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Edizione di riferimento:
Sommario
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
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XXV
XXVI
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Sommario
XXXI
XXXII
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XXXVI
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XXXIX
XL
XLI
XLII
XLIII
XLIV
XLV
XLVI
XLVII
XLVIII
XLIX
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LIV
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iv
Sommario
LXI
LXII
LXIII
LXIV
LXV
LXVI
LXVII
LXVIII
LXIX
LXX
LXXI
LXXII
LXXIII
LXXIV
LXXV
LXXVI
LXXVII
LXXVIII
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Sommario
XCI
XCII
XCIII
XCIV
XCV
XCVI
XCVII
XCVIII
XCIX
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vi
I
Quando lo Nostro Signore Ges Cristo parlava umanamente con noi, infra laltre sue parole, ne disse che
dellabondanza del cuore parla la lingua. Voi chavete i
cuori gentili e nobili infra li altri, acconciate le vostre
menti e le vostre parole nel piacere di Dio, parlando,
onorando e temendo e laudando quel Signore nostro
che nam prima che elli ne criasse, e prima che noi medesimi ce amassimo. E [se] in alcuna parte, non dispiacendo a lui, si pu parlare, per rallegrare il corpo e sovenire e sostentare, facciasi con pi onestade e [con] pi
cortesia che fare si puote. E acci che li nobili e gentili
sono nel parlare e ne lopere quasi comuno specchio
appo i minori, acci che il loro parlare pi gradito,
per chesce di pi dilicato stormento, facciamo qui memoria dalquanti fiori di parlare, di belle cortesie e di
belli risposi e di belle valentie, di belli donari e di belli
amori, secondo che per lo tempo passato hanno fatto gi
molti. E chi avr cuore nobile e intelligenzia sottile s l[i]
potr simigliare per lo tempo che verr per innanzi, e argomentare e dire e raccontare in quelle parti dove
avranno luogo, a prode e a piacere di coloro che non
sanno e disiderano di sapere. E se i fiori che proporremo fossero misciati intra molte altre parole, non vi dispiaccia; ch l nero ornamento delloro, e per un frutto nobile e dilicato piace talora tutto un orto, e per
pochi belli fiori tutto un giardino. Non gravi a leggitori:
ch sono stati molti, che sono vivuti grande lunghezza di
Il Novellino
tempo, e in vita loro hanno appena tratto uno bel parlare, od alcuna cosa da mettere in conto fra i buoni.
II
Della ricca ambasceria la quale fece lo Presto Giovanni al nobile imperatore Federigo.
Presto Giovanni, nobilissimo signore indiano, mandoe ricca e nobile ambasceria al nobile e potente imperadore Federigo, a colui che veramente fu specchio del
mondo in parlare e in costumi, e am molto dilicato parlare, e istudi in dare savi risponsi. La forma e la intenzione di quella ambasceria fu solo in due cose, per volere al postutto provare se lo mperadore fosse savio in
parlare e in opere. Mandolli per li detti ambasciadori tre
pietre nobilissime, e disse loro: Donatele allo mperadore, e direteli da la parte mia che vi dica qual la migliore cosa del mondo; e le sue parole e risposte serberete, e aviserete la corte sua e costumi di quella, e quello
inverrete, raccontarete a me sanza niuna mancanza.
Fuoro allo mperadore dove erano mandati per lo loro
signore; salutrlo, siccome si convenia per la parte della
sua maestade, e per la parte dello loro soprasc[r]itto signore donrli le sopradette pietre. Quelli le prese e non
domand di loro virtude: fecele riporre, e lodolle molto
di grande bellezza. Li ambasciadori fecero la dimanda
loro, e videro li costumi e la corte. Poi, dopo pochi giorni, adomandaro commiato. Lo mperadore diede loro risposta, e disse: Ditemi al signore vostro, che la migliore cosa di questo mondo si misura. Andr li
ambasciadori, e rinunziaro e raccontaro ci ch aveano
veduto e udito, lodando molto la corte dello mperado-
Il Novellino
re, ornata di bellissimi costumi, e l modo de suoi cavalieri. Il Presto Giovanni, udendo cioe che raccontaro i
suoi ambasciadori, lod lo mperadore, e disse chera
molto savio in parola, ma non in fatto, acci che non
avea domandato della virt di cosie care pietre. Rimand li ambasciadori, e offerseli, se li piacesse, che l
farebbe siniscalco della sua corte. E feceli contare le sue
ricchezze e le diverse ingenerazioni de sudditi suoi, e l
modo del suo paese. Dopo non gran tempo, pensando il
Presto Giovanni che le pietre chavea donate allo mperadore avevano perduta loro vertude, dapoi che non
erano per lo mperadore conosciute, tolse uno suo carissimo lapidaro e mandollo celatamente nella corte dello
mperadore, e disse: Al postutto metti lo ngegno tuo
che tu quelle pietre mi rechi; per niuno tesoro rimanga.
Lo lapidaro si mosse, guernito di molte pietre di gran
bellezza; e cominci presso alla corte a legare sue pietre.
Li baroni e li cavalieri veniano a vedere di suo mistiero.
Luomo era molto savio: quando vedeva alcuno chavesse luogo in corte, non vendeva, ma donava; e don anella molte, tanto che la lode di lui and dinanzi allo mperadore: lo quale mand per lui, e mostrolli le sue pietre.
Lodolle, ma non di gran virtude. Domand savesse
piue care pietre. Allora lo mperadore fece venire le tre
pietre preziose ch elli desiderava di vedere. Allora il lapidaro si rallegr, e prese luna pietra, e miselasi in mano, e disse cos: Questa pietra, messere, vale la migliore citt che voi avete. Poi prese laltra, e disse:
Questa, messere, vale la migliore provincia che voi avete. E poi prese la terza, e disse: Messere, questa vale
pi che tutto lo mperio; e strinse il pugno con le soprascritte pietre. La vertude delluna il cel, che nol potero vedere; e discese gi per le grdora, e torn al suo
signore Presto Giovanni e presentolli le pietre con grande allegrezza.
Il Novellino
III
Dun savio greco, ch uno re teneva in pregione, come giudic
duno destriere.
Nelle parti di Grecia ebbe un signore che portava corona di re e avea grande reame, e avea nome Filippo, e
per alcuno misfatto tenea uno savio greco in pregione. Il
quale era di tanta sapienzia, che nello ntelletto suo passava oltre le stelle. Avenne un giorno che a questo signore fu appresentato delle parti di Spagna un nobile destriere di gran podere e di bella guisa. Adomand lo
signore mariscalchi, per sapere la bont del destriere: fuli detto che in sua pregione avea lo sovrano maestro intendente di tutte le cose. Fece menare il destriere al campo, e fece trarre il greco di pregione, e disseli: Maestro,
avisa questo destriere, ch m fatto conto che tu se molto saputo. El greco avis il cavallo, e disse: Messere,
lo cavallo di bella guisa, ma cotanto giudico, che l cavallo nutricato a latte dasin[a]. Lo re mand in Ispagna ad invenire come fu nodrito, e invenero che la destriera era morta, e il puledro fu nutricato a latte dasina.
Ci tenne il re a grande maraviglia, e ordin che li fosse
dato uno mezzo pane il d alle spese della corte. Un giorno avenne che lo re adunoe sue pietre preziose, e rimandoe per questo prigione greco, e disse: Maestro, tu se
di grande savere, e credo che di tutte le cose tintendi.
Dimmi, se ti intendi delle virt delle pietre, qual ti sembra di pi ricca valuta? Il greco avis, e disse: Messere, voi quale avete pi cara? Lo re pres[e] una pietra
intra laltre molto bella, e disse: Maestro, questa mi
sembra pi bella e di maggiore valuta. El greco la prese, e miselasi in pugno, e strinse e puos[e]lasi allorecchie, e poi disse: Messere, qui ha un vermine. Lo re
mand per maestri e fecela spezzare, e trovaro nella detta
Il Novellino
Il Novellino
IV
Come un giullare si compianse dinanzi ad Alessandro dun cavaliere, al quale elli avea donato per intenzione che l cavaliere
li donerebbe ci chAlessandro li donasse.
