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IL BAMBINO
DI
SOSTITUZIONE
PRIMA PARTE
Prefazione
Biografie
A. GLI ANTENATI...
"Ho vissuto la mia morte, prima di vivere la mia vita. All'età di sette anni
mio fratello è morto di meningite, tre anni prima che io nascessi (ciò è inesatto). Ciò
ha scosso mia madre nelle profondità del suo essere. La precocità, il genio, la
grazia, la bellezza di questo fratello erano la sua delizia: la sua scomparsa fu uno
shock terribile. Ella non doveva più riaversi. La disperazione dei miei genitori non
fu placata che dalla mia nascita, ma la loro sciagura continuava a penetrare ogni
cellula del loro corpo. Nelle viscere di mia madre io potevo già sentire la loro
"angst" (?). Il mio feto nuotava in una placenta infernale (sic). La loro angoscia non
mi lasciò mai... Io ho vissuto profondamente il persistere della presenza di mio
fratello come un un trauma permanente - una specie di alienazione dell'affetto - e il
senso di essere vinto. Tutte le eccentricità che io commetto, tutte le mie incoerenze,
sono la costante tragica della mia vita. Io voglio dimostrare a me stesso che non
sono il fratello morto, ma quello vivente. Come nel mito di Castore e Polluce:
uccidendo mio fratello, conquisto per me l'immortalità".
Tuttavia la sua seduzione era reale e il suo cuore non fu mai inattivo.
Ma nessuno sa se questi amori terminavano in una realizzazione sessuale. Su
questo argomento egli era di un pudore assoluto. Se si mostrava sprezzante
o aggressivo, era per un meccanismo di difesa contro il nemico: le donne.
Ricordiamo tra i suoi più famosi amori, Lorchen von Breuning a Bonn, che
aveva diciassette anni, le due sorelle Brunswich a Vienna, Thérèse, saggia,
riservata, pia, raggiante bontà, e la più giovane Joséphine, detta "Pepi", più
fragile, che occuparono indiscutibilmente un posto negli amori di Beethoven,
così come la loro cugina germana, Giuletta Guicciardi, piccola moretta,
spiritosa e civettuola, sapendo di piacere. Probabilmente Ludwig fu più
attaccato a "Pepi", anche dopo il matrimonio di lei con il conte Deym e la
sua vedovanza.
Il cuore di Ludwig non restava mai vuoto: i suoi ultimi amori ne
fanno fede, che si trattasse di Teresa Malfatti e soprattutto di Bettina
Brentano, molto discussa dai biografi del musicista, che seppe mirabilmente
legare e far danzare quell'orso di Beethoven.
Nessuno sa ne mai saprà il numero di coloro che l'hanno amato in
silenzio, senza essere contraccambiate e senza speranza. Tra queste si deve
citare la piccola Fanny Giannastasio, il cui diario di adolescente semplice e
pudica ci ha lasciato dei ricordi toccanti.
Tutti conoscono la famosa lettera all' "Amata Immortale", oggetto di
interminabili malintesi, "enigma spossante a forza di essere insolubile" (J. e
B. Massin).
L'identità della destinataria, che non ricevette mai tale lettera, dato
che la si ritrovò in una cassetta segreta dell'ufficio di Beethoven dopo la sua
morte, varia secondo gli autori.
DIDIER ANZIEU
O
IL CASO "AMATA" DI J.LACAN
Jacques Lacan, nel 1932, nella sua tesi inaugurale riferisce
l'osservazione di un'ammalata che egli chiama "Amata", ricoverata nel 1931
per delirio cronico di tipo passionale. Ella aveva tentato di accoltellare
un'attrice, a quei tempi celebre, Huguette Duflos. Rimase all'ospedale di
Sant'Anna dov'è assunse le funzioni di bibliotecario dal 1931 al 1941 o 1943.
Morì nel 1981 senza ricadute deliranti, senza atti di violenza durante 50 anni,
ma con un carattere perlomeno difficile.
Nel 1986 si apprende che questa "Aimeé " si chiamava in realtà
Margherite Anzieu ed era la madre di Didier Anzieu, psicologo e
psicoanalista conosciuto. E' lui che fa questa rivelazione durante alcune
conversazioni con G. Barrat che sono state oggetto di un'opera intitolata:
Una pelle per i pensieri.
