinteresse nella dinamica del formarsi di esigenze ed aspettative nei confronti del mondo alimentate da una progressiva indeterminazione del desiderio e quindi di una corrispettiva estensione dellambito di esercizio di preferenze estetiche. Una dinamica in cui il piacere (la possibilit fruitiva) avrebbe il ruolo di confermare e rafforzare le capacit valutative e selettive dellesperienza percettiva. Si tratta, in ultima analisi, di ascoltare bene il dialogo tra Socrate e Diotima nel Simposio platonico e, quindi, di includere nel libero gioco kantiano delle facolt anche quella di desiderare. Cos, la virt anticipante dellestetico non apparir pi limitata alla sfera cognitiva, ma includer anche quella etica. Abbandonando il mito di un giudizio estetico puro, potremmo finalmente pensare il vincolo estetico 25 come uno nodo che stringe insieme lanticipazione della conoscenza e la promessa di una vita buona (quella che noi moderni chiamiamo felicit). Senza, naturalmente, essere n ci che anticipa n ci che promette. E a questo punto avremo capito in che senso la funzione estetica pu dirsi una meta-funzione.

1 Si veda per questo. J.-M. Schaeffer, Les clibataires de lart, Gallimard, Paris 1996 e Id., Adieu lesthtique [tr. it., Addio allestetica, Sellerio, Plaermo 2002], PUF, Paris 2000. 2 Il cui frutto pi recente il volume La fin de lexception humaine, Gallimard, Paris 2007. 3 O. Marquard, Crisi dellattesa Ora dellesperienza. Sulla compensazione estetica della perdita moderna dellesperienza, in Id., Compensazioni: antropologia ed estetica, a cura di T. Griffero, Armando, Roma 2007 (il saggio cui ci riferiamo del 1981). 4 Ivi, p. 127. 5 J. Dewey, Arte come esperienza, a cura di G. Matteucci, Aesthetica, Palermo 2007, p. 45. 6 O. Marquard, Crisi dellattesa, cit., p. 123. 7 In quanto soddisfazione di un organismo nelle sue lotte e nei suoi successi in un mondo di cose scrive Dewey in conclusione al primo capitolo di Arte come esperienza -, lesperienza arte in germe. Anche nelle sue forme rudimentali essa contiene la premessa di quella percezione piacevole che lesperienza estetica (J. Dewey, Arte come esperienza, cit., p. 45). 8 Ivi, p. 71. 9 quanto appunto Kant sostiene nel 43 della Critica della facolt di giudizio. A tale proposito rimando ai miei seguenti lavori: Il passaggio estetico. Saggi kantiani, il Melangolo, Genova 2003, pp. 129-68, e Forme dellestetica. Dallesperienza del bello al problema dellarte, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 83-90. 10 Si veda in proposito Lucia Pizzo Russo, Al di qua dellimmagine, in Fieri, 4, dicembre 2006, pp. 311-36. 11 A questo proposito rimando al saggio Uno sguardo sul presente. Pluralismo, relativismo e identit umana, di prossima pubblicazione su Atque e disponibile in forma di pre-print sul sito <www.seminariodestetica.it>.

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12 Cfr. in proposito Alain Ehrenberg, La fatica di essere se stessi. Depressione e societ, Einaudi, Torino 1999. 13 A questo proposito il rimando dobbligo a Victor Segalen, Saggio sullesotismo. Unestetica del diverso, a cura di V. Petrucci, ESI, Napoli 2001. Ma ho tratto liberamente spunto anche da quanto osserva Emmanuel Lvinas in Dallesistenza allesistente, a cura di P. A. Rovatti, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. 45 ss. Sulla nozione di esotismo in Lvinas si veda il saggio di F. Armengaud, Etica ed estetica nel pensiero di Lvinas: a proposito delle Obliterazioni di Sacha Sosno, in Studi di estetica, 22/2000, a. xxviii, fasc. ii. 14 Per lestetismo il rimando dobbligo al libro di Paolo DAngelo, Estetismo, il Mulino, Bologna 2003. 15 Ivi, p. 33. 16 Tale differenza riguarda anche il ritardo temporale della consapevolezza. Si veda al riguardo B. Libet, Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza, a cura di E. Boncinelli, Cortina, Milano 2007. 17 J. Dewey, Arte come esperienza, cit., pp. 137-38. 18 J.-M. Schaeffer, Addio allestetica, cit., p. 34 19 Come unit di esperienza valutativa, percettiva e fruitiva Dewey definisce appunto lestetico; cfr. per questo J. Dewey, Arte come esperienza, cit., p. 71. 20 S. Kaufmann, Esplorazioni evolutive, a cura di T. Pievani, Einaudi, Torino 2005, pp. 153-54. 21 Penso qui ad esempio al volume di Ellen Dissanayake, Homo Aestheticus: Where art comes from and why, The Free Press, New York 1992, e al saggio di Geoffrey F. Miller, Aesthetic fitness: How sexual selection shaped artistic vituosity as a fitness indicator and aesthetic preference as mate choice criteria, in Bulletin of Psychology and the Arts, 2(1), 2001, pp. 20-25. 22 W. Menninghaus, Das Versprechen der Schnheit , Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2003. 23 W. Welsch, Animal Aesthetics , in Contemporary Aesthetics, vol. 2 (2004): <www.contempaesthetics.org/newvolume/pages/journal.php?volume=2>. 24 A tale proposito le obiezioni mosse da Dewey a Kant proprio in relazione al nesso tra disinteresse, contemplazione e lontananza dal desiderio del giudizio estetico sono meno ingenue di quanto pu sembrare a prima vita (cfr. in merito J. Dewey, Arte come esperienza, cit., pp. 249 e 284, dove la critica estesa a Schopenhauer). Nella sua critica a Kant Dewey mostra di aver ben presente quella mossagli da Schiller (cfr. ivi, p. 342, nota 219). La proposta di Dewey appunto quella di non scindere il senso del disinteresse e della distanza dalla sfera del desiderio e degli impulsi da cui muovono e questa sarebbe appunto la condizione per considerare la distinzione tra qualit sensoriale e significato come secondaria e metodica rispetto alla loro effettiva unit nellesperienza estetica (cfr. ivi, pp. 254-55). 25 Sul tema del vincolo estetico rimando al saggio Il nodo percettivo e la meta-funzionalit dellestetico, in F. Desideri e G. Matteucci (a cura di), Estetiche della percezione, Firenze University Press, Firenze 2007, pp. 13-23.

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Esperienza estetica e anestesie dellesperienza


di Pietro Montani

1. Tra le grandi estetiche filosofiche della modernit, quella di John Dewey si caratterizza per unopzione teorica di fondo che, insieme ad alcune implicazioni che ne derivano, la rende particolarmente idonea, almeno dal punto di vista che adotter in questo contributo, a fungere da termine di confronto per alcuni rilevanti eventi estetici del nostro tempo. Preciso subito che questi eventi non riguardano tanto la prassi artistica contemporanea la cui sostanziale irriducibilit al quadro categoriale deweyano sotto gli occhi di chiunque quanto le trasformazioni che sono intervenute nella nostra comprensione comune di che cosa significhi fare e condividere esperienze e il processo, forse ancor pi significativo, per cui lesperienza diventata per certi aspetti una merce che si pu acquistare. Ho usato lespressione opzione teorica a ragion veduta. Il pragmatismo di Dewey infatti una filosofia militante, che non si sottrae alla responsabilit di definire ci che appare pi meritevole di essere elevato a dignit di oggetto di riflessione. Ci vale innanzitutto per il suo concetto di esperienza, che riposa su unassiologia, del tutto esplicita, relativa alle specifiche condizioni di sussistenza e di autocomprensione della vita biologica delluomo, a cominciare dalle modalit, non generalizzabili, del suo adattamento tipicamente contrassegnato da espansione e trasformazione. sotto questo profilo per cos dire darwiniano, del resto, che Dewey pu arrivare a determinare i connotati di unesperienza genuina, contrapponendoli a quelli di un esperire inautentico. Bisogner dunque convenire sul fatto che quella di Dewey innanzitutto unestetica fisiologica che pone al centro della riflessione il rapporto determinante tra organismo e ambiente. Per essere pi precisi: si tratta di unestetica che prende le mosse dallinterazione tra la peculiare sensibilit del corpo umano pulsionalit, percezione, immaginazione, emozioni, senso del possibile, bisogno di condivisione e ci che questa sensibilit riceve, elabora e trasforma. Il carattere interattivo in senso pieno di questa relazione richiede di essere accuratamente sottolineato, e ci torner pi volte: ci che la sensibilit umana riconosce nellambiente non tanto una semplice materia da mettere in forma (cognitivamente e operativamente) o un territorio neutrale in cui espan163

dersi; , piuttosto, una indeterminata e ricca molteplicit di stimoli da cui estrapolare di volta in volta alcuni tratti capitali (avrebbe detto Nietzsche): le affordancies o propriet sopravvenienti diremmo forse oggi che fanno dellambiente reale unambiente che appare disponibile proprio in quanto non immediatamente sotto-mano ma oppone resistenza, che coopera con le esigenze della vita solo in forza di continue riorganizzazioni del rapporto interattivo. Ma che preserva, e questo punto come si vedr pi avanti decisivo, ampie zone di irriducibilit allazione organizzante delluomo. Se cos non fossse, del resto, lesperienza perderebbe ogni autentica creativit. Ho descritto lopzione teorica di fondo dellestetica di Dewey ricorrendo a una terminologia e, pi in generale, a una Stimmung filosofica che rinvia intenzionalmente a Nietzsche, cio a un autore che in Arte come esperienza (dora in avanti AE) non viene mai preso in considerazione. Ma lattinenza, che non diretta, si potrebbe facilmente dimostrare lavorando sul testo. Come, per altri versi, sarebbe facile emendare la singolare incomprensione che Dewey dimostra per Kant, la cui estetica filosofica presenta invece larghissime e decisive convergenze con loggetto essenziale del suo pensiero. Che , ad evidenza, lidea di una condizione (in senso rigoroso) estetica dellesperienza in genere. Anche lestetica di Kant, come quella di Dewey, una filosofia non speciale per usare la felice formulazione di Emilio Garroni ridiscussa, in questo libro, da Leonardo Amoroso solo che, a differenza di quella di Dewey (e di Nietzsche), non riferita a un orizzonte assiologico. E, soprattutto, non interessata alla questione della vita nel senso sopra indicato. Ci conforta losservazione da cui ho preso le mosse e mi consente di enunciare una prima precisazione. Quando ho detto che lapertura filosofica dellestetica di Dewey particolarmente idonea a fungere da termine di confronto rispetto ad alcuni eventi estetici che caratterizzano il nostro tempo, pensavo innanzitutto al suo interesse per la creatura vivente (che d il titolo al primo capitolo del libro), e a come questultima sia diventata, da qualche decennio in qua, oggetto di profonde trasformazioni che hanno comportato il profilarsi di nuovi paradigmi concettuali e disciplinari (dalla bioetica alla biopolitica, per fare solo due esempi). Ora, il punto per me decisivo il seguente: sebbene in modo largamente inavvertito, accaduto che nellepoca della bioetica e della biopolitica anche la sensibilit della creatura vivente si sia modificata, in modo tanto rilevante quanto irriducibile ai modelli teorici con cui in genere abbiamo fin qui registrato e interpretato queste modificazioni. in atto, in altri termini, una trasformazione nel sentire del vivente che aspetta ancora di essere adeguatamente esplorata. Ci torner, naturalmente. Non prima, per, di aver brevemente discusso due conseguenze dellopzione deweyana per linterazione tra organismo e ambiente che mi sembrano interessanti per misurare la
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portata delle trasformazioni intervenute nellesperienza estetica e dunque nellesperienza in genere nel nostro tempo. La prima conseguenza riguarda la questione della tecnica. del tutto significativo, mi pare, che nelle battute iniziali del suo libro Dewey dichiari che per comprendere lestetico nelle sue forme fondamentali e riconosciute, si deve cominciare dal considerarlo allo stato grezzo (AE, 32). E che esemplifichi questa presenza diffusa dellestetico nella vita quotidiana con una serie di immagini che sottolineano il rapporto delluomo con la tecnica: lauto dei pompieri che passa; le macchine che scavano enormi buchi nel terreno; luomo mosca che si arrampica sul fianco del campanile; le persone appollaiate su alte travi sospese mentre lanciano e afferrano bulloni incandescenti (ibid). Ci che ci attrae e ci procura piacere in questi spettacoli non solo il naturale prolungamento della vita delluomo in artefatti tecnici ci, dopotutto, caratterizza luomo fin dalla sua comparsa ma anche e soprattutto il fatto che in questo genere di prolungamenti il senso della vita immediata risulti intensificato (AE, 34). Lestetico allo stato grezzo, dunque, una qualit che traspare dalloperare tecnico delluomo e dai suoi artefatti quando questi si mostrino dotati della capacit di far sentire lespansione della vita in forme di organizzazione dotate di coerenza e di unit. Una capacit che, secondo la tesi centrale e caratterizzante del libro di Dewey, si manifesta nelle opere darte in modo sviluppato, accentuato (AE, 38) e fine a se stesso, cio provvisto di una tale congruenza da portare in s il proprio significato. Da questo punto di vista, larte , eminentemente, una modalit di esperienza ben formata che si mostra, senza altri scopi, nel suo organico procedere verso una consummation, una sanzione di compimento che non coincide con la conclusione del processo esperienziale perch, piuttosto, incorporata nellopera stessa, lopera stessa in quanto modello di un buon esperire. Ma non bisogna dimenticare anche se Dewey spesso incline a farlo che un buon esperire , innazitutto, un modo di accertare che lespansione della vita umana si avvale naturalmente di artefatti tecnici. Questo punto fa problema nellestetica di Dewey e nella sua stessa concezione dellesperienza. Da un lato, infatti, egli sembra pensare la tecnica come un elemento costitutivo della vita umana. Linterazione dellorganismo umano con lambiente, in altri termini, gli appare indissociabile da mediazioni di carattere tecnico. Di pi: proprio in virt della tecnica che ladattamento specifico delluomo assume la forma caratteristica dellespansione creativa. Dallaltro lato, tuttavia, e proprio quando il suo discorso transita dallestetico allo stato grezzo allestetico raffinato in arte, la sua concezione della tecnica sembra attestarsi sul piano, assai pi convenzionale, di uninterpretazione puramente strumentale. Come se lestetico tendesse a ritirarsi dalloperare tecnico per concentrarsi esclusivamente in quello artistico. Ci rende conto tra lal165