Il Novellino
V
Come uno re comise una risposta a un suo giovane figliuolo, la
quale dovea fare ad ambasciadori di Grecia.
Il Novellino
VI
Come a David re venne in pensiero di volere sapere quanti fossero i sudditi suoi.
Il Novellino
David re, essendo re per la bont dIddio, che di pecoraio lavea fatto signore, li venne un giorno in pensiero [di volere] al postutto sapere quanti fossero i sudditi
suoi. E ci fu atto di vanagloria, onde molto ne dispiacque a Dio. E mandolli langelo suo, e feceli cos dire:
David, tu ha peccato. Cos ti manda a dire lo Signore
tuo: o vuoli tu stare tre anni in[f]er[m]o, o tre mesi nelle
mani de nemici tuoi, o stare al giudicio delle mani del
tuo Signore. David rispuose: Nelle mani del mio Signore mi metto: faccia di me ci che li piace.
Or che fece Iddio? Punillo secondo la colpa: ch quasi la maggior parte del populo suo li tolse per morte, acci che elli si vanaglori nel grande novero; cos lo
scem, e appiccol il novero. Un giorno avenne che, cavalcando David, vide langelo di Dio con una spada
ignuda, chandava uccidendo. E comunque elli volle
colpire uno, e David smontoe subitamente, e disse:
Messere, merc per Dio! Non uccidere linnocenti, ma
uccidi me cui la colpa. Allora, per la dibonarit di
questa parola, Dio perdon al popolo, e rimase luccisione.
VII
Qui conta come langelo parl a Salamone, e disseli che torrebbe Domenedio il reame al figliuolo per li suoi peccati.
Il Novellino
torr al figliuolo. E cos dimostra i guiderdoni del padre meritati nel figliuolo, e le colpe del padre pulite nel
figliuolo. Nota che Salamone studiosamente lavor sotto l sole; con ingegno di sua grandissima sapienzia fece
grandissimo e nobile regno. Poi che lebbe fatto, providesi, che non voleva che l possedessero aliene rede, cio
strane rede, fuori del suo legnaggio. E accioe tolse molte
mogli e molte amiche per avere assai rede; e Dio provide, quelli ch sommo dispensatore, s che tra tutte le
mogli e amiche, cherano cotante, non ebbe se non un figliuolo. E allora Salamone si provide di sottoporre e
dordinare s lo reame sotto questo suo figliuolo, lo quale Roboam avea nome, chelli regnasse dopo lui certamente. Chel fece dalla gioventudine infino alla senettute ordinare la vita al figliuolo con molti amaestramenti e
con molti nodrimenti. E pi fece: che tesoro li ammassoe grandissimo, e miselo in luogo sicuro. E pi fece:
che incontanente poi s brig che in concordia fu con
tutti li signori che confinavano con lui, e in pace ordin[o]e e dispuose sanza contenzione tutti i suoi baroni.
E pi fece: che lo dottrin del corso delle stelle, e insegnolli avere signoria sopra i domon. E tutte queste cose
fece perch Roboam regnasse dopo lui. Quando Salamone fue morto, Roboam prese suo consiglio di gente
vecchia e savia; propuose e domand consiglio, in che
modo potesse riformare lo populo suo. Li vecchi linsegnaro: Ragunerai il populo tuo, e con dolci parole dirai che tu li ami siccome te medesimo e chelli sono la
corona tua, e che, se tuo padre fu loro aspro, che tu sarai
loro umile e benigno, e dovelli li avesse faticati, che tu li
soverrai in grande riposo. E se in fare il tempio fuoro
gravati, tu li agevolerai. Queste parole linsegnaro i savi vecchi del regno. Partissi Roboam, e adun uno consiglio di giovani, e fece loro simigliante proposta. E
quelli li addomandaro: Quelli con cui prima ti consigliasti, come ti consigliaro? E quelli irracont loro a
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Il Novellino
motto a motto. Allora li giovani dissero: Elli tingannaro, perci che i regni non si tengono per parole, ma per
prodezza e per franchezza. Onde se tu dirai loro dolci
parole, parr che tu abbi paura del popolo, onde esso ti
soggiogher e non ti terr per signore, e non ti ubbidiranno. Ma fae per nostro senno: noi siamo tutti tuoi servi, e l signore puote fare de servi quello che li piace.
Onde d loro con vigore e con ardire chelli sono tutti
tuoi servi, e chi non ti ubbidir, tu lo pulirai, secondo la
tua aspra legge. E se Salamone li grav in fare lo tempio,
e tu li graverai [in altro], se ti verr in piacere. Il popolo
non tavrae per fanciullo, tutti ti temeranno, e cos terrai
lo reame e la corona. Lo stoltissimo Roboam si tenne
al giovane consiglio. Adun il popolo, e disse parole feroci. Il popolo sadir. I baroni si turbaro; fecero posture e leghe. Giuraro insieme certi baroni, sicch in trentaquattro d, dopo la morte di Salamone, perd delle
dodici parti le diece del suo reame per lo folle consiglio
de giovani.
VIII
Come uno figliuolo duno re don uno re di Siria scacciato.
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Il Novellino
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Il Novellino
IX
Qui si ditermina una nova quistione e sentenzia che fu data in
Alessandria.
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Il Novellino
X
Qui conta duna bella sentenzia che di lo Schiavo di Bari tra
uno borghese e un pellegrino.
Uno borghese di Bari and in romeaggio, e lasci trecento bisanti a un suo amico con queste condizioni e
patti: Io andr, siccome a Dio piacer; e sio non rivenisse, darali per la anima mia; e sio rivegno a certo termine, daramene quello che tu vorrai. And il pellegrino in romeaggio, e rivenne al termine ordinato, e
radomand i bisanti suoi. Lamico rispuose: Conta il
patto. Lo romeo lo cont a punto. Ben dicesti, dis-
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Il Novellino
se lamico te, diece bisanti ti voglio rendere; i dugento novanta mi tengo. Il pellegrino cominci ad adirarsi dicendo: Che fede questa? tu mi tolli il mio falsamente. E lamico rispuose soavemente: Io non ti fo
torto; e sio lo ti fo, sianne dinanzi alla signoria. Richiamo ne fue. Lo Schiavo di Bari ne fu giudice. Udio
le parti. Form la quistione. Onde nacque questa sentenzia, e disse cos a colui che ritenne i bisanti: Rendi
[i] dugento novanta bisanti al pellegrino, e l pellegrino
ne dea a te [i] diece che tu li hai renduti; per che l
patto fu tale: ci che tu vorrai mi renderai. Onde i dugento novanta bisanti ne vuoli, rendili; e i diece che tu
non volei, prendi.
XI
Qui conta come maestro Giordano fu ingannato da un suo falso discepolo.
Uno medico fu, lo quale ebbe nome Giordano, il quale avea uno suo falso discepolo. Inferm uno figiuolo
duno re. Il maestro vand, e vide chera da guerire. Il
discepolo, per trre il pregio al maestro, disse al padre:
Io veggio chelli morr certamente. E contendendo
col maestro, s fece aprire la bocca allo nfermo, e col dito stremo li vi puose veleno, mostrando molta conoscensa, in su la lingua. Luomo morio. Lo maestro se nand
e perd il pregio suo, e l discepolo li guadagn. Allora il
maestro giur di mai non medicare se non asini, e fece la
fisica delle bestie e di vili animali.
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Il Novellino
XII
Qui conta de lonore che Minadab fece al re David, suo naturale signore.
XIII
Qui conta come Antinogo riprese Alessandro perchelli si faceva sonare una cetera a suo diletto.