Didier Anzieu (nato l'8 luglio 1923) precisa così la sua situazione
familiare: "La mia venuta al mondo è stata preceduta da quella di una
sorellina1 (...) Per me, questa sorella è rimasta definitivamente piccola,
perché è morta alla nascita. Voi avevate dunque ragione a chiamarmi "figlio
unico" piuttosto che " bambino unico". Di fatto io non l'ho conosciuta ed ho
vissuto come bambino unico. Ma dentro di me non era proprio così. Questa
sorella scomparsa, che aveva segnato il loro primo fallimento, è rimasta a
lungo presente nei pensieri e nelle parole dei miei genitori. Io ero il secondo,
che bisognava quindi sorvegliare e curare, per preservarlo dal destino cattivo
che aveva colpito la primogenita. Io ho subito il loro timore della ripetizione.
Bisognava soprattutto che io sopravvivessi, perché i miei genitori fossero
discolpati. Ma la mia sopravvivenza era ai loro occhi aleatoria. La minima
indigestione, la più piccola corrente d'aria mi minacciavano. Ciò mi metteva
in una situazione difficile, molto particolare. Dovevo sostituire una morta.
Ora, non mi si lasciava vivere sufficientemente. Questa non era veramente
1
Questa piccola bambina, nata morta nel marzo 1921, non fu registrata sullo Stato di famiglia e non aveva nome
(comunicazione personale)
una situazione è paradossale. Diciamo piuttosto una situazione ambigua".
Ciò che va notato in modo particolare e che la madre di Didier
Anzieu, quarta tra i fratelli era lei stessa una "bambina di sostituzione"! Tre
sorelle erano nate prima di lei, e "un giorno di festa, per andare a messa,
Marguerite, la più giovane delle tre figlie, era stata vestita con una abito di
organza. La si è lasciata un momento in custodia alla più grande, quella che
sarà la mia madrina. La piccola era vestita in modo leggero, faceva freddo, si
è accostata al fuoco... ed è morta bruciata viva. Fu uno shock è atroce per i
suoi genitori, per la sue sorelle. Mia madre fu allora concepita per sostituire
la defunta. E dato che nacque ancora una bambina, le fu stato dato lo stesso
nome, Marguerite. Una specie di morta vivente... Non è per caso che mia
madre ha trascorso la sua vita a moltiplicare i modi per sfuggire alle fiamme
dell'inferno. Questo si chiama subire il proprio destino, un destino tragico.
Mia madre non me ne ha parlato chiaramente che una volta sola. Ma io lo
sapevo dalla storia familiare. La sua depressione deriva, penso, da questo
ruolo che non si può controllare. Ella l'aveva differito dopo la nascita della
sua piccola figlia morta, implacabile ripetizione del destino. E la mia nascita,
riuscita, ha riattivato la minaccia insopportabile...".
Aggiungiamo che Aimeé dovette sopportare la presenza in casa di
una delle sue sorelle, sempre più invadente. Questa sorella Elisa aveva
sposato uno zio materno ed era lei stessa delirante. È dalla sua vedovanza
che venne a intrufolarsi in casa della sorella. Ed essendo deprivata
progressivamente del proprio marito e del proprio figlio "mia madre perse i
mezzi per difendersi contro la propria patologia latente " (D.Anzieu).
Si noterà che D.Anzieu è nato nel 1923 e che il gesto omicida di sua
madre avviene nel 1931, cioè otto anni dopo. Nel suo delirio, "Aimeé "
immaginava il rapimento di un bambino. Vedeva suo figlio "annegato,
ucciso, portato via dalla Guépéou, immaginava complotti, delle persecutrici
che venivano a deriderla" (Bolzinger).
J.Allouch, in un grosso volume pubblicato nel 1980, ha portato
lontano l'analisi del caso Aimeé così come l'atteggiamento e il ruolo di
Jacques Lacan in questa storia. Questa opera completa, con Didier Anzieu
che ne ha scritto la postfazione, i problemi di filiazione di quest'ultimo.