tro ma non intendo soffermarmi su questo aspetto della confusione tra esteticit e artisticit che spesso danneggia il testo deweyano, e della discutibilissima intercambiabilit tra i due termini che altrettanto spesso ne oscura le formulazioni. Dewey non potrebbe mai scrivere, per fare un solo esempio, che Larte una qualit che permea lesperienza (AE, 311), se questa oscillazione non restasse sostanzialmente irrisolta. Ci che permea lesperienza, infatti ed proprio Dewey ad avercelo fatto vedere non larte ma la qualit estetica. Torner anche su questo punto. Per ora mi limito a sottolineare che lestetica di Dewey intimamente, anche se problematicamente, connessa con la questione del rapporto tra vita e tecnica. Ci mi consente di passare alla seconda conseguenza dellopzione teorica di fondo dellestetica filosofia deweyana. La presenter in questo modo. Il fatto che ladattamento della creatura vivente umana sia caratterizzato da espansione e trasformazione non garantisce che la sensibilit delluomo sia sempre allaltezza della prestazione creativa che connaturata al suo esperire. vero, piuttosto, che pu capitare alluomo di volersi sottrarre alla ricchezza e alla complessit della stimolazione sensibile cui aperto e che il suo modo di interagire con lambiente si indebolisca, si contragga e si irrigidisca in schemi ripetitivi, cio perda, in ultima analisi, proprio il suo carattere interattivo. anche questo, ad evidenza, un tema che ricorda Nietzsche e che Dewey esprime, per esempio, in questa notevole riflessione: Lesperienza il risultato, il segno e la ricompensa di quella interazione tra organismo e ambiente che, quando raggiunge la pienezza, si trasforma in partecipazione e comunicazione. Poich gli organi sensoriali, con il relativo apparato motorio che vi connesso, sono i mezzi di questa partecipazione, ogni e qualsiasi loro indebolimento, sia pratico che teorico, al tempo stesso effetto e causa di unesperienza di vita ridotta e offuscata. Le opposizioni tra mente e corpo, anima e materia, spirito e carne hanno tutte origine fondamentalmente nella paura di ci che la vita pu produrre. Sono segni di contrazione e di arretramento (AE, 49, corsivo mio). Altrove (AE, 65) Dewey parla, a questo proposito, di esperienze anestetiche, e le caratterizza da un lato come esperienze frammentate e inconcludenti, incapaci di legarsi organicamente in un tutto, dallaltro come esperienze congelate e irrigidite, incapaci di rompere il sicuro protocollo di una connessione puramente meccanica. Bisogna qui aggiungere una considerazione, che non tematica nel testo deweyano (mentre lo , per esempio, in Nietzsche). Il punto che senza una qualche parziale anestetizzazione lesperienza delluomo, proprio in forza del suo peculiare radicamento in una sensibilit aperta, risulterebbe, per cos dire, sovraesposta, frastornata e disorientata dalla molteplicit delle stimolazioni ricevute. Cosicch una delle funzioni dellarte potrebbe essere proprio quella di costituirsi come una zona
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franca in cui a questa pluralit si potesse dare libero corso, con lobiettivo di esibire il lavoro certo particolarmente complesso con cui essa riesce comunque ad accedere alla sanzione di una forma compiente. O addirittura (ma qui siamo gi oltre Dewey: ci torner nelle battute conclusive) a mancarla, mostrandone tuttavia cio mettendole in forma le motivazioni. Vorrei trarre almeno una conclusione da questa rapida ricognizione dellestetica fisiologica di Dewey, di cui ho posto in evidenza la centralit della questione della vita biologica e del corpo senziente, il rapporto necessario, anche se assai problematico, con i prolungamenti tecnici di questo corpo (con le sue protesi sensibili, si potrebbe dire) e infine il risvolto regressivo e, alla lettera, an-estetico che affligge, altrettanto necessariamente, lesperienza umana nella forma di una singolare paura per le sue stesse potenzialit creative e di un potente desiderio di assicurazione e di stabilit. La conclusione che la riflessione di Dewey sulla condizione estetica dellesperienza in genere e sullarte come modello di unesperienza autentica deve indurci a porre sotto osservazione il dosaggio tra quanto di estetico e quanto di anestetico necessario che intervenga nella relazione tra organismo e ambiente affinch questa salvaguardi il suo genuino carattere interattivo e a domandarci se nella determinazione di questo dosaggio i dipositivi tecnici a cui la creatura vivente umana delega parti crescenti della sua sensibilit non rivestano un ruolo particolarmente incisivo. Ci si pu chiedere, in altri termini ed ci che far nella seconda parte del mio contributo se un eccesso di delega nei confronti dei dispositivi tecnici nei quali si prolunga la sensibilit umana non comporti anche uninterruzione del carattere genuinamente interattivo della nostra relazione con lambiente trasformandola in una relazione tendenzialmente autoreferenziale, nella quale ci che definiamo ambiente avrebbe perduto precisamente il tratto dellimprevedibilit e della contingenza e dunque non presenterebbe pi, tendenzialmente, alcuna affordancy. Perch, se cos fosse, esso avrebbe perduto proprio quella capacit di opporre resistenza nella quale risiede la motivazione principale dei processi di elaborazione e riorganizzazione creativa nei quali Dewey vede, a buon diritto, le premesse necessarie di un esperire autentico in quanto adattamento per espansione. 2. Bisogna dunque porre sotto osservazione i processi di tecnicizzazione della vita che, da sempre attivi, hanno assunto nel nostro tempo connotati particolarmente vistosi, anche se ancora inadeguatamente chiarificati. Mi riferisco in particolare ai processi di progettazione tecnica della sensibilit, che oggi si servono di protesi mediali sempre pi pervasive, performative ed economicamente accessibili. Non c dubbio che questi dispositivi protesici si costituiscano come i veicoli di una peculiare esperienza estetica; ma si tratta di capire se, e a che condizioni, questultima risponda ai requisiti interattivi di esten167