Antinogo, conducitore dAlessandro, faccendo Alessandro uno giorno per suo diletto sonare una cetera,
Antinogo prese la cetera e ruppela e gittolla nel fango, e
disse ad Alessandro cotali parole: Al tuo tempo ed etade si conviene regnare e non ceterare. E cos si pu dire: il corpo regno; e vil cosa la lussuria, e quasi a modo di cetera. Vergognisi dunque chi dee regnare in
virtude, e diletta in lussuria.
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Il Novellino
Re Poro, il quale combatt con Alessandro, a un mangiare fece tagliare le corde della cetera a uno ceteratore,
e disse queste parole: Meglio tagliare che s[on]are:
che a dolcezza di suoni si perdono le virtudi.
XIV
Come uno re fece nodrire uno suo figliuolo diece anni in luogo
tenebroso, e poi li mostr tutte cose, e pi li piacque le femine.
A uno re nacque uno figliuolo. I savi strologi providero che selli non stesse anni diece che non vedesse il sole,
[che perderebbe lo vedere]. Allora [il re] il fece notricare e guardare in tenebrose spelonche.
Dopo il tempo detto lo fece trarre fuori, e innanzi lui
fece mettere molte belle gioie e di molto belle donzelle,
tutte cose nominando per nome. E dettoli le donzelle essere dimon, e poi li domandaro qual desse li fosse pi
graziosa, rispuose: I domon. Allora lo re di ci si
maravigli molto, dicendo: Che cosa tirnnia bellore
di donna!
XV
Come uno rettore di terra fece cavare un occhio a s e uno al figliuolo per osservare giustizia.
Valerio Massimo nel libro sesto narra che Calogno essendo rettore duna terra, ordin che chi andasse a moglie altrui dovesse perdere li occhi. Poco tempo passando, vi cadde un suo figliuolo. Lo popolo tutto li gridava
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XVI
Qui conta della gran misericordia che fece san Paulino vescovo.
XVII
Della grande limosina che fece uno tavoliere per Dio.
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XVIII
Della vendetta che fece Iddio duno barone di Carlo Magno.
XIX
Della grande libert e cortesia del Re Giovane.
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XX
Della grande libert e cortesia del Re dInghilterra.
Lo Giovane Re dInghilterra sp[e]ndea e donava tutto. Un povero cavaliero avis un giorno un coperchio
duno nappo dariento; e disse nellanimo suo: sio posso
nascondere quello, la masnada mia ne potr stare molti
giorni. Misesi il coperchio de largento sotto. Il siniscalco, a[l] levare le tavole, riguard largento. Trovrlo meno. Cominciaro a metterlo in grido e a cercare i cavalieri
alla porta. Il Re Giovane avis costui che laveva, e venne senza romore a lui e disseli chetissimamente: Mettilo sotto a me, che non sar cerco. E lo cavaliere pieno
di vergogna cos fece. El Re Giovane li le rend fuori
della porta, e miselile sotto; e poi lo fece chiamare e donolli laltra partita.
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XXI
Come tre maestri di nigromanzia vennero alla corte dello
mperadore Federigo.
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XXII
Come allo mperadore Federigo fugg un astore dentro in Melano.
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Il Novellino
XXIII
Come lo mperadore Federigo trov un poltrone a una fontana, e chieseli bere, e poi li tolse il suo barlione.
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Il Novellino
XXIV
Come lo mperadore Federigo fece una quistione a due savi, e
come li guiderdon.
Messere lo mperadore Federigo s avea due grandissimi savi: luno avea nome messere Bolghero, e laltro
messere M[artino]. Stando lo mperadore un giorno tra
questi savi, luno s era dalla destra parte e laltro dalla
sinistra. E lo mperadore fece loro una quistione, e disse:
Signori, secondo la vostra legge possio a sudditi miei
a cu io mi voglio trre a uno e dare ad un altro, sanzaltra cagione a ci, chio sono signore, e dice la legge che
ci che piace al signore s legge intra i sudditi suoi? Dite sio lo posso fare, poich mi piace. Luno de due savi rispuose: Messere, ci che ti piace puoi fare [di
quello] de sudditi tuoi sanza colpa. Laltro rispuose, e
disse: Messere, a me non pare; per che la legge giustissima, e le sue condizioni si vogliono giustissimamente osservare e seguitare. Quando voi togliete, si vuole sapere perch, e a cui date. Perch luno savio e laltro
dicea vero, ad ambidue donoe. Alluno don cappello
scarlatto e palafreno bianco; e allaltro don che facesse
una legge a suo senno. Di questo fu quistione intra savi,
a cui avea pi riccamente donato. Fue tenuto cha colui
chavea detto che poteva dare e trre come li piaceva,
donasse robe e palafreno come a giullare, perch lavea
lodato. A colui che seguitava la giustizia, s diede a fare
una legge.
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Il Novellino
XXV
Come il Soldano don a uno dugento marchi, e come il tesoriere li scrisse, veggente lui, ad uscita.
Saladino fu soldano, nobilissimo signore, prode e largo. Un giorno donava a uno dugento marchi, che l[i]
avea presentato uno paniere di rose di verno a una stufa.
E l tesoriere suo dinanzi da lui li scrivea ad uscita: scorseli la penna, e scrisse trecento. Disse il Saladino: Che
fai? Disse il tesoriere: messere, errava; e volle dannare il sopra pi. Allora il Saladino parl: Non dannare; scrivi quattrocento. Per mala ventura se una tua penna sar pi larga di me.
Questo Saladino, al tempo del suo soldanato, ordin
una triegua tra lui e Cristiani, e disse di volere vedere i
nostri modi, e se li piacessero diverrebbe cristiano. Fermossi la triegua. Venne il Saladino in persona a vedere
la costuma de Cristiani. Vide le tavole messe per mangiare con tovaglie bianchissime; lodolle molto. E vide
lordine delle tavole ove mangiava il re di Francia, partit[e] dallaltre; lodollo assai. Vide le tavole ove mangiava[no] i maggiorenti; lodolle assai. Vide come li poveri
mangiavano in terra [v]ilemente. Questo riprese forte e
biasim molto, che li amici di lor Signore mangiavano
pi vilmente e pi basso.
Poi andaro li Cristiani a vedere la costuma [loro]. Videro che i Saracini mangiavano in terra assai laidamente.
El Soldano fece tendere suo padiglione assai ricco l dove mangiavano, e in terra fece coprire di tappeti, i quali
erano tutti lavorati a croci spessissime. I Cristiani stolti
entraro dentro, andando con li piedi su per quelle croci,
sputandovi suso siccome in terra. Allora parl il Soldano, e ripreseli forte: Voi predicate la croce, e spregiatela tanto? Cos pare che voi amiate vostro Iddio in sem-
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Il Novellino
bianti di parole, ma non in opera. Vostra maniera e vostra guisa non mi piace. Ruppesi la triegua, e ricominciossi la guerra.
XXVI
Qui conta duno borghese di Francia.
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Il Novellino
XXVII
Qui conta duno grande moaddo a cui fu detta villania.
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Il Novellino
XXVIII
Qui conta della costuma chera nello reame di Francia.
XXIX
Qui conta come i savi astrologi disputavano del cielo impirio.
Grandissimi savi stavano in una scuola a Parigi e disputavano del cielo impireo, e molto ne parlavano disiderosamente, e come stava di sopra li altri cieli. Contavano il
cielo dov Giupiter, Saturno e Mars, e quel del sole, e di
Mercurio e della luna; e come sopra tutti stava lo mpireo
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Il Novellino
XXX
Qui conta come un cavaliere in Lombardia dispese il suo.
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Il Novellino
XXXI
Qui conta duno novellatore chavea mes[s]ere Azzolino.