Secondo Allouch, volendo uccidere l'attrice, Marguerite voleva
uccidere se stessa. E questo passaggio all'azione ha guarito il delirio, che è
stato come "sgonfiato", con sorpresa dell'entourage.
Ma si apprende anche che la madre di Marguerite, Jeanne, era
anch'essa delirante e che esisteva una reale delirio oscillante tra la madre e la
figlia, poiché il ritorno alla normalità dell'una, faceva esplodere quello
dell'altra.
Da questa doppia e notevole situazione di bambino di sostituzione,
"al quadrato" si potrebbe dire, così finemente analizzata dalla vittima stessa,
si possono ricavare tre cose.
Subito, il fatto che non avendo potuto, come altri personaggi che
abbiamo studiato, sfuggire mediante la genialità creativa al rischio della
follia, "Aimeé ", autentica " bambina di sostituzione" è precipitata in una
psicosi delirante di tipo paranoico-sensitivo, del resto abbastanza particolare:
si sarebbe sviluppata senza manifestazioni nei dieci anni precedenti l'attentato
del 1931, ma sarebbe scomparsa al termine dei venti giorni nella prigione di
Saint-Lazare, addirittura prima dell'internamento a Sant'Anna per non
riapparire più sotto forma delirante fino alla sua morte nel 1981, il che
induce Bolzinger a parlare di "delirio senza psicosi".
Si può constatare, anche qui, questo paradossale senso di colpa del
bambino di sostituzione, che abbiamo sottolineato in un gran numero di casi.
J. Lacan parla in effetti, a proposito di Aimeé, di paranoia da auto-punizione
e di senso di colpa. Egli precisa anche: "Di fronte all'enigma che un simile
delirio pone, non ci si può trattenere dal ripetere all'ammalata la stessa
domanda, apparentemente vana: "Perché - le si domanda un giorno per la
centesima volta, in nostra presenza - ma perché credete che vostro figlio sia
minacciato?" Impulsivamente ella risponde: " Per castigarmi ". "Ma di che
cosa?" Qui esita: "Perché non ho compiuto la mia missione..." Ma un istante
dopo: "Perché i miei nemici si sentivano minacciati dalla mia missione..."
Nonostante il loro carattere contraddittorio, ella mantiene il valore di queste
due spiegazioni.
Infine, il caso di Didier Anzieu prova che se esistono i rischi e gli
handicaps, essi non sono ineluttabili. Le due psicoanalisi subite da questo
medico l'hanno certamente aiutato a sciogliere una situazione che, altrimenti,
avrebbe potuto diventare drammatica.
RENE' FERET
O
"IO NON NASCO"
Nel 1989, René Feret, cineasta, produce un film intitolato Battesimo,
film molto autobiografico, perché l'autore riconosce che tutto é partito da
una foto di famiglia, quella di un fratello morto accidentalmente a quattro
anni, sei anni prima della sua nascita. La prefazione di un libro apparso nel
1990, intitolato allo stesso modo Battesimo, tratto dal soggetto del film,
comincia così: "Una immagine immobile ha ossessionato la mia infanzia: è la
fotografia in bianco e nero di un bambino di quattro anni al quale mia madre
mi faceva assomigliare e del quale porto il nome. Mio fratello è morto in un
incidente nel 1939, qualche anno prima della mia nascita".
La genealogia dell'autore merita di essere precisata: i suoi bisnonni
paterni ebbero un primo figlio chiamato René che morì piccolo; un secondo,
anch'egli René, subì la medesima sorte; vennero in seguito due figlie la
minore delle quali (nonna materna) si sposò e diede il nome di Renè a suo
figlio; questi, sposato a sua volta (padre della autore) battezzò René il primo
figlio che ebbe e che perì accidentalmente all'età di quattro anni; il secondo si
chiamerà Bernardo, ma il terzo, il cineasta, si chiamerà ancora René.
L'abbondanza dei lutti e il susseguirsi di questi bambini di sostituzione
attraverso quattro generazioni, almeno, è qui particolarmente eloquente. E
sono tutti dei re-nés [ri-nati]...