sione e riorganizzazione indicati da Dewey. E che genere di consummation esperienziale vi sia connessa. Ebbene, difficile sottrarsi alla conclusione che lorientamento complessivo della progettazione tecnica della sensibilit vada oggi esattamente nella direzione opposta al concetto deweyano di esperienza estetica, e cio lavori a un livellamento, a una contrazione e a una potente canalizzazione del sentire. Dewey, come molti prima e dopo di lui, aveva ben chiari i rischi di una trasformazione antropologica connessa con let della razionalit tecnica. Ma oggi dobbiamo fare i conti con un elemento nuovo, e ancora non sufficienemente chiarito, su cui vorrei richiamare lattenzione: mi riferisco al fatto che la progettazione tecnica della sensibilit ha un rapporto tanto significativo quanto profondo con la forma biopolitica del potere, di cui costituisce anzi una decisiva infrastruttura, una sorta di bioestetica come mi capitato di chiamarla. Ora, il punto che mi sembra davvero importante che la giuntura delle due linee quella biopolitica e quella bioestetica si verifica precisamente sotto il segno di quellistanza assicurativa nella quale Dewey vedeva il contrassegno certo di unanestetizzazione dellesperienza. Assicurare la vita materiale il progetto razionale, semplice e onnipervasivo, del biopotere. Ma anche il progetto essenziale della razionalit tecnica, intesa nel senso ampio con cui un pensatore come Heidegger ci ha insegnato a interpretarla. Ora, uno dei tratti distintivi di questa convergenza consiste precisamente in un innesto diretto della razionalit tecnica su un corpo pulsionale sempre pi vistosamente delegato a protesi tecniche. Ci significa che una bioestetica tende a costituire le sue forme di vita a monte di ogni elaborazione del sentire. Che essa , tendenzialmente, unestetica della sensazione e non ancora unestetica del senso. Che la sua direzione non amancipativa ma regressiva. Insomma, pi che unestetica , si potrebbe dire, una modalit an-estetica del governo della vita: lesercizio di una ricettivit tecnicizzata, contratta e inelaborata, cui corrisponde unesperienza sempre pi incapace di autoregolarsi perch sempre pi incapace di espandersi nel campo di unautentica interazione con lambiente. Del resto, precisamente a queste condizioni che lesperienza, come ho osservato allinizio, pu entrare in un processo di reificazione tale da trasformarla in oggetto di compravendita. Credo che se ne debba trarre questa conclusione: lestensione del campo di influenza delle protesi tecniche della sensibilit in funzione vicaria non coincide affatto, come riteneva almeno in parte Dewey, con un dispiegamento e unintensificazione dellaisthesis, n coincide, come vuole una tesi speculare molto fortunata, con un delitto perfetto (Baudrillard) di cui sarebbe stata vittima la realt, e si presenta, invece, come una vasta operazione anestetica che seleziona e mantiene attivi solo quei segmenti di sensibilit che possono essere canalizzati su
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oggetti particolari (proprio come nel caso esemplare dei videogiochi, delle mappe interattive montate sugli autoveicoli o delle operazioni militari eseguite su ambienti reali riprodotti in simulazione elettronica). Per cui, in definitiva, il compimento, la consommation dellesperienza pu arrivare a coincidere con la sua ottimizzazione: che si tratti di una destinazione raggiunta col minimo dispendio di tempo e di esitazioni, o di un bombardamento chirurgico, o di un nuovo record da iscrivere nella lista degli score di un videogame. Se vero, come credo, che la giuntura tra biopotere e protesi tecniche della sensibilit si apre sul campo delle esperienze ottimizzabili, reificabili e mercificabili, allora la bioestetica la forma attuale, e incomparabilmente pi pervasiva, dellestetizzazione della politica di cui parlava Benjamin proprio negli stessi anni in cui Dewey scriveva il suo saggio. Resta da domandarsi se, in queste condizioni, una politicizzazione dellarte possa ancora candidarsi a indicare le strade che si aprirebbero per il recupero di unesperire autentico. E se questultimo possa ancora avvalersi dei tratti distintivi con cui lo pensava Dewey. Prover, in conclusione, ad affrontare questa domanda limitandomi a disegnare, a grandi linee, il campo nel quale essa pu aspettarsi di trovare delle risposte adeguate. 3. I concetti che dobbiamo riprendere da Dewey, per riesaminarli, sono due: linterazione tra organismo e ambiente e lidea di un compimento unitario e armonico del processo esperienziale esemplarmente esibito dallopera darte. Ho gi detto allinizio che il concetto di interazione va preso sul serio. Si tratta, cio, di un rapporto in cui i cooperanti sono due, e che comporta, come sottolinea spesso Dewey, non solo attivit e passivit ma anche il pieno coinvolgimento dei due contraenti lorganismo e lambiente in un movimento che li trascende entrambi e che non pu mai essere interamente dominato n dalluno n dallaltro. In fondo Heidegger diceva pi o meno la stessa cosa quando di nuovo in quegli stessi anni, evidentemente cruciali parlava dellopera darte come lotta tra terra e mondo. Com noto, le arti contemporanee, e soprattutto quelle che si avvalgono di nuove tecnologie, hanno enormemente enfatizzato lidea di interattivit. Il punto che rimasto fin qui non sufficientemente chiarificato, tuttavia, riguarda proprio il carattere duplice dellinterazione, su cui ho appena richiamato lattenzione. Ci si potrebbe chiedere, in altri termini se gli oggetti tecnoestetici con cui si interagisce siano a tutti gli effetti assimilabili alle propriet di un ambiente (contingenza, imprevedibilit, resistenza, relativa irriducibilit), o se non si tratti piuttosto, perfino nei casi pi complessi, di artefatti interamente gestiti da un programma e dunque tendenzialmente anestetici nel senso indicato da Dewey. La risposta potrebbe prospettare interessanti gradazioni,
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da un massimo a un minimo di autentica ambientalit registrabili, per esempio, nelle simulazioni elettroniche immersive che sempre pi spesso mirano ad accreditarsi come proposte di esperienza estetica tecnicizzata (e si veda su questo punto la precisa presa di posizione illustrata in questo libro da Roberto Diodato). Ma, pi radicalmente, ci si dovrebbe chiedere se le arti contemporanee interessate alle tecnologie abbiano prospettato con sufficiente chiarezza il progetto di riqualificare specificamente lorizzonte esperienziale di una sensibilit tecnicizzata. Un progetto che comporta da un lato la verifica del grado di apertura e di indeterminatezza estetica accessibile alle protesi tecniche della sensibilit, dallaltro e in modo che mi sembra ancor pi determinante lesplorazione del tipo di contingenza, imprevedibilit, resistenza e relativa irriducibilit virtualmente presenti negli ambienti tecnici di riferimento, per esempio nelle simulazioni digitali complesse. Insomma: che lambiente immersivo delle simulazioni elettroniche sia davvero un ambiente, e non la semplice performance autoreferenziale di un programma, una tesi tuttaltro che evidente che le arti avrebbero il compito di dimostrare. Il secondo punto connesso a quanto ho appena detto. Ci si deve chiedere cio se lesperienza estetica di una sensibilit tecnicizzata possa ancora presentarsi nella modalit di un processo coeso nel corso del quale, come scrive Dewey, il materiale esperito porta a compimento il proprio percorso (AE, 61), un processo di cui larte non sarebbe altro che una messa in forma intesificata ed esemplare. Non intendo opporre a questa domanda la mera constatazione che le strade seguite dalle arti moderne, almeno dalle avanguardie in poi, si sono orientante in una direzione molto diversa. Se lo hanno fatto, ci significa, tra le altre cose, che lincompibile e la lacunosit, il disorientamento e la frammentazione sono stati avvertiti dalla sensibilit moderna come fenomeni inerenti a ci che chiamiano fare esperienza. Questo punto, su cui torner nelle battute finali, mi interessa meno, per il momento, di una domanda che suonerebbe cos: se fossimo ancora disposti a considerare linterpretazione deweyana dellesperienza come un modello dotato di adeguatezza empirica, in quali esperienze particolari ci aspetteremmo di poterlo trovare? E in che modo queste esperienze particolari dovrebbero farsi carico dellelemento critico introdotto dalle arti contemporanee nel concetto di un compimento armonico? Credo che questa domanda meriti di essere posta sullo sfondo della questione della vita, che ho indicato fin dalle prime battute come lopzione decisiva. Ho detto prima, sviluppando un pensiero di Dewey, che una vita delegata ai protocolli assicurativi della tecnica sarebbe una vita anestetizzata, assoggettata ai dispositivi di controllo del biopotere e cos indigente da rendere possibile il fenomeno della compravendita di segmenti di esperienza. la versione regressiva di ci che ho definito bioestetica. Ma ne esiste anche una versione emancipativa?
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Sono convinto che la risposta debba essere affermativa. Ma a che condizioni? La prima, che ho gi indicato, la seguente: che agli ambienti tecnici vengano restituite le propriet che fanno di un ambiente qualcosa di non calcolabile e di non programmabile. Solo in questo modo, come ho gi detto, una sensibilit delegata a protesi tecniche potrebbe autenticamente interagire con un ambiente simulato (ma anche, ovviamente, con lambiente reale che in via di principio lo include) e dar luogo a esperienze autentiche. In questo quadro facile concludere non solo che il concetto di esperienza elaborato da Dewey resterebbe del tutto valido, ma anche che le forme specifiche di cui si potrebbe avvalere per lasciarsi esibire sono ancora ben lontane dallessere state esplorate e chiarificate. Il che significa che il lavoro delle arti, intese nel senso della continuit con la tradizione a cui pensava Dewey, qui appena agli inizi (faccio solo due esempi che vanno nel senso di unautentica riqualificazione esperienziale del mondo delle immagini elettroniche: Bill Viola e Studio Azzurro). La seconda condizione mette laccento sulla discontinuit e sulle differenze (ma vorrei insistere sul fatto che lelemento della continuit ancora tuttaltro che elaborato). Per restare nelluniverso della multimedialit, che oggi di certo quello pi sensibile alle forme (regressive ma anche emancipative) di una bioestetica, credo che sia indispensabile porre di nuovo il problema antichissimo della veridicit delle immagini, o meglio, come preferisco dire, della loro capacit di testimoniare forme di vita. Che la producibilit tecnica delle immagini abbia logorato questa capacit fino a renderla del tutto ineffettuale cosa ben nota. Non si riflettuto abbastanza, invece, sul fatto che questo logoramento si dispone lungo due vettori. Il primo, che definisco ipermediale, riguarda la progettazione puramente sensazionale dellimmagine, la sua totale indifferenza per la veridicit che si scarica integralmente in potenza delle sensazioni (si pensi al recente e peraltro notevole Beowulf di Robert Zemeckis). Il secondo, che definisco ipomediale, sicuramente meno appariscente ma, a mio giudizio, molto pi incisivo e sempre pi pervasivo. il caso, per pi versi paradigmatico, dei materiali condivisi in siti come You Tube o My Space, nei quali chiunque pu riversare frammenti di vita configurati grazie alla tecnologia digitale dei telefonini cellulari o delle webcam. Si tratta di dispositivi tecnici al tempo stesso straordinariamente maneggevoli e molto sofisticati, in grado di garantire la pi alta sensibilit al contingente, la pi ampia capacit di intercettarne le pieghe cogliendo la vita nella sua flagranza. Ma allora perch questi dispositivi non sembrano saper incontrare, della vita, nullaltro che il corpo inelaborato, di volta in volta pulsionale o esibizionistico, violento o feroce? La risposta devessere cercata proprio nella contrazione di ci che viene sentito come unesperienza meritevole di condivisione e di apprezzamento, nel suo tendenziale orientarsi verso il dominio delle sensazioni elementari che per essere ricevute non hanno bisogno di
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alcuna elaborazione e anzi debbono disattivare i processi elaborativi connessi con la ricchezza della nostra percezione ritagliando nei dispositivi tecnici utilizzati precisamente quelle funzioni, appunto, ipomediali la rapidit, lincuria per la qualit delle riprese, la maneggevolezza, gli automatismi di default che garantiscono la neutralizzazione di ogni sconfinamento dellimmagine sulla capacit di incorporare pensiero e riflessione. Lintuizione del mondo iscritta nei dispositivi ipomediali che inducono a schematizzare la realt, ogni realt, come loggetto di uno show potenziale dunque un fondamentale evento anestetico e biocratico in cui ne va dellatrofia e del prosciugamento dei processi emotivi e cognitivi che differenziano la percezione dalla sensazione, le esperienze autentiche da quelle contratte e irrigidite nel senso di Dewey. Sono convinto, tuttavia, che al movimento anestetico di questultimo vettore regressivo dellimmagine prodotta tecnicamente che il pi interessante proprio perch il pi contiguo alla vita e alle sue forme si possa e si debba contrapporre un lavoro mirato precisamente alla rigenerazione del potere testimoniale dellimmagine, e che questo lavoro ecco lelemento di decisiva discontinuit col concetto deweyano di esperienza non possa che avvalersi di una natura che definisco intermediale, intendendo con questo che per restituire allimmagine la capacit di farsi testimonianza di una forma di vita bisogna farla lavorare sulle differenze tra i diversi formati della rappresentazione (a cominciare dalla differenza capitale tra lottico e il digitale). I modi dellintermedialit possono essere i pi diversi: quando per es. Michael Moore, nel suo film sull11 settembre, decide di mettere in immagine la testimonianza di quellevento escludendolo dal campo visivo cio non facendolo vedere ma solo ascoltare, su un fondo nero, e immediatamente dopo mostrandocelo solo attraverso i volti e gli sguardi di chi era presente non fa opera di iconofobia ma fa precisamente un lavoro intermediale. Quando Spike Lee, nel suo Requiem in four acts, ricostruisce il disastro delluragano Katrina attraverso un complesso montaggio di immagini che intreccia diversi regimi della rappresentazione archivio, televisione, documento, commento ci fa vedere che la testimonianza non avrebbe efficacia senza questo intreccio. Marco Bellocchio ha costruito il suo film sul sequestro Moro nello stesso modo, cio mescolando e ibridando diverse forme della rappresentazione: quella tradizionalmente diegetica, quella televisiva, quella dellarchivio, ma anche una completamente visionaria. Brian de Palma, in Redacted, ha mostrato che la verit di un episodio della guerra in Iraq non poteva sorgere se non da un gioco intermediale. E cos via. Lelemento di discontinuit con Dewey, in definitiva, consiste in un passaggio obbligato dalla pregnanza dellimmagine che ha perduto credo definitivamente il tratto della veridicit al gioco delle differenze
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tra le immagini. Un passaggio a cui non si potrebbe attribuire il requsito essenziale del compimento estetico perch laccento si spostato sul luogo dellapertura e della differenza, che incompibile in via di principio. Vorrei ricordare che fu Dziga Vertov, il grande cineasta degli anni venti del secolo scorso, il primo ad aver capito che questo gioco di differenze non solo costitutivo dellimmagine in quanto tale, ma anche la condizione di possibilit del suo carattere veridico, della sua capacit di cogliere la vita in flagrante, come suona un suo slogan. Non ci sono immagini presuntivamente dirette e immediate del mondo e delle cose, c piuttosto un montaggio interminabile che sdoppia e differenzia limmagine in cosa vista e atto della visione, proprio come locchio al tempo stesso un occhio che vede e che visto: soggetto e oggetto della visione. Limmagine veridica, limmagine che attesta dunque unimmagine che sconfina oltre ogni presuntiva immediatezza e pregnanza: immagine sdoppiata e plurale, disseminata e interminabile (si pensi alle Histoire(s) du cinma di Godard). Unimmagine che non si compie in se stessa, che non provvede unesperienza dotata di compimento, ma che, per contro, mira precisamente a reintegrare il lacunoso, il differente e lincompibile nellatto esperienziale, che in tal modo si lascia spiegare solo uscendo dal paradigma conciliato di Dewey senza tuttavia abbandonare quella che allinizio ho definito la sua opzione teorica di fondo, vale a dire la sua estetica fisiologica. Vorrei chiudere sottolineando che sono proprio le modificazioni registrabili, oggi, nelle forme di uninterazione tra organismo e ambiente a indirizzarci risolutamente in questa direzione. Ma lultima parola (o forse bisognerebbe dire: la prima, la parola che apre, che mostra, che fa vedere) spetta qui alle arti che sappiano mantenersi allaltezza di questi cambiamenti.

