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FONDAMENTI E DIMENSIONI
ATTI DELLA SETTIMA ASSEMBLEA
DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA
Citt del Vaticano, 1-4 Marzo 2001
A cura di :
JUAN DE DJOS VIAL CORREA
ELIO SGRECCIA
GIOVANNI
PAOLO
II
DISCORSO
E'
sempre
con
vivo
piacere
che
vi
incontro,
illustri
membri
della
Pontificia
Accademia
per
la
Vita.
Quest'oggi
il
motivo
che
me
ne
offre
l'occasione
l'annuale
vostra
Assemblea
Generale,
che
vi
ha
visti
convenire
a
Roma
da
diversi
Paesi.
Il
mio
pi
cordiale
saluto
va
a
ciascuno
di
voi,
benemeriti
amici
che
formate
la
famiglia
di
quest'Accademia
a
me
molto
cara.
Un
particolare
e
deferente
pensiero
rivolgo
al
vostro
Presidente,
il
Professor
Juan
de
Dios
Vial
Correa,
che
ringrazio
per
le
amabili
parole
con
cui
ha
interpretato
i
vostri
sentimenti.
Estendo
il
mio
saluto
al
Vice-Presidente
Mons.
Elio
Sgreccia,
ai
componenti
del
Consiglio
Direttivo,
ai
collaboratori
e
benefattori.
Avete
scelto
come
tema
per
la
vostra
riflessione
assembleare
un
argomento
di
grande
interesse:
"La
cultura
della
vita:
fondamenti
e
dimensioni".
Gi
nella
stessa
sua
formulazione
il
tema
manifesta
il
proposito
di
portare
l'attenzione
sull'aspetto
positivo
e
costruttivo
della
difesa
della
vita
umana.
In
questi
giorni
vi
siete
domandati
da
quali
fondamenti
occorra
partire
per
promuovere
o
riattivare
una
cultura
della
vita
e
con
quali
contenuti
proporla
ad
una
societ
contrassegnata
-
come
ricordavo
nell'Enciclica
"Evangelium
vitae"
-
da
una
sempre
pi
diffusa
ed
allarmante
cultura
della
morte
(cfr
nn.
7,
17).
Il
miglior
modo
per
superare
e
vincere
la
pericolosa
cultura
della
morte
consiste
proprio
nel
dare
solidi
fondamenti
e
luminosi
contenuti
ad
una
cultura
della
vita
che
ad
essa
si
contrapponga
con
vigore.
Non
sufficiente,
anche
se
necessario
e
doveroso,
limitarsi
a
esporre
e
denunciare
gli
effetti
letali
della
cultura
della
morte.
Occorre
piuttosto
rigenerare
di
continuo
il
tessuto
interiore
della
cultura
contemporanea,
intesa
come
mentalit
vissuta,
come
convinzioni
e
comportamenti,
come
strutture
sociali
che
la
sostengono.
Tanto
pi
preziosa
appare
questa
riflessione,
se
si
tiene
conto
che
dalla
cultura
non
viene
influenzata
soltanto
la
condotta
individuale,
ma
anche
le
scelte
legislative
e
politiche,
le
quali,
a
loro
volta,
veicolano
spinte
culturali
che
non
di
rado
ostacolano,
purtroppo,
l'autentico
rinnovamento
della
societ.
La
cultura
orienta,
inoltre,
le
strategie
della
ricerca
scientifica,
che
oggi,
come
non
mai,
in
grado
di
offrire
mezzi
potenti,
non
sempre
impiegati
purtroppo
per
il
vero
bene
dell'uomo.
Anzi,
talora
la
ricerca
sembra
muoversi,
in
molti
campi,
addirittura
contro
l'uomo.
Opportunamente,
pertanto,
voi
avete
voluto
precisare
i
fondamenti
e
le
dimensioni
della
cultura
della
vita.
In
questa
prospettiva,
avete
posto
l'accento
sui
grandi
temi
della
creazione,
evidenziando
come
la
vita
umana
debba
essere
percepita
quale
dono
di
Dio.
L'uomo,
creato
ad
immagine
e
somiglianza
di
Dio,
chiamato
ad
essere
suo
collaboratore
libero
e,
ad
un
tempo,
responsabile
nella
gestione
del
creato.
Avete
voluto,
altres,
ribadire
il
valore
inalienabile
della
dignit
di
persona,
che
connota
ogni
individuo,
dal
concepimento
alla
morte
naturale;
avete
rivisitato
il
tema
della
corporeit
e
del
suo
significato
personalistico;
avete
portato
l'attenzione
sulla
famiglia
come
comunit
d'amore
e
di
vita.
Vi
siete
soffermati
a
considerare
l'importanza
dei
mezzi
di
comunicazione
per
una
capillare
diffusione
della
cultura
della
vita,
e
la
necessit
di
impegnarsi
nella
testimonianza
personale
a
suo
favore.
Avete
inoltre
ricordato
come
vada
perseguita,
in
questo
ambito,
ogni
via
che
favorisca
il
dialogo,
nella
convinzione
che
la
verit
piena
sull'uomo
a
sostegno
della
vita.
Il
credente
sorretto,
in
questo,
dall'entusiasmo
radicato
nella
fede.
La
vita
vincer:
questa
per
noi
una
sicura
speranza.
S,
vincer
la
vita,
perch
dalla
parte
della
vita
stanno
la
verit,
il
bene,
la
gioia,
il
vero
progresso.
Dalla
parte
della
vita
Dio,
che
ama
la
vita
e
la
dona
con
larghezza.
Come
sempre
avviene
nel
rapporto
tra
riflessione
filosofica
e
meditazione
teologica,
anche
in
questo
caso
sono
di
imprescindibile
aiuto
la
parola
e
l'esempio
di
Ges,
che
ha
dato
la
sua
vita
per
vincere
la
nostra
morte
e
per
associare
l'uomo
alla
sua
risurrezione.
Cristo
la
resurrezione
e
la
vita
(Gv
11,25).
Ragionando
in
quest'ottica,
nell'Enciclica
"Evangelium
vitae"
ho
scritto:
"Il
Vangelo
della
vita
non
una
semplice
riflessione,
anche
se
originale
e
profonda,
sulla
vita
umana;
neppure
soltanto
un
comandamento
destinato
a
sensibilizzare
la
coscienza
e
a
provocare
significativi
cambiamenti
nella
societ;
tanto
meno
un'illusoria
promessa
di
un
futuro
migliore.
Il
Vangelo
della
vita
una
realt
concreta
e
personale,
perch
consiste
nell'annuncio
della
persona
stessa
di
Ges.
All'apostolo
Tommaso
e
ad
ogni
uomo,
Ges
si
presenta
con
queste
parole:
Io
sono
la
Via,
la
Verit
e
la
Vita
(Gv
14,6)"
(n.
29).
Si
tratta
di
una
fondamentale
verit
che
la
comunit
dei
credenti,
oggi
pi
che
mai,
chiamata
a
difendere
e
propagare.
Il
messaggio
cristiano
sulla
vita
"scritto
in
qualche
modo
nel
cuore
stesso
di
ogni
uomo
e
di
ogni
donna,
risuona
in
ogni
coscienza
dal
principio,
ossia
dalla
creazione
stessa,
cos
che,
nonostante
i
condizionamenti
negativi
del
peccato,
pu
essere
conosciuto
nei
suoi
tratti
essenziali
anche
dalla
ragione
umana"
(Evangelium
vitae,
29).
Il
concetto
di
creazione
non
soltanto
un
annuncio
splendido
della
Rivelazione,
ma
anche
una
sorta
di
presentimento
profondo
dello
spirito
umano.
Ugualmente,
la
dignit
della
persona
non
nozione
derivabile
soltanto
dall'affermazione
biblica
secondo
cui
l'uomo
creato
"ad
immagine
e
somiglianza"
del
Creatore,
ma
concetto
radicato
nel
suo
essere
spirituale,
grazie
al
quale
egli
si
manifesta
come
essere
trascendente
rispetto
al
mondo
che
lo
circonda.
La
rivendicazione
della
dignit
del
corpo
come
soggetto,
e
non
semplice
oggetto
materiale,
costituisce
la
logica
conseguenza
della
concezione
biblica
della
persona.
Si
tratta
di
una
concezione
unitaria
dell'essere
umano,
che
molte
correnti
di
pensiero,
dalla
filosofia
medioevale
fino
ai
nostri
tempi,
hanno
insegnato.
L'impegno
per
il
dialogo
tra
fede
e
ragione
non
pu
che
rafforzare
la
cultura
della
vita,
congiungendo
insieme
dignit
e
sacralit,
libert
e
responsabilit
di
ogni
persona,
quali
componenti
imprescindibili
della
sua
stessa
esistenza.
Verr,
altres,
garantita,
insieme
con
la
difesa
della
vita
personale,
la
tutela
dell'ambiente,
entrambi
creati
e
ordinati
da
Dio,
come
comprovato
dalla
stessa
struttura
naturale
dell'universo
visibile.
Le
grandi
istanze
relative
al
diritto
alla
vita
di
ogni
essere
umano
dal
concepimento
alla
morte,
l'impegno
per
la
promozione
della
famiglia
secondo
il
disegno
originario
di
Dio,
e
l'urgente
bisogno,
ormai
da
tutti
sentito,
di
tutelare
l'ambiente
nel
quale
viviamo
rappresentano
per
l'etica
e
per
il
diritto
un
terreno
di
comune
interesse.
Soprattutto
in
questo
campo,
in
cui
sono
coinvolti
i
diritti
fondamentali
dell'umana
convivenza,
vale
quanto
ho
scritto
nell'Enciclica
Fides
et
ratio:
"La
Chiesa
permane
nella
pi
profonda
convinzione
che
fede
e
ragione
si
recano
un
aiuto
scambievole,
esercitando
l'una
per
l'altra
una
funzione
sia
di
vaglio
critico
e
purificatore,
sia
di
stimolo
a
progredire
nella
ricerca
e
nell'approfondimento"
(n.
100).
La
radicalit
delle
sfide
che
oggi
vengono
poste
all'umanit,
da
una
parte,
dai
progressi
della
scienza
e
della
tecnologia,
dall'altra
dai
processi
di
laicizzazione
della
societ,
esige
uno
sforzo
appassionato
di
approfondimento
della
riflessione
sull'uomo
e
sul
suo
essere
nel
mondo
e
nella
storia.
E'
necessario
dar
prova
di
una
grande
capacit
di
dialogo,
di
ascolto
e
di
proposta,
in
vista
della
formazione
delle
coscienze.
Solo
cos
si
potr
dar
vita
ad
una
cultura
fondata
sulla
speranza
e
aperta
al
progresso
integrale
di
ogni
individuo
nei
vari
Paesi,
in
modo
giusto
e
solidale.
Senza
una
cultura
che
mantenga
saldo
il
diritto
alla
vita
e
promuova
i
valori
fondamentali
di
ogni
persona,
non
si
pu
avere
una
societ
sana
n
la
garanzia
della
pace
e
della
giustizia.
Prego
Dio
perch
illumini
le
coscienze
e
guidi
quanti
sono
coinvolti,
a
vari
livelli,
nell'edificazione
della
societ
di
domani.
Sappiano
sempre
proporsi
come
obiettivo
primario
la
tutela
e
la
difesa
della
vita.
A
voi,
illustri
membri
della
Pontificia
Accademia
per
la
Vita,
che
spendete
le
vostre
energie
a
servizio
di
uno
scopo
tanto
nobile
ed
esigente,
esprimo
il
mio
pi
vivo
e
grato
apprezzamento.
Il
Signore
vi
sostenga
nel
lavoro
che
state
svolgendo
e
vi
aiuti
a
portare
a
compimento
la
missione
che
vi
affidata.
La
Vergine
Santissima
vi
conforti
con
la
sua
materna
protezione.
La
Chiesa
vi
riconoscente
per
l'alto
servizio
che
rendete
alla
vita.
Quanto
a
me,
desidero
accompagnarvi
con
il
mio
costante
incoraggiamento,
avvalorato
da
una
speciale
Benedizione.
(
Da
L'Osservatore
Romano,
domenica
4
marzo
2001)
COMUNICATO
FINALE
Si
svolta,
dall'1
al
4
Marzo,
presso
l'Aula
vecchia
del
Sinodo
in
Vaticano,
la
VII
Assemblea
Generale
della
Pontificia
Accademia
per
la
Vita,
sul
tema
La
cultura
della
vita:
fondamenti
e
dimensioni.
Anche
quest'anno,
il
convenire
della
quasi
totalit
dei
Membri
dell'Accademia,
ha
permesso
lo
sviluppo
di
una
riflessione
approfondita
e
compiuta
intorno
alla
tematica
proposta,
secondo
il
metodo
della
interdisciplinarit.
Durante
le
sessioni
di
lavoro,
ogni
impegno
stato
messo
dai
partecipanti
nel
cercare
di
individuare
gli
elementi
fondanti
ed
imprescindibili
per
un'autentica
cultura
della
vita,
che
possa
essere
promossa
nel
contesto
culturale
odierno,
spesso
contrassegnato
da
crescenti
ed
inquietanti
scenari
di
una
cultura
di
morte
che
sembra
avanzare
sempre
pi.
Un
impegno,
dunque,
quello
dell'Accademia
per
la
Vita
in
questa
sua
Assemblea
annuale,
tutto
volto
al
positivo,
con
il
deliberato
scopo
di
non
fermarsi
tanto
a
focalizzare
gli
eventuali
limiti
etici
di
specifiche
problematiche
di
pertinenza
della
bioetica,
quanto
piuttosto
a
ripresentare
i
punti
cardine
da
assumere
come
riferimento
nella
ricostruzione
di
una
nuova
civilt
della
vita.
Ampio
stato
l'orizzonte
d'indagine.
Nell'ambito
biblico-teologico,
si
trattato
dei
fondamenti
biblici
del
senso
e
del
valore
della
vita
umana,
di
ogni
vita
umana,
qualunque
sia
la
sua
condizione
contingente;
ugualmente,
anche
la
riflessione
sulla
fede
nella
risurrezione
della
carne
ha
rappresentato
un
importante
presupposto
per
ogni
ulteriore
sviluppo
antropologico.
Ecco
perch,
entrando
in
questo
campo,
si
scelto
di
porre
a
fondamento
proprio
un'attenta
considerazione
della
dignit
umana,
cos
come
questa
si
andata
manifestando
nello
sviluppo
del
pensiero
cristiano
e
secolare;
allo
scopo
di
approfondire
ulteriormente
la
questione
antropologica,
un'intera
sessione
dei
lavori
stata
dedicata
alla
considerazione
della
singolarit
dell'uomo
rispetto
all'universo
dei
viventi,
singolarit
espressa
massimamente
dall'unitariet
del
suo
essere
corpore
et
anima
unus
(Gaudium
et
Spes
14),
che
vede
la
vita
dello
spirito
vivificare
ed
informare
la
sua
corporeit.
Il
riconoscimento
della
vita
come
dono
creato
da
Dio,
poi,
orienta
l'uomo
stesso
a
vivere
la
sua
esistenza
come
un
bene
da
donare
a
sua
volta
con
gratitudine,
al
suo
Creatore,
eterna
sorgente
del
suo
essere,
e
ai
fratelli,
in
un
impegno
di
solidariet
e
condivisione.
Soltanto
cos
l'uomo
pu
realizzare
in
pienezza
se
stesso.
La
ripresentazione
di
un
tale
quadro
antropologico
ha
consentito
anche
di
affrontare
fondatamente
la
questione
ecologica,
rifuggendo
dalla
semplicistica
alternativa
tra
tutela
indifferenziata
di
ogni
forma
di
vita
e
protezione
esclusiva
della
vita
umana,
mediante
l'adozione
del
concetto
di
custodia
:
la
natura
un
dono
di
Dio
che
l'uomo
non
deve
soltanto
utilizzare
ma
anche
custodire,
cio
proteggere
ed,
insieme,
far
fruttificare.
Si
voluto
anche
sottolineare,
dal
punto
di
vista
della
teologia
morale,
che
la
vita
fisica
umana
un
bene
morale
primario
e
fondamentale,
che
reclama
di
essere
promosso,
difeso
e
rispettato,
pur
attendendo
il
compimento
della
sua
perfezione
che
si
realizzer
soltanto
nella
condizione
soprannaturale
ed
eterna.
Non
sono
mancati
riferimenti
al
rapporto
tra
la
tutela
e
il
sostegno
della
vita
umana,
soprattutto
se
debole
ed
indifesa,
e
l'impegno
per
un
rinnovato
quadro
legislativo,
secondo
le
esperienze
dei
vari
Paesi.
Tra
gli
strumenti
da
impiegare
per
una
efficace
diffusione
del
Vangelo
della
vita,
nell'orizzonte
socio-culturale
odierno,
massima
importanza
rivestono
i
mass-media
la
cui
forza
d'impatto
risulta
impressionante;
per
questo,
appare
decisivo
affrontare
la
problematica
etica
circa
la
comunicazione,
riproponendo
con
coerenza
la
strada
del
servizio
alla
verit
della
vita.
I
rapporti
I
rapporti
sorgono
nel
costatare
la
meravigliosa
unit
dell'Universo
e
del
suo
ordine
imperante;
senza
rapporti
non
ci
sarebbe
ordine,
tutto
quello
che
diverso
per
la
sua
partecipazione
creata
si
unifica
attraverso
i
rapporti.
I
rapporti
costituiscono
il
condursi
l'uno
all'altro,
l'aversi
di
un
ente
rispetto
l'altro.
In
qualunque
rapporto
abbiamo
un
soggetto,
un
termine
ed
il
fondamento
del
rapporto.
Ci
sono
rapporti
mutui
e
rapporti
unilaterali,
rapporti
che
coinvolgono
due
elementi
o
diversi
elementi,
sono
diversi
per
la
loro
profondit
e
durata,
alcuni
scaturiscono
dall'indigenza
di
uno
dei
soggetti
che
si
relaziona
e
altri
dalla
sua
ricchezza.
La
distinzione
pi
importante
dei
rapporti
tra
quelli
trascendentali
e
quelli
predicamentali,
quelli
trascendentali
superano
i
limiti
della
categoria
e
si
riferiscono
alla
costituzione
essenziale
del
soggetto,
come
i
principi
dell'essere
e
i
rapporti
della
creatura
con
il
suo
Creatore,
quelli
predicamentali
sono
accidentali
e
trasmettono
una
determinazione
ulteriore
al
soggetto
gi
costituito.
Di
solito
si
parla
anche
di
rapporti
reali
e
logici
a
seconda
che
il
loro
fondamento
si
trovi
nell'ordine
oggettivo
o
soggettivo.
L'insieme
di
effetti
realizzati
per
i
rapporti
trascendentali
e
predicamentali
esprime
l'organicit.
La
organicit
Per
costituire
l'organicit,
necessaria
la
distinzione
delle
parti,
l'interna
e
l'esterna;
altrimenti,
non
ci
pu
essere
unit.
L'unit
interna,
l'organicit
dell'essere
vivente
genera
la
propria
vita.
Comunque,
questa
organicit
non
si
esaurisce
nell'interno,
ma
mira
all'organicit
esterna,
mira
verso
l'unit
con
gli
altri
essere
viventi.
L'unit
interna
conferisce
l'individualit,
comunque
quest'unit
interna
non
vitale
se
non
intimamente
trasformata
dall'unit
esterna,
cio,
se
non
si
mette
in
rapporto
con
gli
altri
esseri
viventi.
L'organicit
esterna
influisce
in
tale
maniera
sull'individualit
in
modo
che
l'individuo
non
pu
chiudersi
in
s
stesso
per
diventare
vita
individuale
ma
ottiene
la
sua
ricchezza
quando
si
apre
agli
altri
e
si
realizza
l'unit,
l'armonia,
la
convergenza
tra
i
diversi.
Si
potrebbe
quindi
dire
che
la
vita
in
genere
la
convergenza
tra
i
diversi.
Cos
l'organicit
esterna
diventa
in
un
certo
modo
un
rapporto
trascendentale,
influisce
sull'organicit
interna
senza
danneggiare
la
distinzione
degli
esseri
viventi;
cio,
senza
scendere
in
un
monismo
panteista
di
segno
organologico.
Esseri
diversi
Di
fatto,
ogni
individuo
essenzialmente
diverso
dagli
altri,
in
effetti,
chiunque
si
pu
considerare
diverso
in
quanto
ha
quello
che
l'altro
non
possiede
e
non
possiede
quello
che
l'altro
ha.
C'e
un
aspetto
della
vita
nel
quale
compresa
una
negazione,
e
su
questa
negazione
si
genera
la
vita,
perch
in
questa
inclusa
un'affermazione
che
esige
l'organicit,
la
convergenza
stessa
verso
l'unit
degli
esseri
diversi,
la
vita.
Questa
convergenza
tra
i
diversi,
che
in
un
ultimo
termine
costituisce
la
vita
nella
sua
totalit,
stata
pensata
o
negata
in
diversi
modi
attraverso
la
storia
del
pensiero.
Una
corrente
che
ha
seguito
questa
linea
stata
il
Panteismo
in
tutte
le
sue
forme,
del
quale
abbiamo
gi
fatto
menzione;
un'altra
corrente
stata
rappresentata
dalla
Partecipazione.
Infine
c'e
stata
un'altra
linea
di
pensiero
che
strutturava
molte
correnti
contemporanee
che
stata
la
negazione
basica
dell'organicit
esterna
dell'uomo
nella
cosiddetta
cultura
o
anticultura
della
morte.
Negazione
della
distinzione:
panteismo
10
Nel
Panteismo
veramente
non
esiste
organicit
distinta
in
quanto
le
barriere
vengono
soppresse,
nel
profondo
non
c'
pluralit
perch
l'uno
il
tutto
e
il
tutto
l'uno.
Quindi
il
Panteismo
non
spiega
la
vita,
perch
in
esso
non
c'
una
vera
coincidenza
tra
i
diversi
ma
un
tutto
amorfo
e
pertanto
senza
vita.
Veramente
nel
Panteismo
non
esiste
un'autentica
opposizione
tra
rinuncia
e
propriet
o
un
vero
rapporto
che
riconosca
l'organicit,
perche
tutto
confuso.
VITA
COME
OPPOSIZIONE
Nelle
concezioni
lontane
dal
Panteismo,
invece,
esiste
l'obiezione;
ma
mettiamo
in
chiaro
quale
tipo
di
obiezione
si
intende:
la
vita
opposizione,
l'opposizione
pu
essere
come
contrariet
o
come
contraddizione.
Se
come
contrariet,
ci
troviamo
nell'ambito
della
vita.
Se
come
contraddizione,
ci
porta
alla
morte.
L'opposizione
come
contrariet
unisce
i
contrari
con
un
disgiungimento,
"questo
e
quest'altro";
l'opposizione
come
contraddizione
elimina
uno
degli
opposti
per
affermare
l'altro.
Nell'eliminare
uno
degli
opposti
non
c'
pi
organicit
e
quindi
non
si
pu
pi
parlare
di
vita.
Aggiungendo
qualcosa
a
quanto
gi
detto
possiamo
dire
che
c'
opposizione
tra
due
contenuti
quando
la
posizione
di
uno
elimina
in
qualche
modo
quella
dell'altro.
A
seconda
di
quale
sia
lo
spirito
di
questa
eliminazione
si
hanno
le
diverse
classi
di
opposizione.
L'opposizione
come
contraddizione
irriducibile,
si
svolge
tra
l'essere
e
il
non
essere,
non
tollera
un
termine
medio.
L'opposizione
come
contrariet
o
opposizione
contraria
fa
s
che
i
due
contenuti
si
respingano
in
un
aspetto
limitato
e
per
tanto
accetta
i
termini
medi.
L'opposizione
contraria
pu
essere
privativa
oppure
relativa
a
seconda
che
siano
in
opposizione
i
due
contenuti
per
rinuncia
-
propriet,
oppure
per
semplice
relazione.
Opposizione
di
contraddizione
nel
concetto
della
vita
C'
una
mentalit
nel
mondo
moderno
che
si
basa
fortemente
sull'opposizione
come
contraddizione.
Questa
la
mentalit
evoluzionistica
applicata
all'uomo
in
modo
diretto
e
interamente.
In
effetti,
nella
mentalit
evoluzionistica
la
sopravvivenza
delle
specie
si
ha
nella
lotta
fino
alla
morte
che
un'opposizione
come
contraddizione,
che
porta
alla
sopravvivenza
del
pi
forte.
Probabilmente
molti
passi
dell'evoluzione
degli
esseri
inferiori
all'uomo
si
possono
spiegare
in
questa
lotta
per
la
vita,
la
famosa
"struggle
for
life".
Ma
non
risulta
possibile
applicarla
nella
sua
totalit
perch,
sebbene
vero
che
esiste
una
gradualit
nell'esistenza
attuale
delle
specie
nel
mondo
vivente
subumano,
cio
esiste
una
gradualit
attuale
delle
stesse,
non
sono
scomparse
le
specie
inferiori.
Queste
nel
suo
insieme
formano
la
sfera
subumana
organica.
Il
problema
sorge
pi
fortemente
quando
questa
spiegazione
della
vita
attraverso
l'opposizione
contraddittoria
si
applica
alla
sfera
umana
della
vita
stessa.
Quindi
si
arriva
al
punto
che
la
prevalenza
e
la
sopravvivenza
del
pi
forte
diventano
una
norma
e
da
l
si
originano
tutte
le
opinioni
maltusiane
e
di
razze
superiori
nelle
quali
alcuni
si
affermano
tentando
di
uccidere
gli
altri,
in
modo
pi
selvaggio
negli
stadi
primitivi,
in
modi
pi
sofisticati
nel
mondo
attuale.
Questa
la
cultura
della
contraddizione,
o
per
dire
lo
stesso,
la
cultura
della
morte
che
viene
chiamata
l'anticultura
propriamente
detta.
In
questa
posizione
non
c'
praticamente
organicit,
la
vita
come
organicit
scompare
perch
non
c'
termine
contro
il
quale
opporsi,
poich
stato
distrutto.
Il
problema
che
siccome
questo
termine
assolutamente
indispensabile
per
la
vita,
dal
momento
che
non
esiste
pi,
la
vita
marcisce
e
quindi
si
arriva
alla
cultura
della
morte.
Non
c'
il
termine
contro
il
quale
affermarsi
dal
momento
che
questo
appartiene
internamente
alla
propria
organicit
del
soggetto
che
vuole
11
affermarsi,
la
stessa
vita
individuale
muore.
Nuovamente,
con
la
stessa
logica,
affrontiamo
l'assurdo
della
cultura
della
morte.
Opposizione
di
contrariet
nel
concetto
della
vita
L'autentica
opposizione
che
pu
garantire
la
vita
l'opposizione
di
contrariet.
Questa,
come
dicevamo
prima,
si
esprime
mediante
un
disgiungimento:
"questo
e
quest'altro".
In
parole
povere,
la
vita
complementariet
organica,
si
vivi
in
quanto
si
in
opposizione
ad
un
altro
essere
vivente
perch
non
si
ha
quello
che
l'altro
possiede
ma
si
vuole
partecipare
della
sua
ricchezza.
A
sua
volta,
l'altro
essere
vivente
vivo
in
quanto
partecipa
della
ricchezza
del
primo.
L'ideale
che
questa
mutua
partecipazione
sia
senza
menomazione,
cio,
senza
sottrarre
alla
partecipazione
comune
niente
di
quello
che
gli
esseri
viventi
possiedono
di
per
s.
In
questo
caso
ci
troviamo
con
l'opposizione
per
mero
rapporto.
LA
VITA
NELLA
SANTISSIMA
TRINITA'
E
NELL'INCARNAZIONE
precisamente
questo
l'ideale
che
si
realizza
nella
fonte
della
vita
di
tutta
la
creazione
che
la
Santissima
Trinit.
La
Santissima
Trinit,
secondo
la
rivelazione
dello
stesso
Dio,
si
costituisce
in
una
opposizione
relativa
e
una
coincidenza
assoluta.
per
questo
che
Dio
uno
in
tre
persone
diverse
(cfr.
Jo
16,15).
In
Dio
l'opposizione
tra
le
persone
divine
l'opposizione
di
rapporto
di
completezza,
non
di
indigenza;
dove,
vero,
si
trova
la
rinuncia
e
la
propriet
nelle
diverse
persone,
ma
senza
che
questa
rinuncia
significhi
una
menomazione
di
una
delle
persone
divine,
e
senza
che
la
propriet
di
una
delle
persone
possa
produrre
qualche
sottrazione
a
un'altra.
L'opposizione
tra
le
persone
divine
un
rapporto
di
completezza
che
consiste
in
una
mera
opposizione
di
contrariet
relativa.
In
definitiva,
quello
che
una
persona
non
possiede
si
mette
in
rapporto
con
quello
che
un'altra
ha
in
modo
che
la
rinuncia
resta
in
una
possessione
non
relativa
ma
assoluta
e
infinita.
Quest'apparente
contraddizione
viene
chiarita
osservando
le
tre
persone
concretamente:
il
Padre
non
ha
la
filiazione,
ma
padre
per
la
filiazione.
Il
Figlio
non
ha
la
paternit
ma
Figlio
per
la
paternit.
Lo
Spirito
non
ha
l'ispirazione,
ma
Spirito
per
l'ispirazione
del
Padre
e
del
Figlio.
Infine
tutti
e
tre
sono
infiniti
nella
perfezione
di
una
sola
natura
divina
perch
il
Padre,
il
Figlio
e
lo
Spirito
Santo
sono
un
solo
Dio.
La
vita
infinita
delle
tre
persone
divine
si
realizza
per
una
donazione
assoluta
del
Padre
al
Figlio,
del
Figlio
al
Padre,
del
Padre
e
del
Figlio
allo
Spirito
e
dello
Spirito
al
Padre
e
al
Figlio.
La
distinzione
si
ha
per
rapporto
di
completezza,
cio,
per
opposizione
di
mera
contrariet
relativa
e,
a
sua
volta,
per
la
sua
opposizione
di
sola
contrariet
sono
la
vita
in
s,
che
vuol
dire,
sono
un
solo
Dio
(Cfr.
Jo
16,
13-15;17,
22).
Da
questo
modello
divino
possiamo
intuire
che
la
vita
nella
sua
fonte,
e
quindi
nella
sua
massima
espressione,
muovere
se
stesso
in
un
insieme
di
rapporti
verso
la
piena
donazione.
Viene
donato
quello
che
si
possiede
e
si
riceve
quello
che
non
si
ha
in
un
processo
incessante
che
arricchisce
e
che
,
precisamente,
il
processo
vitale.
(Cfr.
Jo
17,
22-23.26).
I
punti
fondamentali
sono
i
rapporti
che
fondano
l'opposizione
contraria,
non
per
rinchiudersi
nella
propria
propriet
o
nella
propria
rinuncia,
ma
per
aprirsi
in
una
totale
donazione.
Cos
la
vita
diventa
rapporto
di
completezza
feconda
in
una
donazione
amorosa.
Questa
la
vita
in
s,
e
quando
Dio
la
partecipa
nella
sua
creazione,
in
particolare
quando
partecipa
l'uomo,
la
dona,
analogamente,
in
questo
modo.
Dio
iscrive
questa
donazione
all'interno
della
libert
umana.
E
precisamente
quando
l'uomo
non
vuole
pi
accettare
questa
donazione,
allora
si
rinchiude
in
s
stesso,
si
oppone
agli
altri
in
contraddizione.
Questo
il
peccato,
vale
a
dire,
la
morte.
12
La
storia
della
salvezza
All'interno
di
queste
coordinate
si
scrive
la
Storia
della
Salvezza,
come
una
storia
della
libert
(Gn
2,
16-17).
E
siccome
l'uomo
aveva
scelto
l'opposizione
di
contraddizione
(Gn
3,6),
il
peccato
e
la
morte
e
nonostante
Dio
non
gli
aveva
sottratto
il
fatto
che
nel
suo
interno
sia
ancora
fatto
a
sua
immagine,
la
storia
dell'umanit
una
storia
che
si
svolge
all'interno
di
due
capi
vincolati
nel
pi
profondo
dell'uomo:
contraddizione-contrariet,
morte-vita,
odio-amore,
egoismo-donazione.
In
questo
ambito,
l'Incarnazione
Pasquale
viene
a
compiere
la
frattura
della
contraddizione
in
una
costruzione
amorosa
di
contrariet
di
rapporto.
Cio,
la
morte
viene
vinta
dalla
risurrezione.
Cristo
prende
su
di
s
la
contraddizione
dell'uomo
che
significa
il
suo
peccato
e
la
sua
morte,
e
porta
questa
contraddizione
fino
a
patirla
su
s
stesso
nella
sofferenza
della
morte
(Cfr.
Ro
5-6,
passim).
Ma
questa
morte,
per
l'amore
dello
Spirito
Santo
diventa
fonte
di
vita,
una
donazione
amorosa
di
vita,
una
risurrezione
per
Cristo
medesimo
e
per
tutta
l'umanit
(Cfr.
Ro
8;
Ef
1).
La
contraddizione
in
quest'unico
caso
diventa
feconda,
viene
distrutta
la
sua
negazione
della
vita
e
si
trasforma
in
opposizione
di
contrariet
amorosa,
fondata
nel
rapporto
di
amore
che
lo
Spirito
Santo:
la
morte
diviene
la
maggiore
prova
di
amore,
la
maggiore
prova
di
donazione.
E
cos
Cristo,
divenuto
colpevole,
prendendo
su
di
s
la
contraddizione
assoluta
dell'uomo
che
la
morte,
crea
nuovamente
un
uomo
nuovo
nel
rapporto
di
giustizia
e
santit
che
la
risurrezione.
La
contraddizione
compresa
nella
contrariet
Per
arricchire
quello
gi
detto
possiamo
aggiungere
che
Cristo
prende
su
di
s
la
contraddizione
e
la
fa
diventare
contrariet
in
rapporto
di
massimo
amore
e
quindi
di
massima
vita,
contrariet
nella
quale
si
oppone
relativamente
all'uomo
come
soggetto
al
quale
gli
dona
quello
che
gli
manca
totalmente:
la
vita.
La
vita
trinitaria
di
opposizione
contraria
di
pura
donazione
ora
passa
attraverso
la
contraddizione
della
morte
per
vincere
la
stessa
morte
e
trasformarla
in
una
pura
donazione
nello
Spirito.
La
fa
diventare
donazione
di
puro
amore.
Si
supera
la
contraddizione
della
morte
nell'opposizione
relativa
di
contrariet
che
un
rapporto
di
amore.
Avevamo
descritto
come
l'opposizione
di
contraddizione
genera
la
cultura
della
morte;
in
Cristo,
questa
opposizione
lo
condusse
alla
massima
morte,
cos
chiamata
perch
la
sua
morte
prende
su
di
s
tutte
le
morti
del
mondo,
tutte
e
ciascuna
delle
contraddizioni;
la
Redenzione
quindi
si
fond
nel
trasformare
questa
massima
morte
nella
massima
vita,
riformare
la
contraddizione
attraverso
lo
spirito
in
un
puro
rapporto
di
amore,
come
donazione
totale.
Se,
come
dicevamo,
la
vita
capacit
di
essere
e
di
agire,
possiamo
quindi
concludere
che
la
vita
capacit
di
essere
e
di
agire
attraverso
un'opposizione
contraddittoria,
come
la
morte,
una
opposizione
contraria
come
rapporto
di
donazione
amorosa
assoluta
nella
quale
si
riceve
la
partecipazione
alla
vita
della
Santissima
Trinit
(Jo.
17,23.26).
In
questo
consiste
l'obbedienza
di
Cristo
che,
sentendo
la
voce
del
Padre
e
condotto
dallo
Spirito
Santo,
rinuncia
a
s
stesso,
come
dice
San
Paolo:
"Pur
essendo
di
natura
divina,
non
ha
insistito
nell'essere
uguale
a
Dio,
ma
abbandonando
quello
che
gli
era
proprio
e
prendendo
la
natura
di
un
servo
nato
come
uomo
e
presentandosi
come
uomo
si
sottopose
all'umiliazione
e
per
obbedienza,
andato
incontro
alla
morte,
vergognosa
morte,
sulla
croce.
Per
questo
Dio
gli
ha
offerto
il
pi
alto
onore
e
il
pi
eccellente
di
tutti
i
nomi,
cos
sentendo
il
nome
di
Ges
pieghino
le
ginocchia
tutti
quelli
che
sono
nei
celi
e
nella
terra,
e
sotto
la
terra,
e
tutti
possano
riconoscere
che
Ges
Cristo
il
Signore,
per
lode
a
Dio
Padre"
(Fil
2,
6-11).
13
14
Cos
la
vita
convergenza
dei
diversi,
diversi
che
sono
opposti
ma
non
per
un'opposizione
di
contraddizione
ma
per
una
mera
opposizione
di
contrariet
che
consiste
in
un
rapporto
di
completezza
dove
quello
che
si
possiede
si
dona
agli
altri,
e
invece
di
scomparire
si
diventa
pi
forte
per
lo
stesso
atto
di
donazione.
Questa
la
meraviglia
della
vita
e
la
salute
come
immagine
di
Dio.
Come
immagine
di
Dio,
l'uomo
si
costituisce
nella
vita
grazie
alla
donazione
amorosa
verso
Dio
e
verso
gli
altri.
Come
immagine
di
Dio,
la
tendenza
che
lo
spinge
a
donarsi
sempre
a
Dio
ed
agli
altri
costituisce
la
salute.
una
tendenza
che
punta
verso
la
completa
armonia
della
resurrezione,
ma
una
tendenza
molto
dolorosa,
perch
passa
attraverso
la
contraddizione
che
la
morte
di
Cristo.
La
vita
donazione
amorosa
sempre
crescente
che
si
spinge
verso
orizzonti
infiniti.
La
salute
la
tendenza
che
orienta
la
vita
verso
quest'armonia
sempre
perfezionabile.
E
questa
vita
e
questa
salute
cristiane
fanno
s
che
l'uomo
sia,
nel
suo
rapporto
con
Dio
e
con
gli
altri,
una
vera
immagine
di
Dio.
15
BRUNO
MAGGIONI
DIO
PARLA
DELLA
VITA
Sono
convinto
che
Dio
parli
della
vita
in
diversi
modi.
Nel
mio
discorso,
per,
mi
soffermo
sulla
Parola
di
Dio
"scritta",
Antico
e
Nuovo
Testamento.
Mi
interessa
soprattutto
una
domanda:
qual
la
radice
che
nel
discorso
biblico
costituisce
il
fondamento
ultimo
che
d
senso
e
dignit
alla
vita
di
ogni
uomo?
Non
soltanto
senso
e
dignit
alla
vita
riuscita
e
promettente,
ma
anche
alla
vita
"ferita"?
Come
si
sa,
il
cammino
biblico
pu
apparire
frammentario,
lungo,
persino
tortuoso.
La
verit
non
sta
nella
somma
si
tutti
i
particolari
che
emergono,
ma
nella
logica
che
guida
l'intero
cammino,
che
rimane
ferma
anche
nel
variare
delle
situazioni,
che
via
via
si
chiarisce
e
trova
il
suo
compimento
nell'evento
di
Ges
Cristo.
La
prospettiva
scelta-
indubbiamente
limitata
e
tuttavia
essenziale-
mi
libera
da
alcune
preoccupazioni,
come
l'analisi
dei
singoli
testi,
delle
situazioni
storiche
in
cui
si
collocano,
della
loro
genesi.
Nulla
di
questo,
non
faccio
esegesi,
ma
teologia
biblica.
Mi
interessa
la
sintesi.
LE
COORDINATE
Ritengo
utile
iniziare
la
conversazione
elencando
alcune
coordinate
che
costituiscono
la
griglia
entro
la
quale
il
discorso
biblico
si
svolto,
sia
pure
non
sempre
con
la
stessa
chiarezza.
Sono
notissime
e
basta
elencarle.
Fin
dall'inizio
la
Bibbia
convinta
che
la
vita
sia
molto
di
pi
della
semplice
esistenza.
Paradossalmente
il
vangelo
dir
che
per
avere
la
vita
occorre
anche
saper
perdere
l'esistenza
(Mc
8,
34)!
La
Bibbia
poi
particolarmente
colpita
da
quelle
manifestazioni
della
vita
che
possiamo
descrivere
come
movimento
e
vivacit.
La
vita
qualcosa
che
cresce
e
si
sviluppa,
dic4e
pienezza
e
intensit.
Per
questo
il
vocabolo
ebraico
al
plurale,
appunto
per
sottolineare
la
pienezza
e
la
intensit.
La
Bibbia
convinta
che
occorre
allargare
la
vita,
non
solo
allungarla.
In
proposito
si
pu
leggere
Prov.
3,
16-18.
La
concezione
biblica
della
vita
si
costruisce
entro
una
concezione
unitaria
dell'uomo.
Nessun
dualismo,
n
fra
spirito
e
corpo,
n
fra
individuo
e
societ.
Per
la
Bibbia
non
possibile
alcun
dualismo,
perch
vede
sempre
l'uomo
nella
sua
inscindibile
unit.
Il
tratto
biblico
pi
tipico
e
pi
ricco
certamente
il
legame
tra
Dio
e
la
vita.
Dio
il
Vivente,
e
la
vita
il
dono
pi
prezioso
che
sgorga
dal
suo
amore
gratuito
e
fedele.
In
mille
modi
si
sottolinea
che
la
vita
dono,
e
come
tale
da
vivere
in
gratitudine
e
letizia.
La
parola
vita
sempre
unita
ai
verbi
che
indicano
l'azione
salvifica
di
Dio:
donare,
redimere,
custodire,
disporre,
fare.
Il
racconto
di
Genesi
2
narra
che
"Il
Signore
modell
l'uomo
con
la
polvere
del
terreno
e
soffinelle
sue
narici
un
alito
di
vita,
e
cos
l'uomo
divenne
un
essere
vivente.
Il
racconto
sacerdotale
(Genesi
1)
narra
invece
che
il
sesto
giorno
Dio
disse:
"Facciamo
l'uomo
a
nostra
immagine,
a
nostra
somiglianza"
(Genesi
1,
26);
e
per
assicurare
all'uomo
la
sua
benedizione.
Non
soltanto
la
creazione
dell'umanit
nel
suo
insieme,
ma
anche
l'apparire
di
ogni
singola
persona
e
di
ogni
singola
vita
viene
ricondotta
dalla
Bibbia
all'attivit
creatrice
e
operosa
di
Dio.
Per
la
Bibbia
l'uomo
non
comprende
a
fondo
se
stesso
se
non
ha
questa
consapevolezza:
egli
trae
la
propria
origine
da
una
decisione
nella
quale
egli
non
ha
preso
parte.
All'origine
di
ogni
uomo
c'
la
gratuit
dell'amore
di
Dio,
la
libert
di
un
gesto
di
amore.
In
proposito
si
possono
leggere
testi
bellissimi,
come
il
salmo
139
e
Giobbe
10,
8-12.
E'
in
questa
gratuit
originaria
che
sta
la
ragione
vera
che
d
senso
e
dignit
a
ogni
uomo
vivente.
E
in
questa
16
gratuit
racchiusa
la
"promessa"
della
fedelt
di
Dio
all'uomo,
a
ogni
singolo
uomo,
una
fedelt
che
non
pu
venir
meno
iin
nessuna
circostanza.
Nella
concezione
dell'uomo
immagine
di
Dio
sono
contenute
alcune
affermazioni
di
grande
rilievo.
La
prima
che
la
vita
discende
da
Dio
ed
suo
dono,
sua
immagine
e
sua
impronta.
Dio
l'unico
padrone
della
vita,
e
perci
questa
una
realt
intoccabile,
sottratta
al
potere
di
qualsiasi
uomo.
Benedicendo
No
alla
fine
del
diluvio,
Dio
disse:
"Della
vita
dell'uomo
domander
conto
alla
mano
dell'uomo,
alla
mano
d'ogni
suo
fratello...
perch
quale
immagine
di
Dio
Egli
ha
fatto
l'uomo
(Gen
9,
6-6)".
Una
seconda
affermazione
che
l'uomo
si
colloca
al
vertice
della
creazione.
L'uomo
qualcosa
di
unico.
E'
certo
imparentato
con
la
creazione
ed
solidale
con
tutte
le
creature,
ma
in
lui
c'
un
di
pi:
appunto
l'essere
immagine
di
Dio.
E
questo
vale
per
qualsiasi
uomo,
al
di
l
di
ogni
possibile
differenza
(si
veda
il
salmo
8).
Immagine
di
Dio
non
qualcosa
che
si
aggiunge
alla
creaturalit,
ma
esprime
piuttosto
il
significato
profondo
di
tale
creatura
di
Dio.
E
si
riferisce
all'uomo
nella
sua
totalit,
non
a
una
parte
di
essa
o
a
una
sua
qualit.
Una
terza
affermazione
che
la
vita
da
vivere
nell'obbedienza.
Immagine
dicerelazione,
realt
riflessa,
obbedienza
appunto.
Dono
di
Dio,
la
vita
si
sviluppa
rimanendo
in
comunione
con
la
sua
sorgente,
si
mortifica
allontanandosene.
Pi
semplicemente,
molti
passi
biblici
legano
la
promessa
della
vita
all'osservanza
dei
comandamenti:
per
esempio
Deut.
31,
15-16.
In
altri
termini
meno
immediatamente
religiosi,
diremmo
che
lo
sviluppo
della
vita
legato
a
una
corretta
impostazione
della
vita
stessa.
Con
grande
acutezza
i
profeti
hanno
sempre
tentato
di
strappare
Israele
da
progetti
autonomi,
e
di
distoglierlo
da
sicurezze
troppo
umane,
ferme,
fosero
pure
religiose.
Bisogna
invece
abbandonarsi
fiduciosamente
nelle
mani
di
Dio:
"Cercate
me
e
vivrete",
dice
il
profeta
Amos
(5,
4ss).
Per
vivere
pienamente
occorre
il
coraggio
di
abbandonarsi
in
avanti,
alla
vita
che
ci
viene
incontro.
E
per
questo
non
soltanto
nella
prospettiva
di
un
mondo
futuro
(un
dato
che
nell'Antico
Testamento
nebuloso)
ma
anche
nello
svolgersi
della
vita
mondana.
Ma
dove
scorge-
di
fatto-
l'uomo
biblico
la
sua
grandezza
e
la
sua
consistenza?
Con
grande
chiarezza
risponde
a
questa
domanda
cruciale
il
salmo
8,
che
si
presenta
come
il
frutto
maturo
di
una
lunga
meditazione
sulla
creazione
e
sul
rapporto
Dio
e
uomo.
Il
salmista
trova
la
grandezza
e
la
solidit
dell'uomo
nel
fatto
che
Dio
si
ricorda
di
lui.
Non
nella
bellezza
dell'uomo,
o
nella
forza,
o
nell'intelligenza.
E'
l'amore
di
Dio
che
d
dignit
all'uomo.
L'esperienza
pi
profonda
dell'uomo
biblico
lo
stupore
di
essere
ricordato
da
Dio.
L'ultima
coordinata
a
cui
voglio
accennare,
tanto
importante
da
costituire
in
qualche
modo
la
spina
dorsale
dei
discorso
(e
perci
gi
ripetutamente
accennata),
il
rapporto
di
fiducia
fra
l'uomo
e
Dio:
una
fiducia
nella
sua
promessa
tanto
solida
che
le
molte
smentite
la
purificano,
ma
non
la
fanno
crollare.
Nelle
pagine
bibliche,
anche
nelle
pi
angosciate,
quelle
che
sembrano
esprimere
l'abbandono
di
Dio,
la
fiducia
nella
sua
fedelt
resta
sempre,
magari
sotterranea.
Questa
fiducia
persino
presente
nel
racconto
di
Abramo
che
obbedisce
a
Dio
sino
ad
essere
disponibile
al
sacrificio
del
figlio.
Certamente
non
mancano
nel
percorso
biblico
comportamenti
divergenti
da
quanto
sin
qui
detto:
violenza
contro
il
nemico,
sterminio
di
citt
straniere,
uccisioni,
anche
qualche
episodio
di
suicidio.
Questi
comportamenti
non
compromettono,
per,
il
discorso
essenziale.
Dicono
invece
la
difficolt
della
sua
maturazione
e
la
fatica
di
superare
le
molte
remore
culturali.
In
ogni
caso,
non
alla
luce
di
questi
comportamenti
che
va
inteso
il
discorso
centrale,
ma
viceversa.
17
TIPOLOGIE
Dopo
le
coordinate
(alle
quali
ho
forse
dato
uno
spazio
eccessivo)
utile
riguardare
il
percorso
anticotestamentario
attraverso
le
varie
situazioni
che
l'uomo
biblico
ha
incontrato.
Ne
elenco
alcune
brevemente:
-
l'uomo
che
vive
una
vita
riuscita
che
giunge
al
suo
termine
naturale;
-
la
vita
interrotta
che
si
conclude
con
una
morte
prematura,
a
volte
violenta;
-
una
vita
colpita:
la
sofferenza
innocente
(Giobbe);
-
una
vita
insoddisfacente
e
tuttavia
umanamente
riuscita,
priva
di
senso
in
se
stessa,
quasi
una
promessa
delusa
(Qohelet);
-
il
martirio.
Certamente
queste
varie
situazioni
suscitano
modi
differenti
di
affidarsi
alla
vita.
Ma
la
cosa
interessante
-e
per
noi
essenziale-
che
l'uomo
biblico,
in
tutte
le
situazioni,
ha
sempre
cercato
rifugio
nella
fedelt
di
Dio.
L'EVENTO
DI
GES
CRISTO
E
LA
VITA
Il
Nuovo
Testamento
non
pone
al
centro
della
sua
rivelazione
l'uomo,
ma
come
Dio
guarda
l'uomo:
il
suo
amore
per
l'uomo,
la
sua
alleanza
con
l'uomo,
il
suo
condividere
l'esistenza
dell'uomo.
Ovviamente
questa
rivelazione
-che
riguarda
anzitutto
Dio-
getta
una
luce
impensabile,
nuova,
sull'uomo.
Elenco
alcuni
aspetti
che
direttamente
ci
possono
interessare.
Il
Figlio
di
Dio
si
fatto
"carne"
(1,
14),
si
legge
nel
prologo
di
Giovanni.
Carne
non
certo
la
condizione
di
peccato,
ma
neppure
semplicemente
la
natura
umana:
la
natura
umana
nella
sua
caducit,
nella
sua
storicit,
nella
sua
corporeit
e
nella
sua
mondanit.
Il
Figlio
di
Dio
ha
assunto
la
vita
dell'uomo
nella
sua
piena
realt.
E
cos
viene
posto
di
nuovo
il
fondamento
della
dignit
della
vita
dell'uomo
nella
sua
totalit.
Dopo
l'incarnazione
dei
Figlio
di
Dio
al
cristiano
preclusa
ogni
fuga
lontano
dal
mondo.
Neppure
il
peccato
pu
servire
come
alibi
per
la
denigrazione
della
vita
dell'uomo
nel
mondo.
Per
il
Nuovo
Testamento
non
ci
sono
due
esistenze
parallele
(spirituale
e
materiale),
tanto
meno
un'esistenza
spirituale
imprigionata
nel
corpo
e
da
esso
impedita,
e
neppure
due
esistenze
concepite
semplicemente
come
un
prima
e
un
poi,
ma
un'esistenza
unitaria,
quella
che
gi
ora
si
vive,
destinata
per
a
sfociare
nell'eternit
e
nella
piena
comunione
con
Dio.
S.
Giovanni,
con
la
sua
ripetuta
espressione
di
vita
eterna
-da
intendere
come
partecipazione
gi
ora
della
vita
divina,
qualitativamente
tale
da
vincere
la
morte-
indica
che
la
ragione
(o
il
senso)
della
vita
non
solo
da
cercare
al
di
fuori
di
essa,
nel
suo
destino
futuro,
ma
gi
dentro
di
essa:
certo
un
senso
ricevuto,
ma
gi
presente.
Se
poi
osserviamo
le
precise
modalit
storiche
dell'esistenza
vissuta
dal
Figlio
di
Dio,
allora
comprendiamo
anche
che
Egli
ha
assunto
il
volto
dell'uomo
deriso,
del
sofferente,
del
perseguitato,
del
nemico,
persino
dell'uomo
considerato
peccatore
e
malfattore.
Tutto
questo
mostra
che
nessun
uomo,
chiunque
sia
e
qualsiasi
cosa
abbia
fatto,
pu
essere
privato
della
sua
dignit
di
amato
da
Dio.
Proprio
perch
radicata
nel
gratuito
amore
di
Dio,
la
dignit
dell'uomo
inalienabile
e
incondizionata.
Ges
esige,
poi,
esplicitamente
il
massimo
rispetto
per
l'uomo
e
considera
come
diretti
a
se
stesso
tanto
l'amore
quanto
l'offesa
(Mt
25,
21
ss).
Un
Dio
pensato
come
lontano
pu
permettere
di
manipolare
l'uomo,
ma
un
Dio
che
si
fa
uomo
non
lo
permette.
Il
Nuovo
Testamento
apre
la
vita
dell'uomo
su
orizzonti
vastissimi,
sconfinanti
nello
stesso
mistero
di
Dio,
il
mistero
trinitario.
E'
sempre
il
gratuito
amore
di
Dio
che
apre
all'uomo
questi
18
ulteriori
impensati
orizzonti.
E
cos
la
vita
tutta
segnata
dalla
gratuit:
dono
gratuito
nel
suo
primo
sorgere
e
dono
gratuito
nella
sua
elevazione.
In
qualche
modo
anche
nell'Antico
Testamento
si
pensava
la
vita
-nel
suo
nocciolo
pi
profondo-
come
comunione
con
Dio.
Ma
ora
si
parla
dipartecipazione
alla
stessa
vita
divina.
E
tutto
questo
molto
importante
per
comprendere
la
vita.
Se
si
limita
lo
sguardo
al
solo
tempo
presente,
o
anche
se
si
chiude
lo
sguardo
dentro
lo
spessore
naturale
dell'uomo,
trovare
un
senso
alla
vita
resta
obiettivamente
pi
difficile.
Bisogna
alzare
lo
sguardo
verso
Dio,
della
cui
vita
l'uomo
partecipa.
E
siccome
la
vita
di
Dio
un
dialogo
di
comunione
e
di
amore
(Trinit),
ne
consegue
che
anche
la
vita
dell'uomo
-inserita
nel
dialogo
trinitario-
si
manifesta
e
si
sviluppa
nell'amore
e
nella
comunione.
Ha
ragione
S.
Giovanni
di
scrivere
nella
sua
lettera
(3,
14):
"Noi
sappiamo
di
essere
passati
dalla
morte
alla
vita,
poich
amiamo
i
fratelli".
Vita
la
novit
dell'amore
di
Dio
che
in
Cristo
afferra
la
persona
in
tutta
la
sua
interezza,
rinnovandola,
aprendola
verso
una
impensata
dignit.
LA
CROCE/RISURREZIONE
DI
GES
Ma
per
capire
la
vita
bisogna
capire
la
Croce
e,
ovviamente,
la
risurrezione.
Senza
la
Croce
mancherebbe
la
chiave
per
comprendere
le
contraddizioni
dell'esistenza,
troppe
cose
dell'uomo
resterebbero
senza
senso.
La
Croce
non
sopprime
le
realt
negative
della
vita,
ma
ne
suggerisce
una
diversa
lettura.
Accettando
la
via
della
Croce,
Ges
ha
condiviso
della
vita
dell'uomo
il
peso
e
la
tentazione,
il
fallimento
e
la
sofferenza,
lo
sconcerto
di
fronte
a
una
vita
interrotta,
l'abbandono.
Cos
la
Croce
di
Ges
il
luogo
in
cui
il
mistero
dell'esistenza
si
rispecchia,
in
un
certo
senso
si
ingigantisce,
e
poi
si
risolve.
Morendo
in
Croce,
Ges
si
veramente
posto
al
centro
del
mistero
dell'uomo
e
di
Dio,
l
dove
la
vita
sembra
smentita
e
Dio
contraddire
la
sua
promessa.
Ma
la
Croce/risurrezione
trasforma
tutte
le
contraddizioni
in
rivelazione.
Le
tre
grandi
alienazioni
dell'uomo,
che
sembrano
sconfiggere
la
vita
privandola
di
senso
e
dignit
(il
peccato,
la
sofferenza
e
la
morte)
trovano
una
diversa
comprensione:
il
peccato
perdonato,
la
morte
vinta
dalla
risurrezione,
la
sofferenza
si
tramuta
in
solidariet
e
riscatto.
Cos
il
vangelo
persuaso
che
per
trovare
un
senso
positivo
della
vita,
non
solo
nonostante
le
sue
alienazioni,
ma
addirittura
dentro
le
sue
alienazioni,
necessario
confrontarsi
con
la
Croce
di
Ges.
19
GIUSEPPE
LORIZIO
"CREDO
NELLA
RISURREZIONE
DELLA
CARNE"
Premesse:
il
fondamento
cristologico
della
fede
nella
risurrezione
della
carne
Per
questa
riflessione
a
carattere
teologico-fondamentale
sul
tema
che
mi
stato
assegnato
prenderei
spunto
da
una
constatazione
molto
semplice,
ma
non
per
questo
ovvia
ed
acquisita.
Si
tratta
del
fatto
che
la
formula
"risurrezione
della
carne"
non
di
origine
biblica,
bens
protocristiana.
Uno
dei
testi
pi
antichi
e
significativi
a
riguardo
un
passaggio
dell'omelia,
impropriamente
denominata
"Seconda
lettera
di
San
Clemente
ai
Corinti"
(ca
140):
Ka
m
leg'tw
tij
mn,
ti
ath
srx
o
krnetai
od
nstatai.
Gnte:
'n
tni
'sqhte,
'n
tni
nebl'yate,
e
m
'n
t
sark
tath
ntej;
De?
on
mj
j
nan
qeo
fulssein
tn
srka.
?On
trpon
gr
'n
t
sark
'klqhte,
ka
'n
t
sark
'lesesqe.
E
Cristj
Krioj
ssaj
mj,
n
mn
t
prton
pnema,
'gneto
srx
ka
otwj
mj
'klesen,
otwj
ka
me?j
'n
tatV
t
sark
polhymeqa
tn
misqn[1].
Nessuno
di
voi
venga
a
dire
che
questa
nostra
carne
non
subir
il
giudizio
e
non
risusciter.
Ricordatelo:
non
foste
salvati,
non
otteneste
la
vita
interiore,
se
non
in
questa
carne,
vivendo
in
essa?
Perci
doveroso
custodire
la
carne
come
un
tempio
di
Dio.
Nella
carne
foste
chiamati
e
nella
carne
raggiungerete
[Dio
o
la
salvezza].
Se
Cristo,
il
Signore,
nostro
Salvatore,
che
prima
era
solo
spirito,
si
fece
carne
e
solo
cos
ci
chiam,
anche
noi
solo
in
questa
carne
raggiungeremo
il
premio
eterno[2].
Oltre
che
sul
testo
stesso
e
sulla
ricorrenza
in
esso
del
termine
srx
mi
preme
concentrare
l'attenzione
su
due
elementi
contestuali,
a
mio
avviso
particolarmente
significativi,
anche
per
un'attualizzazione
del
tema
e
una
sua
riproposta
nell'attuale
areopago
culturale
e
religioso:
Il
contesto
di
martura-testimonianza
in
cui
si
esprime
la
fede
nella
"risurrezione
della
carne",
qui
attestata,
per
cui
la
carne
destinata
alla
risurrezione
anzitutto
la
carne
dei
martiri,
che
hanno
testimoniato
col
dono
supremo
della
propria
vita-carne
la
fede
della
comunit
(basterebbe
ricordare
il
linguaggio
forte
e
a
tratti
eccessivamente
cruento
di
Ignazio
d'Antiochia).
Il
contesto
di
polemica
antignostica
che
costituisce
lo
sfondo
di
queste
affermazioni
intorno
al
carattere
sarxico
della
salvezza
cristiana.
A
questo
proposito
ricorder
soltanto
come,
nel
quadro
della
sistematica
gnostica
emerga
con
distinta
chiarezza
una
concezione
ispirata
al
pi
radicale
dualismo
ontologico,
cosmico
ed
antropologico,
il
che
in
rapporto
alla
soteriologia,
viene
designato
con
la
formula
della
"restituzione
del
corpo":
"La
deposizione
del
corpo
non
rappresenta
per
la
gnosi
soltanto
una
liberazione
dell'Anima,
bens
anche
un
giudizio
sulle
potenze
che
hanno
creato
il
corpo.
una
vittoria
del
regno
della
Luce
che
precede
la
distruzione
definitiva
della
Tenebra"[3].
Una
seconda
indicazione
preliminare
riguarda
il
fatto
che
la
pi
antica
cristallizzazione
in
una
formula
di
fede
dell'attestazione
che
conosciamo
nel
Papiro
liturgico
Dr
Balyzeh,
rinvenuto
nell'alto
Egitto
e
riproducente
una
liturgia
che
si
fa
risalire
alla
met
del
sec.
IV:
20
21
La
dimensione
carnale
dell'uomo
nelle
Scritture
Tentiamo
qui
un
approccio
all'antropologia
biblica
attraverso
l'analisi
dei
termini
pi
significativi
attraverso
cui
si
designa
l'essere
umano,
limitando
la
nostra
attenzione
al
termine
"carne".
Nel
testo
ebraico
dell'Antico
Testamento
il
termine
basar
ricorre
ben
duecentosessantasei
volte
con
svariati
significati,
raggruppabili
come
segue:
-
indica
la
parte
muscolosa
del
corpo
umano,
che
l'uomo
ha
in
comune
con
gli
animali;
-
l'intero
corpo
umano
per
sineddoche;
-
tutto
l'uomo
concreto;
-
l'insieme
degli
esseri
viventi;
la
parentela
del
sangue
e
la
comunione
creata
nel
matrimonio
ecc.
A
noi
mi
sembra
possano
interessare
soprattutto
i
tre
seguenti
significati:
-
basar
=
il
cadavere
umano
e
il
corpo
morto
degli
animali,
come
nel
testo
del
Genesi,
dove
Dio
proibisce
a
No
di
mangiare
il
cadavere
(basar)
degli
animali
con
la
loro
vita,
cio
con
il
loro
sangue
(Gen
9,
4);
-
basar
=
l'uomo
nella
sua
condizione
terrena,
fragile,
debole,
mortale,
lontano
da
Dio
ovvero
distinto
da
Lui,
che,
invece,
forza
e
potenza
(Cf.
Gen.
6,
3;
Ger.17,5;
Sal.
56,
5;
Is.
40,
6;
Giob.
34,
14-15;
Deut.5,
26
ecc.).
-
basar
=
l'uomo
in
una
certa
opposizione
a
Dio
(cf.
Giob.
10,
4;
Is.
31,
3;
Ger.
17,
5).
Generalmente
si
tratta
della
relazione
dell'uomo
alla
terra,
che
lo
rende
mortale,
cio
radicalmente
lontano
dal
Creatore
(estraneit
rispetto
a
Dio).
Notiamo
che
si
tratta
di
tutto
l'uomo
rivolto
alla
terra,
quindi
che
la
prospettiva
esclude
ogni
dualit.
Questo
significato
getta
luce
sul
testo
di
Paolo
sopra
riportato
1Cor
15,50.
Sebbene
gli
autori
biblici
considerino
l'uomo
prevalentemente
come
un'unit,
tuttavia
colgono
tre
aspetti
fondamentali
(dimensioni
strutturali),
che
sono
espressi
con
le
parole
ebraiche:
basar,
nefesh
e
ruah,
che
i
LXX
e
il
Nuovo
Testamento
greco
traducono
con:
srx,
yuc,
pnema
e
la
Vulgata
con:
caro,
anima
e
spiritus.
L'articolazione
dei
significati
di
srx
nel
NT
in
rapporto
al
giudaismo
ellenistico
risulta
estremamente
variegata
con
oscillazioni
non
indifferenti
per
es.
nei
testi
di
Paolo
sopra
richiamati
e
nel
versetto
del
prologo
giovanneo.
Particolarmente
significativo
il
brano
di
1Cor
15,
36-45,
con
la
risposta
di
Paolo
alla
domanda
con
quale
corpo
risuscitano
i
morti?:
15:39
Non
ogni
carne
la
medesima
carne;
15:39
o
psa
srx
at
srx,
ll
llh
mn
altra
la
carne
di
uomini
e
altra
quella
di
nqrpwn,
llh
d
srx
kthnn,
llh
d
srx
animali;
altra
quella
di
uccelli
e
altra
quella
di
pthnn,
llh
d
cqwn.
pesci.
15:40
ka
smata
'pournia,
ka
smata
15:40
Vi
sono
corpi
celesti
e
corpi
terrestri,
ma
'pgeia:
ll
\t'ra
mn
tn
'pouranwn
altro
lo
splendore
dei
corpi
celesti,
e
altro
dxa,
\t'ra
d
tn
'pigewn.
quello
dei
corpi
terrestri.
15:41
llh
dxa
lou,
ka
llh
dxa
selnhj,
ka
15:41
Altro
lo
splendore
del
sole,
altro
lo
llh
dxa
st'rwn:
str
gr
st'roj
diaf'rei
'n
splendore
della
luna
e
altro
lo
splendore
delle
dxV.
stelle:
ogni
stella
infatti
differisce
da
un'altra
nello
splendore.
15:42
Otwj
ka
nstasij
tn
nekrn.
speretai
15:42
Cos
anche
la
risurrezione
dei
morti:
si
'n
fqor,
'geretai
'n
fqarsv:
22
23
"unica
forma
sostanziale
del
composto
umano".
La
conclusione
che
la
teoria
aristotelica
sembra
suggerire
apparve,
per,
incompatibile
con
l'immortalit
dell'anima,
che
una
prospettiva
dualistica
riesce
meglio
a
fondare.
Nonostante
questa
incompatibilit
il
Medioevo
credente
non
oppose
un
netto
rifiuto
all'antropologia
aristotelica,
probabilmente
anche
perch
lasciava
spazio
ad
interpretazioni
differenziate.
Del
resto,
storicamente,
prima
di
conoscere
la
traduzione
del
De
anima
di
Aristotele,
l'Occidente
medievale[14]
conobbe
quella
del
De
anima
di
Avicenna,
che
si
presentava
come
una
parafrasi
della
trattazione
dello
Stagirita
e
ne
avvicinava
l'antropologia
a
quella
di
Agostino,
non
gi
perch
Avicenna
conoscesse
Agostino,
piuttosto
perch
attingeva
anch'egli
elementi
neo-platonici.
Analogamente
Bonaventura[15]
(ed
altri
con
lui),
pur
adottando
la
terminologia
aristotelica,
rimase
tuttavia
fermo
alla
posizione
agostiniana,
affermando
che
l'anima
non
una
forma
come
le
altre,
cio
che
non
semplicemente
atto
di
una
materia,
ma
un
essere
in
s,
una
sostanza
con
una
propria
indipendente
attivit,
composta
a
sua
volta
anche
essa
di
materia
e
forma.
Il
Medioevo
conosceva
anche
un
altro
commento
al
De
anima
di
Aristotele,
dovuto
alla
penna
di
un
altro
filosofo
arabo:
Averro,
che
intendeva
presentare
l'antropologia
aristotelica
con
maggiore
fedelt
di
Avicenna.
Nel
farlo,
per,
la
interpretava,
sviluppando
le
parti
oscure
circa
l'intelletto
separato,
per
cercare
di
conciliare
l'unit
dell'uomo
col
fatto
che
certe
forme
di
conoscenza
si
presentano
come
trascendenti
il
mondo
corporeo.
Il
filosofo
arabo
credette
di
risolvere
il
problema,
pur
avvertendone
tutta
la
difficolt,
ammettendo
che
solo
l'attivit
intellettiva
dell'indivduo
umano
partecipasse
alla
vita
dello
spirito.
Concep
l'intelletto
come
rigorosamente
spirituale,
ma
pens
che
fosse
separato
ed
unico
per
tutta
l'umanit.
La
conoscenza
intellettiva
sarebbe
una
partecipazione
dell'individuo
umano
all'attivit
dell'unico
intelletto
possibile,
mentre
l'anima
sensitiva
rimaneva,
essendo
il
principio
delle
funzioni
vitali,
forma
del
corpo.
Le
conseguenze
a
livello
escatologco
della
concezione
aristotelico-avverroista
saranno
tratte
da
Pietro
Pomponazzi
(1464-1525),
che
insegner
a
Padova
che
lo
spirito,
per
la
sua
capacit
di
comprendere
l'universale,
non
una
natura
singola
individuale,
pertanto
come
tale
non
pu
perdurare
oltre
la
morte.
Ecco
un
dato
per
ermeneutizzare
correttamente
le
affermazioni
del
Concilio
Lateranense
V,
che,
condanner
Pomponazzi,
affermando
la
immortalit
dell'anima[16].
Il
problema
dell'unit
dell'anima:
il
motivo
ispiratore
di
tutto
il
commento
di
Tommaso
al
De
anima
di
Aristotele,
nel
quale
non
esita
a
dissentire
dal
filosofo
prediletto
nell'intento
di
prevenire
qualsiasi
attentato
all'unit
dell'anima
umana[17].
Le
parti
dell'anima
vengono
qui
intese
e
concepite
quali
potenze
(facolt)
radicate
in
una
unit
fondante
e
fontale
e
per
giustificare
la
sua
tesi
l'Aquinate
fa
appello
e
mette
in
particolare
evidenza
i
testi
favorevoliall'unit.
Con
la
lezione
settima
del
commento
al
libro
terzo
entra
nella
spinosa
questione
dell'intelletto
aristotelico,
che
Averro
aveva
separato
e
superindividualizzato,
ed
afferma
che
una
simile
concezione
non
risulta
dai
testi
di
Aristotele,
che
suggeriscono
la
lapidaria
espressione
dell'hic
homo
intelligit,
fulcro
dell'argomentazione
tomista
nella
polemica
anti-averroista.
Nel
secondo
libro
della
Summa
contra
Gentiles,
tra
l'altro,
Tommaso
osserva
che
l'averroismo
preoccupato
di
salvare
la
spiritualit
dell'uomo
e,
in
particolare,
della
conoscenza
intellettiva,
ma,
staccando
l'intelletto
dall'individuo
concreto
(che
poi
l'unico
uomo
reale)
finisce
col
farne
un
animale
uguale
a
tutti
gli
altri:
pone
fra
l'uomo
individuo
e
il
bruto
una
differenza
solo
di
grado.
Tommaso,
diversamente
da
Averro,
prosegue
l'itinerario
di
unificazione
intrapreso
da
Aristotele
e
cerca
di
superarne
le
aporie.
Egli
aveva
a
sua
disposizione
una
maturazione
plurisecolare
di
indagini
sull'anima
umana,
ma
soprattutto
disponeva
storicamente
e
psicologicamente
della
tradizione
cristiana,
che
gli
offriva
tutta
la
potenzialit
dei
suoi
dati
sulla
creazione,
la
spiritualit
e
24
25
corporeit
in
rapporto
alla
soggettivit,
nel
suo
saggio
di
ontologia
biraniana[19].
Alla
nozione
di
"anima"
lo
stesso
autore
ha
dedicato,
oltre
che
un
paragrafo
dello
stesso
scritto,
un
lavoro
autonomo,
che
riproduce
il
testo
di
due
lezioni
tenute
a
Bruxelles
nel
novembre
del
1965
e
pubblicate
sulla
Revue
philosophique
de
Louvain
l'anno
seguente[20].
L'intenzione
di
questa
riflessione
presto
dichiarata:
si
tratta
di
riflettere
sul
vecchio
concetto
metafisico
di
"anima"
per
rispondere
alla
domanda
relativa
al
suo
senso
per
noi
che
filosofiamo
oggi,
dove
per
"avere
un
senso"
si
intende
"riferirsi
ad
una
realt"
che
a
tale
nozione
corrisponde[21].
La
domanda
del
tutto
legittima
in
quanto
tra
la
metafisica
tradizionale,
la
quale
insegna
che
abbiamo
un'anima
distinta
dal
corpo,
spirituale,
semplice,
identica
a
se
stessa
attraverso
il
tempo,
non
caduca
ecc.,
tra
questa
metafisica
che
Henry
definisce
"rassicurante"
e
noi
che
filosofiamo
oggi
si
situa
la
critica
kantiana,
considerata
a
sua
volta
radicale
e
definitiva[22].
Anche
se
pu
sembrare
un'impresa
presuntuosa
e
sproporzionata,
se
si
vuole
ancora
oggi
continuare
a
parlare
di
"anima",
bisogna
effettuare
una
rigorosa
critica
della
critica
kantiana
del
paralogismo
della
psicologia
razionale,
una
operazione
che
il
Nostro
denomina
di
"distruzione
ontologica",
nel
senso
di
"mettere
a
nudo
le
strutture
dell'essere"
implicate
nel
paralogismo
stesso
e
nella
critica
kantiana.
Henry,
dopo
una
dettagliata
esposizione
del
pensiero
di
Kant
riguardo
all'anima,
propone
il
proprio
argomento
"distruttivo":
"L'argomento
di
questa
critica
sar
il
seguente:
la
struttura
dell'essere,
come
lo
comprende
Kant,
incompatibile
con
la
struttura
dell'essere
del
nostro
io.
Questa
struttura
dell'essere
dell'io
possiamo
chiamarla
l'essenza
dell'ipseit.
Se
il
nostro
ragionamento
vero,
allora
dovr
essere
possibile
dimostrare
due
cose:
da
una
parte
che
l'esperienza
interna
descritta
da
Kant,
di
fatto
incapace
di
consegnarci
il
nostro
io;
d'altra
parte
che
ogni
volta
che
Kant
parla
dell'io,
o
di
un
io
in
generale,
non
fa
che
presupporlo,
meramente
e
semplicemente,
come
non
fa
che
presupporre
l'essenza
dell'ipseit,
di
cui
non
rende
mai
conto,
e
che
non
eleva
mai
allo
stato
di
problema"[23].
L'analisi
serrata
della
critica
kantiana
mostra
l'indigenza
della
rappresentazione
dell'io
penso
in
ordine
al
problema
dell'anima,
in
quanto,
trattandosi
appunto
di
una
rappresentazione,
resta
situata
nella
sfera
dell'esteriorit,
ma
-
aggiunge
Henry
-
"l'essere
dell'io
non
pu
sorgere,
n
mostrarsi,
nel
cuore
dell'esteriorit"[24].
Per
poter
cogliere
l'essenza
dell'ipseit
si
dovr
far
ricorso
alla
dimensione
dell'interiorit
radicale,
nella
quale
solo
possibile
la
manifestazione
dell'essenza.
Nonostante
il
divieto
husserliano
rivolto
verso
l'interiorit
e
nonostante
i
pregiudizi
filosofici
presenti
nell'areopago
contemporaneo,
Henry
non
si
stanca
di
rimandare
a
questa
dimensione
fondamentale,
che
costituisce
peraltro
l'originalit
e
lo
specifico
della
sua
filosofia.
Cos
alla
critica
della
critica
kantiana,
il
Nostro
affianca
la
discussione
con
le
tesi
fondamentali
della
fenomenologia
del
corpo
di
Merleau-Ponty.
Sebbene
risulti
paradossale
legittimare
la
nozione
di
interiorit
radicale
e,
attraverso
questa,
la
nozione
di
anima,
far
appello
al
corpo,
Henry
intraprende
senza
esitazione
la
via
del
"corpo
soggettivo"
e
ad
essa
rigorosamente
si
attiene:
"Questo
paradosso
si
attenua
allorch
si
fa
strada
l'idea
di
un
corpo
soggettivo.
Allorch
il
corpo
interpretato,
in
effetti,
non
pi
nel
modo
ingenuo
ed
unilaterale
di
un
oggetto,
ma
anche
come
un
soggetto,
e
pu
essere
come
il
soggetto
autentico,
come
la
fonte
della
nostra
conoscenza
sensibile,
e
allorch
questa
conoscenza
sensibile,
a
sua
volta,
al
posto
di
essere
trattata
come
un
modo
inferiore
della
conoscenza,
compresa
come
la
sola
e
il
fondamento
di
ogni
conoscenza
possibile,
allora
l'analisi
del
corpo
cos
compreso
nella
sua
soggettivit
originaria
sembra
poterci
condurre
a
quell'interiorit
che
noi
cerchiamo"[25].
La
strada
rimane
tuttavia
preclusa,
qualora
con
Merleau-Ponty,
la
soggettivit
venga
intesa
nei
termini
dell'essere-nel-mondo
e
quindi
della
trascendenza.
Le
arcinote
descrizioni
dell'esistenza
26
27
senso
non
che
un'ombra,
una
larva
vagante
nell'Ade
della
metafisica
classica.
La
realt
del
"corpo
soggettivo"
consente
all'anima
di
uscire
da
questa
esistenza
vaga
ed
umbratile
per
comprendersi
come
autenticamente
reale.
La
dottrina
cristiana
del
corpo,
non
considerato
soltanto
come
un
modo
determinato
e
contingente
della
nostra
esperienza
storica,
ma
come
una
realt
ontologica
costitutiva
della
natura
umana,
comporta
una
serie
di
affermazioni
sorprendenti,
che
secondo
Henry
hanno
un
senso
solo
se
comprese
alla
luce
della
nozione
di
"corpo
soggettivo":
"Solo
se
il
nostro
corpo
,
nel
suo
essere
originario,
qualcosa
di
soggettivo,
le
brevi
allusioni
della
dogmatica
a
proposito
del
suo
destino
metafisico
possono
essere
altra
cosa
che
delle
concezioni
stravaganti.
Stravaganti,
in
effetti,
dovevano
necessariamente
sembrare,
agli
occhi
dei
Greci,
delle
affermazioni
come
quella
che
sostiene
la
resurrezione
del
corpo.
Ecco
perch
i
Corinzi
sghignazzavano
allorch
Paolo
pretendeva
di
non
riservare
all'anima
il
privilegio
di
questa
resurrezione.
chiaro
al
contrario
che
se
l'essere
originario
del
nostro
corpo
qualcosa
di
soggettivo,
esso
cade,
allo
stesso
titolo
della
nozione
di
"anima",
sotto
la
categoria
di
ci
che
suscettibile
di
essere
ripreso
e
di
essere
giudicato.
manifestamente
al
contenuto
della
teologia
cristiana
che
Rimbaud
ha
improntato
l'affermazione:
les
corps
seront
jugs"[29],
citazione
che
riecheggia
il
testo
dell'omelia
protocristiana
citato
all'inizio.
Mi
preme
ancora
ricordare
come
la
distinzione
fra
"corpo
oggettivo"
e
"corpo
soggettivo"
svolga
un
ruolo
importante
nella
elaborazione
di
una
antropologia
ispirata
all'ontologia
trinitaria
nell'opera
pi
ponderosa
di
Edith
Stein.
La
ripresa
dell'antropologia
trinitaria
di
stampo
patristico,
che
considera
l'essere
umano
finito
come
immagine
dell'Essere
eterno
trinitario,
se
da
un
lato
si
inquadra
nella
tradizione
origeniana
e
agostiniana,
nonch
bonaventuriana
pi
autentica,
d'altra
parte
include
dei
riferimenti
fecondi
alla
tematica
ad
esempio
del
corpo
soggettivo,
che
la
Stein
chiama
"corpo
vitale",
distinguendo
fra
Krper
e
Leib
ed
introducendo
cos
una
categoria
tipica
dell'ontologia
fenomenologica,
di
cui
certamente
debitrice,
ma
che,
per
tanti
versi,
richiama
il
senso
cristiano
della
corporeit
e
la
sua
valenza
personale
e
spirituale.
Il
quadro
gnoseologico
qui
dato
dalla
concezione
della
verit,
anch'essa
trinitariamente
strutturata,
secondo
le
dimensioni
logica,
ontologica
e
trascendentale.
La
dottrina
dell'anima
rimanda
alla
mistica
del
castello
interiore
e
ad
essa
di
fatto
si
ispira,
in
maniera
fin
troppo
esplicita:
L'anima
lo
"spazio"
al
centro
di
quella
totalit
composta
dal
corpo,
dalla
psiche
e
dallo
spirito;
in
quanto
anima
sensibile
(Sinnenseele)
abita
nel
corpo,
in
tutte
le
sue
menti
e
parti,
fecondata
da
esso,
agisce
dando
ad
esso
forma
e
conservandolo;
in
quanto
anima
spirituale
(Geistseele)
si
eleva
al
di
sopra
di
s,
guarda
al
mondo
posto
al
di
fuori
del
proprio
io
-
un
mondo
di
cose,
persone,
avvenimenti
-,
entra
in
contatto
intelligentemente
con
questo,
ed
da
esso
fecondata;
in
quanto
anima,
nel
senso
pi
proprio,
per,
abita
in
s,
in
essa
l'io
persona
di
casa.
Qui
si
raccoglie
tutto
ci
che
entra
provenendo
dal
mondo
sensibile
e
da
quello
spirituale,
e
qui
ha
luogo
la
disputa
interna
muovendo
dalla
quale
si
prende
posizione,
ricavandone
ci
che
diventer
pi
propriamente
personale,
la
componente
essenziale
del
proprio
io,
ci
che
(parlando
metaforicamente)
si
trasforma
in
carne
e
sangue.
L'anima
in
quanto
"castello
interiore",
come
l'ha
chiamata
la
nostra
santa
madre
Teresa,
non
puntiforme,
come
l'io
puro,
ma
uno
spazio,
un
castello
con
molte
abitazioni,
dove
l'io
si
pu
muovere
liberamente,
andando
ora
verso
l'esterno,
ora
ritirandosi
sempre
pi
verso
l'interno[30].
In
tempi
nei
quali
la
figura
dell'angelo
ritorna
e
richiama
l'interesse
dei
filosofi,
mentre
viene
quasi
del
tutto
dimenticata
dai
teologi,
leggere
la
pagine
dell'opera
della
Stein,
in
cui
si
delinea
una
vera
e
propria
angelologia
filosofico-teologica,
pu
addirittura
risultare
di
sconcertante
attualit.
Conclusioni
28
Uno
sviluppo
speculativo
importante
dell'affermazione
paolina
secondo
cui
o
psa
srx
at
srx
pensiamo
possa
avvenire
proprio
a
partire
dalla
nozione
di
"corpo
soggettivo"
sopra
esposta,
senza
tuttavia
dimenticare
le
fondamentali
acquisizioni
del
pensiero
tomistico,
che
restano
punto
imprescindibile
per
il
pensiero
cristiano.