Questa condizione di sostituto ha pesato gravemente su tutta la vita
del cineasta, che ci ha volentieri indicato un testo che ha intitolato Il film
interiore, redatto all'età di 33 anni, nel 1978 nel corso di una crisi
psicologica intensa, innescata della nascita di un figlio (che non ha chiamato
René!). Questo testo curioso, lungo più di una sessantina di pagine,
testimonia di una crisi di identità di rara violenza. Ne aveva già avuta una a
22 anni, dieci anni prima, le cui conseguenze furono gravi. Attraverso pezzi
di frasi troncate, brevi interiezioni, senza maiuscole e senza punteggiatura,
utilizzando le esclamazioni, le allitterazioni, i giochi di parole con
mescolanza di versi e di prosa, attraverso fuga di idee (alla maniera di un
discorso maniaco), egli tenta, apparentemente invano, di mettersi in
relazione con questo nuovo figlio, con la sua donna, con un suo padre e con
sua madre, con suo fratello Bernardo e soprattutto con se stesso.
"Io non nasco", dice ad un certo punto, traducendo con questo gioco
di parole che alla sua nascita, egli non ha niente, neppure il diritto di esistere
a causa della morte del piccolo fratello di cui deve prendere il posto. Allo
stesso modo, A.Convez aveva intitolato le sue memorie Uccidere il morto,
indicando con questo che all'ingiunzione dei genitori "Tu sei il morto", non si
poteva rispondere che "uccidendo" il fantasma del piccolo morto.
Vi si trovano dei passaggi molto significativi (N.B. Abbiamo indicato
con il segno: / i salti di riga del testo originale):
"Bisognava ritrovare questo fratello scomparso; morto di incidente
prima della mia nascita / morto / di cui porto il nome / ma che non è me / che
non esiste / più / ora me io vivo / io esisto / io voglio essere felice / malgrado
lui / perché lui dal momento che non c'è? / è lui o io / è assurdo perché egli
non esiste / sono io / (felice) / io sono (felice) / la mia nascita é legata alla
sua morte / io mi chiamo re-né / come lui (qua) / e come mio padre / io non
dovevo essere io / io dovevo essere una bambina / essendo ragazzo io ero lui
/ (...) è rené ritornato dal cielo / io sono rené / sono nato rené / (...) ho paura
di essere lui / ho paura di essere io / (...) è una vecchia paura: mi diventa
amica/ è come un'ombra sulla mia infanzia / parte di me / io sono gemello /
doppiamente doppio / il mio io è ovunque / talmente paura di non esistere /
mi metto dappertutto / mi disperdo / compaio e sparisco / (...) esisto nello
sguardo degli altri ".
"Bisognava che fossi morto per nascere / mia madre amava il ricordo
di un morto in me (mio fratello in fotografia) / bisognava scomparire per
essere amato?/".
"L'immagine del fratello appare in mio figlio / (...) io comprendo
perché ho scelto la follia dieci anni or sono / sono folle di gioia di
comprendere oggi / (...) immaginare per esistere / inventare l'esistenza / (il
teatro, il cinema, ecc.) / inventarsi un'esistenza / comparire / immaginarsi per
comparire / immaginarsi per provare ad essere".
"Divento folle di non sapere / è morto? morto / non è la / si prega su
di lui / sul suo nome e cognome / i miei quelli di papà / egli è assente / rené /
ucciso / incidentato / annegato / bruciato / distrutto / annientato / egli appare
/ egli scompare / non esiste / non ne posso più / non capisco niente /
soffoco".
"Non sono quello che si aspettava da me / non mi si attendeva / qui
non dovevo essere io / qui non è stato mio / questo non è stato lui /
Bernardo ha detto che c'era rené / rené ritornava / io sono colui che torna /
sono fantasma / Bernardo ha mentito / sì è mentito a Bernardo / sì è detto "si
è rené" / ma rené esisteva già / era esistito / esisteva più di prima / molto più
di me / impossibile essere io / io sono come un dio vivente a cui si preferisce
la tomba".
"Sono nato morto / o morto-nato / avevo paura della morte / avevo
paura della vita / vivere è morire / vivere la propria morte / non sono nato di
ieri / sono nato di domani /".