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Arte ed esperienza. Dopo Dewey


di Fulvio Carmagnola

Essere giusti con Dewey Che significa dopo? Qualcuno (De Duve) ha scritto per esempio che ci sarebbe un Kant dopo Duchamp. Ci sarebbe un evento dellordine dellarte che in qualche modo ha plasmato o influenzato con la sua portata il proprio futuro e insieme il proprio passato teorico. Ma il dopo Dewey in fondo lo possiamo vedere in una prima accezione abbastanza facilmente: basta guardare pellicole recenti come Good night and good luck o il pi recente Michael Clayton per constatare linfluenza duratura del pensiero e dellatteggiamento laico-progressista e sinceramente democratico con la sua critica alle ingiustizie e lideale di una societ migliore radicato nei liberal americani, e di cui Dewey stato certamente un insigne rappresentante. E tuttavia, dopo pu implicare anche una domanda scomoda: dove ci troviamo oggi? Siamo ancora l? La mia impressione generale di sorvolo, dopo la lettura di Art as Experience, che Dewey guardi allindietro come langelo di Benjamin. Mi spiego: forse nelle arti figurative (prendiamo la pittura come pietra di paragone) possiamo leggere Dewey tenendo presenti artisti come Grant Wood o Wyeth. Forse Giorgia OKeeffe, forse Hopper, e cosi via. possibile che una figura emblematica sia quella dei due anziani coniugi che si trova in American Gothic (1930), non a caso unimmagine che ritroviamo sulla copertina di unedizione italiana dellAntologia di Spoon River, celebrazione dello spirito della comunit originaria dei pionieri del Nuovo Mondo Non una critica ma una constatazione. Eppure, mentre Dewey sviluppa le sue riflessioni sullarte come punto pi alto dellesperienza umana, gi avvenuta la rivoluzione duchampiana: la posizione rispetto alloggetto-opera gi cambiata in modo irreversibile e la nozione di bellezza come equilibrio gi tramontata, larte retinica in discussione e in letteratura la rutilante gioielleria barbara della scrittura di Joyce ha gi compromesso lidea del linguaggio come rappresentazione del mondo l fuori. Che ne di Dewey daprs Duchamp, o daprs Joyce, forse si potrebbe chiedere allora. Naturalmente la spocchiosa domanda su ci che vivo e ci che morto del tutto ingiustificata perch presuppone che, seduti sulle spalle del gigante, noi lo possiamo giudicare da l, con una certa como175

dit di posizione. Tuttavia pi giustificata, a mio avviso, sarebbe una domanda alla Foucault, voglio dire una domanda in stile archeologico o genealogico: a quale formazione discorsiva appartiene Dewey? Che cosa, restando immanenti alle sue categorie, possiamo o non possiamo vedere del suo stesso presente piuttosto che misurarlo anacronisticamente con il nostro? Occorre insomma misurare una distanza e insieme farlo generosamente. Al dopo dellinfluenza e della continuit accoppiare un dopo che misura delle discontinuit. Ma una distanza c e va presa in considerazione. La prima domanda Prover allora a formulare una prima domanda: di quale formazione discorsiva fa parte la parola esperienza nel pensiero di Dewey? Con che cosa si combina, a che cosa la si pu opporre o commisurare per esempio, al dibattito sulla perdita dellesperienza che anima le pagine, di poco posteriori, della Dialettica dellilluminismo (1947) o quelle, contemporanee allopera di Dewey, di Walter Benjamin? E perch, nel suo sistema di pensiero, la nozione di arte diventa necessariamente il punto apicale dellesperienza umana? Una domanda complessa alla quale non so se sar in grado di dare risposta, ma almeno rester formulata. Eccone lo schema: che cosa significa esperienza per Dewey; a quale formazione discorsiva o concettuale appartiene; perch la nozione di arte, cos come Dewey la formula, ne necessariamente il punto apicale; quali parentele rivela e quali altre costellazioni di pensiero le possiamo ragionevolmente opporre. Si tratta insomma di riflettere sulla coerenza del testo e di chiarirne i presupposti. Solo in seguito potr essere formulata la seconda domanda: che ne di noi ora, dopo Dewey, anche nel senso banale che ci troviamo in un punto differente dellasse del tempo storico. Solo unanalisi immanente ci metterebbe al sicuro dalla presunzione, poniamo, di avere ragione contro di lui o di essergli semplicemente estranei come se il suo tempo non fosse pi il nostro presunzione alla quale farebbe eco una speculare: di poter dare giudizi sul nostro presente (sullarte e lesperienza estetica in particolare) usando le categorie di Dewey come un metro normativo. Insomma usare Dewey per dire, magari: questa arte, questa no oggi. Comunit La mia ipotesi che la parola chiave per capire Dewey sia la parola comunit. La usa parecchie volte nel testo. Prover a ricordare sommariamente lo spazio concettuale circoscritto dalla terminologia, dal lessico. Questo spazio delimitato da alcune parole chiave. Troviamo da un lato la costellazione che chiamerei ascendente: movimenti
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dellanimale vivente/esperienza strutturata/arte e dallaltra la costellazione critica: separatezza/astrazione/squilibrio. Nella prima, la forma diventa allora il punto apicale di una continuit, di una sequenza naturalistica che parte dallimpulso, stadio iniziale di ogni esperienza compiuta. qualcosa di simile forse al Trieb freudiano o pi indietro al conatus di Spinoza. questo elemento primario che spinge lesperienza verso la sua definizione. Ma alla base naturalistica si accoppia strutturalmente un vertice dove intorno alla forma si accumulano i caratteri di una semantica classica: compimento, equilibrio, realizzazione, ordine, totalit. Cos lesperienza estetica esperienza nella sua integrit (Dewey, p. 266) o al suo grado pi alto, e naturalmente in questa luce larte pu rappresentare ancora, come nella tradizione occidentale, la pi grande realizzazione intellettuale della storia dellumanit (p. 51). Se ora ci domandiamo dove collocare questa costruzione, dovremmo parlare di una versione naturalizzata e critica dellumanesimo, la cui comprensione dei fenomeni specifici dellarte si spinge (solo) fino a un certo punto della contemporaneit. Fino al punto, direi, in cui qualcosa come unopera, con i caratteri tradizionali appena elencati: chiusura formale, equilibrio, bellezza, carattere intuitivo o presentazionale (S. Langer) ancora individuabile. La bellezza, scrive Dewey, denota la presenza evidente di relazioni di adeguatezza e reciproco adattamento tra i membri dellintero [] manifestazione di una proporzione armonica tra parti (p. 141). Cerco di ricostruire sommariamente quel che mi pare uno schema generale molto chiaro: lessere vivente ha un rapporto primario con il mondo, costituito dalla genesi senso-motoria dellesperienza nel vissuto pre-linguistico (es. p. 243: lesperienza una questione di interazione dellorganismo con lambiente circostante); questa la base delluniversalismo o della costituzione comune: diremmo il lato naturalistico della nozione di comunit il cui altro lato complementare il sociale, linterazione sociale; lesperienza appare come il progressivo perfezionamento dei processi vitali elementari, la sua organizzazione sistematica: ununione integrale di qualit sensoriale e significato in una sola tessitura compatta (p. 254); larte che ha la capacit di rendere intensa e concentrata lesperienza (p. 255) il culmine questo processo, non il distacco da esso: una qualit specifica dellesperienza, che si caratterizza non per la discontinuit ma per lintensificazione cos, da un lato la forma un movimento ordinato della materia dellesperienza verso un compimento e dallaltro larte porta a realizzare compiutamente lesperienza della vita-in-comune: la continuit della cultura [] determinata dallarte pi che da qualsiasi altra cosa (p. 312).
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Posta in questo modo la questione, si potrebbe pensare a una pura positivizzazione e tuttavia laltro lato rappresentato da unistanza critica: alla condivisione si oppone la separazione indotta dalle condizioni sociali specifiche (Dewey non usa il termine marxiano alienazione): arte e vita della comunit sono in contrasto con le attuali condizioni [] il fatto significativo la diffusa disgregazione [] (si tratta di) restituire un posto organico allarte allinterno della civilt [] in una unione immaginativa coesa e integrata (p. 320). Proprio perch larte il punto culminante dellesperienza, a essa va restituito un posto organico nella vita sociale. Non c arte senza il movimento del vivente, ma nemmeno senza vita della comunit sociale. Il punto di originalit di Dewey mi pare proprio questo, la congiunzione o la continuit esperienziale tra i due lati del vivente e del sociale, come stadi di un unico processo. Ecco allora la doppia posizione dellarte: critica della separatezza e dimostrazione delle possibilit di unificazione, sotto forma di prefigurazione ideale (p. 271) o forse si potrebbe dire idealtipica di una condizione liberata dellesperienza: i valori che portano a produrre larte e a goderne in maniera intelligente devono essere assimilati nel sistema delle relazioni sociali [] possibilit che sono irrealizzate e che potrebbero realizzarsi [] larte un tipo di predizione [] e delinea possibilit di relazioni umane (pp. 326-30). Segnalo la contrapposizione frontale: unificazione (dellesperienza) versus separazione: una societ libera , per cosi dire, una comunit sociale estetizzata. Vorrei anche ricordare alcune analogie o derive di pensiero che traspaiono dal testo: lo Schiller delle Lettere e il Marx dei Manoscritti sembrano le pi immediatamente visibili. Pi interessanti, sul versante naturalistico, lanalogia con concezioni che troveremo molto tempo dopo in una corrente innovativa del pensiero della complessit rappresentata in particolare da Maturana e Varela: la cognizione intimamente legata allo sviluppo dei processi sensomotori del vivente. Colpisce poi lanalogia con le posizioni sistemiche di un pensatore eclettico e eterodosso come Gregory Bateson. Quando Dewey parla dellintelligenza come percezione di una relazione (p. 70), o afferma che il modo in cui la cosa connessa che conta (p. 178), viene alla mente la definizione di comportamento estetico che si trova in Bateson: per estetico intendo sensibile alla struttura che connette ( pattern which connects) (Bateson, 1979, tr. it. 1984 p. 22; cfr. anche Manghi, 2007, p. 74). E quando Dewey ricorda che la mente non deve essere sostanzializzata metafisicamente ma trattata come un verbo, o uno sfondo costituito dalle modificazioni del s [] dagli scambi con il mondo [] uno sfondo esperienziale [] di cui la coscienza il primo piano (pp. 258-260) non si pu non ricordare la definizione di mente sistemica che si trova nei saggi di Steps to an Ecology of Mind.
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Dunque da un lato la naturalizzazione dellesperienza valica il ristretto orizzonte antropomorfo, il riconoscimento dellappartenenza dellumano alla natura. Ma dallaltro lesperienza culmina comunque nellumano, e connette il singolo alla comunit come forma di sentire comune, in una sorta di religione laica, civica. Natura e comunit civile sono i due estremi di un continuum, nel quale larte diventa la forma pi alta della dimora, dellappaesamento. Noi in-abitiamo il mondo e larte apparizione nelle opere di un mondo possibile liberato dalla separazione: [] in-abitiamo il mondo. Esso diventa una dimora [] larte toglie il velo che nasconde lespressivit delle cose esperite; li distoglie dallindolenza della routine [] le opere darte sono i soli media capaci di una comunicazione completa e non ostacolata tra uomo e uomo [] in un mondo pieno di abissi e pareti che limitano la condivisione dellesperienza (pp. 119-20). Ripeto: loriginalit di Dewey mi pare quella di aver coniugato un asse genetico di continuit (la matrice naturalistica dellesperienza nellorganismo o nella creatura: termini che verranno non a caso usati appunto da Bateson e che ricordano lanimal vivente di Galileo) con un asse critico-ideale: il compimento estetico dellesperienza nellopera che si presenta come Idealtypus di una possibilit contenuta nella natura umana e frenata dalle condizioni sociali. Ne deriva, ripeto, il carattere tradizionale della forma estetica implicata da questa coniugazione: compimento, senso intensificato, bellezza percettiva evidente. Naturalismo e umanesimo compaiono insomma come le premesse complementari del terzo asse, quello fondamentale. Due versanti della critica? Sarebbe qui il caso di toccare il quarto punto della mia domanda: con quale altra teoria estetica possiamo ragionevolmente confrontare questo sistema di pensiero? Viene in mente immediatamente la Teoria critica almeno nelle versioni di Benjamin e poi di Adorno, perch anche qui si sviluppa un ragionamento sullesperienza. Vorrei tornarci sopra alla fine, e anticipo solo unosservazione. Se lesperienza per Dewey , per cosi dire, il bagaglio naturale del vivente e viene vista nel modo della continuit, al contrario per la Teoria critica c una grande faglia che non permette alcuna continuit: lesperienza , diremmo, la promessa non mantenuta della modernit e dellilluminismo. Questa differenza si manifesta in due teorie della forma artistica radicalmente differenti: per la prima, la forma sta in continuit con la classicit e con il primo moderno per la seconda la bellezza e lintero devono cedere il posto allespressione della frattura e al valore testimoniale dellarte. Potrei azzardare che in un certo senso Dewey e Adorno (o Ben jamin ) si fronteggiano come i due versanti di unestetica critica: anti179