Il
contesto
o
areopago
culturale
contemporaneo
presenta
infatti
delle
interessanti
analogie
col
periodo
della
prima
evangelizzazione,
oggi
come
allora
la
tentazione
gnostica
sembra
incombere
sulla
fede
e
connotare
le
variegate
forme
del
cosiddetto
ritorno
del
sacro.
Oggi
come
allora
il
richiamo
alla
martura-testimonianza
ci
sembra
particolarmente
prezioso
e
decisamente
significativo
in
un
contesto
in
cui
si
espone
sempre
pi
all'incomprensione
e
all'isolamento
chi,
con
energia
ed
evangelica
parresia
non
demorde
dal
compito
di
"custodire
la
carne
come
un
tempio
di
Dio".
29
[2]
Seconda
lettera
di
san
Clemente
ai
Corinti,
in
I
Padri
apostolici,
trad.,
intr.
e
note
di
G.
Corti,
Citt
Nuova,
Roma
19713,
230.
[3]
R.
Kurt,
La
Gnosi.
Natura
e
storia
di
una
religione
tardoantica,
Paideia,
Brescia
2000,
249.
[4]
DS
2.
[5]
La
prima
lettera
ai
Corinzi,
introd.,
versione
e
commento
di
G.
Barbaglio,
Dehoniane,
Bologna
1995,
855.
[6]
Cf
tra
l'altro
H.
Kessler,
La
risurrezione
di
Ges
Cristo.
Uno
studio
biblico,
teologico-
fondamentale
e
sistematico,
Queriniana,
Brescia
1999.
[7]
"I
cristiani
non
si
distinguono
dagli
altri
uomini
n
per
territorio,
n
per
lingua,
n
per
costumi.
Non
abitano
citt
proprie,
n
usano
un
gergo
particolare,
n
conducono
uno
speciale
genere
di
vita.
La
loro
dottrina
non
la
scoperta
del
pensiero
e
della
ricerca
di
qualche
genio
umano,
n
aderiscono
a
correnti
filosofiche,
come
fanno
gli
altri.
Ma,
pur
vivendo
in
citt
greche
o
barbare
-
come
a
ciascuno
toccato
-
e
uniformandosi
alle
abitudini
del
luogo
nel
vestito,
nel
vitto
e
in
tutto
il
resto,
danno
l'esempio
di
una
vita
sociale
mirabile,
o
meglio
-
come
dicono
tutti
-
paradossale"
[Discorso
a
Diogneto,
in
I
Padri
apostolici,
cit.,
364-365].
[8]
Sar
proprio
facendo
leva
sul
realismo
dell'incarnazione
["Il
Figlio
di
Dio
divenne
veramente
uomo
per
salvare
l'uomo"
(Adversus
haereses
III,
18,7)]
e
adottando
una
prospettiva
storico-
salvifica
(okonoma)
che
il
grande
Ireneo
di
Lione
soprattutto
nell'AH
risponder
alla
tentazione
gnosticistica
e
alle
sue
diverse
espressioni,
fornendoci
allo
stesso
tempo
una
fonte
preziosa
per
la
conoscenza
di
questo
fenomeno
e
di
queste
dottrine.
[9]
Sul
tema
dell'antropologia
biblica
cf
tra
l'altro
L.
Scheffczyk,
L'uomo
moderno
di
fronte
alla
concezione
antropologica
della
Bibbia,
LDC,
Leumann
1970,
W.
Mork,
Linee
di
antropologia
biblica,
Esperienze,
Fossano
1971
e
G.
De
Gennaro,L'antropologia
biblica,
Dehoniane,
Napoli
1981.
[10]
Aurelius
Augustinus,
De
quantitate
animae
XIII,
in
PL
XXXII,
1048.
[17] Per tutta questa problematica in prospettiva tomista cf S. Vanni Rovighi, L'antropologia
30
philosophie
de
la
ralit.
II:
Une
philosophie
de
l'conomie,
Gallimard,
Paris
1976;
Gnalogie
de
la
psychanalyse.
Le
commencement
perdu,
PUF,
Paris
1985;
La
barbarie,
Grasset,
Paris
1987;
Voir
l'invisible.
Sur
Kandinsky,
Bourin,
Paris
1988;
Phnomnologie
matrielle,
PUF,
Paris
1990;
C'est
moi
la
vrit.
Pour
une
philosophie
du
christianisme,
Paris
1996.
Articoli
e
saggi
di
carattere
filosofico:
"Le
bonheur
chez
Spinoza",
in
Revue
d'Histoire
de
la
Philosophie
39-40
(1944)
187-225;
41
(1946)
67-100;
"Le
concept
d'me
a-t-il
un
sens?",
in
Revue
philosophique
de
Louvain
64
(1966)
5-33;
"Introduction
la
pense
de
Marx",
in
Revue
philosophique
de
Louvain
67
(1969)
241-266;
"Forces
productives
et
subjectivit,
le
socialisme
selon
Marx",
in
Diogne
88
(1974)
95-
118;
"Le
concept
d'tre
comme
production",
in
Revue
philosophique
de
Louvain
73
(1975)
79-107;
"Phnomnologie
de
la
conscience,
Phnomnologie
de
la
vie",
in
Aa.
Vv.,
Sens
et
Existence.
En
hommage
Paul
Ricoeur,
du
Seuil,
Paris
1975,
138-151;
"La
mtamorphose
de
Daphn",
in
Les
tudes
philosophiques
32
(1977)
319-332;
"Qu'est
que
cela
que
nous
appellons
la
vie?",
inPhilosophiques
mai
(1978)
133-150;
"La
rationalit
selon
Marx",
in
Aa.
Vv.,
Rationality
today,
Univ.
Press,
Ottawa
1979,
116-135;
"Thodice
dans
la
perspective
d'une
phnomnologie
radicale",
in
Archivio
di
filosofia
56
(1988)
383-393;
"Acheminement
vers
la
question
de
Dieu:
preuve
de
l'tre
ou
prouve
de
la
vie",
in
Archivio
di
filosofia
58
(1990)
521-531;
"La
parole
de
Dieu:
un
approche
phnomnologique",
in
Archivio
di
filosofia
60
(1992)
157-163;
"Qu'est-ce
qu'une
Rvlation?",
in
Archivio
di
filosofia
62
(1994)
51-57.
Romanzi:
Le
jeune
officier,
Paris
1954;
L'amour
le
yeux
ferms,
Paris
1976;
Le
Fils
du
Roi,
Paris
1981
(tutti
editi
da
Gallimard).
Studi
su
Michel
Henry:
J.
Colette,
"L'essence
de
la
manifestation",
in
Revue
des
sciences
philosophiques
et
thologiques
51
(1967)
39-52;
P.
D.
Dognin,
"Le
Marx
de
Michel
Henry",
in
Revue
thomiste
4
(1977)
610-624;
A.
Dominguez,
Une
phnomnologie
de
l'intriorit.
La
philosophie
de
Michel
Henry.
Tesi
dottorale
difesa
nel
1968
presso
l'Universit
Cattolica
di
Lovanio
(non
pubblicata);
Id.,
"Michel
Henry,
un
filosofo
de
la
immanencia",
in
Pensamiento
34
(1978)
145-176;
G.
Dufour-Kowalska,
"Michel
Henry
lecteur
de
Matre
Eckhart",
in
Archives
de
philosophie
36
(1973)
603-624;
Id.,
"Marx
ou
l'anti-marxisme",
in
Contrepoint
22-23
(1976)
247-
249;
Id.,
Michel
Henry
au
miroir
de
Marx",
in
Critique
360
(1977)
489-504;
Id.,
"Un
concept
de
la
dialectique",
in
Revue
de
thologie
et
de
philosophie
4
(1977)
296-306;
Id.,
"Le
Marx
de
Michel
Henry
et
la
question
de
l'idologie",
in
Archives
de
philosophie
41
(1978)
641-657;
Id.,
Michel
Henry,
un
philosophe
de
la
vie
et
de
la
praxis,
Vrin,
Paris
1980;
J.
Lacroix,
"Un
philosophe
du
sentiment:
Michel
Henry",
in
Id.,
Panorama
de
la
philosophie
franaise
contemporaine,
PUF,
Paris
1966,
164-170;
G.
Lorizio,
"La
parousia
dell'Assoluto
nel
pensiero
di
Michel
Henry",
in
Id.(ed.),
Morte
e
sopravvivenza,
AVE,
Roma
1995,
73-106;
J.
L.
Petit,
Autour
du
Marx
de
Michel
Henry,
I:
Marx
et
l'ontologie
de
la
praxis",
in
Revue
de
Mtaphysique
et
de
Morale
82
(1977)
365-
385;
J.
Racette,
"La
philosophie
du
corps
de
Michel
Henry,
in
Dialogue
7
(1968-9)
391-409;
J.
Textier,
Autour
du
Marx
de
Michel
Henry,
II:
Marx
est-il
marxiste?,
in
Revue
de
Mtaphysique
et
de
Morale
82
(1977)
386-409;
X.
Tilliette,
"La
rvlation
de
l'essence.
Notes
sur
la
philosophie
de
Michel
Henry",
in
Aa.
Vv.,
Manifestation
et
Rvlation,
Beauchesne,
Paris
1976,
207-236;
Id.,
"Michel
Henry:
L'amour
les
yeux
ferms",
in
Revue
des
Deux-Mondes,
vol.
I
(1977)
505-508;
Id.,
"Corpo
oggettivo,
corpo
soggettivo",
in
Aa.
Vv.,
Il
corpo,
perch?
Saggi
sulla
struttura
corporea
della
persona,
Morcelliana,
Brescia
1979,
53-65;
Id.,
"Une
nouvelle
monadologie:
la
philosophie
de
Michel
Henry",
in
Gregorianum
61
(1980)
633-651;
Id.,
"Michel
Henry:
la
philosophie
de
la
vie",
in
Philosophie
15
(1987)
3-20;
G.
van
Riet,
"Une
nouvelle
ontologie
phnomnologique.
La
philosophie
de
Michel
Henry",
in
Revue
philosophique
de
Louvain
64
(1966)
436-457.
[19]
Cf
M.
Henry,
"La
thorie
de
l'ego
et
le
problme
de
l'me",
in
Id.,
Philosophie
et
phnomnologie
du
corps,
cit.,
50-70.
[20]
Id.,
"Le
concept
d'me
a-t-il
un
sens?",
cit.
31
[21]
Cf
ib.,
5.
[22]
La
tesi
kantiana
nota
e
viene
da
Henry
cos
riassunta:
"Ce
qui
est
constamment
affirm
travers
les
mandres
de
laDialectique
transcendentale,
c'est,
d'une
part,
que
l'tre
de
l'ego
ne
peut
tre
pos
partir
de
la
pense
pure
ni
par
elle,
et,
d'autre
part,
qu'il
ne
peut
pas
davantage
tre
saisi
tel
qu'il
est
en
soi.
Et
c'est
parce
que
l'me
dont
parle
la
mtaphysique
traditionelle
dsigne
en
fin
de
compte
cet
tre
rel
et
vritable
du
moi,
que
Kant
carte
son
concept"
(ib,,
6).
[23]
Ib.,
11.
32
LUKE
GORMALLY
LA
DIGNIT
UMANA:
IL
PUNTO
DI
VISTA
CRISTIANO
E
QUELLO
LAICISTA
1
INTRODUZIONE
Il
contrasto
da
discutere
in
questo
saggio
tra
la
classica
concezione
cristiana
della
dignit
umana
e
quella
tipicamente
laicista
pu
essere
brevemente
enunciata
come
segue.
Entrambe
asseriscono
che
agli
esseri
umani
pertiene
un
indiscutibile
valore.
Nella
concezione
cristiana
classica
tale
valore,
o
dignit,
pu
essere
definito
nei
modi
seguenti:
(1)
il
valore,
o
la
dignit,
che
gli
esseri
umani
possiedono
in
virt
della
loro
natura
creata,
una
dignit
che
insita
in
questa
natura,
e
che
come
tale
appartiene
a
tutti
gli
esseri
umani;
(2)
la
dignit
che
appartiene
a
quegli
esseri
umani
che
vivono
completamente
in
accordo
con
il
fine
o
l'intento
che
Dio
riserva
agli
esseri
umani;
infine
(3)
la
dignit
che
appartiene
alla
perfezione
della
vita
umana
in
paradiso.
Queste
potrebbero
essere
chiamate
(1)
dignit
ontologica
o
innata,
(2)
dignit
esistenziale
o
acquisita,
e
(3)
dignit
definitiva.
La
concezione
contemporanea
tipicamente
laicista
della
dignit
umana
nega
che
ci
sia
una
dignit
innata
che
attiene
agli
esseri
umani
in
quanto
tali,
nega
che
soltanto
alcune
disposizioni
o
scelte
(quelle
che
rispettano
la
verit
circa
il
bene
umano)
siano
coerenti
con
il
raggiungimento
della
dignit
esistenziale,
ma
afferma
che
la
dignit
esistenziale
collegata
all'esercizio
della
capacit
di
determinare
sia
ci
che
da
considerare
di
valore,
sia
il
modo
di
vivere
la
propria
vita.
Questo
saggio
delinea
lo
sviluppo
della
classica
concezione
cristiana
della
dignit
umana,
analizza
con
particolare
attenzione
ci
che
San
Tommaso
d'Aquino
ha
da
dire
sul
concetto
di
dignit,
individua
quali
elementi
cruciali
nella
concezione
di
Tommaso
sulla
vita
umana
(la
sua
antropologia)
sono
andati
successivamente
perduti
nella
tradizione
intellettuale
europea,
e
suggerisce
come
proprio
tali
perdite
concorrano
a
spiegare
l'emergere
della
concezione
moderna
della
dignit
umana.
La
concezione
moderna,
in
alcune
delle
sue
versioni
contemporanee
estreme,
presume
che
non
esista
una
cosa
come
la
verit
concernente
gli
elementi
importanti
del
bene
umano.
Il
saggio
si
chiude
con
una
brevissima
analisi
della
recente
risposta
del
Santo
Padre
alle
contemporanee
concezioni
laiciste
della
dignit
umana.
Nel
proporre
una
genealogia
della
comparsa
della
moderna
concezione
laicista
della
dignit
umana,
sono
consapevole
sia
di
quanto
approssimata
e
sommaria
la
trattazione
offerta,
sia
delle
lacune
che
necessiterebbero
d'essere
colmate
in
un
resoconto
pi
dettagliato.
L'omissione
maggiore
un'analisi
particolareggiata
del
carattere
mutevole
della
dottrina
della
volont
tra
d'Aquino
e
Kant.
La
mia
relazione
si
concentra
sulla
costituzione
fondamentale
degli
esseri
umani,
ed
in
particolare
sul
contrasto
tra,
da
una
parte,
una
concezione
unitaria
e
teleologica
degli
esseri
umani
e,
dall'altra,
un'antropologia
dualistica
in
cui
il
corpo
considerato
meccanicisticamente;
tale
contrasto
sicuramente
fondamentale
per
comprendere
il
fallimento
tipicamente
laicista
nel
riconoscere
l'innata
dignit
degli
esseri
umani.
Limiti
di
tempo
e
di
spazio
hanno
imposto
il
carattere
selettivo
di
quanto
segue.
IL
RETROTERRA
PAGANO
CLASSICO[2]
Nel
mondo
classico
non
c'era
una
base
religiosa
o
filosofica
per
l'idea
di
uguaglianza
nella
dignit
di
tutti
gli
esseri
umani.[3]
Nel
pensiero
non-cristiano
dell'antichit
si
possono
identificare
due
33
posizioni
relative
al
valore
della
vita
individuale
dell'uomo.
Quella
predominante
"semplicemente
asserisce
o
argomenta
che
per
qualsiasi
motivo
(p.es.
mancanza
di
nous)
gli
uomini
nascono
con
un
valore
disuguale
in
qualche
fondamentale
senso
di
"valore."[4]
L'altra
posizione,
minoritaria,
(presente
in
Epitteto
e
Plotino)
che
gli
esseri
imani
sono
nati
con
la
capacit
di
raggiungere
pari
valore
per
mezzo
dell'acquisizione
della
virt
e
dunque
godere
della
parit
di
spettanze
(o
'diritti'),
ma
"che
tali
diritti
sono
alienabili,
a
volte
in
toto,
e
che,
dunque,
potrebbe
verificarsi
che
alcuni
potrebbero
trovarsi
addirittura
nella
posizione
di
non
avere
diritto
alcuno."[5]
LO
SVILUPPO
DELLA
DOTTRINA
CRISTIANA
SULLA
DIGNIT
UMANA
"Creati
ad
immagine
dell'unico
Dio
e
ugualmente
dotati
di
anime
razionali,
tutti
gli
uomini
hanno
la
stessa
natura
e
la
stessa
origine.
Redenti
dal
sacrificio
di
Cristo,
tutti
sono
chiamati
a
partecipare
della
stessa
beatitudine
divina:
tutti,
pertanto,
godono
d'una
eguale
dignit."[6]
"L'uguaglianza
degli
uomini
si
basa
essenzialmente
sulla
loro
dignit
come
persona
e
sui
diritti
che
da
essa
scaturiscono...."[7]
In
queste
frasi
il
Catechismo
della
Chiesa
Cattolica
chiarisce
che
ci
sono
due
concetti
che
sono
stati
di
centrale
importanza
nello
sviluppo
della
dottrina
Cristiana
sulla
dignit
umana:
il
concetto
di
'immagine
di
Dio'
e
il
concetto
di
'persona'.
L'immagine
di
Dio
e
la
dignit
umana:
sviluppi
biblici,
patristici
e
medievali
del
tema[8]
Genesi
1,
26-27
e
5,
1
insegnano
che
gli
esseri
umani
furono
creati
ad
immagine
(tselem)
e
a
somiglianza
(demuth)
di
Dio.
L'immagine
associata
al
dominio
sulla
creazione
animale.
E'
evidente
che
l'immagine
permane
dopo
il
peccato
originale,
in
quanto
l'uomo,
essendo
ad
immagine
di
Dio,
la
ragione
della
proibizione
dell'assassinio
[Genesi
9,
6].
Nel
Nuovo
Testamento
di
Cristo
che
si
parla
come
"immagine
di
Dio
invisibile"
[Colossesi
1,
15].
Dall'interpretazione
di
questo
testo,
sono
derivate
due
distinte
concezioni
di
immagine
tra
i
Padri
della
Chiesa:
a)
c'era
chi
riteneva
che
l'umana
natura
di
Cristo
fosse
l'immagine
visibile
della
realt
divina
(Ireneo,
Tertulliano,
Mario
Vittorino).
b)
c'era
chi
reputava
che
solo
la
divinit
di
Cristo
potesse
essere
"l'invisibile
immagine
dell'invisibile
Dio"
(Origene):
Dio,
essendo
incorporeo,
non
pu
avere
un'immagine
corporea.
Questa
disputa
su
Cristo
collegata
alla
disputa
sul
senso
in
cui
l'uomo
imago
Dei:
da
una
parte
ci
sono
coloro
per
i
quali
l'immagine
nell'intero
uomo,
corpo
e
anima.
dall'altra
ci
sono
coloro
per
i
quali
l'immagine
risiede
solo
nell'anima.
Per
molti
Padri
della
Chiesa
solo
Cristo,
il
Figlio,
propriamente
detto
"immagine",
mentre
l'uomo
solamente
"ad
immagine"
(kat'
eikona).
Questo
essere
'ad
immagine'
costituisce
l'essenza
della
natura
umana.
Dal
momento
che
molti
dei
Padri
ritennero
che
Cristo
fosse
l'immagine
di
Dio
nella
sua
divinit,
non
nella
sua
umanit,
solo
l'anima,
o
piuttosto
ilnous
dell'uomo,
che
'ad
immagine'
di
Dio.
Il
corpo
partecipa
per
derivazione
alla
dignit
che
propriamente
appartiene
all'anima/nous.
Tra
i
Padri
emerge
una
distinzione
tra
'ad
immagine',
intesa
come
costituita
da
ci
che
l'uomo
nell'ordine
della
natura,
e
'a
somiglianza',
intesa
come
costituita
da
ci
che
l'uomo
riceve
nell'ordine
della
grazia.
Cos
Sant'Agostino
distingue
l'uomo
come
'capax
Dei'
in
virt
della
34
ragione,
dell'immortalit
e
della
conoscenza
naturale
di
Dio,
e
l'uomo
come
'particeps
Dei'
grazie
ai
doni
soprannaturali.
A
causa
della
forte
influenza
della
filosofia
Platonica
e
neo-Platonica
sulla
patristica,
particolarmente
rispetto
all'anima,
non
chiaro
se
ci
sia
un'intrinseca
dignit
per
la
vita
corporea.
Nel
periodo[9]
medievale
antecedente
a
d'Aquino,
a
causa
dell'ininterrotto
dominio
delle
influenze
filosofiche
Platoniche,
non
emersa
una
esauriente
spiegazione
del
modo
in
cui
il
corpo
umano
partecipasse
della
dignit
della
persona
umana.
D'Aquino
sulla
dignit,
'l'immagine
di
Dio'
e
la
persona
umana[10]
"La
'dignit'
denota
la
bont
di
qualcosa
per
se
stessa
(propter
se
ipsum)."[11]
I
due
concetti
di
'immagine
di
Dio'
e
'persona',
che
nel
Catechismo
abbiamo
notato
essere
concetti
chiave
per
la
comprensione
della
dignit
umana,
appaiono
chiaramente
avere
questa
funzione
in
San
Tommaso.
Qui,
in
successione,
riportiamo
la
sua
trattazione
di
entrambi,
nel
modo
in
cui
si
collegano
alla
concezione
della
dignit
umana.
L'immagine
di
Dio
La
sua
principale
trattazione
di
questo
concetto
in
relazione
all'uomo
nella
Summa
theologiae
I
q.
93.
Un'immagine,
dice
San
Tommaso,
una
somiglianza
significativa.
Nell'uomo
c'
una
somiglianza
con
Dio,
ma
non
una
somiglianza
perfetta
(ci
perch
la
Scrittura
dice
che
l'uomo
fatto
a
somiglianza
di
Dio:
hoc
significat
Scriptura,
cum
dicit
'hominem
factum
ad
imaginem
Dei'.
Praepositio
enim
'ad'
accessum
quemdam
significat,
qui
competit
rei
distanti.
Art.1)
Una
somiglianza
una
somiglianza
significativa
soltanto
se
contiene
quel
che
distintivo
di
ci
che
rappresenta.
Tra
le
creature,
solo
quelle
che
conoscono
e
comprendono
maggiormente
si
avvicinano
a
Dio
nella
somiglianza.
E
dunque
solo
le
creature
intellettuali
sono,
propriamente
parlando,
'ad
immagine
di
Dio'.
L'immagine
di
Dio
nell'uomo
imperfetta
ma
pu
essere
portata
a
perfezione.
Questo
possibile
in
quanto
1)
l'immagine
consiste,
in
prima
istanza,
nella
nostra
natura
intellettuale,
in
virt
della
quale
noi
siamo
dotati
dellacapacit
dinamica
di
sviluppare
le
abilit
necessarie
alla
conoscenza
e
l'amore
di
Dio;
2)
la
grazia
rende
possibile
nell'uomo
un'effettiva
o
consueta,
ma
certamente
non
perfetta,
conoscenza
di
Dio
e
del
suo
amore;
3)
possiamo
essere
portati
a
conoscere
ed
amare
Dio
perfettamente
in
paradiso
'dalla
somiglianza
della
gloria'.
Corrispondenti
ai
gradi
di
somiglianza
nell'immagine,
sono
i
gradi
di
dignit:
1)
la
naturale
dignit
dell'uomo
-
la
dignit
che
appartiene
alla
sua
natura
e
ai
suoi
poteri
naturali.
Questa
non
viene
mai
perduta.[12]
2)
La
dignit
di
coloro
che
vivono
rettamente,
i
'justi'.
3)
La
dignit
dei
benedetti
in
paradiso,
i
'beati'.
Questi
tre
livelli
corrispondono
a
ci
che
noi
abbiamo
chiamato
'innata'
(o
ontologica),
'acquisita'
(o
esistenziale)
e
'definitiva'
dignit.
Dal
nostro
punto
di
vista,
in
questo
saggio,
la
dignit
umana
che
pi
ci
interessa
la
prima,
la
naturale,
innata
dignit
dell'uomo,
la
dignit
che
appartiene
alla
35
sua
natura
e
alle
sue
facolt
naturali.
L'esplorazione
del
fondamento
di
questa
dignit
forse
maggiormente
accessibile
se
ci
rivolgiamo
al
secondo
concetto
chiave,
quello
di
'persona'.
La
Persona
Il
concetto
di
persona
implica
la
'dignit',
e
questo
il
motivo
per
cui
il
concetto
di
persona
valido
solo
per
individui
di
natura
intellettuale,
che
precisamente
ci
che
d
loro
la
dignit.[13]
Una
persona
'una
sostanza
individuale
di
natura
razionale'.
Gli
esseri
umani
sono
costituiti
come
sostanze
individuali
di
natura
razionale
in
virt
del
fatto
che
possiedono
anime
razionali.
L'anima
razionale
la
'forma
e
la
realt
persistente
tutta
la
vita"[14]
che
d
unit
dinamica
ai
complessi
organismi
materiali
quali
noi
siamo
e
all'espressione
delle
nostre
svariate
facolt
(vegetativa,
animale
e
intellettuale)
in
molteplici
attivit.
San
Tommaso
in
II
Sent.,
d.26,
q.1
a.4c
afferma:
"Dall'essenza
dell'anima
scaturiscono
facolt
che
sono
essenzialmente
differenti...
ma
che
sono
tutte
unite
nell'essenza
dell'anima,
come
in
una
radice."
Le
facolt
dell'anima,
nella
forma
di
capacit
fondamentali
non
completamente
sviluppate,
vengono
donate
a
ciascun
individuo
all'inizio
della
sua
esistenza.
Questo
il
fondamento
della
dignit
naturale
che
appartiene
ad
ogni
essere
umano.
Una
parte
importante
di
questa
dottrina
di
San
Tommaso
quella
inerente
all'unicit
della
forma
sostanziale.[15]
Una
delle
implicazioni
di
questa
dottrina
che
il
corpo
umano
partecipa
della
dignit
della
nostra
natura
razionale
nel
senso
che,
finch
siamo
corpi
umani
viventi,
la
nostra
corporeit
intrinseca
a
ci
che
ci
d
dignit
naturale.
Ma
tale
insegnamento
sulla
unicit
della
forma
sostanziale
di
fondamentale
importanza
anche
per
comprendere
ci
che
San
Tommaso
intende
quando
parla
della
nostra
capacit
di
controllo
(dominium)
sulle
nostre
azioni,
una
capacit
che
una
caratteristica
centrale
della
nostra
natura
razionale,
ed
essenziale
per
la
nostra
dignit
esistenziale
o
acquisita.[16]Perch
l'unicit
della
forma
umana
vuol
dire,
inter
alia,
che
l'impulso
e
il
bisogno
dei
sensi
non
sono
qualcosa
di
estraneo
alla
nostra
natura
sostanziale,
ma
(a)
sono
capaci
di
rivelare
i
beni
della
persona
umana
che
sono,
in
modo
riconoscibile,integrali
alla
realizzazione
umana,
e
(b)
per
quanto
il
desiderio
sensuale
sia
contrario
al
bene
dell'uomo,
tale
desiderio
trasformabile,
fondamentalmente
in
virt
della
nostra
razionalit,
attraverso
l'acquisizione
di
virt
morali.
Il
'dominium'
razionale
a
cui
siamo
chiamati
nella
nostra
condotta
di
vita
non
vuole
essere
una
forma
di
tirannia
esercitata
su
emozioni
e
sentimenti
essenzialmente
estranei,
ma
dovrebbe
portare
a
quella
integrazione
di
sentimento
ed
emozione,
attraverso
la
trasformazione,
che
favorisce
il
nostro
vivere
bene
con
la
speranza
di
giungere
a
quella
realizzazione
per
la
quale
Dio
ci
ha
creati.
La
vita
umana
ha
un
obiettivo
da
raggiungere,
e
pu
essere
condotta
ad
una
certa
unit
morale
dall'impegno
profuso
nel
raggiungimento
di
tale
obiettivo
[ci,
naturalmente,
non
pu
essere
ottenuto
senza
la
grazia].
Le
capacit
radicali
che
pertengono
all'essenza
dell'anima
umana
hanno
un
orientamento
teleologico
dinamico
volto
alla
nostra
realizzazione.
Vorrei
ora
proseguire
sostenendo
che
la
perdita
di
una
concezione,
unificata
e
teleologica,
della
vita
umana
una
parte
importante
della
spiegazione
relativa
alla
concezione
moderna
e
laicista
della
dignit
umana.
Far
questo
cercando
di
indicare
i
modi
in
cui
una
concezione
dualistica
della
vita
umana,
che
includa
una
concezione
meccanicista
del
corpo
umano,
hanno
influenzato
la
nascita
di
una
etica
kantiana,
e
come
le
concezioni
moderne
e
laiciste
della
dignit
umana
siano
derivate
da
Kant.
36
37
38
in
modo
da
ottenere
questi
scopi;
non
c'
nulla
di
intrinseco
alla
materia
di
cui
i
manufatti
sono
composti
che
rende
il
raggiungimento
di
questi
scopi
intrinseci
alla
materia.
La
concezione
teleologica
del
corpo
umano,
che
Cartesio
rifiuta,
afferma
che
il
corpo
umano
il
locus
di
una
vita
unificata
cos
che
la
totalit
di
quella
vita
plasmata
e
informata
da
una
dinamica
di
sviluppo
finalizzata
alla
realizzazione
dell'uomo.
Questo
sviluppo
dinamico
abbraccia
la
totalit
della
vita
umana
perch
tutte
le
parti
sono
informate
da
un
principio
di
vita
unificatore
-
l'anima
razionale.
La
dinamica
dello
sviluppo
diretta
alla
realizzazione
dell'uomo,
la
quale
include
tutti
gli
aspetti
dell'essere
umano:
un
buon
funzionamento
in
quanto
organismo
corporeo,
una
giusta
relazione
con
gli
altri
nella
giustizia
e
nell'amicizia,
il
bene
della
trasmissione
della
vita
umana
(nel
matrimonio),
la
progressiva
comprensione
della
verit
e
il
superamento
dell'errore
e
del
confondersi
nei
propri
pensieri,
una
giusta
relazione
con
Dio,
l'integrazione
delle
proprie
emozioni
cos
che
gradualmente
si
diventi
pi
prontamente
sensibili
all'autentico
bene
della
vita
umana
-
tutte
queste
sono
possibilit
da
realizzare
in
virt
della
dinamica
di
sviluppo
che
intrinseca
alla
nostra
natura
e
che
rende
i
nostri
corpi
non
accozzaglie
meccaniche,
ma
una
unit
che
pu
essere
informata
dall'orientamento
teleologico
della
nostra
razionalit
pratica.
Il
dualismo
e
il
meccanicismo
cartesiano
hanno
fondato
la
struttura
antropologica
di
molti
successivi
sviluppi
della
filosofia
moderna.
Risulta
subito
evidente
che
la
vita
corporale,
concepita
in
termini
meccanicistici,
ha
poco
in
comune
con
la
dignit
umana
che
la
dottrina
cristiana
classica
attribuisce
alla
vita
corporale
dell'uomo.
In
ci
che
segue,
vorrei
indicare
come
la
struttura
antropologica
cartesiana
abbia
influenzato
la
concezione
kantiana
della
dignit
umana
come
'autonomia',
e
in
che
modo
tale
interpretazione
dell'autonomia
sia
degenerata
nelle
concezioni
laiciste
contemporanee
della
dignit
e
dell'autonomia.
Kant
e
la
dignit
come
autonomia
Non
si
pu
comprendere
il
significato
della
'svolta'
kantiana
in
etica
senza
tener
conto
di
un'altra
conseguenza
dovuta
all'abbandono
di
una
concezione
teleologica
della
vita
umana.
La
forza,
e
dunque
entro
certi
limiti
l'autorit
della
morale
tradizionale,
viene
in
parte
spiegata
da
San
Tommaso
nel
distinguere
che
il
rifiuto
delle
norme
di
moralit
non
il
rifiuto
di
una
arbitraria
volont
divina,
ma
piuttosto
il
rifiuto
di
norme
il
cui
punto
consiste
nella
realizzazione
per
la
quale
noi
siamo
destinati
in
virt
della
natura
che
ci
stata
data.
Le
norme
sono
intrinsecamente
intelligibili
dai
riferimenti
al
fine
(telos)
per
il
quale
siamo
stati
creati
(e
redenti).
Agire
contrariamente
alle
norme
una
attivit
intrinsecamente
auto-frustrante;
agire
in
accordo
con
esse
intrinsecamente
razionale,
come
il
contribuire
alla
nostra
realizzazione.
Con
la
perdita
di
una
concezione
teleologica
unificata
della
vita
umana,
i
moderni
hanno
anche
perduto
la
loro
comprensione
dell'intelligibilit
delle
norme
morali,
che
esistono
proprio
al
fine
della
realizzazione.[19]
Questa
concezione
delle
norme
morali
fu
sostituita
in
primo
luogo
da
una
concezione
di
esse
che
le
interpretava
dotate
di
una
loro
forza
esclusivamente
in
virt
della
volont
Divina,
una
volont
che
non
era
pi
concepita
come
intelligibile
in
riferimento
alle
intenzioni
creative
di
Dio
manifestate
nella
nostra
natura.
Con
l'erosione
del
credo
in
un
Dio
provvido
e
l'emergere
del
Deismo,
si
sono
dovuti
trovare
altre
ragioni
per
rendere
intelligibile
la
forza
e
l'autorit
dei
principi
morali
tradizionali.
Questa
una
parte
centrale
del
compito
che
Kant
si
era
prefissato.
Il
passo
che
lui
comp
fu
di
dire
che
la
moralit
costituita
dall'esigenza
di
agire
in
rispetto
di
una
legge
morale
che
noi
stessi
creiamo.
Questa
l'idea
di
autonomia
cui
necessita,
nel
determinare
cosa
sia
la
legge
morale,
che
la
volont
non
debba
essere
costretta
da
nulla
di
estrinseco
alla
ragione
stessa.
E'
importante
39
rilevare
qui
una
conseguenza
fondamentale
del
meccanicismo
cartesiano,
nella
concezione
del
corpo,
per
la
formulazione
del
contenuto
della
legge
morale.
Dato
che
Kant
concepiva
il
corpo
umano
governato
da
leggi
meccaniciste
e
deterministiche,
non
consider
che
l'esperienza
corporale
e
il
desiderio
sensuale
potessero
essere
fonte
di
comprensione
profonda
del
bene
e
dei
valori
che
dovrebbero
governare
le
nostre
scelte
razionali.
L'esperienza
corporale
e
il
desiderio
finirono
nell'ambito
dell'eteronomo.
La
nostra
distintiva
costituzione
umana,
in
quanto
esseri
corporei,
non
attiene
alla
definizione
della
razionalit
che
dovremmo
esercitare
nella
condotta
della
nostra
vita.
Se
la
legge
morale
deve
avere
autorit,
deve
prendere
la
forma
di
imperativi
categorici
(non
ipotetici).
Ma
se
gli
imperativi
categorici
devono
essere
possibili,
devono
esserci
alcuni
principi
guida
che
ci
mostrino
in
che
modo
la
ragione
li
identifica.
Le
finalit
dell'azione
non
si
devono
trovare
in
nulla
di
estrinseco
alla
ragion
pratica
stessa.
"L'azione
razionale
deve
pertanto
fornire
i
suoi
stessi
fini.
L'essere
autonomo
sia
l'agente
sia
il
depositario
di
tutto
il
valore,
ed
esiste,
nelle
parole
di
Kant,
'come
un
fine
in
se
stesso'.
Se,
in
generale,
dobbiamo
avere
valori,
dobbiamo
apprezzare
(rispettare)
l'esistenza
e
gli
sforzi
degli
esseri
razionali.
In
tal
modo
l'autonomia
prescrive
i
suoi
stessi
limiti.
La
limitazione
della
nostra
libert
dovuta
al
fatto
che
dobbiamo
rispettare
la
libert
di
tutti:
in
quale
altro
modo
pu
la
nostra
libert
generare
leggi
universali?
Da
ci
segue
che
non
dobbiamo
mai
usare
un
altro
senza
considerare
la
sua
autonomia;
non
dobbiamo
mai
trattarlo
come
un
mezzo."[20]
Concludendo
queste
brevi
osservazioni
sulla
'svolta'
kantiana
in
etica,
tre
punti
devono
essere
tenuti
a
mente:
1.
i
suoi
presupposti
antropologici
non
consentono
considerazioni
sulla
nostra
costituzione
di
esseri
corporei
unificati
in
quanto
determinativi
dei
beni
e
dei
valori
che
dobbiamo
rispettare
e
onorare.
2.
rende
considerazioni
puramente
formali
determinative
di
ci
che
vincolante
per
noi;
in
una
versione
esse
sono
equivalenti
all'affermazione
che
il
test
di
ragionevolezza
cui
sottoporre
un'eventuale
'norma'
d'azione
quello
che
dovrebbe
rispettare
la
libert
di
tutti
gli
altri
agenti
razionali;
3.
il
sistema
morale
richiede
che
ogni
persona
legiferi
per
s.
Nella
considerazione
kantiana,
dunque,
la
dignit
attiene
all'agente
morale
autonomo
che
determina
la
legge
morale
per
se
stesso
nel
modo
che
Kant
propone.
Una
chiara
implicazione
di
tale
valutazione
che
coloro
i
quali
sono
privi
di
evolute
capacit
di
comprensione
e
scelta
necessarie
all'azione
morale
non
possono
possedere
dignit.
La
volgarizzazione
della
'autonomia'
Una
conseguenza
dell'interpretazione
meccanicista
del
corpo
umano,
un'interpretazione
andata
formandosi
sin
dal
diciannovesimo
secolo
attraverso
la
diffusa
credenza
secondo
cui
gli
esseri
umani
sono
prodotti
casuali
di
un
processo
evolutivo,
che
quei
valori
che
la
tradizione
cristiana
associa
in
particolar
modo
alla
vita
corporea
(come
la
vita
stessa,
e
la
trasmissione
della
vita
come
valore
che
governa
l'attivit
sessuale)
vengono
sempre
pi
ritenuti
privi
di
una
base
oggettiva
e
conseguentemente
vengono
assegnati
alla
sfera
della
scelta
privata
ed
autonoma.
La
'soggettivizzazione'
di
certe
aree
del
valore
un
fattore
assegnato
di
proposito,
da
un
numero
significativo
di
autori
moderni,
all'idea
di
'autonomia':
la
persona
autonoma
determina
non
solo
ci
che
deve
contare
come
legge
morale,
ma
ci
che
essa
deve
considerare
di
valore.
Lo
sfondo
di
molta
riflessione
contemporanea,
su
ci
che
renda
una
vita
umana
preziosa,
un
diffuso
agnosticismo
o
scetticismo
sull'ipotesi
che
esista
una
gamma
di
eterogenei
valori
di
base
che
40
siano
componenti
integrali,
per
cos
dire,
del
benessere
umano.
Presupposto
tale
agnosticismo
e
scetticismo,
una
persuasiva
risposta
alla
domanda
sul
valore
della
vita
umana
procede
come
segue:
la
tua
vita
ha
valore
nella
misura
in
cui
sei
nella
posizione
di
valutare
le
cose
e
consideri
le
cose
in
quanto
dotate
di
valore.
Ci
significa
che
se
non
possiedi
le
facolt
mentali
che
rendono
possibile
alle
cose
di
sembrare
di
valore
per
te,
allora
non
c'
modo
di
dare
conto
del
valore
della
tua
vita.
[21]
A
causa
di
ci
solo
un
limitato
gruppo
di
esseri
umani
da
ritenersi
in
possesso
di
dignit
umana
o
di
valore
-
e
dei
basilari
diritti
umani
che
accompagnano
il
riconoscimento
della
dignit
umana.
Sono
quegli
esseri
umani
che
possiedonocapacit
subito
esercitabili,
capacit
tipiche
degli
esseri
umani
sviluppati:
abilit
di
comprendere,
scegliere
e
comunicare
razionalmente.
Nei
circoli
anglo-americani,
i
filosofi
che
promuovono
questa
posizione
hanno
cominciato
a
riservare
il
termine
'persona'
a
quegli
esseri
umani
dotati
di
tali
abilit
sviluppate
ed
esercitabili.
L'affermazione
che
solo
questi
esseri
umani
sono
'persone'
dovrebbe
essere
visto
per
ci
che
:
una
condizione
ideata
per
sancire
una
particolare
valutazione
su
quali,
degli
esseri
umani,
hanno
dignit
e
godono
dei
diritti.[22]
E'
chiaro
che,
in
base
a
questa
visione
laicista
della
dignit
umana,
non
stato
difficile
giustificare
l'aborto,
la
sperimentazione
embrionale,
l'infanticidio,
l'eutanasia
volontaria
o
non-volontaria.
E'
opportunamente
chiamato
punto
di
vista
laicista
perch
non
riconosce
l'ordine
della
creazione
in
cui
le
intenzioni
del
Creatore
sono
percepibili
nei
beni
appropriati
alla
realizzazione
della
nostra
natura
umana
creata.
LA
REPLICA
DI
PAPA
GIOVANNI
PAOLO
II
ALLA
CONCEZIONE
LAICISTA
DELLA
DIGNIT
UMANA[23]
In
Evangelium
Vitae,
Papa
Giovanni
Paolo
II
sottolinea
che
"...
quando
viene
meno
il
senso
di
Dio,
anche
il
senso
dell'uomo
viene
minacciato
e
inquinato,
come
lapidariamente
afferma
il
Concilio
Vaticano
II:
'...
l'oblio
di
Dio
priva
di
luce
la
creatura
stessa'."[24]
La
conseguente
perdita
di
comprensione
si
manifesta
nell'incapacit
di
riconoscere
la
dignit
ontologica
e
in
una
falsa
concezione
della
dignit
esistenziale.
Il
Santo
Padre
identifica
come
radici
principali
delle
diffuse
violazioni
dei
diritti
umani
-
e
pertanto
della
dignit
umana
-
evidenziate
nell'aborto,
nell'eutanasia,
e
nei
programmi
di
controllo
della
popolazione,
"la
mentalit
che
...
riconosce
come
titolare
di
diritti
solo
chi
si
presenta
con
piena
o
almeno
incipiente
autonomia
...
e
la
logica
che
tende
a
identificare
la
dignit
personale
con
la
capacit
di
comunicazione
verbale
ed
esplicita,
o
almeno
percepibile."[25]
Qui
abbiamo
un
venir
meno
del
senso
della
dignit
ontologica.
Assieme
a
tale
perdita
viene
affermata
una
falsa
concezione
della
dignit
esistenziale:
"...
la
libert
rinnega
s
stessa,
si
autodistrugge
e
si
dispone
all'eliminazione
dell'altro
quando
non
riconosce
e
non
rispetta
pi
il
suo
costitutivo
legame
con
la
verit;
...
allora
la
persona
finisce
con
l'assumere
come
unico
e
indiscutibile
riferimento
per
le
proprie
scelte
non
pi
la
verit
sul
bene
e
sul
male,
ma
solo
la
sua
soggettiva
e
mutevole
opinione
o,
addirittura,
il
suo
egoistico
interesse
e
il
suo
capriccio."[26]
Due
anni
prima
dell'Evangelium
Vitae,
Giovanni
Paolo
II
aveva
criticato,
nell'enciclica
Veritatis
Splendor,
l'opinione
secondo
cui
ci
che
distintivo
in
una
persona
(e
costitutivo
della
dignit
propria
della
persona)
la
libert
che
"si
autoprogetta,
un
fenomeno
che
crea
se
stesso
e
i
suoi
valori."
Non
per
l'uomo
"determinare
liberamente
il
significato
del
proprio
comportamento".
41
"Una
libert
che
pretende
di
essere
assoluta
finisce
per
trattare
il
corpo
umano
come
un
dato
bruto,
sprovvisto
di
significati
e
di
valori
morali
finch
essa
non
l'abbia
investito
del
suo
progetto."[27]
Il
fondamento
per
il
rifiuto
di
questa
concezione
di
libert
la
verit
degli
insegnamenti
della
Chiesa
secondo
cui
"l'unit
dell'essere
umano,
la
cui
anima
razionale
per
se
et
essentialiter
la
forma
del
corpo.
L'anima
spirituale
e
immortale
il
principio
di
unit
dell'essere
umano,
ci
per
cui
esso
esiste
come
un
tutto
-
corpore
et
anima
unus
-
in
quanto
persona."
A
motivo
di
tale
unit
"ragione
e
libera
volont
sono
legate
a
tutte
le
facolt
corporee
e
sensibili".[28]
Il
corpo
condivide
la
fondamentale
dignit
propria
della
persona.
Inoltre,
le
predisposizioni
del
corpo
favoriscono
quei
beni
che
sono
gli
elementi
costitutivi
della
realizzazione
della
persona
umana.
La
nostra
natura,
in
quanto
persone
corporee,
impone
dei
limiti
circa
la
linea
di
condotta
prescelta
e
consona
alla
nostra
realizzazione
come
esseri
umani.
Pertanto,
la
nostra
natura
di
persone
corporee
impone
dei
limiti
su
ci
che
possiamo
considerare
scelte
adeguate
al
rispetto
della
dignit
umana.
La
dignit
essenziale
dipende
dal
rispetto
di
questi
limiti;
dipende,
si
potrebbe
dire,
dal
rispettare
la
realt
della
dignit
ontologica.
Qui
giungiamo
al
rifiuto
del
meccanicismo
cartesiano
e
dell'autonomia
kantiana,
le
idee
seminali
che
sono
al
centro
della
modernit
e
costituiscono
la
radice
intellettuale
delle
nostre
contemporanee
concezioni
laiciste
della
dignit
umana.
E'
chiaro
che
il
Santo
Padre
vede
il
recupero
di
una
adeguata
concezione
della
dignit
umana
come
dipendente,
almeno
in
parte,
da
un
recupero
di
una
concezione
dell'anima
razionale
come
unica
forma
sostanziale
del
corpo
umano
e
di
una
concezione
della
dinamica
teleologica
che,
di
conseguenza,
informa
la
nostra
esperienza
corporea.
Il
recupero
di
tale
concezione
di
fronte
alle
usuali
ipotesi
di
gran
parte
della
scienza
biologica
e,
pi
ampiamente,
della
cultura
prevalente,
un
vasto
ed
impegnativo
compito.
[1]
Ho
sostituito
il
termine
'laico'
con
'laicista'.
Una
visione
laica
pu
essere
quella
tipica
di
una
societ
laica,
ovverosia
una
societ
in
cui
l'autorit
politica
viene
esercitata
indipendentemente
dalla
autorit
religiosa
dato
che
ad
entrambe
si
riconoscono
distinti
ambiti
di
competenza.
Una
visione
laicista
quella
caratterizzata
da
una
struttura
mentale
in
cui
o
si
crede
che
Dio
non
esista,
o
che,
se
pure
esiste,
non
ha
nulla
a
che
vedere
con
le
questioni
umane,
o
che
l'interesse
di
Dio
vagamente
benevolo,
e
non
implica
nessuna
particolare
richiesta
il
cui
rifiuto
comporterebbe
una
radicale
e
potenzialmente
definitiva
alienazione
da
Lui.
Su
questo
tema
vedi,
in
breve,
GORMALLY
L.,
Catholic
Bioethics
in
a
secularised
society,
Priests
and
People
1997,
11,
413-417,
e,
pi
estesamente,
FINNIS
J.,
On
the
practical
meaning
ofsecularism.
Notre
Dame
Law
Review
1998,
73,
491-516.
[2]
Uno
studio
agile
e
sintetico
su
questo
tema
FERNGREN
G.
B.,
The
Imago
Dei
and
the
sanctity
of
life:
the
origins
of
an
idea,
in
McMILLAN
R.
C.,
ENGLEHARDT
H.
T.,
SPICKER
S.
F.
(a
cura
di),
Euthanasia
and
the
Newborn,
Dordrecht,
Reidel
1987,
23-45.
Pi
estesi
e
articolati:
den
BOER
W.,
Private
Morality
in
Greece
and
Rome:
Some
Historical
Aspects,Leiden,
E.
J.
Brill
1979;
RIST
J.
M.,
Human
Value:
A
Study
in
Ancient
Philosophical
Texts,
Leiden,
E
J
Brill
1982.
[3]
FERNGREN,
The
Imago
Dei,
op.
cit.,
p.34.
42
di
Dio'
in
FERGUSON
E.
(a
cura
di)
Encyclopedia
of
Early
Christianity,
II
ed.,
New
York,
Garland
1998
(di
J.
L.
Garrett)
e
in
di
BERARDINO
A.
(a
cura
di)
Encyclopedia
of
the
Early
Church
[tit.
orig.:
Dizionario
Patristico
e
di
Antichit
Cristiana]
Cambridge,
James
Clarke
1992
(di
Henri
Crouzel).
[9]
Ci
che
qui
viene
detto
sul
periodo
medievale
limitato
ad
una
singola
osservazione
sulla
condizione
della
vita
corporale
umana;
poco
pi
di
un
passaggio
di
collegamento
per
giungere
alla
trattazione
dell'Aquinate.
Il
tema
della
dignit
umana
riceve
una
ricca
e
vasta
trattazione
dai
teologi
monastici
e
dai
primi
scolasti.
Per
una
disamina
vedi
JAVELET
R.,
La
dignit
de
l'homme
dans
la
pense
du
XII
sicle,
in
HOLDEREGGER
A.,
IMBACH
R.,
SUAREZ
de
MIGUEL
R.,
(a
cura
di)
De
Dignitate
Hominis.
Melanges
offerts
a
Carlos-Josaphat
Pinto
de
Oliveira.
Fribourg/Freiburg
1987,
39-87;
vedi
anche
DALES
R.
C.,
A
Medieval
View
of
Human
Dignity,
Journal
of
the
History
of
Ideas
1977,
47,
557-72.
Nel
presente
saggio
non
faccio
riferimento
al
tema
centrale
del
contributo
di
Dales
sulla
dignit
dell'uomo
in
quanto
'microcosmo'.
Per
una
disamina
dettagliata
di
questo
tema
nella
prima
fase
della
Scolastica
vedi
McEVOY
J.,
The
Philosophy
of
Robert
Grosseteste,
Oxford,
Clarendon
Press
1982,
Capitolo
6:
'The
place
of
man
in
the
cosmos',
369-441.
[10]
Importanti
contributi
sull'argomento
sono:
PINCKAERS
S.,
La
dignit
de
l'homme
selon
Saint
Thomas
d'Aquin,
in
HOLDEREGGER
et
al.,
De
Dignitate
Hominis,
op.
cit.,
pp.
89-106;
FINNIS
J.,
Aquinas.
Moral,
Political
and
Legal
Theory,
Oxford:
Oxford
University
Press
1998,
176-180.
Sul
tema
della
'imago
Dei'
in
d'Aquino,
vedi
PELIKAN
J.,
'Imago
Dei.
An
Explication
of
Summa
theologiae,
Part
1,
Question
93',
in
A.
Parel
(a
cura
di)
Calgary
Aquinas
Studies
Toronto,
Pontifical
Institute
of
Medieval
Studies
1978:
27-48.
[11]
III
Sent.
d.
35,
q.
1,
a.
4,
sol.
lc.
[12]
Non
viene
distrutta
o
sminuita
dal
peccato:
"bonum
naturae
nec
tollitur
nec
diminuitur
per
peccatum".
Summa
theologiae
I
II
85,
1c.
[13]
I
Sent.
d.23,
1,
1:
"Hoc
nomen
'persona'
significat
substantiam
particularem,
prout
subjicitur
proprietati
quae
sonet
dignitatem,
et
similiter
'prosopon'
apud
Graecos;
et
ideo
'persona'
non
est
nisi
in
natura
intellectuali."
San
Tommaso
spiega
la
connessione
dell'idea
di
'dignit'
con
quella
di
'persona'
come
derivante
dal
fatto
che
gli
antichi
attori
teatrali
indossavano
maschere
per
rappresentare
personaggi
che
occupavano
alte
cariche
o
posizioni
di
rilievo
nella
loro
societ,
i
'dignitari'
come
si
direbbe
in
italiano.
Vedi
Summa
theologiae
I
q.29,
a.3,
ad
2.
[14]
FINNIS,
Aquinas,
op.
cit.,
p.178.
[15]
"L'opinione
di
d'Aquino
secondo
cui
c'
una
sola
forma
sostanziale
in
ogni
sostanza,
compresi
gli
esseri
umani,
fu
molto
contestata
anche
durante
la
sua
vita
e
dopo
la
sua
morte.
Uno
dei
principali
motivi
per
difendere
tale
punto
di
vista
il
seguente:
se
la
forma
sostanziale
comunica
l'esistenza
sostanziale
alla
materia
e
al
composto
forma-materia,
una
pluralit
di
forme
sostanziali
risulterebbe
in
una
pluralit
di
esistenze
sostanziali
e,
dunque,
minerebbe
l'unit
sostanziale
del
composto.
Se
la
prima
forma
sostanziale
desse
esistenza
sostanziale,
tutte
le
altre
forme
darebbero
solo
esseaccidentale.
Come
d'Aquino
asserisce
in
ST
Ia.
76,
se
un
essere
umano
deducesse
che
vive
grazie
ad
una
forma,
che
un
animale
grazie
ad
un'altra,
e
che
umano
grazie
ad
un'altra
ancora,
non
sarebbe
uno
nel
senso
pieno
del
termine."
WIPPEL
J.
F.,
Metaphysics,
in
43
KRETZMANN
N.,
STUMP
E.,
(a
cura
di)
The
Cambridge
Companion
to
Aquinas,
Cambridge,
Cambridge
University
Press
1993,
85-126,
spec.
pp.112-3.
[16]
'...
habent
dominium
sui
actus;
et
non
solum
aguntur,
sicut
alia,
sed
per
se
agunt.'
Summa
theologiae
I
q.29,
a.1c.
[17]
'Cogitatio',
nel
senso
di
Cartesio,
include
emozioni
e
sentimenti,
ed
anche
disposizioni
intellettuali
ed
atti.
[18]
Il
Riduzionismo
stato
certamente
molto
fecondo
come
principio
metodologico
per
lo
sviluppo
della
scienza
moderna.
Gli
scienziati
hanno
cercato
di
identificare
le
fondamentali
parti
costituenti
della
materia
e
di
scoprire
le
leggi
basilari
che
le
governano.
Questo
il
programma
del
micro-riduzionismo.
Combinazioni
pi
o
meno
complesse
di
parti
costituenti
fondamentali
-
come
le
molecole,
le
macromolecole,
le
cellule,
i
tessuti,
gli
organi
-
sono
concepite
come
riuscite
combinazioni
di
particelle
elementari,
unite
insieme,
per
cos
dire,
sfruttando
i
modi
in
cui
le
leggi
fondamentali
che
governano
le
parti
tengono
conto
di
tali
combinazioni.
Questo
stato
il
paradigma
dominante
nello
sviluppo
della
scienza
moderna,
incluse
le
scienza
mediche.
E'
stato
un
paradigma
fecondo.
Ci
ha
permesso
di
capire
molto
sul
funzionamento
del
corpo
umano:
i
sistemi
organici,
i
singoli
organi,
i
tessuti,
le
cellule,
i
cromosomi,
i
geni.
Attualmente
i
geni
sono
oggetto
di
intensi
programmi
di
ricerca
che
mirano
a
svelare
il
modo
in
cui
buona
parte
dello
sviluppo
umano
sia
pre-programmato
da
quelli
che
attualmente
supponiamo
siano
gli
elementi
base
dell'ereditariet
trasmessi
nei
gameti
(sperma
e
ovulo).
Ma
proprio
la
storia
della
genetica
utile
per
mostrare
l'inadeguatezza
del
riduzionismo.
E'
impossibile
capire
la
funzione
del
gene
senza
comprendere
le
complesse
dinamiche
della
cellula,
che
a
loro
volta
non
possono
essere
capite
senza
una
comprensione
delle
dinamiche
intra-cellulari,
che
a
loro
volta
non
possono
essere
comprese
senza
capire
il
ruolo
che,
diciamo,
gruppi
di
cellule
hanno
in
un
organo,
che
a
sua
volta
non
pu
essere
compreso
senza
far
riferimento
all'organismo
nel
suo
complesso.
Sulla
storia
dello
sviluppo
della
genetica
vedi
FOX
KELLER
E.,
The
Century
of
the
Gene,
Cambridge,
Mass.,
e
Londra,
Harvard
University
Press
2000.
[19]
Questo
viene
evidenziato
come
fattore
importante
nella
genealogia
della
contemporanea
situazione
morale
da
Alasdair
MacIntyre
nel
suo
After
Virtue,
II
ed.,
Notre
Dame,
University
of
Notre
Dame
Press
1984.
[20]
SCRUTON
R.,
Kant,
Oxford,
Oxford
University
Press
1982,
70.
[21]
Vedi
alcune
prove
documentarie
della
presenza
di
tale
posizione
negli
scritti
estremamente
convincenti
di
Mary
Warnock
e
Ronald
Dworkin,
nel
riferimento
presente
nella
nota
successiva.
Punti
di
vista
simili
si
possono
trovare,
ad
esempio,
in
Grant
Gillett,
Jonathan
Glover,
John
Harris,
Peter
Singer
ed
altri.
[22]
In
diverse
pubblicazioni
ho
sostenuto
che
l'interpretazione,
secondo
cui
solo
un
sotto-
gruppo
di
esseri
umani
possiede
la
dignit
necessaria
per
fruire
dei
diritti
umani
fondamentali,
incompatibile
con
le
nostre
pi
basilari
idee
di
giustizia
e,
in
quanto
tale,
non
ci
consente
di
stabilire
nessun
difendibile
parametro
di
giustizia
nei
rapporti
umani.
Tra
i
pi
recenti,
vedi
GORMALLY
L,
(a
cura
di)
Euthanasia,
Clinical
Practice
and
the
Law,
Londra,
The
Linacre
Centre
1994,
spec.
pp.118-126.
[23]
Questa
sezione
non
pu
sperare
di
rendere
giustizia
alla
ricca
trattazione
del
tema
sulla
dignit
umana
negli
scritti
di
Papa
Giovanni
Paolo
II.
Semplicemente
sintetizzo
a
grandi
linee,
ci
che
il
Santo
Padre
ha
da
dire
in
Evangelium
Vitaesulle
false
concezioni
della
libert
umana
(in
ci
che
si
ritiene
consista
la
dignit
umana)
che
si
trovano
alla
radice
di
diffuse
violazioni
contemporanee
dei
basilari
diritti
umani,
specialmente
il
diritto
alla
vita;
successivamente
44
propongo
una
breve
analisi
della
concezione
della
dignit
umana
che
il
Papa
invoca
in
Veritatis
Splendor,
nell'affrontare
tale
concetto
accolto
da
quei
teologi
morali
che,
influenzati
da
Kant,
propongono
un
'sistema
morale
autonomo'.
Ometto
qui
lo
sviluppo
nel
pensiero
di
Papa
Giovanni
Paolo
dell'idea
delle
specifiche
dignit
dell'
'essere
uomo'
e
dell'
'essere
donna',
che
egli
collega
al
tema
del
senso
nuziale
del
corpo.
Vedi
in
particolare
l'enciclica
Mulieris
Dignitatem.
[24]
Evangelium
Vitae
22,
con
citazioni
interne
tratte
dalla
Costituzione
Pastorale
sulla
Chiesa
nel
Mondo
Contemporaneo,
Gaudium
et
Spes
36.
[25]
Ibid.
19.
[26]
Ibid.
[27]
Veritatis
Splendor,
48.
[28]
Ibid.
45
MAURIZIO
FAGGIONI
LA
VITA
E
LE
FORME
DI
VITA.
RAPPORTO
FRA
BIOLOGIA
E
ANTROPOLOGIA
INTRODUZIONE
In
questo
intervento,
dopo
aver
esaminato
la
nozione
di
riduzionismo,
vedremo
le
conseguenze
della
prospettiva
riduzionista
applicata
allo
studio
del
fenomeno
vita
nelle
sue
forme
e
articolazioni
e
soprattutto
della
vita
umana.
Sulla
base
dell'antropologia
cristiana
cercheremo
quindi
di
superare
le
aporie
del
riduzionismo
e
di
comprendere
correttamente
il
senso
della
dimensione
biologica
e
il
valore
normativo
dei
dinamismi
biologici
alla
luce
del
mistero
integrale
della
persona.
L'
INCANTESIMO
IONICO
Secondo
le
opinioni
correnti,
l'universo
che
noi
conosciamo
avrebbe
avuto
inizio
circa
15
miliardi
di
anni
fa
a
partire
da
uno
stato
della
materia
caratterizzato
da
dimensioni
subnucleari
e
da
densit
e
temperatura
praticamente
infinite
che,
in
un
ipotetico
istante
primordiale,
sarebbe
andato
incontro
a
un
violento
moto
espansivo,
paragonabile
a
una
grande
esplosione
(big
bang)
la
quale
innesc
il
divenire
delle
cose
nella
loro
inesauribile
multiformit.
Da
allora
un
numero
sterminato
di
mondi,
di
galassie,
di
stelle,
di
pianeti
sorto,
si
sviluppato,
ha
compiuto
il
corso
del
suo
esistere
ed
scomparso.
Fu
cos
che
circa
4
miliardi
e
mezzo
di
anni
fa,
attorno
a
una
stella
che
noi
chiamiamo
Sole,
in
un
sistema
ai
margini
della
nostra
Galassia,
si
formato
un
piccolo
pianeta,
la
Terra.
In
esso,
circa
3
miliardi
e
mezzo
di
anni
fa,
particolari
situazioni
ambientali
venutesi
a
creare
nell'atmosfera
e
negli
immensi
oceani
primitivi
unite
-
secondo
alcuni
-
all'apporto
di
molecole
organiche
da
parte
di
comete,
condussero
alla
comparsa
dapprima
di
composti
organici
e
quindi
di
biopolimeri
e
infine,
dopo
innumerevoli
tentativi
ed
esperimenti
della
natura,
come
distaccandosi
con
un
sobbalzo
dal
livello
della
materia
inanimata,
prese
inizio
una
forma
di
esistenza
del
tutto
inedita,
la
materia
vivente[1].
Non
sappiamo
se
in
altre
parti
dell'universo
e
in
altri
tempi
si
siano
realizzate
le
fortunate
circostanze
necessarie
per
la
comparsa
della
vita,
ma
senza
dubbio
la
vita
terrestre
rappresenta
un
evento
raro
e
di
grande
interesse.
Le
singole
unit
viventi
si
presentano
infatti
dotate
di
qualit
stupefacenti,
prime
fra
tutte
la
autoregolazione
e
la
autoorganizzazione
che
si
esplicano
nelle
funzioni
caratteristiche
della
vita.
I
differenti
ecosistemi
terrestri,
l'avvicendarsi
delle
ere
geologiche,
la
lotta
senza
quartiere
per
la
sopravvivenza
e
la
riproduzione
agiscono
come
giudici
inesorabili
dell'attitudine
di
un
certo
organismo
a
occupare
uno
spazio
sul
pianeta.
Sotto
la
spinta
della
selezione
naturale
e
mossa
dal
desiderio
recondito
in
ogni
cellula
"di
diventare
due
cellule"
-
come
si
esprime
F.
Jacob
-
la
vita
fiorita
sulla
Terra
in
forme
sempre
cangianti,
sempre
pi
complesse,
sempre
pi
affascinanti[2].
Letta
in
chiave
evoluzionistica,
la
vita
ci
appare
quindi
come
un
fenomeno
fondamentalmente
omogeneo
che,
a
partire
dalle
prime
unit
viventi,
si
enormemente
diversificato
e
complessificato
e
anche
la
nostra
sottospecie,
Homo
sapiens
sapiens,
pur
presentando
tratti
e
caratteristiche
di
assoluta
originalit,
pu
essere
in
qualche
modo
inserita
in
questo
inesausto
flusso
vitale[3].
In
prospettiva
semplicemente
scientifica,
lo
studio
del
fenomeno
vita
nel
suo
complesso
e
della
vita
umana,
in
particolare,
senza
dubbio
esaltante
e
ricco
di
scoperte
entusiasmanti
che
-
si
spera
-
ci
porteranno
a
conoscenze
sempre
pi
sicure
sull'origine
della
vita,
sull'evoluzione
dei
46
viventi,
sul
loro
modo
di
funzionare
e
di
organizzarsi.
Esaminando,
tuttavia,
l'attitudine
che
guida
la
scienza
contemporanea
nello
studio
della
vita
umana
e
non
umana,
si
coglie
un
tratto
ricorrente
che
ne
costituisce
come
il
vizio
di
fondo
e
che
ne
predetermina
gli
sviluppi
e
gli
esiti
ed
l'opzione
metodologica
riduzionista
cui
si
accompagna
di
fatto,
anche
se
non
necessariamente,
una
opzione
ontologica
parimenti
riduzionista.
In
un
suo
volume
sulla
vita
e
l'unit
del
sapere,
E.
O.
Wilson
ha
indicato
nel
riduzionismo
una
delle
costanti
del
pensiero
occidentale
ed
ha
applicato
a
questa
tendenza
ipersemplificativa
il
concetto
einsteniano
di
incantesimo
ionico[4].
I
filosofi
ionici,
almeno
nella
presentazione
che
ne
fa
Aristotele
e
la
dossografia
greco-romana,
avevano
infatti
messo
al
centro
delle
loro
ricerche
filosofiche
la
questione
dell'arch
del
reale
e
c'
chi
ravvede
in
questo
tentativo
di
ricondurre
il
molteplice
ad
unum
il
movente
della
ricerca
filosofica
e
il
sogno
segreto
di
tutto
il
pensiero
filosofico
e
scientifico
occidentale[5].
Posizioni
eterogenee
come
il
rasoio
di
Ockham,
l'analisi
di
Condillac,
la
nosografia
del
linguaggio
scientifico
di
Wittgenstein
e
il
comportamentismo
di
Watson
sono
tutti
esempi
di
programmi
riduzionisti
cio
di
strategie
finalizzate
alla
semplificazione
del
sapere.
In
generale,
il
riduzionismo
una
forma
particolare
della
relazione
di
identit,
la
relazione
"nient'altro
che"
o
"nientaltrismo":
gli
A
infatti
possono
essere
ridotti
a
dei
B
solo
se
gli
A
non
sono
altro
che
dei
B[6].
Dal
punto
di
vista
logico,
la
riduzione
pu
essere
definita
come
la
assimilazione
di
una
classe
di
oggetti
a
un'altra
ovvero
la
trasformazione
di
un
certo
enunciato
in
un
altro
enunciato
equivalente
al
primo,
ma
pi
semplice
o
pi
preciso
e
quindi
tale
da
rivelare
la
falsit
o
la
verit
dell'enunciato
di
partenza.
Nella
riduzione
definitoria,
sia
concettuale
sia
proposizionale,
gli
enunciati
che
si
riferiscono
a
un
certo
tipo
di
entit
possono
essere
tradotti
senza
residui
in
altre
parole
o
enunciati
riferentesi
ad
entit
di
altro
tipo.
Cos
enunciati
relativi
ai
numeri
possono
essere
tradotti
o,
se
si
vuole,
ridotti
a
enunciati
relativi
ad
insiemi
di
numeri
e,
similmente,
enunciati
relativi
alla
casalinga
di
Voghera
possono
essere
ridotti
a
enunciati
specifici
intorno
a
quelle
donne
che
a
Voghera
fanno
le
casalinghe.
Nella
riduzione
proposizionale,
in
particolare,
il
valore
veritativo
delle
proposizioni
stesse
resta
invariato,
mentre
si
modifica
il
loro
contenuto
semantico.
Nella
riduzione
teorica,
una
teoria
viene
ridotta
a
un
caso
particolare
di
un'altra,
dimostrando
che
le
leggi
della
prima
possono
essere
dedotte,
mediante
precise
regole
di
corrispondenza
e
servendosi
di
opportuni
enunciati
passerella,
dalle
leggi
della
seconda[7].
Un
esempio
classico
dato
dalla
riduzione
delle
leggi
dei
gas
alle
pi
generali
leggi
della
termodinamica
o
da
quello
pi
complesso
della
riduzione
della
genetica
formale
alla
genetica
molecolare[8].
Dal
punto
di
vista
epistemologico,
il
riduzionismo
una
strategia
di
condensazione
dell'informazione
e
di
diminuzione
della
complessit.
Nella
sua
forma
tipica,
la
riduzione
ontologica,
il
riduzionismo
afferma
che
"oggetti
di
determinati
tipi
non
sono
altro
che
oggetti
di
altri
tipi:
ad
esempio,
che
le
sedie
non
sono
altro
che
collezioni
di
molecole"[9].
L'attitudine
riduzionista
vorrebbe
evitare
la
proliferazione
inutile
di
entit
che
vengono
postulate
in
virt
di
pure
costruzioni
logiche
o
metodologiche,
ma
spesso
tende
a
respingere
programmaticamente
tutti
i
concetti
che
si
riferiscono
a
entit
inosservabili[10].
Ogni
sistema
reale
viene
quindi
considerato
come
la
semplice
risultante
aggregativa
di
un
insieme
di
sottosistemi
che
lo
compongono
e
le
propriet
e
i
poteri
causali
di
un
ente
sono
spiegati
riconducendoli
alle
propriet
e
poteri
causali
di
enti
pi
semplici:
per
esempio
il
calore
di
una
sbarra
di
ferro
incandescente
non
presuppone
una
vis
calorifica,
ma
dipende
dall'energia
cinetica
media
delle
molecole
che
compongono
la
sbarra
stessa,
mentre
le
conseguenze
causali
tipiche
di
un
solido,
quali
la
resistenza
alla
pressione
e
l'impenetrabilit,
non
postulano
la
soliditascome
entit,
ma
rimandano
ai
poteri
causali
del
reticolo
in
cui
si
organizzano
le
molecole
di
ferro
nella
sbarra.
47
Riduzionismo
e
scienza
moderna
sembrano
fare
tutt'uno.
Per
la
scienza
positiva
del
XIX
secolo
e
ancor
pi
sistematicamente
per
i
neopositivisti
del
XX
secolo,
il
riduzionismo
rappresenta
una
tesi
epistemologica
cardinale
che
postula
un
ordine
gerarchico
delle
varie
discipline
scientifiche
a
partire
dalla
fisica,
considerata
prima
e
fondamentale;
alla
fisica
sono
subordinate,
in
ordine
di
importanza
decrescente,
la
chimica,
la
biologia,
la
psicologia
e
la
sociologia.
Tutti
i
termini
ed
i
concetti
di
una
qualunque
di
tali
discipline
sono
traducibili
nei
termini
e
nei
concetti
di
una
disciplina
pi
fondamentale,
mentre
il
contrario
non
possibile.
Nella
prospettiva
neopositivista
di
Carnap,
il
riduzionismo
si
propone
di
operare
una
discriminazione
fra
teorie
scientifiche
e
metafisiche,
costruendo
un
linguaggio
empirico
composto
da
enunciati
protocollari
o
da
osservazioni
alle
quali
sar
riconducibile
qualsiasi
enunciato
scientifico.
Questo
programma
riduzionista
presuppone
che,
al
di
l
della
autonomia
metodologica
delle
diverse
discipline,
si
dia
una
autentica
omogeneit
dei
saperi
e
postula,
come
esito
estremo,
l'unificazione
delle
scienze
nella
fisica
(fisicalismo).
La
psicologia
potr
essere
ridotta
alla
neurofisiologia,
la
biologia
alla
chimica
organica,
la
chimica
organica
a
quella
inorganica
e
questa,
a
sua
volta,
alla
fisica,
sino
a
pervenire
alla
massima
unificazione
e
semplificazione.
Prescindendo
dalla
precomprensione
antimetafisica
e
antispiritualista
implicata
in
diverse
espressioni
del
riduzionismo,
la
scienza
moderna
ha
provato
l'utilit
delle
regole
di
economia,
imposte
dal
riduzionismo
logico,
per
la
formalizzazione
e
assiomatizzazione
delle
teorie
scientifiche
nonch
l'enorme
potere
euristico
del
riduzionismo
epistemologico.
Ma
lecito
chiedersi
se
l'eleganza
formale
e
concettuale
della
riduzione
non
esponga
al
rischio
di
giungere
a
una
ipersemplificazione
artificiosa
dei
dati
che
sottace
e
occulta
le
specificit
irriducibili
di
alcuni
fenomeni.
Se
spesso
utile,
infatti,
considerare
certi
ordini
di
fenomeni
come
soggetti
alle
leggi,
meglio
stabilite
o
pi
precise,
di
un
altro
ordine
di
fenomeni,
ci
si
chiede
se
tale
riduzione
sia
sempre
possibile
e
rispettosa
della
complessit
del
reale
e
dei
suoi
livelli
di
emergenza
o
non
rappresenti
invece,
almeno
in
alcuni
casi,
un
oggettivo
impoverimento
del
sapere
e
un
ostacolo
ad
una
comprensione
autentica.
LA
VITA
E
LE
FORME
DELLA
VITA
La
tensione
fra
riduzionismo
e
antiriduzionismo
che
caratterizza
il
plurisecolare
dibattito
sulla
vita,
in
riferimento
soprattutto
alla
omogeneit
fra
mondo
organico
e
mondo
inorganico,
al
rapporto
fra
le
leggi
che
regolano
i
viventi
e
quelle
che
regolano
gli
oggetti
inanimati,
alla
possibilit
e
ai
modi
del
passaggio,
tanto
in
una
visione
statica
quanto
in
una
visione
evolutiva,
dalla
materia
inerte
a
quella
vivente,
si
espressa
classicamente
nelle
due
posizioni
denominate
meccanicismo
e
vitalismo[11].
Il
meccanicismo,
variamente
declinato
nel
tempo,
sostiene
la
piena
riducibilit
di
tutte
le
manifestazioni
della
vita
alle
forze
e
leggi
fisico-chimiche.
Dopo
il
meccanicismo
degli
antichi
atomisti
democritei
ed
epicurei,
il
fondatore
del
meccanicismo
moderno
considerato
R.
Cartesio
(1596-1650)
il
quale
volle
elaborare
una
spiegazione
meccanicista
dei
sistemi
viventi
nel
quadro
della
sua
visione
meccanicista
della
natura
e
si
sforz
pertanto
di
ricondurre
la
fisiologia
dei
viventi,
equiparati
ad
automi,
alla
meccanica:
Tutte
le
funzioni
che
ho
attribuite
a
questa
macchina
...
seguono
tutte
il
modo
naturale
...
dalla
sola
disposizione
dei
suoi
organi,
n
pi
e
n
meno
di
quanto
fanno
i
movimenti
di
un
orologio
o
altro
automa
in
seguito
a
quello
dei
suoi
contrappesi
e
delle
sue
ruote[12].
Il
concetto
di
animale-macchina
fu
ripreso,
in
contesto
materialista,
da
Hobbes,
dai
sensisti
francesi
del
'700,
da
molti
positivisti
ottocenteschi.
Le
posizioni
estreme
del
riduttivismo
contemporaneo
sono
riassunte
da
una
affermazione
del
Nobel
F.
Crick
secondo
il
quale
"lo
scopo
48
ultimo
che
si
prefigge
la
moderna
biologia
di
spiegare
tutta
la
biologia
nel
quadro
della
fisica
e
della
chimica"[13],
ma
il
riduzionismo
assume
oggi,
in
genere,
una
forma
alquanto
pi
sofisticata
dal
momento
che
molti
Autori
ammettono
che,
pur
essendo
i
corpi
viventi
costituiti
dagli
stessi
elementi
del
mondo
inorganico,
tuttavia
la
scienza
biologica
non
completamente
e
immediatamente
riducibile
nei
termini
delle
scienze
fisiche
in
senso
stretto[14].
Il
riduzionismo
biologico
si
caratterizza
infine
per
una
critica
radicale
ad
ogni
forma
di
finalismo
e
di
teleologia
immanente
agli
oggetti
naturali
viventi,
come
argomentato
nel
celebre
saggio
di
J.
Monod,
Le
hasard
et
la
ncessit,
secondo
il
quale
tutti
gli
organismo,
incluso
l'uomo,
sono
sistemi
prodotti
da
mutazioni
casuali
e
spiegabili
attraverso
principi
fisici
generali[15].
Il
finalismo
del
vivente
viene
ripreso,
in
qualche
misura,
nelle
teorie
cibernetiche
della
vita
che
assimilano
il
vivente
a
un
automa
capace
di
autoregolazione,
ma
anche
in
questo
caso
non
si
esce,
di
fatto,
da
una
visione
automatica
del
vivente
come
somma
di
parti[16].
I
vitalisti
di
ogni
tempo
sostengono
che
il
fenomeno
vita
in
s
irriducibile
alla
realt
inanimata
per
cui
ammettono
l'esistenza
di
leggi
proprie
dei
viventi
non
riconducibili
pienamente
alle
leggi
fisico-chimiche
e
perci
il
vitalismo
si
spesso
accompagnato
alla
negazione
della
possibilit
di
generazione
spontanea
ovvero
del
passaggio
dalla
materia
inerte
alla
vita.
Bench
la
dottrina
ilemorfica
sia
spesso
considerata
un
vitalismo,
a
rigore
dovrebbero
essere
indicate
come
vitaliste
solo
quelle
le
interpretazioni
del
fenomeno
vita
che
pongono
la
novit
del
vivente
rispetto
al
non
vivente
in
una
forza
o
principio
vitale
aggiunta
alla
materia,
per
cui
il
vivente
non
spiegabile
con
le
leggi
che
sono
valide
per
la
materia
stessa.
Furono
vitalisti
per
motivi
diversi,
talora
opposti,
grandi
scienziati
del
secolo
XVIII
e
XIX
come
G.
L.
Buffon
(1707-1788),
J.
B.
De
Lamarck
(1744-1829),
L.
Pasteur
(1822-1895)
e
soprattutto,
a
cavallo
fra
i
due
secoli,
H.
Driesch
(1876-
1941).
Driesch
defin
il
vitalismo
la
"dottrina
dell'autonomia
della
vita"
e
dall'autonomia
del
fenomeno
vita
rispetto
alla
fisica
e
alla
chimica,
egli
deduceva
l'autonomia
della
biologia
come
scienza
della
vita[17].
Ancora
nella
seconda
met
del
secolo
XX,
W.
M.
Elsasser
parlava
di
speciali
"leggi
biotoniche"
che
spiegherebbero
i
fenomeni
biologici
in
accordo
con
le
leggi
fisiche,
ma
a
queste
non
riducibili,
e
analogamente
M.
Polanyi
proponeva
per
i
viventi
principi
pi
elevati
addizionali
alle
leggi
della
fisica
e
della
chimica[18].
Le
critiche
che
si
possono
rivolgere
al
vitalismo
sono
due:
dal
punto
di
vista
del
metodo
scientifico
il
vitalismo
parte
dall'accettazione
precostituita
di
un'ignoranza
che
non
pu
essere
superata,
stante
il
carattere
inafferrabile
del
principio
vitale;
dal
punto
di
vista
metafisico
pone
un
dualismo
insanabile
fra
due
principi
eterogenei,
la
materia
e
il
principio
vitale,
appunto,
incorrendo
in
tutte
le
difficolt
tipiche
dei
dualismi
e
non
spiegando
la
propriet
pi
affascinante
dei
viventi
che
la
profonda
e
armoniosa
unit
organismica.
Forse
ha
ragione
E.
Cassirer
che,
a
ben
guardare
l'antagonismo
fra
meccanicismo
e
vitalismo
esprime,
pi
che
due
posizioni
irriducibili,
"uno
stato
particolare
di
oscillazione
di
metodi"[19],
ma,
in
ogni
caso,
sarebbe
illusorio
cercare
la
soluzione
dell'annoso
dibattito
in
sede
puramente
scientifica.
Il
termine
vita,
una
nozione
metafisica
perch
esprime
l'atto
di
essere
tipico
dei
viventi,
cos
come
corsa
termine
astratto
per
il
concreto
correre,
e
occorre,
perci,
in
via
preliminare
cercare
di
determinare
che
cosa
debba
intendersi,
in
senso
proprio
e
in
modo
adeguato,
cio
in
ambito
metafisico,
quando
si
parla
di
vita.
I
due
piani,
scientifico
e
metafisico,
se
si
mantengono
le
distinzioni
dai
diversi
gradi
del
sapere,
non
sono
necessariamente
rivali
e
in
contraddizione,
non
essendoci
contraddizione
fra
la
conoscenza
biologica
della
vita,
che
studia
e
definisce
le
specificit
dei
viventi
e
del
loro
operare,
e
la
conoscenza
metafisica
della
vita,
che
vede
la
vita
come
una
perfezione
trascendentale
dell'essere
di
una
classe
particolare
di
enti.
Scrive,
a
questo
proposito,
L.
Melina:
Non
si
tratta
certo
di
passare
dal
rigido
meccanicismo
del
razionalismo
positivista
ad
un
vitalismo
irrazionalista,
che
non
rispetta
la
legittima
distinzione
e
autonomia
metodologica
della
49
biologia
sperimentale.
Piuttosto
si
tratta
di
mostrare
come,
sulla
base
dell'integrale
rispetto
dei
risultati
della
scienza
sperimentale,
pu
sorgere
una
filosofia
dell'essere
vivente,
che
li
interpreta
nella
luce
sua
propria,
offrendo
in
tal
modo
alla
biologia
la
sua
giustificazione
razionale.
Cos
la
dimensione
fisico
chimica
non
rimarr
giustapposta
alla
dimensione
vitale
del
fenomeno
biologico,
ma
apparir
ordinata
ad
essa[20].
Questa
intima
articolazione
dei
diversi
piani
del
sapere
comporta,
d'altra
parte,
che
la
difficolt
di
dare
una
caratterizzazione
scientificamente
condivisa
del
fenomeno
vita,
anche
a
prescindere
dal
problema
se
la
vita
sia
riducibile
o
no
in
termini
materiali
di
tipo
fisico-chimico,
si
rifletta
nella
difficolt
di
dare
una
definizione
metafisicamente
ineccepibile
della
vita.