Si è detto che Vincent Van Gogh ogni domenica nella propria
infanzia doveva passare davanti alla tomba del primo Vincent che egli aveva
sostituito, dove il suo nome era scritto assieme alla data della propria morte.
René Feret, in questo lungo scritto, parla anche "dell'immagine della tomba /
René Feret scritto sopra".
E conclude: "L'arte è vivente, anch'io" mostrando ancora una volta
che spesso, per i bambini di sostituzione, non c'è altra via d'uscita che l'arte
creatrice o la follia.
Il film Battesimo del quale abbiamo parlato sopra descrive la vita di
una povera famiglia nel Nord della Francia, dal 1935 al 1965, vita piena di
banalità, con le sue piccole gioie, i suoi litigi, i suoi fallimenti, le sue
cerimonie: battesimi, matrimoni, funerali. Il sottotitolo è preciso: "Nascita di
una famiglia".
Interrogato sul senso che egli dà al suo film, Battesimo, risponde che,
per lui, è un film su una seconda nascita. Ora la dottrina cristiana chiama
"re-natus" il bambino che, dopo la sua nascita biologica, nasce una seconda
volta, alla vita spirituale, con il battesimo.
L'autore del film dice di essersi identificato in questo secondo Remì
(pseudonimo trasparente di René), reincarnazione (per la madre) del primo,
"ridisceso dal Cielo", al quale la madre fa dei riccioli affinché assomigli al
primo, la cui fotografia troneggia in permanenza sul pianoforte. A forza di
aver dovuto ricoprire il ruolo di un altro nella sua infanzia, questo "bambino
di sostituzione" abbraccia in maniera del tutto naturale una carriera di attore
(come fu il caso del cineasta) e, sulla scena, davanti a sua madre che asciuga
le lacrime, recita un poema di sua composizione che merita di essere citato:
2
Vedere l'allegato a p. 239 (?)
Capitolo II
Il bambino di sostituzione
nella letteratura medica
L'atmosfera familiare
Le ripercussioni psicologiche
Nicole Alby fa notare che queste tre madri, quando parlano dei loro
bambini malati, dicono "insopportabile" (la parola può essere intesa in tutti i
sensi…) nel momento in cui esse apprendono della sua ricaduta e conoscono
la nuova gravidanza; questa autrice pensa che il bambino le minacci della sua
morte e annunci l'abbandono: l'aggressività materna serve a reprimere
l'angoscia suscitata dall' "aggressione" che esse subiscono e che raggiunge un
livello difficilmente sopportabile.
Queste gravidanze, per loro, sono da considerare differenti da quelle
che giungono al tempo delle remissioni o molto tempo dopo la morte di un
bambino. Ella le qualifica come gravidanze "incidentali" nel senso antico del
termine, cioè comandate da una forza esterna a chi la subisce: la nozione di
"sostituzione" non interviene che in un secondo tempo, è una
razionalizzazione, un vanto, un tentativo di riparazione immediata di un lutto
anticipato.
L'ambivalenza e il senso di colpa segnano il comportamento di queste
madri. Anche il bambino nell'utero è caricato di aggressività verso il bambino
malato. Mme K. Parla di "pregiudizio".
Per alcune madri, schiacciate dalla morte attesa del loro bambino, è,
senza dubbio, il solo modo di proteggersi contro una grave depressione che
avrebbe impedito loro di svolgere le cure al bambino malato.
Qui i padri hanno un ruolo modesto, ma sono tutti profondamente
colpiti, ed è possibile che, tenuti un po' discosti dalle madri, una gravidanza
sia per loro un modo di "fare qualcosa", di dare un "sostituto" alla madre che
sta perdendo un figlio, se si dà ascolto ai racconti degli infermieri.
Il ruolo riparatore della gravidanza assicura ai genitori che non
saranno privati di altri figli e che questi saranno ben in salute. Da tempo si
pone una domanda: "La malattia di nostro figlio è ereditaria? Contagiosa? Si
può prendere in considerazione una nuova gravidanza?". Questo desiderio
evoca certe domande di adozione destinate a negare la sterilità della coppia:
una famiglia ha adottato un bambino vietnamita immediatamente dopo la
ricaduta del loro bambino leucemico.