Messere Azzolino avea un suo novellatore, il quale facea favolare quanderano le notti grandi di verno. Una
notte avenne che l favolatore avea grande talento di
dormire; e Azzolino il pregava che favolasse. El favolatore incominci a dire una favola duno villano che avea
suoi cento bisanti, il quale and a uno mercato a comperare berbici, ed bbene due per bisante. Tornando con
le sue pecore, un fiume chavea passato era molto cresciuto per una grande pioggia che venuta era. Stando alla riva, vide un pescatore povero con un suo burchiello a
dismisura piccolino, s che non vi capea se non il villano
e una pecora per volta. Allora il villano cominci a passare con una berbice e cominci a vogare: lo fiume era
largo. Voca, e passa. E lo favolatore rest di favolare. E
Azzolino disse: Va oltre. E lo favolatore rispuose:
Lasciate passare le pecore, poi conter il fatto. Che le
pecore non sarebero passate in uno anno, s che intanto
puot bene ad agio dormire.
XXXII
Delle valentie che fe Riccar lo Ghercio dellIlla.
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Il Novellino
Riccar lo Ghercio fu signore dellIlla, e fu grande gentile uomo di Provenza, e di grande ardire e prodezza a
dismisura. E quando i Saracini vennero a combattere la
Spagna, elli fu in quella battaglia che si chiam la Spagnata, e fu la pi perigliosa battaglia che fosse dallo tempo di quella di Troiani e de Greci in qua. Allora erano li
Saracini grandissima multitudine, e con molte generazioni di stormenti: sicch Riccar il Ghercio fu il conduttore della prima battaglia. E per cagione che li cavalli
non si poteano mettere avanti per lo s[p]avento delli
stormenti, comand a tutta sua gente che volgessero tutte le groppe de cavalli alli nemici; e tanto ricularo, che
furo tra i nemici. E poi, quando furo misciati intra nemici cos riculando, ebbe la battaglia dinanzi e venieno
uccidendo a destra e a sinestra, s che misero i nemici a
distruzione.
E quando il conte di Tolosa si combattea col conte di
Provenza altra stagione, s dismont del distiere Riccar
lo Ghercio, e mont in su uno mulo; e l conte disse:
Che ci, Riccardo? Messere, voglio dimostrare chio
non ci sono n per cacciare n per fuggire. Qui dimostr la sua grande franchezza, la quale era nella sua persona oltre alli altri cavalieri.
XXXIII
Qui conta una novella di messere Imberaldo del Balzo.
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Il Novellino
XXXIV
Come due nobili cavalieri samavano di buono amore.
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Il Novellino
XXXV
Qui conta del maestro Taddeo di Bologna.
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Il Novellino
XXXVI
Qui conta come uno re crudele perseguitava i Cristiani.
Fue uno re molto crudele, il quale perseguitava il populo di Dio. Ed era, la sua, grandissima potenza, e niente poteva acquistare contro a quel populo, per che Dio
lamava. Quel re ragion con Barlam profeta, e disse:
Dimmi, Barlaam, che ci, che li miei nemici sono assai
io pi poderoso di loro, e non posso loro tenere niuno
danno? E Barlam rispuose: Messere, per che sono
populo di Dio. Ma io far cos, chio andr sopra loro e
maladicerolli; e tu darai la battaglia, e avrai sopra loro
vittoria.
Salio questo Barlam in su uno asino, e and su a un
monte. El populo era quasi che gi al piano, e quelli andava per maladirli di su il monte. Allora langelo di Dio li
si fece dinanzi, e non lo lasciava passare. Ed elli pungea
lasino, credendo che ombrasse; e quelli parl: Non mi
battere; ch v[e]di qui langelo di Dio con una spada di
fuoco che non mi lascia andare. Allora lo profeta Barlam guard e vide langelo. E langelo parl: Che ci,
che tu vai a maladire il populo di Dio? Incontinente lo
bened, se tu non vuoli morire, come tu il volevi maledire! And il profeta, e benedicea lo populo di Dio. E lo
re dicea: Che fai? Questo non maladire. E que rispuose: Non pu essere altro, per che langelo dIddio
il mi comand. Onde fa cos. Tu hai di belle femine; elli
nhanno dischesta. Tone una quantit, e vestile riccamente, e poni loro da petto una [n]usca doro o dariento, cio una boccola con uno fibbiaglio, ne la qual sia intagliata lidola che tue adori (che adorava la statua di
Mars). E dirai cos loro, chelle non consentano [a neuno] se non promettono dadorare quella figura di Mars.
E poi, quando avranno peccato, io avr bala di maladirli.
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Il Novellino
XXXVII
Qui conta duna battaglia che fu tra due re di Grecia.
Due re furo nelle parti di Grecia, e luno era pi poderoso che laltro. Furo insieme a battaglia: lo pi poderoso perdeo. Torn, e and in una [sua] camera, maravigliandosi siccome avesse sognato, e al postutto non
credeva avere combattuto. Intanto langelo di Dio venne
a lui, e disse: Come stai? che pensi? tu non hai sognato, anzi combattuto, e se isconfitto. E lo re guard
langelo, e disse: Come pu essere? Io avea tre cotanti
gente di lui. E langelo rispuose: Per t avenuto,
che tu se nemico di Dio. Allora lo re rispuose: O[r]
lo nemico mio s amico di Dio, che per mabbia vinto? No, disse langelo ch Dio fa vendetta del nemico suo col nemico suo. Va tu con loste tua da capo, e
tu lo sconfiggerai, comelli ha fatto te. Allore questi
and, e ricombatt col nemico suo, e sconfisselo e preselo, siccome langelo avea detto.
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Il Novellino
XXXVIII
Duno strologo chebbe nome Melisus, che fu ripreso da una
donna.
XXXIX
Qui conta del vescovo Aldobrandino, come fu schernito da un
frate.
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Il Novellino
XL
Saladino, lo quale era uomo di corte, essendo in Cicilia un giorno ad una tavola per mangiare con molti cavalieri, davasi lacqua; e uno cavaliere disse: Lva[ti] la
bocca e non le mani. E Saladino rispuose: Messere,
io non parlai oggi di voi. Poi quando piazzeggiavano
cos riposando in su il mangiare, fue domandato il Saladino per un altro cavaliere cos dicendo: Dimmi, Saladino, sio volesse dire una mia novella, a cui la dico per
lo pi savio di noi? E l Saladino rispuose: Messere,
ditela a qualunque vi pare il piue matto. [I] cavalier[i]
mettendolo in questione, pregrlo chaprisse sua risposta; el Saladino rispuose: A li matti ogni matto par savio per la sua somiglianza. Adunque quando al matto
sembrer uomo pi matto, fia quel cotale pi savio, per
che l savere contrario della mattezza. Ad ogni matto
i savi paiono matti: siccome a savi i matti paiono veramente matti e di stoltizia pieni.
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Il Novellino
XLI
Una novella di messere Polo Traversaro.
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Il Novellino
XLII
Qui conta bellissima novella di Guiglielmo di Berghedam di
Proenza.
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Il Novellino
XLIII
Qui conta di messere Rangone, come elli fece a un giullare.
Messere Iacopino Rangoni, nobile cavaliere di Lombardia, stando uno giorno a una tavola, avea due ingaistare di finissimo vino innanzi, bianco e vermiglio. Un giucolare stava a quella tavola, e non sardiva di chiedere di
quel vino, avendone grandissima voglia. Levossi sue, e
prese uno muiuolo, e lavollo [molto bene e] di vantaggio.
E poi che lebbe cos lavato molto, gir la mano, e disse:
Messere, io lavato lhoe. E messere Iacopino di della
mano ne la guastada, e disse: Tu il pettinerai altrove che
non qui. Il giullare si rimase cos, e non ebbe del vino.
XLIV
Duna quistione che fu posta ad uno uomo di corte.
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Il Novellino
XLV
Come Lancialotto si combatt a una fontana.