cipatrice o dialettico-negativa. Ma anche: la nozione di esperienza di Dewey vede meglio, per cosi dire, fino a un certo punto dellevoluzione delle arti. Basta consultare lindice dei nomi del suo libro per rendersene conto. Mentre Adorno (e Benjamin) si trovano al centro di quella fase dello sviluppo delle arti dove pi radicale appare la negazione della buona forma. Un presente che era gi quello di Dewey ma che nella sua teoria non viene pienamente raccolto. La realizzazione ironica La condizione culturale alla quale Dewey appartiene, e che ho cercato rozzamente di richiamare, ancora la nostra? Dove ci troviamo oggi rispetto a questa costellazione di pensiero? Che valore critico ha oggi lumanesimo di Dewey? Ma soprattutto: che cosa vediamo, ma anche, che cosa non riusciamo a vedere, se guardiamo con gli occhi di Dewey? Vorrei solo toccare due punti specifici che chiamerei realizzazione ironica e eteronomia sistemica. stata recentemente sollevata la questione doppiamente problematica della universalit e dellesemplarit dellarte questione che tocca da vicino i temi di Dewey. Secondo questo punto di vista larte non sarebbe un termine primitivo, dotato di uno statuto sostanziale. La sua origine deve essere identificata in un insieme di artefatti ed esperienze determinate a cui, dal xviii secolo in poi, si convenuto di dare il nome di arte. Dunque non sarebbe garantita la conservazione della sua esemplarit in condizioni storiche mutate, in quanto essa va intesa come un nome che appartiene al vocabolario della modernit (Montani, 2007, pp. 10-11). Concordo con questa impostazione e vorrei riprendere la questione da un punto di vista differente ma, credo, complementare. In primo luogo, a mio parere avvenuta (riprendo qui osservazioni che si possono gi trovare in Baudrillard) una sorta di realizzazione ironica dei teoremi critici modernisti enunciati da Dewey, che dunque vedono sfocarsi il loro valore ideale critico e anticipativo. Ne consegue che lesperienza non pi un definiens ma un elemento problematico, e che larte non pi di per s il valore da contrapporre, la sporgenza rispetto al mondo della separazione anzi si pienamente realizzata, in maniera ironica, la sua profonda integrazione con il mondo mercificato. Come tale oggi larte non pi il centro o il punto apicale dellesperienza ma semmai il punto (locale o regionale) di un complesso che si potrebbe definire come immaginario mediale connesso inestricabilmente al mondo delle merci e non contrapponibile a questo. Chiamo ironica questa realizzazione perch a mio parere cambia il segno delle affermazioni di Dewey se le rileggiamo alla luce di ci che sta accadendo. Senza alcuna acrimonia, si potrebbe osservare infatti che in un certo senso gran parte dei valori che in Dewey assumono la posizione di
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ideale critico si sarebbero realizzati con il segno cambiato, nella cultura del terzo capitalismo. Che non pi la societ dellomogeneit standardizzata e della macchina seriale ma della smart machine (The Age of the Smart Machine, suona appunto il titolo di un best seller di qualche anno fa). Alcuni esempi con riferimento al testo deweyano possono illustrare questa circostanza: la cultura come espressione naturale della vita collettiva (p. 36) si realizza nei profili di vita artistica di cui si adornano i manager creativi (Perniola, 2002) e nella popolarizzazione attuata nello stile para-televisivo dellorgia di festival. C un festival per tutto dalla scienza alla formazione aziendale e davvero lalta cultura pare fare a gara per popolarizzarsi e presentarsi in modo agibile, agevole, fruibile, non distaccato. La divulgazione il modello vincente della cultura attuale; la connessione sociale e la fine della scissione tra produttore e consumatore che doveva ripristinare la continuit dellesperienza estetica con i processi naturali del vivere (p. 37) si realizza nella figura del consumatore come nuovo produttore inconsapevole un lavoratore che non sa di lavorare, come recitavano i Situazionisti nellambiente pervasivo del nuovo marketing virale; lesperienza estetica pare realizzarsi in una pratica di consumo che poco ha a che vedere con la pura funzionalit strumentale o funzionalit rispetto allo scopo (Weber), come voleva Dewey. Proprio nel consumo postindustriale la forma delloggetto viene svincolata dallessere limitata a un fine specifico e serve anche agli scopi di unesperienza immediata (Dewey, p. 130); proprio qui e pienamente allinterno delle regole del marketing esperienziale appunto, lesperienza estetica si quotidianizza, e smette di essere il salone di bellezza della civilt (p. 325); lesperienza come un questo, una singolarit, per la quale Dewey ha espressioni precise e pregnanti quel pasto, quella tempesta (p. 62) non si realizza forse ironicamente nelle pretese del marketing esperienziale (Ferraresi, Schmidt, 2006) che punta precisamente su una sorta di intensificazione del valore duso nella declinazione estetica postindustriale del piacere? The Ardbeg Experience si legge appunto nel claim di una nota (e peraltro eccellente) marca di Malt scozzese; e la concezione tradizionale della separatezza tra lavoro e piacere (p. 258) non viene forse smantellata dallinsistenza attuale sulle nuove dimensioni lavorative ad alta densit creativa e cognitiva nellambiente del terzo capitalismo (Boltanski-Chiapello, 1999)? La liberazione del lavoro, scriveva Dewey, il prerequistito essenziale della soddisfazione estetica (p. 325). Proprio questo oggi il capitalismo richiede tanto al lavoratore cognitivo quanto al consumatore creativo, sotto forma di ingiunzione performativa: sii creativo! Sii felice! e infine, si potrebbe dire: lapertura allesperienza dellaltro cul181