Una volta certe di essere incinte, la madre si "riaccosta" al bambino
malato e "dimentica" il bambino che ha in grembo. Esso diventa un rivale del
bambino malato e nello stesso tempo oggetto di pietà, perché non può
colmare il vuoto, né essere amato per se stesso.
Quando le madri partoriscono spesso trascurano il nuovo venuto a
beneficio del bambino malato. Si ha l'impressione che di volta in volta i due
bambini siano confusi e separati. H.H Jahnn, del quale abbiamo visto la
storia in quanto bambino di sostituzione, comincia così uno dei suoi
racconti: "C'era una volta una madre che aveva un figlio in due metà, una
viva e l'altra morta". "Diventare colui che sostituisce, sarebbe già avere
diritto a una certa esistenza" dice Nicole Alby.
Il bambino di sostituzione non crea lutto, nella misura in cui
sostituisce il morto. Il bambino di sostituzione ha il diritto, indispensabile per
la strutturazione della sua futura personalità, di esistere per se stesso.
In seguito, N. Alby ha proseguito con E. Gluckman i suoi studi su
casi abbastanza simili ai "bambini-rimedio", quelli di bambini concepiti "per
trapianto del cordone": il sangue del cordone ombelicale prelevato alla
nascita contiene numerose cellule-madri e può sostituire il trapianto di
midollo osseo in bambini colpiti dalla malattia di Fanconi (aplasia midollare
progressiva, malattia mortale senza trapianto di midollo osseo). Alcuni
genitori possono allora concepire un bambino che, si spera, nasca sano, con
lo scopo di ottenere queste preziose cellule che salveranno il fratello
condannato. Tutti i problemi relativi al bambino unicamente "oggetto utile"
verranno posti qui.
UCCIDERE IL MORTO
Con un gioco di parole molto lacaniano, A. Couvez, in una memoria
psichiatrica scritta nel 1979, ritiene che per esistere per se stesso un bambino
di sostituzione deve "uccidere il morto", cioè eliminare l'obbligo imposto dai
suoi genitori dal tempo della sua nascita: "tu sei il morto".
Egli riferisce quattro lunghe osservazioni di bambini di sostituzione
che egli analizzò in uno spirito psicanalitico con molta acutezza.
Abbiamo creduto di poterli riassumere qui tentando di non deformare
troppo le sue constatazioni e le riflessioni che ne trae. Per fare questo
abbiamo citato il più possibile le sue frasi: tutto quello che, nelle osservazioni
qui riportate, è tra virgolette, è scritto da lui (e di ciò che è del soggetto
dell'osservazione).
2. CARLOTTA o l'interim
" I miei genitori hanno avuto, molto giovani, una figlia che non visse
due anni. Si chiamava Marie-Hélène. Mi ebbero un poco tempo dopo. Di lei,
non conoscevo che una foto, e dai miei genitori, che era bella e robusta. Io
notai soprattutto una cosa: che mi assomigliava molto. Non ne parlavano
spesso che io non so veramente ciò che, durante la mia infanzia, potevo
sentire.
Ma da sempre ho il senso di non arrivare a sapere chi sono e cosa
voglio veramente.
Mi sono sposata giovane e qualche anno dopo ho divorziato. Non ho
mai potuto decider mi ad imparare un mestiere che mi piacesse e, a forza di
esitazioni, mi ritrovo con solo lavoro che non volevo fare: segretaria. Inoltre,
da parecchi anni, incapace di restare nel medesimo posto, lavoro ad interim.
Ho lasciato gli uomini che ho amato, forse, per paura della felicità.
Forse non mi sono mai data il diritto di essere felice?
Inoltre, vivo o un po' ai margini. Per me contano solo le mie attività
creatrici: poesie, musica, fotografia, relazioni affettive che ho con alcune
persone.
Da tre anni, in seguito ad una relazione sentimentale collaudata con
un alcolizzato, o iniziato una psicoterapia di un anno che mi ha permesso di
ripartire col piede buono.
Quello che è avete detto durante quella trasmissione radiofonica ha
rischiarato a giorno la mia esperienza. E tutto ciò che mettevo in conto della
mia posizione di primogenita (il senso di essere stata poco amata) forse non
era totalmente imputabile a ciò.