Dal
punto
di
vista
scientifico,
il
vivente
pu
essere
distinto
dal
non
vivente
per
la
sua
capacit
di
autoregolarsi
ed
autoorganizzarsi[21].
L'autoregolazione
permette
al
vivente
di
esistere
in
una
situazione
molto
speciale
dal
punto
di
vista
termodinamico,
caratterizzata
da
una
condizione
di
stabilit
lontana
dall'equilibrio[22].
L'autoregolazione
si
attua
attraverso
complesse
interazioni
di
organi
fra
loro
gerarchizzati
a
formare
l'organismo
vivente
che,
come
un
tutto,
regola
le
funzioni
degli
organi
stessi.
Per
giungere
a
una
definizione
metafisica
di
vita
che
tenga
nel
giusto
conto
questa
caratterizzazione
scientifica
utile
prendere
le
mosse
dalla
definizione
aristotelica
della
vita
come
"movimento
non
comunicato
e
immanente"[23].
Il
tipo
di
azione
propria
del
vivente
immanente
all'ente
stesso
e
si
esplica
come
la
capacit
di
autodeterminazione
parziale
(nei
viventi
non
umani)
o
totale
(nell'uomo)
della
propria
attivit[24].
Mentre
le
azioni
transeunti
hanno
per
termine
un
altro,
le
operazioni
immanenti
iniziano
e
terminano
nello
stesso
soggetto.
L'azione
immanente
una
forma
di
organizzazione
globale
e
autofinalizzata
delle
singole
azioni
transitive
o
modificazioni
fisico-chimiche
delle
parti
materiali
degli
organismi
viventi.
"La
nozione
scientifica
di
autoregolazione
-
scrive
a
tal
proposito
Basti
-
ai
suoi
diversi
livelli,
pu
fornire
una
buona
via
rendere
intelleggibile
al
moderno
la
nozione
metafisica
di
azione
immanente
come
tipica
delle
operazioni
organiche
...
ai
loro
diversi
gradi
di
complessit
(perfezione)"[25].
In
prospettiva
aristotelico-tomista,
la
forma
che
d
unit
a
tutte
le
parti
e
a
tutte
le
operazioni
del
singolo
ente
organico
e
che
dirige
l'organismo
verso
il
suo
autocompimento
la
forma
sostanziale,
il
principio
vitale
o
anima
di
quel
vivente[26].
Solo
l'interpretazione
ilemorfica
della
vita
riesce
a
evitare
le
aporie
del
meccanicismo
e
del
vitalismo:
contro
il
meccanicismo,
riesce,
in
primo
luogo,
a
rendere
conto
del
fatto
che
il
vivente
ha
una
capacit
di
generare
informazione
e
non
semplicemente
di
manipolare
quella
che
un
progettista
umano
inserisce
estrinsecamente
nella
macchina
e,
in
secondo
luogo,
riporta
l'evidente
unit
di
operazioni
del
vivente
all'insieme
piuttosto
che
alla
somma
delle
parti.
Contro
il
vitalismo,
supera
il
dualismo
tra
il
principio
vitale,
comunque
inteso,
e
le
funzioni
vitali,
essendo
evidente
che
il
principio
vitale
dipende
strettamente
da
queste.
Classicamente
si
riconoscono
nei
viventi
tre
tipi
di
azioni
immanenti:
operazioni
vegetative,
operazioni
senso-motorie,
operazioni
intellettive[27].
Le
operazioni
vegetative
(metabolismo,
accrescimento,
riproduzione)
sono
comuni
a
tutti
i
viventi
e
si
svolgono
in
modo
non
intenzionale,
secondo
una
forma
innata
e
costante.
Le
operazioni
senso-motorie,
comuni
a
tutti
gli
animali,
sono
non
intenzionali
e
possono
essere
modificate
quanto
a
esecuzione
e
a
forma.
Le
operazioni
intellettive,
tipiche
dell'uomo,
fanno
s
che
un
fine
volontariamente
perseguito
possa
modificare
sia
la
forma
sia
l'esecuzione
dell'azione
intenzionale.
Nell'ilemorfismo
il
passaggio
dalla
materia
inerte
alla
materia
vivente
e
da
un
livello
vitale
a
un
altro
comporta
un
salto
ontologico
e
quindi
l'azione
di
una
causalit
capace
di
operarlo.
Come
de
facto
si
sia
realizzato
nel
tempo
questo
salto
ontologico,
cio
se
mediante
un
intervento
diretto
del
Creatore
o
mediante
un
concorso
divino
operante
per
attraverso
le
cause
seconde,
non
pu
50
essere
stabilito
in
modo
apodittico[28].
Quello
che
importante
sottolineare
la
non
riducibilit
del
vegetale
all'animale
e
soprattutto
dell'umano
all'animale,
perch
la
natura
delle
operazioni
intellettive
(cognitive
e
deliberative)
richiede
la
possibilit
di
reflexio
o
reditio
completa
dell'anima
umana
e
implica
perci
la
sua
spiritualit.
Purtroppo,
quando
si
tratta
di
caratterizzare
la
vita
umana
rispetto
alla
vita
puramente
animale,
la
filosofia
e
la
scienza
moderna
-
come
vedremo
nel
prossimo
paragrafo
-
cadono
nel
riduzionismo
pi
mortificante
e
le
conseguenze
di
questa
non
comprensione
della
dignit
ontologica
e
assiologica
dell'uomo
sono,
come
si
pu
ben
immaginare,
devastanti.
ASPETTI
DEL
RIDUZIONISMO
ANTROPOLOGICO
La
sfida
del
riduzionismo
assume
toni
e
conseguenze
drammatiche
quando
si
pretende
programmaticamente
di
leggere
e
comprendere
una
realt
complessa
e
pluristratificata
come
quella
rappresentata
dal
fenomeno
umano
riconducendola
o,
meglio,
riducendola
a
realt
pi
semplici
e
ontologicamente
inferiori.
Nella
prospettiva
della
odierna
mentalit
secolarista
e
dell'invadente
riduzionismo
scientista,
l'uomo
viene
ridotto
al
suo
momento
biologico
e
anche
la
cultura
tende
ad
essere
risolta
in
natura,
cos
che
persino
l'etica,
la
religione,
l'arte,
i
valori
spirituali
sono
interpretati
in
chiave
puramente
biologica.
Si
tratta
di
una
visione
chiusa
alla
trascendenza,
sia
pure
nella
forma
di
autotrascendenza,
alla
quale
sfugge
completamente
il
senso
creaturale
della
vita
umana
e
la
sua
sacralit,
cio
l'eccedenza
ontologica
del
soggetto
umano
rispetto
agli
oggetti
naturali.
Alla
fine
il
riduzionismo
antropologico,
assunto
come
premessa
della
ricerca
e
orizzonte
di
pensabilit,
condiziona
gli
atteggiamenti
e
le
scelte
nei
confronti
delle
persone.
Le
radici
di
questo
modello
antropologico
sono
rintracciabili
nelle
tre
grandi
rivoluzioni
moderne
che
hanno
tanto
profondamente
ferito
il
narcisismo
dell'umanit:
la
rivoluzione
di
N.
Copernico
(1473-1543)
quella
di
C.
R.
Darwin
(1809-1882)
e
infine
quella
di
S.
Freud
(1856-
1939).
La
rivoluzione
cosmologica
di
Copernico
aveva
spodestato
l'uomo
dal
centro
dell'universo
e
aveva
fatto
della
sua
Terra
uno
dei
tanti
pianeti
intorno
al
Sole,
infrangendo
l'antica
persuasione
umana
di
occupare
un
posto
privilegiato
e
dominante
nel
cosmo.
L'illusione
di
conservare
tuttavia
un
primato
ontologico
sul
mondo
subumano
era
stata
dapprima
incrinata
da
Charles
Darwin
il
quale
aveva
mostrato
che
l'organismo
umano
non
solo
funziona
come
quello
delle
bestie,
ma
ha
stretti
rapporti
di
parentela
filogenetica
con
le
creature
subumane:
L'uomo
-
scrive
S.
Freud
-
cominci
a
porre
un
abisso
fra
il
loro
e
il
proprio
essere.
Disconobbe
ad
esse
la
ragione
e
si
attribu
un'anima
immortale,
appellandosi
ad
un'alta
origine
divina
che
gli
consentisse
di
spezzare
i
suoi
legami
col
mondo
animale.
Sappiamo
che
le
ricerche
di
Charles
Darwin
e
dei
suoi
collaboratori
e
predecessori
hanno
posto
fine,
poco
pi
di
mezzo
secolo
fa,
a
questa
presunzione
dell'uomo.
L'uomo
nulla
di
pi
,
e
nulla
di
meno,
dell'animale[29].
Ancor
pi
drasticamente,
infine,
Sigmund
Freud
ed
i
suoi
seguaci
hanno
messo
in
crisi
le
pretese
del
razionalismo,
svelando
gli
oscuri
sottofondi
dell'anima
umana
e
sforzandosi
di
dimostrare
che
l'uomo,
anche
in
ci
che
sembra
pi
squisitamente
umano,
il
suo
psichismo,
non
radicalmente
diverso
dalle
altre
creature
del
mondo
animale
di
cui
si
autoproclama,
a
torto,
signore
e
sovrano.
In
questo
orizzonte
il
progetto
umano
integrale
si
trova
a
dover
subire
le
sfide
di
visioni
antropologiche
fortemente
riduttive,
che
cercano
di
ricondurre
la
creature
umana,
nelle
sue
espressioni
pi
elevate,
alla
pura
biologicit.
51
52
relazioni
con
specifiche
operazioni
mentali,
sembra
confermare
una
precisa
localizzazione
cerebrale
di
eventi
psichici
quali
memoria,
volizione,
intellezione,
emozioni,
elaborazione
delle
sensazioni.
La
corrispondenza
fra
precisi
stati
mentali
e
modificazioni
funzionali
di
alcuni
gruppi
neuronali
o
di
intere
aree
cerebrali
conferma
la
precomprensione
riduzionistica
che
il
mentale
altro
non
sia
che
un
modo
per
indicare
l'effetto
delle
funzioni
neurofisiologiche[33].
Contro
coloro
che,
come
il
filosofo
D.
Chalmers[34],
parlano
del
rapporto
mente-cervello
come
di
hard
problem
e
postulano
una
irriducibilit
della
mente
a
qualcos'altro,
allo
stesso
modo
che
sono
irriducibili
le
categorie
di
spazio
e
di
tempo,
D.
Dennett
sostiene
che,
una
volta
risolto
i
soft
problems,
gli
aspetti
strutturali
e
funzionali
del
cervello,
avremo
risolto
anche
il
problema
della
coscienza[35].
Le
scoperte
sui
neuromediatori
e
sui
neuromodulatori
del
sistema
nervoso
centrale,
gli
effetti
sul
comportamento
e
sul
tono
dell'umore
di
svariate
sostanze
psicotrope,
gli
stessi
successi
della
psiconeurofarmacologia
su
patologie
mentali
finora
ribelli
a
qualsiasi
trattamento
psicoterapico
convergono
a
confermare
una
interpretazione
organicista
della
vita
psichica.
La
stessa
medicina
psicosomatica
sembra
aver
riscoperto
l'unit
pluristratificata
del
composto
umano,
ma,
a
ben
guardare
essa
non
altro
che
una
variante
del
generale
riduzionismo,
perch
riduce
la
persona
all'integrazione
di
soma
e
di
psiche,
intendendo
per
psiche
la
somma
dei
contenuti
mentali
consci
e
inconsci
e
non
certo
il
principio
immateriale
dell'esistenza
umana.
Si
potrebbe
obiettare
che
le
modificazioni
neurobiologiche
accadono
semplicemente
in
occasione
e
per
effetto
dei
processi
mentali,
ma,
con
rigorosa
applicazione
del
rasoio
riduzionista,
A.
Damasio
risponde
che
"i
processi
biologici
che
sembrano
semplicemente
corrispondere
a
processi
mentali,
in
realt
sono
i
processi
mentali:
non
sto
negando
l'esistenza
della
mente
o
affermando
che,
quando
avremo
conosciuto
tutto
ci
che
occorre
sapere
sulla
biologia,
la
mente
cesser
di
esistere.
Penso
semplicemente
che
la
mente,
sebbene
preziosa
e
unica,
sia
un'entit
biologica,
che
deve
essere
descritta
in
termini
biologici"[36].
Una
risposta
all'antimentalismo
che
caratterizza
molte
teorie
psicologiche
e
comportamentali
a
sfondo
neurofisiologico
data
dalle
sempre
risorgenti
teorie
dualiste.
Secondo
l'impostazione
dualista
la
mente
non
riducibile
al
cervello,
ma
una
sostanza
non
fisica,
tradizionalmente
detta
spirito
o
anima.
Esistono
diverse
versioni
del
dualismo
fra
le
quali
il
dualismo
emergentista,
come
quello
di
K.
R.
Popper,
e
il
dualismo
interazionista
neo-cartesiano,
come
quello
di
J.
C.
Eccles[37].
Si
tratta
di
posizioni
molto
variegate
e
complesse
che
qui
non
possiamo
certo
esaminare
in
dettaglio,
ma
contro
le
quali
vengono
sollevate
due
principali
difficolt:
se
la
mente
qualcosa
di
non
fisico,
ne
segue
che
non
occupa
una
posizione
nello
spazio
fisico
e
allora
riesce
difficile
capire
come
una
causa
non
fisica
possa
dare
un
effetto
comportamentale
che
ha
come
via
d'uscita
una
alterazione
fisica;
in
secondo
luogo
ci
si
chiede
come
il
non
fisico
possa
dar
luogo
ad
un
effetto
fisico
senza
violare
le
leggi
di
conservazione
della
massa,
dell'energia
e
della
quantit
di
moto,
senza
cio
che
si
abbia
una
produzione
di
energia
ex
nihilo.
La
risposta
del
neurobiologo
J.
C.
Eccles
e
del
fisico
R.
Penrose
che,
all'interno
dei
microtubuli
dei
neuroni,
i
moti
molecolari
implicati
nell'attivit
neuronale
devono
essere
immaginati
come
soggetti
in
alla
meccanica
quantistica
e
non
a
quella
classica[38].
In
altre
parole,
l'attivit
neuronale
non
risponde
al
determinismo
della
fisica
classica,
ma
all'indeterminismo
della
fisica
quantistica.
Bench
non
sembri
plausibile
cercare
di
spiegare
l'obscurum
per
obscurius,
tuttavia
affascinante
pensare
che
la
libert
e
la
creativit
della
persona
potrebbero
essere
riconnesse
al
principio
di
indeterminazione.
53
54
anatomo-fisiologiche.
Galeno
nel
II
secolo
d.
C.,
pensando
alla
mirabile
rete
idrica
dei
Romani,
paragon
il
sistema
nervoso
centrale
a
una
complicata
rete
di
acquedotti;
Descartes,
nel
XVI
secolo,
mentre
si
diffondeva
in
Europa
la
mania
degli
automi,
spieg
in
termini
meccanicistici
le
reazioni
nervose
dei
bruti;
i
medici
dell'800,
affascinati
dalle
scoperte
nel
campo
dell'energia
elettrica
e
del
suo
sfruttamento,
paragoneranno
il
sistema
nervoso
centrale
ad
una
grande
centrale
elettrica;
noi,
che
viviamo
immersi
nel
mondo
dei
computer,
amiamo
dare
una
spiegazione
cibernetica
del
funzionamento
della
mente.
Ovviamente
se
si
tratta
di
metafore
ed
analogie,
questo
procedimento
corretto
e
pu
servire
per
illuminare
questo
o
quell'aspetto
del
funzionamento
del
sistema
nervoso
centrale,
se
rispondono
alla
logica
nientaltrista,
diventano
letture
riduttive
e
parziali.
Dire
che
esiste
una
analogia
tra
il
funzionamento
del
cervello
umano
e
il
funzionamento
di
un
computer
del
tutto
legittimo,
mentre
invece
affermare
che
"il
cervello
umano
non
nient'altro
che
un
calcolatore"
riduttivo.
Le
scienze
cognitive
rischiano
certamente
di
cadere
in
una
forma
molto
raffinata
di
meccanicismo,
ma
la
situazione
cambia
se
passiamo
da
una
considerazione
banale
e
fisicista
del
cervello
computazionale
alla
considerazione
del
significato
informazionale
delle
reti
neurali.
In
questa
direzione
si
muove
Gianfranco
Basti,
filosofo
di
stretta
osservanza
tomista
ed
esperto
di
cibernetica,
il
quale
ha
compiuto
un
interessante
tentativo
di
porre
in
rapporto
il
tema
della
forma
corporis
con
quello
delle
neurali,
recuperando
l'idea
di
dispositio
e
soprattutto
recuperando
il
tema
scolastico
dell'intenzionalit
rispetto
a
quello
moderno
della
rappresentazione.
Non
si
tratta
quindi
di
creare
energia,
come
nel
dualismo
interazionista,
ma
di
produrre
informazione
e
la
mente
potrebbe
essere
descritta
come
una
forma
che
organizza
la
materia[44].
La
sfida
dell'evoluzionismo
La
teoria
dell'evoluzione
come
fu
proposta
da
Ch.
Darwin
nel
1859
,
pur
essendo
nata
come
semplice
ipotesi
biologica,
diventata
poco
a
poco
una
chiave
di
lettura
di
tutta
la
realt
ed
ha
sostituito
una
visione
rigida
e
statica
del
mondo
con
una
visione
dinamica
e
in
divenire,
allargandosi
ad
abbracciare
in
un
unico
movimento
evolutivo
il
cosmo
stesso.
La
teoria
della
evoluzione,
con
tutte
le
sue
ricadute
in
campo
sociale,
politico
ed
economico,
ispirate
soprattutto
alla
logica
della
sopravvivenza
del
pi
adatto,
e
con
la
sua
carica
eversiva
verso
antiche
istituzioni
e
credenze
pi
che
una
teoria
scientifica:
essa
una
vera
e
propria
metanarrazione
tipica
della
modernit
e,
come
tale,
si
presta
ad
essere
strumentalizzata
e
piegata
verso
usi
ideologici
extrascientifici.
Una
delle
grandi
sfide
dell'evoluzionismo
al
progetto
umano
e
motivo
permanente
di
scandalo,
sta
nella
affermazione
della
continuit
fra
uomo
e
animali.
Collocata
in
un
orizzonte
empirista,
questa
affermazione,
trapassa
facilmente
dallacontinuit
biologica,
che
pu
essere
verificata
o
falsificata,
alla
continuit
ontologica
che,
essendo
un
asserto
metafisico
non
verificabile
n
falsificabile
attraverso
prove
ed
esperimenti.
Tale
pretesa
continuit
va
contro
una
persuasione
profondamente
radicata
nell'animo
umano.
I
nostri
antenati,
infatti,
nel
corso
della
evoluzione
della
nostra
specie,
hanno
sviluppato
una
crescente
consapevolezza
del
loro
essere,
una
autocoscienza
che
li
faceva
cogliere
a
se
stessi
come
soggetti
di
fronte
agli
oggetti
naturali.
Il
rapporto
uomo-animale
stato
segnato
sin
dagli
albori
dell'umanit
dalla
contrapposizione,
una
contrapposizione
nella
lotta
della
sopravvivenza
che
si
tradotta
nella
convinzione
di
una
ben
pi
profonda
e
insuperabile
contrapposizione
ontologica,
sul
piano
dell'essere.
Si
pu
dire
che
l'idea
di
uomo,
nel
pensiero
dell'Occidente,
costruita
in
contrapposizione
all'idea
di
animale:
umanit
e
animalit
appaiono
come
termini
di
una
polarit
irriducibile:
il
possesso
del
logos
e
55
l'uso,
quindi,
della
parola
e
della
ragione,
qualifica
l'uomo
e
segna
la
sua
distanza
incolmabile
dall'animale,
che
logos,
privo
di
favella
e
pertanto
di
razionalit[45].
Questa
idea
percorre
davvero
tutta
la
storia
culturale
dell'Occidente,
dall'antichit
greca,
attraverso
il
cristianesimo,
sino
alla
modernit.
Se
per
Aristotele
l'uomo
si
distacca
e
si
differenzia
dalla
sua
base
animale
perch
appunto
dotato
di
razionalit
(l'uomo
zon
logikn
o
animal
rationale),
la
fede
giudeo-cristiana
riconosce,
pur
nella
comune
origine
creaturale
e
terrestre,
l'incomparabile
superiorit
dell'uomo
sull'animale,
essendo
l'uomo
dotato
di
uno
spirito
vitale
che
lo
assomiglia,
come
divina
imago,
al
Signore
e
ne
giustifica
il
compito
dominativo
sulle
altre
creature[46].
Nella
concezione
scientifica
del
mondo
propria
della
modernit
non
c'
dubbio
che
l'animale
esista
per
il
servizio
e
il
benessere
dell'uomo
e
sar
il
meccanicismo
che
caratterizza
il
nascere
della
biologia
moderna
a
fornire
una
base
"scientifica"
allo
sfruttamento
animale[47].
Preparata
idealmente
da
antesignani
sette
e
ottocenteschi
e
sorretta
scientificamente
dagli
apporti
delle
scoperte
nel
campo
dell'evoluzione,
dell'etologia,
della
sociobiologia,
una
delle
novit
filosofiche
pi
significative
degli
ultimi
decenni
stato
l'emergere
della
cosiddetta
tematica
animalista.
La
filosofia
animalista
sottopone
ad
analisi
critica
le
categorie
di
umanit
e
animalit,
per
verificarne
la
consistenza
e
l'adeguatezza
teoretica
rispetto
agli
attuali
parametri
scientifici,
e
riflette
sulla
relazione
uomo/animale,
tradizionalmente
interpretata
in
termini
antinomici,
partendo
dall'assunto
opposto
che
cio
questa
antinomia
insostenibile
e
interrogandosi
sul
significato
di
natura
umana
o
razionale
in
quanto
opposta
a
natura
animale[48].
Un
tema
preso
di
mira
dai
filosofi
animalisti
per
mostrarne
l'insostenibilit
dal
punto
di
vista
scientifico
quella
dellacomplessit
mentale,
argomento
principe
tradizionalmente
usato
dai
sostenitori
di
una
prassi
di
esclusione
assoluta
degli
animali
dal
mondo
morale.
Nella
prospettiva
dell'antropologia
riduzionista
l'esse
appiattito
sul
bios
e
viene
negata
aprioristicamente
l'esistenza
di
realt
spirituali
nell'uomo,
per
cui
si
cerca
di
ricondurre
le
facolt
superiori
dell'uomo
(razionalit,
autocoscienza,
libert)
a
semplici
dinamismi
psichici.
Una
volta
esclusa
la
dimensione
spirituale
dell'uomo,
la
demarcazione
fra
umanit
e
non
umanit
o
animalit
diventa
evanescente.
Non
solo
infatti
la
nostra
vita
mentale
non
considerata
altro
che
un
effetto
dell'attivit
del
sistema
nervoso
centrale,
ma
si
pu
anche
scientificamente
dimostrare
che
essa
si
svolge
su
una
struttura
largamente
comune
alle
altre
specie:
i
dati
pi
recenti
offerti
dalla
neurofisiologia
comparata,
dimostrano
che
esiste
una
reale
somiglianza
e
continuit
delle
funzioni
neurofisiologiche
fondamentali
in
tutti
gli
animali
pluricellulari,
uomo
incluso,
e
che
le
somiglianze
crescono
-
come
intuibile
-
con
il
crescere
della
posizione
di
una
certa
specie
nella
scala
zoologica.
La
continuit
a
livello
delle
strutture
neurologiche
e
le
omogeneit
di
funzionamento,
fanno
pensare
che
debba
esistere
una
vera
continuit
anche
tra
le
funzioni
mentali
che
queste
strutture
e
funzioni
sottendono
e,
in
particolare,
si
pu
legittimamente
pensare
a
una
continuit
fra
sensibilit,
intelligenza,
autocoscienza
umana
e
sensibilit,
intelligenza,
autocoscienza
animale[49].
Non
esiste
perci
una
barriera
invalicabile
tra
umani
e
non
umani
e
diventa
possibile
confrontare
le
esperienze
psichiche
tra
specie
diverse
sulla
base
dell'accertata
similitudine
delle
propriet
fondamentali
dei
neuroni,
delle
sinapsi
e
dei
meccanismi
neuroendocrini.
La
visione
delle
relazioni
biologiche
e
ultimamente
ontologiche
fra
uomo
e
animali,
generata
dall'evoluzionismo
estremo
di
matrice
darwiniana,
ha
ricevuto
conferme
non
solo
dalla
paleontologia,
l'anatomia
comparata
e
la
genetica,
ma
anche
-
come
vedremo
pi
avanti
-
dall'etologia
che,
studiando
il
significato
del
comportamento,
delle
motivazioni,
della
comunicazione
degli
animali,
ha
cercato
di
evidenziarne
elementi
significativi
di
continuit
col
comportamento
umano
e
ha
portato
a
rafforzare,
di
conseguenza,
l'idea
dell'affinit
e
della
56
continuit
dell'uomo
con
le
altre
specie
animali.
Ne
consegue
un'antropologia
che
non
teme
di
umiliare
la
dignit
umana
nel
considerare
Homo
sapiens
sapiens
una
specie
fra
le
altre
e
un'etica
che,
negata
la
sacralit
della
vita
umana,
non
riesce
pi
a
cogliere
la
differenza
assiologica
fra
vita
umana
e
vita
animale[50].
La
posizione
della
teologia
cattolica
e
del
Magistero
sull'evoluzionismo
applicato
all'uomo
stata
molto
circospetta
e
non
questa
la
sede
per
entrare
nel
dettaglio[51].
Oggi,
superati,
mediante
un'accorta
purificazione
epistemologica,
i
pregiudizi
materialisti
e
immanentistici
presenti
nelle
versioni
correnti
dell'evoluzionismo
e
risolti,
mediante
una
ermeneutica
raffinata,
i
pi
ardui
ostacoli
antievoluzionistici
contenuti
nelle
fonti
della
Rivelazione,
resta
la
questione
davvero
fondamentale
di
comprendere
come
la
persona
umana,
nella
sua
unit
di
anima
e
di
corpo,
possa
emergere
da
realt
ontologicamente
inferiori.
Secondo
l'interpretazione
proposta
da
Karl
Rahner
-
che
resta
ancor
oggi
una
delle
letture
pi
penetranti
-
si
deve
pensare
a
un
autosuperamento
della
creatura
che
reso
possibile
attraverso
il
concorso
di
Dio
che
non
opera
accanto
all'operare
creaturale,
ma
che
causa
di
quello
stesso
operare[52].
Questa
visione
dell'uomo
e
dell'evoluzione
umana
che,
pur
rispettando
la
multidimensionalit
dell'uomo
e
la
distanza
ontologica
fra
la
realt
umana
e
non
umana,
ci
fa
tuttavia
sentire
parte
integrante
del
nostro
universo
materiale
risponde
a
un
bisogno
profondo
del
cuore
umano,
sempre
teso
fra
mondanit
e
trascendenza.
Gli
esseri
intelligenti
non
sono
frutto
di
pura
casualit
-
come
pretende
il
riduttivismo
biologico
-
ma
il
traguardo
del
divenire
del
cosmo.
Se
nella
lezione
di
Teilhard
de
Chardin
l'evoluzione
del
cosmo
e
dei
viventi
risponde
a
una
direzione
di
movimento
che
punta
al
traguardo
della
Noosfera
sino
al
punto
Omega[53],
secondo
i
fautori
del
cosiddetto
principio
antropico,
nella
sua
versione
forte,
il
cosmo
strutturato
fin
dall'inizio
in
modo
tale
da
ammettere
la
comparsa
nel
suo
seno,
a
un
qualche
stadio,
di
esseri
capaci
di
coglierne
l'intima
intelligibilit[54].
"Il
cosmo-
commenta
Saturnino
Muratore
-
inteso
come
un
grande
complicatissimo
laboratorio
che
sta
eseguendo
un
programma,
la
produzione
della
vita,
anzi,
della
vita
intelligente
...
Questo
insperato
recupero
dell'Anthropos
all'interno
di
una
lettura
scientifica
del
cosmo
rappresenta
un'autentica
svolta
nei
confronti
di
quella
rivoluzione
copernicana
che
aveva
dato
origine
alla
modernit
occidentale"[55].
La
sfida
della
genetica
Gli
stupefacenti
progressi
della
genetica,
la
scoperta
della
probabile
base
genetica
non
solo
dei
caratteri
fisici
ma
anche
delle
disposizioni
a
contrarre
malattie,
dei
tratti
temperamentali,
di
certe
inclinazioni
normali
e
devianti,
la
possibilit
di
leggere
il
programma
genetico
dell'uomo
e,
virtualmente,
di
ciascuno
di
noi,
la
prospettiva
di
poter
intervenire
e
manipolare
questo
stesso
programma
attraverso
l'ingegneria
genetica,
stanno
provocando
profonde
ripercussioni
nella
nostra
considerazione
dell'uomo,
delle
sue
scelte
e
dei
suoi
comportamenti.
La
biologia
sta
chiarendo
la
cascata
di
eventi
che
pu
spiegare
le
relazioni
fra
predisposizione
genetica
e
comportamenti.
I
geni
codificano
infatti
proteine
con
funzioni
diverse:
se
ci
sono
alterazioni
genetiche,
per
esempio,
nelle
proteine
che
costituiscono
i
recettori
implicati
nella
risposta
nervosa
o
che
sono
coinvolte
nella
metabolizzazione
dei
neuromediatori,
possono
aversi
turbe
psichiche
e
comportamentali
legate
all'alterato
equilibrio
dei
neuromediatori.
Nel
caso
della
tossicodipendenza,
per
esempio,
stato
provato
che
nel
causare
tale
condizione
concorrono
diversi
fattori
di
tipo
socio-culturale,
psicologico
e
biologico
che
interagiscono
fra
loro
secondo
modalit
non
ancora
pienamente
chiarite.
Esistono
indizi
scientificamente
provati,
bench
di
significato
ancora
piuttosto
incerto,
che
porterebbero
a
ipotizzare
l'esistenza
-
almeno
in
alcuni
soggetti
-
di
una
sorta
di
predisposizione
biologica
all'assunzione
di
droghe,
analogamente
a
quanto
stato
supposto
per
l'assunzione
di
alcool
negli
alcoolisti.
Tuttavia
la
57
58
forma
limitata
di
altruismo
a
livello
dei
singoli
animali"[61].
Egli
d'altra
parte
ben
conscio
che
"una
societ
umana
basata
soltanto
sulla
legge
del
gene,
una
legge
di
spietato
egoismo,
sarebbe
una
societ
molto
brutta
in
cui
vivere"[62].
Per
fortuna,
per,
anche
se
la
natura
biologica
non
sempre
ci
aiuta,
la
nostra
specie
pu
cercare
di
opporsi
ai
disegni
dei
geni
egoisti.
Infatti,
accanto
ai
replicatori
naturali,
i
geni,
sono
apparsi,
con
l'uomo,
replicatori
culturali,
detti
da
Dawkins
memi
o
unit
di
imitazione
assunte
per
apprendimento
(es.
parole,
teorie,
norme,
melodie
ecc)
la
cui
evoluzione
e
diffusione
pu
essersi
attuata
in
un
certo
modo
perch
vantaggioso
per
lui.
Forse
Aristotele
avr
soltanto
ancora
due
o
tre
dei
suoi
geni
in
viaggio
per
il
mondo,
ma
i
suoi
memi
sono
ancora
molto
diffusi
nell'umanit
e
continuano
a
influenzare
le
nostre
scelte,
giudizi,
comportamenti.
A
ben
guardare,
tuttavia,
gli
esseri
umani
diventano
cos
semplici
supporti
dei
memi,
come
prima
erano
stati
i
supporti
dei
geni
egoisti[63].
Una
delle
grandi
sfide
della
genetica
e
delle
discipline
che
ad
essa
si
appellano
sta
in
questa
riduzione
di
tutto
l'agire
umano
alle
leggi
del
vantaggio
selettivo
sia
esso
popolazionistico
o
individuale
e
quindi
nella
difficolt
di
spiegare
come
la
libert,
cos
apprezzata
dai
nostri
contemporanei,
possa
emergere
e
sopravanzare
il
determinismo
del
gene
tiranno.
ANTROPOLOGIA
E
BIOLOGIA
Di
fronte
alle
sfide
del
riduzionismo
antropologico
la
filosofia
cristiana
afferma
la
differenza
dell'essere
umano
rispetto
ad
ogni
altro
essere
e
quindi
la
sua
eccellenza
assiologica,
come
si
legge
in
un
famoso
testo
di
Gaudium
et
Spes
dedicato
a
descrivere
i
costitutivi
dell'uomo:
Corpore
et
anima
unus,
homo
per
ipsam
suam
corporalem
condicionem
elementa
mundi
materialis
in
se
colligit
...
Homo
vero
non
fallitur,
cum
se
rebus
corporalibus
superiorem
agnoscit
...
Interioritate
enim
sua
universitatem
rerum
excedit[64].
"L'uomo
uno
nel
corpo
e
nell'anima",
egli
uno
e
insieme
duale
perch,
in
quanto
unitas
multiplex,
totalit
unificata,
non
riducibile
n
alla
sua
biologicit
animale
n
alla
sua
razionalit.
Il
pensiero
cristiano,
sin
dai
primi
tentativi
di
pensare
la
fede
da
parte
dei
Padri,
ha
ritenuto
irrinunciabile
l'affermazione
dell'eccedenza
dell'uomo
rispetto
alla
sua
base
o
dimensione
o
componente
biologica
e
materiale
e
ha
trovato
conveniente
esprimere
questa
eccedenza
ricorrendo
al
theologoumenon
dell'anima.
La
parola
anima,
da
comprendersi
in
relazione
con
la
categoria
biblica
di
imago
Dei,
prima
ancora
che
rispondere
a
una
categoria
ontologica
definita,
lo
strumento
linguistico
appropriato
per
indicare
la
diversit
dell'uomo
e
la
sua
eccedenza
costitutiva
rispetto
allo
strato
animale.
Professare
l'esistenza
dell'anima
umana
quindi
un'affermazione
della
singolarit
dell'uomo
e
costituisce
un
creditum
che
solo
in
seconda
istanza
si
tematizza
razionalmente
in
uno
scitum.
L'eccedenza
ontologica
permetteva
alla
Tradizione
fondare
con
sicurezza
l'eccellenza
assiologica
dell'uomo
(sacralit
della
vita,
in
quanto
vita
di
persona,
anima
comeprincipium
agendi
e
ratio
essendi,
dignit
della
persona).
Giovanni
Paolo
II
nell'enciclica
Veritatis
splendor
insegna,
collocandosi
nell'orizzonte
della
filosofia
aristotelico-tomista,
che
"l'anima
spirituale
e
immortale
il
principio
di
unit
dell'essere
umano,
ci
per
cui
egli
esiste
come
un
tutto
-
"corpore
et
anima
unus"
-
in
quanto
persona.
Queste
definizioni
non
indicano
solo
che
anche
il
corpo,
al
quale
promessa
la
risurrezione,
sar
partecipe
della
gloria;
esse
ricordano
altres
il
legame
della
ragione
e
della
libera
volont
con
tutte
le
facolt
corporee
e
sensibili"[65].
Non
si
pu
dire
che
l'uomo
possieda
un
corpo
od
uno
spirito
o
che
l'uomo
sia
uno
spirito
che
usa
un
corpo:
l'uomo
corporeo,
l'uomo
uno
spirito
incarnato.
Perci
il
suo
corpo
non
semplice
corpo
oggettuale
(Krper),
ma
corpo
di
una
persona,
corpo
vissuto
(Leib)
condizione
stessa
dell'esistere
personale
ed
epifania
della
persona
stessa
[66].
Il
rapporto
del
soggetto
umano
con
59
il
suo
corpo
complesso
e
non
pu
essere
descritto
in
modo
strumentale
o
possessivo,
secondo
una
lettura
oggettuale
della
formula
anima
utens
corpore,
per
neanche
la
formula
antropologica
secondo
la
quale
"
l'uomo
il
suo
corpo"
pu
essere
accettata
senza
spiegazioni.
"L'uomo
anche
pi
del
suo
corpo;
vivendolo
lo
trascende.
Questa
trascendenza
non
comporta,
almeno
nella
classica
visione
tomista
dell'uomo,
alcun
dualismo
di
anima
e
di
corpo:
l'essere
uomo
caratterizzato
da
una
specifica
"unitotalit".
Pur
sperimentando
una
certa
tensione
tra
queste
due
dimensioni
del
suo
esistere,
egli
sempre
e
insuperabilmente
unit
di
spirito
e
di
corpo,
in
ognuna
delle
sue
decisioni
e
delle
attivit
con
cui
realizza
se
stesso,
agisce
nel
mondo
e
comunica
con
gli
altri"[67].
Secondo
l'interpretazione
tomista,
che
in
questo
punto
molto
si
differenzia
dall'impostazione
genuinamente
aristotelica[68],
il
composto
umano,
come
ogni
altra
sostanza,
deriva
l'actus
essendi
dalla
sua
forma,
che
per
l'uomo
una
sostanza
spirituale,
l'anima,
a
sua
volta
attuata
da
un
atto
di
essere.
L'anima
riceve
l'esse
mediante
l'opera
creatrice
di
Dio
e
partecipa
il
suo
essere
al
corpo
o,
meglio,
riceve
il
corpo
nella
comunione
del
suo
stesso
atto
di
essere.
L'anima,
in
quanto
forma
sostanziale,
non
viene
ad
informare
un
corpo
di
per
s
individuato,
perch,
essendo
una
forma
in
senso
stretto,
essa
destinata
ad
informare
non
un
determinato
corpo,
ma
la
materia
prima.
"Cos
si
afferma
-
spiega
Karl
Rahner
-
che
ci
che
noi
chiamiamo
corpo
non
altro
che
l'attualit
dell'anima
stessa
nell'altro
della
materia
prima,
l'alterit
autooperata
dell'anima
stessa,
come
sua
espressione
e
simbolo"[69].
In
tal
modo
viene
salvaguardata
sia
la
originalit
ontologica
del
composto
umano
rispetto
ad
ogni
modalit
di
esistenza
creata,
sia
l'unit
del
composto
umano,
che
risulta
attuato
da
un
unico
atto
di
essere,
sia
infine
l'immortalit
dell'anima,
vale
a
dire
l'eccedenza
ontologica
della
persona
rispetto
alla
corruttibilit
legata
alla
mondanit
e
alla
temporalit.
Alcune
delle
pagine
pi
penetranti
sul
rapporto
fra
spirito-materia,
rapporto
che
soggiace
senza
identificarvisi
del
tutto
alle
discussioni
antropologiche
della
tradizione
filosofica
su
anima
e
corpo,
sono
state
scritte
da
K.
Rahner,
che
pi
volte
tornato
sull'argomento[70].
Egli
parte
da
una
analisi
ontologica
sulla
natura
del
simbolo
che
gli
permette
di
definire
il
corpo
come
un
simbolo,
una
espressione,
una
autoattuazione
dell'anima,
per
cui
ci
che
noi
diciamo
corpo
non
altro
che
l'attualit
dell'anima
stessa
nella
materia
prima,
materia
prima
che
viene
da
lui
identificata
con
la
vuota
spazio-temporalit;
"il
corpo
gi
spirito,
colto
nel
momento
in
quel
momento
dell'autoattuazione
in
cui
la
spiritualit
personale
perde
se
stessa
allo
scopo
di
poter
incontrare,
in
maniera
diretta
e
tangibile,
il
diverso
da
s"[71].
Dialetticamente,
quindi,
la
non
identit
dell'anima
e
del
corpo
(quella
che
potrebbe
dirsi
la
dualit),
dipende
in
ultima
analisi
dall'unit
di
spirito
e
di
materia
nell'uomo,
per
cui
la
materia
gi
spirito
e
lo
spirito
ha
la
materia
come
momento
costitutivo
intrinseco.
Nella
prospettiva
dell'unit
vigente
fra
spirito
e
materia
possibile
cogliere
il
senso
della
vita
corporea
per
la
persona
nella
sua
totalit.
La
struttura
biologica
fondamentale
della
persona
umana
,
al
pari
di
ogni
altro
vivente,
di
tipo
organismico.
Il
medium
fra
vita
personale
integralmente
presa
e
vita
biologica,
in
un'antropologia
realista
come
quella
cristiana,
dato
appunto
dalla
nozione
di
organismo
autoorganizzato
che
abbiamo
introdotto
parlando
della
vita
in
generale[72].
Dall'inizio
della
vita
organismica
di
ciascuna
unit
biologica
individuale
sino
alla
sua
disgregazione
irreversibile
in
quanto
unit
organizzata,
si
svolge
la
vita
della
persona[73].
In
un
organismo
complesso
come
quello
umano,
il
compito
di
mantenere
l'adeguata
unit
organizzativa
svolto
nelle
fasi
embrionali
dal
genoma
e
dai
sistemi
di
comunicazione
intercellulare,
cui
subentra
progressivamente
l'encefalo
(cervello,
tronco
e
cervelletto)
nonch
-
insieme
con
esso
e
in
via
gerarchicamente
subordinata
-
il
sistema
immunitario
e
il
sistema
endocrino.
Esiste
perci
una
piena
simmetria
fra
l'inizio
della
vita
al
concepimento,
con
la
comparsa
dell'unit
autorganizzata
dello
zigote,
e
la
fine
della
vita,
con
la
scomparsa
delle
unit
60
61
dell'individuum
subsistens.
Nello
stesso
tempo,
per,
il
personalismo
ontologico
riesce
a
cogliere
aspetti
pi
vasti
e
intimi
del
semplice
essere
umano
biologico
perch
intravede
nella
individualit
biologica
radicarsi
la
profondit
della
persona.
la
proposta
di
una
antropologia
integrale
che
comprende
e
insieme
trascende
il
semplice
livello
biologico,
superando
le
secche
del
riduzionismo
ed
aprendosi
ad
una
comprensione
adeguata
della
persona.
In
questo
modo
di
concepire
la
persona,
l'essere
umano
(assunto
in
senso
biologico)
indissociabile
dall'essere
persona(l'essere
umano
in
senso
metafisico)
nel
rispetto
delle
distinzioni
frai
diversi
livelli
o
strati
dell'esistente
concreto.
Si
pu
parlare,
con
P.
Prini,
di
un
personalismo
biologico
o
-
forse
meglio
-
ontobiologico,
in
cui
l'orizzonte
biologico
integrato
da
una
ontologia
relazionale
cos
che
"ci
che
costituisce
l'essenza
dell'uomo
come
persona
...
coestensivo,
nella
sua
vicenda
terrena,
all'intera
storia
del
suo
organismo
vitale"[80].
VALENZA
ETICA
DEI
DINAMISMI
BIOLOGICI
Una
conseguenza
importantissima
dell'unitotalit
della
persona
che
l'integrit
e
i
dinamismi
biologici
del
corpo
umano
non
sono
indifferenti
dal
punto
di
vista
etico.
In
base
all'antropologia
cristiana,
"le
inclinazioni
naturali
acquistano
rilevanza
morale
solo
in
quanto
esse
si
riferiscono
alla
persona
umana
e
alla
sua
realizzazione
autentica,
la
quale
d'altra
parte
pu
verificarsi
sempre
e
solo
nella
natura
umana"[81].
La
legge
naturale
di
cui
parla
la
teologia
cattolica
non
detta
naturale
in
riferimento
alla
natura
biologica
che
accomuna
l'uomo
con
gli
altri
viventi,
ma
in
riferimento
alla
natura
della
persona
umana,
"che
la
persona
stessa
nell'unit
di
anima
e
di
corpo,
nell'unit
delle
sue
inclinazioni
di
ordine
sia
spirituale
sia
biologico
e
di
tutte
le
altre
caratteristiche
specifiche
necessarie
al
perseguimento
del
suo
fine"[82].
La
norma
morale
si
fonda
ultimamente
sulla
persona,
perch
il
bene
da
perseguire
o
conservare
un
bonum
humanum,
il
bene
colto
dalla
persona
e
nella
persona
come
apertura
alla
piena
autorealizzazione.
Come
appare
chiaramente
in
tema
di
regolazione
artificiale
della
natalit
e
di
fecondazione
artificiale,
il
criterio
di
liceit
di
questi
e
di
altri
interventi
sulla
vita
dato
dalla
tutela
del
bene
umano
autentico
e
quindi
dalla
salvaguardia
dei
valori
umani
essenziali,
includendo
tra
questi
anche
i
valori
corporei
perch
"nell'uomo
non
possibile
scindere
il
biologico
dall'umano"[83].
Fermo
restando
questo
principio,
ci
si
chiede
tuttavia,
di
fronte
ad
alcune
tecnologie
innovative,
dove
finisca
un
legittimo
e
talvolta
doveroso
aiuto
alla
natura
(adiuvatio
naturae)
e
dove
inizi
una
inaccettabile
sostituzione
di
essa
(substitutio
naturae).
Gi
Platone,
nel
Protagora,
aveva
sottolineato
che
l'uomo,
essendo
la
creatura
pi
inerme
e
sprovvista
di
risorse
naturali,
ha
bisogno
di
sviluppare
la
sua
tchne[84],
che
dunque
da
ritenersi
conseguenza
dell'indigenza
dell'uomo,
ma
anche
espressione
della
sua
superiorit
ontologica
su
ogni
altra
creatura
terrestre.
In
linea
con
questa
tradizione
di
pensiero,
ma
con
la
consapevolezza
propria
dell'uomo
moderno,
Jos
Ortega
y
Gasset,
nella
Meditacin
de
la
tcnica,
indicava
nella
tecnica
il
mezzo
per
la
liberazione
dell'uomo
dai
vincoli
e
dalle
servit
naturali
e
per
il
dispiegarsi
delle
sue
infinite
possibilit.
Per
merito
della
tecnica
l'uomo
pu
occuparsi
di
se
stesso
e
dedicarsi
ad
una
serie
di
realizzazioni
non
biologiche,
che
non
sono
imposte
dalla
natura,
che
egli
inventa
per
s[85].
Innestandosi
sul
discorso
di
J.
Ortega
y
Gasset
e
di
P.
Alsberg[86],
A.
Gehlen
afferma
che
la
tecnica
necessaria
all'uomo
per
la
sue
stesse
carenze
biologiche,
perch
l'uomo
un
essere
carente
(Mngelwesen),
privo
di
una
forma
data
una
volta
per
tutte,
privo,
rispetto
agli
animali,
di
specializzazioni,
privo
di
un
ambiente
(Umwelt)
che
gli
sia
naturalmente
e
istintivamente
corrispondente[87].
L'uomo
naturalmente
un
essere
tecnico,
in
quanto
per
la
sua
natura
biologica
portato
a
modificare
il
mondo
(Welt)
che
trova
di
fronte
a
s,
secondo
una
sua
progettualit
e
secondo
i
suoi
bisogni
e
desideri.
Questa
plasticit
umana
nei
confronti
del
62
mondo,
questa
capacit
di
riorientarsi
e
ripensarsi,
permette
all'uomo
di
superare
la
sua
innata
incompiutezza
e,
appropriandosi
del
mondo,
appropriarsi
di
se
stesso.
Il
concetto
di
plasticit,
introdotto
da
Gehlen
in
aperta
polemica
con
l'antropologia
di
ispirazione
etologica
elaborata
da
K.
Lorenz,
non
si
sottrae
a
una
domanda
di
capitale
importanza
per
il
nostro
tema.
L'uomo,
sin
dagli
albori
della
sua
presenza
sulla
Terra,
ha
dimostrato
di
essere
la
creatura
pi
plasmabile
a
livello
comportamentale,
capace
di
adattarsi
a
situazioni
ambientali
nuove
e
a
lui
sfavorevoli,
modificando
opportunamente
le
sue
abitudini
e
intervenendo
con
tecniche
pi
o
meno
sofisticate
sull'ambiente
per
renderlo
pi
vivibile
e
sicuro.
Tale
sorprendente
capacit
di
immaginare,
progettare
e
rendere
diversi
da
come
sono
il
mondo
e
anche
se
stessi,
riconducibile
(ma
non
riducibile)
all'incredibile
plasticit
del
sistema
nervoso
centrale
umano,
costituisce
uno
dei
tratti
etologicamente
distintivi
dell'uomo
rispetto
agli
altri
animali,
al
punto
tale
che
ci
si
chiesti
se
l'uomo
abbia
una
natura
nel
senso
in
cui
la
possiedono
gli
altri
viventi,
o
se
la
sua
natura
sia
di
non
avere
una
natura
data,
ma
essere
la
creatura
sempre
in
fieri.
L'uomo,
afferma
J.
M.
Buchanan
in
sintonia
con
la
tradizione
empirista,
l'essere
che
capace
di
diventare
differente;
mentre
l'animale
naturale,
l'uomo
insieme
naturale
e
artificiale
(artifactual)
o,
meglio
un
animale
artificiale
legato
da
condizionamenti
naturali.
"Noi
-
egli
scrive
-
siamo
e
saremo,
almeno
in
parte,
quello
che
noi
faremo
essere
noi
stessi.
Noi
costruiamo
i
nostri
esseri,
anche
se
entro
limiti"[88].
I
limiti
entro
i
quali
ci
autocostruiamo
sono
biologici
e
culturali,
individuali
e
sociali,
e
questi
limiti
o
dati
sono
l'equivalente
di
quello
che
per
un
animale
la
natura,
cos
che
"nella
misura
in
cui
gli
individui
sono
rigidamente
vincolati
da
regole
di
condotta
i
modelli
di
comportamento
sviluppati
culturalmente,
questi
elementi
entrerebbero
a
far
parte
dell'uomo
naturale
o,
per
meglio
dire,
dell'uomo
non
artificiale"[89].
Non
possiamo
addentrarci
nella
vexata
quaestio
del
rapporto
fra
natura
e
cultura
nollo
strutturare
l'uomo,
ma
chiaro
che
le
diverse
precomprensioni
antropologiche
si
riflettono
drammaticamente
nel
giudizio
da
dare
su
alcune
applicazioni
biomediche
nel
campo
della
vita
e
della
salute
umana,
come
l'ingegneria
genetica
applicata
all'uomo,
la
fecondazione
in
vitro,
la
selezione
embrionale.
Ci
si
chiede,
in
pratica,
se
la
progettualit
e
la
plasmabilit
dell'uomo
includano
anche
le
strutture
e
i
dinamismi
corporei
e,
in
caso
di
risposta
affermativa,
in
quale
misura.
Si
scontrano
qui
due
concezioni
antropologiche
opposte:
da
una
parte
la
tendenza
a
considerare
il
corpo
umano
come
un
oggetto
biologico
grezzo,
un
dato
naturale,
ancora
avulso
dalla
sfera
della
umanit,
ma
capace
di
diventare
umanamente
significante
se
investito
di
un
progetto
e
di
un
senso;
dall'altra
la
tendenza
a
riconoscere
al
corpo
una
sua
consistenza,
una
sua
finalizzazione
indipendentemente
e
previamente
all'essere
inserito
in
un
progetto,
prima
cio
di
una
qualsiasi
appropriazione
di
esso
da
parte
del
soggetto.
Nel
primo
caso
il
corpo
sar
di
per
s
disponibile,
trovandosi
i
limiti
a
questa
disponibilit
in
motivi
estranei
al
corpo,
come,
per
esempio,
nel
diritto
di
autonomia
del
soggetto.
Nel
secondo
caso
il
corpo
potr
essere
giudicato
disponibile,
ma
solo
nella
misura
in
cui
lo
consente
la
salvaguardia
del
naturale
biologico,
assunto
come
normativo:
all'interno
di
questa
posizione
si
collocano
anche
i
diversi
biologismi.
Se
alcuni
infatti
rivendicano
la
totale
autonomia
della
libert
dalle
dimensioni
somatiche
della
persona
e
il
diritto
di
manipolare
secondo
i
propri
bisogni
e
i
progetti
la
vita,
sino
a
poterne
programmare
l'inizio
e
la
fine,
altri,
all'interno
di
una
concezione
dell'etica
di
ascendenze
sociobiologiche,
professano
un
autentico
biologismo
perch
ritengono
che
la
regola
etica
sia
il
naturam
sequi,
intendendo
la
natura
in
modo
strettamente
scientifico
e
descrittivo,
per
cui
tutto
ci
che
accade
in
natura
pu
essere
assunto
come
guida
e
giustificazione
per
l'agire
umano[90].
La
prospettiva
biologica
ed
evoluzionista,
che
tenta
di
risolvere
la
vita
morale
in
termini
di
selezione
e
competizione
darwinistica,
ribalta
il
dato
empirico
in
norma
etica
e
con
questo
cortocircuito
metaetico
cade
in
una
vera
fallacia
naturalista.
L'essere
63
oggettivistico
studiato
dalle
scienze,
per
le
opzioni
gnoseologiche
sottese,
un
essere
povero,
colto
nella
sua
fattualit
empirica,
un
essere
svuotato
di
densit
ontologica
per
il
quale
vale
la
famosa
aporia
di
D.
Hume
(1711-1776)
segnalante
l'impossibilit
di
passare
da
questo
essere
espropriato
a
un
corrispondente
dover
essere,
dai
giudizi
di
fatto,
a
conseguenti
giudizi
di
valore[91].
L'etica
cattolica,
pur
nelle
sue
diverse
declinazioni,
riconosce
la
valenza
etica
delle
strutture
naturali,
ma
prende
accuratamente
le
distanze
dal
naturalismo
o
dal
biologismo,
dal
momento
che
la
natura
di
cui
si
parla
una
natura
compresa
e
interpretata
attraverso
la
mediazione
antropologica:
la
natura
della
persona.
La
legge
morale
naturale,
che
la
legge
della
creatura
ragionevole,
trascende
il
dato
empirico
e
quindi
il
biologico,
ma
allo
stesso
tempo
lo
implica
e
non
pu
eluderlo,
perch
non
si
pu
separare
la
persona
dalla
natura
n
opporle
antiteticamente.
L'uomo
infatti
una
realt
pluridimensionale
o
pluristratificata,
una
realt
complessa
nella
quale
si
correlano
in
mutua
pericoresi
natura
e
persona,
la
dotazione
comune
di
strutture
e
dinamismi
dati
e
la
singolarit
irripetibile
del
soggetto[92].
Da
tale
pericoresi
fra
natura
e
persona
discende
la
grande
rilevanza
dei
risultati
delle
scienze
della
natura
per
orientare
e
delimitare
il
processo
interpretante
e,
in
dipendenza
da
questo,
la
normativit.
Il
criterio
etico
per
qualsiasi
intervento
sull'uomo
non
sar
infatti
da
ricercarsi
nella
natura
come
semplice
datum,
ma
nella
persona
compresa
nella
sua
complessa
articolazione
ontologica.
La
persona
esiste
nella
sua
natura
biologica,
la
singolarit
della
persona
sussiste
nella
ripetitivit
della
natura
e
il
corpo
rappresenta
il
punto
di
convergenza
e
di
incontro
di
queste
diverse
dimensioni
dell'esistere
umano.
La
stessa
percezione
di
s
come
soggetto,
quel
senso
dell'identit
personale
che
costituisce
l'asse
portante
del
nostro
mondo
interiore,
quella
originaria
autocomprensione
di
s
come
distinti
da
altri
e
quindi
liberi,
si
sviluppa
attraverso
la
coscienza
del
proprio
corpo.
Il
corpo,
che
biologicamente
datum,
viene
vissuto,
compreso
e
interpretato
e
si
dischiude
nella
autotrascendenza
della
persona
come
singolarit
incomunicabile
che
si
apre
all'alterit
e
come
libert
che
si
attua
nella
storicit.
In
tale
prospettiva,
l'integrit
biologica
diventa
eticamente
rilevante
come
condizione
dell'identit
personale:
l'uguaglianza,
connessa
con
la
natura
biologica,
si
trova
a
svolgere
il
compito
di
assicurare
la
singolarit
personale
per
cui
-
conclude
K.
Demmer
-
"una
disuguaglianza
creata
artificialmente
corre
al
contrario
il
pericolo
di
sminuire
i
naturali
presupposti
della
libert,
sia
interni
che
esterni,
introducendo
vincoli
che
sono
d'impedimento
al
prodursi
pieno
della
singolarit
personale"[93].
Potremmo
dire
perci
che
ogni
atto
che
coinvolge
i
processi
naturali
pu
diventare
un'invasione
dello
spazio
intangibile
della
persona
nella
sua
uguaglianza
e
nella
sua
singolarit
e
tradursi
in
un
dominio
non
sulla
natura,
ma
sull'uomo.
Se
il
corpo
un
corpo
compreso
e
interpretato,
se
la
natura
rivela
la
sua
normativit
soltanto
attraverso
comprensione
e
interpretazione,
si
deve
certamente
ammettere
una
immanente
plasmabilit
del
corpo,
una
intrinseca
disposizione
del
corpo
umano
a
corrispondere
alla
singolarit
interpretante.
Tale
plasmabilit
dovr
per
comporsi
con
la
tutela
dell'integrit
e,
in
ultima
analisi,
dell'identit
personale:
i
dati
corporei
sono
flessibili,
ma
non
indefinitamente
e
sarebbe
contraddittorio
se
un
uomo,
per
attuare
la
sua
soggettivit,
si
autonegasse
nella
propria
identit
essenziale
attraverso
unvulnus
all'integrit
corporea
o
addirittura
alla
sua
sussistenza.
Ogni
intervento
sull'uomo
sar
dunque
un
interpretare
sensato
se
rispetter
la
verit
integrale
della
persona,
la
sua
uguaglianza
e
la
sua
singolarit,
il
datum
e
l'unicum,
se
riconoscer
insomma
la
sua
eccedenza
e
rispetter
la
sua
eccellenza.
64
[1]
Della
sterminata
letteratura
sull'origine
della
vita,
vedere
per
esempio:
DAVIES
P.,
Da
dove
viene
la
vita,
Mondadori,
Milano
2000.
[2]
Sull'evoluzionismo
dal
punto
di
vista
scientifico:
FUTUYMA
D.
J.,
Evolutionary
Biology,
Sinauer,
Sunderland
1998;
RIDLEY
M.,
Evolution,
Blackwell,
Cambridge
1966;
WILLIAMS
G.
C.,
Adaptation
and
Natural
Selection,
Princeton
1966.
[3]
Sulla
controversa
questione
dell'evoluzione
umana,
vedere
l'intervento
di
mons.
F.
Facchini.
Cfr.
FACCHINI
F.,
Evoluzione,
uomo
e
ambiente.
Lineamenti
di
antropologia,
UTET,
Torino
1988;
ID.,
Le
origini
dell'uomo,
Jaca
Book,
Milano
1990.
[4]
WILSON
E.
O.,
Consilience,
Alfred
Knopf,
Nw
York
1998
(trad
it.
L'armonia
meravigliosa.
Dalla
biologia
alla
religione,
la
nuova
unit
della
conoscenza,
Mondadori,
Milano
1999,
4-5).
[5]
Non
entriamo
nella
questione
se
l'arch
degli
ionici
sia
da
intendersi
in
senso
riduzionista
e
quindi
si
tratti
del
rimando
a
un
principio
strutturale
che
costituisce
il
tessuto
portante
del
reale
o
se
non
si
tratti
piuttosto
della
ricerca
di
unprincipio
metafisico
che
possa
render
conto
del
reale
stesso.
[6]
Per
la
classificazione
dei
riduzionismi:
SEARLE
J.
R.,
The
Rediscovery
of
Mind,
MIT
Press,
Cambridge
(Mass.)
1992
(trad.
it.
La
riscoperta
della
mente,
Bollati
Boringhieri,
Torino
1994,
128-
130).
L'espressione
"nothingbuttery
theory"
si
trova
in:
MACKAY
D.
M.,
Information,
Mechanism
and
Mind,
Cambridge
(Mass.)
1969.
[7]
C'
discussione
sulle
regole
di
conversione,
ma
sono
usualmente
accettate
le
due
condizioni
di
E.
Nagel:
la
prima
che
ogni
termine
della
teoria
ridotta
deve
essere
definito
per
mezzo
dei
termini
della
teoria
riducente
e
la
seconda
che
ogni
proposizione
della
teoria
ridotta
deve
poter
essere
derivata
da
un
insieme
di
proposizioni
della
teoria
riducente.
Cfr.
NAGEL
E.,
The
Meaning
of
Reduction
in
the
Natural
Sciences,
in
STAUFER
R.
T.
ed.,
Science
and
Civilisation,
1949,
99-138;
ID.,
The
Structure
of
Science,
New
York
1961,
345-349.
[8]
FORNERO
G.,
Riduzione,
in
ABBAGNANO
N.,
Dizionario
di
filosofia,
Torino
19983,
934.
[9]
SEARLE
J.
R.,
La
riscoperta,
128.
[10]
Questo
spiega
l'opzione
riduzionista
di
filosofie
nativamente
antimetafisiche
come
l'empirismo,
il
sensismo,
il
positivismo
e
il
neopositivismo.
[11]
Presentazioni
sintetiche
della
filosofia
della
vita:
BASTI
G.,
Filosofia
dell'uomo,
Studio
Domenicano,
Bologna
1995,
105-196;
LUCAS
LUCAS,
L'uomo
spirito
incarnato.
Compendio
di
filosofia
dell'uomo,
Paoline,
Cinisello
Balsamo
(Mi)
1993,
29-48;
LA
VERGATA
A.,
Filosofia
e
biologia,
in
ROSSI
P.
dir.,
La
filosofia,
vol.
2,
Torino
1995,
99-182
(soprattutto
151-169);
MUNSON
R.,
Meccanicismo
e
vitalismo,
in
Enciclopedia
del
Novecento,
vol.
4,
Roma
1988,
65-76;
VANNI-
ROVIGHI
S.,
Elementi
di
filosofia,
vol.
3,
La
Scuola,
Brescia
1963,
73-104.
A
prescindere
dal
valore
intrinseco
delle
due
posizioni,
dal
punto
di
vista
teologico
tanto
il
meccanicismo
quanto
il
vitalismo
sono
compatibili
con
la
fede
nelle
creazione
e
con
una
apertura
alla
trascendenza,
anche
se
spesso
l'interpretazione
meccanicista
della
vita
si
inscrive
in
una
visione
materialista
e
antispiritualista.
[12]
DESCARTES
R.,
Trait
de
l'homme
(1664),
in
Oeuvres
et
lettres
de
Descartes,
Paris
1952,
873.
Sul
meccanicismo
cartesiano,
vedere:
BONICALZI
F.,
Il
costruttore
di
automi.
Descartes
e
le
ragioni
dell'anima,
Jaca
Book,
Milano
1987.
[13]
CRICK
F.,
Of
Molecules
and
Men,
Seattle-London
1966
(trad.
it.
Uomini
e
molecole.
morto
il
vitalismo?,
Bologna
1970,
10).
[14]
Cfr.
SIMPSON
G.
S.,
This
View
of
Life,
New
York
1963.
In
questa
linea
l'emergentismo
materialista
di
A.
I.
Oparin,
di
J.
B.
S.
Haldane,
di
M.
Prnant.
65
[15]
MONOD
J.,
Le
hasard
et
la
ncessit.
Essai
sur
la
philosophie
naturelle
de
la
biologie
moderne,
Paris
1970
(trad.
it.Il
caso
e
la
necessit.
Saggio
sulla
filosofia
naturale
della
biologia
contemporanea,
Mondadori,
Milano
1970).
[16]
PRIGOGINE
I.,
Dall'essere
al
divenire,
Torino
1986.
[17]
Cfr.
DRIESCH
H.,
Der
Vitalismus
als
Geschichte
und
als
Lehre,
Leipzig
1905,
109:
"La
vita
non
...
una
connessione
speciale
di
eventi
inorganici;
la
biologia,
pertanto,
non
un'applicazione
della
chimica
e
della
fisica.
La
vita
qualcosa
di
diverso,
e
la
biologia
una
scienza
indipendente".
[18]
Cfr.
ELSASSER
W.
M.,
Atom
and
Organism,
Princeton
(NJ)
1966;
POLANYI
M.,
Life's
Irreducible
Structure,
"Science"
160
(1968),
1308-1312.
[19]
CASSIRER,
Storia
della
Filosofia
Moderna,
vol.
4/1,
Torino
1978,
326.
[20]
MELINA
L.,
Questioni
epistemologiche
relative
allo
statuto
dell'embrione
umano,
in
PONTIFICIA
ACADEMIA
PRO
VITA,
Identit
e
statuto
dell'embrione
umano,
Editrice
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1998,
88.
[21]
Un
tentativo
molto
interessante
per
caratterizzare
la
vita
dal
punto
di
vista
dell'organizzazione
la
teoria
dell'autopoiesi:
MATURANA
H.,
VARELA
F.,
De
maquinas
y
seres
vivos.
Una
teoria
sobra
la
organizacin
biolgica,
Editorial
Universitaria,
Santiago1972
(trad.
it.
Macchine
ed
esseri
viventi.
L'autopoiesi
e
l'organizzazione
biologica,
Astrolabio,
Roma
1992);
IID.,
The
Tree
of
Knowledge:
The
Biological
Roots
of
Human
Understanding,
Boston
1988.
[22]
Sui
singolari
aspetti
termodinamici
del
vivente,
vedere
il
classico:
SCHRDINGER
E.,
What
is
Life?
The
Physical
Aspects
of
the
Living
Cell,
Cambridge
University
Press,
Cambridge
1944
(trad.
it.
Che
cos'
la
vita?,
Adelphi,
Milano
1995).
Cfr.
MURPHY
M.
P.,
O'NEILL
L.
A.
J.
eds,
What
is
Life?
The
Next
Fifty
Years.
Speculations
on
the
Future
of
Biology,
Cambridge
University
Press,
Cambridge
1995.
Lo
stato
di
equilibrio
termodinamico
per
un
vivente
corrisponde,
infatti,
alla
morte
dell'individuo
biologico:
quando
infatti
un
corpo
morto,
non
produce
pi
calore
col
metabolismo,
si
pone
in
equilibrio
con
la
temperatura
ambientale
e
si
raffredda.
[23]
ARISTOTELE,
De
anima,
II,
1,
403
b
16.
[24]
Cfr.
TOMMASO
D'AQUINO,
De
potentia,
q.
10,
a.
1:
"Est
autem
duplex
operatio.
Quaedam
quidem
transiens
ab
operante
in
aliquid
extrinsecum
...
Alia
vero
est
operatio
non
transiens
in
aliquid
extrinsecum,
sed
manens
in
ipso
operante
...
Primum
autem
operationum
genus
commune
est
viventibus
et
non
viventibus;
sed
secundum
operationum
genus
est
proprium
viventis".
[25]
BASTI
G.,
Filosofia
dell'uomo,
113.
Uno
di
pi
affascinanti
tentativi
di
dare
"una
interpretazione
ontologica
dei
fenomeni
biologici"
in:
JONAS
H.,
The
Phenomenon
of
Life.
Toward
a
Philosophical
Biology,
New
York
1966
(trad.
it.Organismo
e
libert.
Verso
una
biologia
filosofica,
Torino
1999,
cit.
pag.
3).
[26]
La
forma
sostanziale
di
ogni
vivente
detta
anima
dagli
Antichi,
ma
i
Moderni
riservano
questo
nome
all'anima
umana.
Con
l'eccezione
dell'anima
umana,
le
forme
sostanziali
degli
enti
corporei
si
corrompono
con
la
corruzione
delle
parti
materiali
che
esse
organizzano.
[27]
Cfr.
TOMMASO
D'AQUINO,
Summa
Theologiae,
I,
q.
18,
art.
3
in
corpore.
[28]
Secondo
Tommaso
possibile
passare
dalla
materia
inerte
alla
pi
semplice
materia
vivente
per
generazione
spontanea
perch
la
causalit
generale,
derivante
da
Dio
attraverso
le
cause
seconde
(i
cieli
della
cosmologia
medievale),
pu
produrre
il
salto
ontologico
nella
materia,
se
questa
gi
disposta
ad
accogliere
la
formalit
sopravveniente.
Cfr.
S.
Th.
I,
q.
91,
art.
2,
ad
2:
"Sufficit
autem
virtus
caelestium
corporum
ad
generandum
quaedam
animalia
imperfectiora
ex
materia
disposita"
(cfr.
S.
Th.
I,
q.
45,
art.
8,
ad
3;
I,
q.
71,
art.
un.,
ad
1).
[29]
FREUD
S.,
Una
difficolt
della
psicanalisi,
in
Opere,
Bollati
Boringhieri,
Torino
1976,
vol.
8,
660.
[30]
BERNARD
C.,
Introduction
l'tude
de
la
mdecine
exprimentale,
Paris
1865.
Cfr.
FEDERSPIL
G.,
SCANDELLARI
C.,
L'evoluzione
storica
della
metodologia
in
medicina,
"Federazione
66
67
[45]
Sulla
storia
del
rapporto
uomo-animale:
BONDOLFI
A.,
Rapporti
uomo-animale.
Storia
del
pensiero
filosofico
e
teologico,
"Rivista
di
Teologia
Morale"
21
(1989),
57-77;
107-123
(ricca
selezione
bibliografica);
CASTIGNONE
S.,
LANATA
G.
curr.,
Filosofi
e
animali
nel
mondo
antico,
Pisa
1994.
[46]
Il
tema
del
dominium
terrae
di
solito
connesso
con
la
superiorit
ontologica
dell'uomo,
creato
a
immagine
del
Signore:
CONIGLIARO
F.,
L'interpretazione
del
dominium
terrae,
in
PUCCI
R.,
RUGGIERI
G.
curr.,
Inizio
e
futuro
del
cosmo:
linguaggi
a
confronto,
Cinisello
Balsamo
(Milano)
1999,
167-201;
KROLZIK
U.,
Die
Wirkungsgeschichte
von
Genesis
1,
28,
in
ALTNER
G.
cur.,
kologische
Theologie.
Perspektiven
zur
Orientierung,
Kreuz
Verlag,
Stuttgart
1989,
149-163
(trad.
it.
"Dominium
terrae".
Storia
di
Genesi
1,
28,
"Rivista
di
Teologia
Morale"
22
(1990),
257-
267).
Cfr.
GIOVANNI
PAOLO
II,
Evangelium
vitae,
n.
42,
in
AAS
87
(1995),
446.
[47]
Si
noti,
per,
che
il
macchinismo
cartesiano
stato
recentemente
rivisitato:
COTTINGHAM,
A
Brute
to
the
Brutes?
Descartes
and
the
Treatment
of
Animals,
"Philosophy"
53
(1978),
551-558.
MARCIALIS
M.
T.,
La
questione
dell'anima
delle
bestie
ovvero
la
razionalit
senza
soggetto,
"Rivista
di
Storia
della
Filosofia"
(1993),
83-100.
[48]
Per
un
primo
approccio:
BATTAGLIA
L.,
Etica
e
diritti
degli
animali,
Roma-Bari
1997;
CASTIGNONE
S.
cur.,
I
diritti
degli
animali.
Prospettive
bioetiche
e
giuridiche,
Bologna
19882;
REGAN
T.,
P.
SINGER
eds.,
Animal
Rights
and
Human
Obligations,
Englewood
Cliffs
1976
(trad.
it.,
Diritti
animali,
obblighi
umani,
Torino
1987);
SINGER
P.
ed.,
In
Defence
of
Animals,
Oxford
1985
(trad.
it.
In
difesa
degli
animali,
Roma
1987).
[49]
Cfr.
ALLEN
C.,
BEKOFF
M.,
Il
pensiero
animale,
Milano;
DENTON
D.,
The
Pinnacle
of
Life.
Consciousness
and
Self-Awareness
in
Humans
and
Animals,
St.
Leonards
(Australia)
1993;
GRIFFIN
D.
R.,
The
Question
of
Animal
Awareness,
New
York
1976
(trad.
it.
L'animale
consapevole,
Torino
1979);
VALLORTIGARA
G.,
Altre
menti.
Lo
studio
comparato
della
cognizione
animale,
Bologna
2000.
[50]
Questa
posizione
stata
sviluppata
in
due
studi
molto
discussi:
RACHELS
J.,
Created
from
Animals.
The
Moral
Implications
of
Darwinism,
Oxford-New
York
1990
(trad.
it.
Creati
dagli
animali.
Implicazioni
morali
del
darwinismo,
Milano
1996);
SINGER
P.,
Rethinking
Life
and
Death
1995
(trad.
it.
Ripensare
la
vita.
La
vecchia
morale
non
serve
pi,
Milano
1996).
[51]
Una
sintesi
storico-teologica:
MOLARI
C.,
Darwinismo
e
teologia
cattolica,
Roma
1984.
Si
veda
il
numero
monografico
di
"Concilium"
36
(2000),
1
su
Evoluzione
e
fede.
Il
24-
10-1996,
il
Santo
Padre
ha
inviato
una
Lettera
allaPontificia
Accademia
delle
Scienze
che
contiene
un'apertura
all'evoluzionismo
moderato.
Si
vedano
i
commenti:
MURATORE
S.,
Magistero
e
darwinismo,
"Civilt
Cattolica"
148
(1997),
I,
141-145;
VILLANUEVA
J.,
Una
riabilitazione
dell'evoluzionismo?
Elementi
per
un
chiarimento,
"Acta
Philosophica"
(1998),
127-148.
[52]
RAHNER
K.,
OVERHAGE
P.,
Das
Problem
der
Hominisation,
Freiburg
19632
(trad.
it.
Il
problema
dell'ominizzazione,
Brescia
1969).
[53]
Vedere,
oltre
ovviamente
ai
testi
del
gesuita
francese,
alcuni
studi
d'insieme:
GIBELLINI
R.,
Teilhard
de
Chardin:
l'opera
e
le
interpretazioni,
Brescia
19842;
SMULDERS
P.,
La
visione
di
Teilhard
de
Chardin,
Torino
1967.
[54]
Sul
principio
antropico:
BARROW
J.
D.,
TIPLER
F.
J.,
The
Anthropic
Cosmological
Principle,
Oxford
1986;
BERTOLA
F.,
CURI
U.
eds.,
The
Anthropic
Principle,
Cambridge
1993;
BREUER
R.,
The
Anthropic
Principle,
Boston
1991;
GALE
G.,
Il
principio
antropico,
"Le
Scienze"
(1982),
62-
73;
MASANI
A.,
Il
principio
antropico;
in
COYNE
G.
V.,
SALVATORE
M.,
CASACCI
C.
edd.,
L'uomo
e
l'universo,
Citt
del
Vaticano
1987,
4-21;
MURATORE
S.,
L'evoluzione
cosmologica
e
il
problema
di
Dio,
Roma
1993;
RONDINARA
S.,
Il
principio
antropico
e
l'unit
dell'universo,
"Nuova
Umanit"
12
(1991),
39-53.
Critici
sul
valore
del
principio:
GALLENI
F.,
Scienza
e
teologia.
Proposte
per
una
sintesi
feconda;
Queriniana,
Brescia
1992,
44-51;
STRAFELLA
F.,
Le
obiezioni
al
principio
68
antropico,
in
ANCONA
G.
cur.,Cosmologia
e
antropologia.
Per
una
scienza
dell'uomo,
Padova
1995,
30-40.
[55]
MURATORE
S:,
L'origine
e
l'evoluzione
della
vita.
Puntualizzazioni
epistemologiche,
"Rassegna
di
Teologia"
38
(1997),
213.
[56]
GERRA
G.,
Drogati
si
nasce?
Percorsi
nell'infanzia-adolescenza
prima
della
tossicodipendenza,
Paoline,
Cinisello
Balsamo
(MI)
1994,
18:
"Se
qualcosa
di
biologico
dovesse
realmente
influenzare
l'individuo
nella
sua
pulsione
verso
le
sostanze
-
conclude
G.
Gerra
-
si
tratterebbe
di
un
semplice
cofattore,
cio
di
un
componente
parziale
determinante
il
comportamento,
non
della
causa
assoluta:
facile
immaginare
quante
possibili
influenze
ambientali
e
culturali
vadano
a
modificare
nell'uomo
le
spinte
ricevute
dalla
natura
e
si
sommino
con
la
sua
struttura
biologica".
[57]
ANDREOLI
V.
et
al.,
Tossicodipendenze,
Masson,
Milano
19942,
1-2.
[58]
Per
approfondire:
BROVEDANI
E.,
Progetto
genoma.
Aspetti
tecnico-scientifici,
prospettive
e
implicazioni
etiche,
"Aggiornamenti
sociali"
40
(1989),
487-507;
TRENTIN
G.,
Progetto
Genoma.
Questioni
etiche
della
conoscenza
e
manipolazione
del
patrimonio
genetico,
"Credere
oggi"
17
(1997),
4,
37-54;
WILKIE
T.,
La
sfida
della
conoscenza.
Il
progetto
genoma
e
le
sue
implicazioni,
Milano
1995;
ZUCCO
F.,
Responsabilit
etica
e
ricerca
scientifica:
il
caso
della
mappatura
del
genoma,
in
DI
MEO
A.,
MANCINA
C.
curr.,
Bioetica,
Laterza,
Bari
1989,
217-230
[59]
Sul
rapporto
fra
sociobiologia
e
morale:
DE
FEO
A.
M.,
L'etologia
di
K.
Lorenz
e
la
sociobiologia
di
E.
O.
Wilson.
Due
paradigmi
per
un'etica
naturale
evolutiva,
Roma
1990.
[60]
E.
O.
WILSON,
Sociobiology.
The
New
Synthesis,
Cambridge
(Mass.)
1975
(trad.
it.
Sociobiologia.
La
nuova
sintesi,
Bologna
1979).
[61]
DAWKINS
R.,
The
Selfish
Gene,
Oxford
1976
(trad.
it.
Il
gene
egoista,
Mondadori,
Milano
1995,
4-5).
[62]
Ibid.,
5.
[63]
La
tesi
corrente
che
la
trasmissione
dei
dati
culturali
(incluse
le
norme
morali)
avviene
in
modo
lamarckiano,
cio
istruttivo,
e
non
attraverso
meccanismi
selettivi
di
tipo
darwiniano,
ma
si
stanno
facendo
strada
modelli
biologici
di
trasmissione
della
cultura:
CHANGEUX
J.-P.,
Ragione
e
piacere,
Milano
1995;
CHANGEUX
J.-P-,
RICOEUR
P.,
La
natura
e
la
regola.
Alle
radici
del
pensiero,
Milano1999;
SPERBER
D.,
Il
contagio
delle
idee,
Milano
1999.
[64]
CONC.
EC.
VATICANO
II,
Cost.
Past.
Gaudium
et
Spes,
n.
14.
[65]
GIOVANNI
PAOLO
II,
Lett.
enc.
Veritatis
splendor,
6-8-1993,
n.
48,
in
AAS
85
(1993),
1172.
[66]
La
distinzione
fra
Krper
e
Leib,
gi
presente
in
A.
Schopenhauer
(1788-1860),
si
trova
nel
cuore
della
filosofia
di
E.
Husserl
(1859-1938)
e
fu
variamente
ripresa
dalla
sua
scuola
fenomenologica
e
dall'esistenzialismo.
Vedere:
BCHLI
E.,Corporeit
e
conoscenza.
Nota
sulla
posizione
della
filosofia
fenomenologica
del
Novecento,
in
AAVV,
Il
corpo
in
scena,
Milano
1983,
69-85;
FERGNANI
F.,
Il
corpo
vissuto,
Milano
1979.
[67]
GATTI
G.,
Morale
sessuale,
educazione
dell'amore,
ElleDiCi,
Leumann
(To)
1988,
50.
[68]
GILSON
E.,
Elements
of
Christian
Philosophy,
New
York
1960
(trad.
it.
Elementi
di
filosofia
cristiana,
Milano
1964,
297-323);
LOBATO
A.
cur.,
L'anima
nell'antropologia
di
S.
Tommaso,
Milano
1987;
PEGIS
A.
C.,
St.Thomas
and
the
Problem
of
the
Soul
in
the
Thirteenth
Century,
Toronto
1934;
VANNI-ROVIGHI
S.,
L'antropologia
filosofica
di
S.
Tommaso
d'Aquino,
Vita
e
Pensiero,
Milano
1965;
VERBEKE
G.,
L'unit
de
l'homme:
St.
Thomas
contre
Averro,
in
RPhL58
(1960),
220-249;
WEBER
E.
H.,
L'homme
en
discussion
l'Universit
de
Paris
en
1270.
La
controverse
de
1270
l'Universit
de
Paris
et
son
retentissement
sur
la
pense
de
St.Thomas
d'Aquin,
Paris
1970.
[69]
RAHNER
K.,
Zur
Theologie
des
Symbols,
in
Schriften
zur
Theologie/4,
Einsiedeln
1960,
305.
[70]
Soprattutto
vedere:
RAHNER
K.,
Geist
in
Welt.
Zur
Metaphysik
der
endlichen
Erkenntnis
bei
Thomas
von
Aquin,Mnchen
19643;
ID.,
Zur
Theologie
des
Todes,
Quaestiones
disputatae
2,
69
Freiburg
19632
(trad
it.
Sulla
teologia
della
morte,
Brescia
19662);
ID.,
Die
Einheit
von
Geist
und
Materie
im
christlichen
Glaubensverstndnis,
in
Schriften
zur
Theologie/6,
Einsiedeln
1965,
185-
214
(trad.
it.
L'unit
vigente
tra
spirito
e
materia
nella
concezione
cristiana,
in
Nuovi
saggi/1,
Roma
1968,
257-295).
[71]
RAHNER
K.,
Teologia
dell'esperienza
dello
Spirito,
Brescia
1978,
515.
[72]
Sul
rapporto
fra
individualit
e
organismo:
JONAS
H.,
I
fondamenti
biologici
dell'individualit,
in
ID.,
Dalla
fede
antica
all'uomo
tecnologico,
Bologna
1991,
277-302.
[73]
Cfr.
SGRECCIA,
Corpo
e
persona,
in
RODOT
S.
cur.,
Questioni
di
bioetica,
Laterza,
Bari
1993,
113-122.
[74]
Risultano
perci
infondate
le
accuse
mosse
alla
bioetica
cattolica
sulla
pretesa
incoerenza
fra
i
paradigmi
interpretativi
usati
per
illustrare
l'inizio
e
la
fine
della
vita.