turale (p. 317 ) non forse oggi diventata effettivamente, come Dewey auspicava, parte intrinseca della creazione artistica (p. 317)? Certo, ma lo diventata in qualche modo con il segno cambiato dal momento che la unione immaginativa coesa e integrata (p. 320) pare essersi realizzata nella globalizazzione etnico-commerciale e nella forma dellimmaginario melting pot. Dunque si direbbe che al posto di parlare di isolamento dellarte (p. 317) sia necessario parlare oggi di una crescente e forse definitiva integrazione dellarte nel sistema della comunicazione mediale. Ne consegue che larte deve cercare, come sta facendo, altre forme. In particolare, per quanto riguarda le poetiche, mi pare che lestetizzazione della vita comune sia rispecchiata (ancora una volta ironicamente) da certe correnti dellarte contemporanea che espone la quotidianit nella sua sconcertante vacuit informe. Sembra che la componente critica dellarte abbia preso sempre pi spesso lapparenza del rovesciamento dei teoremi modernisti: non lorganicit ma linforme (la vita quotidiana come tale: Nan Goldin, Sophie Calle, Philip Lorca Di Corcia e molti altri); non la comprensibilit immediata ma la negazione del senso (Lynch per esempio); non loriginalit ma la virt della cover secondo la direzione indicata dal celebre racconto di Borges, Pierre Menard, autore del Don Chisciotte (Senaldi, 2003). Leteronomia sistemica In secondo luogo, il paesaggio attuale dellarte eteronomo e non pi definibile con la classica nozione di forma. Linnovazione rivendicata dal pensatore americano consisteva, abbiamo visto, nel combattere la separatezza con la continuit: la forma artistica deriva dai processi vitali della creatura. In questo modo, osservavo, Dewey svolge una efficace critica dellantropomorfismo. Resta tuttavia il fatto che la forma ha nel suo pensiero i tratti tradizionali: compiutezza, equilibrio. E che lopera deve, proprio per la funzione che Dewey le assegna, essere ancora riconoscibile ictu oculi, deve insomma stagliarsi con nettezza nel panorama dei prodotti dellesperienza, non separata ma, per cosi dire, separabile, prodotto ultimo e pi alto dei processi vitali. La non-autonomia genetica della forma artistica non incide insomma sulla sua evidenza o autonomia percettiva. Ora, io non credo che questo sia tuttora il panorama dellarte contemporanea e per la verit credo che non lo fosse gi pi ai tempi di Dewey. Per comprendere lo scenario attuale credo sia necessario spostarsi al di fuori del predominio del sistema coerente percezione diretta / forma buona, che sta al centro del pensiero di Dewey, e di parte dellestetica del secolo scorso. Ritengo in altre parole che lartefatto opera non sia pi definibile con le coordinate immanenti della forma ma in base a una sorta di eteronomia che definisco come
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posizione di enunciazione (cfr. ad es. Goodman, 1968). Allopera come auto-presentazione di una forma che si offre alla percezione immediata, portatrice di significati che si presentano direttamente come propriet di oggetti di cui si fa esperienza [] non c bisogno di un codice [] il significato intrinseco allesperienza immediata (Dewey, p. 102), si contrappone nella tarda modernit la presenza dellopera come artefatto non evidente, definibile solo in termini di contesto istituzionale o dispositivo o sistema. Un esempio straordinario a mio avviso costituito dal caso ArtaudRivire (1923) oltre a tutto perfettamente contemporaneo al periodo in cui Dewey sviluppa le sue considerazioni. Lo riassumo qui brevemente. La vicenda letteraria di Artaud comincia con un rifiuto: Jacques Rivire, il direttore della Nouvelle Revue Franaise alla quale Artaud aveva spedito alcune poesie, si rifiuta di pubblicarle. Rivire motiva il suo rifiuto parlando di una insufficiente unit di impressione, di immagini a tratti divergenti, di informit di realizzazione, di un funzionamento immediato e animale dello spirito. Uno spirito disorganizzato e diremmo selvaggio, produce una forma (letteraria) insufficiente nella quale, scrive Rivire, tutto si disgrega in unimmensa contingenza (cfr. Artaud, Al paese dei Tarahumara, tr. it. p. 18). Non pare di sentire Dewey?: in casi estremi lemozione crea disordine [] unemozione eccessiva ostacola la necessaria elaborazione e definizione di parti (Dewey, p. 72). In realt Artaud otterr il riconoscimento, la certificazione di autore letterario di prima grandezza, quando ancora in vita, quando cio il pi importante editore francese, Gallimard, decider di pubblicare ledizione delle sue Opere complete. Quindi evidentemente si tratterebbe di un completo capovolgimento della situazione iniziale. Dovremmo chiederci allora: che cosa accaduto nel frattempo? C unaltra circostanza rilevante. Dopo pi di un anno di scambi di lettere tra il poeta e leditore della rivista Rivire fa una proposta sorprendente: perch non pubblicare la o le lettere che mi ha scritto? (Al paese, p. 21). Insomma, semplificando al massimo: le poesie non avrebbero valore letterario (difetti di forma) ma le lettere s. Come mai? Che cosa decide che uno scritto o una pittura, o in genere un artefatto sia unopera (letteraria o artistica in genere)? Che cosa distingue, e chi in grado di distinguere la contingenza del sintomo dalla consapevolezza della forma compiuta? Rivire pare rispondere: la condizione perch ci sia opera un certo livello di chiusura formale. Diremmo: di buona forma. E quindi, nello stesso ordine, rifiuta lo statuto di opera a ci che Artaud scrive. In questo rifiuto c evidentemente un implicito: possibile distinguere, guardando loggetto stesso, il suo status. La vicenda di Artaud mostra per che la condizione formale non
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sufficiente, occorre aggiungere quella che si potrebbe chiamare una condizione istituzionale. Questa circostanza messa in luce proprio dallevoluzione del carteggio con Rivire. Allora, che cosa definisce il campo di validit della scrittura letteraria o dellopera? A prima vista si tratta della forma-di-opera. Ma chi definisce la forma-di-opera? Si pu azzardare una risposta: la forma-di-opera dipende non dalla forma stessa (la forma non pi autonoma, non si presenta pi da s) ma dalla posizione di enunciazione o dal sistema che conferisce lo statuto alle opere stesse. Lopera stessa non ha pi una propria essenza. Il gesto di Rivire che accetta/rifiuta per la precisione rifiuta una forma specifica, la poesia, e ne accetta o ne legittima unaltra, le lettere ci che decide dellappartenenza o meno di uno specifico artefatto, e dunque di uno specifico autore al sistema-letteratura. E il gesto istituzionale delleditore Gallimard decide, con la decisione di pubblicare le Opere complete della presunta ontologia artistica dellopera di Artaud. Dire il vero, essere nel vero Dunque ci si potrebbe chiedere: Dewey dice il vero quando parla dellarte come culmine dellesperienza? nel vero? Ho usato di proposito due locuzioni che richiamano alcune considerazioni pertinenti di Michel Foucault: dire il vero e essere nel vero non sono la stessa cosa. La teoria dellevoluzione di Mendel, notava Foucault, diceva il vero ma non era nel vero, dal momento che sempre possibile dire il vero nello spazio di unesteriorit selvaggia; ma non si nel vero se non ottemperando alle regole di una polizia discorsiva (Lordine del discorso, tr. it. p. 28). Credo che la polizia discorsiva abbia a che vedere con la posizione di enunciazione che definisce lopera nel contemporaneo. C una posizione, e solo stando al suo interno si pu essere accettati nella propria verit, la disciplina una posizione di controllo della produzione discorsiva afferma ancora Foucault. Cerchiamo allora di proiettare queste osservazioni sul discorso di Dewey. Potremmo osservare che rispetto alla disciplina (o formazione discorsiva) chiamata arte forse cambiato il modo di essere-nel-vero. Potremmo aggiungere che il vero che Dewey dice segnato da una storia, quella della proto-modernit. Ma forse anche che il punto in cui Dewey si trova un punto o uno spazio storico di biforcazione, uno spazio o un luogo in cui il dire-il-vero della tradizione moderna e quello delle Avanguardie si intersecano, si sovrappongono e il secondo, Joyce o Duchamp, tanto per fare due nomi, sta ancora sul bordo dellessere-nel-vero. Come Mendel, forse ai tempi di Dewey anche Duchamp, o Joyce, era un mostro vero [] la scienza non poteva parlarne (Foucault, ib.). E tuttavia forse questa posizione storicizzante non basta perch il
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ragionamento di Foucault pu essere spinto oltre. La genealogia ha bisogno della storia, osservava Foucault riprendendo Nietzsche. Ma che cos la genealogia? Una posizione critica sospettosa, che sfascia le continuit apparenti per restituire i fatti nella loro reale dispersione. notevole il fatto che negli anni settanta Foucault immaginasse possibile una genealogia anche di quel terreno che lui, con una curiosa riduzione, definisce pittura (Archeologia del sapere, tr. it, p. 220). Forse pittura pu essere generalizzato in arte. Forse si pu tentare una genealogia del sistema arte, nella quale dovrebbe apparire la distinzione tra forma e posizione di enunciazione. Si tratterebbe della descrizione di uno spazio o di un campo entro il quale si possa di volta in volta dire il vero stando nel vero. Sarebbe la descrizione dello spazio-di-verit che permette la produzione di artefatti riconoscibili come veri (nella fattispecie: vere opere darte). La percezione diretta della forma come criterio o canone (per rispettare il lessico di Dewey) fa parte di questo spazio e questo spazio variabile (non universale, diciamo). Non lesperienza umana ma un campo storico, e non descrivibile solo con le coordinate immanenti dellopera ma con quelle eteronome dellarchivio, del dispositivo, della formazione discorsiva, della posizione di enunciazione. animato o abitato da una pluralit di attori o agenti la cui interazione decide sullappartenenza di qualsiasi artefatto al sistema-arte: ecco che cosa a mio avviso si pu intendere con eteronomia. Ora, se esaminiamo il campo dellarte contemporanea, questa mi pare la caratteristica prevalente: ci che decide dellappartenenza legittima non la percezione diretta ma piuttosto la posizione (eteronoma) di enunciazione. questa che decide del gusto, del piacere e della legittima appartenenza dellartefatto insomma del suo essere-nel-vero e di conseguenza del suo valore di verit (dire-il-vero o esprimere significati per usare il lessico deweyano). Nella parte finale del suo libro, Dewey prende in considerazione una circostanza rilevante dellarte contemporanea del suo tempo, lutilizzazione da parte dellavanguardia dei modelli formali delle culture dei cosiddetti popoli senza scrittura (larte negra, p. 317): linfluenza delle arti di culture distanti diventata parte intrinseca della creazione artistica. Ma qual la motivazione che muoverebbe questa appropriazione? La forza motrice la partecipazione autentica, nota Dewey. Grazie a questa le barriere si dissolvono e larte mostra di essere una modalit di linguaggio pi universale di quanto non sia il discorso (p. 318). Non forse questo un esempio di quanto lessere-nel-vero sia a sua volta una posizione prospettica? Se applichiamo alluniversalismo umanistico deweyano la lezione della scuola del sospetto, dovremmo piuttosto dire che i manufatti etnici diventano arte solo nel per noi che appartiene alla nostra formazione discorsiva ovvero, quando
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sono importati o fruiti alla luce della posizione di enunciazione entro la quale ci troviamo senza discuterla. La posizione caratteristica di quella specifica formazione discorsiva, occidentale e moderna, chiamata convenzionalmente arte. Un importante saggio di James Clifford (On Collecting Art and Culture, tr. it. 1999) chiarisce in proposito molte cose. In particolare, chiarisce come gli stessi artefatti, in condizioni di percezione (sociale, storica) mutate, vengano inclusi in differenti orizzonti di senso e collocati in differenti posizioni nel sistema di cui larte fa parte. A mio parere questa una condizione nella quale si trova tutta larte contemporanea. La triste scienza Linsieme di questi punti mi sembra di fatto comporre una mappa coerente. Al posto di unapicalit, culmine di un percorso ascendente, abbiamo una regionalizzazione dellarte come parte dellimmaginario mediale. Al posto della posizione idealtipica abbiamo la crescente integrazione in una comunicazione in cui la stessa estetizzazione appare iperfinalizzata e normata. Al posto della buona forma abbiamo la trasgressione generalizzata della forma in varie direzioni (Perniola, 2000). Al posto della posizione autonoma e autosufficiente della percezione abbiamo una profonda eteronomia dove la legittimazione dellartefatto artistico decisa da un sistema relazionale e da una pluralit di agenti. Resta da decidere allora come valutare la teoria di Dewey: questi mutamenti sono il prodotto di una fase ulteriore, imprevedibile ai suoi tempi oppure gi nella sua dimensione storica erano presenti e lui non li voleva vedere perch ancora impegnato a difendere leredit dellilluminismo umanistico dagli assalti della modernizzazione? In fondo, anche per Dewey si potrebbe forse ripetere a questo proposito ci che Blanchot osservava su Freud: la sua opera mostra una commovente fiducia [] nei poteri della coscienza e dellespressione (Blanchot, tr. it. 1969, p. 216). Ma il rischio anche che questa fiducia si trasformi in qualcosa di simile allideologia quando venga assunta come tale il rischio che motiva il punto chiave della teoria estetica adorniana, ben prima dello sviluppo delle teorie post-strutturaliste alla Foucault. Non occorre essere necessariamente anti-umanisti come la generazione dei pensatori francesi fioriti al seguito di Kojve, di Hyppolite o di Lvi-Strauss per notare come Adorno che il Tutto il falso e che non si d vera vita nella falsa. Torniamo cos ancora al confronto tra la versione di Dewey e quella di una critica governata dalla concezione della dialettica negativa. una posizione che eredita la potenza del negativo hegeliana per far emergere la verit e la verit appunto che il tutto, la totalit, nelle condizioni concrete della societ capitalistica si trasformata nel falso delluniversale reificazione. E tale appunto la condizione alla quale
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reagiscono criticamente larte e la letteratura degne di questo nome rifiutando persino lanticipazione di un intero come la tipizzazione ideale di Dewey proponeva. Parlando di Kafka, Adorno scrive che il narratore non espone la totalit nellopera ma piuttosto espone la ferita, cio la condizione reificata al suo massimo grado: diventare-cosa, diventare-animale, disumanizzarsi. La naturalizzazione genetica di Dewey assume allora una tonalit differente, diventa la salutare rassomiglianza delluomo con la bestia. E questa la ferita che lumanesimo non vede, e la cui esposizione diventa la cifra dellarte. Ovvero, il dire il vero sulla nonverit sociale. Potremmo dirlo in termini psicoanalitici: la traversata del fantasma si effettua esponendo il fantasma in tutta la sua portata e non contrapponendovi unimmagine della vera vita che potrebbe esserci. Il momento dello scatto scrive Adorno, si ha quando gli uomini si rendono conto di non essere unipseit di essere anchessi cose o animali, come accade al protagonista della Metamorfosi. Invece di anticipare lintero, la forma pacificata, ogni conoscenza, osserva Adorno ogni forma di consapevolezza deve mimare la condizione del falso per poter diventare tale ovvero: per poter essere conoscenza. La mimesi dellaccecamento anche insieme lestrema difesa dallaccecamento e la sua critica. Credo che nellarte contemporanea, almeno in una fase della sua storia, sia stata questa una forma potente alla quale lirenismo di fondo di Dewey, malgrado la sua sincera attitudine democratica, non permette di accedere. Palinodia Avremmo in ogni caso due differenti forme di critica. Una anticipatrice, laltra negatrice. Una idealizzante, necessariamente; laltra dialettica. Una che eredita il tono della bellezza tradizionale, laltra che vi si rifiuta in nome della qualit testimoniale. Una, in fondo, gioiosa, laltra sofferente. E tuttavia Non potremmo recuperare le virt di Dewey proprio facendo leva unultima volta sulla chiave ironica? Tenter in questa chiave una sorta di parziale ritrattazione. Che ne di Dewey dopo Duchamp? Ho cercato di mostrare come Dewey in un certo senso abbia paradossalmente (ironicamente) ragione contro se stesso dal momento che la realizzazione dei suoi teoremi ne cambierebbe il valore rispetto a quanto egli voleva. Ci che si riteneva patrimonio critico stato infatti tranquillamente assorbito dal sistema arte-cultura attuale. Cos, Dewey avrebbe in fondo il valore di una testimonianza storica, di ci che non possiamo pi essere n pensare. Eppure si potrebbe capovolgere anche la domanda iniziale: che ne di Duchamp dopo Dewey? Si potrebbe in fondo mostrare che proprio il culmine della realizzazione ironica indica una vicinanza letterale tra Dewey, Duchamp e larte attuale, almeno in alcune delle sue declinazioni.
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S, vero: Dewey e Duchamp potrebbero ben condividere da opposti versanti le stesse affermazioni. Qualunque cosa pu essere arte, e come noto, sono gli spettatori che fanno il quadro. Ma non ritroviamo pi o meno le stesse affermazioni nel libro del pensatore americano? lartista incarna in se stesso latteggiamento del percipiente (Dewey, p. 72): il materiale dellarte non distinto dal mondo comune (p. 122); occorre indebolire la soggezione moralistica che spinge le menti a rifuggire da certi materiali [] fino a comprendere (potenzialmente) ogni e qualsiasi cosa (pp. 193-94). E cos via. Siamo disorientati e cerchiamo la differenza specifica che ci faccia capire dove stiamo. Queste due serie di affermazioni, ci domandiamo ancora una volta, fanno parte della stessa formazione discorsiva o sono incommensurabili? A seconda di dove ci poniamo possiamo rispondere affermativamente o negativamente. Rispondere s implicherebbe una continuit delle parole (esperienza, arte, forma) che continuerebbero a indicare le stesse cose nel corso della storia. La risposta negativa implica invece ci che Foucault chiamerebbe una dispersione o addirittura una faglia che ci separa per sempre da quella modernit di cui tanto Dewey quanto Adorno fanno parte pur nella loro radicale contrapposizione. Il punto su cui ragionare proprio il termine esperienza. Entrambi lidealista e il dialettico in fondo ne condividono il significato profondo. Ma le arti al volgere del millennio (Riemschneider, Grosenik, 1999) hanno perduto a quanto pare sia il pathos ideale di Dewey che la potenza del negativo adorniano proprio a causa, credo, del loro status integrato di cui ho cercato di parlare prima. La loro ironica presenza intrisa di un pervasivo cinismo, di indifferenza an-estetica. Probabilmente sia Adorno che Dewey rifiuterebbero i furbi ammiccamenti di Cattelan o di Matthew Barney, di Damien Hirst o di Jeff Koons, il loro sapiente e perverso gioco con i media, la loro capacit di apparire in quanto figure, personaggi, star. Larte oggi, mi pare, non mostra la bellezza per contrapporla alla separazione, n esibisce in modo critico-testimoniale la condizione del falso come index sui et veri. Pi semplicemente, ripete, o meglio, nelle sue migliori apparizioni mostra il falso come il vero-del-vero (ecco perch la cover a mio avviso cosi importante). Forma drammatica prevista da Adorno, che guardava i grandi modelli di Beckett e Kafka, ma appunto in una forma minore, nella tonalit del trick. Non nella regione alta dellArte ma nella regione bassa dello Spettacolo. Non in forme direttamente identificabili ma in forme ambigue. Non si tiene al sicuro nella moralit della Cultura, ma rasenta ogni volta la regione compromettente del kitsch
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Larte, o almeno una sua parte, mostra insomma che lesperienza non pu essere idealizzata come ci che da sempre il vivente accumula fino al suo apice artistico, perch un fatto sociale e lumano pu regredire e perderla. Ma nemmeno che essa ci che abbiamo perduto una volta per tutte: sarebbe ancora un universale. Da sempre o una volta per tutte sono due varianti compatibili, stanno sui due bordi opposti di una faglia segnata da due accezioni dellesperienza: acquisizione perenne o eredit per sempre perduta: il midollo dellesperienza tutto succhiato scrive Adorno non c pi alcuna esperienza, neanche quella immediatamente sottratta al commercio, che non sia intaccata (Teoria estetica, tr. it. p. 54). Potrebbe dunque esserci unaltra declinazione del pragmatismo. Questa in fondo ci dice che lesperienza ci che si fa e si pu perdere (Senaldi), di volta in volta. N ci che per sempre perduto n il frutto inevitabile di un cammino ascendente della specie. Piuttosto, qualcosa che va cautamente sorvegliato perch i suoi esiti sono indeterminabili e sottoposti a un continuo pericolo ma anche occasioni che di volta in volta un soggetto riflessivo pu cogliere. Si tratterebbe per di sostituire allumanesimo di Dewey quella strana versione del pragmatismo che si trova in Deleuze: non il Soggetto ma la molteplicit dispersa, il muro di pietre a secco (Deleuze, tr. it. 1995, pp. 80 e 114). Che cos il muro di pietre a secco in cui Deleuze vede inaspettatamente la virt del pragmatismo? Potremmo dire che si tratta di una terza figura dellesperienza estetica: dopo quella dellopera come organicit (Dewey) e quella dellopera come frammento che sarebbe quella parte della totalit dellopera che resiste alla totalit stessa (Adorno), il muro di pietre a secco riguarda lesperienza post-umanistica di una molteplicit dispersa, plurale, anonima. Dopo la comunit di Dewey, una figura del farne-a-meno: corpuscoli, gruppuscoli, molteplicit o comunit che viene.