Messere Lancialotto si combattea un giorno a una fontana con uno cavaliere di Sansogna, lo quale avea nome
A[libano]; e combatevansi aspramente a le spade, dismontati de loro cavalli. E quando presero lena, domand luno del nome dellaltro. Messere Lancialotto rispuose: Da poi che tu disideri mio nome, or sappi chi
ho nome Lancialotto. Allora si ricominci la meslea, e
lo cavaliere parl a Lancialotto, e disse: Pi mi nuoce
tuo nome che la tua prodezza. Perch saputo il cavaliere chera Lancialotto, cominci a dottare la bont sua.
XLVI
Qui conta come Narcis [s]innamor de lombra sua.
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Il Novellino
fontana, e dentro lacqua vide lombra sua molto bellissima. E cominci a riguardarla, e rallegravasi sopra alla
fonte, [e lombra sua facea lo simigliante]. E cos credeva che quella ombra avesse vita, che istesse nellacqua, e
non si accorgea che fosse lombra sua. Cominci ad
amare e a innamorare s forte, che la volle pigliare. E
lacqua si turb; lombra spario; ondelli incominci a
piangere. E lacqua schiarando, vide lombra che piangea. Allora elli si lasci cadere ne la fontana, sicch
aneg.
Il tempo era di primavera; donne si veniano a diportare alla fontana; videro il bello Narcis affogato. Con
grandissimo pianto lo trassero della fonte, e cos ritto
lappoggiaro alle sponde; onde dinanzi allo dio damore
and la novella. Onde lo dio damore ne fece nobilissimo mandorlo, molto verde e molto bene stante, e fu ed
il primo albero che prima fa frutto e rinnovella amore.
XLVII
Qui conta come uno cavaliere richiese una donna damore.
Uno cavaliere pregava uno giorno una donna damore, e diceale intra laltre parole chelli era gentile e ricco
e bello a dismisura: E l vostro marito cos laido, come voi sapete. E quel cotal marito era dopo la parete
della cammera. Parl, e disse: Messere, per cortesia,
acconciate li fatti vostri, e non isconciate li altrui!
Messere Lizio di Valbona fu [l] laido, e messere Rinieri da Calvoli fu laltro.
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Il Novellino
XLVIII
Qui conta del re Curado, padre di Curradino.
XLIX
Qui conta duno medico di Tolosa, come tolse per moglie una
nepote de larcivescovo di Tolosa.
45
Il Novellino
voi ritorniate omai a casa di vostro padre. E la vostra figliuola io terr a grande onore.
Tanto andaro le cose innanzi, che larcivescovo sent
che l medico avea dato commiato a la nepote. Mand
per lui. E acci chera grande uomo, parl sopra a lui
molto grandi parole, mischiate con superbia e con minacce. Quandebbe assai parlato, el medico rispuose e
disse cos: Messere, io tolsi vostra nepote per moglie,
credendomi della mia ricchezza potere fornire e pascere
la mia famiglia. E fu mia intenzione davere uno figliuolo lanno, e non pi. Onde la donna ha cominciato a fare
figliuoli in due mesi; per la qual cosa io non sono s agiato, se l fatto dee cos andare, chio li potesse notricare, e
voi, non sarebbe onore che vostro lignaggio andasse a
povertade. Perchio vi chieggio mercede che voi la diate
a un pi ricco omo chio non sono, [che possa notricare
li suoi figlioli] s che a voi non sia disinore.
L
Qui conta di maestro [Francesco], figliuolo di maestro [Accorso].
Maestro Francesco, figliuolo di maestro Accorso della citt di Bologna, quando ritorn dInghilterra, dove
era stato longamente, fece una cos fatta proposta dinanzi al Comune di Bologna, e disse: Un padre duna famiglia si part di suo paese per povertade, e lasci i suoi
figliuoli e andonne in lontane provincie. Stando uno
tempo, ed elli vide uomini di sua terra. Lamore de figliuoli lo strinse a domandare di loro. E quelli rispuosero: Messere, vostri figliuoli hanno guadagnato, e sono
ricchi. E quelli, [u]dendo cos, propuosesi di ritornare.
46
Il Novellino
E ritorn in sua terra; trov li figliuoli ricchi. Adomandoe a suoi figliuoli che l rimettessero in su le possessioni, s come padre e signore. I figliuoli negaro, dicendo
cos: Padre, noi il ci avemo guadagnato, non ci hai che
fare: s che ne nacque piato. Onde la legge volle che l
padre fosse al postutto signore di ci chaveano guadagnato i figliuoli. E cos andomando io al Comune di Bologna che le possessioni de miei figliuoli siano a mia signoria: cio de miei scolari, li quali sono gran maestri
divenuti, e hanno molto guadagnato poi chio mi part
da loro. Piaccia al Comunale di Bologna, poi chio sono
tornato, chio sia signore e padre, s come comanda la
legge che parla del padre della famiglia.
LI
Qui conta duna guasca, come si richiam a lo re di Cipri.
Era una guasca in Cipri, alla quale fu fatta un d molta villania e onta tale, che non la poteo sofferire. Mossesi
e andonne al re di Cipri, e disse: Messere, a voi sono
gi fatti diecimila disinori, e a me n fatto pur uno; priegovi che voi, che tanti navete sofferti, minsegniate sofferire il mio uno. Lo re si vergogn e cominci a vendicare l[i] su[oi], e a non voler[n]e pi sofferire.
LII
Duna campana che sordin al tempo di re Giovanni.
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Il Novellino
LIII
Qui conta duna grazia che lo mperadore fece a un suo barone.
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Il Novellino
LIV
Qui conta come il piovano Porcellino fu accusato.
Uno piovano, il quale aveva nome il piovano Porcellino, al tempo del vescovo Mangiadore fu acusato dinanzi
dal vescovo chelli guidava male la pieve per cagione di
femine. Il vescovo, facendo sopra lui inquisizione, trovollo molto colpevole. E stando in vescovado, attendendo laltro d dessere disposto, la famiglia, volendoli bene, linsegnaro campare.
Nascoserlo, la notte, sotto il letto del vescovo. E in
quella notte il vescovo vavea fatto venire una sua amica;
ed essendo entro il letto, volendola toccare, lamica non
si lasciava, dicendo: Molte impromesse mavete fatte, e
non me ne attenete neente. Il vescovo rispuose: Vita
mia, io lo ti prometto e giuro. Non, disse quella io
voglio li danari in mano. El vescovo levandosi per andare per danari, per donarli allamica, el piovano usc di
sotto il letto, e disse: Messere, a cotesto colgono elle
me! Or chie potrebbe fare altro? Il vescovo si vergogn, e perdongli; ma molte minacce li fece dinanzi alli
altri cherici.
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Il Novellino
LV
Qui conta una novella duno uomo di corte chavea nome Marco.
LVI
Come uno della Marca and a studiare a Bologna.
Uno della Marca andoe a studiare a Bologna. Vennerli meno le spese. Piangea. Un altro il vide, e seppe perch piangeva; disseli cos: Io ti fornir lo studio, e tu
mimprometti che tu mi dara mille livre al primo piato
che tue vincerai. Lo scolaio studi e torn in sua terra.
Quelli li tenne dietro per lo prezzo. Lo scolaio, per paura di dare il prezzo, si stava e non avogava; e cos avea
perduto luno e laltro: luno il senno, laltro i danari. Or
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Il Novellino
LVII
Di madonna Agnesina di Bologna.
LVIII
Di messere Beriuolo, cavaliere di corte.
Uno cavaliere di corte chebbe nome messere Beriuolo era in Genova. Venne a rampogne con uno donzello.
Quello donzello li fece la fica quasi infino allocchio, dicendoli villania. Messere Brancadoria il vidde; seppeli
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Il Novellino
reo. Venne a quello cavaliere di corte: confortollo che rispondesse e facesse la fica a colui che la faceva a lui.
Madio, rispuose quello non far: chio non li farei
una de le mie per cento delle sue.
LIX
Qui conta dun gentile uomo che lo mperadore fece impendere.