Cfr.
MORI
M.,
Aborto
e
trapianto:
un'analisi
filosofica
degli
argomenti
addotti
nell'etica
medica
cattolica
recente
sull'inizio
e
sulla
fine
della
vita,
in
MORI
M.
cur.,
Questioni
di
bioetica,
Milano
1988,
103-148.
[75]
Sull'inizio
e
la
fine
della
vita:
PONTIFICIA
ACADEMIA
PRO
VITA,
Identit
e
statuto
dell'embrione
umano,
Libreria
Editrice
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1998;
WHITE
R.
J.
et
al.
eds,
The
Determination
of
Brain
Death
and
Its
Relationship
to
Human
Death,
Libreria
Editrice
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1992.
[76]
TOMMASO
D'AQUINO,
Quaestio
disputata
De
Anima,
9,
resp.
ad
6.
[77]
ID.,
Summa
Theologiae
I,
q.
76,
art.
7
ad
2.
Cfr.
ARISTOTELE,
De
anima
II,
1,
412
a
10.
22-30.
[78]
Cfr.
GIOVANNI
PAOLO
II,
Ai
Partecipanti
al
Convegno
della
Pontificia
Accademia
delle
Scienze
sulla
"Determinazione
del
momento
della
morte",
14-12-1989,
Insegnamenti,
vol.
12/2,
1527:
[La
morte]
"sopravviene
quando
il
principio
spirituale
che
presiede
all'unit
dell'individuo
non
pu
pi
esercitare
le
sue
funzioni
sull'organismo
e
nell'organismo
i
cui
elementi,
lasciati
a
se
stessi
si
dissociano.
Certo
questa
distruzione
non
colpisce
l'essere
umano
intero.
La
fede
cristiana
-
e
non
solo
essa
-
afferma
la
persistenza,
oltre
la
morte,
del
principio
spirituale
dell'uomo".
[79]
TOMMASO
D'AQUINO,
Summa
Theologiae,
I,
q.
29,
ad
4,
concl.
[80]
PRINI
P.,
Il
corpo
che
siamo,
Torino
1991,
57.
[81]
GIOVANNI
PAOLO
II,
Veritatis
Splendor,
n.
50,
in
AAS
85
(1993),
1173-1174.
Cfr.
CONGR.
DOTTR.
FEDE,
Istruz.Donum
Vitae,
22-2-1987,
Introduzione,
3,
in
AAS
80
(1988),
74.
Sul
tema
delle
inclinationes
naturales
vedere
PINCKAERS
S.,
Le
fonti
della
morale
cristiana.
Metodo,
contenuto,
storia,
Milano
1992,
468-532
(con
ampia
bibliografia).
[82]
GIOVANNI
PAOLO
II,
Veritatis
Splendor,
n.
50.
Cfr.
LUCAS
LUCAS
R.,
Natura
e
libert,
in
LUCAS
LUCAS
R.
ed.,"Veritatis
Splendor".
Testo
integrale
e
Commento
filosofico-teologico
tematico,
Cinisello
Balsamo
1994,
268-286;
VALORI
P.,
La
"natura"
norma
della
moralit,
"Aquinas"
27
(1984),
317-325.
Uno
status
quaestionis
sul
tema
della
legge
naturale:
CHIAVACCI
E.,
Legge
naturale,
in
COMPAGNONI
F.
et
al.,
Nuovo
Dizionario
di
Teologia
Morale,
Paoline,
Cinisello
Balsamo
(Mi)
1990,
634-647.
[83]
LUCAS
LUCAS
R.,
Fondazione
antropologica
dei
problemi
bioetici,
"Gregorianum"
80
(1999),
697-758
(cit.
p.
702).
[84]
PLATONE,
Protagora,
321
C.
[85]
ORTEGA
Y
GASSET
J.,
Meditacin
de
la
tcnica
(1939),
in
Obras
completas,
t.
5,
Madrid
1970,
317-375.
[86]
ALSBERG
P.,
Das
Menschheitsrtsel,
Dresden
1922.
[87]
GEHLEN
A.,
Der
Mensch.
Seine
Natur
und
seine
Stellung
in
der
Welt,
1940
(trad.
it.
L'uomo.
La
sua
natura
e
il
suo
posto
nel
mondo,
Milano
1983);
ID.,
Die
Seele
im
technischen
Zeitalter,
1957
(trad.
it.
L'uomo
nell'era
della
tecnica,
Milano
1984).
Cfr.
FADINI
U.,
Antropologia
filosofica,
in
ROSSI
P.
dir.,
La
Filosofia,
vol.
1,
Torino
1995,
514-520.
70
[88]
BUCHANAN
J.
M.,
Natural
and
Artifactual
Man,
in
ID.,
What
Should
Economists
Do?,
Indianapolis
1979,
94:
"We
are,
and
will
be,
at
least
in
part,
that
which
we
make
ourselves
to
be.
We
construct
our
own
beings,
again
within
limits.
We
are
artifactual
...".
[89]
Ibid.,
95:
"For
the
extent
that
individuals
are
rigidly
bound
to
culturally
evolved
rules
of
conduct
or
modes
of
behavior,
these
elements
would
make
up
part
of
natural
man,
or,
better
stated,
nonartifactual
man".
[90]
Un
esempio
la
bioetica
globale
professata
dall'antropologo
B.
Chiarelli,
per
il
quale
la
bioetica
"una
scienza
biologica
e
naturalistica
con
rilevanze
ecologiche",
in
cui
il
criterio
etico
decisivo
il
mantenimento
della
configurazione
ecologica
empiricamente
indagabile:
CHIARELLI
B.,
Bioetica
globale,
Pontecorboli,
Firenze
1993.
[91]
L'aporia
o
legge
di
Hume
fu
evidenziata
dall'empirista
scozzese
in
A
Treatise
of
Human
Nature
(book
3,
part
1,
sect.
1)
e
fu
riproposta
col
rigore
della
filosofia
analitica
da
MOORE
G.
M.,
Principia
Ethica,
Cambridge
1903.
Cfr.
CARCATERRA
G.,
Il
problema
della
fallacia
naturalistica.
La
derivazione
del
dover
essere
dall'essere,
Milano
1969;
SCARPELLI
U.,
Etica
senza
verit,
Bologna
1982.
[92]
Ripercorriamo
l'illuminante
itinerario
di
DEMMER
K.,
Deuten
und
handeln.
Grundlagen
und
Grunfragen
der
Fundamentalmoral,
Freiburg
1985
(trad.
it.
Interpretare
e
agire.
Fondamenti
della
morale
cristiana,
Cinisello
Balsamo
1989,
125-161);
ID.,
Identit
personale
e
integrit
biologica,
in
AAVV.,
La
mente
umana,
Roma
1984,
217-239;
si
vedano
anche
le
riflessioni,
nella
linea
dell'antropologia
trascendentale:
RAHNER
K.,
Zum
Problem
der
genetischen
Manipulation,
in
Schriften
zur
Theologie/8,
Einsiedeln
1967,
386-327
(trad.
it.
Il
problema
della
manipolazione
genetica,
in
Nuovi
Saggi/3,
Roma
1969,
371-373).
[93]
DEMMER
K.,
Interpretare,
129.
71
FIORENZO
FACCHINI
Evoluzione,
emergenza
e
trascendenza
dell'uomo
Lo
studio
dell'uomo,
nelle
sue
origini
e
nel
suo
sviluppo,
dispone
di
una
documentazione
fornita
da
vari
settori
della
scienza,
particolarmente
dalla
paleontologia,
dalla
preistoria,
dalla
biologia
evolutiva.
La
visione
antropologica
attuale,
sviluppatasi
nel
quadro
delle
scienze
della
natura,
porta
a
riconoscere
nell'uomo,
sul
piano
fenomenologico,
delle
peculiarit
che
non
si
ritrovano
in
altre
specie
e
non
rientrano
negli
orizzonti
della
scienza
empirica,
per
cui
non
sarebbe
possibile
spiegarle
con
i
parametri
di
riferimento
in
uso
nella
scienza.
In
particolare
il
comportamento
umano
fa
emergere
schemi
e
modelli
che
non
si
ritrovano
in
altre
specie,
la
cui
interpretazione
si
sviluppa
e
va
ricercata
in
altro
ordine
di
conoscenze,
come
quello
propriamente
filosofico.
Si
pu
parlare
legittimamente,
oltre
che
di
evoluzione,
di
emergenza
dell'uomo
in
un
senso
anche
pi
ampio
di
quello
riferibile
a
qualunque
specie
e,
ancora,
di
trascendenza
dell'uomo,
per
quanto
si
ricava
da
comportamenti
che
vanno
oltre
la
sfera
strettamente
biologica
evolutiva,
sia
considerata
sul
piano
fisico
che
su
quello
sociale.
L'identit
dell'uomo
sotto
il
profilo
biologico
e
culturale,
presenta
aspetti
che
appaiono
strettamente
congiunti
nel
passato
e
nel
presente
e
rappresentano
il
background
per
qualunque
considerazione
sull'uomo.
EVOLUZIONE
UMANA
Per
l'uomo,
come
per
le
altre
specie,
si
ammette
una
evoluzione
da
forme
precedentiche
hanno
preparato
la
sua
comparsa
sulla
terra.
L'evoluzione,
come
fenomeno
caratteristico
dei
viventi,
suggerita
da
varie
osservazioni
relative
sia
al
passato
che
al
presente.
Lo
studio
dei
fossili,
l'anatomia
comparata,
la
genetica
molecolare
mettono
in
evidenza
caratteristiche
biologiche
di
specie
estinte
e
di
specie
viventi
che
possono
spiegarsi
ammettendo
una
parentela,
cio
una
evoluzione.
Come
ha
rilevato
Giovanni
Paolo
II
nel
messaggio
inviato
alla
Pontifica
Accademia
delle
Scienze
nell'ottobre
del
1996,
si
pu
parlare
non
pi
di
ipotesi,
ma
di
teoria
evolutiva
"progressivamente
impostasi
all'attenzione
dei
ricercatori
a
seguito
di
scoperte
fatte
nelle
diverse
discipline
del
sapere".
La
loro
coerenza
con
il
supposto
fenomeno
evolutivo
giustifica
la
sua
accettazione
nel
campo
scientifico.
Ci
non
significa
che
noi
conosciamo
tutti
i
meccanismi,
le
modalit,
i
passaggi
dell'evoluzione
biologica.
La
spiegazione
darwiniana
secondo
la
sintesi
moderna
attraverso
l'interazione
tra
cambiamenti
a
livello
genetico
e
selezione
naturale
operata
dall'ambiente
deve
avere
giocato
un
ruolo
importante
se
non
decisivo.
Essa
sostenuta
da
molti
studiosi
(Simpson,
Monod,
Jacob,
Mayr,
Dobzhansky,
Ayala,
ecc.),
sulla
base
di
quanto
si
osserva
a
livello
microevolutivo,
come
unica
causa
di
tutto
il
processo
evolutivo.
Ayala
riconosce
alla
selezione
naturale
un
ruolo
di
"creazione"
delle
diverse
specie:
La
selezione
naturale
un
processo
creativo
che
pu
rendere
ragione
della
comparsa
di
vere
novit"
(1).
Tuttavia
tale
spiegazione
non
viene
ritenuta
da
altri
studiosi
come
sufficiente
per
rendere
ragione
della
formazione
delle
grandi
direzioni
evolutive
in
tempi
relativamente
brevi
e
per
la
crescita
della
complessit
delle
strutture
viventi.
Grass
(1979)
afferma:
"Occorre
cercare
fuori
dalla
mutazione
la
fonte
del
flusso
evolutivo...
fare
appello
a
un
meccanismo
diverso
dalla
mutazione
imperativo
per
tutti
i
sistemi
che
pretendono
di
spiegare
l'evoluzione".(2)
72
In
ogni
caso
occorre
distinguere
tra
evoluzione
biologica
e
darwinismo.
L'evoluzione
una
teoria
che
sostiene
un
processo
evolutivo,
il
darwinismo
una
spiegazione
sui
meccanismi
di
tale
processo
che
pu
essere
ritenuta
non
sufficiente
anche
da
chi
ammette
un'evoluzione.
Uno
dei
punti
di
grande
discussione
rimane
quello
di
un
disegno
generale
dell'evoluzione,
un
problema
per
che
appare
pi
di
ordine
filosofico
che
scientifico.
In
ogni
caso,
anche
in
una
visione
improntata
a
eventi
casuali
non
pu
escludersi
che
un
disegno
possa
essersi
comunque
realizzato.
(3)
Pur
nella
inevitabile
incompletezza,
il
paradigma
evolutivo
viene
utilizzato
comunemente
nella
biologia
moderna,
per
la
quale
costituisce
una
chiave
interpretativa
di
fenomeni
passati
e
attuali.
Secondo
Ayala
"Darwin
ha
completato
la
rivoluzione
copernicana
estendendola
al
mondo
dei
viventi"
(4).
Anche
per
l'uomo
si
pu
affermare
che
l'evoluzione
rappresenta
la
spiegazione
pi
plausibile
della
documentazione
fossile
che
si
possiede,
come
pure
delle
somiglianze
e
delle
differenze
a
livello
morfologico
e
biomolecolare
rispetto
agli
altri
viventi,
in
particolare
rispetto
ai
Primati
nel
cui
alveo
si
ammette
si
sia
formata
la
prima
forma
umana.
Ci
pu
essere
ritenuto,
anche
se
gli
sviluppi
filetici
che
hanno
portato
alla
forma
sono
non
ancora
del
tutto
chiariti.
L'interazione
fra
mutazioni
genetiche
e
ambiente
ha
segnato
il
cammino
evolutivo
verso
l'uomo
e
dopo
la
comparsa
dell'uomo,
ma
vi
sono
trasformazioni
in
tempi
relativamente
brevi
per
le
quali
non
facile
trovare
una
spiegazione
con
il
semplice
modello
della
teoria
sintetica
dell'evoluzione.
Basti
pensare
al
processo
di
cerebralizzazione
che
ha
portato
in
poco
pi
di
due
milioni
di
anni
a
triplicare
le
dimensioni
del
cervello.
La
comparsa
della
forma
umana
stata
dunque
preparata
da
un
lungo
processo
evolutivo
sviluppatosi
sul
ceppo
dei
Primati.
A
qualunque
livello
morfologico
si
ponga
la
soglia
umana
si
osserva
una
serie
di
trasformazioni
che
possono
essere
interpretate
come
una
preparazione
alla
comparsa
della
forma
umana.
E'
nell'ambito
degli
Ominoidei
del
Terziario,
circa
4-5
milioni
di
anni
fa,
che
si
osservano
forme,
oggi
non
pi
esistenti,
caratterizzate
da
un
tipo
di
locomozione
non
legato
all'ambiente
forestale,
ma
a
un
ambiente
aperto,
e
tendente
al
raddrizzamento
della
colonna
vertebrale
e
al
bipedismo
(5).
E'
stato
osservato
che
l'evoluzione
incomincia
dai
piedi
(Leroi-Gourhan);
forse
si
potrebbe
dire
che
incomincia
dal
la
colonna
vertebrale,
come
ha
rilevato
Coppens
(6).
Adattamenti
in
questa
direzione
sono
presenti
negli
Australopiteci
di
3-4
milioni
di
anni
fa,
scoperti
in
Etiopia
e
Kenya
(Australopithecus
ramidus,
Australopithecus
anamensis,
Australopithecus
afarensis),
ai
quali
viene
riconosciuta
una
locomozione
bipede,
anche
se
non
perfetta.
Sono
state
descritte
numerose
specie
di
Australopiteci
(ramidus,
anamensis,
afarensis,
bahr-el-gazalensis,
africanus,
robustus,
Boisei,
aethiopicus,),
vissute
in
Etiopia,
in
Kenya,
Tanzania,
Chad,
Sud
Africa,
raggruppabili
in
forme
arcaiche,
gracili
e
robuste
(7).
La
relazione
filetica
degli
Australopiteci
con
le
forme
pi
antiche
del
genere
Homo,
viene
vista
diversamente
dagli
studiosi.
La
forma
pi
antica
del
gen.
Homo,
da
individuarsi
in
Homo
habilis,
sarebbe
da
ricollegarsi
all'A.
arcaico
(o
afarense)
o
all'A.
africano
o
a
una
forma
piuttosto
antica
(A.
anamense
di
circa
3,9
milioni
di
anni
fa)
che
sembra
pi
chiaramente
orientata
al
bipedismo
nella
morfologia
degli
arti.
(8)
La
vita
degli
Australopiteci
si
svolgeva
essenzialmente
in
ambiente
aperto,
ma
per
alcuni,
quelli
pi
antichi,
come
le
forme
arcaiche,
doveva
esserci
grande
familiarit
con
l'ambiente
arboreo,
come
si
ricava
dalla
conformazione
degli
arti
superiori.
Sono
state
segnalate
pietre
scheggiate
trovate
in
giacimenti
di
Australopiteci,
ma
la
scheggiatura
non
era
praticata
in
modo
sistematico
e
progressivo,
come
si
avr
con
le
forme
umane.
73
Homo
habilis
viene
identificato
in
un
Ominide
vissuto
2-2,5
milioni
di
anni
fa,
in
cui
alcune
caratteristiche
morfologiche
e
funzionali
(bipedismo
meglio
definito,
aumento
della
capacit
cranica,
presenza
di
aree
cerebrali
deputate
al
linguaggio
articolato)
come
pure
alcuni
comportamenti
(lavorazione
sistematica
della
selce,
organizzazione
del
territorio)
inducono
molti
Autori
a
ritenerli
l'espressione
pi
antica
dell'umanit
(9).
Anche
il
livello
morfologico
di
Homo
habilis
presenta
una
certa
variabilit.
Vi
sono
forme
meno
cerebralizzate
(da
670
a
720
cc),
come
quelle
di
Olduvai
di
circa
1,8
milioni
di
anni
fa,
e
altre
pi
cerebralizzate
(circa
800
cc)
,
come
Homo
habilis
del
Turkana
di
due
milioni
di
anni
fa,
per
il
quale
stata
proposta
la
denominazione
"Homo
rudolfensis".
Il
livello
di
Homo
habilis,
o
pi
genericamente
del
gen.
Homo,
documentato
due
milioni-due
milioni
e
mezzo
di
anni
fa
in
altre
regioni
dell'Africa,
oltre
alla
Tanzania
e
al
Kenya
(Etiopia,
Sud
Africa,
Malawi),
anche
se
non
tutti
i
reperti
riferiti
a
tale
livello
accompagnati
da
segni
di
cultura.
Homo
habilis
evolve
con
il
tempo
nell'Africa
orientale
in
una
forma
caratterizzata
da
una
maggiore
cerebralizzazione
e
da
un
progresso
nella
fabbricazione
delle
industrie
litiche
e
nella
organizzazione
del
territorio.
E'
il
livello
definito
comeHomo
erectus
(le
pi
antiche
forme
africane
sono
denominate
modernamente
Homo
ergaster)
ed
individuabile
intorno
a
1,6
milioni
di
anni
fa
in
Africa.
Esso
si
diffonde
ed
evolve
durante
centinaia
di
migliaia
di
anni
in
Europa
e
in
Asia,
dove
pare
si
sia
portato
in
epoca
molto
antica
(oltre
un
milione
di
anni
fa).
In
Europa
i
pi
antichi
giacimenti
che
hanno
fornito
reperti
sono
segnalati
a
Dmanisi,
in
Georgia
(tra
1,8
e
1,6
milioni
di
anni
fa),
in
Spagna
a
Atapuerca
(800.000anni
fa),
a
Ceprano,
nel
Lazio
(800.000
anni
fa).
Le
antiche
forme
di
erectus
europeo
vengono
ricollegate
a
Homo
ergaster
dell'Africa
(a
meno
che
non
sia
giunto
prima
Homo
habilis)
e
vengono
considerate
antenati
dei
Neandertaliani
europei
(se
non
anche
dell'Uomo
moderno)
attraverso
l'Uomo
di
Heidelberg.
Le
forme
asiatiche
pi
antiche
sono
rappresentate
dai
Pitecantropi
e
dal
Sinantropo.
La
continuit
evolutiva
tra
Homo
habilis
e
Homo
erectus
tale
da
rendere
sempre
meno
fondata
la
loro
distinzione
a
livello
di
specie.
Altrettanto
dicasi
per
gli
ultimi
per
le
forme
di
erectus
di
200.000-100.000
anni
quando
si
assiste
a
una
evoluzione
verso
l'uomo
moderno
o
Homo
sapiens
in
Africa.
La
distinzione
delle
specie
fossili
in
habilis,
erectus
esapiens
ha
sempre
pi
un
valore
classificatorio
pi
che
biologico,
perch
si
tende
a
vedere
in
esse
stadi
morfologici
(Jelinek,
Coppens,
ecc.)
(10).
L'Uomo
anatomicamente
moderno
(Homo
sapiens
sapiens)
si
diffonde
dall'Africa
in
tutto
l'Antico
Continente,
probabilmente
con
qualche
mescolanza
non
di
grande
rilievo
con
rappresentanti
di
erectus,
specialmente
nell'Asia
sudorientale
e
nell'Europa
orientale.
Il
popolamento
dell'Australia
da
parte
di
Homo
sapiens
risale
a
circa
50.000
anni
fa,
quello
dell'America
a
vari
momenti
dell'ultima
glaciazione
(tra
35.000
e
10.000
anni
fa),
specialmente
attraverso
lo
stretto
di
Behring.
Come
gi
accennato,
si
ammette
per
le
prime
forme
umane
un
unico
ceppo,
ricollegabile
a
Primati
non
umani
e
oggi
individuabile
nell'Africa,
ma
per
l'umanit
attuale
(Homo
sapiens
sapiens)
si
fronteggiano
due
teorie:
essa
potrebbe
essere
collegata
a
forme
di
erectus
evolutesi
parallelamente
nei
diversi
continenti
(ipotesi
della
continuit)
oppure
a
forme
provenienti
dall'Africa
100-200.000
anni
(ipotesi
della
sostituzione).
Quest'ultima
gode
attualmente
di
maggiore
favore,
anche
se
vari
Autori
ammettono
qualche
incrocio
con
forme
precedenti,
come
si
ricaverebbe
da
reperti
paleontologici
di
alcune
regioni
(Europa
orientale,
Est
asiatico)
(11).
Le
ricerche
sul
DNA
antico
in
reperti
neandertaliani
suggerirebbero
che
essi
non
hanno
contribuito
alla
formazione
del
genoma
dell'uomo
moderno.
Sempre
sul
piano
biomolecolare
le
ricerche
sui
Primati
attuali
non
umani
e
sull'uomo
suggeriscono
che
la
differenziazione
dei
Primati
antropomorfi
asiatici
(Orango)
dal
ceppo
africano
risalga
a
10-12
milioni
di
anni
fa;
pi
recente,
intorno
a
5-6
milioni
di
anni,
sarebbe
la
separazione
della
linea
umana
da
quella
che
ha
74
portato
alle
Antropomorfe
africane.
Tra
i
dati
biomolecolari
e
quelli
paleontologici
vi
un
certo
accordo
sull'ordine
dello
sviluppo
filetico,
minore
accordo
sui
tempi
di
separazione
delle
diverse
linee
(12).
EMERGENZA
DELL'UOMO
L'evoluzione
umana
caratterizzata
dalla
emergenza
della
forma
umana.
Bene
individuabile
nelle
fasi
pi
recenti
(Homo
sapiens),
la
sua
identificazione
oggetto
di
discussione
per
le
fasi
pi
antiche.
Gli
inizi
sono
avvolti
nell'oscurit.
"L'uomo
entra
in
punta
di
piedi
nella
scena
della
terra,
notava
Teilhard
de
Chardin
-
quando
lo
vediamo
gi
una
folla."
Il
vero
problema
costituito
dalla
continuit
e
dalle
discontinuit.
Entrambe
debbono
essere
ammesse.
Si
pu
essere
pi
attenti
all'una
o
alle
altre.
Ci
spiega
perch
sulla
individuazione
della
soglia
umana
non
vi
universalit
di
vedute,
anche
se
la
maggior
parte
dei
paleoantropologi
(Tobias,
Piveteau,
Jelinek,
Coppens,
etc.)
incline
e
riconoscere
nel
livello
diHomo
habilis
le
pi
antiche
forme
umane
(13).
Al
di
l
del
dibattito
sull'epoca
della
comparsa
dell'uomo
ci
si
pu
chiedere
che
cosa
caratterizzi
la
forma
umana
sul
piano
biologico
e
su
quello
fenomenologico,
in
base
cio
alla
documentazione
che
pu
essere
fornita
dai
fossili.
Sul
piano
biologico,
cio
in
base
allo
sviluppo
morfologico-funzionale,
oltre
al
bipedismo,
deve
esserci
una
certa
organizzazione
cerebrale
che
consenta
il
linguaggio
e
attivit
psichiche
di
livello
intellettivo
umano.
Le
dimensioni
del
cervello
hanno
la
loro
importanza
(alcuni
Autori
individuano
in
700-750
cc
il
"Rubicone"
cerebrale
per
l'uomo).
L'esistenza
di
un
legame
tra
psichismo
e
organizzazione
cerebrale
difficile
da
contestare
almeno
a
livello
di
specie.
Del
resto
ha
osservato
Bergson:
"
La
coscienza
(noi
diremmo
lo
psichismo)
non
sgorga
dal
cervello,
ma
cervello
e
coscienza
si
corrispondono
perch
misurano
ugualmente,
l'uno
grazie
alla
complessit
della
propria
struttura
e
l'altra
grazie
all'intensit
del
suo
risveglio,
la
quantit
di
scelte
di
cui
l'essere
vivente
dispone"
(14).
La
cerebralizzazione
stata
proposta
da
Teilhard
de
Chardin
e
da
altri
come
un
parametro
per
seguire
l'evoluzione:
"La
differenziazione
nervosa
si
distacca
come
trasformazione
significativa.
Essa
d
un
senso
e
per
ci
stesso
contemporaneamente
prova
che
esiste
un
senso
nell'evoluzione"
(15).
Tuttavia
la
individuazione
di
quella
che
pu
essere
ritenuta
soglia
cerebrale
minima
per
l'uomo
resta
assai
problematica.
Secondo
Piveteau
(1993):
"in
una
simile
ricerca
il
criterio
anatomico
pu
essere
solo
un
fattore
di
indecisione:
il
criterio
psichico
certamente
quello
preponderante"
(16).
In
ordine
a
ci
resta
il
fatto
che
la
differenziazione
delle
aree
cerebrali
connesse
con
il
linguaggio
(area
di
Broca
e
Wemicke),
pu
assumere
un
evidente
interesse.
Ora
tali
aree
sono
state
individuate
nell'endocranio
di
Homo
habilis
(Falk,
Tobias)
(17).
Sul
pano
comportamentale
occorre
guardare
alle
manifestazioni
che
possono
essere
interpretate
come
cultura.
Dove
c'
cultura
c'
l'uomo.
Ma
che
cosa
caratterizza
il
comportamento
culturale?
Il
comportamento
culturale,
in
qualunque
livello
evolutivo
lo
si
consideri,
deve
avere
due
caratteristiche
essenziali
che
appaiono
strettamente
connesse
fra
loro
e
rivelano
un'intelligenza
astrattiva:
la
progettualit
e
la
simbolizzazione.
Progettualit
significa
capacit
di
agire
intenzionalmente
mediante
la
predisposizione
di
determinati
atti
per
raggiungere
un
fine.
Progettualit
significa
originalit,
capacit
innovativa,
sia
che
si
esprima
nella
lavorazione
della
selce,
che
nella
organizzazione
del
territorio
o
nella
manipolazione
degli
alimenti.
'
quello
che
avviene
nella
tecnologia.
La
intenzionalit
rivela
la
75
nozione
del
tempo,
perch
il
soggetto
elaborando
immagini
del
passato
si
proietta
sul
futuro
che
riesce
a
prefigurare.
Anche
nel
mondo
animale
si
ritrovano
delle
tecniche,
a
volte
di
elevata
perfezione,
ma
sono
regolate
biologicamente
e
non
presentano
innovazioni
e
progressi.
Non
si
notano
i
segni
di
una
capacit
astrattiva
capace
di
proiettarsi
sul
futuro.
Nelle
sue
manifestazioni
a
carattere
intenzionale
l'uomo
rivela
anche
capacit
di
scelta
e
quindi
di
autodeterminazione,
di
libert.
Un
aspetto
che
lo
colloca
su
un
piano
di
valori
e
quindi
morale.
La
simbolizzazione
l'altra
caratteristica
del
comportamento
umano
in
quanto
culturale.
Essa
consiste
nell'attribuire
a
un
segno,
a
un
suono
o
a
un
oggetto,
un
valore,
un
significato
che
va
oltre
il
segno.
Mediante
la
simbolizzazione
vengono
arricchite
di
significato
e
di
valore
le
realizzazioni
della
tecnica.
Il
contenuto
simbolico
evidente
quando
ci
si
trova
di
fronte
a
rappresentazioni
artistiche
o
di
significato
religioso
(simbolismo
spirituale)
o
quando
ci
si
riferisce
al
linguaggio
umano
e
alle
varie
forme
di
comunicazione
sociale
(simbolismo
sociale).
Ma
anche
ai
prodotti
della
tecnica
si
pu
riconoscere
un
valore
simbolico.
Ci
che
viene
ottenuto
con
la
tecnica,
oltre
a
rispondere
a
un
progetto,
assume
un
valore
di
segno
o
di
richiamo
a
qualche
utilizzazione
o
impiego.
Lo
strumento
rimanda
alla
funzione
alla
quale
destinato
e
assume
un
significato
nell'immaginario
dell'uomo.
I
prodotti
della
tecnica
vengono
quindi
ad
assumere
un
valore
simbolico.
Si
pu
parlare
di
simbolismo
funzionale.
Homo
symbolicus
tale
in
quanto
uomo,
creatore
di
strumenti
e
di
arte,
capace
di
comunicare
il
proprio
mondo
interiore
in
vari
modi
(18).
Vi
sono
buoni
argomenti
per
sostenere
che
le
prime
manifestazioni
a
carattere
culturale
si
siano
avute
con
Homo
habilis.
Le
espressioni
culturali
che
si
osservano
per
la
fase
di
Homo
habilis
paiono
caratterizzare,
sia
pure
in
forma
elementare
e
semplice,
il
comportamento
e
l'ambiente
di
vita.
Sono
segnalate
anche
pietre
scheggiate
o
utilizzate
dagli
Australopiteci,
ma
il
significato
che
esse
hanno
nel
contesto
di
vita,
molto
diverso
da
quello
delle
forme
del
gen.
Homo
di
2-1,5
milioni
di
anni
fa,
come
sono
diverse
da
quelle
dei
Primati
attuali.
Per
questi
le
realizzazioni
strumentali
non
sono
essenziali
per
la
sopravvivenza
e
il
rapporto
con
l'ambiente
(Kitahara
Frisch,
1984)
(19).
Il
livello
umano
dell'artefatto
dato
dal
progetto
che
esso
esprime
e
dal
significato
che
assume
nel
contesto
di
vita
e
per
la
sopravvivenza.
Coppens
(1991),
pur
ritenendo
l'Australopiteco
capace
di
fabbricare
utensili,
riconosce
che
tale
fabbricazione
"aveva
un
carattere
anedottico".
"Con
l'uomo
gli
strumenti
diventano
permanenti,
numerosi,
diversificati".
20).
Ed
proprio
per
questo
sviluppo
della
cultura
che
l'uomo
andato
avanti
nella
evoluzione
e
gli
Australopiteci
si
sono
estinti.
Alcuni
studiosi
sostengono
che
la
nascita
del
pensiero
simbolico
si
sia
avuta
solo
con
l'uomo
anatomicamente
moderno
(
oHomo
sapiens
sapiens)
intorno
a
40.000-30.000
anni
fa,
quando
vengono
segnalate
le
prime
manifestazioni
dell'arte
mobiliare
e
parietale
(21).
Altri
prendono
la
pratica
della
sepoltura,
risalente
al
Paleolitico
medio
e
superiore
(da
circa
90.000
anni
fa)
come
segno
di
psichismo
umano
(22).
Leroi-Gourhan
proponeva
la
distinzione
tra
pensiero
tecnico,
che
peraltro
riconosceva
anche
agli
Australopiteci,
e
pensiero
simbolico,
proprio
solo
di
Homo
sapiens
(23).
Nell'interpretazione
da
noi
proposta
l'attitudine
simbolica
dell'uomo
da
ritenersi
connaturale
con
la
forma
umana,
anche
se
la
documentazione
a
noi
pervenuta
per
le
forme
pi
antiche
riguarda
essenzialmente
le
espressioni
del
simbolismo
funzionale.
Alla
sfera
della
simbolizzazione
sono
da
ricondurre
comportamenti
intenzionali
di
carattere
tecnologico
documentati
dagli
strumenti,
dal
modo
di
realizzarli
(scelta
del
materiale,
tecnica
impiegata)
e
dal
significato
che
assumono
i
manufatti
nel
contesto
di
vita,
come
pure
dall'organizzazione
dello
spazio
abitativo
o
di
frequentazione
(es.
per
la
caccia,
per
la
protezione)
e
dalla
domesticazione
76
del
fuoco,
documentata
almeno
mezzo
milione
di
anni
fa.
Lo
strumentario
e
l'organizzazione
del
territorio,
orientati
alla
sussistenza
e
alla
vita
del
gruppo
familiare,
costituiscono
un
sistema
simbolico
di
relazioni
che
si
sviluppa
nel
corso
della
storia
evolutiva
dell'uomo.
Queste
attivit,
praticate
per
lungo
tempo
da
Homo
erectus
e
in
forma
ancora
elementare
da
Homo
habilis,
hanno
rappresentato
vere
strategie
adattative
nel
rapporto
con
l'ambiente
(24).
Mediante
sistemi
simbolici
di
comunicazione
e
di
organizzazione
l'uomo
si
esprime,
vive
e
trasmette
il
suo
immaginario.
Ci
troviamo
di
fronte
a
un
simbolismo
funzionale
e
sociale:
Homo
oeconomicus,
Homo
technologicus,
Homo
faber,
in
quanto
Homo
symbolicus.
Pi
recenti
appaiono
alcune
manifestazioni
di
simbolismo
spirituale
(sepolture,
raffigurazioni
artistiche).
Va
per
notato
che
segni
di
simbolismo
spirituale
si
vanno
segnalando
anche
per
epoche
assai
pi
antiche
del
Paleolitico
superiore
quando
compare
l'uomo
anatomicamente
moderno.
Recentemente
sono
stati
segnalati
documenti
di
attivit
simbolica
che
portano
pi
indietro
nel
tempo
(es.
un
manufatto
di
epoca
musteriana
(tra
100.000
e
50.000
anni
fa)
trovato
a
Tata
in
Ungheria;
alcuni
bifacciali
acheuleani
trovati
a
Norfolk
che
portano
al
centro
l'impronta
di
gusci
di
molluschi;
una
costola
di
bovide
di
epoca
rissiana
con
incisioni
intenzionali,
un
frammento
di
tibia
di
elefante
trovato
a
Bilzinsgleben
risalente
a
400.000
anni
fa
con
segni
intenzionali
di
non
facile
interpretazione
e
altri
ancora
(25).
TRASCENDENZA
DELL'UOMO
L'emergenza
dell'uomo,
rivelata
sul
piano
comportamentale
dalla
capacit
progettuale
e
dalla
simbolizzazione,
cio
dalla
cultura,
appare
come
una
discontinuit
rispetto
al
mondo
fisico
e
biologico.
Le
realizzazioni
culturali
dell'uomo
sono
rivelatrici
dell'umano,
di
ci
che
specifico
e
peculiare
dell'uomo
in
quanto
uomo
e
non
in
quanto
animale.
Sul
piano
filosofico
si
pu
parlare
di
discontinuit
ontologica,
perch
investe
la
natura
spirituale
dell'uomo.
Ma
anche
a
livello
sperimentale,
come
ha
rilevato
Giovanni
Paolo
II
nel
messaggio
alla
Pontificia
Accademia
delle
Scienze
dell'ottobre
1996,
si
possono
cogliere
"molti
segni
delle
specificit
dell'essere
umano".
Si
tratta
di
osservazioni
sul
piano
fenomenologico
che
si
basano
su
manifestazioni
rivelatrici
dell'umano,
cio
dello
psichismo
proprio
dell'uomo,
in
definitiva
delle
espressioni
della
cultura.
La
cultura,
pur
inserendosi
o
avendo
rapporti
con
la
sfera
biologica,
si
caratterizza
come
extra-
biologica
o
meta-biologica,
nel
senso
che
realizza
un
trascendimento
rispetto
alle
leggi
o
modalit
puramente
biologiche
del
comportamento.
Infatti,
anche
quando
pu
avere
qualche
relazione
con
bisogni
di
ordine
biologico,
si
realizza
fuori
da
ogni
determinismo
biologico
o
comportamentale
e,
come
stato
pi
sopra
rilevato,
segno
di
libert
o
autodeterminazione.
Ci
risulta
particolarmente
evidente
nelle
manifestazioni
del
simbolismo
spirituale
e
sociale.
Secondo
Dobzhansky
(1969)
nella
storia
della
vita
si
sono
avuti
due
grandi
momenti
di
"
crisi"
nella
storia
dell'evoluzione
in
forza
dei
quali,
pur
conservandosi
leggi
e
modalit
organizzative
della
fase
precedente,
c'
stato
un
avanzamento
oltre
il
piano
organizzativo
precedente
e
si
realizzato
un
nuovo
livello.
L'Autore
propone
di
chiamare
questi
nuovi
momenti
come
"trascendimenti
evolutivi".
Un
primo
trascendimento
si
avuto
nel
passaggio
dalla
non
vita
alla
vita.
Non
sono
state
rinnegate
le
leggi
della
chimica,
ma
si
sono
instaurate
modalit
organizzative
e
di
rapporto
con
l'ambiente.
"L'evoluzione
cosmica
trascese
se
stessa
generando
la
vita".
Un
secondo
momento
di
trascendimento
si
avuto
con
la
comparsa
dell'uomo:
"l'evoluzione
biologica
trascese
se
stessa
dando
origine
all'uomo",
afferma
ancora
Dobzhansky.
Non
vengono
annullate
le
leggi
che
regolano
i
viventi,
ma
le
modalit
organizzative
della
societ
umana
si
pongono
su
un
altro
piano.
"L'evoluzione
organica
si
sovrappone
a
quella
organica..;
l'evoluzione
culturale
si
sovrappone
a
quella
biologica
e
inorganica"
(26).
77
In
questo
modo
di
vedere
l'evoluzione,
che
richiama
per
vari
aspetti
la
concezione
di
Teilhard
de
Chardin
di
cui
Dobzhansky
era
ammiratore,
l'Autore
non
vuole
attribuire
un
significato
filosofico
o
mistico
al
termine
trascendimento.
"Trascendere
significa
superare
i
limiti,
o
andare
al
di
l
delle
possibilit
normali,
abituali,
gi
provate
di
un
sistema".
Del
resto
ci
non
neppure
necessario,
mantenendosi
sempre
sul
piano
fenomenologico
o
empirico,
anche
se
una
spiegazione
va
ricercata
sul
piano
ontologico.
A
mio
modo
di
vedere
il
termine
trascendimento
pu
essere
impiegato
correttamente
per
l'uomo,
rimanendo
sempre
sul
terreno
scientifico,
per
due
ragioni.
1.
L'attivit
che
l'uomo
realizza
mediante
la
cultura,
anche
strumentale,
fuori
da
schemi
biologici
prefissati
e
costanti,
posta
liberamente,
con
modalit
innovative
che
si
basano
sull'esperienza
individuale
ed
in
grado
di
opporsi
alla
selezione
naturale.
Ci
per
non
come
avviene
per
qualunque
altra
specie
che
fa
fronte
a
condizioni
ambientali
nuove
mediante
le
sue
varianti
genetiche,
ma
proprio
contrastando
con
altri
mezzi,
non
biologici,
le
forze
selettive
dell'ambiente
sia
difendendosi
da
tali
forze
sia
modificando
l'ambiente.
Ci
rappresenta
una
novit
assoluta
nella
storia
della
vita.
Sotto
questo
aspetto
lo
sviluppo
della
specie
umana
rappresenta
sul
piano
evolutivo
"un
paradosso",
in
quanto
la
selezione
naturale
avrebbe
prodotto
un
essere
capace
di
contrastarla
con
modalit
che
non
rientrano
pi
nel
gioco
naturale
della
competizione
degli
esseri
viventi
con
l'ambiente.
In
questo
modo
la
selezione
naturale
viene
rallentata
o
anche
annullata.
Un
caso
unico
nel
mondo
dei
viventi,
si
direbbe
"un?anomalia",
spiegabile
con
l'intervento
della
cultura,
cio
di
un
fattore
che
non
si
ritrova
nelle
altre
specie
(27).
2.
L'altra
espressione
del
trascendimento
data
dall'arricchimento
di
valori
e
di
significato,
non
connessi
con
il
bisogno
biologico,
nelle
risposte
che
l'uomo
in
grado
di
realizzare
a
bisogni
biologici,
come
pure
da
comportamenti
che
non
sono
direttamente
legati
alla
sfera
biologica,
quali
si
osservano
nelle
manifestazioni
del
simbolismo
spirituale.
L'uomo
in
grado
di
interiorizzare
le
risposte
ai
bisogni
biologici
attribuendo
ad
esse
altri
valori
connessi
con
il
mondo
interiore
della
persona
o
con
la
sfera
sociale.
Cos,
l'abitazione
non
ha
solo
funzione
protettiva,
di
rifugio,
ma
simbolo
e
mezzo
di
coesione
della
famiglia;
l'abito
non
solo
per
la
protezione
del
corpo,
ma
pu
avere
un
significato
estetico,
sociale
o
di
pudore;
il
pasto
non
soddisfa
solo
l'esigenza
del
cibo,
ma
momento
di
comunicazione;
la
sessualit
non
solo
genitalit,
ma
amore,
ecc..
Se
poi
ci
si
riferisce
alle
manifestazioni
del
simbolismo
spirituale
(arte,
religione,
gratuit)
il
carattere
trascendente
anche
pi
evidente.
Il
trascendimento
pone
in
una
condizione
di
trascendenza
sia
che
venga
inteso
in
senso
comportamentale
che
in
senso
filosofico.
Ci
va
affermato
per
l'uomo
preistorico
come
per
l'uomo
attuale.
In
ogni
caso
anche
rimanendo
sul
piano
fenomenologico
si
deve
parlare
di
modalit
di
comportamento
che
non
sono
regolate
da
leggi
biologiche
e
rientrano
nella
sfera
dell'autodeterminazione
dell'uomo
in
base
a
scelte
di
valore.
L'identit
dell'uomo
non
paragonabile
a
quella
di
qualunque
altra
specie,
perch
ha
peculiarit
che
vanno
oltre
il
piano
biologico.
Quanto
alla
spiegazione
della
natura
di
tale
trascendenza
e
delle
sue
cause
occorre
portarsi
oltre
gli
aspetti
fenomenologici,
su
un
piano
propriamente
filosofico.
CONCLUSIONI
L'uomo
fatto
della
stessa
"stoffa"
dell'universo
e
degli
altri
viventi:
atomi,
molecole,
cellule.
Questi
elementi
acquistano
coscienza
nell'io
dell'essere
umano.
E'
questa
una
novit
assoluta
nel
mondo
dei
viventi.
Un
evento
casuale
la
comparsa
dell'uomo
o
finalistico?
Nella
visione
78
darwiniana
la
comparsa
di
ogni
specie
un
evento
fortuito,
del
tutto
casuale
e
attraverso
eventi
casuali
si
sarebbero
formate
le
diverse
linee
evolutive,
compresa
quella
dell'uomo.
E'
il
problema
del
finalismo
e
della
casualit
nel
processo
evolutivo,
sul
quale
si
sviluppato
un
ampio
dibattito
anche
perch
il
problema
non
soltanto
scientifico,
ma
anche
filosofico,
specialmente
se
ci
si
riferisce
a
un
disegno
generale
nell'evoluzione.
Non
sarebbe
da
escludere
che
un
disegno
superiore
possa
essersi
realizzato
con
il
concorso
di
eventi
accidentali,
nel
gioco
tra
i
grandi
numeri
e
la
casualit,
come
ha
notato
Teilhard
de
Chardin,
o
per
l'intreccio
di
eventi
genetici
casuali,
specialmente
macromutazioni,
e
della
selezione,
operanti
su
programmi
biologici
che
via
via
si
formano
(28).
Certamente
l'uomo
appare
come
un
evento
culminante
nel
processo
evolutivo,
il
punto
pi
alto
della
complessit
biologica,
segnato
dalla
presenza
di
elementi
nuovi:
la
coscienza,
lo
psichismo
riflesso.
Osserva
Piveteau:
"
la
nascita
del
pensiero
riflesso
non
si
pu
considerare
un
fatto
accidentale;
costituisce
al
contrario
il
tratto
fondamentale
della
storia
della
vita".
Lo
stesso
Autore
continua:
"L'uomo
aveva
creduto,
un
tempo,
di
essere
il
centro
del
mondo;
poi
gli
sembr
di
non
avere
nessuna
misura
con
la
natura,
trovandosi
sperduto
in
un
angolo
dell'universo.
La
paleontologia
gli
restituisce,
in
una
nuova
forma,
una
preminenza
in
cui
non
credeva
pi"
(29).
Ci
si
accorda
con
quanto
viene
enunciato
dal
principio
antropico
suggerito
dall'astrofisica
che
sembra
reintrodurre
nell'interpretazione
scientifica
dell'universo
l'idea
di
finalismo(30).
Il
pensiero
umano,
espresso
nel
comportamento,
costituisce
un
momento
emergente
nella
evoluzione
rispetto
alle
forme
che
non
hanno
questa
attitudine
e
sembra
farsi
coscienza
anche
del
mondo
infraumano.
Emergenza
evolutiva
e
trascendenza
dell'uomo
sono
in
stretto
rapporto
fra
loro.
A
prescindere
dalle
cause
e
dalle
modalit,
emerge
ci
che
trascende
un
certo
livello,
per
cui
il
carattere
trascendente
del
comportamento
umano
diventa
criterio
per
riconoscere
l'emergenza
dell'uomo
in
ci
che
lo
caratterizza
in
modo
peculiare
e
unico.
Mentre
sul
piano
morfologico
si
osserva
una
certa
continuit
evolutiva
tra
forme
non
umane
e
forme
umane,
pur
nelle
innovazioni,
segnate
soprattutto
dalla
cerebralizzazione,
sul
piano
comportamentale
si
riconoscono
aspetti
di
discontinuit,
anche
se
le
manifestazioni
agli
inizi
possono
apparire
elementari.
Per
quanto
si
riferisce
al
confronto
tra
uomo
e
antropomorfe
attuali
non
manca
chi
sostiene
che
le
differenze
siano
soltanto
di
ordine
quantitativo;
tuttavia
difficile
negare
il
trascendimento
che
complessivamente
contraddistingue
il
comportamento
umano.
Pi
arduo
pu
risultare
l'identificazione
della
specie
umana
alle
sue
origini.
A
questo
riguardo
ci
sembra
importante
distinguere
tra
attitudine
alla
cultura,
espressa
nella
progettualit
e
nella
simbolizzazione,
e
le
sue
manifestazioni.
Mentre
l'attitudine
pu
essere
ritenuta
una
costante
dell'uomo
da
quando
si
avuta
la
sua
presenza,
le
manifestazioni
presentano
una
progressione
nel
tempo
sia
che
riguardino
lo
sviluppo
delle
tecnologie
(strumentali,
abitative,
alimentari)
nel
rapporto
con
l'ambiente
sia
che
si
esprimano
in
una
maggiore
complessit
dei
sistemi
simbolici
nell'organizzazione
e
nella
vita
sociale
(31).
Emergenza
e
trascendenza
contraddistinguono
l'uomo
di
ogni
luogo
e
di
ogni
tempo.
Di
qui
la
comune
identit
e
la
fondamentale
uguaglianza,
radicata
sul
piano
biologico
e
variamente
espressa
nelle
culture
dei
popoli
attraverso
l'attitudine
culturale
che
li
accomuna.
79
(1)
AYALA
J.F.,
Darwin's
devolution:
design
without
designer,
in
RUSSEL
R.J.,
STOEGER
W.R.,
AYALA
F.J.,
(eds.),Evolutionary
and
molecular
Biology:
Scientific
Perspectives
on
divine
Action:
Vatican
Observatory
Publications:
Vatican
City
State
and
Center
for
Theology
and
Natural
Sciences:
Berkeley,
CA,
1998:
101-116.
(2)
GRASSE'
P.,
L'evoluzione
del
vivente,
Milano:
Adelphi,
1979.
(3)
La
teoria
evolutiva
conciliabile
con
la
fede
cristiana.
L'evoluzione
non
in
contrasto
con
la
creazione.
L'evoluzione
suppone
la
creazione,
come
ha
osservato
Giovanni
Paolo
II
(Discorso
in
occasione
del
Congresso
Internazionale
su
Fede
cristiana
ed
evoluzione;
Osservatore
Romano,
27.4.1985).
Tuttavia
sono
da
tenere
fermi
due
punti:
1)
tutta
la
realt
creata
da
Dio
e
corrisponde
a
un
suo
disegno
in
qualunque
modo
si
sia
realizzato;
2)
lo
spirito
non
pu
derivare
da
un
animale,
ma
creato
direttamente
da
Dio.
Circa
il
disegno
generale
nella
evoluzione
e
alcuni
aspetti
di
ordine
teologico
cf.
ARNOULD
J,
La
teologia
dopo
Darwin,
Brescia,
Queriniana,
2000;
AYALA
F.J.,
1998,
cit.;
GALLENI
L.,
Scienza
e
Teologia,
Brescia,
Queriniana,
1992;
FACCHINI
F.,
Le
origini
dell'uomo:
vedute
scientifiche
e
attuali
e
istanze
teologiche,Rivista
di
Teologia
dell'evangelizzazione,
2000,
gennaio-giugno
2000:
127-145.
E'
da
rilevare
la
posizione
di
Ayala
che
parla
di
un
disegno
senza
disegnatore,
in
quanto
ogni
teleologia
sarebbe
prodotta
dalla
selezione
naturale.
Io
direi
che
il
disegnatore
c',
ma
nascosto
dietro
le
leggi
della
chimica,
della
fisica,
della
biologia
e
dei
grandi
numeri.
(4)
AYALA,
1998,
cit.;
AYALA
J.F.,
Evolution
and
rationality:
Natural
selection,
Teleology
an
Novelty,
in
FACCHINI
F.
(a
cura
di),
Scienza
e
conoscenza.
Verso
un
nuovo
Umanesimo,
Ed.
Compositori,
Bologna,
2000:
137-149.
(5)
L'origine
africana
della
linea
umana
pu
essere
affermata
non
soltanto
in
base
alla
documentazione
fossile,
ma
anche
da
ricerche
sui
Primati
viventi.
Gli
studi
biomolecolari
sui
Primati
non
umani
viventi
e
sull'uomo
suggeriscono
che
la
differenziazione
delle
Antropomorfe
asiatiche
(Orango)
dal
ceppo
africano
sia
avvenuta
10-12
milioni
di
anni
fa;
la
separazione
della
linea
umana
da
quella
che
ha
portato
alle
Antropomorfe
africane
(Gorila,
Scimpanz)
sarebbe
pi
recente,
risalendo
a
circa
5-6
milioni
di
anni
fa.
Ma
recenti
scoperte
di
fossili
che
paiono
orientati
verso
la
linea
umana
risalenti
a
circa
6
milioni
di
anni
fa
nel
Kenya
(v.
Nota
8)
riapre
il
dibattito
sull'epoca
della
divergenza.
C'
un
certo
accordo
tra
i
dati
biomolecolari
e
quelli
paleontologici
sull'ordine
delle
separazioni
filetiche,
ma
non
sui
tempi.
(6)
COPPENS
Y.,
L'originalit
anatomique
et
fonctionelle
de
la
premire
bipedie,
Bull.
Acad.
Natle.
Md.,
175,
7,
1991:977-993;
COPPENS
Y.,
L'volution
des
Hominids,
de
leur
locomotion
et
de
leur
environnements,
in
COPPENS
Y.,
SENUT
B.,
(eds.),
Origine
de
la
bipedie
chez
les
Hominids,
Paris,
Ed.
CNRS,
1991:
295-301.
(7)
Cf.
COPPENS
Y.,
Le
genou
de
Lucie,
Paris,
Odile
Jacob,
1999;
FACCHINI
F.,
Evoluzione
umana
e
cultura,
Brescia,
La
Scuola
Editrice,
1999.
Recentemente
Recently
nel
Kenya
stata
scoperta
una
nuova
forma
australopitecina
(Kenyanthropus)
vissuta
3,3
milioni
di
anni
fa.
(8)
FACCHINI,
1999,
cit.;
SENUT
B.,
GOMMERY
D.,
Le
bipedie
degli
Ominidi,
Nuova
Secondaria,
Brescia,15
maggio
1999:
26-30.
Recentemente
sono
stati
segnalati
nelle
colline
di
Tugen,
vicino
al
Lago
Baringo
nel
Kenya,
nuovi
reperti
(frammenti
di
omero,
femore,
mandibola),
riferiti
a
vari
individui,
denominati
dapprima
"ancetre
du
Millenaire"
e
poiOrrorin
tugenensis,
che
sarebbero
vissuti
circa
6
milioni
di
anni
fa
e
mostrano
un
orientamento
verso
il
bipedismo
molto
prima
degli
Australopiteci
arcaici,
come
Lucy
(cf.
Science,
23
febr.
2001,
p.
1460-1461)
(9)
FACCHINI
F.,
Il
cammino
dell'evoluzione
umana.
Milano,
Jaca
Book,
II
ed.
1995.
Secondo
Falk
and
Tobias
lo
sviluppo
delle
aree
cerebrali
di
Broca
e
di
Wernicke
per
il
linguaggio
articolato
nell'emisfero
sinistro
pu
essere
osservato
nell'endocranio
di
Homo
Habilis
(FALK
D.,
Cerebral
cortices
of
East
African
early
Hominids.
Science,
222,
1983:1072-1074;
TOBIAS
Ph.,
The
brain
of
80
Homo
habilis:
a
new
level
of
organisation
in
cerebral
evolution,
Journal
of
Human
Evolution,
16,
1988:741-761;
TOBIAS
Ph.,
The
evolution
of
the
brain,
language
and
cognition,
in
FACCHINI
F.,
(ed.)
The
first
humans
and
their
cultural
manifestations,
Abaco,
Forl,
1996:87-94).
(10)
JELINEK
J.,
Was
Homo
erectus
already
Homo
sapiens
sapiens?
In
FEREMBACH
D.
(Ed.),
Le
processus
de
l'Hominisation,
Ed.
C.N.R.S.,
Paris,
85-90;
COPPENS
Y.,
1999,
cit.
(11)
Sul
problema
dell'origine
di
Homo
sapiens
cf.
fra
gli
altri:
BRAUER
G.,
SMITH
F.,
(Eds.),
Controversies
in
Homo
sapiens
evolution,
Balkema,
Rotterdam
1992;
AYALA
F.J.,
The
myth
of
Eve:molecular
biology
and
human
origins,Science,
270,
1995:
1930-1936;
CONDEMI
S.,
I
Neandertaliani
e
l'origine
dell'uomo
moderno,
Nuova
Secondaria,
Brescia,
15
maggio
1999:30-35;
WOLPOFF
M.
H.,
HAWKS
J.,
FRAYER
D.
W.,
HUNLEY
K.,
Modern
human
ancestry
at
the
peripheries:
a
test
of
the
replacement
theory,
Science,
291,
12
January,
2001,
293-297.
(12)
KRINGS
M,
STONE
A.,
SCHMITZ
R.W.,
KRAINITZKI
H.,
STONEKING
M.,
PAABO
S.,
Neandertal
DNA
sequences
and
the
origin
of
modern
humans.
Cell.
90,
July
,1997:
19-30;
OVCHINNIKOV
I.,
GOTHERSTROM
A.,
ROMANOVA
GALINA
P.,
KHARITONOV
V.,
M.,
LIDEN
K.
&
GOODWIN
W.,
Molecular
analysis
of
Neanderthal
DNA
from
the
northern
Caucasus.
Nature,404,
3
march
2000,
490-493.
(13)
TOBIAS
Ph.
Recent
advances
in
the
evolution
of
the
Hominds
with
especial
reference
to
brain
and
speech,
in
CHAGAS
C.,
(ed.),
Recent
advances
in
the
evolution
of
Primates,
Pontificia
Academia
Scientiarum,
Citt
del
Vaticano,
1983:
85-140;
PIVETEAU
J.,
La
comparsa
dell'uomo,
Jaca
Book,
Milano,
1994(tr.
it.
L'apparition
de
l'homme,
Oeil,
Paris,
1986);
COPPENS
Y.,
Le
singe,
l'Afrique
et
l'homme,
Fayard,
Paris,
1983;
Le
genou
de
Lucie,
Odile
Jacob,
1999.
(14)
BERGSON
H.,
L'evoluzione
creatrice,
La
Scuola,
Brescia,
1983.
(L'volution
cratrice,
1971)
(15)
TEILHARD
DE
CHARDIN
P.,
Le
phnomne
humain,
Ed.
Seuil,
Paris,
1955.
(16)
PIVETEAU
J.,
La
comparsa
dell'uomo.
Jaca
Book,
Milano,
1994.
(tr.
it.
L'apparition
de
l'homme.
O.E.I,.L.,
Paris,
1986).
(17)
FALK,
1983,
cit.;
TOBIAS,
1984,
1996,
cit.
(18)
FACCHINI
F.,
Il
simbolismo
nell'uomo
preistorico.
Aspetti
ermeneutici
e
manifestazioni,
Rivista
di
Scienze
Preistoriche,
XLIX,
1998,
651-671;
Symbolism
in
Prehistoric
Man,
Collegium
antropologicum,
Zagreb,
24,
2,
2000.
(19)
KITAHARA
FRISCH
J.,
Ethologie
animale
et
image
de
l'homme,
Nouvelle
Revue
Thologique,
106,
1984:
235-20.
(20)
COPPENS,
1991,
cit.
(21)
DAVIDSON
I.,
NOBLE
W.,
The
Archaeology
of
perception.
Traces
of
depiction
and
language,
Current
Anthropology,
30,
1989,
125-155.;
LINDLY
J.M.,
CLARK
G.A.,
Symbolism
and
modern
human
origins,
Current
Anthropology,
31,
1990:
233-261.
(22)
MARCOZZI
V.,
I
problemi
della
origine
dell'uomo
e
la
paleontologia,
Gregorianum,
59,
3,
Pont.
Univ.
Gregoriana,
1978,
511-535.
(23)
LEROI-GOURHAN
Y,
Le
fil
du
temps.
Ethnologie
et
Prehistoire.
Fayard,
Paris,
1983.
(24)
cf.
FACCHINI
F.,
Planning
Capacity
and
Symbolism
as
survival
Strategies,
in
H.
ULLRICH,
(Ed),
Hominid
evolution.Lifestyle
and
survival
strategies,Ed.
Archaea,
Gelsenkirchen/Schwelm,
1999:
517-525.
(25)
FACCHINI
F.,
1998,
cit.
(26)
DOBZHANSKY
Th.,
Le
domande
supreme
della
biologia,De
Donato,
Bari,
1969.
(tr.
The
Biology
of
ultimate
concern,New
York,
1967).
(27)
FACCHINI
F.,
Determinismo,
indeterminismo,
finalismo
nella
storia
dell'uomo.
In
ARECCHI
T.,
(Ed.),
Determinismo
e
complessit.
Nova
Spes
e
Armando,
Roma,
181-195.
(28)
Intorno
al
finalismo
vedi
nota
3.
81
82
83
84
singole
componenti
e
scorporato
nelle
sue
singole
funzioni
fino
a
perderne
la
visione
unitaria;
la
mente
espropriata
della
sua
soggettivit.
"La
tecnologia
diventa
parte
del
corpo,
non
fisico
ma
mentale:
protesi
della
soggettivit.
E
in
questo
farsi
parte,
la
tecnologia
permette
al
corpo
di
giocare
nuove
parti:
ruoli
prima
impossibili.
Quali
divengono
i
confini
della
corporeit,
e
come
si
rappresenta
la
corporeit,
quando
essa
si
mescola
alla
tecnologia
in
modo
co-sostanziale,
come
possibilit
stessa
di
espressione
della
soggettivit?"[9].
Prima
di
valutare
le
conseguenze
della
tecnica,
c'
da
chiedersi
-
in
prima
istanza
-
quale
sia
lo
"sguardo"
della
tecnologia,
ovvero
del
sapere
che
accompagna
la
tecnica,
al
corpo
umano.
E',
senz'altro,
lo
sguardo
del
dominio,
dell'utilit
e
dell'efficienza:
dai
risultati
positivi
ma
anche
negativi,
soprattutto
quando
si
riduce
il
corpo
a
mero
strumento
e
ad
oggetto
di
manipolazione.
Alla
base
di
tutto,
la
profonda
crisi
che
sta
attraversando
la
scienza
pura
e
non
solo
quanto
tecnica,
crisi
che
trae
la
sua
origine
nell'avere
identificato
lo
scopo
della
"scienza"
come
tale
con
l'opera
tecnologica.
In
questo
orizzonte,
la
scienza
intesa
essenzialmente
come
ricerca
di
quei
processi
che
conducono
ad
un
successo
di
tipo
tecnico
e
fa,
invece,
allontanare
l'uomo
dalla
ricerca
della
verit:
anzi
la
verit
diviene
superflua
e
talora
viene
esplicitamente
rifiutata.
Il
successo
tecnico
diviene
esso
stesso
"verit"
e
il
progresso
umano
viene
misurato
soltanto
in
base
al
progresso
della
scienza
e
della
tecnica,
senza
attenzione
,
come
gi
detto,
al
valore
"uomo".
Il
mondo
a
livello
scientifico
cos
ridotto
ad
un
semplice
complesso
di
fenomeni
manipolabili
e
oggetto
della
scienza
solo
una
connessione
funzionale
che
viene
analizzata
unicamente
proprio
in
relazione
della
sua
funzionalit[10].
La
terza
chiave
di
lettura
quella
antropologico-filosofica,
che
guarda
al
corpo
umano
nella
sua
globalit
al
fine
di
indagare
sulla
sua
realt,
sul
suo
valore,
sulla
sua
dignit.
Anzi
lo
sguardo
penetra
in
profondit,
superando
la
fisicit
per
scoprire
quale
la
realt
ontologica
dell'individuo
umano.
La
quarta,
ed
ultima,
chiave
di
lettura
quella
della
teologia,
che
si
integra
-
senza
confondersi
-
con
quella
antropologico-filosofica:
"Esistono
due
ordini
di
conoscenza,
distinti
non
solo
per
il
loro
principio,
ma
anche
per
il
loro
oggetto:
per
il
loro
principio,
perch
nell'uno
conosciamo
con
la
ragione
naturale,
nell'altro
con
la
fede
divina;
per
l'oggetto,
perch
oltre
le
verit
che
la
ragione
naturale
pu
capire,
ci
proposto
di
vedere
i
misteri
nascosti
in
Dio,
che
non
possono
essere
conosciuti
se
non
sono
rivelati
dall'alto.
La
fede,
che
si
fonda
sulla
testimonianza
di
Dio
e
si
avvale
dell'aiuto
soprannaturale
della
grazia,
effettivamente
di
un
ordine
diverso
da
quello
della
conoscenza
filosofica.
Questa,
infatti,
poggia
sulla
percezione
dei
sensi,
sull'esperienza
e
si
muove
alla
luce
del
solo
intelletto.
La
filosofia
e
le
scienze
spaziano
nell'ordine
della
ragione
naturale,
mentre
la
fede,
illuminata
e
guidata
dallo
Spirito,
riconosce
nel
messaggio
della
salvezza
la
pienezza
di
grazia
e
di
verit
(cfr
Gv
1,14)
che
Dio
ha
voluto
rivelare
nella
storia
e
in
maniera
definitiva
per
mezzo
di
suo
Figlio
Ges
Cristo
(cfr
1Gv
5,9;
Gv
5,31-32)"[11].
La
riflessione
teologica,
dunque,
pur
tenendo
criticamente
presenti
le
conclusioni
della
riflessione
filosofica,
studia
il
corpo
alla
luce
della
Rivelazione
che
Dio
ha
fatto
di
s
in
Cristo,
trasmessa
dalla
Sacra
Scrittura
e
insegnata
dalla
Chiesa.
Quattro
chiavi
di
lettura,
dunque,
che
consentono
di
indagare
secondo
quattro
angolature
diverse
un'unica
realt:
l'individuo
umano.
Quattro
chiavi
che,
se
usate
singolarmente,
possono
dare
una
lettura
non
esaustiva
della
realt
umana
e
non
rispondere
alla
domanda
fondamentale:
"Come
dobbiamo
comportarci
nei
confronti
della
persona
umana?".
Quattro
chiavi
di
lettura
che
esigono
di
essere
integrate
e
gerarchizzate
attorno
ad
un
valore
centrale
di
riferimento,
la
persona,
anche
se
la
"serratura"
della
piena
comprensione
pu
essere
aperta
dalla
chiave
antropologico-filosofica
e
dalla
chiave
teologica,
senza
trascurare,
per,
le
acquisizioni
delle
altre
discipline.
Solo
cos
sar
possibile
compiere
quel
"passaggio,
tanto
85
86
corpo
separato;
ma
un'anima
che
si
serve
di
un
corpo"[15].
Il
suo
intento
di
difendere
sia
l'immortalit
dell'anima
sia
l'unit
dell'uomo,
continua
Gilson,
ma
di
fatto
non
riesce
a
giustificare
l'unit.
Un
primo
superamento
del
dualismo
platonico
l'ilemorfismo
aristotelico,
che
presenta,
per,
una
difficolt:
l'incapacit
di
giustificare
l'immortalit
dell'anima.
"L'ilemorfismo
aristotelico
cedeva
l'anima
come
la
forma
del
corpo.
Quindi
due
erano
i
principi
sostanziali
dell'unit
dell'uomo:
materiale
(corpo)
e
formale
(anima).
Con
ci
si
salva
bene
l'unit
dell'uomo,
la
quale
sostanziale
e
non
accidentale,
per
si
mette
in
pericolo
l'immortalit
dell'anima,
giacch
l'anima
l'atto
o
la
forma.
Ma
l'atto
o
la
forma
non
realt
sostanziale,
bens
appartiene
ai
principi
dell'essere.
Quindi
l'atto
o
la
forma
cessa
di
esistere
con
la
morte
dell'uomo.
In
altre
parole:
la
forma
del
corpo
umano
dura
finch
non
cessa
l'unione
tra
anima
e
corpo"[16].
Nella
lettura
di
San
Tommaso
d'Aquino,
invece,
l'anima
umana
s
la
forma
del
corpo
(materia),
ma
una
forma
speciale
che
possiede
e
d
sostanzialit.
"Omne
compositum
ex
materia
et
forma
est
corpus"
[17];
"anima
rationalis
est
forma
in
homine,
qua
corpus
est
corpus"[18];
"una
enim
et
eadem
forma
est
per
essentiam,
per
quam
homo
est
ens
actu,
et
per
quam
est
corpus,
et
per
quam
est
homo"[19]:
cos
S.
Tommaso
esprime
l'unit
essenziale
dell'uomo.
Un'unit
di
corpo
e
anima
che
sostanziale,
intima
e
strettissima:
le
dimensioni
vegetativa,
animale
e
spirituale
della
vita
personale
non
sono
giustapposte
tra
loro,
in
una
combinazione
accidentale
che
le
lasci
estranee
l'una
all'altra,
ma
l'anima
razionale
investe,
trasfigura
e
trasferisce
in
un
orizzonte
nuovo
tutta
la
corporeit
umana.
Essa
perci
non
corporeit
solo
materiale,
ma
corporeit
personale:
"
il
corpo
permeato
anzitutto
(se
cos
ci
si
pu
esprimere)
da
tutta
la
realt
della
persona
e
della
sua
dignit"[20].
L'uomo
,
dunque,
unit
grazie
alla
sua
forma
che
sostanzializza
e
spiritualizza
il
corpo:
"L'uomo
persona
nell'unit
del
corpo
e
dello
spirito.
Il
corpo
non
pu
essere
mai
ridotto
a
pura
materia:
un
corpo
spiritualizzato,
cos
come
lo
spirito
tanto
profondamente
unito
al
corpo
da
potersi
qualificare
uno
spirito
corporeizzato"
[21].
L'io-spirituale
dell'uomo
,
allora,
un
io-spirituale
in
un
corpo:
il
suo
essere
corpo
coincide
con
il
suo
essere
spirituale.
Ne
consegue
che
nella
persona
umana
non
coesistono
due
realt
-
spirituale
e
corporea
-,
e
il
corpo
non
una
parte
o
un
settore
dell'uomo:
il
corpo
espressione
-
segno
-
di
tutto
l'uomo
che
solo
attraverso
di
esso
ha
la
possibilit
di
essere
e
di
esistere.
A
sua
volta
il
corpo
pu
essere
a
giusta
ragione
definito
umano
proprio
perch
prende
significato
dalla
sua
connessione
con
la
persona
e
perch
animato
da
un'anima
spirituale,
quella
stessa
anima
per
cui
conosciamo
e
siamo
liberi.
Corpo
o
corporeit?
La
stessa
chiave
di
lettura
pu,
dunque,
portare
a
due
diverse
soluzioni:
per
quale
ragioni
dobbiamo
propendere
per
una
soluzione
piuttosto
che
per
l'altra?
Essere
corpo
significa
"occupare"
uno
spazio
e
un
tempo,
provare
caldo
o
freddo,
avvertire
la
sete
e
la
fame:
ma
questo
medesimo
"corpo",
se
un
corpo
umano,
pu
essere
anche
in
grado
di
pensare,
di
ragionare,
di
volere
liberamente.
E'
l'esperienza
che
ci
conduce
ad
una
soluzione
duale.
"L'esperienza
ci
attesta
la
profonda
unit
dell'uomo:
io
che
sento
freddo
e
ho
mal
di
capo
ho
il
concetto
della
giustizia
e
dimostro
l'esistenza
di
Dio.
Tale
unit
si
spiega
soltanto
se
si
ammette
che
il
principio
delle
nostre
attivit,
lo
stesso
principio
per
cui
conosciamo
intellettivamente,
sia
forma
sostanziale
del
corpo.
S.
Tommaso
usa
due
argomenti
per
dimostrare
questa
tesi:
uno
positivo
e
uno
negativo.
Quello
positivo
procede
cos:
l'uomo,
hic
homo,
quello
che
mangia,
beve
e
veste
panni,
quest'uomo
che
sono
io,
un
corpo:
io
sono
un
corpo.
Ora
ci
per
cui
il
corpo
esercita
la
sua
attivit
la
sua
forma
sostanziale.
Infatti,
per
operare,
bisogna
essere,
e
per
87
operare
in
un
determinato
modo
bisogna
essere
in
un
determinato
modo,
bisogna
avere
una
determinata
natura;
e
il
principio
per
cui
il
corpo
ha
una
determinata
natura
-
quindi
anche
una
determinata
attivit
-
la
forma
sostanziale.
Ora
fra
le
varie
attivit
dell'uomo
(fra
le
attivit
mie)
v'
la
conoscenza
intellettiva.
Dunque
il
principio
dell'attivit
intellettiva
forma
sostanziale
dell'uomo:
la
forma
sostanziale
del
corpo
[...]
L'argomento
negativo
addotto
da
S.
Tommaso
questo:
trovatemi
voi
un
altro
modo
di
unione
fra
il
principio
intellettivo
e
il
corpo,
che
spieghi
la
profonda
unit
della
vita
umana
nelle
sue
varie
manifestazioni"[22].
Quanto
fin
qui
detto
pu
essere
riassunto
nella
nota
espressione
di
Marcel:
"Je
suis
mon
corps"[23].
Ma
come
sottolinea
Riva,
questa
affermazione
di
Marcel
non
deve
di
certo
portare
alla
conclusione
che
"siamo
solo
corpo":
"Tornando,
infine,
al
predicato
mon
corps,
si
osservato
come
l'indice
possessivo
veicoli
l'intimit,
la
solidariet
ed
il
mutuo
riconoscersi
di
soggettivit
e
corporeit.
Non
bisogna
per
dimenticare
che
non
si
tratta
d'una
identificazione
bens
d'una
reciproca
vicinanza
del
corpo
e
dell'io.
Per
ci
stesso
mantenuta
nel
mon,
oltre
che
nell'unit
dei
termini
in
questione,
la
loro
distinzione.
E'
dunque
in
virt
del
mon
attribuito
precedentemente,
in
sede
di
rilievo
fenomenologico,
dal
soggetto
al
corpo
che
si
rende
possibile
la
predicazione
je-suis-mon
corps.
Il
possessivo,
infatti,
prolunga
la
sfera
della
soggettivit
avvicinando
ci
che
era
distante"[24].
Una
riflessione
questa
che
ci
porta
ad
analizzare
le
due
espressioni
solitamente
utilizzate
per
indicare
il
rapporto
tra
la
persona
e
il
suo
corpo:
"io
ho
il
corpo";
"io
sono
il
mio
corpo".
In
una
visione
dualista
senz'altro
escluso
un
rapporto
persona-corpo
basato
sulla
categoria
dell'avere:
se
il
corpo
un
tutt'uno
con
l'anima,
non
si
pu
pensare
a
due
elementi,
uno
che
funge
da
soggetto
e
possiede,
e
l'altro
che
funge
da
oggetto
e
viene
posseduto.
E',
per,
soddisfacente
basare
il
rapporto
corpo-persona
sulla
categoria
dell'essere
un
corpo?
Non
si
rischia
di
esaurire
tutta
l'esistenza
personale
nell'essere
un
corpo?
Perch
l'uomo
possa
avere
interiormente
coscienza
della
presenza
del
corpo
e
percepirne
la
sua
unit,
egli
deve
necessariamente
trascendere
il
suo
corpo
e,
quindi,
non
pu
identificarsi
in
toto
con
esso.
Se
l'uomo
si
identificasse,
in
toto
con
il
proprio
corpo,
per
quale
ragione,
ad
esempio,
si
cerca
nell'altro,
al
di
l
dell'aspetto
esteriore
del
suo
corpo,
"qualcosa"
di
cui
quel
corpo
manifestazione?
Guardando,
infatti,
il
corpo
umano,
io
cerco
ci
che
non
visibile
e
non
empiricamente
dimostrabile:
il
pensare
e
il
volere
di
quella
persona
che
mi
si
manifesta
attraverso
quel
corpo.
"...
questo
insieme
osservabile
dall'esterno
-
scrive
Karol
Wojtyla
in
Persona
e
Atto
-
non
esaurisce
del
tutto
la
realt
del
corpo
umano,
come
quella
del
corpo
degli
animali
delle
piante.
Il
corpo
possiede
anche
una
sua
propria
interiorit..."[25].
Ed
ancora
(a
pag.
235):
"L'appartenenza
del
corpo
all'io
soggettivo
non
consiste
in
un'identificazione
con
esso.
L'uomo
non
il
proprio
corpo
ma
"possiede"
il
proprio
corpo.
Il
possesso
del
proprio
corpo
condiziona
la
sua
oggettivazione
negli
atti,
e
allo
stesso
tempo
si
esprime
attraverso
tale
oggettivazione.
L'uomo
in
modo
particolare
consapevole
di
possedere
il
proprio
corpo,
allorch,
nell'azione,
si
serve
di
esso
come
un
mezzo
obbediente
per
esprimere
la
sua
autodeterminazione".
Premesso
che
la
categoria
del
"possesso"
utilizzata
da
Wojtyla
per
esprimere
il
rapporto
persona-corpo-atto
non
corrisponde
alla
categoria
dell'avere
nel
rapporto
corpo-persona[26],
opportuno
soffermarsi
sull'affermazione
"l'appartenenza
del
corpo
all'io
soggettivo
non
consiste
in
un'identificazione
con
esso":
in
altre
parole,
la
persona
pi
del
suo
corpo.
Ed
allora,
l'espressione
che
meglio
esplicita
questa
peculiare
costituzione
dell'uomo
:
"Io
sono
una
corporeit".
Gi
la
filosofia
fenomenologica
ha
sottolineato
la
diversit
tra
i
termini
"corpo"
e
"corporeit":
in
fondo,
la
distinzione
introdotta
da
Husserl
prima
tra
Korper
e
Leib,
ove
Korper
indica
il
corpo
come
semplice
oggetto
e
Leib
indica
il
corpo
vissuto
o
la
coscienza
del
proprio
corpo[27],
e
da
88
Scheler
poi
tra
Geist
(il
mondo
dello
spirito),
Ich
(il
mondo
psichico),
Korper
(il
mondo
fisico)
e
Leib
(la
forma
unitaria
di
tutte
le
sensazioni
organiche),
prelude
a
questa
chiarificazione.
"Il
mio
corpo
pu
[...]
apparirmi
anche
come
un
corpo
fra
i
corpi,
pu
in
qualche
modo
essere
oggettivato,
ma
mai
totalmente
[...]
Posso
toccare
la
mia
destra
con
la
sinistra
e
farne
oggetto
della
mia
percezione
ed
ecco
che
una
parte
di
me,
la
mano
sinistra,
si
sottrae
all'oggettivizzazione:
toccante,
gi
soggettivit"[28].
E
cos,
mentre
"corpo
richiama
la
scissione
classica
di
corpo
e
anima
di
origine
greca
e
indica,
almeno
nel
linguaggio
comune,
una
parte
della
persona:
la
componente
corporea
in
quanto
distinta
dalla
componente
spirituale...
Corporeit
indica
l'intera
soggettivit
umana
sotto
l'aspetto
della
sua
condizione
corporea
in
quanto
costitutiva
della
sua
identit
personale.
Storicamente
infatti
non
esiste
una
persona
umana
che
non
sia
al
tempo
stesso
un
io-spirituale
e
un
io-corporeo;
la
corporeit
in
questo
senso
l'espressione,
il
riflesso
visibile
e
l'attuazione
dell'essere
umano,
uno
e
indiviso.
Corporeit
una
nozione
pi
ampia
di
corpo;
in
quanto
tale
la
corporeit
inerisce
alla
totalit
della
persona
e
interferisce
nella
sua
interiorit
e
nel
suo
rapportarsi
agli
altri
nel
mondo"[29].
Questa
corporeit
manifesta
a
pieno
la
sua
umanit:
l'uomo
diverso
dall'animale
-
afferma
Knapp
-
in
virt
della
sua
corporeit.
"L'uomo
-
scrive
Hengstenberg
-
non
solo
un
organismo
animale
con
l'aggiunta
della
coscienza
che
lo
sopraeleva.
E'
l'unico
essere
che
ha
un
corpo,
mentre
nell'animale
si
pu
parlare
solo
di
organismo
[...]
L'essere
rivolti
all'oggettivit
(o
senso)
ha
cooperato
nella
morfologia
della
membra
e
degli
organi
umani,
e
lo
stesso
vale
per
il
corpo"[30].
Ma
gi
Scheler
aveva
contestato
la
definizione
dell'uomo
come
"animale
razionale",
sostenendo
che
le
differenze
che
separano
l'uomo
dall'animale
riguardano
anche
il
corpo[31].
Fin
qui
l'analisi
del
rapporto
persona-corpo
con
uno
sguardo
alla
"persona":
ma
anche
uno
sguardo
al
rapporto
interpersonale
pu
evidenziare
come
l'individuo
sia
nel
contempo
un'unit
inscindibile
di
anima
e
di
corpo.
Si
pensi
all'esperienza
dell'incontro
con
l'altro,
che
avviene
sempre
attraverso
il
corpo
ma
che
non
si
ferma
alla
dimensione
corporea.
"Ad
esempio,
se
noi
riteniamo
peculiare
della
persona
l'autocoscienza,
non
abbiamo
per
esperienza
diretta
dell'autocoscienza
ma
la
deduciamo
dai
comportamenti
altrui
che
sono
sempre
comunque
mediati
dal
corpo.
Infatti
l'Io
che
ha
l'autocoscienza
lo
stesso
che
si
sposta,
che
ha
caldo,
che
ha
freddo.
Senza
riferimento
al
corpo
non
c'
possibilit
di
relazione
con
l'altro.
L'altro
per
me
innanzitutto
il
suo
corpo
anche
quando
non
soltanto
un
corpo
(il
ricordo
sempre
il
ricordo
di
un
volto)"[32].
Attraverso
il
corpo
si
esprime
la
persona:
il
corpo
manifesta
la
persona
nella
sua
visibilit;
il
corpo
-
come
ha
scritto
Giovanni
Paolo
II
-
"sacramento"
della
persona,
ovvero
manifestazione
visibile
di
una
realt
invisibile[33]:
la
realt
invisibile
e
interiore
della
persona
si
esprime
e
si
realizza
mediante
la
realt
visibile
ed
esteriore
del
corpo.
Attraverso
la
sua
corporeit
la
persona
umana
pu
esprimersi,
comunicare
con
gli
altri,
entrare
in
rapporto
con
loro,
donarsi
ed
accogliere
l'altro.
Questa
mediazione
sociale
del
corpo
uno
degli
aspetti
sottolineati
dal
pensiero
di
G.
Marcel:
se
l'esistenza
umana
tale
in
quanto
un
"essere
con"
altri,
essere
aperti
agli
altri,
ci
possibile
attraverso
la
corporeit
e
il
suo
linguaggio[34].
Il
corpo
"presenza"
di
fronte
agli
altri,
sintesi
del
passato,
presente
e
futuro:
da
qui
la
necessit
del
reciproco
riconoscimento
come
persone
e
di
comune-unione.
Il
corpo
come
"espressione",
e
quindi
come
cultura,
civilizzazione,
capacit
di
trasformazione
del
mondo
e
della
materia;
il
corpo
come
mediazione
per
la
realizzazione
della
persona;
ma
il
corpo
anche
come
mediazione
per
conferire
al
mondo
significati
sempre
nuovi,
trascendendo
di
continuo
le
proprie
esperienze
e
i
precedenti
significati:
"Il
corpo
proprio
nel
mondo
come
il
89
90
"Unit
di
anima
e
corpo,
l'uomo
sintetizza
in
s,
per
la
sua
condizione
corporale
gli
elementi
del
mondo
materiale,
cos
che
questi
attraverso
di
loro
toccano
il
loro
vertice
e
prendono
voce
per
lodare
in
libert
il
Creatore"[42].