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Appendice
a cura di Alfonso Ottobre

Sul finire del 1949 il Journal of Aesthetics and Art Criticism pubblicava un articolo di Patrick Romanell dal titolo A Comment on Croces and Deweys Aesthetics 1. Il titolo dellarticolo era abbastanza fuorviante perch in realt lestetica di Croce non veniva presa in considerazione, se non per evidenziare, nonostante Dewey si fosse fortemente impegnato sulle pagine di quella stessa rivista a negare qualsivoglia somiglianza tra il suo pensiero e quello del filosofo italiano 2, come in fin dei conti permanesse almeno una comune assunzione di fondo, tuttaltro che irrilevante: quella cio di considerare lesperienza estetica come loggetto proprio della filosofia dellarte. Nellarticolo di Romanell vi era per ben altro; a suo parere Dewey condivideva con Croce il raggiungimento di un obiettivo decisamente poco invidiabile, quello cio di aver dato vita a una filosofia dellarte contraddittoria, tentando di sviluppare nel contempo anche una differente concezione di quale dovesse essere loggetto proprio dellestetica, senza rendersi conto che tale mossa conduceva a due filosofie dellesperienza contrapposte. Il nome di Croce, il cui pensiero non era minimamente analizzato, veniva quindi speso in modo strumentale, solo per rendere pi deciso lattacco contro il pensiero estetico di Dewey, che agli occhi di Romanell smentiva nei fatti le pur promettenti dichiarazioni dintenti contenute in Art as Experience. Il breve testo che qui presentiamo, pubblicato sulla stessa rivista nel settembre del 1950 3, la risposta di Dewey a quelle accuse; il suo valore prescinde ovviamente dalloccasione, ma bene spendere ancora qualche parola sullanalisi filosofica condotta da Romanell, poich essa ci offre una doppia opportunit: comprendere il senso della risposta di Dewey e al tempo stesso fare luce su una tensione presente nel suo pensiero che ha prestato il fianco a una serie di equivoci. Larticolo di Romanell incentrato, come si detto, sullipotetica incoerenza della visione deweyana, che nascerebbe da una tensione non risolta tra due distinte filosofie dellesperienza; una pluralista e sostantivale, che vede lesperienza estetica come un tipo particolare di esperienza, e una monista e aggettivale, che interpreta lesperienza estetica come uno degli aspetti dellesperienza 4. Delle due, la prima sembra a Romanell non in sintonia non solo con un pensiero schiettamente pragmatista, ma anche con la posizione che ad esempio lo stesso Dewey aveva assunto in un libro coevo a quello sullarte, A Common Faith, nei confronti dellesperienza religiosa, quando aveva fermamente respinto lidea che si potesse parlare di una esperienza religiosa come di un tipo particolare di esperienza, per ci stesso separata da altri tipi di esperienza in virt di un particolare contenuto. Ma allora, spiega Romanell nel suo articolo, se non esiste una cosa come lesperienza religiosa, seguendo lo stesso tipo di logica non esister nemmeno una cosa come lesperienza estetica [] Se la condizione per lesistenza di una buona teoria delle religione che il suo

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oggetto debba essere concepito in modo aggettivale, cio come la fase religiosa dellesperienza, allora allo stesso modo una teoria dellarte adeguata dovrebbe essere limitata alla fase estetica dellesperienza vitale 5. Romanell dunque non nega che in Art as Experience vi sia anche unanalisi aggettivale del fenomeno artistico (larte come artistico), tuttavia si lamenta del fatto che questa si combina con unanalisi sostantivale dellarte come esperienza estetica, visione che, a suo parere, conduce inevitabilmente allerronea concezione dellarte come regno separato, una conseguenza contraria alla morale principale del libro6. Dewey insomma, per usare la formula dello stesso Romanell, finirebbe con il mostrarsi pi anti-chiesa che non anti-museo. La critica di Romanell non perfettamente centrata. La visione deweyana non sottintende affatto due filosofie dellesperienza non conciliabili, e Dewey nella sua risposta ha infatti gioco facile nel rimandare al mittente lonere della prova, presentando in modo molto semplice e chiaro la sua idea di continuit dellesperienza. Le perplessit di Romanell possono tuttavia essere interpretate come il sintomo di qualcosa di poco chiaro nella proposta deweyana, qualcosa che lo stesso Romanell non sembra afferrare in pieno, e che ha a che fare con un troppo disinvolto gioco al rimbalzo tra artistico ed estetico. Non un caso infatti che in chiusura della sua risposta, Dewey parli esplicitamente di due modi dellestetico: uno primario, quello riscontrabile in una qualsiasi esperienza completa, laltro invece, quello che dovrebbe contraddistinguere uno stato evoluto, definito artistico. Nel primo caso laccento sembra posto sulla qualit dellesperienza, mentre nel secondo laccento sembra posto sul suo contenuto. Dico sembra, perch se le cose stessero veramente cos, allora la maggior parte delle riflessioni contenute in Art as Experience sarebbero prive di senso. Arte per Dewey designa infatti una qualit (estetica) dellesperienza, una qualit del fare (che comprende anche il percepire) che pu essere riscontrata in qualsiasi attivit umana, e non solo in via ipotetica. Su questo punto lopera del 34 effettivamente piena di esempi, e Dewey non sprezzante quando rimanda senza tanti complimenti a quanto l ampiamente esposto. Al tempo stesso per larte anche una qualit di ci che viene fatto e percepito; e lesperienza estetica pu essere considerata completa soltanto a condizione che prenda corpo in un oggetto. Anche questo aspetto assai ben sviluppato in Art as Experience: i riferimenti alla necessit dellembodiment al fine di rendere completa una esperienza sono continui e Dewey afferma chiaramente che non si pu fare unesperienza estetica in assenza di un oggetto (interpretando ovviamente il termine oggetto in senso ampio). Vi una qualche contraddizione in tutto ci? Non forse vero che nella nostra lingua vi sono termini come opera, lavoro, costruzione, ma anche come storia, vita e, soprattutto, esperienza, che designano sia un processo che il suo risultato? Lincoerenza dunque, argomenta Dewey nel suo articolo, la vede solo chi si avvicina alla teoria estetica con quei pregiudizi filosofici tipici di un pensiero dualista che crea separazione laddove invece vi continuit. Che poi in Art as Experience gli oggetti in cui le qualit estetiche dellesperienza prendono corpo siano quasi invariabilmente le opere dellarte bella, e che Dewey sia intimamente convinto che queste ultime rappresentino, allo stato attuale dei fatti, il pi alto raggiungimento possibile del processo esperienziale, un altro discorso. Si pu certamente discutere su quanto Dewey sia effettivamente rivoluzionario nella sua proposta estetica o su come in alcune parti del suo libro egli dia limpressione di non voler portare sino in fondo le sue stesse intuizioni sullarte e sul ruolo che essa chiamata a recitare nella societ e nellesperienza umana. Ma che la sua filosofia dellesperienza, sfondo e base del

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suo pensiero estetico, possa essere considerata causa di separazioni e dualismi concettuali sembra essere effettivamente unipotesi priva di fondamento. daltronde opportuno, se si vuole tentare di comprendere laccento riformista della filosofia dellarte di Dewey, tenere presente il carattere di apertura verso il futuro di molte considerazioni contenute nellopera del 34. Che lartistico in quanto qualit dellesperienza, sebbene per il momento realizzato quasi esclusivamente nelle opere dellarte bella, possa un giorno diffondersi ben oltre i limiti dellarte istituzionalmente intesa qualcosa di pi di una semplice speranza nella visione deweyana: una possibilit insita nella natura stessa dellesperienza umana. Questo ci che Dewey ha sempre voluto dire; e purtroppo anche ci che quasi nessuno ha voluto capire.

Vol. 8, n. 2, December 1949, pp. 125-28. Nel 1948, com noto, la stessa rivista aveva pubblicato un articolo di Benedetto Croce, sostanzialmente una recensione di Art as Experience, nella quale il filosofo italiano discuteva quelli che, a suo parere, erano i numerosi punti di contatto tra lestetica di Dewey e la propria (On the Aesthetics of Dewey, vol. 6, n. 3, Mar. 1948, pp. 203-07). In coda allarticolo di Croce era possibile leggere la brevissima replica di Dewey (A Comment on the Foregoing Criticism, pp. 207-09) nella quale il filosofo americano respingeva, ancor prima che le critiche, qualsiasi parentela filosofica. La controreplica di Croce, sempre sulla stessa rivista (Deweys Aesthetics and Theory of Knowledge, vol. 11, n. 1, Sep. 1952, pp. 1-6) fu pubblicata qualche mese dopo la morte di Dewey. Sulla questione si vedano almeno G. H. Douglas, A Reconsideration of the Dewey-Croce Exchange, The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 28, 1970, pp. 497-504, e, in italiano, L. Russo, La polemica fra Croce e Dewey e larte come esperienza, Rivista di studi crociani, 5, 1968, pp. 201-16. 3 Aesthetic Experience as a Primary Phase and as an Artistic Development,The Journal of Aesthetics and Art Criticism, vol. 9, n. 1, September, 1950, pp. 56-58. Larticolo di Dewey, preceduto da quello di Romanell, stato pubblicato nelledizione critica integrale delle sue opere (vedi The Later Works: 1925-1953, vol. 16, ed. by Jo Ann Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale, 1989), e ha gi conosciuto due traduzioni nella nostra lingua: una di L. Bellatalla, apparsa nel volume antologico Educazione e Arte (La Nuova Italia, Firenze 1977), laltra di A. Granese, in J. Dewey, Arte come esperienza e altri scritti, La Nuova Italia, Firenze, 1995. Quella che qui presentiamo si differenzia da entrambe in pi di un punto. 4 Sulla distinzione tra concezione sostantivale e aggettivale dellarte e sui riflessi che essa pu avere su una filosofia dellesperienza si veda P. Romanell, Prolegomeni a ogni estetica naturalista, Rivista di Filosofia, li, ottobre 1960, 4, pp. 391-98. 5 Romanell, cit., p. 466. 6 Ivi, p. 467.
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Lesperienza estetica come fase primaria e come sviluppo artistico