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Il Novellino
sconda: che io per comandamento del mio signore guardava un cavaliere impenduto per la gola; li uomini del
suo legnaggio il mhanno tolto. Insegnatemi campare,
che potete, e io sar vostro marito, e terrvi onorevolemente. Allora la donna, udendo questo, si innamor di
questo cavaliere e disse: Io far ci che tu mi comanderai, tant lamore chio vi porto. Prendiamo questo mio
marito, e traiallo fuori della sepultura, e impicchiallo in
luogo di quello che v tolto. E lasci suo pianto; e at
trarre il marito del sepulcro, e atollo impendere per la
gola cos morto. El cavaliere disse: Madonna, elli avea
meno un dente della bocca, e ho paura che, se fosse rivenuto a rivedere, chio non avesse disinore. Ed ella,
udendo questo, li ruppe un dente di bocca; e saltro vi
fosse bisognato a quel fatto, s lavrebbe fatto. Allora il
cavaliere, [vedendo] quello chella avea fatto di suo marito, disse: Madonna, siccome poco v caluto di costui
che tanto mostravate damarlo, cos vi carebbe vie meno
di me. Allora si part da lei e andossi per li fatti suoi, ed
ella rimase con grande vergogna.
LX
Qui conta come Carlo [dAngi] am per amore.
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Il Novellino
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Il Novellino
LXI
Qui conta di Socrate filosofo, come rispose a Greci.
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Il Novellino
loro ragioni dinanzi da lui. Giunsero alla casa sua, la quale era di non gran vista. Trovaro lui che cogliea erbetta.
Avisrlo da lunga. Lomo era di non grande apparenza.
Parlaro insieme, considerante tutte le soprascritte cose.
E dissero intra loro: Di costui avremo noi grande mercato, acci che sembiava loro anzi povero che ricco.
Giunsero, e dissero: Dio ti salvi, uomo di grande sapienzia, la quale non pu essere piccola, poi che Romani
thanno commessa cos alta risposta. Mostrrli la
[ri]formagione di Roma, e dissero a lui: Proporremo
dinanzi da te le nostre ragionevoli ragioni, le quali sono
molte. El senno tuo proveder il nostro diritto. E sappiate che siamo di ricco signore; prenderai questi perperi, i
quali sono molti, e al nostro signore neente, e a te pu
essere molto utile. E Socrate rispuose alli ambasciadori, e disse: Voi pranzerete inanzi, e poi intenderemo a
vostri bisogni. Tennero lo nvito, e pranzaro assai cattivamente, sanza molto rilevo. Dopo il pranzo parl Socrate alli ambasciadori, e disse: Signori, quale meglio tra
una cosa o due? Li ambasciadori rispuosero: Le due.
E que disse: Or andate a ubbidire a Romani co le
persone: ch se l Commune di Roma avr le persone de
Greci, elli avr le persone e lavere. E sio togliesse loro, i
Romani perderebbero la loro intenzione. Allora li ambasciadori si partiro dal filosafo assai vergognosi, e ubbidiro a Romani.
LXII
Qui conta una novella di messere Ruberto.
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Il Novellino
tessa antica e sue cameriere s aveano un portiere milenso; ed era molto grande della persona, e avea nome
Baligante. Luna delle cameriere cominci a giacere
con lui, poi il manifest a unaltra, tanto che cos and
infino alla contessa. Sentendo la contessa chelli era a
gran misura, giacque con lui. Il sire le spi. Facelo
amazzare, e del cuore fe fare una torta, e presentolla
alla contessa e alle sue cameriere; e mangirolla. Dopo
il mangiare venne il segnore a corteare, e domand:
Chente fu la torta? Tutte rispuosero: Buona. Allora rispuose il sire: Ci non maraviglia, ch Baligante vi piaciuto vivo, selli vi piace di morto! E la
contessa e le cameriere, quando intes[er]o il fatto, si
vergognaro, e videro bene chelle aveano perduto
lonore di questo mondo. Arendrsi monache, e fecero
un munistiero che si chiama il monistiero delle nonane
di Rimino monte.
La casa crebbe assai, e divenne molto ricca. E questo
si conta in novella, che vera [e] che v questo costume,
che quando elli vi passasse alcuno gentile uomo con
molti arnesi, ed elle il faceano invitare e facealli grandissimo onore. E la badessa e le suore li veniano incontro,
e, in sul donneare, quella che pi li piacesse, quella il
servia, e acompagnava a tavola e a letto. La mattina s si
levava, e trovavali lacqua e tovaglia. E quando era levato, ed ella li aparecchiava un ago vto e un filo di seta, e
convenia che, selli si voleva affibbiare da mano, chelli
mettesse lo filo ne la cruna dellago; e se al[le] tre volte
avisasse che non lo vi mettesse, s li toglieano le donne
tutto suo arnese e non li rendeano neente; e se metteva il
filo, a le tre, nellago, s li rendeano larnese suo, e donvalli di belli gioielli.
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Il Novellino
LXIII
Del buono re Emeladus e del Cavaliere senza paura.
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Il Novellino
LXIV
Duna novella chavenne in Proenza alla corte del Po.
Alla corte del Po di Nostra Donna di Provenza sordin una nobile corte. Quando il figliuolo del conte Raimondo si fece cavaliere, invit tutta la buona gente; e
tanta ve ne venne, per amore, che le robe e lariento fallio, e convenne che disvestisse de cavalieri di sua terra,
e donasse a cavalieri di corte. Tali rifiutaro, e tai consentiro. In quello giorno ordinaro la festa. E poneasi
uno sparaviere di muda in su una asta; or veniva chi si
sentiva s poderoso davere e di coraggio, e levavasi il
detto sparviere in pugno: convenia che quel cotale fornisse la corte in quello anno. I cavalieri e donzelli
cherano giulivi e gai s faceano di belle canzoni el suono
e l motto; e quattro aprovatori erano stabiliti, che quelle chaveano valore facevano mettere in conto, e laltre, a
chi lavea fatte, diceano che le migliorasse. Or dimoraro-
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Il Novellino
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Il Novellino
elli ser, si verrae a torneare con noi. E noi avremo ordinate guardie di gran podere e di gran conoscenza, che
incontanente lo riteneranno; e cos speriamo di riguadagnare nostra gran perdita. Allora il romito scrisse a un
suo amico secreto, che il d del torneamento li trammettesse arme e cavallo secretamente, e rinvi i donzelli. E
lamico forn la richesta del romito: ch l giorno del torniamento li mand cavallo e arme. E fu, il giorno, nella
pressa di cavalieri; ed ebbe il pregio del torniamento. Le
guardie lebbero veduto; avisrlo. E incontanente lo levaro in palma di mano a gran festa. La gente, rallegrandosi, abattli la ventaglia dinanzi dal viso, e pregrlo per
amore che cantasse; ed elli rispuose: Io non canteroe
mai, sio non ho pace da mia donna. I nobile cavalieri
si lasciarono ire alla donna, e richieserle con gran pregheria che li facesse perdono. La donna rispuose: Diteli cos, chio non li perdoner gi mai se non mi fa gridar merz a cento baroni e a cento cavalieri e a cento
donne e a cento donzelle, che tutte gridino a una boce
merz, e non sappiano a cui la si chiedere. Allora il cavaliere, il quale era di grande savere, si pens che
sapressava la festa della candellara, che si facea gran festa al Po, e le buone gente venivano al mostiere. E pens: Mia dama vi sar, e sarvi tanta buona gente,
quantella adomanda che gridino merzede. Allora
trov una molto bella canzonetta. E la mattina per tempo salio in sue lo pergamo, e comminci questa sua canzonetta quanto seppe il meglio, ch molto lo sapea ben
fare. E dicea in cotale maniera:
I. Altress come il leofante
quando cade non si pu levare,
e li altri a lor gridare
di lor voce il levan suso,
e io voglio seguir quelluso.
Ch l mio misfatto tan greve e pesante,
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Il Novellino
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Il Novellino
LXV
Qui conta della reina Isotta e di messere Tristano di Leonis.