Una cosa mi ha particolarmente scosso, l'analogia tra " bambino di
sostituzione " e " interim ". In " interim " sono sempre una che sostituisce,
come in quella pubblicità che amo poco sull'agente x dove si vede una
segretaria che aspetta un bebè si fa sostituire da un interinale che è il suo
sosia.
Da un po', sono tentata di riprendere gli studi per apprendere un
mestiere inerente alla psichiatria, perché voglio assolutamente cambiare
lavoro. Questa scelta non è sicuramente dovuta al caso, credo che la follia mi
faccia paura e mi affascini.
" Sono stata concepita dai miei genitori per sostituire il fratello di mio
padre, morto il giorno della liberazione, all'età di 19 anni, eroe della
resistenza, ucciso da una pallottola in testa. Sono nata due anni dopo la sua
morte. Conosco tutti i dettagli col cuore, non avendo mai smesso, mio
padre, di avvelenarmi l'esistenza con questo passato. Mi portava a vedere
film di guerra, avevo molta paura, mi rannicchiavo nella poltrona e chiudevo
gli occhi; il ritorno nella macchina del nonno era angoscioso al massimo:
pensavo che saremmo stati assaliti per strada da qualcuno; non avevo che
quattro anni. Ero sempre vestita da ragazzo, mutandine rigonfie i miei capelli
erano lunghi, pettinati a coda di cavallo.
Sul camino troneggiava la fotografia (immensa) di questo zio,
intellettuale, faceva del teatro, era molto colto. Non ero lui, non potevo
essere lui, tutti i miei tentativi erano infruttuosi. Quanti rimproveri ho avuto,
colpi, ignobili punizioni, perché bisognava " uccidermi " e io ho
riorganizzato la mia resistenza e la mia operazione sopravvivenza.
In classe, ero un'allieva media; scrivevo bene, ma non con la scrittura
accurata e stilizzata di mio zio. Mi immergerlo nell'immensa cassa/Tesoro
che conteneva i suoi libri, i suoi quaderni, le sue carte. Le cercavo, volevo
impegnarmene. Il mio primo giocattolo mi fu dato da mio padre: un banco
con attrezzi. Restaurato alla casa e voleva obbligarmi ad aiutarlo, costruendo
attrezzi a mia dimensione. Artigiano, sapeva fare tutto. I giochi mi erano
vietati e messi in soffitta, alcuni ci sono ancora. Ma qualunque cosa facessi,
non ero all'altezza.
Ho sofferto e soffrono ancora per questo rifiuto. La nascita di mia
sorella, se gli anni dopo la mia, non ha fatto che aggravare la situazione.
Adolescente, andavo a rifugiarmi in solaio del vicino per respirare un po',
riprendermi, esistere; oppure prendevo medicine, un po' di tutto quello che
trovavo, e ciò mi permetteva di dormire e avere pace. Per fuggire questo
ambiente, mi sono sposata molto giovane, ho avuto tre bambini, oggi
maggiorenni, o divorziato nel giro di qualche anno, mi sono risposata e
nuovamente divorziata.
Sono rimasta ansiosa, scorticarta viva, spesso depressa. La creatività
mi aiuta molto: poemi, scritti, disegni, pittura. Ho aiutato molto gli altri in
attività sociali dove avevo posti di responsabilità, in modo da avere, infine,
una identità e di esistere davanti agli altri.
Anche i miei comportamenti mostravano l'ambiguità che vivevo
dentro di me. Un giorno ero in pantaloni e il giorno dopo in gonna. Avrei
desiderato essere ragazzo, per anni, e mi sono rassegnata alle età di
trent'anni, quando mi sono resa conto che esistevo per me e per gli altri, il
che i acerbo. Ma la mia vita privata è sempre stata un fallimento. In me, sono
ancorati i complessi di colpo al che di intelligenza. Psicoterapia e analisi li
hanno diminuiti e mi hanno rassicurata.
O dimenticato di segnalarvi la mia fierezza verso i miei amici, quando
mostravo, sulla targhetta del monumento ai morti, il nome di mio zio che era
anche il mio.
" Ho provato a dimenticare questi ricordi, ma... "