L'uomo,
dunque,
come
"luogo"
di
sintesi
tra
natura
biologica
e
trascendenza;
l'uomo
come
novit,
ontologica
e
di
valore,
nel
mondo
materiale.
Quest'uomo
che,
pur
scrutabile
con
gli
stessi
criteri
utilizzati
per
altre
specie
viventi,
l'unico
dotato
-
in
forza
dello
spirito
-
di
intenzionalit.
Il
corpo
umano
inventa,
infatti,
movimenti,
gesti,
ed
sempre
aperto
a
nuove
possibilit;
il
corpo
umano
capace
di
apprendere
significati
attraverso
i
sensi
e
di
comunicare
significati;
il
corpo
umano
aperto
all'apprendimento
ed
coinvolto
nel
processo
conoscitivo
e
affettivo.
"Quando
diciamo
che
l'uomo
una
persona
vogliamo
dire
che
egli
non
solamente
un
pezzo
di
materia,
un
elemento
individuale
della
natura,
cos
come
sono
elementi
individuali
nella
natura
un
atomo,
una
spiga
di
grano,
una
mosca,
un
elefante.
L'uomo
s
un
animale
e
un
individuo,
ma
non
come
gli
altri.
L'uomo
un
individuo
che
si
guida
da
s
mediante
l'intelligenza
e
la
volont;
esiste
non
solo
fisicamente,
c'
in
lui
un
esistere
pi
ricco
e
pi
elevato,
una
sopraesistenza
spirituale
nella
conoscenza
e
nell'amore.
E'
cos
in
qualche
modo
un
tutto,
e
non
soltanto
una
parte,
un
universo
a
s,
un
microcosmo,
in
cui
il
grande
universo
pu,
tutto
intero,
essere
contenuto
per
mezzo
della
conoscenza;
mediante
l'amore
pu
darsi
liberamente
ad
altri
esseri
che
per
lui
sono
come
altri
se
stesso,
relazione
questa,
di
cui
non
possibile
trovare
l'equivalente
in
tutto
l'universo
fisico.
In
termini
filosofici
ci
vuol
dire
che
nella
carne
e
nelle
ossa
umane
c'
un'anima
che
uno
spirito
e
che
vale
pi
dell'universo
tutto
intero.
La
persona
umana,
per
dipendente
che
sia
dai
pi
piccoli
accidenti
della
materia,
esiste
per
l'esistenza
stessa
della
sua
anima
che
domina
il
tempo
e
la
morte.
E'
lo
spirito
che
la
radice
della
persona"[43].
Un'intenzionalit
che
non
sarebbe
possibile
se
non
fosse
sostenuta
da
una
natura
d'essere:
l'uomo
non
potrebbe
aprirsi
e
tendere
a
ci
che
trascende
la
materialit
del
mondo,
se
in
esso
stesso
non
vi
fosse
un
nucleo
metafisico
spirituale,
non
soggetto
ai
determinismi
delle
realt
finite[44].
La
dignit
della
persona
e
la
sua
irriducibilit
all'ordine
della
semplice
natura
biologica
sono
rilevabili
-
come
abbiamo
visto
-
attraverso
pi
vie,
che
mettono,
per,
in
evidenza
quale
sia
il
loro
reale
fondamento:
un
soggetto
spirituale,
ontologicamente
cosciente
e
libero,
indipendentemente
dal
fatto
che
coscienza
e
libert
possano
poi
estrinsecarsi.
D'altra
parte,
l'uomo
stesso
percepisce
questa
"irriducibilit"
e
"distanza"
dal
mondo
materiale
-
"La
sostanza
materiale,
ed
anche
il
nostro
corpo
considerato
nelle
sue
propriet
puramente
fisiche,
estesa
nello
spazio
ed
composta
e
quindi
divisibile
nelle
sue
particelle
elementari
(almeno
dal
punto
di
vista
matematico).
Il
cervello
umano
composto
e
realmente
divisibile
in
milioni
e
milioni
di
parti.
La
sostanza
materiale
pu
anche
venire
percepita
sensibilmente
-
anche
se
solo
indirettamente
attraverso
i
suoi
accidenti
-,
ad
essa
appartengono
peso,
colore,
ecc.
Tutte
queste
determinazioni
sono
evidentemente
prive
di
senso
in
rapporto
al
soggetto
cosciente
immediatamente
vissuto
delle
nostre
esperienze
e
dei
nostri
atti.
Questo
soggetto
non
pu
essere
esteso
nello
spazio,
avere
nello
spazio
delle
parti
che
siano
esterne
ad
altre
parti,
essere
composto
e
divisibile
miliardi
di
volte"[45]
-,
ma
nello
stesso
tempo
vive
i
limiti
e
l'ambiguit
di
essere
uno
"spirito
corporeizzato".
Limite
che
l'uomo
sperimenta
nel
dolore
e
nella
malattia:
l'Io
che
vive,
sente,
capisce,
soffre,
spera,
spirituale
e
corporeo
insieme:
il
corpo
malato
-
scrive
Focault
-
racconta
l'uomo
e
ne
rende
evidente
la
sua
finitezza[46].
Anche
per
la
normale
dipendenza
da
ritmi
biologici,
fisiologici
e
psicologici.
Un
limite
che
rende
ancor
pi
manifesto
il
suo
essere
spirituale-corporeo,
perch
sottolinea
ancor
di
pi
il
divario
tra
le
aspirazioni
umane
e
le
possibilit
reali.
91
92
nell'escathon
il
corpo
umano
diventa
il
segno
e
il
luogo
della
rivelazione
totale
e
della
realizzazione
piena
della
salvezza,
e
pertanto
della
stessa
personalit
umana"[52].
Un
altro
tassello
manca,
per,
nell'analisi
della
teologia
della
corporeit
e
che
consentirebbe
di
evidenziare
un'altra
dimensione
fondamentale
della
corporeit,
l'essere
dono.
"Se
ogni
essere
creato,
proprio
perch
creato,
porta
impresso
il
sigillo
dell'amore
di
Dio
('ogni
creatura
porta
in
s
il
segno
del
dono
originario
e
fondamentale'),
l'uomo
porta
impresso
tale
sigillo
in
una
maniera
tutta
sua,
originale,
propria,
tale
cio
che
lo
differenzia
dagli
esseri
infraumani:
lui,
lui
solo
sa
di
essere
dono;
l'unica
creatura
che
capace
di
comprendere
il
senso
stesso
del
dono
nella
chiamata
dal
nulla
all'esistenza.
Ed
egli
capace
di
rispondere
al
creatore
con
il
linguaggio
di
questa
comprensione"[53]
Ges
Cristo
vive
questa
dimensione
del
dono
della
corporeit
fino
al
massimo
delle
sue
manifestazioni:
il
dono
del
Corpo
e
del
Sangue
nell'Eucarestia,
il
dono
di
S
per
la
salvezza
dei
fratelli.
La
dimensione
sponsale
del
corpo
Il
luogo
ove
la
persona
umana
sperimenta
questa
dimensione
del
dono
soprattutto
la
corporeit
sessuata,
l'esperienza
cio
di
essere
uomo
o
di
essere
donna:
un'esperienza
intrinseca
alla
vita
umana.
La
corporeit
umana
segnata,
infatti,
originariamente
dalla
differenza
sessuale
che,
partendo
dalle
sue
componenti
biologiche,
risulta
radicata
nella
struttura
ontologica
della
persona:
"Fino
all'ultima
cellula
il
corpo
maschile
maschile
e
il
femminile
femminile
ed
analogalmente
l'intera
esperienza
ed
autocoscienza
empirica.
Questo
all'interno
di
una
natura
umana
identica
in
entrambi
la
quale
per
in
nessun
punto
emerge
neutrale,
al
di
l
della
differenza
dei
sessi,
come
in
luogo
di
possibile
comprensione"[54].
La
persona,
dunque,
attua
la
sua
costituzione
ontologica
esistendo
sempre
e
soltanto
come
uomo
o
come
donna,
senza
che
questo
per
scavi
un
abisso
incolmabile
dal
momento
che
unico
il
fondamento,
l'esistere
come
persona
umana:
"Il
testo
jahvista
del
capitolo
secondo
-
scrive
Giovanni
Paolo
II
-
ci
autorizza
a
pensare
prima
solamente
all'uomo
in
quanto,
mediante
il
corpo,
appartiene
al
mondo
visibile,
per
oltrepassandolo,
poi,
ci
fa
pensare
allo
stesso
uomo,
ma
attraverso
la
duplicit
del
sesso
[...]
La
mascolinit
e
la
femminilit
sono
[...]
due
differenti
incarnazioni,
cio
due
modi
di
essere
corpo
dello
stesso
essere
umano,
creato
ad
immagine
di
Dio"[55].
Nella
corporeit
sessuata
si
manifestano
tutte
quelle
dimensioni
a
cui
abbiamo
fatto
gi
cenno:
la
corporeit
come
manifestazione
della
persona,
come
relazione,
come
intenzionalit,
come
limite.
E
cos
come
la
corporeit
non
esaurisce
tutta
l'esistenza
personale,
anche
la
corporeit
sessuata
non
esprime
tutta
la
persona
n
la
persona
necessitata
ad
esprimere
la
totalit
delle
proprie
capacit
sessuali.
Essere
donna
non
equivale,
allora,
necessariamente
ad
essere
moglie
o
madre,
cos
come
essere
uomo
non
vuol
dire
essere
necessariamente
marito
e
padre.
Se
cos
non
fosse,
non
si
spiegherebbe
d'altra
parte
la
scelta
della
verginit:
l'aver
scelto
di
vivere
la
propria
sessualit
senza
un'attivit
genitale,
per
potenziare
la
capacit
di
donazione,
di
Amore
e
di
impegno
verso
gli
uomini
e
verso
Dio,
non
rende
certamente
n
meno
uomini
n
meno
donne.
L'essere
sessuati,
dunque,
come
espressione
della
persona,
intimamente
orientata
all'Amore
e
al
dono:
ed
su
questa
dimensione
che
ci
soffermiamo,
con
particolare
attenzione
alla
relazione
uomo-donna
nella
coniugalit.
Infatti,
l'uomo
e
la
donna,
pur
sperimentando
nella
corporeit
sessuata
il
limite
di
non
essere
in
se
stessi
tutta
l'umanit,
hanno
nel
contempo
la
consapevolezza
di
essere
e
di
esistere
con
e
per
qualcuno
"L'uomo
e
la
donna
diventano
quello
che
sono
unicamente
nella
reciprocit
di
un
faccia
a
faccia
corporeo
che
li
impegna
l'uno
e
l'altro;
parimenti
essi
sperimentano
quello
che
sono
soltanto
in
93
questa
reciprocit.
Si
se
stessi
solo
per
l'altro:
ecco
cosa
significa,
fondamentalmente,
la
sessualit"[56].
Si
se
stessi
solo
per
l'altro:
questa
la
chiave
di
lettura
della
dimensione
del
dono
-
o
dimensione
sponsale
secondo
la
definizione
di
Giovanni
Paolo
II
-
della
corporeit:
attraverso
il
corpo
"l'uomo-persona
diventa
dono
e
-
mediante
questo
dono
-
attua
il
senso
stesso
del
suo
essere
e
del
suo
esistere"[57].
Nella
dimensione
sponsale
la
capacit
del
dono
supera
poi
il
limite
della
relazione
uomo-donna
nell'apertura
al
dono
totale
di
s
ad
una
nuova
esistenza.
Anzi
nel
farsi
"dono
per
il
dono",
l'uomo
e
la
donna
ripropongono
e
ricostruiscono
il
mistero
stesso
della
Creazione:
"L'uomo
e
la
donna,
unendosi
tra
di
loro
cos
strettamente
da
divenire
una
sola
carne,
riscoprono
per
cos
dire,
ogni
volta
e
in
modo
speciale,
il
mistero
della
Creazione,
ritornando
cos
a
quella
unione
nell'umanit
che
permette
loro
di
riconoscersi
reciprocamente
come
la
prima
volta,
di
chiamarsi
per
nome
[...]
Il
fatto
che
divengono
una
sola
carne
un
potente
legame
stabilito
dal
Creatore,
attraverso
il
quale
essi
scoprono
la
propria
umanit,
sia
nella
sua
unit
originaria,
sia
nella
dualit
di
una
misteriosa
attrattiva
reciproca"[58].
Se,
dunque,
la
lettura
della
corporeit
sessuata
viene
condotta
alla
luce
del
disegno
divino
sull'uomo
e
sulla
donna
e
sulla
loro
relazione
originaria,
si
coglie
con
maggiore
pienezza
il
significato
della
dimensione
sponsale
del
corpo
per
la
quale
la
persona
chiamata
a
divenire
sempre
di
pi,
nell'amore
e
nel
dono
di
s,
quello
che
fin
"dall'origine":
dono[59].
"Non
bene
che
l'uomo
sia
solo"
(Gen
2,18):
per
questo
motivo
Dio
crea
la
donna
e
la
conduce
all'uomo.
Egli
la
"riconosce":
"Finalmente
essa
osso
delle
mie
ossa
e
carne
della
mia
carne"
(Gen
2,23),
scoprendo
cos
un
"tu"
che
gli
uguale
e
complementare,
un
tu
che
ha
atteso
da
sempre
perch
l'uomo
non
pu
che
esistere
se
non
in
"relazione
con"
qualcuno
che
sia
uguale
e
di
pari
dignit.
"Nella
creazione
della
donna
-
scrive
Giovanni
Paolo
II
nella
Lettera
alle
donne
-
inscritto
sin
dall'inizio
il
principio
dell'aiuto:
aiuto
-
si
badi
bene
-
non
unilaterale
ma
reciproco.
La
donna
il
completamenti
dell'uomo,
come
l'uomo
il
completamento
della
donna:
donna
e
uomo
sono
tra
loro
complementari
[...],
non
solo
dal
punto
di
vista
fisico
e
pischico,
ma
ontologico.
E'
soltanto
grazie
alla
dualit
del
maschile
e
del
femminile
che
l'umano
si
realizza
appieno"[60]
E
gi
qualche
anno
prima,
soffermandosi
su
questo
mistero
dell'unit/dualit,
cos
scriveva:
"Seguendo
la
narrazione
del
libro
della
Genesi,
abbiamo
constatato
che
la
definitiva
creazione
dell'uomo
consiste
nella
creazione
dell'unit
di
due
esseri.
La
loro
unit
denota
soprattutto
l'identit
della
natura
umana;
la
dualit
invece,
manifesta
ci
che,
in
base
a
tale
identit
costituisce
la
mascolinit
e
la
femminilit
dell'uomo
creato"[61].
Dal
riconoscimento
al
dono/accoglienza:
"...
e
saranno
una
sola
carne"
(Gen
2,24).
La
sessualit,
inscritta
nel
corpo,
invito
alla
reciprocit
nella
comunione,
resa
possibile
dal
fatto
di
possedere
un'uguale
identit
umana
ma
di
essere
anche
differenti.
Persona
e
personalit
L'uomo,
dunque,
come
unit
inscindibile
di
anima
e
di
corpo:
ma
qualsiasi
corpo
umano,
anche
se
malato
o
deforme,
allo
stadio
di
poche
cellule
o
privo
di
coscienza,
corpo
di
un
essere
umano?
Quegli
embrioni
fecondati
e
congelati
in
provetta
sono
altro
che
un
grumo
di
cellule?
Quell'uomo
incapace
di
comunicare
ancora
un
uomo?
In
altre
parole,
quegli
esseri
umani,
in
cui
non
ancora
evidente
una
morfologia
umana
completa
o
non
si
sono
estrinsecate
alcune
capacit
o
funzioni,
sono
persone
umane?
La
nozione
di
"persona"
stata
elaborata,
come
noto,
da
parte
della
Chiesa
cristiana
per
risolvere
questioni
di
natura
cristologica
e
trinitaria,
al
fine
di
caratterizzare
e
di
sottolineare,
in
particolare,
le
caratteristiche
spirituali
della
natura
umana:
ne
derivato
un
modo
di
leggere
94
l'uomo
ad
immagine
del
Creatore:
"...
non
basta
definire
l'uomo
come
individuo
della
specie
homo
(neppure
homo
sapiens).
Il
termine
'persona'
stato
scelto
per
sottolineare
che
l'uomo
non
si
lascia
rinchiudere
nella
nozione
'individuo
della
specie
umana';
che
c'
in
lui
qualche
cosa
di
pi,
una
pienezza
e
una
perfezione
d'essere
particolari,
che
non
si
possono
rendere
altro
che
con
la
parola
persona"[62].
La
stessa
etimologia
greca
del
termine
persona
(prosopon;
in
latino:
persona),
che
-
come
noto
-
indicava
la
maschera
che
adoperavano
gli
attori
antichi
nelle
rappresentazioni
teatrali,
nascondendone
il
volto
e
facendone
risuonare
forte
la
voce
(per-sono=
suonare
in
tutte
le
direzioni),
sta
a
significare
ci
che
viene
rappresentato
in
scena
ma
che
va
nel
contempo
al
di
l
delle
apparenze.
Persona
,
allora,
l'uomo
in
quanto
"maschera"
o
"parola"
dell'Essere,
in
quanto
capace
di
percepire
un
appello
morale
incondizionato
e
di
pensare
l'infinito,
in
quanto
dotato
di
uno
sguardo
libero
e
capace
di
riconoscimento.[63]
E
proprio
in
questo
senso
che
il
termine
ha,
poi,
perso
l'antico
significato
di
"maschera"
per
essere
identificato
-
nelle
dispute
teologiche
-
con
il
termine
greco
ipostasis
(in
latino:
substantia;
in
italiano:
sostrato,
fondamento)
ovvero
ci
che
opposto
alle
sue
apparenze.
Ma
-
fatto
sconcertante
-
si
tentato
poi
di
trasformare
una
nozione,
elaborata
per
approfondire
e
compendiare
le
caratteristiche
pi
elevate
della
natura
umana
(intelletto,
autocoscienza,
volont,
libert,
creativit,
attivit
simbolica,
comunicativit)
a
prescindere
dal
fatto
che
fossero
tutte
e
sempre
presenti
in
ogni
singolo
essere
umano,
in
un
criterio
di
discri-
minazione
fra
gli
esseri
umani,
suscettibile
di
negare
a
molti
di
loro
lo
stesso
diritto
alla
vita.
In
altre
parole,
pur
essendo
univoca
l'interpretazione
etimologica
del
termine
persona,
le
domande
"Che
cosa
la
persona?"
e,
di
conseguenza,
"Chi
persona"
hanno,
invece,
ricevuto
almeno
due
diverse
risposte:
quella
dell'orientamento
funzionalistico-attualistico
e
quella
dell'orientamento
sostanzialista.
L'orientamento
funzionalistico-attualista
subordina
l'esistenza
della
persona
umana,
e
quindi
di
un
soggetto
titolare
di
diritti,
al
riconoscimento
della
presenza
di
alcune
caratteristiche
e/o
alla
realizzazione
di
alcune
funzioni,
riducendo
tutto
l'uomo
a
dati
empiricamente
dimostrabili.
Per
l'orientamento
sostanzialista,
invece,
l'essere
persona
non
dipende
dal
grado
di
presenza
di
certe
caratteristiche
o
dalla
realizzazione
di
alcune
funzioni
bens
da
una
posizione
d'essere,
cio
dalla
natura
ontologica
(essenza)
di
determinati
individui,
costante
in
loro.
Ne
consegue
che
dall'identica
essenza
scaturisce
il
valore
uguale
di
ogni
persona,
in
modo
indipendente
dal
possesso
attuale
di
certe
propriet
o
funzioni.
Essenza,
che
Boezio
definisce
come
rationalis
naturae
individua
substantia:
ed
proprio
il
genitivo
rationalis
naturae
che
indica
tutta
la
novit
che
fa
la
persona.
La
differenza
che
permette
di
denominare
persona
un
individuo
,
dunque,
la
ragionevolezza
senza
che
questo
comporti,
per,
come
conseguenza
che
"l'essere
persona
o
il
divenirlo
siano
accertabili
solo
funzionalmente
o
empiricamente"
quanto
piuttosto
che
siano
"argomentabili
razionalmente
entro
una
concezione
dell'essere
e
dei
suoi
gradi
di
perfezione"[64].
In
altre
parole,
la
persona
non
perde
la
propria
struttura
d'essenza
per
il
fatto
di
non
esercitare,
ad
esempio,
l'autocoscienza
e
l'autodeterminazione:
questo
perch
la
natura
ontologica
pu
anche
manifestarsi
in
una
serie
di
capacit,
attivit
e
funzioni,
caratterizzanti
della
razionalit,
ma
non
riducibile
ad
esse.
Pertanto
un
individuo
umano
possiede
la
natura
razionale
(ed
essere
con
ci
stesso
persona)
anche
senza
manifestare
tutte,
sempre
e
nel
grado
massimo,
dette
caratteristiche.
Ed
allora
il
divenire
persona
("sinolo"
di
anima
e
corpo),
come
possesso
del
proprio
statuto
ontologico
radicale,
"non
un
processo,
ma
un
evento
o
atto
istantaneo
per
cui
si
stabiliti
nell'essere
persona
una
volta
per
tutte
(la
fecondazione),
mentre
la
personalit
qualcosa
che
si
acquisisce
processualmente
attraverso
l'effettuazione
di
atti
personali
secondi"[65].
95
Dire,
invece,
che
persona
solo
chi
dotato
di
coscienza,
di
razionalit,
o
che
possiede
determinate
caratteristiche
corporee,
non
consente
di
dare
una
definizione
reale
di
questa
realt,
in
quanto
viene
posto
l'accento
solo
su
un
accidente
ontologico,
una
qualit
seconda,
e
non
sul
carattere
essenziale.
E,
mentre
le
qualit
accidentali
sono
sempre
soggette
a
cambiamento,
le
caratteristiche
essenziali
ci
sono
o
non
ci
sono:
l'essere
umano
persona
perch
,
nella
sua
essenza,
di
natura
spirituale
-
Uno
spirito
"corporeizzato";
un
corpo
"spiritualizzato"
-
e
non
perch
ha
una
maggiore
o
minore
capacit
di
coscienza,
di
autocontrollo,
di
relazionalit,
etc.
"In
ultima
analisi
[...]
l'argomento,
povero
ma
decisivo,
per
stabilire
chi
uomo
e
chi
non
lo
,
quello
di
guardare
all'origine:
l'essere
umano
colui
che
nasce
da
altri
esseri
umani
[...]
L'esperienza
della
privazione,
nel
segno
del
non
ancora
e
del
non
pi,
il
segno
della
finitezza
umana
e
del
carattere
evolutivo/involutivo
di
ogni
vivente:
prendere
sul
serio
questo
dato
empirico
significa
comprendere
che
la
disarmante
semplicit
dell'argomento
con
cui
si
afferma
che
uomo
comunque
e
sempre
colui
che
nasce
da
altri
uomini
la
condizione
per
procedere
a
qualsiasi
ulteriore
e
pi
approfondita
definizione
dell'uomo"[66].
Solo
se
inizia
ad
esistere
e
se
ci
saranno
le
condizioni
fisiologiche
e
ambientali
adeguate,
quell'uomo
potr
sviluppare
quelle
caratteristiche
biologiche,
psicologiche
e
relazionali
che
non
sono
"fondamenta"
del
suo
essere
persona
(lo
gi
fin
dalla
fecondazione
e
lo
rimane
fino
alla
morte)
quanto
piuttosto
"mattoni"
che
servono
per
costruire
la
sua
personalit.
Se
per
essere
persona
sufficiente
possedere
una
natura
umana,
quando
tale
natura
comincia
ad
esistere?
Quando
questa
corporeit
cos
essenziale
ha
inizio?
E
quando
cessa
di
esistere?
Gli
apporti
della
biologia
e
della
genetica
mettono
in
evidenza
come
il
primo
atto
indispensabile
e
biologicamente
evidente
affinch
si
formi
un
essere
umano
-
come
per
migliaia
di
altri
esseri
-
la
fusione
di
cellule
altamente
specializzate
e
teleologicamente
programmate,
la
cellula
uovo
o
lo
spermatozoo[67].
Dall'istante
in
cui
lo
spermatozoo
entra
in
contatto
con
la
cellula
uovo
e
si
affonda
nel
suo
citoplasma,
parte
una
nuova
catena
di
attivit
la
quale
indica,
in
modo
evidente,
che
i
due
gameti
non
operano
pi
come
se
fossero
due
sistemi
tra
di
loro
indipendenti,
ma
che
invece
si
costituito
un
nuovo
sistema
che
agisce
come
un'unit.
E'
l'unit
definita
zigote
o
embrione
unicellulare
che,
gi
distinto
da
altri
enti,
opera
come
una
unit
individuale
ed
intrinsecamente
orientato
ad
una
ben
definita
e
precisa
evoluzione.
Tali
caratteristiche,
individuazione
e
orientamento,
sono
determinate
dal
genoma
o
patrimonio
genetico
di
cui
lo
zigote
dotato.
Grazie
al
genoma,
lo
zigote
va
incontro
ad
uno
sviluppo
che
individuale,
coordinato,
continuo
e
graduale.
Uno
sviluppo,
quello
embrionale,
che
si
svolge
-
tranne
nel
caso
di
impedimenti
intrinseci
o
estrinseci
-
senza
interruzioni,
e
in
cui
ogni
fase
successiva
necessit
della
presenza
della
precedente
in
un
concatenarsi
inestricabile
di
eventi.
Non
,
allora,
plausibile
porre
l'inizio
della
vita
umana
in
un
momento
diverso
dalla
fecondazione.
Questa
inscindibilit
della
vita
biologica
dalla
vita
personale
continua
poi
per
tutta
l'esistenza
dell'individuo
umano,
perch
la
vita
dell'organismo
vita
della
persona
sempre.
Da
quando
e
finch
c'
vita
umana
in
atto
-
in
senso
unitario
e
unificante
-,
questa
vita
di
un
solo
soggetto,
di
una
persona
umana:
con
la
fecondazione
inizia
questa
attivit
convergente
che,
guidata
e
coordinata
dal
genoma,
porta
in
s
un
progetto
tutto
da
realizzare;
con
la
morte
si
ha
la
cessazione
della
vita
dell'organismo
nella
sua
unit
e
coordinazione.
Infatti,
per
sapere
quando
un
uomo
morto
non
sufficiente
individuare
la
perdita
della
capacit
di
pensare,
volere,
relazionarsi
con
il
mondo,
ma
si
vanno
a
ricercare
quei
segni
che
possono
indicare
che
l'organismo
ha
cessato
di
essere
una
totalit
unificata
di
funzioni[68].
Certo,
si
potrebbe
ribattere:
"la
nostra
finitezza
umana
non
consente
di
attingere
informazioni
ad
un
livello
che
supera
la
mera
fisicit".
Questo,
per,
non
sminuisce
la
corporeit:
anzi,
ne
mette
ancor
pi
in
evidenza
il
significato
e
il
valore.
96
97
[1]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
Enciclica
"Evangelium
vitae",
25
marzo
1995,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1995.
[2]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
Enciclica
"Veritatis
splendor",
6
agosto
1993,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1993.
[3]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
alle
Famiglie,
2
febbraio
1994,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1994,
n.
19.
[4]
A
questo
proposito
cos
scrive
F.
D'Agostino:
"Il
pensiero
scientifico
giunto
invece
ad
una
impasse.
Nessuna
delle
sue
posizioni
culturali
tipiche
rende
realmente
ragione
della
corporeit:
n
nel
pensiero
fisico-scientifico
che
ha
dissolto
il
corpo
e
la
materia
nell'impalpabile
dell'energia,
n
quello
psicologico-psicoanalitico,
che
vede
s
la
corporeit,
ma
attraverso
la
mediazione
di
un
dato
francamente
metafisico
come
quello
dell'inconscio
[...],
n
quello
antropologico-culturale"
(F.
D'Agostino,
I
diritti
di
indole
biofisica,
in
G.
Concetti
(a
cura
di),
I
diritti
umani.
Dottrina
e
prassi,
AVE,
Roma
1982,
p.
760).
[5]
R.M.
Zaner,
Body,
in
W.
Reich
(ed.),
Encyclopaedia
of
Bioethics
(revised
edition),
Simon
&
Schuster
-
Mac
Millan,
New
York
1995,
pp.
293-298.
[6]
Si
pensi
a
tal
proposito
al
dibattito
sullo
statuto
dell'embrione
umano.
Come
noto,
secondo
alcuni
autori
l'inizio
dell'esistenza
individuale
umana
va
posticipato
ad
epoche
successive
alla
fecondazione
quando
si
rendono
evidenti
alcune
caratteristiche
biologiche
(dopo
21-22
ore;
dopo
il
14^
giorno,
epoca
in
cui
si
forma
la
stria
primitiva,
etc,).
Sull'argomento
vedi:
K.
Dawson,
Fertilization
and
moral
status:
a
scientific
perspective,
in
Singer
P.,
et
al.
(eds),
Embryo
experimentation,
Cambridge
University
Press,
Cambridge
1990,
pp.
43-52;
R.
Di
Menna,
Umanizzazione
e
animazione
del
concepito
umano,
in
AA.VV.,
Scienza
e
origine
della
vita,
98
Orizzonte
Medico,
Roma
1980,
pp.
36-72;
J.F.
Donceel,Immediate
animation
and
delayed
hominization,
Theological
studies
1970;
31:
76-106;
N.M.
Ford,
When
did
I
begin?
Conception
of
the
human
individual
in
history,
phylosophy
and
science,
Cambridge
University
Press,
Cambridge
1988;
J.M.
Goldening,
The
brain-life
theory:
towards
a
consistent
biological
definition
of
humaneness,
Journal
of
Medical
Ethics
1985;
11:
198-204;
M.F.
Goodman,
What
is
a
person?,
Humana
Press,
Clifton
N.J.
1988;
C.
Grobstein,
Biological
characteristics
of
the
preembryo,
Annals
of
the
New
York
Academy
od
Science
1988;
541:
346-348;
A.
McLaren,
Prelude
to
embryogenesis,
in
Ciba
Foundation,
Human
embryo
research:
yes
or
no?,
London,
Tavistock
1986,
pp.
5-23;
Ruff
W.,Individualitat
und
Personalitat
in
embryonalen
Werden.
Die
Frage
nach
dem
Zeitpunkt
der
Geistbeseelung,
Theologie
und
Philosophie
1970;
45:
25-49.
[7]
Congregazione
per
la
dottrina
della
fede,
Istruzione
"Donum
vitae",
22
febbraio
1987,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1987.
[8]
U.
Galimberti,
Psiche
e
techne.
L'uomo
nell'et
della
tecnica,
Feltrinelli,
Milano
1999,
p.
34.
[9]
M.
Tallacchini,
Il
corpo
e
le
sue
parti.
L'allocazione
giuridica
dei
materiali
biologici
umani,
Medicina
e
Morale
1998;
3:
504.
[10]
A.
Strumia,
L'uomo
e
la
scienza
nel
Magistero
di
Giovanni
Paolo
II,
Piemme,
Casale
Monferrato
1987.
[11]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
Enciclica
"Fides
et
ratio",
14
settembre
1998,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1998,
n.
9.
[12]
Per
un'analisi
del
pensiero
filosofico
sulla
corporeit,
si
veda:
A.
Ales
Bello,
L'analisi
della
corporeit
nella
fenomenologia,
Studium
2000;
3/4:
481-494;
M.
Bizzotto,
Corporeit.
Approccio
filosofico,
in
G.
Cin,
E.
Locci,
C.
Rocchetta,
L.
Sandrin
(a
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di),
Dizionario
di
Teologia
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Sanitaria,
Ed.
Camilliane,
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1997,
pp.
257-265;
C.
Bruaire,
Filosofia
del
corpo,
Paoline,
Milano
1975;
J.
Haldane,
Bioethics
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Philosophy
of
the
Human
Body,
in
L.
Gormally
(ed.),
Issues
for
a
Catholic
Bioethic,
London:
The
Linacre
Center,
1999:
77-89;
R.
Lucas
Lucas,
L'uomo
spirito
incarnato,
Paoline,
Cinisello
Balsamo
(Mi)
1993;
V.
Melchiorre,
Il
corpo,
La
Scuola,
Brescia
1984;
Id.,
Corpo
e
persona,
Marietti,
Genova
1987;
P.
Prini,
Il
corpo
che
siamo,
SEI,
Torino
1991;
A.
Rigobello,
La
corporeit
propria
come
luogo
dello
stupore
originario,
Studium
2000;
3/4:
495-507;
W.
Schultz,
Le
nuove
vie
della
filosofia
contemporanea.
La
corporeit,
Marietti,
Genova
1988,
vol.
III.
[13]
D.
Tettamanzi,
Bioetica.
Difendere
le
frontiere
della
vita,
Piemme,
Casale
Monferrato,
1987,
p.
105.
[14]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
alle
Famiglie...,
n.
19.
[15]
E.
Gilson,
Lo
spirito
della
filosofia
medievale,
Morcelliana,
Brescia
1969,
p.
225.
[16]
I.
Fucek,
Prospettive
teologiche
ed
etiche
in
tema
di
corporeit
umana,
Medicina
e
Morale
1990;
5:
933-948.
[17]
Tommaso
d'Aquino,
Summa
Theologiae,
ESD,
Bologna
1984,
q3,
a2,
sed
c.
[18]
Id.,
Questiones
disputatae:
De
spiritualibus
creaturis,
Gregorianum,
Roma
1964,
a
3,5;
sed
c.
[19]
Id.,
Summa
Theologiae...,
q
76,
a
6,1.
[20]
Giovanni
Paolo
II,
Uomo
e
donna
lo
cre.
Catechesi
sull'amore
umano,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1985,
LV,
p.
223.
[21]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
alle
Famiglie...,
n.
19.
[22]
S.
Vanni
Rovighi,
Elementi
di
Filosofia,
La
Scuola,
Brescia
1982,
vol.
III,
pp.
164-166.
[23]
G.
Marcel,
Journal
de
mtaphysique,
Gallimard,
Paris
1927,
II,
p.
252.
[24]
F.
Riva,
Corpo
e
metafora
in
Gabriel
Marcel,
Vita
e
Pensiero,
Milano
1985,
pp.
120-121.
[25]
K.
Wojtyla,
Persona
e
atto,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1980,
p.
230.
[26]
Sempre
a
p.
235
di
Persona
e
atto
cos
si
legge
alla
nota
63:
"Riallacciandosi
alle
opinioni
qui
riportate,
l'autore
desidera
osservare
che
quando
in
questo
studio
afferma
che
l'uomo
non
il
99
proprio
corpo,
ma
possiede
il
proprio
corpo,
si
basa
sulla
convinzione
che
l'uomo
se
stesso
(cio
persona)
nella
misura
in
cui
possiede
se
stesso;
e,
in
questo
senso,
anche
nella
misura
in
cui
possiede
il
proprio
corpo".
[27]
Ancor
prima
di
Husserl
cos
scriveva
Rosmini:
"Noi
possiamo
percepire
il
nostro
corpo
con
una
percezione
'extrasoggettiva',
ossia
con
quel
tipo
di
percezione
che
coglie
anche
gli
altri
corpi
e
cio
tutti
i
corpi
che
costituiscono
per
l'uomo
un
che
di
oggettivo,
oppure
con
una
percezione
'soggettiva'
con
un
sentimento
fondamentale
'del
proprio
s'".
E
cos
quando
"noi
percepiamo
il
nostro
corpo
nella
seconda
maniera,
cio
per
quel
sentimento
fondamentale
cui
d
a
noi
l'essere
vivi,
noi
percepiamo
il
nostro
corpo
come
una
cosa
con
noi;
egli
diventa
in
tal
modo,
per
l'individua
unione
con
lo
spirito
nostro,
soggetto
anch'egli
senziente:
e
con
verit
si
pu
dire
ch'egli
da
noi
sentito
come
senziente.
Quando
all'incontro
noi
percepiamo
il
nostro
corpo
nella
prima
maniera,
cio
alla
maniera
medesima
onde
percepiamo
gli
altri
corpi
esterni
pe'
nostri
cinque
sensi,
allora
il
corpo
nostro
come
tutti
gli
altri
fuori
del
soggetto,
un
diverso
dalle
nostre
potenze
sensitive:
non
lo
sentiamo
pi
in
quanto
anch'egli
senziente,
ma
puramente
ne'
suoi
dati
esteriori,
in
quanto
atto
ad
essere
sentito,
ad
eccitare
in
noi
le
sensazioni
,
e
non
a
riceverle"
(A.
Rosmini,
Nuovo
saggio
sulle
origini
delle
idee,
vol.
II,
sez.
V.
p.
V.
CIII,
art
IX,
Milano
1972,
citato
da:
V.
Melchiorre,
Il
corpo,
La
Scuola,
Brescia
1984,
pp.
7-8).
[28]
Melchiorre,
Corpo
e
persona...,
p.
41.
[29]
C.
Rocchetta,
Per
una
teologia
della
corporeit,
Ed.
Camilliane,
Torino
1990,
p.
99.
[30]
H.E.
Hengstenberg,
Philosopische
Antropologie,
Pustet,
Munchen-
Salzburg
1984,
p.
81;
p.
82.
[31]
M.
Scheler,
Zur
Idee
des
Menschen,
in
Ges.
W.,
vol.
3,
Franke,
Bern
1955,
pp.176-178.
[32]
A.
Pessina,
Bioetica.
L'uomo
sperimentale,
Bruno
Mondadori,
Milano
1999,
p.
90.
[33]
Giovanni
Paolo
II,
Catechesi
sull'amore
umano...,
XIX,
pp.
90-92.
[34]
G.
Marcel,
Homo
viator,
Aubier,
Paris
1945.
[35]
M.
Merleau-Ponty,
La
struttura
del
comportamento,
Bompiani,
Milano
1963.
[36]
Lucas
Lucas,
L'uomo
spirito
incarnato...,
p.
200.
[37]
L.
Melina,
Maschio
e
femmina
li
cre:
teologia
del
corpo
e
differenza
sessuale,
in
M.L.
Di
Pietro
(
a
cura
di),
Educare
all'identit
sessuata,
La
Scuola,
Brescia
2000,
p.
91.
[38]
Giovanni
Paolo
II,
Catechesi
sull'amore
umano...,
CXXIII,
p.
467.
[39]
Ibi.,
CIV,
p.
401.
[40]
Ibidem.
[41]
ID.,
Catechesi
sull'amore
umano...,
CXXIII,
p.
468.
[42]
Concilio
Vaticano
II,
Costituzione
Pastorale
"Gaudium
et
spes",
in
Enchiridion
Vaticanum,
I,
Dehoniane,
Bologna
1985,
n.
14,
pp.
791-813.
[43]
J.
Maritain,
I
diritti
dell'uomo
e
la
legge
naturale,
Vita
e
Pensiero,
Milano
1977,
pp.
4-5.
[44]
J.
De
Finance,
Conoscenza
dell'essere.
Trattato
di
ontologia,
PUG,
Roma
1993,
pp.455-473;
G.
Salatiello,
Identit
maschile
e
femminile
in
una
lettura
antropologica,
in
Di
Pietro
(a
cura
di),
Educare
alla
identit
sessuata...,
pp.
73-86.
[45]
J.
Seifert,
Essere
e
persona,
Vita
e
Pensiero,
Milano
1989,
pp.
328-329.
[46]
M.
Focault,
Nascita
della
clinica,
Einaudi,
Torino
1977,
pp.
222ss.
[47]
M.
Scheler,
Pudore
e
sentimento
del
pudore,
tr.
it.
A.
Lambertino,
Guida,
Napoli
1978.
[48]
C.
Wojtyla,
Amore
e
responsabilit,
Marietti,
Torino
1978,
pp.
161-178.
[49]
Rocchetta,
Per
una
teologia
della
corporeit...,
p.
97.
Cfr.
anche:
Giovanni
Paolo
II,
Catechesi
sull'amore
umano...;
A.
Scola,
Il
mistero
nuziale.
1.
Uomo-donna,
PUL-Mursia,
Roma
1998.
[50]
Rocchetta,
Per
una
teologia
della
corporeit...,
p.
98.
100
[51]
Giovanni
Paolo
II,
La
vocazione
cristiana
dei
coniugi
pu
esigere
anche
l'eroismo,
17
settembre
1983,
inInsegnamenti
di
Giovanni
Paolo
II,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1983,
vol.
VI/2
(1983),
p.
562.
[52]
Tettamanzi,
Bioetica...,
pp.
113ss.
[53]
ID.,
La
sessualit
umana:
prospettive
antropologiche,
etiche
e
pedagogiche,
Medicina
e
Morale
1984;
2:
141.
[54]
H.U.
von
Balthasar,
Le
persone
nel
dramma:
l'uomo
in
Dio,
Jaca
Boook,
Milano
1982,
vol.II,
p.
345.
[55]
Giovanni
Paolo
II,
Catechesi
sull'amore
umano...,
VIII,
p.
54.
[56]
A.
Janniere,
Antropologia
sessuale,
Gribaudi,
Torino
1969,
pp.
115-116.
[57]
Giovanni
Paolo
II,
L'uomo-persona
diventa
dono
nella
libert
dell'amore,
16
gennaio
1980,
in
Insegnamenti
di
Giovanni
Paolo
II....,
vol.
III/1
(1980),
p.
148.
[58]
ID.,
Catechesi
sull'amore
umano...,
X,
p.
63.
[59]
Sull'argomento
cfr.
anche:
Wojtyla,
Amore
e
responsabilit...,
pp.
84-89;
107ss.
[60]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
alle
donne,
29
giugno
1995,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1995,
n.
7.
[61]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
Apostolica
"Mulieris
dignitatem",
15
agosto
1988,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1988,
p.
58.
[62]
Wojtyla,
Amore
e
responsabilit...,
p.
12.
[63]
Sull'argomento
"persona"
cfr.:
P.
Cattorini,
Dieci
tesi
sullo
stato
vegetativo
persistente,
Medicina
e
Morale
1994;
5:
927-954;
T.H.
Engelhardt
Jr.,
Manuale
di
Bioetica,
Il
Saggiatore,
Milano
1991;
L.
Palazzani,
Il
concetto
di
persona
tra
bioetica
e
diritto,
Giappichelli,
Torino
1996;
V.
Possenti,
La
bioetica
alla
ricerca
dei
principi:
la
persona,
Medicina
e
Morale
1992;
6:
1075-1096.
[64]
V.
Possenti,
La
bioetica
alla
ricerca
dei
principi:
la
persona,
Medicina
e
Morale
1992;
6:
1081.
[65]
Ibi.,
p.
1088.
[66]
A.
Pessina,
Bioetica.
L'uomo
sperimentale,
Bruno
Mondadori,
Milano
1999,
p.
91.
[67]
A.
Serra,
R.
Colombo,
Identit
e
statuto
dell'embrione
umano:
il
contributo
della
biologia,
in
Pontificia
Accademia
per
la
Vita,
Identit
e
statuto
dell'embrione
umano,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1998,
pp.
106-158.Sull'argomento,
vedi
anche:
AA.VV.,
Identit
e
statuto
dell'embrione
umano,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
1998;
P.
Caspar,
Individuazione
genetica
e
gemellarit:
l'obiezione
dei
gemelli
monozigoti,
Medicina
e
Morale
1994;
3:
453-467;
Centro
di
Bioetica,
Universit
Cattolica
del
S.
Cuore,
Identit
e
statuto
dell'embrione
umano
(22.6.1989),
Medicina
e
Morale
1989;
4
(suppl.);
R.
Colombo
R.,
Individualit
biologico-
molecolare
dell'uomo
e
statuto
biologico
dell'embrione,
in
Galbiati
D.,
Eligio
P.,
Ricci
R.A.,
Rigamonti
G.,
Sindoni
E.
(a
cura
di),
Scienza
ed
etica
alle
Soglie
del
terzo
Millennio,
Societ
Italiana
di
Fisica,
Bologna
1993,
pp.
303-311;
R.
Colombo,
Statuto
biologico
e
statuto
ontologico
dell'embrione
e
del
feto
umano,
Anthropotes
1996;
1:
133-162;
A.
Serra,
Quando
iniziata
la
mia
vita?,
La
Civilt
Cattolica
1989;
3348:
582ss.;
A.
Serra,
Per
uno
statuto
integrato
dell'embrione
umano.
Alcuni
dati
della
genetica
e
dell'embriologia,
in
Biolo
S.
(a
cura
di),
Nascita
e
morte
dell'uomo,
Marietti,
Genova
1993,
pp.
55-105.
[68]
Sull'argomento
esiste
una
vasta
letteratura.
Cfr.
tra
l'altro:
Comitato
Nazionale
per
la
Bioetica,
Definizione
e
accertamento
della
morte
nell'uomo,
Istituto
Poligrafico
e
Zecca
dello
Stato,
Roma
1991;
J.
De
Dios
Vial
Correa,
E.
Sgreccia
(eds.),
The
dignity
of
the
dying
person,
Libreria
Ed.
Vaticana,
Citt
del
Vaticano
2000.
[69]
A.
Poppi,
Etiche
del
Novecento,
Ed.
Scientifiche
,
Napoli
1993,
p.
253.
[70]
G.W.F.
Hegel,
Lineamenti
di
filosofia
del
diritto,
Laterza,
Bari
1974,
p.
70.
[71]
I.
Kant,
Lezioni
di
etica,
Laterza,
Roma-Bari
1984,
p.
189.
101
[72]
I.
Kant,
La
metafisica
dei
costumi,
Laterza,
Roma-Bari
1991,
II,
p.
279.
[73]
E.
Sgreccia,
Manuale
di
Bioetica.
I.
Fondamenti
ed
etica
biomedica,
Vita
e
Pensiero,
Milano
1999,
pp.
159-166;
ID.,Corpo
e
persona,
in
S.
Rodot
(a
cura
di),
Questioni
di
bioetica,
Laterza,
Roma-Bari
1993,
pp.
113-122.
Cfr.
anche:
X.
Dijon,
La
rconciliation
corporelle.
Una
tique
du
droit
mdical,
Ed
Lessius,
Bruxelles
1998.
[74]
Concilio
Vaticano
II,
Costituzione
Pastorale
Gaudium
et
Spes...,
n.
14.
[75]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
Enciclica
"Evangelium
vitae"...,
n.
47.
[76]
Ibi.,
n.
2.
[77]
Ibi.,
n.
47.
[78]
K.
Jaspers,
Il
medico
nell'et
della
tecnica,
Raffaello
Cortina,
Milano
1991.
102
ANDREAS
LAUN
LA
LEGGE
NATURALE
Nel
1947
H.
Rommen
parl
di
una
"eterna
ricorrenza"
della
legge
naturale,
ed
in
effetti
questo
un
argomento
che
"ricorre"
continuamente,
indipendentemente
dal
modo
in
cui
se
ne
parla.
E
sebbene
solitamente
si
rifiuti,
in
modo
sprezzante,
di
discutere
di
legge
naturale,
nondimeno
la
questione
si
ripresenta
quasi
di
sua
propria
iniziativa,
in
particolare
quando
le
persone
sono
costrette
a
subire
il
male
che
stato
ideologicamente
o
legalmente
legittimato
(per
esempio
sotto
Hitler
o
il
comunismo).
Qual
la
natura
di
questa
domanda
sulla
legge
naturale?
In
cosa
consiste
e
a
cosa
alludono
le
persone
quando
la
formulano?
Perch
continua
a
ripresentarsi
e
qual
il
suo
significato?
Innanzitutto
vorrei
chiarire
il
concetto,
per
poi
fare
una
considerazione
sulla
posizione
della
legge
naturale
all'interno
della
teologia
morale
cattolica.
Successivamente
vorrei
esaminare
alcuni
problemi
specifici,
e
infine
trarre
delle
conclusioni.
IL
TRIPLICE
SIGNIFICATO
DELLA
LEGGE
NATURALE
L'espressione
"legge
naturale"
pu
essere
usata
per
indicare
tre
diverse
"cose",
una
distinzione
utile
per
qualunque
discussione
sull'argomento:
La
legge
naturale
come
"legge
di
ragione"
Se
come
cristiano
si
pensa
alla
rivelazione
e
alla
possibilit
di
distinguere
ci
che
morale
e
giusto
per
mezzo
di
essa,
allora
la
legge
naturale
ogni
lex
in
senso
morale
e
legale,
che
una
persona
in
grado
di
riconoscere
in
base
alla
sua
naturale
capacit
di
ragionamento.
La
legge
naturale
allora
sinonimo
di
legge
di
ragione
e
in
quanto
tale
opposta
ad
un
comandamento
o
ad
una
legge
che
stata
rivelata
da
Dio.
Il
termine
naturalis
indica
lo
strumento
grazie
al
quale
la
lexviene
riconosciuta
-
vale
a
dire
la
ragione.
L'espressione
"legge
naturale"
in
questo
senso
contrasta
con
"morale
rivelata"
o
"legge
rivelata"
e
non
tiene
conto
della
domanda
se
o
in
che
senso
esista
una
morale
impartita
grazie
a
o
basata
sulla
rivelazione.
La
legge
naturale
come
"legge
superiore"
Nel
secondo
significato,
parliamo
di
legge
naturale
che
contrasta
con
la
legge
umana
in
senso
pi
stretto.
[1]
Questo
tipo
di
legge
naturale
"legge"
in
un
senso
pi
limitato
e
non
include
la
pi
comprensiva
lex
morale.
E',
per
cos
dire,
solo
"met"
del
concetto
sopra
descritto.
Cos,
anche
qui
si
applica
lo
stesso
principio:
non
richiesta
nessuna
rivelazione
per
riconoscerla.
Le
leggi
dell'ordinamento
giuridico
umano
dovrebbero
conformarsi
a
questo
senso
di
legge
naturale.
Essa
la
legge
superiore,
su
di
essa
le
leggi
meramente
umane
sono
fondate
e
da
essa
vengono
limitate.
Se
questo
senso
di
legge
naturale,
per
una
qualche
ragione,
non
viene
rispettato
a
favore
di
leggi
esclusivamente
umane,
le
conseguenze
risultano
talvolta
disastrose.
Un'altra
espressione
per
"legge
naturale"
avente
questo
significato
-
e
in
un
senso
pi
oggettivo
e
pi
facilmente
comprensibile
nell'ottico
dello
sviluppo
sociale
-
"diritti
umani".
Si
potrebbe
anche
solo,
o
pi
esattamente,
parlare
di
"legge
Divina",
ma
sempre
una
legge
Divina
che
pu
essere
riconosciuta
dalla
ragione.
103
104
tutti
i
teologi
morali,
tuttavia
oggi
si
sviluppata
una
situazione
completamente
diversa.
Almeno
nei
paesi
di
lingua
tedesca
non
c'
quasi
nessun
teologo
morale
che
possa
essere
descritto
come
un
rappresentante
della
"legge
naturale"
nel
senso
della
scolastica.
LA
LEGGE
NATURALE
ALLA
LUCE
DELLA
TRADIZIONE
E
DEL
MAGISTERO
DELLA
CHIESA
Pensatori
pre-cristiani
come
Cicerone
hanno
gi
chiaramente
distinto
l'esistenza
di
una
lex
naturalis
nel
primo
e
nel
secondo
significato
dell'espressione.
W.
Waldstein,
membro
di
questa
Accademia,
lo
ha
dimostrato
in
modo
definitivo
in
molti
dei
suoi
lavori.
[4]
Ancora
pi
importante
di
questa
dimostrazione
storico-filosofica
il
ricordare
che
la
legge
Naturale
una
porzione
essenziale
dell'esplicito
insegnamento
delle
Sacre
Scritture
ed
,
dunque,
una
parte
del
credo
cattolico:
In
Romani
2,
14seg..
leggiamo:
"Quando
i
pagani,
che
non
hanno
la
Legge,
per
natura
agiscono
conforme
alla
Legge,
pure
non
avendo
Legge,
sono
legge
a
se
stessi;
portano
il
dettame
della
Legge
scritto
nei
loro
cuori:
ne
d
testimonianza
la
loro
coscienza
..."
[Versione
Standard
Rivisitata]
Allo
stesso
modo
il
Concilio:
"Nell'intimo
della
coscienza
l'uomo
scopre
una
legge
che
non
lui
a
darsi,
ma
alla
quale
invece
deve
obbedire.
Questa
voce,
che
lo
chiama
sempre
ad
amare,
a
fare
il
bene
e
a
fuggire
il
male,
al
momento
opportuno
risuona
nell'intimit
del
cuore:
fa
questo,
evita
quest'altro.
L'uomo
ha
in
realt
una
legge
scritta
da
Dio
dentro
al
cuore;
obbedire
la
dignit
stessa
dell'uomo,
e
secondo
questa
egli
sar
giudicato."
[Gaudium
et
spes,
16,
Flannery]
Per
quanto
la
legge
naturale,
nei
due
primi
significati
dell'espressione,
sia
essenziale
per
la
concezione
cattolica
del
mondo,
di
certo
non
si
deve
sostenere
che
la
Chiesa
voglia
limitare
le
argomentazioni
dei
filosofi
e
dei
teologi
cattolici
alla
"legge
naturale
della
Scolastica".
La
critica
possibile
e,
almeno
riguardo
a
certi
rappresentanti
di
questa
corrente
di
pensiero,
anche
necessaria.
LO
SVILUPPO
DELLA
TEOLOGIA
MORALE
CATTOLICA
IN
RELAZIONE
ALLA
COMPRENSIONE
SCOLASTICA
DELLA
LEGGE
NATURALE
Nel
1968
Humanae
Vitae
esplose
come
una
bomba
e
sollev
una
considerevole
ondata
di
proteste
tra
i
teologi,
che
furono
seguiti
da
molti
laici
ed
anche
da
dichiarazioni
di
chiese
in
cui
i
loro
autori
episcopali
tentarono
quello
che
si
rivel
essere,
nel
suo
effetto
finale,
un
vano
tentativo
di
conciliare
la
fedelt
al
Papa
e
l'acquietamento
dei
contestatori.
Ma
ovviamente
l'ondata
di
proteste
contro
l'Humanae
Vitae
riflu
-
fu
il
pi
profondo
attacco
da
parte
della
Chiesa
Cattolica
allo
spirito
del
tempo.
I
non-cattolici
videro
in
essa
la
conferma
dei
loro
pregiudizi
contro
la
Chiesa,
strinsero
le
spalle
e
se
ne
allontanarono.
Ma
a
quell'epoca
tra
molti
cattolici
inizi
un
processo
di
scisma.
Quanto
questa
spaccatura
sarebbe
stata
estesa
e
profonda
pu
essere
compreso,
ad
esempio,
dalle
richieste
della
deplorevole
"Kirchenvolksbegehren"
(=
il
movimento
"Noi
siamo
la
chiesa"),
da
tutte
le
idee
eretiche
che
vengono
promosse
nelle
facolt
teologiche
cattoliche,
e
pu
essere
visto
in
tutti
gli
eventi
che
rendono
un
reale
scisma
sempre
pi
possibile
e
verosimile.
Contemporaneamente
accadde
qualcos'altro:
nella
solitudine
del
lavoro
erudito
inizi
un
processo
nell'ambito
della
teologia
morale,
che
pu
essere
comparato
alla
demolizione
e
alla
ricostruzione
di
una
vecchia
casa.
Tutti
gli
elementi
strutturali
della
teologia
morale
tradizionale
furono
sottoposti,
uno
ad
uno,
a
quello
che
inizialmente
era
un
legittimo
esame
critico.
Tuttavia,
105
nell'opinione
degli
autori,
quegli
elementi
non
passarono
l'esame!
Di
conseguenza
furono
demoliti,
sostituiti
da
nuovi
e
ricostruiti.
Pi
precisamente:
dalla
parte
del
soggetto
fu
sviluppata
una
idea
modificata
di
"coscienza",
dalla
parte
dell'oggetto
si
afferm
l'idea
del
cosiddetto
"soppesare
i
beni"
proveniente
dall'etica
anglosassone,
che
fu
sostituita
dal
sopracitato
principio
di
legge
naturale
(secundum
naturam
agere).
[5]
Inoltre,
si
tent
di
mostrare
(all'interno
della
discussione
sul
cosiddetto
proprium
christianum)
che
la
rivelazione,
in
effetti,
non
aveva
affatto
contribuito
all'elaborazione
di
specifiche
norme
comportamentali.
Che
un
"effetto
collaterale"
di
ci
fosse
un
cambiamento
nel
significato
del
Magisterium
della
Chiesa
non
deve
sorprendere.
Una
autorit
che
richiede
obbedienza
fu
trasformata
in
una
"guida"
[o
"fonte
di
linee-guida"],
che
si
prometteva
"di
prendere
sul
serio".
Ma
non
si
poteva
pi
parlare
di
"obbedienza"
nel
senso
proprio
del
termine,
in
quanto
fu
denigrata
come
"immaturit".
Al
suo
posto
fu
introdotto
il
giudizio
"personale",
cercando
di
rendere
la
sua
dignit
inespugnabile
sulla
base
di
una
"coscienza"
individuale.
Anche
in
riferimento
a
gravi
peccati
come
l'aborto
si
parlava
esclusivamente
di
"giudizio
di
coscienza",
che
doveva
essere
trattato
con
rispetto
-
come
uno
scudo
contro
le
rivendicazioni
del
Magisterium.
E
cos
la
ricostruzione
della
lex
naturalis
fu
completata,
una
ricostruzione
cos
radicale
che
a
stento
si
potrebbe
immaginare
qualcosa
di
pi
radicale.
Con
questo
nuovo
tipo
di
"etica"
(se
di
"etica"
si
tratta!)
"incidenti"
intellettuali
-
perch
cos
fu
considerata
Humanae
Vitae
-
non
potevano
in
futuro
accadere
di
nuovo.
Quando
a
questi
teologi
morali
vengono
rivolte
domande
sulla
"legge
naturale"
essi
l'accettano
alla
lettera
nel
citato
primo
significato
dell'espressione.
Naturalmente
estremamente
discutibile
se,
ci
che
essi
descrivono
come
lex
naturalis,
esprima
la
stessa
realt
come
intesa
sia
nella
tradizione,
sia
dal
Magisterium
della
Chiesa.
Essi
dicono:
l'etica
teologica
interamente
fondata
sulla
ragione.
E'
la
ragione
che,
entro
le
possibilit
della
natura
umana,
crea
significato
e
norme.
[6]In
questo
senso
tale
nuovo
tipo
di
etica
lex
naturalis.
Ma
sebbene
essi
approvino
la
"legge
naturale"
come
sinonimo
di
etica
basata
sulla
ragione
(nel
loro
senso
dell'espressione),
negano
altrettanto
fervidamente
che
sia
un
tipo
di
etica
che
possa
oggettivamente
acquisire
le
sue
norme
dalle
strutture
dell'essere.
Perch,
secondo
loro,
la
possibilit
di
un
talesecundum
naturam
agere
fu
definitivamente
confutato
nei
dibattiti
che
si
svolsero
tra
la
fine
degli
anni
Sessanta
ed
i
primi
anni
Settanta.
Per
esporre
la
questione
cautamente:
si
pu
dimostrare
che
il
tipo
di
teologia
morale
appena
delineata
esista,
sebbene
non
sia
facile
provare
che
esista
nella
sua
forma
"pura".
Le
principali
caratteristiche
di
questo
modo
di
pensare
sono
comuni
a
tutti
coloro
che
appartengono
a
gruppi
che
potrebbero
essere
descritti
come
"moderni"
teologi
morali.
LA
CRITICA
DELLA
LEGGE
NATURALE
NEL
TERZO
SIGNIFICATO
DELL'ESPRESSIONE
(SECUNDUM
NATURAM
AGERE)
Questo
non
il
luogo
per
delineare
tutte
le
obiezioni
che
a
quell'epoca
furono
sollevate
contro
la
comprensione
scolastica
della
legge
naturale
e
che
-
come
in
una
reazione
a
catena
-
portarono
al
suo
declino.
Ma
vorrei
ricordare
quelli
che
mi
sembrano
essere
i
due
argomenti
pi
importanti,
dal
momento
che
criticano
validamente
un
certo
modo
di
concepire
la
legge
naturale
da
parte
della
scolastica.
106
Dall'essere
all'obbligo?
Basandosi
sulle
argomentazioni
di
D.
Hume
e
C.G.
Moore
si
sostiene
che
un
obbligo
non
pu
derivare
dal
[semplice]
essere;
il
dovere
verso
un
certo
agere
non
mai
la
conseguenza
dell'"essere".
Tale
obiezione
particolarmente
e
chiaramente
visibile
nella
cosiddetta
accusa
di
biologismo,
che
viene
ripetutamente
sollevata
contro
la
Humanae
Vitae:
perch
le
strutture
biologiche
dovrebbero
essere
inviolabili
e
perch
proibito
intervenire
soltanto
per
la
motivazione
che
"sono
ci
che
sono"?
Le
strutture
biologiche
sono
qualcosa
di
fondamentalmente
diverso
dalle
norme
morali!
[7]
Ed
anche
quando
si
aggiunga
che
Dio
il
creatore
di
queste
leggi
biologiche,
non
ne
consegue
che
esse
abbiano
un
valore
normativo,
perch
ci
porterebbe
a
ridicole
ed
assurde
conseguenze,
come
prova
il
seguente
esempio
tratto
dalla
storia
del
pensiero
umano:
Dio
cre
gli
uomini
con
la
capacit
di
farsi
crescere
una
barba.
Egli,
dunque,
voleva
che
gli
uomini
si
facessero
crescere
la
barba.
Ne
consegue
pertanto
che
chiunque
si
rade
agisce
contro
il
volere
di
Dio.
Ma
agire
contro
il
volere
di
Dio
peccato.
Non
sufficiente
ridere
di
questo
esempio.
Si
deve
anche
essere
in
grado
di
mostrare
perch
la
conclusione,
che
suona
cos
logica,
falsa.
"Realizzazione
di
s
come
norma
etica
originaria?"
Innanzitutto
devo
spiegare
meglio
il
principio
sopra
citato
-
agere
sequitur
esse.
Quale
esse
non
deve
seguire
(sequere)
al
fine
di
agire
bene?
La
natura
umana,
la
risposta;
anche
questo
il
significato
dilex
naturalis:
naturalis
ci
dice
da
dove
vengono
le
norme
morali,
vale
a
dire
dalla
natura
umana,
dall'essere
dell'Uomo
come
egli
.
Tommaso
D'Aquino
risponde
alla
domanda
che
segue
da
questa:
"Come
riconosciamo
la
natura
umana?"
con
il
concetto
di
inclinationes
naturales:
ci
che
conforme
alla
"natura"
noi
lo
riconosciamo
sulla
base
delle
inclinationes
naturales;
ci
a
cui
esse
sono
preposte
ci
mostra
ci
che
buono
e
conforme
al
volere
di
Dio.
Tommaso
nomina
come
inclinationesdi
base
le
seguenti:
la
inclinatio
a
preservare
il
proprio
essere,
la
inclinatio
a
preservare
la
specie,
la
inclinatio
verso
il
riconoscimento
e
verso
la
collettivit.
[8]
Ci
sembra
ragionevole:
dopo
tutto
sarebbe
incompatibile
con
la
bont
del
Creatore
aver
dato
all'Uomo
inclinationes
che
non
fossero
preposte
al
bene.
Quando
l'Uomo
segue
le
sue
inclinationes
naturales
agisce
bene
e
realizza
il
suo
essere,
che
in
tal
modo
giunge
a
perfezione;
questo
ci
che
"realizzazione
di
s"
significa
per
lui.
Ci
sono
due
riserve
a
tale
interpretazione
dell'agere
sequitur
esse
o
all'
actus
moralis
hominis
sequitur
inclinationes
naturae
humanae.
La
prima
obiezione:
la
natura
umana
come
noi
la
conosciamo
stata
distorta
dal
peccato,
una
natura
vulnerata.
Le
sueinclinationes
non
derivano
affatto
solamente
da
Dio.
Alcune
derivano
dal
peccato
e
conducono
a
peccare.
Si
pensi
solamente,
da
una
parte,
alle
tante
inclinazioni
peccaminose
che
colpiscono
tutte
le
persone
(orgoglio,
indolenza
...),
e
alle
specifiche
inclinazioni
al
peccato
come
l'omosessualit
o
la
cleptomania
dall'altra.
La
seconda
obiezione
che,
seppure
la
nostra
natura
fosse
come
Dio
l'ha
creata,
l'amore
sarebbe
la
realizzazione
di
tutti
i
principi
morali
e
sarebbe
determinante
in
ogni
atto
morale.
Ma
l'amore
riguarda
l'altra
persona.
Tommaso
descrive
l'amore
di
Dio
come
deum
amare
propter
se
ipsum.
Do
ci
segue
che
anche
se
il
bene
morale
la
perfezione
della
natura
umana,
la
natura
del
bene
non
pu
consistere
nell'impegnarsi
a
raggiungere
la
realizzazione
di
s.
107
"NATURA
COME
FATTI
NEUTRI"
E
"ESSERE
CHE
HA
VALORE
COME
PARTE
DEL
PIANO
DI
DIO"
Non
c'
via
d'uscita
al
dilemma
in
cui
la
legge
naturale
neo-scolastica
andata
ad
impegolarsi.
C'
un
pregiudizio
nell'affermazione
"Non
si
pu
desumere
un
obbligo
dal
semplice
essere",
vale
a
dire
il
pregiudizio
che
"non
pu
esistere
l'essere
con
contenuto
normativo"
[9]
,
e
che
tutto
l'"essere"
non
nulla
pi
di
un
semplice
"fatto",
privo
di
qualunque
valore,
sostanza
neutra
ad
uso
della
libert
umana.
L'asserzione
opposta
:
l'Essere
affatto
privo
di
valore;
il
valore
una
propriet
dell'essere
stesso,
inestricabilmente
legato
ad
esso.
Tendo
verso
l'opinione
che
l'asserzione
di
"essere
senza
valore"
una
conseguenza
dell'ateismo:
come
pu
il
mondo
contenere
valori
che
ci
legano
moralmente
quando
solo
un
prodotto
della
cieca
sorte?
In
questo
caso
la
formula
Agere
sequitur
esse
si
chiarifica
in
modo
decisivo:
Agere
sequitur
bonum
nell'essere.
Perci
non
un
dovere
morale
portare
la
barba,
perch
ci
solo
un
fatto,
ma
senza
valore
morale
(al
contrario
del
valore
estetico
...)!
Di
conseguenza
nessun
dovere
deriva
dalle
leggi
biologiche
in
quanto
tali
(=
biologismo),
ma
esse
derivano
in
realt
dal
corpo
umano,
perch
la
persona
presente
tramite
esso
ed
in
esso.
Quando
nella
teologia
morale
cattolica
parliamo
del
"piano
di
Dio"
che
impone
un
dovere
su
di
noi,
ci
che
intendiamo
dire
precisamente
questo:
dovremmo
riconoscere
quell'essere
che
"buono"
(nel
senso
di
moralmente
significativo).
L'ETICAMENTE
BUONO:
LA
REALIZZAZIONE
DI
S
DELL'INDIVIDUO
O
LA
TRASCENDENZA
DELL'AMORE?
Abbiamo
sentito:
secondo
Tommaso
c'
un
dovere
seguire
le
inclinationes
naturales
allo
scopo
di
conoscere
ci
che
moralmente
buono.
Ma
da
ci
non
deriva
che
la
gratificazione
di
queste
inclinationes
di
per
s
sia
gi
buona.
Il
pensiero
pu
anche
essere
espresso
nel
modo
seguente:
le
inclinationes
naturales
sono
un
principio
euristico,
che
ci
mostra
come
guardare
nella
giusta
direzione
in
cui
si
trovano
tali
beni
moralmente
significativi
che
rendono
la
nostra
azione
di
valore
morale.
[10]
La
legge
naturale
compresa
in
questo
modo
conforme
alla
vasta
corrente
di
etica
personalista
[11]
,
che
da
una
parte
rappresentata
da
D.
von
Hildebrand
e
Josef
Seifert,
e
dall'altra
da
K.
Wojtyla
e
dalla
scuola
di
Lublino
nella
sua
interezza.
L'atto
morale
una
risposta
al
bene
di
un'altra
persona,
che
va
oltre
la
sfera
dell'interesse
personale,
che
"trascende"
il
proprio
tornaconto.
Nelle
parole
di
Hildebrand:
l'atto
morale
una
"risposta
di
valore".
Applicando
ci
all'amore:
se
Dio
si
deve
amare
propter
se
ipsum,
allora
consegue
che,
per
la
sua
immagine,
persona
est
affirmanda
propter
se
ipsam.
[12]
Data
la
rilevanza
di
tale
percezione,
Giovanni
Paolo
II
ripetutamente
cita
l'insegnamento
del
Concilio:
"l'Uomo
in
terra
la
sola
creatura
che
Iddio
abbia
voluto
per
se
stesso;"
egli
"pu
pienamente
ritrovarsi
solo
attraverso
un
dono
sincero
di
s."
[13]
Ci
significa:
non
realizzazione
di
s
o
trascendenza,
non
realizzazione
di
s
attraverso
la
trascendenza
(come
se
fosse
il
mezzo
allo
"scopo"
della
realizzazione
di
s!),
ma
realizzazione
di
s
come
(Hildebrand
direbbe:
superabundante)
conseguenza
della
trascendenza
altruista
[14]
nel
dare
generosamente
se
stesso
nell'amore.
108
Questa
trascendenza
dell'amore,
come
dono
di
se
stesso
all'altra
persona,
per
se
stessa
si
addice
ad
ogni
atto
morale.
InVeritatis
Splendor
si
dice:
"l'origine
e
il
fondamento
del
dovere
di
rispettare
assolutamente
la
vita
umana
sono
da
trovare
nella
dignit
propria
della
persona
...
la
vita
umana,
pur
essendo
un
bene
fondamentale
dell'uomo,
acquista
un
significato
morale
in
riferimento
al
bene
della
persona
che
deve
essere
sempre
affermata
per
se
stessa."
[15]
CONCLUSIONE
-
UN
RINNOVAMENTO
DELLA
LEGGE
NATURALE
Non
pu
essere
negato:
Alcuni
degli
autori
neo-scolastici
hanno
favorito
un
duplice
fraintendimento
della
lex
naturalis.
-Il
fraintendimento
che
l'essere
di
per
s
-
che
essi
senza
notarlo
hanno
concepito
privo
di
valore
-
potrebbe
essere
il
fondamento
delle
norme
morali
(una
variante
di
tale
errore
il
biologismo),
e
-Il
fraintendimento
che
un
atto
etico
per
sua
natura
incurvatus
in
se,
il
che
vuol
dire,
in
ultima
analisi,
che
sempre
diretto
verso
la
propria
felicit
e
la
realizzazione
del
proprio
s.
Il
concetto
neo-scolastico
di
legge
naturale
ha
subito
il
fuoco
della
critica
e
da
esso
ne
emerge
purificato
e
rafforzato.
Difatti,
ora,
due
dei
suoi
aspetti
sono
divenuti
chiari:
1)All'Uomo
spetta
una
dignit
unica.
L'atto
morale
d'amore
risponde
proprio
a
tale
dignit
-
propter
se
ipsum.
2)
Il
fondamentale
atto
morale
l'amore.
Esso
trascende
l'egoismo
dell'individuo
nell'appagamento
delle
sue
inclinationes.
O
nelle
parole
di
Hildebrand:
l'Uomo
realizza
se
stesso
quando
non
cerca
di
realizzare
se
stesso,
ma
ama
l'altra
persona
propter
se
ipsum.
LA
FEDELT
DELLA
LEGGE
NATURALE
ALLA
REALT
La
crisi
della
legge
naturale
deriva
dalla
crisi
seguita
alla
pubblicazione
della
Humanae
Vitae.
Ed
per
questo
che,
nella
sezione
finale,
vorrei
mostrare
quanto
legittimo
e
conforme
alla
"legge
naturale"
sia
il
metodo
argomentativo
dellaHumanae
Vitae.
Perch
proibita
ogni
possibile
forma
di
contraccezione?
Si
pu
comprenderlo
solo
in
riferimento
al
"significato
eccezionale"
dell'atto
matrimoniale
(Giovanni
Paolo
II)
o
alla
sua
intima
ratio
[16]
.
Quando
si
comprende
ci,
si
comprende
anche
il
comandamento
morale
a
cui
si
riferisce.
Qual
questo
"significato
eccezionale"
secondo
l'insegnamento
della
Chiesa?
La
risposta
:
L'unione
sessuale
un
completo
donarsi
nel
linguaggio
del
corpo
(=
essere)
-
pertanto
richiede
il
voto
matrimoniale
(=
agere).
[17]
L'unione
sessuale
non
fertilit
e
amore,
ma
l'unione
di
amore
fertile
-
la
fertilit
appartiene
a
questo
amore
(=
essere).
Tale
connessione
deve
dunque
essere
rispettata
(=
agere).
Ne
deriva
che
la
contraccezione
non
solo
un
atto
contro
la
fertilit
ma
anche
contro
l'amore.
[18]
L'unione
sessuale
preposta
al
possibile
concepimento
di
un
bambino
e
pertanto
ad
una
misteriosa
cooperazione
con
Dio,
che
crea
l'anima
immortale
(=
essere).
Dunque,
deve
essere
rispettata
(=
agere).
Chiunque
comprenda
il
"significato
eccezionale"
dell'abbraccio
coniugale
percepisce
anche
che
non
automaticamente
ci
che
dovrebbe
essere
secondo
il
piano
di
Dio.
Non
fa
parte
della
santit
coniugale
"astenersi
il
pi
possibile
dall'unione
sessuale",
ma
il
renderlo
ci
che
dovrebbe
essere
in
conformit
al
volere
di
Dio.
A
questo
scopo
gli
sposi
hanno
bisogno
di
quei
poteri
che
"scaturiscono
dallo
Spirito
Santo,
che
purifica,
ravviva,
rafforza
e
perfeziona
i
poteri
dello
spirito
umano."
Perch
solo
lo
Spirito,
"che
rende
vivi,
la
carne
non
di
alcuna
utilit."
[19]
In
questo
Spirito
-
cito
Giovanni
Paolo
II
-
l'unione
sessuale
caratterizzata
da
un'alta
"dignit
e
santit".
[20]
109
Questo
totalmente
nuovo?
S,
perch
nella
storia
della
Chiesa
non
stato
mai
percepito
in
modo
cos
chiaro
come
dall'attuale
papa.
No,
perch
nella
storia
ci
sono
stati
sorprendenti
esempi
di
ci.
In
particolare
vorrei
ricordare
un
passo
di
Tommaso
d'Aquino
che
mi
ha
profondamente
commosso:
in
risposta
alla
questione
sul
perch
il
matrimonio
sia
un
sacramento,
sebbene
non
conduca
alla
sofferenza
di
Cristo,
ma
porti
gioia,
Tommaso
risponde:
il
Matrimonio
un
sacramento.
E'
vero
che
non
conduce
un
cristiano
alla
sofferenza
di
Cristo,
ma
lo
unisce
all'amore
con
cui
Cristo
ha
sofferto
per
la
sua
Chiesa.
[21]
Se
mi
domandate
cosa
la
legge
naturale,
dar
una
risposta
generale
ed
una
specifica.
Nella
risposta
"generale"
cito
San
Tommaso:
A
motivo
della
sua
ragione
l'Uomo,
in
parte,
comprende
il
piano
Divino
-
e
Tommaso
chiama
ci
"partecipazione"
(participatio)
di
una
creatura
dotata
di
ragione
alla
Divina
legge
lex
naturalis.
[22]
La
risposta
specifica
:
In
essa
l'Uomo
riflette
sul
"significato
eccezionale"
non
solo
dell'unione
coniugale,
ma
della
sua
stessa
natura
nella
sua
interezza;
egli
prende
"parte"
alla
legge
Divina
-
non
alla
cieca,
tuttavia,
come
un
animale,
ma
con
la
capacit
di
comprendere.
Anche
i
salmi
ci
dicono
cosa
sia
la
legge
naturale:
innanzitutto
io
prego
(con
le
parole
del
"salmo
dei
teologi
morali"![23]
)
"Apri
i
miei
occhi
e
io
considerer
le
meraviglie
della
tua
legge"
Poi
medito
e
considero:
"Ti
ringrazio
perch
sono
stato
formato
in
modo
stupendo;
meravigliose
sono
le
Tue
opere.
Tu
conosci
molto
bene
l'anima
mia;
la
mia
ossatura
non
ti
fu
nascosta,
quando
venivo
formato
in
segreto,
ricamato
nelle
profondit
della
terra.
I
tuoi
occhi
hanno
visto
la
mia
sostanza,
ancora
informe."
[24]
Dico:
"Mediter
sui
tuoi
precetti,
considerer
i
tuoi
sentieri."
[25]
Poich
i
miei
soli
sforzi
non
sono
sufficienti:
"Signore,
insegnami
i
tuoi
statuti."
[26]
Faccio
l'esperienza:
"Beati
coloro
...
che
camminano
secondo
le
leggi
del
Signore!
Mi
delizier
nei
tuoi
comandamenti."[27]
Pertanto:
"Osserver
i
tuoi
statuti."
[28]
A
causa
della
mia
debolezza
io
prego:
"Non
farmi
deviare
dai
tuoi
comandamenti!"
[29]
Riconoscere
ci
che
meraviglioso
nella
creazione
di
Dio,
e
percepire
l'eco
di
tale
portento
nella
portento
nella
propria
coscienza-
questa
la
legge
naturale.
110
[1]
Cfr.
Seifert
J.,
Wie
erkennt
man
Naturrecht?,
Heidelberg
1998.
Con
contributi
di
R.
Buttiglione,
F.
Bydlinsky,
Th.
Mayer-Maly,
J.
Seifert,
e
W.
Waldstein.
[2]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
Enciclica
Evangelium
Vitae,
Vaticano,
1995,
n.
?.
[3]
Veritatis
splendor,
n.
4
parla
"di
una
messa
in
discussione
globale
e
sistematica
del
patrimonio
morale".
[4]
P.es.
Waldstein
W.,
'Das
Naturrecht
und
die
Grundlagung
seiner
Erkenntnis
im
Rmischen
Recht,'
in
Seifert
J.
(a
cura
di),
Wie
erkennt
man
Naturrecht?,
Heidelberg
1998,
35-63.
spec.
55):
In
questo
brano
l'autore
cita
Cicerone
De
Republica3,
3:
"Est
quidem
vera
lex
recta
ratio
naturae,
diffusa
in
omnes,
constans,
sempiterna,
quae
vocet
ad
officium
jubendo,
vetendo
a
fraude
deterreat;
[...]
huic
legi
non
abrogari
fas
est
neque
derogari
ex
hac
aliquid
licet
neque
tota
abrogari
potest,
nec
vero
aut
per
senatum
aut
per
populum
solvi
hac
lege
possumus,
neque
est
quaerendus
explanator
aut
interpres
Sextus
Aelius
(Loeb:
eius
alius),
nec
erit
alia
lex
Romae,
alia
Athenis,
alia
nunc,
alia
posthac,
sed
et
omnes
gentes
et
omni
gentes
et
omni
tempore
una
lex
et
sempiterna
et
immutabilis
continebit,
unusque
erit
communis
quasi
magister
et
imperatur
omnium
deus,
ille
legis
huius
inventor,
disceptator,
lator;
cui
qui
non
parebit,
ipse
se
fugiet
ac
naturam
hominis
aspernatus
hoc
ipso
luet
maximas
poenas,
etiamsi
cetera
supplicia,
quae
putantur,
effugerit."
[5]
Ciccone
L,
'30
anni
dalla
pubblicazione
dell'enciclica
Humanae
Vitae,'
in:
Familie
et
vita,
V,
2/2000,
pp.
85-106,
spec.
87:
"Il
dibattito
(i.e.
sull'Enciclica
Humanae
vitae)
[...]
fin
per
portarsi
ben
oltre
i
confini
del
problema
di
partenza,
giungendo
a
mettere
in
questione
anche
problemi
di
portata
fondamentale,
come,
ad
esempio:
la
concezione
di
legge
naturale,
la
competenza
del
Magistero
in
materia
[...]."
[6]
Questo
anche
il
modo
in
cui
Veritatis
splendor
descrive
i
nuovi
principi
morali.
[7]
Il
biologismo,
o
almeno
il
pericolo
di
scivolare
in
esso,
anche
posto
ogniqualvolta
si
crede
necessario
individuare
caratteristiche
comuni
tra
uomo
e
animali,
per
poter
riconoscere
il
'naturale'.
Ci
valido
anche
per
J.
Messner
quando
sostiene
che
il
concetto
di
bene
morale
potrebbe
essere
reso
riconoscibile
dall'analisi
di
ci
che
che
costituisce
un
buon
cavallo
(cfr.
Laun
A.,
Die
naturrechtliche
Begrndung
der
Ethik
in
der
neueren
katholischen
Moraltheologie,
Vienna
1973,
p.
68;
Messner
J.,
Das
Naturrecht,
4
ed.,
Innsbruck
1960,
35).
[8]
Tommaso
D'Aquino,
Summa
Theologiae
I-II
94
2c.
[9]
Waldstein
W.,
'Naturrecht
und
naturalistischer
Fehlschule,'
in
Fides
et
jus,
Festschift
G.
May,
Regensburg
1991,
pp.
33-58,
spec.
35.
[10]
Tale
interpretazione
mi
sembra
che
sia
anche
contenuta
in
Veritatis
splendor
n.
48,
quando
si
afferma:
"
alla
luce
della
dignit
della
persona
umana
-
da
affermarsi
per
se
stessa
-
che
la
ragione
coglie
il
valore
morale
specifico
di
alcuni
beni,
cui
la
persona
naturalmente
incline."
[11]
Cfr.
il
resoconto
di
ci
in
J.
Seifert,
'Johannes
Paul
II.
ber
die
Ehemoral:
Seine
Lehren
und
die
Hintergrnde
in
einer
personalistischen
Philosophie
der
Sexualitt,'
in
A
Ordem,
Rio
de
Janeiro
1997,
pp.
125-151.
[12]
Cfr.
ibidem,
p.
136,
da
cui
tratta
la
citazione.
[13]
Gaudium
et
spes,
n.