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Il Novellino
avenne un bel pensiero: che guard il pino, e vide lombra pi spessa che non solea. Allora la reina dott, e
dottando ristette. E parl con Tristano in questa maniera, e disse: Disleale cavaliere, io tho fatto qui venire
per potermi compiagnere di tuo gran misfatto: ch giamai non fu cavaliere con tanta dislealtade quanta tu hai,
che mhai unita per tue parole, e lo tuo zio re Marco che
molto tamava. Che tu se ito parlando di me intra li erranti cavalieri cose che nenlo mio cuore non poriano
mai discendere; e inanzi darei me medesima al fuoco,
chio unisse cos nobile re come monsignore lo re Marco. Ondio ti disfido di tutta mia forza, siccome disleale
cavaliere, sanza niun altro rispetto. Tristano udendo
queste parole, dubit forte, e disse: Madonna, se malvagi cavalieri di Cornovaglia parlano di me [in questa
maniera], tutto primamente dico che giamai io di queste
cose non fui colpevole. Merz, donna, per Dio! Elli hanno invidia di me: chio giamai non dissi n feci cosa che
fosse disinore di voi n del mio zio re Marco. Ma dacch
vi pur piace, ubbidir a vostri commandamenti; andronne in altre parti a finire li miei giorni. E forse, avanti chio mora, li malvagi cavalieri di Cornovaglia avrano
sofratta di me, siccome elli ebbero al tempo dellAmoroldo, quandio diliverai loro e lor terre di vile e di laido
servaggio. Allora si dippartiro sanza pi dire. E lo re
Marco, chera sopra loro, quando ud questo, molto si
rallegr di grande allegrezza.
Quando venne la mattina, Tristano fe sembianti di
cavalcare: fe ferrare cavalli e somieri. Valletti vegnono
di gi e di su; chi porta freni e chi selle: il tremuoto era
grande. Il re sadira forte del partire di Tristano; e
raun baroni e suoi cavalieri, e mand commanda[nd]o
a Tristano che sotto pena del cuore non si partisse sanza suo commiato. Tanto ordin il re Marco, che la reina
ordin e mandolli a dire che non si partisse. E cos rimase Tristano a quel punto. E non si part, e non fu sor-
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Il Novellino
LXVI
Qui parla duno filosafo, lo qual era chiamato Diogene.
Fue uno filosafo molto savio, lo quale avea nome Diogene. Questo filosafo era un giorno bagnato in una troscia dacqua, e stavasi in una grotta al sole. Alessandro
di Macedonia passava con grande cavalleria. Vide questo filosafo; parl, e disse: Deh, uomo di misera vita,
chiedimi, e darotti ci che tu vorrai. E l filosafo rispuose: Priegoti che mi ti lievi dal sole.
LXVII
Qui conta di Papir[i]o, come il padre lo men al Consiglio.
Papirio fu romano, uomo potentissimo e savio, e dilett[ossi] molto in battaglia. E credeansi i Romani difendersi da Alessandro, confidandosi nella bontade di questo Papirio. Quando Papirio era fanciullo, il padre lo
menava seco al Consiglio. Un giorno il Consiglio s comand credenza. E la sua madre lo stimulava molto, ch
voleva sapere di che i Romani aveano tenuto consiglio.
Papirio veggendo la volunt della madre, si pens una
bella bugia, e disse cos: Li Romani tennero consiglio
qual era meglio tra che gli uomini avessero due mogli, o
le donne dui mariti, acci che la gente multiplicasse,
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Il Novellino
LXVIII
Duna quistione che fece un giovane ad Aristotile.
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Il Novellino
LXIX
Qui conta della gran iustizia di Traiano imperadore.
Lo mperadore [Traiano] fue molto giustissimo signore. Andando un giorno con la sua grande cavalleria contra suoi nemici, una femina vedova li si fece dinanzi, e
preselo per la staffa e disse: Messere, fammi diritto di
quelli cha torto mhanno morto lo mio figliuolo! E lo
mperadore rispuose e disse: Io ti sodisfar, quandio
torner. Ed ella disse: Se tu non torni? Ed elli rispuose: Sodisfaratti lo mio successore. Ed ella disse:
E se l tuo successore mi vien meno, tu min se debitore.
E pogniamo che pure mi sodisfacces[se]; laltrui giustizia
non liberr la tua colpa. Bene averrae al tuo successore,
selli liberrae se medesimo. Allora lo mperadore
smont da cavallo e fece giustizia di coloro chaveano
morto il figliuolo di colei, e poi cavalc, e sconfisse i suoi
nemici. E dopo non molto tempo, dopo la sua morte,
venne il beato san Ghirigoro papa, e trovando la sua giustizia and alla statua sua, e con lagrime lonor di gran
lode e fecelo disoppellire. Trovaro che tutto era tornato
alla terra, salvo che lossa e la lingua; e ci dimostrava
comera stato giustissimo uomo, e giustamente avea parlato. E santo Grigoro or per lui a Dio, e dicesi per evidente miracolo che per li prieghi di questo santo papa
lanima di questo imperadore fu liberato dalle pene de
linferno, e andne in vita eterna; ed era stato pagano.
LXX
Qui conta dErcules come nand alla foresta.
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Il Novellino
LXXI
Qui conta come Seneca consol una donna a cui era morto
uno suo figliuolo.
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Il Novellino
LXXII
Qui conta come Cato si lamentava contra alla Ventura.
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Il Novellino
LXXIII
Come il Soldano, avendo bisogno di moneta, vuolle cogliere
cagione a un giudeo.
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Il Novellino
ce lanell[a] cos a punto, che niuno conoscea il fine, altro che l padre. Mand per li figliuoli ad uno ad uno, e
a catuno diede il suo in secreto. E catuno si credea avere
il fine, e niuno ne sapea il vero altri che l padre loro. E
cos ti dico ch delle fedi, che sono tre. Il Padre di sopra sa la migliore; e li figliuoli, ci siamo noi, ciascuno si
crede avere la buona. Allora il Soldano, udendo costui
cosie riscuotersi, non seppe che si dire di coglierli cagioni, s lo lasci andare.
LXXIV
Qui conta una novella duno fedele e duno signore.
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Il Novellino
LXXV
Qui conta come Domenedio sacompagn con uno giullare.
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Il Novellino
LXXVI
Qui conta della grande uccisione che fece il re Ricciardo.
Il buono re Ricciardo dInghilterra pass una volta oltre mare con baroni, conti e cavalieri prodi e valenti; e
passaro in nave sanza cavalli; e arrivoe nelle terre del Soldano. E cos a pi ordin sua battaglia, e fece di saracini
s grande uccisione, che le balie de fanciulli dicono
quandelli piangono: Ecco il re Ricciardo, acci che
come la morte fo temuto. Dice che il Soldano, veggendo
fuggire la gente sua, domand: Quanti cavalieri sono
quelli che fanno questa uccisione? Fulli risposto:
Messere, lo re Ricciardo solamente con sua gente. Il
Soldano disse: Non voglia il mio Iddio che cos nobile
uomo come il re Ricciardo vada a piede. Prese un nobile distriere e mandgliele. Il messaggio il men, e disse:
Messere, il Soldano vi manda questo, acci che voi non
siate a piede. Lo re fu savio: fecevi montare su uno scudiere, acci che l provasse. Il fante cos fece. Il cavallo
era nodrito. Il fante non potendo tenere, s si dr[i]zz
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Il Novellino
LXXVII
Qui conta di messere Rinieri, cavaliere di corte.
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Il Novellino
LXXVIII
Qui conta duno filosofo molto cortese di volgarizzare la scienzia.