di John Dewey

In un recente numero di questa rivista, il dottor Romanell ha sostenuto che, nel mio Arte come Esperienza, io parlo di due forme o specie di esperienza estetica. Senza dubbio vero; il dottor Romanell, tuttavia, ha deciso che nel far ci vi sia una qualche sorta di incoerenza. Non mi sembra per che egli sia stato in grado di dimostrare che il mio riconoscere le due forme le abbia anche rese talmente incompatibili da spezzare in due la mia estetica, a meno di non voler considerare una prova il fatto che io parlo sia di esperienza estetica che di fase estetica dellesperienza. Dal momento che la spina dorsale, e invero la linfa vitale della mia teoria estetica, cos come essa effettivamente, costituita dal fatto che ogni ordinaria esperienza completa, ognuna che compia interamente il suo corso, estetica nella sua fase consumatoria; e dal momento che la mia teoria afferma anche che le arti e le esperienze estetiche che le riguardano sono sviluppi intenzionalmente coltivati di quella fase estetica primaria, laccusa di incoerenza dellintenzione principale, e irrinunciabile, della teoria dovrebbe essere accompagnata dalla presentazione di prove. Poich, per quanto mi dato di vedere, nessuna prova fornita a parte luso, fatto di proposito al fine di evidenziare mediante due differenti espressioni la forma primaria e quella intenzionalmente sviluppata dellesperienza estetica, e visto che non vi nemmeno il pi remoto riferimento al ruolo giocato nella mia teoria estetica dalla questione dello sviluppo artistico che scaturisce dalla fase primaria, non penso vi siano degli elementi rispetto ai quali dovrei articolare una replica. Fornire prova del fatto che il tema dello sviluppo della forma o del modo artistico a partire dalla fase estetica primaria costituisca il cuore, lanima e la mente (lintenzione) dellintero libro, equivarrebbe a scriverne una sinossi completa. Visto che il libro a disposizione di chiunque voglia leggerlo, tale operazione sarebbe tanto superflua quanto impossibile da compiere in un articolo di rivista. Di conseguenza, in questa occasione mi limito a richiamare lattenzione, per quanto concerne la fase primaria dellestetico, sui primi due capitoli. I loro titoli, la creatura vivente e fare una esperienza (con laccento su una), sembrerebbero piuttosto espliciti, senza che si avverta la necessit di molti altri riferimenti al loro contenuto; quindi faccio appena men195

zione qui del fatto che la maggior parte del resto del libro dedicata alla discussione delle arti in quanto sviluppi di aspetti estetici primari. Aggiungo anche che un considerevole spazio utilizzato per mostrare che le opere darte non derivanti dallo sviluppo di una fase delle esperienze primarie sono artificiali pi che artistiche; un fatto che in s pi che mostrare lincoerenza della mia posizione, prova lirrilevanza della critica del dottor Romanell verso di essa. Vi tuttavia unaffermazione nel suo articolo che, sebbene non richieda una replica, mi offre lopportunit, della quale lo ringrazio, di dire qualcosa riguardo la filosofia generale dellesperienza, di cui la discussione dellestetico non che una variet. La frase in questione quella in cui il dottor Romanell asserisce che sviluppare, ciascuno per proprio conto, quanto sostengo riguardo lesperienza estetica darebbe luogo a due filosofie dellesperienza tra loro incompatibili. Dal momento che ho parecchi motivi per pensare che il dottor. Romanell non sia lunico a non aver afferrato pienamente questa teoria generale, sono ben lieto di cogliere loccasione per dire qualcosa su questo tema. Si tratta in buona sostanza di questo: il caso dellesperienza estetica con il suo sviluppo coltivato di tipo artistico a partire da ci che naturale e spontaneo nellesperienza primaria fornisce, con ogni probabilit, il modo pi semplice e diretto di chiarire ci che vi di fondamentale in tutte quelle forme di esperienza che vengono tradizionalmente (ma in modo erroneo) considerate come tante partizioni differenti, isolate e indipendenti delloggetto in esame. Labitudine tradizionale, tuttora in voga, di dividere luno dallaltro argomenti che sono rispettivamente politici, economici, morali, religiosi, educativi, cognitivi (con il nome di epistemologici) e cosmologici, trattandoli di conseguenza come se fossero auto-costituiti, intrinsecamente differenti, un esempio di ci che io rifiuto nel caso dellestetico. Gli antropologi hanno mostrato come le comunit relativamente primitive facciano tutto ci che in loro potere per rivestire quelle attivit che sono necessarie per la sopravvivenza del gruppo con labito dellimmediatezza, dellesteticamente piacevole trascurando perfino di coltivare ci che utile ma prosaico in se stesso. Tali fatti forniscono lo ripeto la maniera pi semplice di presentare e comprendere cosa accaduto nel caso di tutti quegli argomenti che le filosofie non curanti dellesperienza, o contro di essa, hanno costruito come tanti compartimenti isolati, indipendenti e strettamente chiusi in se stessi, nobilitati poi con nomi altisonanti come domini, reami, sfere, dellEssere. difficile trovare alcunch di misterioso nelle arti della danza, del canto, del dramma, della narrazione, che prolungano e perpetuano la fase immediatamente soddisfacente dellesperienza primaria. Il dipingere, lo scolpire, le costruzioni architettoniche, portano avanti lo stesso tipo di sviluppo, solo che lo fanno in modi indiretti, pi complessi e quindi pi mascherati.
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Linfluenza di questi fatti su una filosofia che decisa a fare tutto ci che in suo potere per restare fedele, nelle sue posizioni teoretiche, ai fatti che riguardano lorigine e lo sviluppo di forme differenti di contenuti di cui si fa esperienza, non cos difficile da capire nei termini che le sono propri. Ci che costituisce un ostacolo, ci che intralcia, arresta e rende irriconoscibile, proviene da quelle filosofie nelle quali gli sviluppi funzionali della fase soddisfacente delle esperienze primarie sono stati pietrificati, congelati e reificati in una moltitudine di generi dellEssere e della Conoscenza, costitutivamente separati allorigine. Non vedo quindi modo migliore per terminare questo mio breve articolo che non sia quello di riportare un passo da un mio scritto composto e pubblicato indipendentemente e qualche anno prima di Arte come esperienza. Il passo ha il merito non solo di esporre la versione corretta della mia posizione circa i due modi dellestetico, il primario e lartistico, ma illustra anche quel principio dello sviluppo che circola universalmente nella mia teoria della variet di fasi dellesperienza, siano esse quelle della morale, della politica, della religione, della scienza, della filosofia stessa, cos come dellarte bella, in modo da rispondere anticipatamente a quelle critiche che trasformano la distinzione tra gli aspetti primari e quelli artisticamente sviluppati di un unico argomento in due materie incompatibili. Il passo recita: Ci sono sostanzialmente due alternative. O larte una continuazione, per mezzo di una combinazione e di una selezione intelligenti, di naturali tendenze di eventi naturali, oppure larte unaggiunta peculiare alla natura, che sboccia da qualcosa che alberga in seno alluomo, comunque la si voglia chiamare. Nel primo caso, la percezione piacevolmente intensificata ha la stessa natura del godimento di qualsiasi oggetto consumatorio. il risultato di unabile e intelligente arte di trattare le cose naturali al fine di intensificare, purificare, prolungare e approfondire quelle soddisfazioni che esse (le cose delle esperienze primarie quotidiane) spontaneamente ci offrono. Sembra quasi inutile aggiungere che, qualunque possano essere i meriti e i demeriti di una tale teoria, c una differenza radicale tra continuit di sviluppo e incompatibilit intrinseca; in particolare quando la natura della differenza riguarda in modo fondamentale ciascuna e ogni variet di temi trattati dal punto di vista di una filosofia dellesperienza generale e comprensiva.

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1 Breitinger e lestetica dellIlluminismo tedesco, di S. Tedesco 2 Il corpo dello stile: Storia dellarte come storia dellestetica a partire da Semper, Riegl, Wlfflin, di A. Pinotti 3 Georges Bataille e lestetica del male, di M. B. Ponti 4 Laltro sapere: Bello, Arte, Immagine in Leon Battista Alberti, di E. Di Stefano 5 Tre saggi di estetica, di E. Migliorini 6 Lestetica di Baumgarten, di S. Tedesco 7 Le forme dellapparire: Estetica, ermeneutica ed umanesimo nel pensiero di Ernesto Grassi, di R. Messori 8 Gian Vincenzo Gravina e lestetica del delirio, di R. Lo Bianco 9 La nuova estetica italiana, a cura di L. Russo 10 Husserl e limmagine, di C. Cal 11 Il Gusto nellestetica del Settecento, di G. Morpurgo-Tagliabue 12 Arte e Idea: Francisco de Hollanda e lestetica del Cinquecento, di E. Di Stefano 13 Pta quasi creator: Estetica e poesia in Mathias Casimir Sarbiewski, di A. Li Vigni 14 Rudolf Arnheim: Arte e percezione visiva, a cura di L. Pizzo Russo 15 Jean-Bapiste Du Bos e lestetica dello spettatore, a cura di L. Russo 16 Il metodo e la storia, di S. Tedesco 17 Implexe, fare, vedere: Lestetica nei Cahiers di Paul Valry, di E. Crescimanno 18 Arte ed estetica in Nelson Goodman, di L. Marchetti 19 Attraverso limmagine: In ricordo di Cesare Brandi, a cura di L. Russo 20 Prima dellet dellarte: Hans Belting e limmagine medievale, di L. Vargiu 21 Esperienza estetica: A partire da John Dewey, a cura di L. Russo

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Collana editoriale del Centro Internazionale Studi di Estetica Presso il Dipartimento Fieri dellUniversit degli Studi di Palermo Viale delle Scienze, Edificio 12, I-90128 Palermo Fono +39 91 6560274 Fax +39 91 6560287 E-Mail <estetica@unipa.it> Web Address <http://unipa.it/~estetica> Progetto Grafico di Ino Chisesi & Associati, Milano Stampato in Palermo dalla Tipolitografia Luxograph s.r.l. Registrato presso il Tribunale di Palermo il 27 gennaio 1984, n. 3 Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione il 29 agosto 2001, n. 6868 Associato allUnione Stampa Periodica Italiana issn 0393-8522 Direttore responsabile Luigi Russo

Aesthetic Experience Starting from John Dewey


The International Centre for the Study of Aesthetics celebrated the publication of the Italian edition of John Deweys seminal Arts as Experience (Palermo: Aesthetica Edizioni, 2007) by organizing a seminar entitled Aesthetic Experience: Starting from John Dewey, which took place in Palermo on November 23-24, 2007. The present volume, edited by Luigi Russo, collects the papers presented at that conference, and more specifically: Giovanni Matteuccis Dewey and the Anthropology of Aesthetic Experience, Roberta Dreons Emotions and Subjects in Artistic Expression: Deweys Contribution, Simona Chiodos Empiricist Aesthetics, Marco Senaldis Art as Experience and Contemporary Art, Stefano Velottis Is an Aesthetic Experience Still Possible?, Salvatore Tedescos The Anthropological Model of Aesthetic Experience: Dewey, Gehlen, and Plessner, Elio Franzinis Phenomenology and Aesthetic Experience, Leonardo Amorosos Aesthetics as a Philosophy of Experience: Re-reading Dewey through Garroni, Paolo DAngelos The Critique of Aesthetic Experience in Anglo-American Analytical Philosophy, Mario Perniolas How Can We Interpret Art as experience in the Present Aesthetic Context?, Roberto Diodatos Aesthetic Experience and Interactivity, Fabrizio Desideris Pathologies of Contemporary Aesthetic Experience, Pietro Montanis Aesthetic Experience and Experiential Anesthesias, Fulvio Carmagnolas Art and Experience: After Dewey. The Appendix, edited by Alfonso Ottobre, presents a short text by Dewey (Aesthetic Experience as a Primary Phase and as an Artistic Development) that lends important insight into his aesthetic theory.

Centro Internazionale Studi di Estetica, Viale delle Scienze, I-90128 Palermo

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