24
(Flannery).
In
questo
brano
di
GS
si
trova
una
nota
che
fa
riferimento
a
Luca
17,
33:
"Chi
cercher
di
salvare
la
propria
vita
la
perder,
ma
chi
la
perder
la
preserver."
Cos
nostro
Signore
Ges
gi,
in
essenza,
formulava
il
principio
di
Hildebrand
(pi
sotto).
[14]
Senza
che
questo
"altruismo"
sia
inteso
nel
senso
di
'"amour
pur"
di
Fnelon!
Cfr.
Laun
A.,
[...].
Eichsttt
1993,
188
seg.
[15]
Veritatis
splendor,
n.
50.
[16]
Humanae
vitae,
n.
12.
[17]
Familiaris
consortio,
n.
11.
111
[18]
Si
dovrebbe
fare
una
distinzione
tra
atti
sessuali
di
persone
che
si
amano,
ed
atti
sessuali
che
sono
un'espressione
di
amore
corporale!
Le
coppie
sposate
possono
amarsi,
senza
che
i
loro
atti
sessuali
siano
un'incarnazione
dell'amore
(p.es.
perch
praticano
la
contraccezione).
Questo
valido
anche
per
gli
omosessuali:
la
loro
relazione
pu
per
molti
aspetti
possedere
le
caratteristiche
dell'amore,
senza
che
le
loro
attivit
sessuali
siano
"amore"
-
anche
se
in
tali
atti
essi
si
comportano
l'uno
nei
confronti
dell'altro
in
modo
premuroso
("amorevole").
[19]
Giovanni
Paolo
II,
Die
Erlsung
des
Leibes,
Vallendar
1985,
p.
345.
E'
inusuale
sostenere
che
gli
sposi
hanno
bisogno
dello
Spirito
Santo
per
consumare
il
loro
matrimonio?
No,
perch
gi
in
Tommaso
d'Aquino
(Suppl.
42
3
c)
troviamo
l'affermazione:
Senza
grazia
gli
sposi
non
possono
consumare
il
loro
matrimonio
"convenienter".
[20]
Giovanni
Paolo
II,
Die
Erlsung
des
Leibes,
Vallendar
1985,
pp.
233,
236.
"Quando
l'uomo
[...]
nel
matrimonio
d
un
significato
alla
propria
condotta,
che
corrisponde
alla
verit
fondamentale
del
linguaggio
dell'amore,
allora
anche
lui
'nella
verit'.
Nel
caso
opposto
egli
mente
e
falsifica
il
linguaggio
del
corpo."
[21]
Tommaso
d'Aquino,
S.Th.
Suppl.
42
1
ad
3.
"Matrimonium
[...]
conformat
Christo
quantum
ad
caritatem
per
quam
pro
Ecclesia
sibi
in
sponsam
conjugenda
passus
est."
In
modo
simile,
in
Francis
de
Sales
(Philothea
III,38)
troviamo
l'affermazione:
"Tutto"
"sacro"
nel
matrimonio.
[22]
Tommaso
d'Aquino,
S.
Th.
I-II,
91,
2c.
[23]
Sal.
119,
18
seg.
(RSV).
[24]
Sal.
139,
14-16a
(Nuova
Versione
di
King
James).
[25]
Sal.
119,
15
(RSV).
[26]
Sal.
119,
64
(RSV).
[27]
Sal.
119,
1b,
47a
(RSV).
[28]
Sal.
119,
8a
(RSV).
[29]
Sal.
119,
10b
(RSV).
112
VINCENZA
MELE
PER
UN'ECOLOGIA
PERSONALISTA
TRA
ANTROPOCENTRISMO
ED
ECOCENTRISMO
Con
il
termine
di
ecologia
personalista,
ho
inteso
riferirmi
al
pensiero
filosofico
ecologico
generato
dal
personalismo
ontologicamente
fondato,
rifuggendo
dagli
estremismi
dell'antropocentrismo
forte
e
dell'ecocentrismo.
Per
delineare
quindi
la
fisionomia
di
una
ecofilosofia
personalista
ho
percorso
tre
momenti
di
riflessione:
un
primo
momento
per
collocare
concettualmente
l'antropocentrismo
moderato
all'interno
del
panorama
dell'etica
ambientale;
un
secondo
momento
per
analizzare
le
posizioni
ecofilosofiche
generate
dall'ecologia,
ed
un
momento
conclusivo
per
tracciare
i
lineamenti
di
un'ecofilosofia
ad
ispirazione
personalista.
ETICHE
DELL'AMBIENTE
La
letteratura
di
etica
dell'ambiente
offre
un
panorama
molto
ampio
di
riflessione.
Risulta
quindi
estremamente
complesso
un
tentativo
di
classificazione
delle
varie
posizioni
filosofiche,
che
sappia
essere
chiarificatore
ed
al
tempo
stesso
non
eccessivamente
semplificante,
per
una
materia
cos
complessa
e
variegata.
A
questo
scopo,
mi
sembrato
utile
proporre
una
doppia
classificazione,
guardando
all'argomento
da
una
duplice
prospettiva.
La
prima
riguarda
le
modalit
di
argomentazione
filosofica
dell'etica
ambientale,
ovvero
i
suoi
presupposti
metaetici;
la
seconda
si
colloca
ad
un
livello
eminentemente
pratico
e
guarda
alle
qualit
assiologiche
della
natura.
La
prima
classificazione
presenta
il
vantaggio,
a
mio
avviso,
di
schematizzare
una
materia
cos
complessa;
la
seconda
ha
invece
il
proposito
di
differenziare
pi
in
dettaglio
le
varie
posizioni,
permettendo
di
specificare
maggiormente
le
diverse
sfaccettature
dei
termini
antropocentrismo,
biocentrismo
ed
ecocentrismo,
termini
comunemente
utilizzati
nell'etica
ambientale.
[1]
Seguendo
l'analisi
proposta
da
Bartolommei,
le
diverse
posizioni
teoriche
in
etica
ambientale
sono
state
classificate
rispetto
all'antropocentrismo/biocentrismo/ecocentrismo,
individuando
quattro
posizioni
principali:antropocentrismo
forte,
antropocentrismo
debole,
biocentrismo
debole,
biocentrismo
forte
ecocentrismo.[2]
In
riferimento
alla
modalit
di
argomentazione
filosofica,[3]le
diverse
impostazioni
in
tema
di
etica
ambientale
possono
essere
ricondotte
ai
seguenti
modelli:
obiettivismo
razionalista,
ontologia
della
natura,
femminismo
o
ginomorfismo,
antropomorfismo
e
teismo.
Nel
modello
dell'obiettivismo
razionalista
il
valore
conferito
alla
natura
mediante
un
atto
attributivo
da
parte
dell'uomo,
sulla
base
della
valutazione
delle
conseguenze
negative
sulle
generazioni
future
a
causa
di
un
agire
umano
distruttivo
e
irresponsabile
nei
confronti
della
natura.
Il
giudizio
etico
si
fonda
quindi
sulla
ragione
umana
che
valuta
rischi
e
benefici
a
lungo
termine.
In
questo
modello
fondativo
si
collocano
alcune
posizioni
utilitariste
e
dell'etica
della
comunicazione.
Il
modello
dell'ontologia
della
natura
considera
la
natura
portatrice
di
un
valore
intrinseco.
All'interno
di
questo
modello
fondativo
si
possono
rinvenire
il
neoaristotelismo,
il
paradigma
della
sacralit
della
vita,
e
l'olismo.
Il
modello
antropomorfico
attribuisce
alla
natura
un
valore
in
analogia
al
valore
dell'essere
umano.
Il
giudizio
etico
si
fonda
sull'estensione
del
valore
morale
dall'uomo
agli
altri
esseri
113
114
115
vivente;
il
secondo
un
biocentrismo
che,
invece
trova
le
sue
ragioni
nel
principio
che
ogni
forma
di
vita
va
rispettata
perch
sacra.
Peter
Singer
[13]
il
sostenitore
dell'utilitarismo
della
preferenza
o
degli
interessi
.
Il
principio
guida
dell'etica
di
Singer
e'
quello
dell'uguale
ed
imparziale
considerazione
degli
interessi
attuali
e
futuri.
Gli
interessi
si
riferiscono
al
desiderio
di
evitare
il
dolore,
soddisfare
i
bisogni
primari,
sviluppare
le
proprie
capacita',
godere
di
rapporti
amichevoli,
essere
liberi
di
realizzare
i
propri
progetti.
La
condizione
di
possibilita'
minimale
per
avere
interessi
o
preferenze
e'
essere
in
grado
neurofisiologicamente
di
provare
piacere
e
dolore.
La
norma
etica
che
ne
consegue
la
seguente:
prendere
in
considerazione
gli
interessi
di
tutti
i
soggetti
capaci
di
averne,
combattendo
ogni
forma
di
discriminazione
(razzismo,
sessismo,
schiavismo,
specismo),
estendendo
biocentricamente
il
principio
di
uguaglianza.
Goodpaster[14],
al
contrario,
ritiene
che
la
capacit
di
sentire
piacere
e
dolore
non
sia
un
fine
in
s,
ma
una
strategia
di
sopravvivenza,
perch
grazie
ad
essa
si
possono
evitare
rischi
di
vita.
Ogni
tentativo
di
legare
la
soglia
di
rilevanza
morale
a
questo
o
a
quell'attributo
risulta
arbitrario.
E'
il
principio
di
rispetto
della
vita,
afferma
Goodpaster,
l'unico
principio
etico
obiettivamente
riconoscibile.
In
natura,
quindi,
tale
principio,
pu
essere
contraddetto,
soltanto
per
garantire
la
sopravvivenza.
Il
concetto
assiologico
di
natura
come
luogo
di
dispiegamento
dell'Essere,
partorito
all'interno
di
una
concezione
filosofica
definita
neoaristotelica,
espressione
di
un
etica
ontocentrica.
La
denominazione
di
etica
ontocentrica
stata
attribuita
all'etica
di
Hans
Jonas[15]
Il
teleologismo
di
Jonas,
in
antitesi
alla
concezione
darwiniana,
rinviene
nell'evoluzione
naturale
un
finalismo
che
ha
il
suo
culmine
nell'essere
umano.
Jonas
individua
cio
un
principio
di
continuit
nella
natura
che
va
dall'organismo
alla
mente,
rifiutando
ogni
forma
di
riduzionismo
dualistico
(matera/interiorit-libert;
natura/uomo;
mente/corpo).
Il
telos
della
natura,
che
un
valore,
afferma
Jonas,
richiede
previamente
che
la
natura
esista,
ovvero
che
ci
sia
vita.
Jonas
radica
quindi
l'imperativo
di
mantenere
in
vita
la
natura
sull'ontologia
della
biologia[16].
Il
concetto
di
natura
come
manifestazione
della
gloria
di
Dio,
che
trova
le
ragioni
all'interno
del
personalismo
ontologicamente
e
teologicamente
fondato,
una
etica
definita
nella
letteratura
ambientale,
antropocentrica
debole
o
moderata,
per
differenziarla
appunto
dall'antropocentrismo
forte.
La
fisionomia
dell'antropocentrismo
debole
o
moderato
delineata
nei
testi
di
Elio
Sgreccia
e
Maria
Beatrice
Fisso:
"
L'uomo
rappresenta
il
vertice
dell'universo,
proprio
per
questa
sua
posizione
di
preminenza
non
deve
essere
attribuita
all'uomo
la
medesima
rilevanza
morale
all'uomo
e
ad
altre
entit
naturali.
Il
recupero
dell'equilibrio
con
la
natura
non
si
ottiene
equiparando
l'uomo
agli
altri
esseri
ma
cambiando
in
primo
luogo
il
suo
modo
di
pensare
ed
agire
nei
riguardi
di
tutte
le
entit
non
umane.
Esiste
anche
una
gradazione
nell'importanza
delle
varie
entit
nella
natura,
che
finisce
con
il
ripercuotersi
anche
sul
valore
morale
da
attribuire
loro.
Questa
diversit
insita
nella
Natura
stessa,
all'interno
della
quale
esiste
una
struttura
gerarchica,
di
cui
l'uomo
al
vertice"[17]
Come
giustamente
afferma
M.
Faggioni,
l'etica
dipendente
dalla
visione
giudeo-cristiana
propriamente
un'etica
teologica,
che
potrebbe
essere
definita
etica
dell'amministrazione.
Tale
etica,
infatti,
fonda
e
giustifica
la
responsabilit
per
la
natura
sul
concetto
del
mondo
come
dono
divino
affidato
all'essere
umano,
che
deve
rendere
conto
a
Dio
stesso
della
sua
amministrazione
del
mondo.
L'etica
ambientale
cristiana,
continua
Faggioni,
prendendo
le
distanze
dall'arroganza
dell'antropocentrismo
forte
ed
evidenziando
la
non
assolutezza
del
dominio
umano
sulla
creazione,
un
teocentrismo,
piuttosto
che
un
antropocentrismo,
fondante
un
dovere
di
saggio
utilizzo
dei
beni
naturali
da
parte
dell'uomo[18].
116
Le
diverse
qualit
assiologiche
della
natura
sostanziano
una
diversit
di
baricentro
per
i
diversi
modelli
di
etica
ambientale:
l'uomo,
per
l'antropocentrismo
forte
e
moderato;
l'essere
vivente
per
il
biocentrismo;
la
totalit
della
terra
per
l'ecocentrismo;
la
scala
dell'essere
per
l'ontocentrismo.
DALL'ECOLOGIA
ALL'ECOFILOSOFIA
Come
giustamente
ha
indicato
il
filosofo
norvegese
A.
Naess,
va
distinta
l'ecologia
come
scienza
dalla
ecologia
come
sistema
filosofico[19].
Ritengo
si
possa
definire
ecologia
scrictu
sensu
quel
tipo
di
sapere
che
fa
uso
di
metodi
scientifico-matematici
per
spiegare
il
mondo
come
realt
biofisica,
mentre
pi
precisamente
si
debba
intendere
con
il
termine
ecofilosofia
il
tipo
di
sapere
che,
prendendo
le
mosse
dall'ecologia
scientifica,
offre
un
modello
interpretativo
a
valenza
epistemologica,
antropologica,
e
prescrittiva.
L'ecofilosofia,
in
altre
parole
il
prodotto
di
natura
filosofica
dell'ecologia
come
scienza.
Nella
letteratura
scientifica,
il
termine
ecologia
viene
per
la
prima
volta
utilizzato
dal
biologo
tedesco
Ernst
Haeckel
(1866),
per
indicare
lo
studio
dell'interdipendenza
e
dell'interazione
tra
gli
organismi
viventi
(animali
e
piante)
ed
il
loro
ambiente
(materia
inanimata)[20].
Come
giustamente
fanno
notare
gli
storici,
l'idea
di
ecologia
nata
molto
prima
del
suo
nome.
La
sua
storia
moderna
ha
infatti
avuto
inizio
nel
XVIII
secolo,
quando
essa
si
configurava
come
un
metodo
pi
ampio
per
osservare
la
struttura
della
vita
sulla
terra:
un
punto
di
vista
che
cercava
di
descrivere
tutti
gli
organismi
viventi
come
un
insieme
interagente,
spesso
definito
l'economia
della
natura,
nozione
proposta
da
Linneo.[21]
Il
merito
di
Haeckel
non
fu
soltanto
quello
di
attribuire
un
nome
nuovo
alla
cosidetta
economia
della
natura,
ma
anche
quello
di
voler
applicare
a
questa
scienza,
che
si
basava
sui
concetti
di
relazione
e
contesto,
il
metodo
predittivo
delle
scienze
fisiche.
Fin
dai
suoi
albori,
quindi
l'ecologia
scientifica
portatrice
di
due
anime,
espressioni
di
una
doppia
natura:
olistica
e
riduzionistica.[22]
Con
Haeckel
nasce
quindi
la
I
fase
di
pensiero
scientifico
ecologico,
che
possiamo
definire
fase
premoderna
o
fase
dell'ecologia
ambientale.
Nel
1893
John
Burdon
Sanderson
innalza
l'ecologia
al
rango
di
una
delle
tre
parti
della
biologia,
accanto
alla
fisiologia
ed
alla
morfologia,
definendola
la
filosofia
della
natura.
Nei
primi
quarant'anni
di
vita,
l'ecologia
pian
piano
si
allontanata
dall'egemonia
botanica
per
approdare
ai
concetti
di
ecologia
animale
(Charles
Elton),
ecosistema
(Arthur
Tansley
)[23]
e
biosfera
(Vladimir
Vernadskij
)[24]
.
In
questa
prima
fase,
l'ecologia
si
presenta
come
una
scienza
che
mira
a
tradurre
in
modelli
matematici
e
equazioni
fisiche
la
complessit
del
mondo
vivente
e
delle
sue
relazioni
con
l'ambiente,
incarnando
un
anima
riduzionistica
piuttosto
che
olistica.
Con
l'ipotesi
Gaia
di
James
Lovelock
[25]
si
pu
dire
che
abbia
inizio
nel
1979
la
II
fase
della
scienza
ecologica,
la
fase
dell'ecologia
moderna
ovvero
dell'ecologia
globale
L'idea
di
Gaia
venne
proposta
da
James
Lovelock.
Lovelock,
chimico
e
medico,
ha
ipotizzato
l'esistenza
di
un
meccanismo
di
autoregolazione
della
Terra
e
della
vita
che
essa
contiene.
Insieme,
la
vita
e
la
terra
formerebbero
un
sistema
che
avrebbe
la
facolt
di
mantenere
la
superficie
terrestre
in
uno
stato
propizio
al
proseguimento
dell'esistenza
degli
esseri
viventi.
Gaia,
Lovelock
afferma,
un
entit
complessa
,
comprendente
la
biosfera
terrestre,
gli
oceani
e
la
terra;
l'insieme
costituisce
un
sistema
cibernetico
di
retroazione,
che
cerca
un
ambiente
fisico
e
chimico
ottimale
per
la
vita
del
nostro
pianeta.
Il
mantenimento
di
condizioni
relativamente
117
costanti
mediante
un
controllo
attivo
pu
essere
descritta
in
modo
soddisfacente
con
il
termine
di
omeostasi.
Nel
momento
in
cui
l'ecologia
allarga
i
suoi
confini
per
proporre
modelli
interpretativi
del
reale
diventa
ecofilosofia.
L'ecofilosofia
originariamente
stata
un
prodotto
dell'ecologia
scientifica,
prodotto
la
cui
fisionomia
rappresenta
quindi
l'emergenza
del
paradigma
ecologico
in
contesti
diversi
da
quello
scientifico.
In
questa
prospettiva,
possiamo
interpretare
i
due
modelli
ecofilosofici
partoriti
sostanzialmente
dall'ecologia
scientifica,
che
sono
l'ecofilosofia
scientista
e
l'ecofilosofia
olista.
Il
modello
scientista
espressione
dell'anima
riduzionista
della
scienza
ecologica,
al
contrario
il
modello
olista
espressione
della
sua
anima
olistica.
Il
modello
ecofilosofico
scientista
Il
modello
scientista
trova
la
sua
origine
nella
teoria
scientifica
dell'ecologia
ambientale.[26]
Il
termine
ambiente
in
questo
caso
viene
utilizzato
per
indicare
il
modello
di
scientificit
proprio
delle
scienze
fisiche.
Secondo
l'approccio
scientifico
dell'ecologia
ambientale,
infatti
l'ecologia
si
rivela
come
una
scienza
che
si
avvale
di
modelli
matematici,
capace
di
offrire
strumenti
e
metodi
di
analisi,
simulazioni,
coefficienti,
indici,
e
indicatori
per
la
valutazione
del
rischio.
L'ecologia
ambientale
adotta
uno
sguardo
meccanicista
nei
confronti
della
natura-ambiente.
La
natura
reificata
ridotta
a
mera
res
extensa,
esaurita
alla
sola
dimensione
quantitativa,
resta
priva
di
legami
di
origine
e
significato
con
la
soggettivit.
Questo
fatto
di
per
s
comporta
l'impossibilit
per
la
teoria
scientifica
dell'ecologia
ambientale
di
costituire
un
adeguato
supporto
teoretico-fondativo
ad
un
modello
filosofico.
Pur
tuttavia,
la
teoria
scientifica
dell'ecologia
ambientale,
intende
assumere
valenza
filosofica,
quando
pretende
di
convertire
le
leggi
ecologiche
in
norme
morali.
Il
momento
prescrittivo
viene
espresso
nelle
famose
leggi
dell'ecologia
di
Barry
Commoner:
ogni
cosa
in
relazione
con
tutte
le
altre;
ogni
cosa
va
in
qualche
direzione;non
esistono
in
natura
consumi
gratuiti;
la
natura
conosce
il
meglio
("nature
knows
best"),
dove
il
superiore
grado
di
conoscenza
raggiunto
dalla
natura
espresso
dalla
scienza
ecologica
riguarderebbe
il
sapere
pratico[27]
Il
modello
ecofilosofico,
cos
delineato,
rimane
imbrigliato
nella
rete
delle
maglie
della
fallacia
naturalistica,
non
riuscendo
a
superare
l'impasse
fra
essere
e
dover
essere.
Il
modello
ecofilosofico
olistico
Il
modello
ecofilosofico
olistico
trova
la
sua
origine
nella
teoria
scientifica
dell'ipotesi
Gaia.
Il
termine
olismo
stato
coniato
nel
1926
dall'uomo
politico
sudafricano
Jan
C.Smuts
per
indicare
la
tendenza
generale
della
natura
a
raggruppare
ordinatamente
in
ogni
settore
e
fase
della
realt,
unit
strutturali
in
complessi
dotati
di
propriet
qualitativamente
nuove
rispetto
alle
componenti.[28]
Il
termine
non
nasce
quindi
nel
contesto
proprio
della
scienza
ecologica.
In
ambito
ecologico,
l'olismo
determina
un
cambiamento
di
prospettiva
dall'ontologia
dell'oggetto
ad
un
ontologia
del
campo,
nel
cui
ambito
gli
interi
sono
superiori
alle
parti,
e
le
relazioni
sono
pi
reali
degli
enti:
"
una
specie
in
effetti
la
somma
delle
reazioni
adattative
all'ambiente
che
la
specie
ha
sviluppato
nel
tempo".[29]
118
Nell'ontologia
di
campo,
gli
organismi
individuali
sono
considerati
come
formazioni
momentanee
di
energia,
piuttosto
che
come
oggetti
materiali
con
struttura
stabile:
"
ogni
essere
vivente
una
struttura
dissipativa,
per
questa
ragione
,
esso
non
.rimane
in
se
stesso
e
non
appartiene
a
se
stesso,
ma
soltanto
il
risultato
di
un
continuo
flusso
di
energia
nel
sistema."[30]
I
concetti
di
entit-oggetti
sono
utili
per
gli
scopi
umani,
ma
gli
enti
in
realt
sono
sono
momentanee
entit
in
campi
di
energia,
materia
e
informazione.
Anche
gli
esseri
umani
sono
"nodi
nella
rete
della
vita".
L'olismo
ecofilosofico
trova
la
sua
espressione
completa
nella
deep
ecology,
il
cui
esponente
pi
noto
Arne
Naess.[31]
La
filosofia
di
Naess,
si
basa
alcuni
postulati
concettuali:
-
il
rifiuto
dell'immagine
dell'uomo-nell'ambiente
a
favore
dell'immagine
relazionale
a
tutto
campo.
Gli
organismi
sono
nodi
della
rete
biosferica
o
del
campo
di
relazioni
intrinseche;
-
l'egualitarismo
biosferico,
in
linea
di
principio.
Per
il
ricercatore
ecologico,
l'eguale
diritto
a
vivere
e
a
realizzarsi
pienamente
un
assioma
valoriale
intuitivamente
evidente
ed
ovvio;
-
i
principi
di
diversit
e
di
simbiosi.
La
diversit
accresce
le
potenzialit
di
sopravvivenza,
le
chance
di
nuove
forme
di
vita,
la
ricchezza
delle
forme
."
Vivi
e
lascia
vivere"
un
principio
ecologicamente
pi
potente
che
non
"tu"
o
"io".
Quest'ultimo
tende
a
ridurre
la
molteplicit
dei
tipi
di
forme
di
vita
ed
inoltre
a
provocare
distruzione
all'interno
delle
comunit
della
stessa
specie;
-
la
posizione
anticlassista
I
principi
dell'egualitarismo
ecologico
e
della
simbiosi
sostengono
entrambi
la
stessa
posizione
anticlassista;
-
la
lotta
contro
l'inquinamento
e
l'esaurimento
delle
risorse.
Questo
principio,
afferma
Naess,
deve
essere
rispettato
solo
congiuntamente
agli
altri
presupposti;
-
la
complessit,
che
va
distinta
dalla
complicazione.
La
teoria
degli
ecosistemi
contiene
un
importante
distinzione
tra
ci
che
complicato,
essendo
privo
di
qualsivoglia
Gestalt
o
principio
unificatore,
e
ci
che
complesso.
Gli
organismi,
i
modi
di
vita
e
le
interazioni
nella
biosfera
in
generale
manifestano
una
complessit
sconcertante,
che
rende
inevitabile
il
fatto
di
pensare
in
termini
di
grandi
sistemi
e
contribuisce
ad
un'acuta
e
stabile
percezione
della
profonda
ignoranza
umana
circa
le
relazioni
biosferiche
e
quindi
l'effetto
delle
interferenze;
-
l'autonomia
locale
ed
il
decentramento.
Il
significato
di
questo
postulato
di
natura
politica:
per
gestire
i
problemi
ecologici
bisogna
rafforzare
l'autogoverno
locale
e
l'autosufficienza
materiale
e
mentale[32].
L'ecofilosofia
di
Naess
non
rimane
imbrigliata
nelle
maglie
della
fallacia
naturalistica,
in
quanto
il
trait
d'union
fra
fatti
e
valori
di
natura
sostanzialmente
psicoantropologica:
l'essere
umano,
facendo
esperienza
del
mondo,
si
intuisce
in
continuit
con
la
totalit
della
realt
esterna.
Naess
suggerisce
un
ampliamento
dell'autopercezione
dell'io
in
direzione
ecosistemica:
la
soggettivit
stessa
pensata
come
luogo
di
ricapitolazione
dell'evoluzione
naturale.
Noi
siamo-dice
il
filosofo
qualcosa
di
pi
dei
nostri
singoli
io,
non
siamo
solo
frammenti
minuscoli
ed
impotenti.
Identificandoci
con
unit
pi
vaste
prendiamo
parte
alla
loro
creazione
e
preservazione,
pertanto
condividiamo
la
loro
grandezza.
I
molteplici
io
si
sviluppano
fino
a
diventare
dei
s
sempre
pi
grandi,
proporzionali
all'ampiezze
ed
alla
profondit
dei
nostri
processi
di
identificazione.
L'ontologia
della
Gestalt
il
background
teoretico
del
momento
prescrittivo.
119
120
Mi
sembra
che
l'uomo
moderno
per
ristabilire
l'armonia
con
la
natura
debba
innanzitutto
risvegliare
la
dimensione
relazionale
della
propria
coscienza,
riscoprire
un
modo
di
rapportarsi
con
il
mondo
che
non
conduce
alla
sua
appropriazione,
ma
allo
stare
insieme
ad
esso.
Stare
insieme
al
mondo
accoglierlo
come
tale,
e
riconoscerlo
come
creato.
Questa
relazione
frutto
di
uno
sguardo
"amoroso",
contemplativo
ed
insieme
sollecito.
Lo
sguardo
contemplativo
lo
sguardo
attento
di
Simone
Weil:
"uno
sguardo
anzitutto
attento,
in
cui
l'anima
si
svuota
di
ogni
contenuto
proprio
per
accogliere
in
s
l'essere
che
essa
vede
cos
com'
nel
suo
aspetto
vero.
Soltanto
chi
capace
di
attenzione
capace
di
questo
sguardo"
[39]
L'attenzione
un
atto
che
coglie
la
verit.
E'
un
atto
che
lascia
parlare
l'essere.
In
quanto
atto
che
coglie
la
verit,
un
atto
di
pensiero."L'attenzione
consiste
nel
sospendere
il
proprio
pensiero,
nel
lasciarlo
disponibile,
vuoto
e
permeabile
all'oggetto,
nel
mantenere
in
prossimit
del
proprio
pensiero,
ma
ad
un
livello
inferiore,
e
senza
contatto
con
esso,
le
diverse
conoscenze
acquisite
che
si
costretti
ad
utilizzare.
Il
pensiero,
rispetto
a
tutti
i
pensieri
particolari
preesistenti,
deve
essere
come
un
uomo
su
una
montagna,
che
fissando
lontano
scorge
al
tempo
stesso
sotto
di
s,
pur
senza
guardarle,
molte
foreste
e
pianure.
E
soprattutto
il
pensiero
deve
essere
vuoto,
in
attesa;
non
deve
cercare
nulla
ma
essere
pronto
a
ricevere
nella
sua
nuda
verit
l'oggetto
che
sta
per
penetrarvi"[40]
Lo
sguardo
amoroso
oltre
che
attento
anche
sollecito,
ovvero
specificamente
rivolto
all'oggetto
della
cura:
la
sollecitudine
infatti
ci
che
unisce,
lega
i
due
poli
della
relazione.
Prendersi
cura
del
creato
significa
riconoscere
l'essenzialit
di
un
peculiare
legame
dell'essere
umano
con
la
creatura,
riconoscere
in
essa
una
certa
sintonia
con
il
nostro
essere.
Importanti
chiavi
interpretative
di
un'ecofilosofia,
o
filosofia
globale
del
rapporto
uomo-natura
generata
dall'ontologia
relazionale,
analogamente
a
quanto
indicato
per
l'epistemologia,
sono
l'attenzione
e
la
cura.
L'attenzione
rivela
una
dimensione
essenziale
del
creato:
il
suo
essere
mistero
e
dono.
Lo
sguardo
attento
luogo
di
una
relazione
che
fa
trasparire
l'essere
dell'altro
come
irriducibile
all'io,
la
differenza
fra
me
ed
altro
da
me.
La
cura
rivela
un'altra
dimensione
essenziale
del
creato:
il
suo
essere
evento.
"L'avvenimento
-dice
sempre
Mounier
segna
l'incontro
dell'universo
con
il
mio
universo
...
L'avvenimento
precisamente
ci
che
io
non
creo,
la
catastrofe,
l'invito
ad
uscire
fuori
dal
mio
essere.
La
rivelazione
dell'universo
qui
ancora
termina
con
un
dono"[41].
L'evento
fa
emergere
il
dinamismo
dell'essere,
la
ricerca
di
un
compimento
nella
relazione
di
cura
con
l'altro,
relazione
che
porta
a
compimento,
non
solo
l'altro,
ma
anche
me,
nelle
rispettive
irriducibili
differenze.
In
questo
senso,
possiamo
interpretare
il
concetto
di
unit
espresso
nella
Carta
della
Terra
"
Noi
siamo
la
terra,
popoli,
piante,
e
animali,
piogge
e
oceani,
respiro
della
foresta
e
corrente
del
mare.
Onoriamo
la
terra,
casa
di
tutte
le
cose
viventi.
In
tutta
la
nostra
diversit
noi
siamo
uno"[42].
La
prima
e
pi
immediata
espressione
di
relazione
dell'uomo
con
l'ambiente
la
relazione
di
cura
con
l'ambiente-casa,
relazione
che
Sally
Gadow,
ad
esempio,
chiama
"inerenza"[43].
L'inerenza
secondo
Gadow,
sta
ad
indicare
che
l'esistenza
umana
da
un
lato
sempre
struttura
il
mondo
che
la
circonda,
dall'altro
non
mai
indipendente
e
avulsa
da
esso.
L'ecosistema,
ella
afferma,
una
rete
astratta
di
spazi,
mentre
l'inerenza
concretizza
lo
spazio
nel
luogo.
Lo
spazio
concretizzato
nel
luogo,
viene
chiamato
"casa".
L'ecologia
diventa
quindi
la
logica
della
casa,
un
ideale
d'inseparabilit
dell'uomo
interconnesso
con
specifici
tempi
e
luoghi
L'ecologia
come
logica
della
casa-afferma
Gadow
sostanzia
uno
specifico
modello
etico:
un'etica
dell'inerenza,
ovvero
della
cura
nei
confronti
del
luogo
in
cui
viviamo.
Il
luogo,
ella
afferma,
121
122
voglio
il
mondo
pu
appartenermi
come
il
tesoro
appartiene
all'avaro,
ma
un
tesoro
che
non
si
accresce"[48]
Proteggere
e
fruttificare
la
natura
quindi
la
prospettiva
etica:
tale
difficile
equilibrio
si
realizza
innanzitutto
se
permane
quale
obiettivo
fondamentale
il
permanere
della
terra
come
habitat
per
la
vita
umana.
Una
delle
maggiori
sfide
che
l'ecologia
oggi
pone
all'etica
delle
societ
industrializzate
riguarda
appunto
la
responsabilit
per
le
future
generazioni.
Come
fa
notare
Jonas,
il
nuovo
potere
della
scienza
e
della
tecnica
chiama
in
causa
una
nuova
responsabilit
nei
confronti
del
futuro
dell'umanit
"L'uomo
non
pi
semplicemente
estremo
esecutore,
ma
anche
potenziale
distruttore
dello
sforzo
teleologico
della
natura,
deve
farsi
carico
nel
suo
volere
dell'affermazione
dell'essere,
e
nel
suo
potere
della
negazione
del
non
essere.
Il
futuro
dell'umanit
costituisce
il
primo
dovere
del
comportamento
umano
collettivo
nell'era
della
civilt
della
tecnica
divenuta,
modo
negativo,
onnipotente"[49]
Jonas,
come
sappiamo,
radica
la
responsabilit
dell'uomo
nei
confronti
delle
generazioni
future
sull'ontologia
della
biologia.
Quale
pu
essere
invece,
se
pu
esservi,
una
base
teoretica
della
responsabilit
nei
confronti
dell'umanit
futura,
radicata
nell'ontologia
relazionale
?
La
relazione
ricerca
di
senso,
ma
insieme
prospettiva
di
immortalit
ed
aspirazione
d'infinito.
Il
tempo
cronologico
della
finitudine
umana
pu
essere
sublimato
nella
temporalit
cosmologica
della
natura:
come
nell'alternanza
dei
cicli
stagionali
la
vita
sulla
terra
permane,
cos
il
genere
umano
sopravvive
all'uomo,
col
permanere
del
mondo.
La
relazione
in
una
prospettiva
diacronica
si
realizza
quindi
nella
possibilit
di
una
vita
umana
futura,
e
la
vita
della
terra
la
condizione
necessaria
perch
tale
possibilit
possa
realizzarsi.
Tale
,
ad
esempio,
il
punto
di
vista
della
filosofia
ecologica
di
Hannah
Arendt
:il
tempo
cronologico
della
finitudine
umana
sublimato
nella
temporalit
"infinita"
del
mondo
che
continua,
indissolubilmente
legato
alla
vita
della
terra.
L'obiettivo
pi
profondo
e
ricco
della
speranza
umana
afferma
la
filosofa
l'eternit,
il
superamento
della
morte,
ed
il
modo
per
acquistare
l'immortalit
la
generazione.
Nell'amore
per
il
mondo
continua
la
filosofa
trovano
spazio
l'amore
per
la
vita
e
l'amore
per
la
terra.
Perch
il
mondo
delle
persone
sopravviva
necessario
curare
la
terra;
la
terra
quindi
la
quintessenza
della
condizione
umana.
Senza
la
terra
non
pu
esserci
la
vita,
e
la
vita
il
legame
fra
mondo
e
terra.
La
vita
rende
possibile
la
nascita,
la
nascita
l'inizio
dell'iniziatore,
quindi
l'inizio
del
mondo
che
continua.
[50]
Quando
Hannah
Arendt
stendeva
"Vita
Activa",
afferma
Alessandro
Dal
Lago
nella
Prefazione
a
"Vita
Activa"
-l'ecologia
era
solo
un
settore
specializzato
delle
scienze
naturali,
e
i
primi
manifesti
dell'ondata
ecologica
(che
si
sarebbe
ingrossata
a
partire
dagli
anni
Settanta)
non
erano
ancora
stati
scritti.
Hannah
Arendt
,
oltretutto
non
derivava
la
prognosi
sulla
distruzione
dell'ambiente
da
ricerche
specializzate,
ma
da
una
riflessione
sul
senso
dell'agire
umano.
Era
estraneo
al
suo
modo
di
pensare
qualsiasi
assunto
organicistico
e
vitalistico
preliminare
a
una
definizione
della
relazione
tra
uomo
e
cosmo.
D'altra
parte
in
questo
saggio
come
in
altri
il
concetto
di
natura
non
svolge
alcun
ruolo
educativo
o
idilliaco;
esso
si
riferisce
in
primo
luogo
alla
nascita.
Il
nesso
natura-nascita
ci
permette
di
riflettere
sull'insensatezza
di
un
processo
che
si
potrebbe
riassumere
come
distruzione
consapevole
o
non
dei
luoghi
della
nascitasiano
essi
le
abitazioni
costruite
dall'uomo
nel
corso
dello
sviluppo
culturale,
oppure
la
terra
su
cui
esse
poggiano
oppure
il
cielo
che
le
sovrasta.
In
questo
senso
distruggendo
la
natura
la
societ
umana
distrugge
la
condizione
fondamentale
della
propria
nascita
e
quindi
della
propria
libert".[51]
123
124
[1]
Per
una
classificazione
delle
etiche
ambientali,
si
vedano
i
testi:
SGRECCIA
E.,
FISSO
M.B.,
Medicina
e
morale
1996,
6:
1057-1082;
IDEM,
Medicina
e
Morale
1997,
1:57-74.
[2]
La
distinzione
antropocentrismo-biocentrismo-ecocentrismo
si
veda
il
testo:
BARTOLOMMEI
S.,
Etica
e
ambiente,Milano:Guerini
1989.
[3]
Un'
utile
classificazione
dell'etica
ambientale
sulla
base
delle
diverse
modalit
di
argomentazione
filosofica
contenuta
nel
seguente
testo:
DELLAVALLE
S.
L'umano
e
il
naturale
in
IDEM
(a
cura
di),
Per
un
agire
ecologico,Milano:
Baldini
e
Castoldi
1998:11-56.
[4]
Sulla
correlazione
identit
femminile-bioetica,
utile
il
riferimento
al
testo:
MELE
V.,
La
bioetica
al
femminile
,
Milano:
Vita
e
Pensiero
1998:32-40.
[5]
Per
un'analisi
completa
del
personalismo
ontologicamente
fondato
e
la
bioetica,
si
veda:
SGRECCIA
E.,
Manuale
di
bioetica
Volume
I
Fondamenti
ed
etica
biomedica,
Milano:
Vita
e
Pensiero
1999.
[6]
La
scelta
di
indicare
John
Passmore
quale
esponente
dell'antropocentrismo
forte,
a
differenza
di
quanto
pi
spesso
viene
indicato
in
letteratura,
motivato
dal
fatto
che
l'antropocentrismo
cosiddetto
forte
o
cowboy
ethics,
che
si
basa
sull'assunto
che
le
risorse
della
natura
siano
inesauribili
e
tutte
al
servizio
dei
consumi
umani,
mi
sembra
possa
avere
soltanto
un
valore
storico
e
non
sia
pi
rappresentato
a
livello
di
letteratura
di
etica
dell'ambiente.
Ho
preferito
quindi
attribuire
all'antropocentrismo
utilitarista
la
connotazione
di
antropocentrismo
forte
(nonostante
venga
spesso
definito
come
debole)
per
differenziarlo
maggiormente
dall'antropocentrismo
moderato
ad
impronta
personalista
[7]
PASSMORE
J.,
Eliminare
le
sciocchezze.
Riflessioni
sulla
frenesia
ecologica,
DELLAVALLE
(a
cura
di)
.,
Per
un
agire
ecologico...p.247-278.
[8]
NAESS
A.,
The
shallow
and
the
deep
ecology,
Long-range
Ecology
Movement
.A
Summary.
Inquiry,
1973;16:95-100.
Per
un
interessante
commento
alla
classificazione
di
Naess
si
veda:
TALLACCHINI
M.,
(a
cura
di)
Etiche
della
terra
Antologia
di
filosofia
dell'ambiente
,
Milano:Vita
e
Pensiero
1998.
[9]
KING
Y.,
The
eco-feminist
perspective
in
CALDECOTT
L.,
LELAND
S.
(eds)
Reclaiming
the
Earth:
women
speak-out
for
life
on
earth
,London:
The
Women's
Press,
1983:120-137.
[10]
IDEM,
Toward
an
ecological
feminism
and
a
feminist
ecology,
in
IDEM
(
a
cura
di)
Radical
Environmentalism,Belmont:
Wadsworth
Publishing
Company,
1993:70-79.
[11]
Per
un
panorama
del
pensiero
di
Mary
Daly,
si
veda:
DALY
M.,
Beyond
God
the
Father:
toward
a
philosophy
of
women's
liberation,
Boston:
Beacon
Press
,1974.
[12]
MELE
,
La
bioetica
al
femminile...
[13]
SINGER
P.,
Practical
Ethics,
trad.it.
Etica
Pratica,
Liguori,
Napoli
1989.
[14]
Un
commento
alla
filosofia
di
Goodpaster
si
trova
in:TALLACHINI,
Etiche
della
terra
...p.37
[15]
FOPPA
C.,
L'essere
umano
nella
filosofia
della
biologia
di
Hans
Jonas:qualche
aspetto,
in
PELLEGRINO
P.
(a
cura
di)
Bari:
Milella
1995.
[16]
FURIOSI
M.L,
.Hans
Jonas
ed
il
suo
contributo
alla
fondazione
della
bioetica
,
in
Atti
del
Congresso
Internazionale"I
diritti
della
persona
nella
prospettiva
bioetica
e
giuridica",
Roma
7-8
settembre
2000,
in
corso
di
pubblicazione.
[17]
SGRECCIA,
FISSO
Etica
dell'ambiente
,
Milano:Vita
e
Pensiero
1997:41.
[18]
FAGGIONI
M.,
L'uomo
ancora
signore
del
creato?
Tracce
di
etica
ambientale
in
"GS",
Antonianum
1995;70:429-472.
[19]
SALIO
G.,
Ecologia
profonda
ed
ecosofia,
-introduzione
al
libro
di
NAESS
A,
Ecosofia,
Como:Red,
1994:
7-20.
125
[20]
Per
uno
studio
storico
dell'ecologia
si
vedano:
DELEAGUE
J.P.,
Storia
dell'ecologia
Una
scienza
dell'uomo
e
della
natura,
Napoli:
CUEN
1994;
WORSTER
D.,
Storia
delle
idee
ecologiche,
Bologna:
il
Mulino
1994.
[21]
DELEAGUE.,
Storia
dell'ecologia...p.24-33.
[22]
TALLACCHINI,
Introduzione.Una
scienza
per
la
natura,
una
filosofia
per
la
terra
,
in:
TALLACCHINI
.,
(a
cura
di)Etiche
della
terra...p.15.
[23]
CALLICOT
J.B.,
The
metaphysical
implications
of
ecology,
Environ.
Ethics
1986,
4:301-316.
[24]
DELEAGUE.,
Storia
dell'ecologia...p.197-221.
[25]
LOVELOCK
J.,
Gaia:a
new
look
at
life
on
earth,
New
York:
Oxford
University
Press
1979.
[26]
MIGLIETTA
G.,
MELE
V.,
L'interesse
per
l'ecologia
nella
formazione
della
bioetica
generale.
Modelli
antropologici
di
riferimento
per
l'elaborazione
di
un'etica
ambientale,
in
Atti
del
Congresso
Internazionale
"I
diritti
della
persona
nella
prospettiva
bioetica
e
giuridica",
Roma
7-8
settembre
2000,
in
corso
di
pubblicazione.
[27]
COMMONER
B.,The
closing
circle:nature,
man
and
technology,
New
York:
Alfred
A.
Knopf,
1972,
p.41.
[28]
LA
VERGATA
A.,
Filosofia
e
biologia,
in
ROSSI
P.
(a
cura
di),
La
filosofia
vol.II
La
filosofia
e
le
scienze,Torino:Garzanti
1996,
p.155.
[29]
CALLICOTT
J.B.
,
The
metafisical
implication
of
ecology,
Environ.Ethics,
1986,12:301-316.
[30]
Una
interessante
e
sintetica
messa
a
fuoco
dell'olismo
si
trova
in
:
GADOW
S.,
Existential
ecology:the
human/naturalworld,
Soc.Sc.Med.,
1992,
4:597-602.
[31]
NAESS,
Ecosofia
...
[32]
Ibidem.
[33]
AUTIERO
A.,
Una
speranza
per
il
nostro
pianeta,
in
POLI
C.,
TIMMERMAN
P.
(a
cura
di),
L'etica
nelle
politiche
ambientali,
Padova:
Gregoriana
Editrice,
1991:
91.
[34]
BONORA
A.,
L'uomo
coltivatore
e
custode
del
suo
mondo
in
Genesi
1-11,
in
CAPRIOLI
A.,
VACCARI
L.
(
a
cura
di)Questione
ecologica
e
coscienza
cristiana,
Brescia:
Morcelliana,
1988
:157.
[35]
Un
interessante
analisi
della
prospettiva
dell'ontologia
relazionale
si
pu
trovare
in:
BELLINO
F.,
La
storia
della
bioetica
e
la
svolta
pedagogica
attuale,
in
Atti
del
Congresso
Internazionale
"I
diritti
della
persona
nella
prospettiva
bioetica
e
giuridica",
Roma
7-8
settembre
2000,
in
corso
di
pubblicazione.
[36]
I
brani
di
YANNARAS
CH.,
sono
riportati
e
commentati
in:
BELLINO,
La
storia
della
bioetica
...
[37]
Il
riferimento
a
NHAT
HANH
T,
si
trova
sempre
in
BELLINO,
La
storia
della
bioetica..
[38]
GALIMBERTI
U.,
Invito
al
pensiero
di
Heidegger,
Milano:
Mursia
1989:68-69
[39]
I
brani
di
Simone
Weil
commentati
sono
ripresi
da
:
MELE
,
La
bioetica
al
femminile...p.85-
89
[40]
Ibidem
[41]
Ibidem
[42]
BELLINO,
La
storia
della
bioetica...
[43]
GADOW,
Existential
ecology...p.601.
[44]
Ibidem
[45]
HOSLE
V.,
Filosofia
della
crisi
ecologica,
Torino:Einaudi,
1992:53-55.
[46]
MELCHIORRE
V.,
Corpo
e
persona,
Genova:
Marietti,
1991:129.
[47]
SGRECCIA
E.,
FISSO
M.B.,
Etica
dell'ambiente,
Medicina
e
Morale,
1997;
Suppl.3:
41
[48]
WEIL
S.,
L'ombra
e
la
grazia,
Milano:
Rusconi,
1985:128.
[49]
JONAS
H.,
Il
principio
responsabilit,
Torino:
Einaudi,
1990:37.
126
[50]
Per
una
analisi
del
rapporto
amore
per
il
mondo,
nascita
e
mondo
in
Hannah
Arendt
si
vedano:
RICCI
SINDONI
P.,Hannah
Arendt.
Come
raccontare
il
mondo,
Roma,
Studium
1995;
MELE
V.,
La
bioetica
al
femminile...p.75-76
[51]
DAL
LAGO
A.,
La
citt
perduta
Introduzione,
in
ARENDT
H.,
Vita
activa,
Milano:
Bompiani,
1991:
XXVI-XXVII.
[52]
GIOVANNI
PAOLO
II,
Pace
con
Dio
creatore.
Pace
con
tutto
il
creato
n.8.
Il
messaggio
de
Papa
per
la
giornata
mondiale
della
pace
1990,
ripreso
da:
AaVv.
La
responsabilit
ecologica,
Roma:
Studium,
1990:194-195.
127
MAURO
COZZOLI
LA
LEGGE
NATURALE
A
DIFESA
DELLA
VITA
Le
ragioni
e
i
limiti
della
difesa
della
vita
fisica
La
vita
ha
sempre
interpellato
la
morale
in
ordine
alle
possibilit
e
alle
condizioni
d'intervento
su
di
essa,
alla
obbligatoriet
e
ai
limiti
della
sua
tutela.
Queste
interpellanze
si
sono
fatte
oggi
pi
pressanti,
complesse
e
urgenti,
in
ragione
dei
progressi
biomedici
e
della
loro
traduzione
biotecnologica,
con
l'enorme
carico
di
questioni
che
le
crescenti
possibilit
manipolatrici
e
invasive
pongono
e
si
trascinano.
E'
legittimo
il
loro
impiego?
E'
anche
doveroso?
Lo
in
ogni
caso?
Quali
sono
e
da
che
cosa
sono
determinati
i
limiti
d'intervento
e
di
difesa
della
vita?
Alla
morale
compete
offrire
risposte.
Risposte
non
soltanto
normative,
intese
cio
a
tracciare
i
confini
del
lecito
e
dell'illecito
e
a
configurare
gli
obblighi
e
la
loro
vigenza.
Ma
anche
-
ed
oggi
diciamo
ancor
pi
-
motivate:
intese
cio
a
dare
ragione
delle
norme,
in
modo
da
essere
trovate
non
solo
vincolanti
ma
anche
credibili.
E
questo
non
nell'ambito
del
proprio
credo,
delle
proprie
tradizioni
o
del
proprio
ethos,
ma
su
scala
mondiale,
al
cui
livello
si
pongono
oggi
le
questioni
bioetiche
suscitate
dal
progresso
biomedico
e
biotecnologico
e
acuite
dalla
ventata
secolaristica
e
relativistica
che
ha
investito
e
problematizzato
il
senso
e
il
valore
della
vita.
Siamo
in
presenza
di
una
delle
grandi
sfide
alla
mondializzazione
dell'etica.
E'
una
sfida
per
la
Chiesa,
chiamata
a
dischiudere
la
via
della
salvezza
a
tutti
gli
uomini
sulla
strada
della
vita
morale[1].
E'
in
questa
prospettiva
che
il
magistero
della
Chiesa
e
la
teologia
ritrovano,
ripensano
e
rilanciano
la
perenne
attualit
della
natura
umana
e
della
legge
naturale
come
fonte
e
criterio
d'intelligenza
etica,
d'intelligenza
in
particolare
della
verit
della
vita
e
dei
suoi
obblighi
morali.
Qui
vogliamo
delinearla
e
proporla
in
ordine
alle
ragioni
e
ai
limiti
della
difesa
della
vita
fisica.
A
un
duplice
livello
di
riflessione:
fondativo,
il
primo,
inteso
ad
accreditare
la
natura
e
la
legge
naturale
come
principio
e
fondamento
di
eticit;normativo,
il
secondo,
inteso
a
configurare
gli
obblighi
morali
che
ne
conseguono.
Al
fine
di
illuminare
la
rilevanza
e
l'attualit
per
la
Chiesa
della
via
della
natura
e
della
legge
naturale
alla
conoscenza
del
progetto
di
Dio
sulla
vita,
ho
scelto
di
corredare
e
suffragare
questo
studio
con
una
documentazione
attinta
al
magistero
della
Chiesa,
al
suo
pi
alto
livello
d'insegnamento.
NATURA
E
LEGGE
NATURALE
Nella
temperie
culturale
che
ha
investito
e
travolto
il
concetto
ed
ogni
riferimento
alla
natura
e
alla
legge
naturale,
occorre
ritrovarne
il
senso
genuino
e
pregnante,
riscattandole
dalle
distorsioni
del
passato
e
dai
fraintendimenti
del
presente.
Una
pi
attenta
e
attualizzante
considerazione
doverosa
e
possibile
per
l'intelligenza,
provocata
oggi
dalle
istanze
ineludibili
e
dalle
sfide
radicali
della
complessit,
della
storicit
e
della
prassi.
La
teologia
e
la
Chiesa
non
rifuggono
da
esse,
ma
si
pongono
in
ascolto
vigile
e
dialogico.
Prestando
attenzione
alle
critiche,
molte
delle
quali
legittime
e
stimolanti,
e
a
partire
da
queste,
dobbiamo
prima
di
tutto
mostrare
la
fondatezza
logica
ed
epistemologica
d'ogni
richiamo
etico
e
bioetico
in
specie
alla
natura
e
alla
legge
naturale.
NATURA
E
VITA
Natura
e
vita
sono
termini
correlativi.
La
natura
abbraccia
la
vita
ed
ha
nella
vita
la
sua
manifestazione
nobile
e
pi
insigne.
La
vita,
a
sua
volta,
comprensibile
nell'orizzonte
di
senso
128
della
natura[2].
Senza
questo
costitutivo
richiamo
alla
natura,
essa
tende
a
perdere
ogni
elemento
di
significazione
e
differenziazione
ed
ogni
valenza
immutabile
e
perenne.
Diventa
un
elemento
della
cultura,
relativo
al
fluttuare
delle
opinioni,
delle
sensibilit
e
delle
ideologie.
Senza
relazione
all'ontologia,
vale
a
dire
all'essenza
cio
all'essere
(essenza
da
esse)
che
la
sostanzia
e
che
la
natura
esprime,
la
vita
diventa
una
variabile
relativa
a
tutto
e
a
tutti.
Cos
perdiamo
un
senso
unitario
e
condiviso
di
questo
bene
basilare
e
primario.
Ciascuno
se
ne
modella
il
proprio.
Il
che
sintomo
di
un
regresso,
perch
discordare
sulla
vita
allontana
le
coscienze,
impedendo
la
condivisione,
la
comunicazione
e
la
reciprocit.
Per
quanto
il
concetto
di
natura
possa
passare
per
il
vaglio
della
critica,
come
avvenuto
nel
nostro
tempo,
non
possiamo
prescindere
da
essa
e
relegarla
all'archeologia
semantica,
quasi
una
nozione
d'altri
tempi.
Perdere
il
riferimento
alla
natura
smarrire
l'habitat
ermeneutico
della
vita
ed
esporla
a
tutte
le
espropriazioni
e
ideazioni
di
senso.
Porsi
nel
contesto
e
nell'alveo
veritativo
della
natura
significa
accostare
e
comprendere
la
vita
attraverso
una
fenomenologia
di
penetrazione
del
dato
ossia
di
lettura
meta-fisica,
in
grado
di
doppiare
l'evento
sperimentale
e
descrittivo,
attraverso
un
conoscere
di
senso
e
di
valore.
In
tal
modo
la
vita
che
sottost
a
tutti
gli
esseri
viventi
assume
rilievo.
L'unica
vita,
che
fa
di
un
essere
un
vivente,
si
diversifica
secondo
lo
statuto
ontologico
di
ciascuno.
La
natura
la
via
all'essere
e
perci
alla
verit
originaria
e
specifica
delle
"specie"
viventi.
Non
basta
un
approccio
empirico
e
descrittivo.
Questo
coglie
gli
elementi
sperimentali
e
superficiali:
importanti
e
indispensabili
in
ordine
a
un
sapere
scientifico
e
tecnico,
ma
insufficienti
e
inadeguati
a
percepire
la
sostanza
e
il
valore.
Per
questi
occorre
un'intelligenza
meta-empirica,
in
grado
di
penetrare
il
dato
(l'empiria)
e
cogliere
la
natura
(la
physis),
l'essenza
di
ogni
vivente,
e
affermarne
la
dignit
secondo
la
specie.
Questo
oggi
va
detto
in
modo
esplicito
e
convinto.
Perch
la
dittatura
del
sapere
empirico
e
l'antimetafisica
del
pensiero
dominante
sbarrano
le
porte
ad
ogni
intelligenza
in
termini
di
natura,
sbilanciando
sulla
cultura
ogni
discorso
concernente
il
significato,
la
dignit
e
il
valore.
Con
il
risultato
di
un
generale
appiattimento
delle
forme
di
vita,
delle
cui
sporgenze
di
senso
e
di
valore
decide
autonomamente
e
arbitrariamente
l'uomo:
questi
diventa
il
padrone
e
l'arbitro
della
vita.
Non
pu
essere
diversamente
quando
la
vita
svuotata
d'ogni
oggettivit
e
relativizzata
all'opinare
dei
soggetti.
Si
produce
cos
lo
scivolamento
dalla
natura
alla
cultura.
Questa
"fatta"
dall'uomo,
perci
relativa
all'uomo:
soggetta
alle
sue
sensibilit
e
disponibilit.
La
natura
invece
"fatta"
prima,
da
una
sapienza
creatrice
che
chiama
l'uomo
all'ascolto
contemplativo
e
conoscitivo[3].
Non
si
tratta
di
contrapporre
natura
a
cultura,
ma
di
arginare
la
deriva
culturale
cui
sottoposta
oggi
la
"verit
della
vita"
e
di
suffragare
le
debite
istanze
culturali
cui
la
vita
non
pu
essere
sottratta.
Senza
dubbio
nel
passato
la
riflessione
sulla
vita
ha
conosciuto
uno
sbilanciamento
sul
versante
della
natura,
con
scarsa
attenzione
ai
risvolti
culturali.
La
metodologia
era
pressoch
deduttivistica,
potendo
disporre
di
assai
pochi
e
spesso
incompleti
e
inadeguati
contributi
scientifici
e
fenomenici.
La
riflessione
risentiva
dell'astrattezza
di
un
discorso
in
termini
di
essenze,
sostanze
e
accidenti.
Ma
il
congedo
dalla
natura,
a
beneficio
di
un
metodo
esclusivamente
induttivo
della
verit
e
della
dignit
della
vita,
la
priva
di
referenti
valoriali,
abbandonandola
alla
congerie
di
aporie
in
cui
s'impiglia
oggi
il
discorso
sulla
vita
o
alla
pochezza
e
indifferenza
di
senso
con
cui
da
molti
considerata.
La
vita
trae
significato
e
valore
dalla
natura,
ma
trova
forma
concreta
e
storica
nella
cultura,
in
cui
di
volta
in
volta
e
di
contesto
in
contesto
fa
risplendere
o
adombra
il
suo
valore.
La
cultura
un
habitat
di
presupposti,
opinioni
e
disposizioni
che
lo
sviluppo
scientifico,
da
una
parte,
e
la
comunicazione
mass-mediale,
dall'altra,
vanno
ispessendo
e
globalizzando.
Dalla
qualit
della
cultura
dipende
in
buona
parte
la
permeabilit
della
natura
alle
coscienze.
La
verit
della
natura
senza
la
mediazione
della
cultura
viene
a
mancare,
oggi
specialmente,
del
supporto
immediato
e
pervasivo
di
comunicazione.
Per
129
questo
il
risvolto
e
il
tramite
culturale
non
solo
non
pu
essere
trascurato
ed
eluso,
ma
dev'essere
acquisito
alla
coscienza
e
alla
responsabilit
di
ogni
riflessione
e
amore
per
la
vita.
LA
VITA
UMANA
Abbiamo
fin
qui
parlato
della
vita
tout
court,
in
riferimento
alla
natura
che
la
significa.
Ma
proprio
la
natura
a
stagliarne
e
differenziarne
le
forme,
a
farne
risaltare
la
forma
eminente
e
singolare:
quella
umana.
E'
nell'umano
che
la
vita
raggiunge
ed
esprime
la
dignit
e
il
valore
pi
elevato,
ma
di
una
elevazione
trascendente
a
motivo
di
una
discontinuit
o
disomogeneit
rispetto
ad
altre
forme
di
vita
La
vita
vegetale
e
quella
animale
appartengono
al
mondo
degli
elementi,
ovvero
degli
esseri
predeterminati,
la
cui
vita
interamente
segnata
e
preordinata
dalla
natura.
Questa,
attraverso
un
complesso
di
induzioni
e
reazioni
vegetative
(nelle
piante)
e
psico-fisiche
(negli
animali),
presiede
all'attivit
e
al
ciclo
vitale
di
ciascun
organismo.
Le
stesse
pulsioni,
istinti,
sensazioni
e
sentimenti
negli
animali
rispondono
a
tale
predeterminazione.
A
differenza
della
vita
umana,
la
quale
s'eleva
con
lo
spirito
sulle
forme
pre-umane
di
vita.
Dire
spirito
dire
libert,
mediante
cui
il
vivente
umano
in
grado
di
assumere
la
propria
vita
(e
la
realt
animata
e
inanimata
che
lo
circonda),
di
indirizzarla
e
progettarla.
Egli
la
comprende
con
l'intelligenza
e
decide
di
essa
con
la
volont:
le
due
facolt
spirituali
che
strutturano
la
libert.
Con
lo
spirito
il
vivente
umano
sporge
su
ogni
altro
vivente.
La
sua
vita
al
vertice
della
gerarchia
dei
viventi,
perch
non
interamente
predeterminata
dalla
natura
ma
da
questa
"posta
nelle
sue
mani":
egli
soggetto
di
determinazione.
Che
anzi
dell'individuo
umano
solamente
si
pu
dire
che
vive
davvero,
perch
soggetto
della
propria
vita:
egli
vive,
non
vissuto
dalla
vita.
Il
suo
spirito
il
principio
attivo
della
propria
vita.
Gli
animali
senza
lo
spirito
magis
aguntur
quam
agunt,
perch
determinati
e
indotti
dalla
loro
natura.
Gl'individui
umani
invece
dalla
natura
sono
costituiti
soggetti
attivi
della
propria
vita[4].
E'
la
natura
il
principio
enunciativo
primo
e
perenne
della
vita
umana
e
della
sua
verit,
perch
rivelativo
dell'essenza,
della
qualit
sostanziale
e
perci
caratterizzante
e
immutabile.
Senza
questo
ancoraggio
logico
ed
epistemologico
alla
natura,
la
vita
umana
in
balia
delle
ideologie
di
turno
e
delle
opinioni
dominanti.
Non
potendo
far
valere
una
verit
assiale
ossia
sostanziale,
cui
articolare
ogni
concrezione
e
risvolto
culturale,
la
vita
umana
subisce
gli
sbilanciamenti
delle
tendenze
e
delle
preferenze
socio-culturali.
Essa
compresa
e
definita
a
partire
da
queste,
piuttosto
che
dall'ontologia
qualificativa
del
vivere
umano.
Nella
disaffezione
e
nella
disabitudine
delle
intelligenze
al
conoscere
metafisico,
in
grado
di
raggiungere
la
verit
trascendentale,
si
mantiene
un
profilo
conoscitivo
pi
modesto
e
debole,
di
tipo
descrittivo,
determinato
da
criteri
di
efficacia,
convenienza
e
soddisfazione[5].
Allora
si
fa
strada
una
concezione
indifferenziata
della
vita,
incapace
di
cogliere
e
salvaguardare
il
valore
e
la
dignit
singolari
della
vita
umana,
rispetto
ad
altri
viventi.
Al
punto
di
equiparare
la
vita
animale
o
di
talune
specie
animali
alla
vita
umana
o
da
disconoscere
la
dignit
umana
della
vita
in
determinati
stadi
del
suo
sviluppo
o
condizioni
del
suo
essere
al
mondo.
QUALE
NATURA?
Natura
termine
che
si
venuto
caricando
di
una
pluralit
di
significati,
cos
da
essere
preso
e
adoperato
con
accezioni
diverse
e
non
previamente
chiarite
e
condivise
nell'ampio
dibattito
che
si
acceso
intorno
ad
essa
in
epoca
contemporanea.
Il
che
fonte
di
non
pochi
equivoci
e
incomprensioni.
La
presa
di
distanza
e
l'abbandono
della
natura
come
fonte
del
conoscere
in
buona
parte
da
attribuire
al
malinteso
concettuale.
Cui
si
abbondantemente
prestato
-
come
abbiamo
rilevato
-
un
uso
astrattivo
ed
essenzialistico,
vale
a
dire
astorico
e
disincarnato
del
130
concetto
di
natura
da
parte
dei
suoi
tradizionali
fruitori:
un
concetto
assai
pi
speculativo
che
significativo,
come
tale
alieno
dalle
frequentazioni
conoscitive
dell'uomo
pratico
e
concreto
di
oggi.
Sostanzialmente
la
nozione
di
natura
ha
subito
due
radicali
sbilanciamenti
o
riduzioni.
Il
primo
di
tipo
spiritualistico,
tendente
a
concepirla
come
un
ordine
di
essenze
astratte,
incapace
di
cogliere
appieno
e
dar
conto
della
concretezza
esistenziale,
individuale,
corporea,
sociale,
storica
e
cosmica
del
vivere
umano
(come
anche
del
disegno
storico-salvifico
del
Dio
biblico
e
dell'evento
cristologico).
Cos
da
comprendere
e
accreditare
l'uomo
e
la
sua
vita
secondo
una
concezione
sbilanciata
sulle
dimensioni
e
facolt
spirituali.
La
natura
dell'uomo
coinciderebbe
essenzialmente
con
l'anima.
Il
secondo
sbilanciamento
e
riduzione
di
tipo
fisicistico,
in
senso
sia
cosmologico
che
biologico.
Nel
primo
senso
la
natura
coincide
con
ci
che
chiamiamo
il
creato,
il
quale
abbraccia
tutto
il
mondo
infraumano
dell'universo
inanimato,
vegetale
e
animale.
Verso
questa
accezione
e
forma
della
natura
c'
oggi
una
sensibile
e
crescente
attenzione,
propagata
e
acuita
dalla
questione
ecologica:
dal
bisogno
di
salvaguardare
le
risorse
e
gli
equilibri
ecosistemici
dall'accresciuto
e
progressivo
potere
di
sfruttamento
dell'uomo.
E'
questo
il
senso
e
l'ambito
che
il
termine
natura
evoca
generalmente
e
immediatamente
nell'immaginario
collettivo:
natura
come
mondo
allo
stato
brado
e
spontaneo,
non
sfruttato
e
contaminato,
e
perci
come
contesto
di
vita
per
l'uomo.
Nel
secondo
senso
la
natura
viene
a
coincidere
con
la
vita
fisica
dell'uomo,
vale
a
dire
con
le
espressioni
corporee
del
vivere
umano,
cos
che
naturale
ci
che
conforme
alla
composizione
anatomica
o
alla
dinamica
fisiologica
dell'organismo
umano.
Esso
si
oppone
ad
artificiale:
ci
che
supplisce,
integra
o
sostituisce
un
organo
o
una
funzione
biologica.
Cos,
per
esempio,
naturale
il
parto
fisiologico,
l'allattamento
al
seno,
la
dieta
alimentare,
l'astensione
dai
rapporti
sessuali
nei
periodi
genesiaci
come
metodo
di
regolazione
della
fertilit;
artificiale
il
parto
cesareo,
l'allattamento
con
latte
confezionato,
la
dieta
farmacologica,
il
ricorso
ai
mezzi
contraccettivi[6].
Queste
sono
concezioni
parziali
e
unilaterali
e
perci
inadeguate
ad
esprimere
la
ricchezza
profonda
e
pregnante
della
natura
in
genere
e
della
natura
umana
che
ne
il
fulcro
e
la
cifra
di
significazione.
La
natura
esprime
il
dato
reale
e
veritativo
originale
e
primario
dell'esistenza.
Cos
che
alla
sua
luce
noi
comprendiamo
l'essenza
degli
esistenti,
conosciamo
cio
la
verit
costitutiva
di
tutto
ci
che
:
la
verit
dell'essere
(ontologica)
e
del
valore
(assiologica)
e
delle
relazioni
fra
gli
esseri.
Conoscere
la
natura
portarsi
alle
radici,
alle
manifestazioni
native
della
verit.
Per
la
via
dell'autocoscienza
del
conoscente,
che
s'interroga
sull'essenza
del
proprio
essere:
chi
sono
io?
E'
da
questa
autocoscienza
e
dal
conoscere,
che
essa
instaura
ed
espande,
che
emerge
il
senso
personale
della
natura:
natura
come
persona.
La
natura
affiora
alla
coscienza
come
percezione
della
centralit
e
interezza
del
soggetto
conoscente,
e
delle
relazioni
che
lo
rapportano
a
tutti
gli
altri
esseri.
E'
quanto
esprime
il
concetto
di
persona,
che
comprende
e
integra
tutto
questo.
Non
si
tratta
di
una
natura
astratta
e
disincarnata
e
neppure
cosmologica
e
fisica
in
senso
riduttivo,
ma
della
natura
della
persona
(personalistica):
unitotalit
individuale
di
spirito
e
corpo,
in
relazione
creaturale
e
salvifica
a
Dio,
in
rapporto
amicale
e
sociale
con
gli
altri
soggetti
umani,
in
solidariet
con
il
mondo
e
con
la
storia.
Espressione,
questa,
di
una
concezione
globale
della
natura,
integratrice
di
tutte
le
componenti
e
le
relazioni
dell'essere
umano.
Essa
compresa
a
partire
dal
soggetto
umano
e
dalle
sue
relazioni,
secondo
cui
prendono
senso
e
valore
gli
esistenti
e
i
legami
tra
essi[7].
La
verit
che
ne
emerge
-
la
verit
della
natura
-
non
una
verit
derivata,
un
"prodotto"
dell'uomo:
il
"risultato"
di
una
elaborazione
mentale
o
culturale.
E'
la
verit
costitutiva
degli
esseri
e
dei
loro
legami.
Verit
essenziale
e
decisiva
e
perci
ineludibile
e
inalterabile:
da
essa
non
si
pu
prescindere
e
non
soggetta
all'arbitrio
dell'uomo.
Nei
suoi
confronti
l'uomo
non
ha
un
potere
manipolatore.
Si
dispone
piuttosto
in
atteggiamento
di
ascolto,
riconoscimento
e
fedelt.
131
Perch
la
natura
non
disegno
del
suo
ingegno
e
opera
delle
sue
mani.
La
natura
presupposto
e
principio
primo:
"ci
a
partire
da
cui"
la
mente
umana
argomenta
ed
elabora
e
le
mani
dell'uomo
trasformano
e
plasmano.
Prescindere
dalla
natura
attribuirsi
un
potere
creatore
della
verit
che
l'uomo
non
ha.
Tutte
le
volte
che
lo
fa
imbocca
sempre
una
via
umanamente
perdente
e
deludente.
DIO
E
LA
NATURA
La
verit
della
natura
appartiene
al
Creatore,
che
l'ha
pensata
e
l'ha
posta
in
essere,
e
ha
dato
all'uomo
l'intelligenza
per
conoscerla
e
la
volont
per
farsene
carico.
La
natura
di
soggetto
dell'uomo
in
questo
suo
essere
non
semplicemente
parte
della
natura
ma
sporgente
con
il
suo
spirito
su
di
essa,
per
comprenderla
e
assumerla.
In
questo
l'uomo
riflette
la
dignit
personale
(
"ad
immagine",
dice
la
Bibbia)
di
Dio.
Conoscendo
la
natura
l'uomo
ravvisa
il
progetto
creatore
divino
e
prendendola
in
carico
continua
l'azione
creatrice
di
Dio.
E'
con-soggetto
del
progetto
e
dell'opera
creatrice
di
Dio.
Il
che
consapevolezza
esplicita
e
riflessa
nel
credente,
implicita
e
irriflessa
nel
non
credente.
Mettersi
in
ascolto
attento
e
rispettoso
della
natura
ha
un
significato
non
solo
conoscitivo
ma
anche
religioso.
Ha
valenza
pi
che
noetica:
ha
valenza
teologale.
L'attenzione
e
fedelt
alla
natura
sempre
attenzione
e
fedelt
a
Dio.
La
via
della
natura
via
a
Dio:
via
ecumenica,
per
tutti.
Attraverso
la
natura
Dio
si
rivela
e
parla
all'intelligenza
di
ogni
uomo
ed
ogni
uomo
risponde
a
Dio.
NATURA
E
LEGGE
NATURA
La
verit
della
natura
non
solo
diretta
all'intelligenza
concettuale,
rivolta
anche
alla
ragione
pratica.
Essa
infatti
portatrice
di
significati
non
solo
teoretici,
ma
anche
etici:
significati
non
meramente
concettuali,
espressioni
delle
essenze,
ma
anche
pratici,
espressioni
delle
esigenze.
In
genere
dalla
verit
interna
agli
enti,
ai
loro
dinamismi
e
ai
loro
nessi,
la
conoscenza
deriva
un
sapere
non
solo
scientifico
ma
anche
operativo.
Questa
legge
(metodologia)
del
sapere.
Ora
l'operativit
concerne
non
solo
il
fare
empirico
e
produttivo
ma
anche
l'agire
morale
e
realizzativo
delle
persone.
Il
primo
sotto
l'istanza
del
sapere
poietico,
proprio
del
conoscere
fisico.
Il
secondo
sotto
l'istanza
del
sapere
etico,
proprio
del
conoscere
meta-fisico.
Il
sapere
poietico
deriva
leggi
tecniche
di
funzionamento
e
produzione
dai
dati
delle
scienze
empiriche
o
positive.
Il
sapere
etico
deriva
norme
morali
di
comportamento
e
azione
dai
significati
delle
scienze
meta-empiriche
o
filosofiche.
Tali
significati
hanno
valenza
non
solo
di
verit
(verum)
ma
anche
di
bene
(bonum),
nonch
di
bello
(pulchrum).
Una
fenomenologia
della
persona
-
nella
integralit
del
suo
essere
individuale
(in
s),
creaturale
e
trascendente
(da
e
per
Dio),
relazionale
e
sociale
(con
gli
altri),
cosmico
e
storico
(nel
mondo
e
nella
storia)
-
mette
in
luce
una
pluralit
di
beni,
in
cui
si
rifrange
e
da
cui
costellato
il
bene
centrale
della
persona.
In
essi
la
persona
si
esprime
e
attraverso
essi
si
compie[8].
Il
che
equivale
a
dire
che
convengono
in
modo
originario
e
finalizzante
alla
persona:
appartengono
alla
sua
identit
e
alla
sua
realizzazione.
In
essi
prende
forma
primaria
la
natura
della
persona[9].
Cos
abbiamo
il
bene,
per
esempio,
della
vita
fisica,
dell'integrit
corporea,
della
sessualit,
della
libert,
del
lavoro,
del
diritto,
dell'amicizia,
del
matrimonio,
della
famiglia,
della
societ,
della
politica,
della
preghiera,
della
fede,
della
cultura,
dell'ambiente...
Tali
beni
sono
anzitutto
ontici,
nel
senso
che
rispecchiano
l'essere
della
persona:
ci
in
cui
esso
prende
forma
sotto
un
aspetto
particolare.
La
morale
classica
li
chiama
beni
fisici:
elementi,
qualit,
requisiti,
inclinazioni
attinenti
alla
persona.
La
loro
carenza
un
male
ontico,
132
133
134
LEGGE
NATURALE
E
DIFESA
DELLA
VITA
Sullo
sfondo
della
natura
si
staglia
e
delinea
la
verit,
il
valore
e
la
legge
della
vita.
La
natura
costituisce
il
background
di
senso
veritativo
e
normativo
della
vita
umana.
Su
di
esso
noi
comprendiamo
i
doveri
che
il
bene
della
vita
comporta
in
ordine
alla
sua
tutela
e
promozione
e
nel
contempo
i
limiti
della
sua
difesa.
Senza
questo
referente
razionale
e
universale
della
natura,
la
vita
umana
esposta
a
criteri
valutativi
volubili
e
arbitrari.
Essa
non
risponde
pi
alla
sua
valenza
oggettiva
ma
a
precomprensioni
soggettive
e
a
sensibilit
culturali
cangianti,
alla
merc
di
poteri
forti,
manipolatori
dell'opinione
pubblica
e
della
legalit
democratica.
Nonostante
tutto
la
vita
umana
un
bene
oggettivo
e
avanza
esigenze
oggettive
di
rispetto.
Questa
oggettivit
configurata
e
garantita
dalla
natura
e
dalla
legge
naturale[24].
LEGGE
NATURALE
E
BIOETICA
In
relazione
alla
vita
il
logos,
l'axios
e
il
deon
espressi
dalla
natura
hanno
nel
bios
un
basilare
campo
di
inveramento.
Non
si
pu
comprendere
la
vita
umana
e
gli
obblighi
che
essa
crea
a
prescindere
dalla
corporeit
biologica.
Questa
portatrice
di
elementi
veritativi
decisivi
per
conoscere
lo
statuto
ontologico
ed
etico
della
vita
umana.
Perch
il
corpo
manifestazione
dello
spirito
e
componente
coessenziale
del
vivere
umano.
Nel
bios
corporeo
prende
forma
visibile
la
vita
della
persona.
Cos
che
la
natura
corporea
della
persona
ha
valenza
pi
che
biologica:
ha
"significato
morale"[25].
Ci
che
il
corpo
rivela
nella
sua
struttura
organica
come
nelle
sue
dinamiche
fisiologiche
non
eticamente
indifferente
ma
significativo:
rilevante
in
ordine
alle
esigenze
di
rispetto,
tutela
e
promozione
della
vita
umana
come
anche
alla
cessazione
di
queste
esigenze[26].
Ci
sta
a
dire
che
la
conoscenza
e
la
determinazione
della
legge
naturale
nel
campo
della
vita
esige
e
s'avvale
della
razionalit
biologica.
E'
questa,
per
esempio,
a
dirci
quando
incomincia
la
vita
individuale
umana
e
quando
invece
essa
finisce,
al
fine
di
precisare
il
momento
iniziale
e
terminale
dei
nostri
obblighi,
delle
cure
cio
ad
essa
dovute.
Gli
apporti
delle
scienze
biologiche
e
mediche,
e
i
loro
sviluppi
sono
importanti
per
una
migliore
e
pi
precisa
comprensione
e
determinazione
della
legge
morale
naturale
nel
campo
della
vita.
Il
nomos
che
la
legge
naturale
esprime
in
questo
campo,
il
complesso
cio
delle
norme
a
tutela
della
vita
fisica
e
che
oggi
va
sotto
il
nome
di
bioetica,
ha
in
s
e
non
pu
non
avere
una
sua
intrinseca
ragionevolezza.
Insegnato
dalla
Chiesa,
non
ha
nulla
di
dogmatico,
perch
essa
lo
attinge
al
conoscere
biologico
e
meta-biologico,
frutto
dell'intelligenza
verificatrice
e
interpretativa,
empirica
e
valutativa,
come
tale
comunicabile
e
condivisibile
da
ogni
uomo,
indipendentemente
dal
credo
religioso.
Ovviamente
la
Chiesa
non
prescinde
dalla
fede,
dall'intellectus
fidei
del
vangelo.
Essa
annuncia
il
"vangelo
della
vita",
principio
fontale
e
ispiratore
del
messaggio
bioetico
della
Chiesa.
Ma
lo
fa
nell'esplicita
e
dichiarata
persuasione
del
suo
intrinseco
e
profondo
significato
antropologico,
vale
a
dire
umano
e
umanizzante
e
perci
razionalmente
pervio
ad
ogni
intelligenza[27].
La
dignit
e
il
destino
soprannaturale
della
vita
umana
presuppone
e
porta
a
pienezza
di
senso
e
di
valore
tutto
il
significato
naturale[28].
Per
la
Chiesa,
la
natura
fonte
di
verit
come
la
rivelazione;
e
la
ragione
via
conoscitiva
in
sinergia
con
la
fede.
Cos
da
annunciare
il
"vangelo
della
vita"
sulla
lunghezza
d'onda
della
legge
naturale,
vale
a
dire
del
progetto
creatore
di
Dio
iscritto
nella
natura
e
intelligibile
da
ogni
uomo[29].
"Non
si
tratta
-
precisa
allora
Giovanni
Paolo
II
-
di
imporre
ai
non
credenti
una
prospettiva
di
fede,
ma
di
interpretare
e
difendere
i
valori
radicati
nella
natura
stessa
dell'essere
umano"[30].
Questo
lo
ribadiamo
per
smentire
il
pregiudizio
laicista
secondo
cui
l'insegnamento
bioetico
della
Chiesa
e
della
teologia
non
pu
che
essere
confessionale
e
dogmatico,
chiudendosi
cos
135
136
137
138
semplicismo
di
un'assiologia
incurante
del
vissuto
e
l'opportunismo
di
una
prassi
aliena
dai
principi.
L'etica
la
scienza
della
mediazionedella
coscienza
trascendentale
e
ideale
dei
valori
nella
coscienza
categoriale
e
situazionale
dell'agire,
dove
il
principio
si
fa
norma
d'azione
e
la
coscienza
si
fa
giudizio
operativo.
Non
si
tratta
di
distillare
il
valore
e
il
bene
o
di
svigorire
il
principio,
dando
luogo
alla
doppia
etica
della
teoria
e
della
prassi
o
a
un'etica
dell'accomodamento
della
prima
alla
seconda,
consentendo
di
fatto
ci
che
illecito
di
principio.
O
anche
scindendo
un
deontologismo
della
norma
da
un
teleologismo
dell'atto:
il
primo
parametrato
sul
dovere
espresso
dal
valore
e
dal
principio,
il
secondo
sulle
intenzioni
del
soggetto
agente
e
sul
computo
delle
conseguenze
del
suo
atto.
Quest'etica
del
"doppio
binario"
una
morale
dissociata
e
dissociativa
che,
in
presenza
del
limite,
disposta
a
disconoscere
in
concreto
ci
che
riconosce
in
astratto,
cos
da
consentire
di
fatto
il
male
disapprovato
in
teoria
ovvero
da
rinunciare
in
atto
al
bene
asserito
in
principio.
Ovviamente
parliamo
del
bene
e
del
male
morale,
che
l'etica
non
consente
di
disconoscere
(il
primo)
e
di
compiere
(il
secondo).
Disconoscere
il
bene
morale
e
compiere
il
male
morale
sempre
unpeccato
che
la
morale
non
permette
mai:
non
si
pu
peccare
moralmente.
Questo
non
significa
che
la
morale
si
disinteressi
di
beni
e
mali
fisici.
Anche
di
questi
essa
si
fa
carico,
cercando
di
tutelare,
promuovere
e
massimizzare
i
primi
e
di
prevenire,
fugare
e
debellare
i
secondi.
Che
anzi
per
essa
un
male
fisico
e
un
bene
fisico,
in
ordine
agli
obblighi
che
avanzano
e
suscitano,
non
hanno
valenza
meramente
fisica
ma
assumono
gi
valore
morale:
sono
un
male
morale
da
evitare
o
un
bene
morale
da
compiere.
In
quanto
per
un
male
soltanto
fisico
la
morale
pu
permetterlo
o
tollerarlo.
Se
essa
tenuta
a
evitare
e
proibire
ogni
male
morale,
non
altrettanto
pu
dirsi
del
male
fisico.