Fue un filosofo, lo quale era molto cortese di volgarizzare la scienzia per cortesia a signori e altre genti. Una
notte li venne in visione che le dee della scienzia, a guisa
di belle donne, stavano al bordello. Ed elli vedendo questo, si maravigli molto e disse: Che questo? Non
siete voi le dee della scienzia? Ed elle rispuosero:
Ben vero, perch tu se quelli che vi ci fai stare. Isvegliossi, e pensossi che volgarizzare la scienzia si era menomare la deitade. Rimasesene, e pentsi fortemente. E
sappiate che tutte le cose non sono licite a ogni persona.
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Qui conta duno giullare chadorava un signore.
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Il Novellino
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Il Novellino
LXXX
Qui conta una novella che disse messere Migliore delli Abati di
Firenze.
LXXXI
Qui conta del consiglio che tenero i figliuoli di re Priamo di
Troia.
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Il Novellino
LXXXII
Qui conta come la damigella di Scalot mor per amore di Lancialotto del Lac.
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Il Novellino
Una figliuola duno grande varvassore s am Lancialotto del Lac oltre misura. Ma elli non le voleva donare
suo amore, imperci chelli lavea donato alla reina Ginevra. Tanto am costei Lancialotto, chella ne venne alla morte. E comand che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fusse aredata una ricca navicella
coperta dun vermiglio sciamito, con un ricco letto ivi
entro, con ricche e nobili coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose; e fosse il suo corpo messo in questo
letto, vestita di suoi piue nobili vestimenti e con bella
corona in capo, ricca di molto oro e di molte pietre preziose, e con ricca cintura e borsa. E in quella borsa avea
una lettera, chera dello nfrasc[r]itto tenore. Ma imprima diciamo de ci che va innanzi la lettera.
La damigella mor di mal damore, e fu fatto di lei ci
che disse. La navicella, sanza vele, fu messa in mare con
la donna. Il mare la guida a Cammalot. E ristette alla riva. Il grido and per la corte. I cavalieri e baroni dismontarono de palazzi. E lo nobile re Art vi venne, e
maravigliavasi forte chera sanza niuna guida. Il re entr
dentro: vide la damigella e larnese. Fe aprire la borsa.
Trovaro quella lettera. Fecela leggere. E dicea cos: A
tutti i cavallieri della Tavola Rotonda manda salute questa damigella di Scalot, siccome alla migliore gente del
mondo. E se voi volete sapere perchio a mia fine sono
venuta, s per lo migliore cavaliere del mondo e per lo
pi villano, cio monsignore messere Lancialotto di Lac,
che gi nol seppi tanto pregare damore, chelli avesse di
me mercede. E cos, lassa!, sono morta per ben amare,
come voi potete vedere.
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Il Novellino
LXXXIII
Come Cristo andando un giorno co discepoli, videro molto
grande tesoro.
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Il Novellino
LXXXIV
Come messere Azzolino fece bandire una grande pietanza.
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Il Novellino
LXXXV
Duna grande carestia che fu una volta in Genova.
In Genova fu un tempo un gran caro; e l si trovavano sempre pi ribaldi che in niunaltra terra. Tolsero alquante galee, e tolsero conducitori, e pagrli, e mandarno il bando che tutti li poveri andassero alla riva, e
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Il Novellino
LXXXVI
Qui conta duno chera bene fornito a [dis]misura.
LXXXVII
Come uno sand a confessare.
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Il Novellino
LXXXVIII
Qui conta di messere Castellano da Cafferri di Mantova.
LXXXIX
Qui conta duno uomo di corte che cominci una novella che
non vena meno.
Brigata di cavalieri cenavano una sera in una gran casa fiorentina, e avevavi uno uomo di corte, il quale era
grandissimo favellatore. Quando ebbero cenato, cominci una novella che non vena meno. Uno donzello della
casa che servia, e forse non era troppo satollo, lo chiam
per nome, e disse: Quelli che tinsegn cotesta novella,
non la tinsegn tutta. Ed elli rispuose: Perch no?
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Il Novellino
Ed elli rispuose: Perch non tinsegn la restata. Onde quelli si vergogn, e ristette.
XC
XCI
Come uno si confess da un frate.
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Il Novellino
XCII
Qui conta duna buona femina chavea fatta una fine crostata.
Fue una femina chavea fatta una fine crostata danguille, e aveala messa nella madia. Vide entrare uno topo
per la finestrella, che trasse a lodore. Quella allett la
gatta, e missela nella madia perch l pigliasse. Il topo si
nascose tra la farina, e la gatta si mangi la crostata. E
quandella aperse, il topo ne salt fuori, e la gatta, perchera satolla, non lo prese.
XCIII
Qui conta duno villano che sand a confessare.
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Il Novellino
XCIV
Qui conta della volpe e del mulo.
XCV
Qui conta duno mrtore di villa chandava a cittade.
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Il Novellino
XCVI
Qui conta di Bito e di ser Frulli di Firenze, da San Giorgio.
Bito fu fiorentino, e fue bello uomo di corte, e dimorava a San Giorgio oltrArno. Avea uno vecchio chavea
nome ser Frulli, e avea uno suo podere, di sopra a San
Giorgio, molto bello, s che quasi tutto lanno vi dimorava con la famiglia sua, e ogni mattina mandava la fante
sua a vendere frutta o camangiare alla piazza del ponte.
Ed era s iscarsissimo e sfidato, che faceva i mazzi del camangiare, e ano[v]eravali a [la] fante, e faceva ragione
che pigliava. Il maggiore amonimento che le dava si era
che non si posasse in San Giorgio, per che vaveva femine ladre. Una mattina passava la detta fante con uno
paniere di cavoli. Bito, che prima lavea pensato, savea
messa la pi ricca roba di vaio chavea; ed essendo in su
la panca di fuori, chiam la fante, ed ella and da lui incontanente; e molte femine laveano chiamat[a] prima;
non vi volle ire. Buona femina, come di cotesti cavoli? Messere, due mazzi a danaio. Certo questa buona derrata. Ma dicoti che non ci sono se non io e la fante
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XCVII
Qui conta come uno mercatante port vino oltremare in botti
a due palcora, e come li ntervenne.
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Qui conta duno mercatante che comper berrette.
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Il Novellino
XCIX
Qui conta una bella novella damore.
Un giovane di Firenze s amava carnalmente una gentile pulzella, la quale non amava niente lui, ma amava a
dismisura un altro giovane, lo quale amava anche lei ma
non tanto ad assai quanto costui. E ci si parea: ch costui navea lasciato ogni altra cosa, e consumavasi come
smemorato, e spezialmente il giorno chelli non la vedea.
A un suo compagno ne ncrebbe. Fece tanto che lo
men a un suo bellissimo luogo, e l tranquillaro quindici d.
In quel mezzo la fanciulla si crucci con la madre.
Mand la fante, e fece parlare a colui cui amava che ne
voleva andare con lui. Quelli fu molto lieto. La fante disse: Ella vuole che voi vegnate a cavallo, gi quando fia
notte ferma. Ella far vista di scendere nella cella: sarete
alluscio aparechiato, e gitteravisi in groppa. Ell leggera e sa bene cavalcare. Elli rispuose: Ben mi piace.
Quandebbero cos ordinato, fece grandemente aparecchio a un suo luogo, ed ebbevi suoi compagni a cavallo,
e feceli stare alla porta, perch non fosse serrata, e mossesi con un fine roncione, e pass dalla casa. Ella non
era ancora potuta venire, perch la madre la guardava
troppo. Questi and oltre per tornare a compagni.
Ma quelli che consumato era, in villa non trovava luogo; era salito a cavallo, e l compagno suo no[l] seppe
tanto pregare che l potesse ritenere; e non volle la sua
compagnia. Giunse quella sera alle mura. Le porte erano tutte serrate; ma tanto acerchi che sabatt a quella
porta doverano coloro. Entr dentro. Andonne inverso
la magione di colei, non per intendimento di trovarla n
di vederla, ma solo per vedere la contrada. Essendo ristato rimpetto alla casa di poco era passato laltro la
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C
Come lo mperadore Federigo and alla montagna del Veglio.
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