Sicch
mentre
sempre
illecito
compiere
il
male
morale,
pu
essere
lecito
permettere
il
male
fisico.
Riguardo
alla
vita,
il
valore
morale
compete
alla
persona,
da
cui
il
corpo
lo
deriva.
Questo
non
lo
in
se
stesso,
nella
sua
valenza
biologica,
ma
in
quanto
lo
riceve
dalla
persona.
"Cos
-
leggiamo
nell'enciclica
Veritatis
splendor
-
la
vita
umana,
pur
essendo
un
bene
fondamentale
dell'uomo,
acquista
un
significato
morale
in
riferimento
al
bene
della
persona
che
deve
essere
rispettata
per
se
stessa"[40].
A
significare
questo
la
ragione:
"Alla
luce
della
dignit
della
persona
umana
-
da
affermarsi
per
se
stessa
-
la
ragione
coglie
il
valore
morale
specifico
di
alcuni
beni,
cui
la
persona
naturalmente
inclinata"[41].
Primo
fra
tutti
quello
della
vita
fisica.
Cos,
"ad
esempio,
l'origine
e
il
fondamento
del
dovere
di
rispettare
assolutamente
la
vita
umana
sono
da
trovare
nella
dignit
propria
della
persona
e
non
semplicemente
nell'inclinazione
naturale
a
conservare
la
propria
vita"[42].
Per
questo
la
salvaguardia
della
vita
fisica
non
un
dovere
ineccepibile
e
la
sua
privazione
o
menomazione
non
sempre
una
colpa.
Ma
solo
in
quanto
riflette
il
valore
della
persona:
"solo
in
riferimento
alla
persona
umana...
si
pu
leggere
il
significato
specificamente
umano
del
corpo".
Motivo
per
cui
-
l'esempio
fatto
dall'enciclica
-
"mentre
sempre
moralmente
illecito
uccidere
un
essere
umano
innocente,
pu
essere
lecito,
lodevole
o
persino
doveroso
(cf
Gv
15,13)
dare
la
propria
vita
per
amore
del
prossimo
o
per
testimonianza
verso
la
verit"[43].
La
vita
nella
sua
fisicit
non
basta
da
sola
a
identificare
la
persona
e
perci
a
configurare
il
bene
morale
della
vita.
Questa
concerne
la
persona,
di
cui
la
corporeit
fisica
componente
essenziale
ma
non
esaustiva:
"la
vita
del
corpo
nella
sua
condizione
terrena
non
un
assoluto"[44],
non
totalizza
cio
la
vita
della
persona.
La
non-coincidenza
della
vita
con
la
sua
fisicit
sta
a
significare
la
non-coincidenza
o,
piuttosto,
la
coincidenza
relativa
e
non
assoluta
del
male
fisico
inferto
alla
vita
col
male
morale.
Come
tale
la
difesa
della
vita
fisica
condizionabile.
Se
la
vita
corporea
e
la
sua
integrit
biologica
costituissero
comunque
e
sempre
un
bene
morale
non
vi
sarebbe
limite
alla
loro
difesa.
E'
il
darsi
della
vita
corporea
come
bene
fisico
(non
ancora
morale)
e
la
sua
manipolazione
e
la
sua
perdita
come
male
fisico
(non
morale)
a
porre
la
condizione
di
139
limite
della
sua
difesa:
limite
eticamente
accettabile
e
sostenibile.
Perch
in
tal
caso
non
difendere
la
vita
ad
ogni
modo
o
compiere
una
manipolazione
o
costrizione
non
costituisce
un
male
morale.
Semplicemente
si
tollera
un
male
fisico
inevitabile
(o
non
si
consegue
un
bene
fisico).
Da
questa
basilare
distinzione
sono
informati
alcuni
principi
orientativi
dell'agire
determinato
e
concreto.
Essi
mirano
a
precisare
le
condizioni
di
difendibilit
della
vita
umana,
sottraendole
all'arbitrio
dei
soggetti
e
consentendo
di
affrontare
e
risolvere
la
situazione
e
il
caso
particolare
-
in
ci
che
presentano
di
singolare,
complesso,
conflittuale,
limitato
-
senza
n
l'angoscia
del
dubbio
n
deroghe
agli
obblighi
espressi
dal
bene
e
dal
comandamento.
Essi
non
fanno
che
comporre
ed
esprimere
in
sintesi
applicativa
presupposti,
esigenze
e
condizioni
di
morale
fondamentale.
Questa
insegna
che
alla
moralit
di
un
atto
concorrono
tre
elementi
(oggetto,
circostanze
e
intenzione)
e
due
condizioni
(conoscenza
e
volont).
Gli
elementi
designano
la
moralit
sotto
il
profilo
della
bont
o
della
malizia
e
perci
della
liceit
o
illiceit.
Le
condizioni
invece
sotto
il
profilo
della
rilevanza
etica
o
meno
e
perci
del
carattere
morale
o
pre-
morale.
Relativamente
agli
elementi,
il
primo
a
decidere
la
bont
o
la
malizia
l'oggetto
proprio
(il
finis
operis)
dell'atto[45]:
se
questo
un
bene
morale
l'atto
buono,
se
un
male
morale
l'atto
cattivo.
In
forma
subordinata
e
integrativa
concorrono
le
circostanze
in
cui
un
atto
posto
e
le
intenzioni
(il
finis
operantis)
del
soggetto
che
lo
pone.
Queste
incidono
sulla
bont
oggettiva
aumentandola,
diminuendola
o
cambiandola
in
male.
Incidono
invece
sulla
malizia
oggettiva
aumentandola
o
diminuendola
ma
non
cambiandola
in
bene.
Per
questo
in
presenza
di
un
atto
il
cui
oggetto
comunque
e
sempre
un
male
morale
(intrinsece
malum),
circostanze
favorevoli
e
intenzioni
buone
non
valgono
a
legittimarlo
moralmente:
a
cambiarlo
da
cattivo
in
buono[46].
Si
danno
per
circostanze
non
accidentali
ma
sostanziali,
in
quanto
incidono
sull'oggetto
dell'atto
in
modo
da
mutarne
la
specie
(circumstantiae
mutantes
speciem)
ossia
la
qualit
intrinseca,
l'essenza
specifica.
In
tal
caso
la
qualit
morale
dell'oggetto
va
considerata
indivisibilmente
dalla
circostanza,
nella
determinazione
della
moralit
dell'atto.
Relativamente
poi
alle
condizioni
di
moralit,
alla
rilevanza
etica
di
un
atto
concorrono
insieme
la
conoscenza
attenta
del
suo
significato
(fisico
e
morale)
e
la
volont
libera
da
coazioni
e
condizionamenti.
Cos
che
eticamente
rilevante
pu
dirsi
l'atto
conosciuto
e
voluto,
in
una
parola
l'atto
volontario.
L'atto
involontario
invece,
per
deficit
di
conoscenza
e/o
di
volont,
da
considerarsi
eticamente
irrilevante:
un
atto
pre-morale.
Sotto
il
profilo
degli
effetti
o
conseguenze,
da
considerarsi
eticamente
irrilevante
e
perci
pre-morale
l'atto
volontario
indiretto:
l'atto
a
doppio
effetto,
il
cui
effetto
negativo
una
conseguenza
seconda,
prevista
s
ma
non
voluta,
semplicemente
tollerata
come
inevitabile,
dell'effetto
primo
e
buono
che
il
fine
vero
e
proprio
dell'atto.
PRINCIPI
MEDIATORI
Sulla
base
di
questi
richiami
di
morale
fondamentale,
veniamo
all'enunciazione
e
applicazione
nel
campo
della
vita
di
alcuni
principi
da
essi
ispirati
e
motivati.
Principio
di
legittima
difesa
Il
principio
anzitutto
della
legittima
difesa,
il
quale
consente
di
fare
violenza
alla
vita
dell'aggressore
fino
a
sopprimerla,
a
determinate
condizioni[47]:
che
la
violenza
dell'aggressore
sia
in
atto
e
non
in
previsione,
che
si
siano
esperiti
tutti
i
mezzi
non
violenti
di
dissuasione,
che
la
140
141
ditotalit,
secondo
cui
la
parte
per
il
tutto
ed
legittimo
manipolarla
o
sacrificarla
per
il
bene
del
tutto.
Il
che
trova
applicazione
nella
terapia
chirurgica.
L'asportazione
di
un
organo
incurabile
o
la
soppressione
di
una
sua
funzione,
per
le
malattie
che
provoca,
costituisce
un
male
fisico
eticamente
lecito
se
non
anche
doveroso.
Il
bene
del
tutto
d
all'atto
manipolatore
una
finalit
e
un
carattere
terapeutico
e
perci
-
come
abbiamo
visto
-
di
tutela
e
promozione
della
persona
nella
sua
salute.
Diversa
una
manipolazione
arbitraria,
voluttuaria
o
finalizzata
ad
altri
scopi:
questa
configura
un
male
morale,
eticamente
inammissibile.
Il
principio
di
totalit
vale
sul
piano
fisico,
in
ordine
alla
cura
di
una
patologia
su
base
biologica
o
organica.
Non
pu
essere
esteso
alla
cura
di
malattie
psicogeniche
o
di
disagi
psichici
e
spirituali.
Non
si
pu
mutilare
e
invalidare
il
corpo
per
bisogni
e
scopi
ad
esso
alieni.
Pertanto
non
si
pu
invocare
questo
principio
a
legittimazione
della
sterilizzazione
antiprocreativa,
della
chirurgia
transessuale
o
di
certe
pratiche
eccessive
e
ossessive
di
chirurgia
estetica[53].
Principio
di
beneficialit
Un
bene
peculiare
e
distinto
il
beneficio
terapeutico
che
pu
venire
ad
altri
dalla
messa
a
disposizione
della
propria
vita
fisica,
o
dal
dono
di
un
tessuto
o
di
un
organo
del
proprio
corpo.
Il
che
trova
applicazione
nella
ricerca
e
sperimentazione
in
campo
biomedico
e
nella
terapia
dei
trapianti
da
vivente.
C'
qui
un
limite
alla
difesa
della
vita
fisica
e
della
sua
integrit?
Il
bene
che
altri
possono
ricavarne
iscrive
l'atto
in
una
finalit
d'amore.
Questa
per
non
vale
a
legittimare
n
la
soppressione
di
una
vita,
n
una
grave
menomazione
della
sua
integrit
(mutilazione),
n
un
tasso
di
rischio
elevato
per
la
salute,
al
fine
di
salvare
o
curare
altre
vite
Il
principio
di
inviolabilit
e
indisponibilit
non
li
consente.
Evitato
per
il
pericolo
di
violazione
e
di
strumentalizzazione
di
una
vita
a
un'altra,
consentire
a
un
gesto
d'amore
terapeutico
con
la
propria
vita
o
con
parte
di
essa
atto
buono
e
lecito.
Il
che
legittimato
dal
principio
di
beneficialit,
secondo
cui
ci
possibile
alla
duplice
condizione
del
tasso
di
rischio
accettabile
e
dall'assoluta
gratuit
del
gesto.
La
prima
esige
di
non
provocare
un
grave
danno
per
la
salute.
La
seconda
di
improntare
l'atto
al
dono,
escludendo
ogni
forma
di
profitto
e
interesse.
Cos
non
soltanto
la
vita
fisica
non
subisce
offesa,
ma
diventa
"luogo"
singolare
e
"via"
e
privilegiata
dell'amore
che
dona
se
stesso
per
la
vita
del
prossimo[54].
Principio
di
proporzionalit
La
medicina
dispone
di
mezzi
terapeutici.
Il
progresso
biomedico
e
biotecnologico
oggi
li
moltiplica
in
modo
esponenziale.
Ci
sono
limiti
nel
loro
utilizzo?
Si
tenuti
a
ricorrere
a
tutti
i
mezzi
disponibili?
La
rinuncia
contravviene
sempre
al
principio
di
terapeuticit,
configurando
comunque
un
male
morale?
Come
aprirsi
una
strada
tra
l'eutanasia
passiva
(per
omissione
di
cura)
e
l'accanimento
terapeutico
(per
eccedenza
di
cura)?
Come
evitare
un
estremo
senza
cadere
nell'altro?
Prendersi
cura
della
vita
fisica
un
obbligo
morale
enunciato
e
motivato
dal
principio
di
terapeuticit.
Ma
la
relativit
della
vita
fisica
alla
condizione
e
al
decorso
temporale,
chiede
di
accettarne
i
limiti
e
il
limite
ultimo
della
morte.
Questo
vuol
dire
che
doverosa
la
cura
della
malattia,
ma
non
ad
ogni
costo.
Cos
che
possibile
rinunciare
a
cure
particolarmente
onerose
e
dai
risultati
incerti
o
precari.
Il
criterio
per
arbitrare
rettamente
tra
dovere
e
rinuncia
e
pervenire
a
un
sereno
giudizio
in
scienza
e
coscienza
qui
enunciato
dal
principio
di
proporzionalit
nell'uso
dei
mezzi
terapeutici.
Distinguendo
tra
mezzi
proporzionati
e
mezzi
sproporzionati,
esso
afferma
che
ai
primi
si
tenuti
a
ricorrere
sempre,
mentre
ai
secondi
si
pu
e,
per
non
cadere
nell'accanimento
terapeutico,
si
deve
rinunciare.
142
143
al
limite
e
destinata
a
terminare
con
la
morte.
In
quanto
esprime
quel
valore
assoluto,
la
vita
terrena
un
bene
morale
che
avanza
obblighi
intangibili
e
incondizionati
di
difesa
e
di
rispetto.
In
quanto
riflette
la
relativit
della
sua
condizione
fisica
e
temporale,
quegli
obblighi
sono
relativi
a
questa:
la
difesa
del
bene
fisico
della
vita
conosce
dei
limiti.
Cos
da
diventare
lecito
e
a
volte
doveroso
rinunciare
alla
difesa
della
vita
fisica
o
anche
solo
della
sua
integrit.
Tali
limiti
sono
fisici
non
morali.
Perch
il
bene
morale
non
conosce
limiti:
bonum
faciendum.
Il
bene
morale
obbliga.
Non
fare
il
bene
morale
un
peccato
e
una
colpa
che
l'etica
non
pu
mai
legittimare.
Questo
vuol
dire
che
l'etica
non
pu
porre
alcun
limite
morale
alle
esigenze
di
difesa
della
vita
nella
sua
condizione
fisica
e
terrena:
sarebbe
un
male
morale
eticamente
inammissibile
(malum
vitandum).
Pu
e
deve
invece
riscontrare
limiti
fisici
insuperabili,
ammettere
e
accogliere
i
quali
non
implica
un
male
morale,
non
una
colpa;
anzi
pu
essere
moralmente
doveroso.
Dov'
scritto
questo?
Chi
lo
legge?
E'
scritto
nel
grande
libro
della
vita,
impaginato
dal
Creatore
nella
natura.
Ed
letto
dall'intelligenza,
di
cui
il
Creatore
ha
dotato
la
creatura
umana,
per
conoscere
la
verit
e
riconoscere
la
legge.
144
[1]
Cfr
Giovanni
Paolo
II,
Enciclica
Veritatis
splendor
[sig.:
VS],
6
agosto
1993,
n.3.
[2]
Cfr
Giovanni
Paolo
II,
Enciclica
Evangelium
vitae
[sig.;
EV],
25
marzo
1995,
n
2,
57.
[3]
Cfr
VS
n
53.
[4]
Cfr
VS
n
43;
San
Tommaso,
Summa
Theologiae,
I-II,
q.90,
a.4,
ad
1;
Quaestiones
disputatae,
q.
XX,
a.4.
[5]
Cfr
EV
19-20.
[6]
Sulle
differenti
concezioni
della
natura
oggi
cfr
VS
46.
[7]
Cfr
Concilio
Ecumenico
Vaticano
II,
Costituzione
pastorale
sulla
Chiesa
nel
mondo
contemporaneo
Gaudium
et
spes[sig.:
GS
],
n
51;
VS
13.
50.
79.
Per
questa
globalit
di
senso,
a
una
migliore
e
pi
adeguata
comprensione
della
natura
contribuiscono
gli
apporti
veritativi
di
tutte
le
scienze.
[8]
Cfr
VS
13.
[9]
Cfr
VS
79.
[10]
"Alla
luce
della
dignit
della
persona
umana...
la
ragione
coglie
il
valore
morale
specifico
di
alcuni
beni,
cui
la
persona
naturalmente
inclinata...
L'esigenza
morale
originaria
di
amare
e
rispettare
la
persona...,
implica
anche,
intrinsecamente,
il
rispetto
di
alcuni
beni
fondamentali,
senza
del
quale
si
cade
nel
relativismo
e
nell'arbitrio"
(VS
48).
Tali
beni
"acquistano
rilevanza
morale
solo
in
quanto
si
riferiscono
alla
persona
umana
e
alla
sua
realizzazione
autentica,
la
quale
pu
verificarsi
sempre
e
solo
nella
natura
umana"
(VS
50).
[11]
Cfr
VS
13.
79.
[12]
Cfr
VS
79.
[13]
Cfr
Summa
Theologiae,
I,
q.
79,
a.12-13;
I-II,
q.94,
a.1.
[14]
Cfr
VS
51.
53.
[15]
La
legge
naturale
"esprime
la
dignit
della
persona
umana"
(VS
51),
"le
esigenze
assolutamente
irrinunciabili
della
dignit
personale
dell'uomo"
(VS
96),
del
"valore
trascendente
della
persona"
(VS
101),
della
"trascendente
dignit
della
persona
umana"
(VS
99).
"La
legge
naturale
esprime
e
prescrive
le
finalit,
i
diritti
e
i
doveri
che
si
fondano
sulla
natura
corporale
e
spirituale
della
persona
umana"
(Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
Istruzione
sul
rispetto
della
vita
umana
nascente
e
la
dignit
della
procreazione
Donum
vitae,
22
febbraio
1987,
Introd.
3;
cfr
Paolo
VI,
Enciclica
Humanae
vitae,
25
luglio
1968,
10).
[16]
Cfr
VS
12,
42-44.
[17]
Cfr
S.
Tommaso,
Summa
theologica,
I-II,
q.
90,
a.
1-4.
"
La
legge
naturale
altro
non
che
la
luce
dell'intelligenza
infusa
in
noi
da
Dio"
(S.
Tommaso,
In
duo
praecepta
caritatis
et
indecem
legis
praecepta.
Prologus:
Opuscula
theologica,
II,
1129,
ed
Taurinens
1954,
245).
[18]
Legge
"iscritta
nella
natura
razionale
della
persona"
(VS
51);
"legge
della
ragione"
(VS
61).
Cfr
VS
12.
40.
42-43.
72.
79.
[19]
Cfr
Concilio
Ecumenico
Vaticano
II,
Dichiarazione
sulla
libert
religiosa
Dignitatis
humanae,
3;
VS
40-44.
72.
[20]
Cfr
Summa
theologiae
I-II,
q.91,
a.2.
[21]
"La
luce
della
ragione
naturale
con
la
quale
distinguiamo
il
bene
dal
male
-
il
che
competenza
della
legge
naturale
-
non
altro
che
un'impronta
in
noi
della
luce
divina"
(S.
Tommaso,
Summa
theologiae,
I-II
q.
91,
a.2.
Cfr,
ivi
q.
90,
a.
4.
[22]
Cfr
VS
40-41
[23]
Cfr
VS
24.
45
[24]
Cfr
EV
19-20.
[25]
VS
49.
Cfr
VS
48-50.
145
[26]
La
natura
corporea
della
persona
"non
pu
essere
concepita
come
normativit
semplicemente
biologica,
ma
dev'essere
definita
come
l'ordine
razionale
secondo
il
quale
l'uomo
chiamato
dal
Creatore
...
a
usare
e
disporre
del
proprio
corpo"
(VS
50)
[27]
"In
Cristo
annunciato
definitivamente
ed
pienamente
donato
quel
Vangelo
della
vita
che,
...scritto
in
qualche
modo
nel
cuore
di
ogni
uomo
e
donna,
risuona
in
ogni
coscienza
"dal
principio",
ossia
dalla
creazione
stessa,
cos
che...pu
essere
conosciuto
nei
suoi
tratti
essenziali
anche
dalla
ragione
umana"
(EV
29).
Come
tale
"il
Vangelo
della
vita
non
esclusivamente
per
i
credenti:
per
tutti"
(EV
101).
Esso
"ha
un'eco
profonda
e
persuasiva
nel
cuore
di
ogni
persona,
credente
e
anche
non
credente"
(EV
2).
[28]
"Il
Vangelo
della
vita
racchiude
quanto
la
stessa
esperienza
e
ragione
umana
dicono
circa
il
valore
della
vita,
lo
accoglie,
lo
eleva
e
lo
porta
a
compimento"
(EV
30).
[29]
I
cristiani
sono
chiamati
a
"mettere
in
risalto
le
ragioni
antropologiche
che
fondano
e
sostengono
il
rispetto
di
ogni
vita
umana.
In
tal
modo,
mentre
faremo
risplendere
l'originale
novit
del
Vangelo
della
vita,
potremo
aiutare
tutti
a
scoprire,
anche
alla
luce
della
ragione
e
dell'esperienza,
come
il
messaggio
cristiano
illumini
pienamente
l'uomo"
(VS
82).
[30]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
apostolica
Novo
millennio
ineunte,
6
gennaio
2001,
51.
[31]
VS
101.
Cfr
VS
77.
[32]
"Corpore
et
anima
unus"
(GS
14).
Cfr
VS
48-49
[33]
VS
50.
Le
citazioni
interne
al
brano
sono
di
Giovanni
Paolo
II,
Esortazione
apostolica
Familiaris
consortio,
22
novembre
1981,
11.
[34]
GS
24.
[35]
Cfr
EV
5.39-40.
53.
[36]
Cfr
EV
4.
11.
12.
18.
24.
58-67.
[37]
Cfr
EV
9-41.
53.
[38]
Cfr
EV
2.
[39]
Cfr
VS
2.
47.
[40]
VS
50.
[41]
VS
48.
[42]
VS
50.
[43]
Cfr
VS
50.
[44]
EV
47,
Cfr
EV
2.
[45]
Cfr
VS
79.
[46]
Cfr
VS
80-82.
[47]
Cfr
EV
55.
[48]
EV
57.
Cfr
EV
57;
VS
50;
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
Dichiarazione
sull'eutanasia
Iura
et
bona,
5
maggio
1980,
in
AAS
72
(1980)
546.
[49]
"L'uomo
chiamato
a
una
pienezza
di
vita
che
va
ben
oltre
le
dimensioni
della
sua
esistenza
terrena"
(VS
2).
[50]
Cf
EV
2.
[51]
EV
47
[52]
Cfr
EV
47
[53]
Cfr
Pontificio
Consiglio
della
Pastorale
per
gli
Operatori
Sanitari,
Carta
degli
Operatori
Sanitari
[sig.:
COS],
Citt
del
Vaticano
1995,
n.66.
[54]
Cfr
COS
84-85.
90.
[55]
Cfr
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
Dichiarazione
sull'eutanasia
Iura
et
bona,
5
maggio
1980,
in
AAS
72
(1980)
549-551;
COS
64.
65.
120;
EV
65.
[56]
Cfr
Paolo
VI,
Enciclica
Humanae
vitae,
25
luglio
1968,
14.
[57]
Cfr
EV
57.
146
FRANCESCO
D'AGOSTINO
IL
RISPETTO
DELLA
VITA
E
IL
DIRITTO
Trattando
della
vita
alla
stregua
di
un
mero
concetto,
la
filosofia
rispetta
la
propria
vocazione;
nello
stesso
tempo,
per,
dimostrandosi
incapace
di
trattare
tale
concetto
in
modo
adeguato,
manifesta
-se
si
vuole
in
modo
umiliante-
tutti
i
propri
limiti.
Nella
Logica
di
Jena
Hegel
scrive
che
"di
fronte
alla
vita,
il
pensiero...si
dissolve;
per
la
mente
l'onnipresenza
del
semplice
nella
molteplicit
del
sembiante
una
contraddizione
assoluta,
un
mistero
impenetrabile"
(
[1]
).
Anche
se
per
la
scienza
un
termine
come
mistero
semplicemente
insopportabile,
bisogna
riconoscere
che
l'affermazione
hegeliana
non
stata
smentita
nemmeno
dal
trionfo
della
biologia
che
ha
contrassegnato
la
seconda
met
del
Novecento;
essa
ha
fatto
di
tutto
per
farci
perdere
piena
coscienza
della
pregnanza
dell'osservazione
hegeliana,
ma
non
ne
ha
dissolto
la
valenza.
Se
oggi
comunemente
vita
e
vita
biologica
vengono
usati
come
sinonimi,
questo
avviene
ad
onta
del
fatto
che
-come
giustamente
osserva
Sarah
Franklin
(
[2]
)-
quello
della
vita
un
concetto
caratterizzato
da
convinzioni
antiche
e
consolidate
quanto
da
incertezze
recenti
e
vieppi
crescenti:
non
solo
la
determinazione
dell'inizio
e
della
fine
della
vita
diviene
sempre
pi
problematica
(anche
per
i
biologi!),
con
ripercussioni
bioetiche
a
tutti
evidenti,
ma
la
stessa
individuazione
cognitiva
dell'
idea
stessa
di
vita
sembra
ormai
esser
divenuta
evanescente.
L'unico
modo
per
aprire
un
qualsiasi
discorso
sulla
vita,
che
abbia
un
senso
per
il
giurista,
sembra
dover
prendere
le
mosse
da
una
constatazione
antica:
vita
concetto
analogo,
se
vogliamo
ricorrere
al
vecchio
termine
scolastico;
o,
per
dirla
pi
modernamente,
termine
polisemico.
Non
so
se
i
giuristi
siano
pienamente
consapevoli
di
quanto
sia
ormai
divenuto
imbarazzante
continuare
a
usare
in
modo
univoco
il
termine
vita,
ma
ben
certo
che
col
loro
notevole
istinto
hanno
da
tempo
avvertito
la
difficolt.
Nel
Convegno
promosso
a
Roma
dall'Accademia
dei
Lincei
nel
maggio
1982
(che
ha
visto
tra
i
protagonisti
studiosi
del
calibro
di
Santoro
Passarelli,
Falzea,
Oppo,
Pugliese,
Mengoni,
Rescigno,
Trabucchi)
anche
se
purtroppo
non
ci
si
posto
il
problema
essenziale,
quello
del
rilievo
per
i
giuristi
di
una
adeguata
riflessione
epistemologica
sulla
vita,
si
percepita
per
la
necessit
porre
precisi
limiti
di
competenza
al
discorso
giuridico,
decidendo
di
riflettere
esclusivamente
sulla
vita
materiale.
Esemplare,
pur
nella
sua
ingenuit
epistemologica,
l'
actio
finium
regundorum
di
Angelo
Falzea:
"Il
giurista
non
si
occupa
della
vita,
ma
della
vita
dell'uomo...restano
fuori
quadro
le
situazioni
di
non-vita,
ma
anche
le
situazioni
di
non
pi
vita.
Per
altro
verso
sono
escluse
dalla
considerazione
giuridica
le
vite
non
umane,
immanenti
o
trascendenti,
alle
quali
non
di
rado
le
leggi
hanno
fatto
o
fanno
riferimento"
([3])
.
Un
modo
aurorale
di
affrontare
il
tema
della
vita
in
una
adeguata
prospettiva
epistemologica
intanto
quello
di
impostarlo
nelle
sue
valenze
lessicali
([4]).
In
tal
modo
acquistiamo
consapevolezza
e
ci
facciamo
carico
dell'indubbia
povert
del
linguaggio
oggi
a
nostra
disposizione,
indizio
questo
a
sua
volta
di
una
penuria
teoretica,
propria
di
un
tempo
di
povert,
di
una
drftige
Zeit,
per
dirla
con
Heidegger,
quale
quella
nella
quale
stiamo
vivendo.
Dobbiamo
allora,
riflettendo
sul
linguaggio,
sforzarne
i
limiti:
chiediamo
aiuto
a
un
lessico
lontano
dal
nostro,
eppure
sufficientemente
vicino
perch
possa
ancora
parlarci
e
attivare
il
nostro
pensiero.
Se
cerchiamo
nel
greco
l'equivalente
di
vita
ci
troviamo
di
fronte
a
un
ventaglio
di
possibilit.
E'
vita,
in
senso
proprio,
la
zo.
Ed
vita
il
bios.
Cos
come
merita
di
essere
tradotta
con
vita
la
parola
psych
-anche
se
su
questo
termine
gravano
affascinanti
precomprensioni
teologiche,
che
vanno
per
lasciate
fuori
da
questo
discorso.
E
alla
vita
si
riconnettono
numerosi
altri
termini,
da
phyle
a
soma.
Siamo
chiamati
a
riflettere
sul
diritto
e
la
salvezza
della
vita:
ma
quale
vita
chiamato
a
salvare
il
diritto?
147
Zo
indica
innanzi
tutto
la
vita
come
fenomeno
fisico;
allude
alla
vitalit
che
si
esprime
e
si
manifesta
in
tutti
gli
esseri
organici,
quella
vitalit
che
pervade
il
sogno
di
d'Alembert
([5]),
quella
vitalit
che
percepiamo
nell'esperienza,
ma
di
cui
attraverso
la
mera
esperienza
non
possiamo
conoscere
causa,
nascimento
o
fine
(a
domande
siffatte
danno
piuttosto
risposta
i
miti
e
le
rivelazioni
religiose).
In
chiave
cognitiva
-che
quella
che
qui
ci
interessa-
zo,
usando
scorrettamente
un
termine
kantiano,
appare
alla
stregua
di
un
trascendentale:
attraverso
di
esso
noi
diamo
un
ordine
al
mondo
in
cui
viviamo.
Percependo
e
ponendo
la
distinzione
vita/non
vita
noi
elaboriamo
l'idea
del
luogo
che
siamo
chiamati
ad
occupare
nel
mondo;
costruiamo
la
categoria
dell'ambiente.
In
questa
accezione
il
termine
vita
-come
zo-
non
conosce
quindi
plurale;
alla
zo
ripugna
l'individualit;
possono
esserci
pi
forme
di
vita
(il
greco
le
designer
come
bioi),
ma
lazo
una
soltanto;
non
ci
possono
essere
pi
vite.
E
non
conosce
nemmeno
termini
antagonistici:
dalla
zo
si
pu
ben
distinguere
ci
che
non
vitale,
ma
tale
distinzione
ha
una
valenza
non
dialettica;
alla
zo
non
ha
senso
contrapporre
la
morte,
perch
quelli
che
muoiono
sono
i
singoli
viventi,
non
il
principio
della
vita
([6]).
A
quanto
appena
detto
si
potrebbe
opporre
che
la
nostra
generazione,
per
la
prima
volta
nella
storia,
ha
elaborato
la
consapevolezza
e
percepito
la
possibilit
che
la
zo
possa
essere
distrutta:
tema
apocalittico,
al
quale
con
diversa
lucidit
dan
credito
i
movimenti
ecologisti.
Ecco
apparire
un
primo
modo
di
pensare
alla
salvezza
della
vita
da
parte
del
diritto:
il
diritto
dovrebbe
prendersi
cura
della
zo.
Indipendentemente
dalle
sue
configurazioni
operative,
il
progetto
non
pu
che
apparire
nobile.
Se
sia
epistemologicamente
convincente
invece
altro
discorso:
in
una
prospettiva
cosmica,
la
vita
sorge,
non
nasce;
e
come
la
vita
sorta,
cos
pu
evidentemente
anche
risorgere
nuovamente,
dopo
essere
scomparsa
o
essere
andata
distrutta
(darwinianamente
solo
questione
di
tempo,
ma
nel
cosmo
darwiniano
il
tempo
non
certamente
risorsa
scarsa).
Il
punto
che
le
giustissime
preoccupazioni
vitalistiche
degli
ambientalisti
tendono
inevitabilmente
(n
possiamo
fargliene
una
colpa)
a
onticizzare
la
zo,
a
smarrire
la
valenza
trascendentale
del
concetto.
Di
fatto
le
lotte
ecologiste
sono
a
favore
non
della
zo,
ma
del
bios,
cio
delle
singole
specifiche
forme
di
vita
poste
a
rischio
dalla
manipolazione
dell'ambiente.
Ma
non
attraverso
il
bios
che
si
salva
la
zo:
diversamente
da
questa,
infatti,
il
bios
costitutivamente
individuale,
costitutivamente
plurale
e
costitutivamente
mortale.
Se
cos
stan
le
cose,
il
compito
che
propriamente
dovrebbe
accollarsi
l'ecologismo
molto
pi
imponente
di
quanto
non
appaia
a
prima
vista
e
chiederebbe
radicali
riformulazioni.
Il
precetto:salva
la
zo,
semplice,
intuitivo,
ma
purtroppo
privo
di
contenuto
cognitivo;
il
precetto:
salva
il
bios,
ha
invece
un
ben
preciso
contenuto
cognitivo,
ma
mal
formulato;
salva
i
bioi
precetto
epistemologicamente
impeccabile,
perch
correttamente
formulato
al
plurale,
ma
allora
richiede
che
si
determinino
individualmente
quali
siano
i
bioi
da
salvare
e
se
ne
fornisca
adeguata
giustificazione.
Se
sia
giusto
o
no
distruggere
definitivamente
il
virus
del
vaiolo,
che
attualmente
sopravvive
sotto
continuo
controllo
solo
in
laboratori
specializzati,
problema
che
concerne
la
difesa
del
bios,
non
dellazo.
Zo
indica
la
vita
qua
vivimus;
bios
la
vita
quam
vivimus
([7]).
Bios
il
termine
con
cui
la
lingua
greca
esprime
il
vivente
nella
sua
individualit
empirica,
vincolata
ineludibilmente
alla
temporalit
e
destinata
a
strutturarsi
tramite
il
corpo,
ilsoma
([8]):
del
bios,
a
differenza
che
della
zo,
predicabile
la
nascita
e
la
morte.
Un'espressione
come
vivere
la
vita
si
esprime
quindi
in
greco
con
bion
zn.
Si
comprende
quindi
perch,
per
metafora,
bios,
con
riferimento
all'uomo,
sia
passato
a
indicare
in
greco
la
professione,
il
mestiere,
i
mezzi
di
sostentamento
e
di
fortuna,
perfino
la
dimora
e
il
soggiorno:
tutto
ci,
insomma,
che
qualifica
la
vita
nella
sua
fragile
singolarit.
Resta
comunque
fermo
che
il
bios
non
ha
in
se
stesso
il
proprio
fondamento,
n
per
quel
che
riguarda
il
principio
della
sua
vitalit
(che
resta
la
zo),
n
per
quel
che
concerne
il
principio
della
sua
individualit.
Questa
non
data
dalla
connessione
col
soma,
necessaria
ma
148
estrinseca,
ma
dalla
sua
connessione
con
la
psych.
Ben
si
comprende
perch
i
latini
abbiano
tradotto
psych
con
anima,
perch
l'
animaanima
i
corpi,
individualizzandoli
(i
cadaveri,
diversamente
dai
corpi
viventi,
sono
tutti
eguali,
perch
egualmente
inerti);
ma
psych
ben
pi
che
un
mero
principio
animatore
di
carattere
fisico;
la
sua
animazione
dell'
individualit,
che
nei
casi
pi
eccellenti
(come
il
caso
del
bios
umano)
lo
apre
alla
attuazione
di
se
stesso,
gli
consente
di
riconoscersi
ed
affermarsi
come
un
io;
ci
-in
linguaggio
moderno-
che
gli
offre
e
gli
spalanca
la
dimensione
del
senso.
Tra
bios
epsych
il
vincolo
ontologico,
non
biologico,
perch
-
con
buona
pace
dei
materialismi
riduzionistici-
solo
ontologicamente
(con
uno
sguardo
dall'alto)
si
possono
percepire
le
qualit
emergenti,
si
pu
cio
percepire
in
un
uomo
vivente
una
unit
superiore
alla
mera
somma
delle
cellule
che
compongono
il
suo
corpo.
E'
con
riferimento
alla
psych
e
non
semplicemente
al
suo
bios
che
l'uomo
riceve
un
nome,
che
il
diritto
chiamato
a
tutelare.
Come
mero
dato
empirico,bios,
per
quanto
possa
apparire
prezioso,
anonimo
e
non
possiede
alcuna
rilevanza
n
ontologica
n
assiologica:
nel
lamento
su
Cordelia
morta,
re
Lear
non
piange
la
morte
di
un
essere
vivente,
ma
quella
morte,
la
morte
della
figlia:
"Why
should
a
dog,
a
horse,
a
rat
have
life,
and
thou
no
breath
at
all?".
E'
solo
perch
pu
ricevere
(dalla
psych)
una
identit
e
un
senso,
che
il
bios
acquista
un
valore,
cos
come
pu
perderlo.
"Per
l'uomo,
dice
Platone
attraverso
Socrate,
una
vita
(bios)
non
meditata
non
degna
di
essere
vissuta
(biots)"
([9]).
Quello
del
bios
quindi
un
valore
estrinseco,
che
il
biosdeve
conquistare,
attraverso
l'acquisizione
di
ritmo
interiore
(eurythmia)
ed
armonia
(euarmostia),
che
di
per
s
non
possiede
([10])..
L'intuizione
antichissima
per
la
quale
il
bios
dell'uomo
abbisogna
della
polis,
perch
in
essa
soltanto
si
d
il
nomos
([11]),
riassume
tutto
questo
discorso
e
ci
d
l'indicazione
fondamentale
di
cui
abbiamo
bisogno
per
tematizzare
il
nesso
tra
vita
(come
bios)
e
diritto.
1.
Bios
non
ha
dunque
alcun
valore
intrinseco;
non
realt
ultima,
ma
penultima.
Ecco
perch
in
ben
precisi
contesti,
come
nei
Vangeli,
in
cui
il
termine
vita
deve
essere
connotato
in
modo
assiologicamente
forte
e
inequivocabile,
non
si
fa
cenno
a
bios,
ma
a
zo
e
a
psych
([12]).
Ma
ci
non
comporta
che
bios
sia
destituito
di
ogni
valore,
perch
l'unico
luogo
in
cui
pu
manifestarsi
la
vita
come
psych,
cio
quella
forma
di
individualit,
che
il
presupposto
di
ogni
assiologia.
E
questo
un
dato
che
ci
viene
evidenziato
non
solo
dalla
filosofia,
ma
dalla
stessa
antropologia
culturale,
quando
ci
mostra
come
sempre
e
solo
attraverso
la
realt
fisica,
attraverso
il
bios
e
in
particolare
attraverso
il
corpo,
e
nelle
forme
pi
contraddittorie
e
incredibili,
-il
corpo
nutrito
ed
affamato,
mascherato
ed
esibito,
abbellito
ed
umiliato,
fortificato
e
indebolito,
rispettato
e
violato,
sacralizzato
e
mutilato-
che
l'io
(la
psych)
si
fa
strada
e
si
manifesta
nel
mondo,
come
dimensione
di
valore.
Il
diritto
non
appartiene
all'ordine
della
natura,
ma
solo
nell'ordine
della
natura
pu
avere
possibilit
di
operare.
E'
per
questo
che
la
vita
che
chiamato
a
difendere
non
il
bios,
ma
la
psych;
ma
poich
la
psych
non
da
esso
direttamente
attingibile,
ecco
il
rilievo
che
il
bios
viene
ad
acquistare
ad
ogni
livello
di
esperienza
giuridica
(come
peraltro
anche
etica).
Con
molta
sottigliezza,
S.Agostino
osserva
che
la
prima
forma
di
espressione
della
nostra
libert
-la
prima
affermazione
del
nostro
io-
non
si
manifesta
(come
si
potrebbe
in
astratto
pensare)
n
attraverso
un
nobile
s
a
valori
assoluti
e
trascendenti,
ad
es.
un
s
al
bene
o
a
Dio,
n
attraverso
un
altrettanto
nobile
no
a
disvalori
altrettanto
assoluti
(come
il
no
a
Satana
recitato
nella
formula
battesimale),
ma
attraverso
il
semplice,
quotidiano
no
a
quelle
forme
contingenti
di
male
che
sono
i
delitti
-e
il
primo
delitto
che
egli
cita
il
delitto
contro
il
bios
dell'uomo,
l'omicidio
([13]).
La
psych
dice
di
s
a
se
stessa
dicendo
di
no
ad
ogni
attentato
che
minacci
il
bios.
Di
qui
la
caratteristica
insoddisfazione
che
ci
afferra
di
fronte
ad
ogni
discorso
giuridico
che
pretenda
di
avere
per
oggetto
esclusivo
il
bios.
Nulla
ci
autorizza
a
sacralizzarlo,
come
avviene
in
alcune
ingenue
forme
di
naturismo,
che
si
illudono
che
basti
formulare
il
precetto
difendi
la
vita!
per
dare
al
diritto
un
principio
adeguato
di
operativit.
Ma
nello
stesso
tempo
nulla
ci
149
autorizza
a
cosificarlo,
quasi
che
il
precetto:
sii
autonomo!
implichi
una
disponibilit
indiscriminata
del
soggetto
su
quella
dimensione
di
se
stesso
che
il
bios
(e
Kant
ne
era
tanto
consapevole
da
affermare
che
nemmeno
la
parte
apparentemente
pi
marginale
del
nostro
io
corporeo,
nemmeno
un
dente,
propriamente
disponibile
da
parte
nostra).
Ridurre
il
bios
a
un
mero
strumento
dell'io
(della
psych)
altrettanto
ingenuo
che
ridurre
il
linguaggio
a
un
mero
strumento
del
pensiero.
E'
vero
che
il
pensiero
pu
deformare
l'uso
del
linguaggio
(qui
si
colloca
il
problema
paradigmatico
della
menzogna),
ma
pur
vero
che
il
malum
mendacii
non
sta
nella
deformazione
dell'uso
del
linguaggio,
ma
nel
fatto
che
attraverso
la
menzogna
inevitabilmente
il
pensiero
deforma
se
stesso.
Analogamente,
non
c'
alcun
dubbio
che
la
psych
abbia
un
potere
sul
bios,
un
potere
che
pu
divenire
letteralmente
immenso
(
il
caso
del
suicidio),
ma
non
c'
nemmeno
alcun
dubbio
che
attraverso
l'uso
di
questo
potere
la
psych
corre
il
pericolo
di
perdere
definitivamente
se
stessa.
Bios
e
psych
sono
uniti
da
vincoli
indissolubili,
ma
sottili;
quando
questi
si
ispessiscono
e
portano
la
psych
ad
appiattirsi
sul
bios
cadiamo
in
quelle
forme
di
materialismo
ingenuo,
che
vedono
anche
negli
aspetti
pi
raccapriccianti
della
natura
una
forma
di
sacralit
impersonale;
quando
invece
questi
vincoli
si
assottigliano,
fin
quasi
a
vaporizzarsi,
cadiamo
all'opposto
in
altrettanto
ingenue
forme
di
individualismo
solipsistico,
per
le
quali
la
volont
vuole
quel
che
vuole
e
va
sempre
ritenuta
insindacabile,
purch
autentica.
Nell'uno
come
nell'altro
caso
il
diritto
non
ha
pi
alcuno
spazio.
N
meno
che
mai
pu
avere
alcuna
funzione
di
salvezza
di
quella
realt
sintetica,
bios/psych,
alla
quale
ci
riferiamo
quando
parliamo
di
vita
umana.
Contrariamente
a
quanto
molti
pensano,
per
il
diritto
la
mera
manipolazione
del
bios
non
affatto
intrinsecamente
condannabile
(dato
che
il
bios
non
ha
alcun
valore
intrinseco);
condannabile
solo
quando
dalla
sua
manipolazione
si
rescinde
il
vincolo
di
senso
che
lo
unisce
alla
psych.
A
volte
tale
vincolo
si
esprime
facilmente
attraverso
intuitivi
riferimenti
teleologici.
Il
diritto
in
casi
come
questi
non
trova
difficolt
a
focalizzare
opportunamente
le
proprie
posizioni.Un
onesto
allenamento
atletico
pu
anche
essere
materialmente
pi
violento
nei
confronti
del
bios
di
una
attenta
somministrazione
di
farmaci
che
ne
potenzino
artificialmente
e
dolosamente
le
prestazioni,
ma
mentre
questa
condannabile
perch
deforma
la
psych
dell'atleta,
inducendola
alla
dissimulazione
e
all'inganno,
quello
pu
essere
al
contrario
estremamente
lodevole,
quando
per
suo
tramite
la
psych
(dell'atleta)
raggiunge
a
un
pieno
equilibrio
con
se
stessa.
Pi
in
generale
ogni
pratica
medica
giuridicamente
giustificata
non
perch
benefica
sempre
e
comunque
per
ilbios,
ma
in
quanto
orientata
comunque
a
quel
bene
della
persona,
per
la
cui
percezione
il
riferimento
alla
psych
essenziale.
Ma
in
altri
casi
nemmeno
il
pensiero
teleologico
in
grado
di
ben
focalizzare
come
vada
tutelato
il
vincolobios/psych:
necessaria
una
coraggiosa
affermazione
ontologica,
per
evitare
che
il
diritto
si
perda
nelle
antinomie
apparentemente
insolubili
dell'esperienza
empirica.
Non
perch
non
si
hanno
garanzie
della
veridicit
della
testimonianza
(o
meglio
della
delazione)
che
ne
consegue,
infame
la
tortura.
Non
perch
non
abbia
forza
dissuasiva
inaccettabile
la
pena
di
morte.
Non
perch
non
riesca
a
prolungare
obiettivamente
la
vita
del
corpo,
condannabile
l'accanimento
terapeutico.
Non
perch
non
possa
far
acquisire
a
chi
la
subisce
una
straordinaria
vocalit,
ripugnante
la
castrazione.
Queste
pratiche
possono
anche
produrre
effetti
al
limite
anche
socialmente
vantaggiosi
e
comunque
corrispondenti
esattamente
alle
intenzioni
di
chi
le
pone
in
essere:
vanno
rifiutate,
come
antigiuridiche
-oltre
che
come
non
etiche-
non
perch
dannose,
ma
perch
umiliano
il
nesso
psych/bios,
disumanizzandolo.
O,
se
cos
si
preferisce
pensare,
perch
tolgono
identit
al
bios,
appiattendolo
indebitamente
sul
soma.
150
[1]
Tolgo
la
citazione
dal
titolo
del
volume
di
E.Chargaff,
Unbegreifliches
Geheimnis.
Wissenschaft
als
Kampf
fr
und
gegen
die
Natur,
Stuttgart,
19884.
[2]
Nella
voce
Life
dell'Encyclopedia
of
Bioethics
della
Georgetown
University
(mi
riferisco
alla
revised
edition
del
1995,
vol.
III,
p.
1345).
[3]
Il
diritto
e
la
vita
materiale,
Roma,
Accademia
Nazionale
dei
Lincei,
1984,
p.
7.
[4]
Preziose
le
indicazioni
che
ci
provengono
da
V.MELCHIORRE,
Bios,
anthropos,
ethos,
in
"Studium",
85,
1989,
pp.
19
e
ss.
[5]
Mi
riferisco,
naturalmente,
a
DIDEROT,
il
cui
Rve
de
d'Alembert
si
pu
leggere
in
tr.it.
in
DIDEROT,
Opere
filosofiche,
a
cura
di
P.ROSSI,
Milano
1963,
pp.
194-271.
[6]
E'
per
questo
che
nel
linguaggio
della
spiritualit
zo
passa
a
indicare
la
vita
eterna.
[7]
Vedi
MELCHIORRE,
loc.cit.
[8]
Il
bios
per
non
si
identifica
col
soma:
questo
pu
alterarsi
(ad
es.
perch
mutilato),
senza
che
si
alteri
la
sua
realt
vivente
(il
bios).
[9]
PLATONE,
Apologia.
38a.
[10]
Cfr.
PLATONE,
Prot.,
326b.
[11]
DEMOCRITO,
fr.
248
(Diels-Kranz).
[12]
Prendiamo
ad
es.
un
testo
notissimo,
Gv
12.25:
"Chi
ama
la
sua
vita
(psych)
la
perder
e
chi
odia
la
sua
vita
(psych)
in
questo
mondo,
la
conserver
nella
vita
(zo)
eterna.
[13]
In
Joa.
Ev.,
42.10.
151
GONZALO
HERRANZ
LA
CULTURA
DELLA
VITA:
UN
IMPEGNO
AFFERMATIVO
INTRODUZIONE
Quando
si
analizza
quello
che
dice
l'Enciclica
Evangelium
vitae
sulla
cultura
della
vita,
si
capisce
che
il
Santo
Padre
si
riferisce
a
una
doppia
realt.
Da
una
parte,
il
Papa
ci
mostra
che
la
cultura
della
vita
ha
la
sua
ragion
di
essere
nello
scontro
con
la
cultura
della
morte.
Giovanni
Paolo
II
vuole
farci
prendere
coscienza
di
questa
dimensione,
necessaria
e
di
relazione,
ostile
e
reazionaria:
la
cultura
della
vita
esiste
per
opporsi
alla
cultura
della
morte.
Il
Papa
non
nasconde
il
fatto
che
siamo
coinvolti
in
un
"enorme
e
drammatico
scontro
tra
il
bene
e
il
male,
la
morte
e
la
vita,
la
"cultura
della
morte"
e
la
"cultura
della
vita"[1].
Quando
fa
riferimento
a
questo
conflitto,
il
Papa
scrive
in
modo
caratteristico
le
espressioni
come
"cultura
della
morte"
e"cultura
della
vita"
tra
virgolette[2].
Da
un'altra
parte,
la
cultura
della
vita
compare
nell'Enciclica
come
una
realt
affermativa
e
dinamica,
autosufficiente
e
vera,
che
esiste
si
regge
in
piedi
per
se
stessa,
che
non
necessita
di
essere
capita
come
una
reazione.
Il
papa
di
solito
si
riferisce
ad
essa
chiamandola
nuova
cultura
della
vita
per
segnalarci
che
qualcosa
di
creativo
e
originale,
che
parte
da
una
civilizzazione
di
amore
e
verit[3].
logico
che
alla
prima
dimensione,
belligerante
ed
antagonista,
la
"cultura
della
vita"
abbia
dedicato
uno
sforzo
intenso
e
prioritario
nel
mondo
intero,
cos
ricco
di
frutti
come
povero
di
mezzi.
C'
un'immensa
quantit
di
letteratura
della
"cultura
della
vita"
sparsa
tra
il
materiale
stampato
negli
opuscoli,
bollettini,
giornali
e
libri,
e
tra
l'informazione
depositata
sulla
rete[4].
Molta
di
questa
letteratura,
nonostante
il
suo
carattere
polemico,
abbonda
di
buona
dottrina
e
comprensione
verso
ci
che
sbagliato,
risponde
con
la
luce
alle
ombre,
alla
rigidit
con
tenerezza,
al
pessimismo
con
l'apertura
alla
speranza.
Ma
non
sempre
le
azioni
ed
il
pensiero,
da
parte
di
chi
a
favore
della
cultura
della
vita,
hanno
questo
segno
affermativo.
La
battaglia
a
favore
della
vita
molto
dura
e
senza
sosta,
si
fa
contro
un
nemico
che
dispone
di
mezzi
e
risorse
enormi:
,
come
dice
il
Papa,
una
guerra
dei
forti
contro
i
deboli[5].
Data
tale
sproporzione
di
forze
tra
l'una
e
l'altra
fazione,
non
strano
che,
andando
avanti
nel
tempo,
tra
molti
dei
lottatori
a
favore
della
vita
si
sia
sviluppato
un
ethos
peculiare.
Nelle
azioni
e
negli
scritti
di
non
pochi
di
questi
si
apprezzano
accenti
di
durezza
e
risentimento,
di
asprezza
e
amarezza,
frutto
della
stanchezza,
delle
ferite
inevitabili,
delle
apparenti
sconfitte,
proprie
di
ogni
guerra
prolungata.
Il
pensiero
di
essere
a
favore
della
vita
perde
la
sua
intensit
e
si
sviluppa
la
mentalit
polarizzata
che
l'unico
cos
importante
eliminare
il
nemico.
Si
genera
cos
un'ideologia
pi
di
negazione
che
di
affermazione,
viene
persa
la
capacit
di
stringere
amicizia.
Talvolta
coloro
che
lottano
per
la
vita
possono
assumere
una
personalit
poco
attraente.
Cos
succede,
in
modo
paradossale,
che
quello
che
iniziato
come
un
movimento
a
favore
della
vita
si
insensibilmente
trasformato
in
un
generatore
di
azioni
"anti-":
contro
l'aborto
o
l'eutanasia,
ma
anche
contro
le
single
persone
e,
in
particolare,
contro
potenti
organizzazioni
che
promuovono
la
"cultura
della
morte".
Nel
fragore
della
battaglia,
non
facile
respingere
la
tentazione
di
impiegare
le
stesse
armi,
violente
e
dannose,
di
cui
si
serve
il
nemico.
Si
pu
perfino
arrivare
a
dimenticare
che
la
cultura
della
vita
intrinsecamente
un
compito
di
carit,
un
messaggio
luminoso
e
amabile,
che
si
sforza
nel
capire
tutti
eroicamente
perch
tutti
vuole
attrarre
e,
nello
stesso
tempo,
intransigente
con
l'errore
che
vuole
respingere
con
razionalit
e
pazienza.
152
Conviene,
quindi,
ricordare
a
tutti
quelli
che
lottano
per
la
vita
che
la
cultura
della
vita
esiste
non
per
indebolire
i
cultori
della
morte
ma
per
salvarli,
per
offrire
loro
nuovi
segni
di
speranza.
La
cultura
della
vita
lavora
per
la
crescita
della
giustizia
e
della
solidariet,
cerca
di
costruire
un'autentica
civilt
della
verit
e
dell'amore[6].
La
cultura
della
vita
un
impegno
essenzialmente
positivo.
facilmente
comprensibile
che,
vista
la
violenza
di
questa
guerra
e
la
vicinanza
del
fronte
di
battaglia,
sia
stata
posta
meno
attenzione
nello
scoprire
i
contenuti
positivi
della
nuova
cultura
della
vita
che
nel
compito,
apparentemente
pi
urgente,
di
combattere
gli
errori
e
le
strategie
della
"cultura
della
morte".
Ci
nonostante,
e
secondo
il
mio
parere,
non
c'
niente
di
pi
essenziale
che
studiare,
tale
e
come
lo
stiamo
facendo
in
questa
VII
Assemblea
dell'Accademia,
le
questioni
e
i
problemi
che
potrebbero
essere
chiamati
gli
aspetti
affermativi
della
cultura
della
vita.
Si
tratta
di
impegnarci
a
cercare
cose
tanto
interessanti
come
le
seguenti:
-
il
tono
psicologico,
costruttivo
e
attraente,
che
la
cultura
della
vita
deve
istaurare
con
le
sue
idee
e
azioni;
-
i
modi
di
definire
e
presentare
la
cultura
della
vita
come
una
novit
sempre
fresca;
-
definire
e
caratterizzare
il
suo
stile
intellettuale
e
umano,
unitario
nel
suo
nucleo,
ma
adattato
alle
multiple
variet,
che
dovranno
essere
non
solo
rispettate,
ma
anche
promosse,
nelle
mentalit,
situazioni
e
luoghi;
-
come
provvedere
affinch
i
messaggi
della
cultura
della
vita
siano
sempre
colmati
di
scienza
solida
e
anche
di
comprensione
e
gioia,
di
speranza
teologale;
-
come
esplorare
nuovi
modi
di
esprimere
l'entusiasmo
umano
e
cristiano
per
la
vita
umana,
senza
scendere
in
scene
di
lirica
o
di
narrativa
manicheiste;
-
bisogna
stabilire
fin
dove
deve
arrivare
il
buon
zelo
nella
difesa
della
vita
per
non
sprofondare
nell'accanimento
o
il
tormento;
-
come,
rispettando
la
libera
iniziativa
e
l'infinita
variet,
possono
essere
segnalati
i
tempi
per
perseguire
determinati
obiettivi
comuni
per
creare
un
minimo
di
coordinazione
in
mezzo
alla
polifonia
della
cultura
della
vita;
-
trovare
i
modi
di
creare
una
comunicazione
interna,
per
sentirci
gli
uni
con
gli
altri,
al
di
sopra
degli
altri
mille
modi
di
propagare
il
vangelo
della
vita;
-
in
particolare,
bisogna
stringere
un
compromesso
solido
e
leale
con
la
verit
contenuta
nelle
scienze
biologiche
e
umane,
che
mai
lecito
negare
o
ingrandire,
deformare
o
manipolare;
-
bisogna
tentare
in
ogni
caso
di
combinare
armoniosamente
la
razionalit
forte
dei
giudizi
morali
obiettivi
con
la
pratica
della
compassione;
-
bisogna
imparare
a
coniugare
l'affermazione
delle
verit
morali
con
l'accoglienza
di
coloro
che
sbagliano.
-
preciso,
infine,
sviluppare
con
coraggio
e
intelligenza
il
triplice
incarico
che
il
Papa
ci
chiede
nell'Enciclica
di
annunciare,
celebrare
e
servire
il
Vangelo
della
vita.
Di
tutto
questo
amplissimo
ed
incitante
programma
tematico,
limiter
la
mia
esposizione
ad
offrire
alcuni
indizi
su
due
dei
punti:
uno
riguardo
il
compromesso
incorrompibile
con
la
verit
che
dovranno
avere
tutte
le
azioni
nell'ambito
della
cultura
della
vita;
l'altro
consiste
nell'offrire
alcune
considerazioni
sul
meno
trattato,
e
forse
il
pi
difficile,
dei
progetti
della
nuova
cultura
della
vita
umana
che
il
Papa
ci
segnala:
come
celebrare
il
Vangelo
della
vita.
Ovviamente,
le
mie
conclusioni
non
sono
definitive.
Il
tema
necessita
di
molta
riflessione.
Qui
le
offro
a
voi
in
modo
che
il
Documento
che
verr
poi
presentato
alla
VII
Assemblea
venga
arricchito
con
tutte
le
vostre
osservazioni,
critiche
e
suggerimenti.
153
154
155
156
La
prima
attivit
in
cui
dovr
manifestarsi
la
celebrazione
del
Vangelo
della
vita
la
gioia
nell'Amore
creatore
di
Dio,
nella
Vita
divina,
vivificante
di
per
s
e
creatrice
della
vita,
dalla
quale
procede
ogni
essere
vivente
e
dalla
quale
proviene
l'immortalit
di
ogni
anima.
Crediamo
in
un
Dio
personale,
Creatore
e
Datore
di
vita,
al
quale
non
basta
semplicemente
credere
come
ad
un
remoto
Principio,
Causa
e
Fondamento
unico
della
vita.
necessario
anche
lodare,
contemplare
e
celebrare
Dio
come
Vita
che
vivifica
ogni
vita.
Il
Santo
Padre
enumera
tutte
le
possibilit
e
suggerimenti
idonei
per
celebrare
la
vita.
Prendendo
parole
dal
Salmo
139/138,
ci
invita
a
rallegrarci
ogni
giorno,
nella
nostra
preghiera,
con
lodi
a
Dio
nostro
Padre
che
ci
ha
creato
nel
seno
materno
e
ci
ha
visto
e
amato
quando
non
avevamo
ancora
forma.
Ci
invita
a
prorompere,
con
le
parole
che
servono
come
moto
a
questa
sezione
dell'enciclica,
in
ringraziamenti
a
Dio
per
la
meraviglia
che
siamo.
Citando
il
suo
predecessore
Paolo
VI,
il
Papa
ci
presenta
il
contrasto
misterioso
che
formano
vita
e
morte
come
occasione
di
allegria:
"questa
vita
mortale,
nonostante
le
sue
tribolazioni,
i
suoi
oscuri
misteri,
le
sue
sofferenze,
la
sua
fatale
caducit,
un
evento
bellissimo,
un
prodigio
sempre
originale
e
commovente,
un
avvenimento
degno
di
essere
cantato
con
gioia
e
gloria".
Il
Santo
Padre
insiste
ripetutamente
perche
l
che
ci
sono
le
fondamenta
della
cultura
della
vita,
nell'affermare
nella
nostra
coscienza
l'idea
chiara
e
profonda
della
dignit
di
ogni
essere
umano,
di
tutti
gli
esseri
umani.
E
questa
dignit,
tante
volte
nascosta
dalla
malattia
e
l'ignoranza,
deve
essere,
tuttavia,
sempre
celebrata
perche
in
essa
non
manca
mai
una
scintilla
della
gloria
di
Dio:
"in
ogni
bambino
che
nasce
ed
in
ogni
uomo
che
vive
e
muore
riconosciamo
l'immagine
della
gloria
di
Dio,
gloria
che
celebriamo
in
ogni
uomo,
segno
del
Dio
vivo,
icona
di
Ges
Cristo"[24].
Queste
e
altre
idee
che
sono
contenute
nei
punti
83
a
86
dell'Enciclica,
dovrebbero
essere
lettura
frequente
per
tutti
quelli
che
lavorano
nella
costruzione
della
nuova
cultura
della
vita.
Anzi,
dovrebbero
venire
offerte
con
speranza
a
quelli
che
militano
nelle
linee
della
cultura
della
morte,
affinch
possano
comprendere
qual
il
nucleo
forte
dell'amore
per
la
vita
umana.
Ma
arrivato
il
momento
di
chiederci
che
cosa
celebrare
il
Vangelo
della
vita
e
quale
ruolo
ha
nella
costruzione
della
nuova
cultura.
Se
fosse
stata
assorbita
completamente
nella
nostra
anima,
nella
nostra
coscienza
morale,
l'atteggiamento
incondizionato
di
ammirazione
e
di
gioia
davanti
la
dignit
quasi
divina
dell'uomo,
sarebbe
molto
feconda
e
animosa
la
nostra
attivit
in
favore
della
cultura
della
vita
che
il
Papa
ci
invita
a
edificare,
che
una
cultura
che
tutto
abbraccia
e
che
ha
mille
aspetti
diversi.
Io
posso
parlare,
con
una
certa
cognizione
di
causa,
del
ruolo
che
la
celebrazione
del
Vangelo
della
vita
ha
in
due
aree:
nella
docenza
della
Medicina
(non
ho
il
coraggio
di
parlare
di
altri
studi
universitari),
e
nelle
azioni
sociali
promosse
a
favore
della
vita.
Sulla
celebrazione
del
Vangelo
della
vita
nella
docenza
biomedica.
Paradossalmente,
non
mi
sembra
molto
acuto
tra
molti
universitari
quello
sguardo
contemplativo
del
quale
parla
il
Papa.
Per
cominciare,
quanto
poveramente
ispirati
e
scritti
sembrano
la
maggioranza
di
libri
sui
quali
studiano
i
nostri
alunni!
Sono
libri
freddamente
descrittivi,
scritti
senza
entusiasmo
per
la
vita,
con
un'oggettivit
rigida,
unidimensionale,
noiosamente
formalista.
Bisognerebbe
riscrivere
i
trattati
di
Biologia
e
Patologia
umane
con
un
atteggiamento
nuovo,
un
atteggiamento
che
unisse
al
rigore
dell'osservazione
scientifica
e
alla
valutazione
critica
dei
fatti
e
delle
ipotesi
i
lineamenti
definitivamente
umani
dell'ammirazione.
Tante
volte
basterebbe
introdurre
nei
libri
e
nelle
spiegazioni
piccole
pause
per
lasciare
spazio
allo
stupore
e
ai
suoi
innumerevoli
motivi.
Tutti
saremmo
migliori
educatori
se,
nelle
nostre
lezioni
e
nei
nostri
libri
di
studio,
offrissimo
ai
nostri
alunni
e
lettori
le
opportunit
per
un
sorriso
157
di
ringraziamento
per
la
bellezza
della
vita,
e
anche
per
sondare
la
nostra
ignoranza,
per
fare
qualche
calcolo
su
quanto
ci
rimane
da
scoprire,
dell'inesauribile
speranza
di
arrivare
a
conoscere
e
ammirare
la
ricchezza
della
realt
vivente.
Cos
potremmo
proteggere
gli
studenti
e
professionisti
delle
scienze
biomediche
dalla
terribile
tentazione
del
tecnicismo
meccanicista,
dal
rischio
di
una
visione
della
vita
come
una
routine,
di
far
diventare
triviale
quello
che
sorprendente,
di
far
diventare
un
deserto
il
terreno
affettivo.
,
quindi,
necessario
aggiungere
vita
alla
vita.
Solo
cos
possiamo
proteggerci
di
fronte
alla
sottile
narcotizzazione
dello
scienticismo.
L'osservazione
meccanicista
-non
l'analisi
scientifica
dei
meccanismi
e
processi
biologici
e
del
suo
adattamento
alle
condizioni
anomale
indotte
dalla
malattia-
ha
la
tendenza
di
registrare
nella
mente
dello
studente
e
del
ricercatore,
che
solo
quello
meccanicamente
spiegabile
reale,
cosa
che
significa,
come
abitudine
intellettuale,
che
solo
biologico
quello
che
morto
perch
il
paradigma
oggi
vigente
-quello
della
Biologia
e
la
Medicina
molecolari-
afferma
che
scientificamente
valido
solo
quello
che
pu
essere
spiegato
in
termini
di
molecole.
In
questo
modo,
la
biologia
diventa
una
specie
di
tanatologia[25].
In
tale
contesto,
l'insegnamento
delle
scienze
biomediche
perde
l'ispirazione
intellettuale
e
si
chiude
al
propriamente
umano
e
alle
considerazioni
etiche.
Si
scende
nella
barbarie
dell'insensibilit,
della
cecit
verso
quello
che
umano.
L'embrione
umano
diventa
un
mero
ammasso
cellulare
nel
quale
si
esprimono
geni
e
molecole
modulatrici,
in
accordo
a
una
meccanica
dello
sviluppo,
che
non
diversa
in
assoluto
a
quella
che
domina
lo
sviluppo
di
altre
specie
pi
o
meno
vicine.
Parlare,
in
un
corso
di
Embriologia
medica,
dell'embrione
umano
come
un
essere
umano
che
deve
essere
rispettato
visto
come
un'eccentricit.
Ammettere
che
nell'embrione
si
esprime
la
natura
umana
sembra
un
tradimento
alla
scienza.
Il
mero
ricordo
che
la
nostra
esistenza
personale
cominciata
con
questa
umile,
ma
gloriosa,
apparenza
rifiutato
come
se
fosse
la
segnalazione
di
un'ascendenza
indegna.
Nell'insegnamento
delle
scienze
biomediche
basiche,
l'assenza
di
riferimento
all'umano
vivente
lascia
gli
studenti
impreparati
all'incontro
con
i
pazienti
all'inizio
dei
loro
studi
clinici:
non
sono
stati
abituati
alle
realt
umane
della
malattia
e
della
sofferenza.
oggi
frequente
nello
studente
sperimentare
una
strana
sensazione
nell'entrare
in
ospedale.
La
potrebbero
superare
se
leggessero
l'Evangelium
vitae,
non
soltanto
perche
un'eccelsa
lezione
di
etica
medica,
ma
anche
perche
una
profonda
lezione
di
umanit
medica.
Dobbiamo
dire
ai
nostri
studenti,
futuri
medici,
che
la
vocazione
medica
ha
a
che
fare
pi
con
uomini
vivi
che
con
molecole
morte,
che
devono
imparare
a
riconoscere
e
ad
apprezzare
i
malati
nella
loro
singolarit
personale
e
nella
loro
integrit
umana,
perche
solo
cos
che
potranno
trattarli
in
un
modo
veramente
professionale,
che
sia
tanto
scientifico
quanto
umano.
necessario
fomentare,
come
segnala
il
Papa,
in
tutti,
ma
particolarmente
in
quelli
che
saranno
medici,
l'onest
dell'intelletto,
la
sincerit
dello
sguardo,
l'amore
gioioso
per
la
vita.
Questo
viene
raggiunto
con
lo
sguardo
contemplativo
del
quale
ci
parla
il
Santo
Padre.
Esiste
una
perspicacia
umana
che
permette
di
far
diventare
trasparente
la
realt
e
di
aprirla
al
significato,
che
viene
nel
professare
lo
stupore,
umano
e
celebrativo,
per
la
vita.
Mi
piace
citare
alcuni
scritti
di
Lewis
Thomas,
un
uomo
la
cui
vita
non
stata
illuminata
dalla
luce
della
fede,
ma
che
trascorsa
nella
penombra
della
nostalgia
di
Dio.
Thomas,
oltre
ad
essere
un
patologo
con
uno
sguardo
originale
e
uno
scrittore
affascinante,
stato
un
uomo
innamorato
della
vita,
un
testimone
delle
meraviglie
del
vivere.
Ha
scritto
sugli
esseri
viventi
come
pochi
lo
hanno
fatto
finora.
Da
un
articolo
intitolato
"Sull'Embriologia"
prendo
questo
saggio,
nel
quale
Thomas
ci
racconta
quello
che
succede
nei
primi
giorni
della
nostra
vita.
Descrive
con
tale
garbo
quello
che
succede
nell'albore
della
vita
che
la
lezione
diventa
un'esperienza
intensa,
indimenticabile,
che
lascia
un
segno.
"Tu
sei
partito
da
una
sola
cellula
che
proviene
dalla
fusione
di
uno
sperma
con
un
oocita.
158
La
cellula
si
divide
in
due,
dopo
in
quattro,
in
otto
e
cos
via.
E
presto,
in
un
momento
preciso,
avviene
che,
sorge
una
che
sar
il
precursore
del
cervello
umano.
La
mera
esistenza
di
questa
cellula
la
prima
delle
meraviglie
del
mondo.
Dovremmo
trascorrere
le
ore
a
commentare
quell'evento.
Dovremmo
trascorrere
l'intero
giorno
a
chiamare
per
telefono
gli
e
agli
altri,
in
un
inesauribile
stupore,
e
darci
appuntamento
per
parlare
soltanto
di
quella
cellula.
qualcosa
di
incredibile.
Ma
eccola,
aprendosi
spazio
verso
il
suo
posto
in
ciascuno
dei
mille
embrioni
umani
di
tutta
la
storia,
di
tutte
le
parti
del
mondo,
come
se
fosse
la
cosa
pi
semplice
e
ordinaria
della
vita.
Se
vuoi
vivere
di
sorpresa
in
sorpresa,
eccola
qua
la
fonte
di
tutte
quante.
Una
cellula
si
differenzia
per
produrre
il
massiccio
apparato
di
miliardi
di
cellule,
che
ci
stato
dato
per
pensare,
immaginare
e,
come
in
questo
caso,
per
rimanere
stupito
davanti
una
cos
formidabile
sorpresa.
Tutta
l'informazione
necessaria
per
imparare
a
leggere
e
a
scrivere,
per
suonare
il
pianoforte,
per
discutere
di
fronte
ad
un
Comitato
del
Congresso,
per
attraversare
la
strada
in
mezzo
al
traffico,
o
per
eseguire
quell'atto
meravigliosamente
umano
come
stirare
un
braccio
e
appoggiarsi
ad
un
albero:
tutto
questo
contenuto
in
quella
prima
cellula.
In
lei
c'
tutta
la
grammatica,
tutta
la
sintassi,
tutta
l'aritmetica,
tutta
la
musica
[...].
nessuno
ha
la
pi
minima
idea
di
come
succede
questo,
ma
la
verit
che
niente
in
questo
mondo
sembra
pi
interessante.
Se
prima
di
morire
-concludeva
Lewis
Thomas-
qualcuno
dovesse
trovare
la
spiegazione
di
questo
fenomeno,
io
farei
una
pazzia:
prenderei
in
affitto
uno
di
quegli
aerei
che
possono
scrivere
segnali
sul
cielo,
anzi,
una
squadra
completa
di
quegli
aerei,
e
li
spedirei
per
i
cieli
del
mondo
a
scrivere
segni
di
ammirazione,
uno
dopo
l'altro,
fino
a
non
finire
tutti
i
miei
soldi"[26].
La
ragione
di
aver
trascritto
questo
lungo
frammento
per
il
suo
modo
di
esprimere
lo
stupore
entusiasmato
e
l'amore
per
la
vita.
Dovremmo
sforzarci
per
applicare
un
simile
entusiasmo,
stupore
e
amore
nelle
nostre
lezioni
e
discussioni
accademiche
sulla
vita
umana,
quando
dobbiamo
arguire
in
suo
favore.
Penso
che
il
rispetto
etico
si
cova,
non
solo
nel
fondamento
metafisico,
ma
anche
nello
stupore
biologico,
nello
sguardo
contemplativo.
Ma
la
cultura
della
vita
non
fatta
solo
di
intelligenza:
esige
anche
amore.
Nelle
Facolt
di
Medicina,
si
insegna
agli
studenti
di
medicina
ad
amare?
Per
essere
un
attivo
promotore
della
cultura
della
vita
non
sufficiente
la
conoscenza
cordiale
e
intensa.
Bisogna
favorire
l'accrescimento
del
carattere.
La
cultura
della
vita
richiede
generosit
e
servizio,
vincere
l'egoismo,
avere
capacit
di
avventura.
Il
Papa
ricorda
che
necessaria
una
paziente
e
coraggiosa
opera
educativa
che
spinga
tutti
e
ciascuno
a
prendere
su
di
s
il
peso
degli
altri,
che
c'
bisogno
di
un
continuo
sviluppo
delle
vocazioni
di
servizio,
in
particolare
tra
i
giovani.
Quello
sforzo
educativo
imprescindibile
e
urgente
nel
contesto
sociale
di
oggi,
cos
freddo
ed
egoista[27].
In
un'analisi
della
crisi
di
umanit
che
attraversa
oggi
la
pratica
della
Medicina,
un
medico
ebreo,
il
Prof.
Shimon
Glick,
afferma
che
tale
crisi
il
risultato
dell'impoverimento
in
valori
morali
ed
etici
che
molte
delle
societ
democratiche
occidentali
hanno
introdotto
nei
loro
sistemi
educativi.
sufficiente
calcolare
la
qualit
umana
e
morale
che
avranno
i
giovani,
uomini
e
donne,
candidati
alla
professione
medica
che
sono
stati
allevati
ed
educati
come
bambini
o
adolescenti
in
un
ambiente
comodo
e
apertamente
permissivo,
abituati
ad
ottenere
senza
sforzo
e
immediatamente
quello
che
vogliono
e
ogni
volta
che
lo
vogliono;
quelli
a
cui
stato
insegnato
che
l'obiettivo
ultimo
della
vita
aspirare,
con
il
costo
morale
pi
basso
possibile,
al
benessere
e
all'autosoddisfazione.
Non
da
aspettarsi
che
questi
bambini
possano
convertirsi
in
adulti
morali
che
si
abbandonino
con
energia
generosa
alla
pratica
della
Medicina[28].
Nello
stile
educativo
di
oggi
manca
quasi
completamente
la
educazione
alla
generosit,
per
l'allegria
di
dare
e
di
darsi.
Non
viene
fomentata
la
stima
per
i
valori
morali.
L'educazione
alla
virt
stata
espulsa
da
molte
universit,
dopo
averla
etichettata
come
mero
moralismo,
e
si
159
dimenticato
che
il
meglio
che
un'universit
pu
offrire
non
tanto
il
profitto
tecnico
ma
la
formazione
del
carattere
degli
studenti.
Se
si
dovr
avverare
il
desiderio
del
Santo
Padre
che
ogni
educatore
universitario
sia
un
ricercatore
dell'uomo[29],
sar
necessaria
la
conversione,
il
ritorno
alle
radici
cristiane,
restituire
all'universit
la
gioia
di
vivere.
Sotto
questo
aspetto,
la
celebrazione
della
vita
sembra
qualcosa
di
essenziale.
Celebrazione
e
attivismo
a
favore
della
vita
Ho
gi
segnalato
che
una
delle
tentazioni
pi
insidiose
che
minacciano
i
difensori
della
vita
di
soccombere
alla
tentazione
dell'abbattimento.
Non
mancano
i
motivi
se
le
cose
si
vedono
solo
a
livello
terreno.
Ma
sarebbe
triste
che
il
buon
sale
perdesse
il
suo
sapore,
che
i
predicatori
del
Vangelo
della
vita
diventassero
amari
e
vendicativi,
che
mettessero
nelle
loro
parole
e
azioni
pi
irritazione
che
gioia,
pi
rancore
che
speranza,
pi
antagonismo
che
carit.
Si
capisce
che
per
chi
ogni
giorno
in
contatto
con
l'aggressivit
ideologica
dei
maltusiani
e
di
chi
controlla
i
centri
nevralgici
dell'ispirazione
politica
e
del
controllo
professionale,
o
chi
tenta
di
capire
l'estensione
e
intensit
della
massiccia
distruzione
di
vite
umane
che,
con
la
protezione
della
legge,
viene
perpetrata
oggi
nel
mondo,
ha
abbondanti
ragioni
per
sentirsi
tormentato
e
triste:
sono
molti
i
peccati
che
vengono
commessi,
molte
le
vite
che
vengono
segate,
molta
l'ostinazione
impenitente.
Ma
non
dobbiamo
dimenticare
che
questi
sentimenti
sono
incompatibili
con
la
nuova
cultura
della
vita.
In
ogni
circostanza,
il
Vangelo
della
vita
una
buona
notizia,
piena
di
speranza
e
di
promesse,
che
deve
essere
presentata
con
serenit
e
amore.
E
se
fosse
possibile
con
vivacit
negli
occhi
e
un
sorriso
sul
viso,
col
cuore
comprensivo
e
generoso,
con
pazienza,
coraggio
e
semplicit,
e
senza
che
mai
manchi
un
tocco
di
umore.
Vi
rammento
ancora
la
prima
pagina
dell'Enciclica.
In
questa
ci
si
chiede
che
il
Vangelo
della
vita
venga
predicato
con
fedelt
e
vigore,
senza
timore,
ma
con
la
gioia
di
una
buona
notizia
a
tutti
gli
uomini
di
tutte
le
epoche
e
culture,
perche
una
nuova
legge
di
libert,
gioia
e
benedizione.
Il
Papa
ci
ricorda
che
i
comandamenti
di
Dio
non
sono
mai
separati
dall'amore,
che
sono
sempre
un
regalo
che
viene
fatto
per
gioia
e
crescita
dell'uomo.
molto
importante
trovare
la
chiave
tonale
giusta
che
dovranno
avere
le
nostre
parole
e
i
nostri
lavori
a
favore
della
vita.
In
Veritatis
splendor,
giusto
all'inizio,
il
Papa
parla
dello
sforzo
nel
trovare
"espressioni
sempre
nuove
di
amore
e
misericordia
per
dirigersi
non
solo
ai
credenti,
ma
a
tutti
gli
uomini
di
buona
volont"
e
ricorda
che
la
Chiesa
esperta
in
umanit,
una
Madre
e
Maestra
che
si
pone
al
servizio
di
ogni
uomo,
di
tutti
gli
uomini[30].
L'attivismo
a
favore
della
vita
dovr
essere
inondato
di
gioia.
Si
dice
nell'Evangelium
vitae
che
il
Vangelo
della
vita
per
la
Chiesa
non
solo
una
proclamazione
allegra,
ma
anche
in
s
stesso
una
fonte
di
gioia[31].
Il
Vangelo
della
vita,
cos
come
la
nuova
cultura
che
gli
annessa,
non
una
convinzione
politica,
o
un
modo
di
giudicare
la
demografia
o
di
valutare
i
rapporti
sociali.
Quello
che
ci
deve
spingere
a
difendere
la
vita
la
gratitudine
che
sentiamo
per
la
incomparabile
dignit
dell'uomo.
Questa
la
ragione
che
ci
dovr
spingere
a
diventare
partecipi
del
nostro
messaggio
agli
altri
uomini
e
donne.
Spesso,
quando
leggo
pubblicazioni
di
movimenti
pro-vita,
sento
la
mancanza
dello
spirito
affermativo,
incoraggiante,
allegro,
celebrativo,
che
dovrebbe
dare
energia
alle
azioni
pro-vita.
Esiste
in
tali
pubblicazioni
troppa
politica
di
partito,
eccessivi
riferimenti
personali
ai
fautori
del
male,
esagerato
localismo,
esibizionismo
di
virt
muscolari,
scatti
di
manicheismo.
La
maggior
parte
di
queste
pubblicazioni
non
sono
molto
ispiratrici.
Mancano
di
generosit
intellettuale.
Ma
160
questa
generosit
ci
serve.
Anche
un
poco
di
visione
universale.
E
la
gioia
per
le
tante
meraviglie
che
si
operano
ogni
giorno,
in
forma
di
conversione
e
pentimento.
Una
cosa
che
chiara
nel
messaggio
del
Papa.
Dopo
l'Evangelium
vitae
l'attivismo
pro-vita
non
pu
che
essere
affermativo
e
rivelatore
della
sua
ricchezza
evangelica.
Non
pu
scendere
mai
pi
nel
triste
gioco
di
fare
l'opposizione,
di
accettare
la
sfida
di
competere
nell'odio
o
nell'altezzosit,
come
vogliono
i
suoi
nemici.
Penso
che
la
celebrazione
del
Vangelo
della
vita
deve
basarsi
su
due
appoggi
fondamentali.
Il
primo,
molto
semplice
da
esprimere
e,
con
l'aiuto
di
Dio,
da
mettere
in
pratica,
consiste
in
una
gioiosa
e
fedele
accettazione
degli
insegnamenti
del
Magistero
della
Chiesa.
Il
secondo
dovr
essere
la
solida
convinzione
che
questo
un
lavoro
che
durer
molto
tempo,
un
punto
fisso
nell'agenda
di
lavoro
di
tutti
noi.
nostro
dovere
cooperare
a
vita,
ognuno
con
il
proprio
carisma
e
vocazione,
nella
divulgazione,
celebrazione
e
servizio
di
questo
vangelo.
Dobbiamo
essere
lavoratori
instancabili
in
un
lavoro
impegnativo
e
quasi
interminabile.
Questo
significa
che,
per
il
resto
delle
nostre
vite,
ognuno
dovr
dedicare
una
parte
sostanziale
del
proprio
tempo
e
sforzo
in
questo
compito
tanto
duro
quanto
promettente.
Non
possiamo
permettere
che
l'impatto
dell'Enciclica
si
ammortizzi
e
estingua
in
pochi
mesi.
Andiamo
per
il
mondo
seminando
con
allegria
questa
dottrina
cos
umana
e
vera,
ringraziando
Dio
che
ci
permette
di
trarre
l'amore
dall'odio,
la
vita
dalla
morte.
La
cultura
della
vita
deve
costruirsi
e
pensarsi
con
l'aiuto
della
riflessione
del
teologo,
l'astrazione
del
pensatore
e
la
ricerca
del
sociologo.
Ma
anche
con
storie
personali,
con
poesie
e
canzoni
che
raccontino
la
bellezza
della
vita
reale,
della
solidit
dell'amore.
E
che
venga
fatto
con
forza,
per
non
lasciare
un'impressione
fugace,
una
lieve
commozione
dello
spirito,
bens
una
ferita
che
provochi
dolore
ogni
giorno.
Dobbiamo
inondare
di
comprensione
il
forte
scontro
tra
i
pro-lifers
e
i
pro-choicers,
non
nel
senso
di
cedere
nei
principi
non
negoziabili
del
rispetto
sacro
per
la
vita
umana,
ma
aumentando
la
preghiera
per
la
conversione
di
coloro
che
sono
in
errore,
pi
carit
per
sentire
verso
loro
un
amore
dolente
a
causa
dei
loro
errori
e
pregare
affinch
tornino
alla
casa
del
Padre.
Non
possiamo
dimenticare
che
la
celebrazione
del
Vangelo
della
vita
legata
all'officio
sacerdotale
dei
seguaci
di
Cristo,
che
ha
di
informarla
di
molta
misericordia
e
intercessione.
Tutti
dobbiamo
fare,
sotto
l'influsso
della
grazia,
uno
sforzo
per
comprendere
coloro
che
sono
in
errore
ed
attrarli
con
un
amore
che
superi
gli
odi
e
le
distanze.
Il
Papa
ci
da
l'esempio,
quando
invoca
alla
conversione
al
Vangelo
della
vita
le
donne
che
sono
ricorse
all'aborto.
La
Chiesa
-
afferma
Giovanni
Paolo
II-
sa
quanti
condizionamenti
possono
aver
avuto
influenza
nella
loro
decisione
e
non
ha
dubbi
che
in
molti
casi
si
trattato
di
una
decisione
dolorosa,
perfino
drammatica.
vero
che
quello
che
successo
stato
profondamente
ingiusto
e
continuer
ad
esserlo.
In
ogni
modo,
non
il
caso
di
cedere
allo
scoraggiamento
n
di
abbandonare
la
speranza.
Bisogna
capire
lucidamente
quel
che
successo
e
interpretarlo
nella
sua
verit.
C'
comunque
ancora
spazio
per
la
grande
speranza
del
pentimento,
del
perdono
del
Padre
di
ogni
misericordia.
Bisogna
costruire,
con
la
guida
del
Papa,
quella
nuova
sociologia
del
perdono,
della
verit
del
pentimento,
uno
degli
atti
umani
pi
elevati,
sintesi
della
fragilit
dell'uomo
con
l'amore
misericordioso
di
Dio[32].
La
nuova
cultura
della
vita
dovr
essere
come
la
casa
del
padre
del
figlio
prodigo.
161
162
TADEUSZ
STYCZEN
VIVERE
SIGNIFICA
RINGRAZIARE:
GRATIAS
AGO,
ERGO
SUM
Gloria
Dei
vivens
homo
Sant'Ireneo,
Adversus
haereses
STATUS
QUAESTIONIS
Ringraziare
significa
donare?
Io
dico
"grazie"
a
qualcuno
quando
accetto
da
lui
un
dono.
La
gratitudine
quindi
un
atteggiamento
rivolto
sia
al
dono
sia
al
donatore.
E'
l'atteggiamento
di
accettazione
del
dono.
Ma
che
cosa
s'intende
con
accettazione
del
dono?
Proprio
come
un
dono
non
tale,
se
in
esso
e
per
suo
mezzo
il
donatore
non
si
dona
in
qualche
modo
al
destinatario,
cos
si
pu
dire
che
la
gratitudine
non
veramente
tale
a
meno
che
il
dono
non
sia
accettato
nello
stesso
modo
con
cui
accettato
il
donatore
stesso.
Che
dono
sarebbe
quello
di
offrire
del
pane
a
una
persona
invitata
a
mettersi
a
tavola
con
me,
se,
con
questo
gesto,
io
volessi
appena
cogliere
l'occasione
per
sistemare
con
lei
degli
affari?
Che
dono
sarebbe
se
io
condividessi
il
pane
con
qualcuno
solamente
perch
io
ne
ho
di
troppo?
Il
pane
acquista
carattere
di
dono
quando,
spartendolo
con
un
altro,
io,
in
qualche
modo,
condivido
me
stesso
con
quella
persona.
Insieme
al
pane,
io
do
a
un
altro
lo
sforzo
di
essere
ci
che
sono,
lo
sforzo
in
virt
del
quale
io
sono
affatto
capace
di
invitare
qualcuno
nella
mia
dimora,
di
riceverlo
nella
mia
casa,
cos
che,
facendo
parte
di
quello
che
ho,
io
possa
spartire
con
lui
anche
quello
che
sono.
Non
per
puro
caso
che
invitando
qualcuno
a
casa
mia,
io
gli
dica.
"Vieni
a
trovarmi!".
Mutatis
mutandis,
questo
vale
anche
per
l'accettazione
dell'invito.
Io,
infatti,
non
lo
considero
come
un
dono,
n
lo
tratto
come
tale,
a
meno
che,
nel
varcare
la
soglia
della
casa,
non
sia
sollecitato
a
farlo,
cos
da
donarmi
alla
persona
che
mi
ha
invitato,
cosa
che,
in
qualche
modo,
io
compio
nel
gesto
stesso
di
accettare
il
suo
invito.
Non
era
per
semplice
coincidenza
che
i
Romani,
insieme
al
saluto
di
benvenuto,
scambiavano
la
parola
servus
con
i
loro
ospiti.
Questa
parola,
come
ben
sappiamo,
non
significa
"servo",
bens
"schiavo",
ma,
in
questo
caso,
uno
schiavo
di
propria
spontanea
volont,
in
questo
caso.
Quindi
donare
significa
affermare,
in
un
modo
particolare,
la
persona
a
cui
si
dona
qualche
cosa,
a
causa
della
persona
stessa,
attraverso
il
dono
di
se
stessi.
Similmente,
ringraziare
qualcuno
per
un
dono
pure
una
speciale
affermazione
del
donatore
in
quanto
tale.
Cos
si
pu
parlare
di
vera
gratitudine
solo
nell'ambito
di
un
amore
reciproco,
disinteressato,
tra
la
persona
donante
e
la
persona
ricevente.
Il
dono
un
segno
specifico
e
un
modo
speciale
per
riconoscere
l'amore.
Perfino
doni
molto
costosi,
se
dati
senza
l'intenzione
di
affermare
l'altro
con
amore
disinteressato,
non
meritano
il
nome
di
doni
e
l'accettazione
di
essi
non
merita
il
nome
di
gratitudine,
anche
se
legata
alle
corrispondenti
assicurazioni
verbali
e
ai
gesti
convenzionali,
interpretati
solitamente
come
segni
di
gratitudine.
Da
queste
osservazioni
si
possono
trarre
almeno
due
conclusioni:
la
prima,
che
la
vera
gratitudine
molto
rara;
la
seconda,
che
un
vero
dono,
tale
da
suscitare
autentica
gratitudine,
capita
assai
di
rado.
Dare
se
stessi
in
un
dono
una
cosa
difficile,
un
bonum
arduum.
Non
forse
vero
che
quanto
appare
come
un
dono
troppo
spesso
un
sottile
atto
di
manipolazione
di
un'altra
persona,
un
modo
per
acquistare
simpatia
o
influenza,
per
garantire
i
propri
interessi
con
l'aiuto
di
un
altro?
In
altri
termini,
un
atto
di
annessione,
forse
addirittura
di
aggressione,
a
cui
si
pu
opporre
assai
scarsa
resistenza;
oppure,
forse,
fin
dall'inizio,
163
entrambe
le
parti
ritengono
il
dono
e
la
corrispettiva
gratitudine
per
esso,
solo
come
una
convenzione,
una
specie
di
gioco
sociale
che
non
comporta
conseguenze
morali
e
che
termina
come
ogni
gioco,
quando
i
partecipanti
decidono
di
sospenderlo.
Ero
solito
ritenere
che
gli
esseri
umani
sono
in
realt
incapaci
di
esprimere
gratitudine
in
modo
appropriato,
nemmeno
quando
ricevono
un
vero
dono.
Non
credevo
le
persone
capaci
di
ringraziare
Colui
al
quale
per
primo
dovevano
rendere
grazie.
Infatti,
qualunque
cosa
una
persona
riceva
da
un'altra,
la
riceve,
in
ultima
analisi,
da
Dio
stesso.
Ma
agli
occhi
di
Dio,
l'uomo
una
creatura
estremamente
indigente.
Allora
come
pu
egli
rivolgersi
a
Dio
in
altro
modo
se
non
per
chiedere
aiuto
a
motivo
delle
proprie
indigenza,
per
una
qualunque
ragione
che
non
sia
egoistica?
Come
pu
quindi
ringraziare
Dio
in
modo
appropriato
e
adeguato
al
dono
e
al
Donatore?
Io
pensavo
che
per
ringraziare
Dio
in
modo
appropriato
e
adeguato
bisognava
essere
uguali
a
Lui,
bisognava
essere
Dio
stesso.
Ma
poich
assolutamente
impossibile
ringraziare
Dio
in
modo
appropriato,
mi
sembrava
Impossibile
ringraziare
chiunque
altro
in
modo
adeguato,
specialmente
ringraziare
una
persona
per
il
dono
di
se
stessa.
Sed
contra...
Una
scoperta
nell'inno:
Gloria
in
Excelsis
Deo
La
mia
convinzione
sub
una
piccola
rivoluzione
quando
incontrai
la
musica
di
Johann
Sebastian
Bach
che
scosse
la
mia
certezza
nel
dubitare
sulla
capacit
di
una
persona
di
esprimere
autentica
gratitudine.
Voglio
riprendere
brevemente
il
tema
della
gratitudine
da
una
direzione
inattesa:
dalla
capacit,
ossia,
che
l'uomo
che
creazione
di
Dio
e
perci
bisognoso
di
Dio
per
sua
stessa
natura,
capace,
ci
nonostante,
di
donarsi
a
Dio,
dando
cos
compimento
alla
sua
esigenza
primaria
di
ringraziare
Dio
in
modo
adeguato,
cio,
"vere,
dignum
et
justum
est
Deo
gratias
agere".
Vorrei
dimostrare
che
questo
non
solo
possibile,
ma
anche
moralmente
imperativo
per
l'uomo
in
quanto
uomo.
Non
so
esattamente
quando
per
la
prima
volta
entrai
in
contatto
con
Bach.
Mi
era
gi
noto
e
avevo
ascoltato
la
sua
musica
molto
tempo
prima
di
cedere
alla
magia
dei
suoi
piccoli
preludi
per
pianoforte.
Li
avevo
suonati
per
la
prima
volta
quando
prendevo
lezioni
di
piano
durante
gli
studi
teologici
all'Universit
Jagellonica
di
Cracovia.
Ma
non
ogni
incontro
identico.
Quello
decisivo
per
me
avvenne
molto
pi
tardi,
quando
sentii
la
Messa
in
si
minore.
Ascoltavo
il
disco
in
continuazione
mentre
lavoravo
al
testo
della
mia
abilitazione
a
Lublino
e
quindi
con
attenzione
divisa.
Ma
ogni
volta
che
lo
sentivo,
ero
costretto
a
interrompere
il
mio
lavoro
all'avvicinarsi
di
un
brano
particolare.
La
musica
di
questo
pezzo
assorbiva
la
mia
intera
attenzione,
la
mia
completa
concentrazione.
L'ascolto
della
Messa
era
diventato
per
me
l'attesa
di
questo
solo
brano
e
dalla
musica
di
questo
frammento
comprendevo
tutto
il
significato
della
Messa,
la
totalit
nel
frammento,
das
Ganze
im
Fragment.
Quale
sorpresa
non
provai,
quando
le
parole
irruppero
improvvisamente
nella
mia
coscienza.
Esperimentai
in
tutta
la
sua
potenza,
quello
che
in
un
certo
senso
sospettavo.
Sebbene
in
antecedenza
avessi
sentito
l'inno
Gloria
in
excelsis
Deoinnumerevoli
volte
e
con
esso
le
parole
gratias
agimus
Tibi
propter
magnam
gloriam
Tuam,
fino
a
qual
momento
non
avevo
mai
provato
nella
profondit
della
mia
esistenza
che
cosa
significasse
ringraziare
Dio
non
solo
per
quanto
avevo
ricevuto
da
Lui,
ma
piuttosto
per
quello
che
Egli
mi
permetteva
di
conoscere
del
Suo
essere
pi
intimo,
della
sua
magnificenza.
Infatti,
io
non
Lo
ringrazio
in
primo
luogo
per
quanto
Egli
mi
permette
di
esperimentare
come
summum
appetibile,
cio
per
mio
stesso
vantaggio,
ma
piuttosto
per
quanto
Egli
mi
permette
di
esperimentare
come
summum
affirmabile,
per
se
stesso,
propter
magnam
gloriam
Tuam.1
Forse
non
avrei
mai
scoperto
la
profondit
di
queste
parole
nel
loro
pieno
significato
senza
Bach
e
il
suo
prodigio
musicale.
164
L'anonimo
autore
dell'inno
vi
esprime
la
reale
possibilit
dell'uomo,
il
suo
reale
bisogno
e
obbligo
di
ringraziare
Dio
e
di
ringraziarLo
in
un
certo
modo.
Egli
non
cerca
di
provare
nulla
a
nessuno.
Probabilmente
non
mostrerebbe
alcun
interesse
per
un
dotto
convegno
sulla
gratitudine.
Una
sola
cosa
conta
per
lui:
l'atto
di
ringraziare.
L'inno
lascia
supporre
che
egli
ringrazi
Dio
e
che
Lo
ringrazi
in
questo
modo,
propter
magnam
gloriam
Tuam.
Con
queste
parole
egli
testimonia
quello
che
esperimenta.
Che
differenza
fa
che
l'umilt
gl'imponga
di
celare
a
noi
il
suo
nome,
dal
momento
che
egli
esprime
con
le
sue
stesse
parole
la
pienezza
delle
possibilit
umane
e
di
conseguenza
le
possibilit
di
noi
tutti?
Facendo
cos,
egli
non
si
presenta
a
noi
in
modo
insolito
e
particolare?
Nel
ringraziare
Dio
per
l'estensione
della
Sua
Gloria,
rappresentando
cos
tutti
gli
uomini,
egli
rivela
che
la
vera
gratitudine
verso
Dio
consiste
nel
gratias
agimus
Tibi
propter
magnam
gloriam
Tuam.
Noi
scopriamo
per
mezzo
di
Bach
e
l'ignoto
autore
del
Gloria
che
possibile
fare
ci
che
dapprima
sembrava
assolutamente
impossibile.
Questa
creatura
indigente
che
umana,
affascinata
e
attratta
da
Dio,
capace
di
ringraziarLo
in
questo
modo,
di
liberare
dal
suo
intimo
possibilit
e
aspirazioni
e
di
trascendere
se
stesso.
Naturalmente,
ci
si
pu
chiedere
se
chi
ringrazia
Dio
in
questo
modo,
che
trova
questo
propter,
questo
"a
motivo
di"
che
lo
mette
in
sintonia
con
l'inno
di
ringraziamento,
se
chi
ringrazia
Dio
per
la
Sua
gloria,
sia
capace
di
compiere
ci
con
le
proprie
possibilit
umane
o
se
non
disponga
di
altre
possibilit
ad
hocche
gli
sono
elargite
da
Dio
stesso.
Ma
davvero
cos
importante
sapere
come
la
glorificazione
di
Dio
sia
possibile
in
confronto
al
fatto
stupendo
che
possibile?
(Perch
questo
un
fatto!)
Ab
esse
ad
posse
valet
consequentia.
Dopo
tutto
ogni
possibilit
umana
in
qualche
modo
un
dono
di
Dio.
Non
so
neppure
come
la
gratitudine
verso
Dio
potrebbe
essere
separata
dalla
glorificazione
di
Dio.
Forse
nemmeno
Bach
lo
sa,
n
egli
sicuramente
si
pone
la
questione.
Egli
sta
semplicemente
in
sospesa
riverenza
di
fronte
a
ci
che
ha
scoperto.
Egli
si
permette
di
lasciarsi
attrarre
da
questa
scoperta
e
cerca
di
condurre
altri
allo
stesso
senso
di
riverenza.
Bach
si
lascia
colmare
della
stessa
gratitudine
mostrata
dall'ignoto
autore
delle
parole
gratias
agimus
Tibi
propter
magnam
gloriam
Tuam
e
incomincia
egli
stesso
a
ringraziare
Dio
con
queste
parole,
come
se
fossero
davvero
sue
e
impresta
loro
la
voce
della
sua
musica.
Mi
ricordo
di
quella
donna
nei
Vangeli,
la
Samaritana,
che
abbandona
la
sua
brocca
presso
il
pozzo.
Ella
dimentica
che
era
venuta
ad
attingere
l'acqua
e
si
allontana
di
corsa
per
annunciare
agli
abitanti
della
citt
la
buona
novella
ricevuta,
al
pozzo
di
Giacobbe,
da
un
uomo
sconosciuto,
che
le
ha
rivelato
il
mistero
del
donatore
contenuto
nel
dono.
Che
cosa
ha
ricevuto
da
quest'incontro?
Che
cosa
spiega
il
suo
grido:
"Venite
a
vedere
voi
stessi"?
(cfr.
Gv
4,
29).
Non
forse
il
modo
con
cui
lo
sconosciuto
si
rivolto
a
lei
usando
le
parole:
"Se
tu
conoscessi
il
valore
del
Dono
di
Dio
e
se
tu
conoscessi
chi
Colui
che
ti
ha
chiesto:
Dammi
un
sorso
d'acqua"?2
Per
tornare
a
Bach,
io
penso
che
le
parole
gratias
agimus
Tibi
propter
magnam
gloriam
Tuam,
lo
abbiano
commosso
profondamente
cos
da
non
riuscire
pi
a
liberarsene
n
a
desiderare
una
tale
liberazione.
Come
avrebbe
potuto
desiderare
di
svincolarsi
da
ci
che
rappresenta
l'apice
della
libert,
la
suprema
possibilit,
quella,
cio,
a
cui
aspiriamo
al
di
sopra
di
tutto?
Poteva
Bach,
mentre
creava
"L'arte
della
fuga",
l'opera
pi
perfetta
della
sua
vita,
attribuire
a
Dio,
suo
Creatore,
le
seguenti
parole,
con
una
sensazione
di
pace
e
di
fiducia
assolute:
"BACH,
sei
tu,
Johann
Sebastian
Bach,
proprio
tu
che
Io
ora
sto
per
incontrare?"
Cos
non
certo
per
pura
coincidenza
che
Bach
riprenda
la
musica
del
Gloria
alla
fine
dellaMessa.
Questo
genio
dalle
infinite
possibilit
creative,
decise
di
ripetere
il
tema
alla
conclusione
della
Messa
nel:
Dona
nobis
pacem
e
cos
il
propter
del
Gloria
diventa
il
finale
della
Messa.
Ci
si
pu
chiedere:
"Perch?".
Voglio
tentare
una
risposta.
Egli
doveva
concludere
la
Messa
in
modo
da
lasciare
l'impressione
che
non
debba
finire
mai,
che
continui
per
sempre,
cos
da
trasformarsi
in
un
canto
di
gratitudine
e
di
lode
senza
fine,
gratias
agimus
tibi
propter
magnam
gloriam
Tuam.
165
VERSO
UNA
RISPOSTA
Amatus
sum,
ergo
sum:
sono
amato,
dunque
sono
Se
la
riflessione
sul
donare
e
ringraziare
non
destinata
a
diventare
una
pura
fantasticheria,
essa
deve
basarsi
sull'esperienza.
Presuppongo
che
tutti
abbiano
condiviso
quest'esperienza
in
circostanze
espresse
cos:
"Com'
bello,
che
meraviglia
che
tu
sia
qui",
oppure,
"
Vorrei
che
tu
vivessi
per
sempre".3
A
questa
categoria
appartiene
il
pi
profondo
dei
desideri
umani,
quello
di
dare
alle
persone
amate
una
risposta
al
loro
amore,
colma
di
gratitudine,
che
si
pu
esprimere
in
modo
paradigmatico
con
le
parole:
"Voglio
appartenerti
interamente
e
per
sempre"
(totus
Tuus,
tota
Tua).
Suppongo
che
questi
sentimenti
appartengano
all'esperienza
quotidiana
di
tutti
noi.
Ma
in
relazione
a
queste
esperienze,
sorgono
le
domande
che
evidenziano
i
difficili
problemi
dell'esistenza
umana.
E'
possibile
dare
una
risposta
adeguata
all'offerta
di
una
persona
amata
e
amante,
senza
prima
accettare
di
essere
dell'altro
nel
dono
reciproco
di
s?
Un'altra
domanda
si
presenta:
"Io,
mi
appartengo
abbastanza?
Tu,
ti
appartiene
abbastanza?".
Certo,
il
fondamento
pi
profondo
di
noi
stessi,
della
nostra
misteriosa
esistenza,
non
soggetta
in
alcun
modo
al
nostro
controllo.
Werner
Bergengrn
esprime
quest'esperienza
nella
sua
poesia
Zu
Lehen:
Ich
bin
nicht
mein
Io
non
sono
mio
Du
bist
nicht
dein
Tu
non
sei
tuo
Keiner
kann
sein
eigen
Sein
Nessuno
pu
appartenere
a
se
stesso
Ich
bin
nicht
Dein
Tu
non
sei
Tuo
Du
bist
nicht
mein
Tu
non
sei
mio
Keiner
kann
des
anderen
sein
Nessuno
pu
appartenere
ad
un
altro
Il
poeta
non
ha
forse
ragione?
E'
proprio
a
partire
da
queste
domande
che
il
problema
della
gratitudine
pu
essere
considerato
in
tutta
la
sua
estensione.
La
sua
soluzione
vuol
dire
interrogarsi
e
rispondere
alla
pi
profonda
delle
questioni
sul
significato
dell'identit
(essentia)
ed
esistenza
(existentia)
umane,
anzi,
sul
significato
dell'amore
umano
stesso:
"Da
chi
dobbiamo
accettare
noi
stessi?
Chi
dobbiamo
ringraziare
per
noi
stessi,
cio,
per
l'esperienza
che-noi-siamo
e
per
essere
ci
che
siamo?".
Nulla
mi
rivela
cos
profondamente
e
chiaramente
il
carattere
di
dono
dell'esistenza
quanto
sperimentare
la
mia
contingenza.
Io
non
esistevo,
ma
ora
io
sono.
Non
era
scontato
che
io
ci
fossi
e,
tuttavia,
io
sono
venuto
all'essere.
Io
sono,
quindi,
perch
sono
stato
donato
a
me
stesso.
Non
c'
nulla
per
che
me
lo
rivela
cos
profondamente
e
chiaramente
della
constatazione:
"Com'
bene
che
tu
esista!".
Questa
dichiarazione
ci
mostra
quanto
sia
davvero
contingente
l'esistenza
dell'altro,
dell'amato,
e
quanto
sia
ancora
pi
vero
che
tutto
ci
che
l'altro
,
un
dono.
Ma
un
dono
da
parte
di
chi?
A
chi
dobbiamo
la
nostra
gratitudine?
Nessuno
pu
darsi
se
stesso
o
essere
dono
a
se
stesso.
Neppure
il
riferimento
ai
genitori
risponde
alla
domanda
in
questione,
poich
essa
sorge
proprio
di
fronte
a
genitori
che
piangono
la
morte
del
loro
bambino.4
Quale
grande
potere
necessario
e,
nello
stesso
tempo,
quale
grande
amore
deve
operare
incessantemente
in
modo
che
l'uomo
possa
venire
all'essere
e
alla
vita?
Anzi,
quale
grande
potere
opera
direttamente
e
ininterrottamente
cos
che
l'uomo
possa
continuare
a
vivere?
Non
forse
necessario
l'incontro
dell'amore
con
l'onnipotenza
per
risolvere
l'enigma
del
dono
dell'esistenza
personale?
L'vidence
de
l'experience,
come
disse
Leibniz,
conduce,
attraverso
la
spiegazione
logico-riduttiva
dell'esperienza,
all'unica
risposta
della
domanda
pi
sopra
formulata,
all'vidence
de
la
raison.
166
Alla
sorgente
pi
profonda
della
riverenza,
da
cui
sgorga
l'esternarsi
d'ogni
umana
esclamazione:
"Com'
bene
che
tu
esista!",
sta
l'atto
primario
del
riconoscimento
creativo,
l'atto
dell'amore
personale
congiunto
all'onnipotenza.
La
"bont
dell'esistenza"
rappresentata
nel
libro
della
Genesi
come
conseguenza
del
comando
divino:
"Fiat!"
(cfr
Gn
1,
3-26),
un
ordine
che
diretto
in
modo
unico
e
irreversibile
ad
ogni
singola
persona,
ad
ogni
individuo,
al
punto
che,
senza
questa
persona,
il
mondo,
nella
prospettiva
dell'amore
assoluto
e
onnipotente,
da
quel
momento
in
poi,
semplicemente
non
potrebbe
pi
essere
lo
stesso.5
Se
noi
comprendiamo
a
fondo
e
possiamo
spiegare
la
verit
del
donare
e
ringraziare
come
dono
reciproco
di
una
persona
ad
un'altra,
allora
dobbiamo,
innanzitutto,
affermare
con
il
patriarca
Giacobbe:
"Veramente
c'
il
Signore
in
questo
luogo
e
io
non
lo
sapevo!"
(Gn
28,
16).
Dio
qui
in
mezzo
a
noi
e
forse
anche
noi
non
lo
sappiamo.
La
sola
ragione,
infatti,
che
io
affatto
sono,
che
possa
affatto
essere,
che
il
Creatore
continuamente
mi
rende
presente
a
me
stesso.
Io
esisto
solo
come
un
dono
e
tu
esisti
solo
come
un
dono.6
Agostino
direbbe
probabilmente:
"Io
sono
amato,
dunque
io
sono,
io
sono
amato
creativamente,
dunque
io
sono.
Amatus
sum,
ergo
sum.
7
Il
Creatore
non
obbligato
a
creare
nessuno.
Egli
non
obbligato
a
fare
a
nessuno
il
dono
di
esistere
come
persona.
Egli
rimane
completamente
libero
nelle
Sue
decisioni.
Tuttavia,
quando
Egli
decide
di
creare
me,
di
fare
di
me
un
dono
a
me
stesso,
Egli
non
pu
farlo
in
altro
modo
che
donandomi
anche
Se
Stesso.
Infatti,
Egli
Stesso
deve
essere
in
me
e
deve
operare
in
me,
donando
dal
di
dentro
di
me,
cos
che
io
possa
affatto
esistere.
Egli
Stesso
deve
essere
radicalmente
presente
in
noi,
intimior
intimo
nostro,
in
actu
et
in
persona.
Actiones
sunt
suppositorum,
actus
personarum.
8
Il
semplice
fatto
che
noi
esistiamo
sufficiente
per
stabilire
questa
verit
definitivamente:
in
quanto
Dio
Creatore
fa
di
noi
un
dono
a
noi
stessi,
Egli
si
da
a
noi
completamente
come
un
dono.
E'
dunque
giusto
dire
che
noi
esistiamo
perch
Dio
Creatore
dona
se
stesso
a
noi
incessantemente,
quia
Deus
bonus
est
nos
sumus.
Io
non
solo
incontro
me
stesso,
quando
desidero
sinceramente
incontrarmi
in
me.
Io
non
solo
incontro
te
in
te,
quando
desidero
sinceramente
incontrarti
in
te.
E
che
cosa
succede,
quando
desidero
fare
dono
di
me
stesso
ad
un'altra
persona
o
quando
accetto
un'altra
persona
nel
suo
donarsi
a
me?
In
che
cosa
consister
allora
la
gratitudine
adeguata
e
soprattutto
a
chi
sar
dovuta?
Amo,
ergo
sum:
amo,
dunque
sono
Il
donarsi
di
Dio
ovviamente
non
pu
essere
semplicemente
la
comunicazione
di
un
dono,
non
pu
essere
pura
informazione.
E'
una
dichiarazione
d'amore
per
eccellenza
e
un'attesa
di
riscontro
circa
l'accettazione
del
dono.
E'
una
specie
d'invito
alla
comunione
nel
donarsi
ad
un
altro.
L'uomo
diventa,
a
questo
punto,
una
teofania
per
eccellenza.
Egli
diventa
colui
nel
quale
Dio
opera:
il
suo
incontro
creativo
e
nello
stesso
tempo
colui
che
incontra
Dio,
colui
nel
quale
Dio
desidera
essere
accettato
dall'uomo
come
dono.
Ma
che
cosa
significa
tutto
questo
per
l'autentica
comprensione
di
me
stesso
e
per
l'autentica
identificazione
con
me
stesso
in
una
libera
e
onesta
auto-elezione,
dato
il
fatto
che
io
sono
e
che
sono
colui
che
sono,
grazie
unicamente
a
un
dono
di
Dio?
A
livello
dell'essere,
cio,
a
livello
della
costituzione
originale,
creativa,
metafisica
di
me
stesso,
ci
significa
che
Dio,
mio
Creatore,
viene
ad
incontrarmi
personalmente
a
partire
dalla
parte
pi
intima
del
mio
essere,
per
riconoscermi
e
accettarmi
come
un
dono
nel
rispetto
della
verit
sulla
mia
struttura
ontica.
A
livello
interiore,
soggettivo
dell'auto-costituzione,
cio,
la
costituzione
secondaria,
cognitiva
e
moralmente
creativa
di
me
stesso,
ci
significa
che
io
non
mi
dischiudo
come
un
soggetto
di
auto-conoscenza
per
identificarmi
cos
con
me
stesso,
finch
non
mi
comprendo
come
un
dono
del
mio
personale
creatore,
attraverso
il
mio
stesso
atto
di
conoscenza
e
nel
mio
stesso
atto
di
conoscenza.9
E
solo
a
questo
punto
io
mi
affaccio
alla
soglia
della
cosa
pi
importante...
167
168
IN
SANCTUARIO
GRATIARUM
AGENDI...:
ALLA
RICERCA
DEL
TEMPIO
PER
L'
AZIONE
DI
GRAZIE
Quando
chi
cerca
trova...
Non
dovrebbe
stupire,
quindi,
il
fatto
che
chi
cerca
la
verit
o
la
Verit
gi
racchiuso,
fin
dall'inizio,
nel
suo
abbraccio.
Chi
cercherebbe
la
verit,
se
non
si
fosse
gi
arreso
al
potere
della
sua
magnetica
influenza?
Una
volta
avviata
la
sua
ricerca,
non
si
gi
superata
la
soglia
della
sua
dimora?
"Tu
non
mi
cercheresti,
se
non
mi
avessi
prima
trovato",
dice
B,
Pascal.
Questa
espressione,
in
realt,
non
sorprende,
in
particolare
quando
hai
scoperto
che
la
verit
su
di
te
che
stai
cercando
l'Amore
Personale,
quando
ti
sei
accorto
che
questa
verit
,
invero,
il
Personale
Infinito
Amore
Creante.
Ecco
perch
Qualcuno
pot
dire
e
continuamente
ripete:
"Io
sono
la
Verit"
(Gv
14,
6).
Tuttavia
solo
quando
chi,
postosi
alla
ricerca
dell'Infinito,
scopre
improvvisamente,
lungo
il
cammino
verso
di
Lui,
che
il
nocciolo
del
problema
ha
subito
un
cambiamento
radicale,
che
lo
scopo
non
pi
di
trovare
l'Infinito
e
neppure
di
lasciarsi
trovare
da
Lui,
ma
piuttosto
di
ringraziarLo,
solo
quando
chi
cerca,
riconosce
che
unicamente
donando
Dio
a
Dio
si
da...se
stessi
a
Lui,
davvero
soltanto
allora
che
si
pu
trovare
la
propria
totale
realizzazione
e
la
propria
vera
identit,
anzi,
solo
allora
che
si
incomincia
a
vivere
davvero.
Ci
veramente
incredibile
e
stupefacente.
Ma
insieme,
la
pi
grande
sorpresa
della
vita,
la
pi
grande
avventura
che
sia
possibile.
Questo
fatto
costituisce
un
evento
sul
cammino
verso
l'Infinito
e
contemporaneamente
un
evento
sul
cammino
verso
la
pi
intima
profondit
del
proprio
essere.
In
principio
tale
occorrenza
capita
quasi
inaspettatamente,
ha
luogo
semplicemente
sul
cammino
dell'uomo
avviato
alla
propria
autoconoscenza.
Ma
non
dovrebbe,
invece,
diventare,
in
modo
del
tutto
speciale,
il
suo
compimento
e
cos
il
massimo
evento
lungo
i
sentieri
verso
la
sua
libert?
Questa
occorrenza
non
dovrebbe
diventare
l'ora
della
sua
nascita
alla
vita
nuova,
il
momento
della
sua
decisione
e
opzione
fondamentale?
Ringraziare
significa
accettare
il
donatore
della
vita
nel
dono
delle
vita
In
realt,
il
riconoscimento
deIl'Infinito
in
me
stesso,
il
riconoscimento
del
mio
"Tu"
in
me,
esige
un
riesame
radicale
di
tutti
i
valori.
Richiede
che
io
guardi
alla
mia
intera
vita
da
una
nuova
prospettiva:
io
provengo
dal
Suo
dono!
Io
sono
Suo
figlio.
Il
mio
"Io"
iscritto
in
Lui
per
sempre!13
Egli
intimior
intimo
meo
e
per
questo
Io
sono!
Dunque,
vivere,
vivere
realmente,
significa
ringraziare!
Il
tempo
che
non
speso
in
rendimento
di
grazie,
tempo
perduto.
E
allora?
Non
dovremmo
incominciare
con
una
radicale
"riordinamento
della
vita"
per
amore
della
sua
melior
pars,
cercando
il
luogo
pi
conveniente
per
rendere
grazie?
Non
dovremmo
incominciare
a
trovare
la
nostra
Bethania,
per
amore
dell'unum
necessarium,
per
amore
dell'unica
cosa
necessaria
e
importante
nella
vita?
Non
dovremmo
incominciare
a
scalare
"la
santa
montagna
della
Trasfigurazione
e
del
Ringraziamento,
cos
da
trasformare
tutta
la
nostra
vita
in
un'incessante
atto
di
donare
Dio
a
Dio,
in
un'ininterrotto
pensare
totus
Tuus,
tota
Tua,
in
un
permanente
rendimento
di
grazie
al
Padre,
"in
spirito
e
verit"
(Gv
4,
24)?
Dovrebbe
davvero
essere
cos!
Nulla
di
meno
e
nulla
di
pi
di
questo.
E'
proprio
di
questo
che
qui
si
tratta,
solo
che
il
tempio
del
ringraziamento
al
Padre
"in
spirito
e
verit",
non
lontano
dalla
vita,
non
in
qualche
luogo
remoto.
Questo
tempio,
in
realt,
nel
centro
stesso
della
vita!
Cos
non
necessario
darsi
alla
fuga,
bens
ritornare
alla
vita,
ritrovare
la
Sorgente!
E'
un
ritorno
al
Donatore
della
vita
nel
Suo
dono
per
eccellenza,
che
il
dono
della
vita
umana:
humanae
vitae
donum.
E'
la
vita
stessa,
la
vita
personale
di
ogni
uomo
e
di
tutti
gli
uomini
con
il
suo
essenziale,
169
irrepetibile
volto,
che
costituisce
"il
dono
di
Dio"
.
Perci
ogni
vita
anche
"il
luogo
di
Dio",
il
luogo
dove
il
Donatore,
Donator
in
dono,
Colui
che
si
dona
a
ogni
uomo,
pi
radicalmente
attivo
e
pi
radicalmente
presente
in
persona!
Si
pu
trovare
o
eleggere
un
luogo
pi
adatto
per
ringraziare
Dio
del
dono,
in
cui
Egli
dona
se
stesso?
Si
pu
trovare
o
scegliere
un
modo
pi
appropriato
per
ringraziare
il
Donatore
della
vita,
che
mostrare
rispetto
per
la
vita
personale,
che
il
Suo
dono
per
eccellenza?
Invero,
ogni
volta
che
una
nuova
vita
umana
concepita,
ogni
volta
che
inizia,
nasce
e
continua,
il
Padre
stesso
esercita
la
Sua
Paternit,
il
Creatore
si
erige
un
tempio
vivente,
cos
che
possiamo
renderGli
il
nostro
grazie
accogliendoLo
nel
dono
della
vita
e
in
questo
modo
donare
Lui
a
Lui
stesso.
Di
conseguenza,
ogni
volta
che
trattiamo
con
la
vita
umana,
trattiamo
con
il
Padre;
trattiamo
con
un
luogo
sacro,
con
il
tempio
dell'azione
di
grazie.
Toglietevi
i
calzari!
E'
un
luogo
dove
il
rendimento
di
grazie
doveroso:
riconoscere
in
Lui
il
Padre
di
tutti
i
Suoi
figli,
in
ciascuno
dei
Suoi
figli!
Qui
postet
capere,
capiat!
Chi
pu
intendere,
intenda!
Ringraziare
dio
significa
accettare
il
dono
delle
sorelle
e
dei
fratelli
Una
volta
riconosciuto
l'Infinito
Donatore
e
compreso
chi
Egli
,
colui
che
Lo
ha
cercato,
ritrova
se
stesso
(nell'atto
stesso
di
scoprire
la
verit
su
Dio
e
su
se
stesso),
nella
morsa
di
questa
verit,
nella
morsa
della
verit
su
quell'unione
che
una
chiamata
alla
comunione
personale
con
il
Donatore
Personale.
Ma
questa
morsa
non
rende
schiavi,
al
contrario,
ha
il
potere
di
indicare
all'uomo
l'unica
via
che
conduce
all'apogeo
del
suo
essere.
Accettando
di
essere
"condannato"
a
questa
comunione,
io
non
ho
accettato
la
subordinazione
di
uno
schiavo
da
parte
del
tiranno,
bens
l'appartenenza
apportatrice
di
vita
di
un
figlio
nei
confronti
del
Padre.
Questa
appartenenza
esprime
la
mia
accettazione
del
legame
che
esiste
tra
me
e
la
Sorgente
vitale
e
quindi
l'unico
modo
per
arrivare
alla
pienezza
di
vita,
l'unico
mio
modo
per
raggiungere
l'apogeo
del
mio
essere,
per
esercitare
la
mia
libert
nel
mutuo
scambio
del
dono
di
s,
l'unico
mio
modo
per
raggiungere
la
libert
nell'amore.
Accettando
il
mio
essere
"destinato"
a
questa
comunione,
io
ho
scelto
contemporaneamente,
nel
Padre,
la
comunione
con
tutti
quelli
ai
quali
Egli
stesso
ha
desiderato,
pi
che
mai,
di
dare
un
volto
umano,
tale
da
essere
unico
tra
tutti
gli
altri.
Cos
ho
scelto
la
comunione
con
ognuna
e
con
tutte
le
mie
sorelle,
con
ognuno
e
con
tutti
i
miei
fratelli.
Chi
ha
riconosciuto
che
ciascuna
e
tutte
le
persone
umane,
senza
eccezione
alcuna,
sono
persone
con
cui
il
Creatore
stabilisce
un
confronto
personale,
che
ciascuna
e
tutte
le
persone
sono
un
luogo
"dove"
il
Creatore
le
incontra,
vedr
pure
che,
da
quel
momento
in
poi,
non
pu
esserci
alcun
"s"
per
Dio
o
per...
se
stessi,
espresso
in
altro
modo
che
con
un
"s"
per
ogni
"luogo",
in
cui
la
Sua
eterna,
irrevocabile
manifestazione
creatrice,
unica
verso
ogni
singolo
"Io",
pu
essere
udita:
Amo
te,
ergo
es!".
"Io
ti
amo,
dunque,
tu
esisti!!".
Ogni
persona
,
perci,
...
unica!
Ognuna
"il
santuario
di
Dio",
una
casa
dell'adorazione
dovuta
all'infinito
Creatore.
Ognuna
proviene
da
un
dono
e
ognuna
un
luogo
di
azione
di
grazie
per
il
dono
di
tutte
le
altre
persone,
per
l'infinito
Amore
di
Dio
verso
di
esse.
Chi
ha
scoperto
l'infinito
dopo
averLo
riconosciuto
in
ogni
persona
vivente,
senza
eccezione,
cos
chiamato
ad
un
difficile
atto
di
gratitudine
Nel
ringraziare
per
l'accettazione
del
dono,
si
deve
essere
in
grado
di
reggerne
tutto
il
peso.
Un
"s"
al
Donatore
della
vita,
un
"s"
di
un
figlio
che
ha
riconosciuto
il
proprio
essere,
in
quanto
figlio
di
un
tal
Padre,
trover
la
trasposizione
e
l'interpretazione,
l'espressione
adatta
e
l'ineffabile
"prova
della
verit",
solamente
in
un
"s"
assoluto,
rivolto
ad
ogni
persona,
senza
eccezione.
Sar
in
grado
di
sostenere
Dio,
solo
colui
che
riuscito
a
percepirLo
in
ogni
persona,
che
riuscito
a
sostenere
tutto
il
rispetto
dovuto
a
Dio,
presente
in
ogni
persona
e
in
se
stesso.
Ecco
che
cosa
significa
adorare
il
Padre
"in
spirito
e
verit".
Ecco
che
cosa
significa
rivolgersi
a
Dio
come
Abba,
"Padre",
mediante
un'azione!
Cos
non
adorer
il
Padre
chi
ripete
continuamente:
"Padre,
Padre",
bens
chi
accetta
il
Padre
nel
Suo
dono,
170
chi
Lo
riceve
insieme
con
il
dono,
chi
Lo
accetta
in
qualunque
di
questi
"minimi"
figli
Suoi.
Sant'Ambrogio,
grande
Patrono
di
Milano
e
della
Chiesa,
direbbe:
"Voi
avete
chiamato
Dio,
vostro
Padre.
Prendete,
dunque,
pienamente
coscienza
di
ci
che
avete
fatto".
Quando
chi
ha
scoperto
l'Infinito
incomincia
a
ringraziare
Dio
in
questo
modo,
quando
s'impegna
di
portare
il
peso
del
dono
appena
riconosciuto,
egli
cambia
radicalmente
il
corso
della
storia
del
genere
umano,
perfino
se
non
avesse
ancora
compreso
la
portata
di
questo
fatto.
Egli
contribuisce
a
costruire
una
civilt
autenticamente
umana,
egli
incomincia
a
forgiare
una
nuova
storia
dei
popoli,
una
storia
in
cui
chi
non
ancora
nato
nulla
deve
temere
da
chi
gi
nato,
una
storia
in
cui
neppure
il
pi
debole
deve
avere
paura
del
pi
forte.
In
questa
storia
non
c'
spazio
per
plus
vis
quam
veritas.Questa
storia
governata
e
diretta
solo
dal
principio
plus
veritas
quam
vis.
E'
segnata
dalla
prima
fondamentale
verit(veritas)
sull'uomo:
egli
proviene
da
un
dono!
Questa
anche
la
verit
circa
la
libera
fratellanza
tra
gli
uomini,
la
verit
riguardante
la
solidariet
di
ognuno
per
tutti,
la
solidariet
liberamente
voluta
da
tutti,
quale
risultato
della
scelta
del
Padre,
della
scelta
del
"dono
di
Dio!".
Che
cosa
se
non
questa
verit
avrebbe
potuto
far
s
che
Beethoven,
completamente
sordo
a
quel
tempo,
sentisse
l'imperativo
di
cantare
la
sua
gratitudine
a
Dio
con
le
parole
dell'Inno
alla
gioia
di
Schiller:
"Seid
umschlungen
Millionen,
diesen
Ku
der
ganzen
Welt!
Brder!
berm
Sternenzelt
mu
ein
lieber
Vater
wohnen!"?
(Siate
avvolti,
o
voi
Milioni,
in
questo
bacio
del
mondo
intero!
Fratelli!
Al
di
sopra
della
volta
stellata
deve
abitare
un
Padre
amoroso!).
Eppure
Egli
profondamente
presente
in
ciascuno
di
noi,
nel
continuo
dono
che
Egli
ci
fa
di
s.
Intimior
intimo
nostro.
E'
da
questa
profondit
interiore
di
ciascuno
di
noi,
dalla
profondit
che
pi
profonda
di
noi
stessi,
che
Egli
dona
noi
a
noi
stessi,
con
il
potere
dell'amore
del
Suo
Bacio
Creatore,
inseparabile
da
se
stesso!
Infatti,
in
Dio
tutto
Dio!
Egli
pi
vicino
a
noi
di
quanto
noi
non
lo
siamo
a
noi
stessi!
Egli
in
noi.
"Seid
umschlungen,
Millionen,
diesen
Ku
der
ganzen
Welt!"
(Siate
avvolti
in
questo
bacio...!).
Ringraziare
significa
scoprire
il
sacrum
nel
profanum
Da
dove
dobbiamo
iniziare?
Non
dobbiamo,
forse,
incominciare
da
una
reiterata
scoperta
del
luogo
che
segna
"il
passaggio
del
Signore",
transitus
Domini,
"il
passaggio
del
Donatore
della
vita?"
Non
dobbiamo,
forse,
incominciare
con
una
reiterata
scoperta
del
luogo
e
del
tempo
che
il
Creatore
stesso
ha
eletto,
perch
gli
unici
degni
del
miracolo
della
Creazione?
Infatti
sappiamo
che
il
Creatore
ha
scelto,
quale
luogo
del
suo
passaggio,
il
centro
dell'unione
personale
dell'uomo
e
della
donna
nell'
atto
dell'amore
sponsale
che
si
realizza
nel
dono
della
vita
a
un
nuovo
essere
umano.
Per
quanto
possa
apparire
strano,
sembra
che
molti
contemporanei
non
riconoscano
pi
la
profondit
di
questo
atto,
sebbene,
proprio
a
motivo
di
questa
profondit,
l'
atto
del
dono
di
s
abbia
ricevuto
un
nome
assai
pertinente,
che
evidenzia
il
suo
carattere
di
dono
reciproco
da
parte
degli
sposi.
E'
ancora
peggiore
il
fatto
che
i
nostri
contemporanei
abbiano
perso
l'abitudine
di
riconoscere,
in
quest'atto,
l'altare
dove
si
compie
il
miracolo
della
creazione
dell'uomo.
Ma
ci
non
cambia
affatto
la
sostanza
della
cosa:
questo
l'altare
del
Dio
Creatore,
l'altare
del
Dio
dell'Amore
e
del
Dio
della
Vita.
Chi
ha
scoperto
l'Infinito,
cos
chiamato
a
rivelare
a
tutti
i
nostri
contemporanei
il
mistero
del
rendimento
di
grazie
e
dell'adorazione
del
"Padre
in
spirito
e
verit",
in-una
caro-
communione,
inerente
all'atto
sponsale
dell'amore.
Infine,
egli
chiamato
a
rivelare
loro
che
gli
sposi
sono
davvero
ministri
di
Dio
Creatore
e
dispensatori
del
Suo
amore
creante.
Chi
ha
afferrato
l'Infinito
chiamato
in
modo
particolare
ad
abbattere,
una
volta
per
sempre,
il
tragico
muro
dell'equivoco
che
l'inconsistente
civilt
tecnologica
della
modernit
ha
eretto
tra
il
sacrum
del
tempio,
da
un
lato,
e
il
supposto
profanumdella
casa
e
del
letto
sponsale,
dall'altro.
171
Non
forse
il
caso
che
l'adorazione
del
sacrum,
questo
grande
mistero
dell'adorazione
del
Padre
e
di
ringraziamento
a
Lui,
"in
spirito
e
verit",
per
tale
DONO,
inizi
proprio
dove
due
persone
sono
pi
intimamente
unite
nel
Suo
nome?
Cos
chi
ha
riconosciuto
l'Infinto
deve
essere
particolarmente
sensibile
alla
natura
sacra
del
momento
in
cui
il
matrimonio,
nel
diventare
famiglia,
affronta
la
"prova
della
verit"
della
propria
identit.
Colui
che
ha
riconosciuto
suo
Padre
in
Dio
deve
far
s
che
gli
altri,
come
pure
egli
stesso,
si
mostrino
molto
sensibili
a
questa
"sacra
soglia",
dove
si
presenta
la
tentazione,
assai
pericolosa
nel
mondo
moderno,
di
respingere
il
Donatore
respingendo
il
dono,
che
Egli
solo
pu
offrire
e
nel
quale
Egli
pi
intimamente
presente:
il
dono
della
vita.
Questa
tentazione
accompagnata
da
un'altra
che
non
meno
perversa
della
prima:
quella,
cio,
di
manipolare
il
Donatore
imponendoGli
ci
che,
invece,
possibile
e
lecito
accogliere,
solo
come
dono
Suo.
Questa
seconda
tentazione
particolarmente
perversa,
dal
momento
che
il
dono
di
un
Donatore
infinito,
una
persona
umana
e
non
un
oggetto!
Ecco,
perch
la
protezione
del
carattere
sacro
del
"luogo"
del
matrimonio
che
costituisce
la
soglia
della
vita,
formata
dalla
libera
decisione
presa
da
due
persone,
diventata
oggi
"la
prova"
e
la
garanzia
della
sopravvivenza
di
tutto
ci
che
differenzia
la
civilt
della
vita
e
dell'amore
dalla
civilt
della
morte
e
dell'odio.
Essa
pure
diventata
"la
prova"
e
la
garanzia
della
sopravvivenza
di
tutto
ci
che
distingue
la
cultura
autentica
dalle
sue
mere
apparenze,
di
tutto
ci
che
aiuta
a
riconoscere
la
crescita
vera
e
di
cogliere
l
limiti
che
la
separano
dal
suo
crepuscolo.
Cos
dobbiamo
incominciare
a
riscoprire
l'atto
del
dono
di
s!
Chi
commette
un
errore
a
questo
riguardo,
compromette
la
soluzione
della
sostanza
del
problema.
Dobbiamo
incominciare
a
rispettare
i
modi
e
i
tempi
del
"passaggio
del
Signore",
il
Donatore
di
tutti
i
doni.
E'
cos
che
Egli
deve
essere
riconosciuto
e
accolto
"in
spirito
e
verit",
come
Donatore
nel
suo
dono,
come
Donatore
nel
"Dono
di
Dio",
Donatorem
in
humanae
vitae
dono...
Solo
allora
l'uomo
pu
riconoscere
e
accettare
anche
se
stesso.
E
solo
allora
pu
costruire
in
se
stesso,
come
pure
in
altri,
sia
ci
che
"appartiene
a
lui"
sia
ci
che
"appartiene
a
Dio".
Questo
l'inizio
e
il
criterio
di
tutto
quello
che
merita
il
nome
di
autentica
moralit
e
religiosit,
di
autentica
cultura.
Tale
cultura
raggiunge
il
suo
apice
solo
nell'adorazione
del
Donatore
della
vita,
in
"gratias
agimus
Tibi...,
in
cultus
Dei
Creatoris
et
Caritatis",
nell'adorazione
del
Dio
dell'amore
creante,
che
continuamente
ci
dona
noi
stessi
e
Se
stesso.
Tale
amore
ci
spinge
a
rispondere
ad
esso
con
il
nostro
amore,
a
ricambiarlo
con
il
dono
di
noi
stessi,
con
il
nostro
dono
a
Lui
Caritas
Christi
urget
nos
(cfr.
2Cor
5,
14).
Ma
la
sfida
di
un
amore
cos
non
,
forse,
la
sfida
di
un
amore
difficile?
Certamente,
s!
e
sant'Agostino
ammette:
Amor
meus,
pondus
meum
(il
mio
amore
e
il
mio
peso).
Egli
per
aggiunge,
con
Cristo,
eo
feror
quoqumque
feror
(io
sono
sostenuto
da
colui
che
sostengo).
Perci,
l'Uomo-Dio
stesso
ci
assicura
che
questo
amore
si
dimostra
non
solo
un
peso
leggero,
ma,
anzi,
un
peso
soave.
Unicamente
la
cultura
della
vita,
intrisa
di
questo
amore,
si
dimostra
una
cultura
vitale.
Soltanto
questa
cultura
pervasa,
dall'inizio
alla
fine,
da
questo
"amore
difficile".
Non
il
caso
che,
fin
dagli
inizi,
tale
amore
si
consideri
semplicemente
come
un
altro
nome
per
questa
cultura?
Si
tratta,
infatti,
dello
stesso
amore
che
Cristo
invoc
per
noi
nella
Sua
ultima
preghiera
sacerdotale,
durante
la
cena
di
Pasqua,
preghiera
che,
nello
stesso
tempo,
inizia
l'Eucarestia
della
Storia
in
tutto
il
mondo:
172
173
1
Analizzando
quest'esperienza
vale
la
pena
citare
qui
una
significativa
sentenza
di
San
Tommaso
d'Aquino:
Intellectus
regit
voluntatem
non
quasi
inclinans
eam
in
quod
tendit,
sed
sicut
ostendens
ei
quod
tendere
debeat
(L'intelletto
dirige
la
volont
non
facendola
seguire
ci
che
tende
a
perseguire,
ma
piuttosto
rivelando
alla
volont
che
cosa
dovrebbe
perseguire),
De
veritate,
q.
22,
a.
11
ad
5,
che
riguarda
il
suo
approccio
alla
comprensione
della
persona
umana
e
dell'essenza
della
sua
libert,
come
pure
dell'essenza
dell'obbligo
morale.
Vedi
anche
l'analisi
del
concetto
di
finis
ultimus
debitus
in
San
Tommaso
fatta
da
Cornelio
Fabro,
Riflessioni
sulla
libert,
Rimini
1983,
p.
62.
Vale
pure
la
pena
citare
quello
che
Jacques
Maritain
dice
a
questo
proposito:
"L'obligation-en-
conscience
est
une
donne
absolument
premire
et
absolument
irrductible
de
l'exprience
morale.
Et
elle
est
quelque
chose
de
si
simple
que
la
rflexion
philosophique
son
sujet
ou
bien
la
saisit
d'un
ou
bien
passe
entirement
cot
d'elle.
See:
La
philosopie
morale.
Examen
historique
e
critique
des
grands
systmes,
Paris
1960,
Libraire
Gallimard,
p.
534.
Si
noti
il
significato
della
frase:
L'art
moral
n'est
l'art
de
bien
vivre
en
vue
d'atteindre
le
bonheur,
c'est
l'art
d'tre
heureux
parce
qu'on
vit
bien",
op.
cit.,
p.
29.
Vedi
pure
dello
stesso
autore:
Letter
to
Jerzy
Kalinowski
and
Stefan
Swieawski
sulla
loro
opera
La
philosophie
l'heure
du
Concile,
in
:
Nova
et
vetera
40
(1965),
pp.
242-249.
Pietro
esperiment
questo
nel
momento
in
cui
dichiar
di
non
conoscere
l'Uomo,
che
egli
invece
conosceva
benissimo,
non
appena
quell'Uomo
lo
guard.
Fu
allora
che
Pietro
comprese
l'irriducibile
differenza
tra
l'appetibile
e
l'affirmabile:
egli
comprese
ci
che
costituisce
l'essenza
del
dovere
morale,
opposto
alla
sua
riduzione
fatta
dal
cosiddetto
"eudaimonism".
Vedi:
T.
Stycze,
La
libert
vive
di
verit.
Intorno
all'enciclica
"Veritatis
splendor",
"Anthropotes"
2
(1995)
pp.
246-250.
2
Questa
una
traduzione
italiana
di
una
citazione
da:
R.
Brandstaetter,
Pisma
witego
Jana
Ewangelisty
(Opere
di
San
Giovanni
Evangelista),
tradotto
dal
greco,
Warszawa
1978.
Confronta:
The
New
Jerusalem
Bible,
London
1990:
"Se
tu
solamente
conoscessi
ci
che
Dio
ti
offre
e
chi
colui
che
ti
dice:
'Dammi
qualcosa
da
bere',
saresti
tu
a
chiedere
ed
egli
ti
avrebbe
dato
acqua
viva"
(Gv
4,
10).
3
"Ratio
autem
gratuitatae
donationis
est
amor:
ideo
enim
damus
gratis
alicui
aliquid,
quia
volumus
ei
bonum.
Primum
ergo
quod
damus
ei,
est
amor
quo
volumus
ei
bonum.
Unde
manifestum
est
quod
amor
habet
rationem
primi
doni,
per
quod
omnia
dona
gratuita
donatur",
San
Tommaso
d'Aquino:
ST
I,
38,
2.
Josef
Pieper
si
bas
esattamente
su
questa
esperienza
per
tutta
una
dissertazione
sul
tema
dell'amore.
Cfr.
Josef
Pieper,
ber
die
Liebe,
Mnchen,
Ksel
1972,
e
il
motto:
"E'
bene
che
tu
esista,
bene
che
tu
sia
al
mondo!".
J.
Pieper,
op.cit.,
p.
39.
Vedi
anche
la
citazione
di
San
Tommaso:
"Primo
vult
suum
amicum
esse
et
vivere"
(ST
II-II
25,
7),
in
J.Pieper,
op.cit.,
Nota
17
(II)
p.
187.
4
Cfr.
Jan
Kochanowski,
Laments
(trad.
di
S.
Baraczak
&
S.
Heaney),
New
York
1995.
5
"So
mich
aber
Gott
liebt,
weil
ich
es
bin,
so
bin
ich
wahrhaft
unersetzbar
in
der
Welt"
(Come
Dio
mi
ama
perch
sono
io,
cos
io
sono
davvero
insostituibile
nel
mondo,),
Ladislaus
Grnhut,
Eros
una
Agape.
Eine
metaphzsisch-religionsphilosophische
Untersu-chung,
Leipzig
1931,
p.
20.
6
"Il
fatto
che
l'uomo
voglia
esistere
e
vivere,
ma
nello
stesso
tempo
non
voglia
vivere
per
sempre
di
per
s
un
segno
di
effettiva
non-identit
tra
l'esistenza
e
la
natura
umana
(o
la
natura
appartenente
ad
ogni
altro
essere
mutevole)
Perci
nessun
essere
composito
o
mutevole,
la
cui
esistenza
pu
essere
alienata,
in
s
incomprensibile
sotto
l'aspetto
essenziale
[...
].
La
comprensione
del
realismo
e
dell'esistenza
effettiva
degli
esseri
condizionata
dall'Esistenza
Necessaria:
l'essere
nel
quale
l'essenza
coincide
con
l'esistenza
che
esistenza
per
necessit
e,
come
tale,
esistenza
per
definizione.
Questo
essere
denominato
Dio
[...
].
Questa
la
sola
174
175
Cfr.
Isacco
di
Stella,
Disc.
51;
Sant'Ambrogio,
Commento
al
Vangelo
di
Luca,
Bk
2,
22-
27;
Sant'Ippolito,
Confutazione
di
tutte
le
eresie,
Ch
10,
33-34;
Basilio
Magno,
Sullo
Spirito
Santo,
Ch
26,
Nm
61.64.
Vedi
anche
R.
M.
Rilke,
Verkndigung:
Die
Worte
des
Engels,
in
Ausgewhlte
Gedichte,
Suhrkampf
Verlag,
Frankfurt
am
Main
1973,
p.
9:
Du
bist
ein
groes,
hohes
Tor,
Tu
sei
la
grande,
eccelsa
porta,
und
aufgehn
wirst
du
bald,
Du,
meines
Liedes
liebstes
Ohr,
Tu
che
il
mio
canto
intendi
sola:
jetzt
fhle
ich;
mein
Wort
verlor
la visione santa.
Ma tu sei la pianta.
13
Questa
idea
ricorre
costantemente
nella
poesia
di
K.
Wojtya.
Cfr.
p.es.
"Veglia
pasquale",
1966,
dove
il
poeta
dice:
"L'uomo
resiste
oltre
tutto
l'andarivieni
/
in
se
stesso
/
e
in
te",
in:
Poezje,
Poems,
Krakw
1998,
p.
178,
del
medesimo
autore..
Cfr.
anche,
sempre
dello
stesso
autore:
"Promieniowanie
ojcostwa"
(Raggi
di
paternit)
in:
Poezje
i
dramaty(Poesie
e
drammi),
Krakw
1979,
p.
239,
247,
249,
251.
Cfr.
pure:
John
Paula
II,
The
Original
Unity
of
Man
and
Woman.
176
177
L'invito
del
Santo
Padre
a
scuotere
l'apatia
che
sembra
dilagare
su
tanti
dei
nostri
contemporanei
e
a
generare
una
vera
contro-cultura
(una
cultura
della
vita
capace
di
opporsi
ai
"germi
della
morte"
presenti
oggigiorno
nella
cultura),
pertanto
una
necessit.
doveroso
dare
una
risposta
alla
gravit
del
momento
presente.
La
Chiesa
non
pu
restare
indifferente
davanti
questa
malattia
morale
e
mortale
che
l'attuale
cultura
della
morte.
Non
pu
farlo
perch
l'uomo
"cammino
per
la
Chiesa"
come
gi
diceva
il
Papa
nella
sua
prima
Enciclica
Redemptor
hominis..
L'Evangelizzazione
di
oggi,
dell'uomo
concreto
dei
nostri
giorni,
passa
attraverso
l'annuncio
del
Vangelo
della
vita.
A
questo
fine,
il
Papa
ci
invita
a
mantenere
la
coscienza
ferma
e
grata
di
essere
il
popolo
della
vita
e
per
la
vita,
presentandoci
in
questo
modo
davanti
a
tutti[1].
FAMIGLIA
E
CULTURA
DELLA
MORTE
La
cultura
non
una
specie
di
nuvola
che
sorvola
la
terra,
coprendo
dall'alto
il
luogo
in
cui
si
svolge
la
vita
degli
esseri
umani.
Sebbene
trascendente
l'individuo,
presente
in
ogni
persona.
La
cultura
vive
nelle
persone.
nelle
persone
dove
la
cultura,
non
pi
"idea"
e
diventa
"vita".
In
modo
analogo,
nelle
persone
dove
i
"germi
della
morte"
presenti
nella
cultura
esercitano
la
loro
nefasta
influenza.
Il
luogo
dove
dobbiamo
trovare
la
sua
origine,
il
terreno
di
coltura
della
nuova
cultura
della
vita,
pertanto
il
cuore
umano.
nel
cambiamento
di
mentalit
delle
persone,
nella
loro
conversione
alla
vita,
dove
si
trover
la
linfa
vivificante
della
nuova
civilt
dell'amore
nella
cui
costruzione
impegnata
la
Chiesa
del
Terzo
Millennio
nella
sua
opera
di
evangelizzazione.
Se
gli
attentati
contro
la
vita
umana
hanno
acquistato
nel
nostro
tempo
una
particolare
gravit
questo
dovuto,
precisamente,
che
molte
persone
sono
moralmente
malate.
Il
fattore
di
trasmissione
di
questa
gravissima
malattia,
come
con
coraggio
apostolico
stato
denunciato
da
Giovanni
Paolo
II,
la
cultura.
In
questa
situazione,
la
Chiesa
si
proclama
davanti
al
mondo
a
favore
della
vita.
"All'interno
del
'popolo
della
vita
e
per
la
vita'
-
si
legge
nell'Evangelium
Vitae'
-
decisiva
la
responsabilit
della
famiglia:
una
responsabilit
che
nasce
dalla
sua
stessa
natura
-
quella
di
essere
comunit
di
vita
e
amore,
fondata
sul
matrimonio
-
e
dalla
sua
missione
di
'custodire,
rivelare
e
comunicare
l'amore"2
.
"Seguendo
Cristo
'venuto'
al
mondo
'per
servire'
(Mt
20,28),
la
Chiesa
considera
il
servizio
alla
famiglia
come
uno
dei
suoi
compiti
essenziali.
In
questo
senso,
tanto
l'uomo
come
la
famiglia
costituiscono
'il
cammino
della
Chiesa'"[2].
La
famiglia
la
culla
della
vita,
il
suo
vivaio.
La
vita
umana
germoglia
in
modo
naturale
e
spontaneo
da
quella
cellula
basica
di
comunione
di
vita
e
amore
coniugale
che
il
matrimonio.
In
effetti,
aiuteremo
i
nostri
contemporanei
a
riscoprire
il
valore
della
vita
umana
nella
misura
che
siamo
capaci
di
recuperare
il
senso
dell'amore
vero
tra
un
uomo
e
una
donna,
sigillato
nel
matrimonio
e
benedetto
da
una
corona
di
figli[3].
Famiglia
e
vita
formano
un'intima
unit.
Il
matrimonio
comunit
di
vita
e
amore,
una
vita
e
un
amore
che
sono,
in
realt,
un
bene
unico.
Questo
prezioso
bene
che
l'amore
coniugale,
tende
all'apertura,
non
alla
chiusura.
Richiede
un
culmine
che
,
per
dirlo
in
un
certo
modo,
un'estensione
di
se
stesso
nella
famiglia.
Platone
afferma
giustamente
che
"il
bene
diffondente
di
se
stesso".
Per
questo
motivo,
il
bene
che
il
matrimonio
tende
in
se
stesso
a
consumarsi
nella
generazione
di
una
famiglia.
Questo
il
vero
sviluppo
della
vita
umana,
cos
come
stato
disposto
da
Dio
Creatore
nel
suo
disegno
eterno
di
misericordia
per
tutti
gli
uomini.
Uno
dei
pi
nefasti
risultati
della
cultura
della
morte
costituito
dalla
separazione
dell'unit
intima
che
esiste
tra
l'amore
e
la
vita.
Molti
falsi
profeti
partono
oggi
da
un
presupposto
che
ritengono
indiscutibile.
Affermano
che
la
vita
matrimoniale
ed
i
figli
sono
cose
completamente
diverse.
Viene
rotto
in
questo
modo
il
bene
unitario
che
consiste
nella
stretta
unione,
disposta
da
Dio,
tra
la
famiglia
fondata
nel
matrimonio
e
la
vita
umana.
Da
questa
prospettiva,
anticoncezione
178
e
procreazione
artificiale
appaiono
come
semplici
strumenti
per
evitare
o
"produrre"
(secondo
il
caso)
vita
umana
a
misura
delle
necessit,
a
gusto
del
consumatore.
Questa
concezione
delle
cose
molto
lontana
della
verit
sulla
persona
umana
e
della
verit
sull'amore
coniugale.
EDUCAZIONE
E
CULTURA
DELLA
VITA
La
generazione
di
una
cultura
della
vita
comprende
una
corretta
comprensione
della
missione
educatrice
della
famiglia,
perch
detta
missione
affonda
le
sue
radici
nella
vocazione
primordiale
dei
coniugi
a
partecipare
nella
opera
di
creazione
di
Dio.
Tale
compito,
realizzazione
di
una
missione
essenziale
e
propria
della
famiglia,
si
presenta
come
un'educazione
della
persona
al
dono
di
se
nell'amore
ed
,
pertanto,
un'educazione
che
favorisce
"l'educazione
integrale
personale
e
sociale
dei
figli"[4]..
Si
tratta
di
un'educazione
che
deve
avere
ben
presente
non
solo
che
ogni
uomo
si
realizza
mediante
il
sincero
abbandono
di
se
stesso,
ma
anche
che
stato
chiamato
a
vivere
nella
verit
e
nell'amore.
Da
tutto
ci
derivano
importanti
conseguenze
per
un'educazione
sessuale
che
formi
nella
virt,
e
che
sia
un
approfondimento
nella
verit
e
nel
significato
della
sessualit.
Il
clima
di
quelle
famiglie
nelle
quali
si
vive
l'intima
unit
tra
famiglia
e
vita
percepita
come
valore,
la
miglior
difesa
contro
la
cultura
della
morte.
il
miglior
contributo
per
aiutare
l'adolescente
a
superare
l'attrazione
che
rappresenta
una
attivit
sessuale
immatura,
prematura,
poco
responsabile,
ridotta
alla
sola
ricerca
del
piacere
individuale.
La
famiglia
diventa
cos
perno
ed
elemento
chiave
nella
formazione
del
carattere
della
persona
e
nella
generazione,
a
livello
sociale,
di
una
genuina
cultura
della
vita[5].
Questo
un
punto
veramente
centrale.
La
famiglia,
o
un
luogo
di
educazione
di
uomini
e
donne
padroni
di
se
stessi,
aperti
al
dono
di
se
alla
verit
ed
al
significato
della
sessualit,
alla
famiglia
e
alla
vita,
o
invece
un
occasione
persa
per
il
raggiungimento
di
questi
valori
fondamentali.
Nel
primo
caso,
l'esperienza
dell'unione
tra
famiglia
e
vita
diventa
poi
concetto,
espressione
intellettuale
che
fissa
un
valore
gi
vissuto
prima,
e
si
trasforma
in
un
valore
cosciente
nella
persona,
da
cui
si
genera
una
realt
culturale
e
sociale.
Nel
secondo
caso,
l'interiorizzazione
del
valore
dipende
da
una
molteplicit
di
fattori
e
diventa,
in
pratica,
troppo
dipendente
da
un
arduo
cammino
di
arricchimento
personale
soggetto
a
troppe
variabili.
La
famiglia
il
primo
luogo
dove
si
impara
il
vero
senso
della
sessualit
e
il
naturale
orientamento
dell'amore
umano
alla
famiglia
e
alla
vita.
Ogni
figlio
si
prepara
al
dono
di
se
come
cammino
da
percorrere
in
una
vita
di
amore.
La
famiglia,
d'altro
canto,
non
si
realizza
completamente
in
se
stessa
se
non
al
servizio
della
vita.
Questo
servizio,
della
famiglia
alla
vita,
che
generazione
ed
educazione
dei
figli
nelle
virt
si
mette,
pertanto,
al
servizio
del
bene
comune
della
societ..
La
famiglia
contribuisce
in
questo
modo
e
in
maniera
privilegiata,
alla
trasformazione
decisiva
e
necessaria
di
una
cultura
della
morte
a
una
cultura
della
vita,
sostenuta
dal
Papa
Giovanni
Paolo
II.
LA
VITA
UMANA:
LO
SCATURIRE
DELL'AMORE
CONIUGALE
La
famiglia
deve
occupare
nel
contesto
di
"un
popolo
della
vita
e
per
la
vita"
il
posto
che
gli
dovuto
che
consiste
nel
custodire,
rivelare
e
comunicare
l'amore[6]..
"Si
tratta
dell'amore
stesso
di
Dio
i
cui
collaboratori
e
interpreti
nella
trasmissione
della
vita
e
nella
sua
educazione
secondo
il
disegno
del
Padre
sono
i
genitori[7]..
Quindi
amore
e
trasmissione
della
vita
non
possono
essere
separati.
La
separazione
di
questo
binomio
contraria
alla
realt
stessa
dell'amore
coniugale.
La
cultura
della
morte
ha
voluto
contrapporre
l'amore
coniugale
e
la
trasmissione
della
vita
come
se
entrambi
fossero
in
competizione,
come
se
entrambi
fossero
incompatibili,
ignorando
il
loro
profondo
radicarsi
l'uno
nell'altro[8].
Il
risultato
stato
che,
essendo
questi
due
179
180
L'esistenza
stessa
dei
movimenti
per
la
vita
prova
che
il
riconoscimento
della
dignit
e
il
rispetto
per
l'essere
umano
oggigiorno
non
garantito
dai
poteri
pubblici
e
che
non
stato
pienamente
assunto
da
tutti
i
membri
dell'attuale
generazione.
Esistono
forze
che
tentano
di
oscurare
l'estensione
universale
di
tale
verit
e
che
l'inviolabilit
del
diritto
alla
vita
sia
propria
di
ogni
essere
umano.
Quelli
che
promuovono
questa
cultura
della
morte
lottano
per
eliminare
certezze,
scavando
nella
debolezza
e
nell'egoismo
degli
uomini
in
modo
da
propendere
contro
la
difesa
della
vita.
Si
tratta
di
sradicare
l'origine
della
vita
umana
dal
suo
contesto
naturale:
la
famiglia
fondata
nel
matrimonio.
Oggi
i
nemici
della
Chiesa
non
basano
tanto
i
loro
dibattiti
direttamente
contro
Dio,
preferiscono
distruggere
o
deformare
la
sua
immagine
nell'uomo.
Sfigurando
il
suo
essere
creatura
e
svalutando
il
dono
della
vita,
come
mai
verr
rispettato
il
suo
Autore?
E
se
non
viene
apprezzata
la
vita,
che
cosa
impedir
di
banalizzare
i
rapporti
di
amore
con
Dio
e
con
il
simile?
Valori
come
giustizia,
rispetto,
solidariet,
fedelt,
verit,
ecc.
di
conseguenza
vengono
volgarizzati
una
volta
oscurati
nel
senzavalore
della
vita[11].
La
conformazione
di
una
cultura
della
vita,
passa
per
il
recupero
del
vero
senso
dell'amore
coniugale,
passa
per
la
scoperta
dell'intima
apertura
alla
vita
che
consegue
al
vero
amore
tra
un
uomo
e
una
donna,
passa
per
la
stima,
per
l'abbandono
della
propria
vita
e
per
il
sacrificio,
che
sono
parte
del
genuino
amore
matrimoniale.
La
trasmissione
della
vita
viene
intesa,
in
questo
modo,
come
un
dono
e
una
responsabilit
comunitaria
e
condivisa
dagli
sposi
uniti
nella
vita
e
nell'amore.
Famiglia,
vita
e
civilt
dell'amore
Il
"Popolo
della
vita
e
per
la
vita"
ha
celebrato
qualche
mese
fa
il
Giubileo
delle
Famiglie,
nel
contesto
delle
celebrazioni
dell'Anno
Santo
del
2000.
Un
evento
che
s'iscrive
nella
sequenza
degli
Incontri
Mondiali
del
Papa
con
le
Famiglie
che,
iniziato
a
Roma
nel
1994,
continuato
a
Rio
de
Janeiro
nel
1997,
ha
raggiunto
con
questo
il
terzo
di
questi
importanti
incontri.
In
questa
occasione,
il
moto
stato
"I
figli,
primavera
della
famiglia
e
della
societ".
Un
moto
molto
significativo
per
una
riflessione
sulla
missione
della
famiglia
in
una
nuova
cultura
della
vita.
Si
potrebbe
dire
che
la
cultura
della
morte
ha
preso
di
mira
il
bene
dell'amore
coniugale
fedele
e
fecondo
(che
terra
feconda
nel
disegno
di
Dio
per
lo
scaturire
della
vita
umana,
per
l'insorgere
della
famiglia,
per
l'accoglienza
dell'"altro").
In
questo
modo
i
"germi
della
morte"
presenti
nella
cultura
corrompono
la
vita
umana
nelle
sue
stesse
radici.
La
famiglia,
particolarmente
in
Occidente,
entrata
in
una
specie
di
inverno,
del
quale
necessario
essere
coscienti.
La
proposta
del
Santo
Padre
per
l'Anno
Santo
Giubilare
del
2000
stata
che
le
famiglie
mantengano
"coscienza
ferma
e
grata
di
essere
il
popolo
della
vita
per
la
vita"[12].
l'invito
a
una
profonda
riflessione
sul
dono
dei
figli
e
lo
stimolo
a
una
rinnovata
primavera
della
famiglia.
Segno
e
frutto
di
questo
deve
essere
una
nuova
cultura
della
vita.
Ogni
cultura
espressione
di
una
civilt,
di
un
preciso
modo
di
concepire
se
stessi
come
popolo,
di
esprimersi
e
proiettarsi
verso
il
futuro.
Il
Magistero
della
Chiesa
non
ha
dubitato
nel
qualificare
il
senso
di
questa
civilt:
si
tratta
di
una
civilt
dell'amore.
stata
giustamente
durante
la
celebrazione
di
un
altro
Giubileo,
quello
del
1975,
che
il
Papa
Paolo
VI
coni
la
seguente
frase
durante
l'Omelia
della
Messa
di
Chiusura
del
Anno
Santo.
Civilt
una
parola
che
proviene
da
cittadino.
Le
famiglie
sono
i
cittadini
di
una
rinnovata
Citt
della
vita,
il
cui
segno
e
frutto
la
civilt
dell'amore.
Il
popolo
della
vita
e
per
la
vita,
cio
le
famiglie,
deve
essere
convocato
per
generare
una
civilt
di
significato
umanista,
la
cui
cultura
una
nuova
cultura
della
vita.
Questa
una
responsabilit
che
incombe
su
tutti.
Come
afferma
Giovanni
Paolo
II,
"la
civilt
appartiene
alla
storia
dell'uomo,
perch
corrisponde
alle
sue
esigenze
spirituali
e
morali:
creato
a
181
immagine
e
somiglianza
di
Dio,
ha
ricevuto
il
mondo
dalle
mani
del
Creatore
con
il
compromesso
di
modellarlo
secondo
la
sua
propria
immagine
e
somiglianza.
il
compimento
di
questa
missione
all'origine
della
societ,
che
non
altro
in
definitiva,
che
l'"umanizzazione
del
mondo"[13]..
A
differenza
di
qualunque
altra
classe
di
vita
vegetale
ed
animale
che
per
l'atto
creatore
rimasta
al
servizio
dell'uomo,
esso
l'"unica
creatura
terrestre
che
Dio
ha
amato
per
se
stessa"[14]..
Nella
trasmissione
della
vita
umana
Dio
non
ha
voluto
una
semplice
produzione
o
riproduzione;
ha
voluto
che
l'uomo
e
la
donna
uniti
nel
matrimonio
siano
co-creatori
con
Egli.
Co-
creatori,
non
creatori.
Nessuno,
come
individuo,
ha
il
potere
di
donare
la
vita.
Tutti
e
due,
in
mutuo
abbandono
di
s,
sono
co-creatori
con
Dio,
che
ne
crea
l'anima
immortale.
Questa
missione
propria
del
matrimonio
comporta
una
responsabilit
specifica
vista
la
significativa
"partecipazione
dell'uomo
nella
sovranit
di
Dio,
Signore
della
vita.
-
prosegue
il
Papa
nell'Enciclica
Evangelium
Vitae
-
una
responsabilit
che
raggiunge
il
suo
apice
nel
dono
della
vita
mediante
la
procreazione
da
parte
dell'uomo
e
della
donna
nel
matrimonio"[15].
La
vocazione
del
matrimonio
a
collaborare
con
Dio
nella
trasmissione
della
vita
certamente
meravigliosa,
soprattutto
quando
si
contempla
che
il
fine
degli
uomini,
il
fine
della
Citt
della
vita,
non
solo
terreno
ma
supera
l'orizzonte
dell'eternit.
Questo
il
senso
profondo
della
civilt
dell'amore.
"L'uomo
non
pu
vivere
senza
amore.
Rimane
per
se
stesso
un
essere
incomprensibile,
la
sua
vita
privata
di
senso,
se
non
gli
rivelato
l'amore,
se
non
raggiunge
l'amore,
se
non
lo
sperimenta
e
non
lo
fa
proprio,
se
non
partecipa
ad
esso
vivamente"[16]..
In
questo
piccolo
nucleo
di
persone
intrecciate
dall'amore
della
rinuncia
coniugale
si
esprime
il
passato,
il
presente
ed
il
futuro
dell'umanit.
Il
futuro
dell'umanit
passa
necessariamente
attraverso
la
famiglia.
Infatti
il
futuro
della
societ
condizionato
dal
patto
di
rinuncia
mutua
dei
coniugi
che
rende
possibile
questo
ambiente
propizio
dove
i
nuovi
germogli
di
ulivo
riempiono
di
gioia
il
focolare.
Non
pu
esserci
una
vera
comunione
coniugale
chiusa
al
servizio
della
vita,
ne
pu
questa
essere
pretesa
separatamente
dalla
mutua
rinuncia
e
dono
all'"altro"
che
arriva
come
prezioso
regalo
di
Dio.
Conseguentemente
quando
l'aborto
radica
la
sua
dimora
nella
cultura,
incluso
con
la
pretesa
di
consolidarsi
come
"diritto",
succede
qualcosa
di
singolarmente
grave:
vengono
avvelenate
le
sorgenti
stesse
della
vita.
Un'ideologia
che
avvelena
anche
la
nozione
stessa
di
matrimonio
e
di
famiglia,
il
"santuario
della
vita"[17].
Non
frequente
che
nelle
case
di
ispirazione
cristiana
possa
essere
considerato
l'aborto
tra
le
prime
possibilit
di
cambiamento,
ma
pi
facile
il
graduale
instaurarsi
della
contraccezione[18]..
Questa
conduce
poco
a
poco
all'aborto
come
una
possibilit
che
non
viene
eliminata
in
caso
di
necessit.
Per
anche
grande
il
rapporto
tra
l'uso
di
metodi
contraccettivi
e
il
divorzio
che
cresce
come
piaga
nella
presente
societ..
Sono
molti,
sfortunatamente,
quelli
che
giustificano
gli
anovulatori
come
risorsa
per
salvare
-
come
dicono
-
la
loro
unione
coniugale.
Ebbene
tutti
sono
coscienti
prima
o
dopo
che
quello
che
edifica
l'unione
e
la
fedelt
e
le
rinforza
contro
qualunque
insidia,
cos
frequenti
oggigiorno,
soltanto
l'autentico
amore
e
non
i
suoi
succedanei
presentati
dai
"germi
della
morte"
ai
quali
una
nuova
cultura
della
vita
deve
far
fronte.
Conclusione
Una
cultura
il
modo
in
cui
viene
plasmato
lo
spirito
di
un
popolo.
Per
una
cultura
non
pu
essere
un
prodotto
di
laboratorio.
Il
posto
della
cultura
il
cuore
delle
persone.
Oggi
nel
cuore
dei
nostri
contemporanei
sussistono
insidiose,
gravi
minacce
alla
dignit
della
persona
umana,
immagine
e
somiglianza
di
Dio.
Si
tratta
di
una
tendenza
all'egoismo,
all'individualismo,
alla
chiusura,
che
vizia
radicalmente
il
bene
del
matrimonio
dissociando
l'amore
dalla
vita.
Divide
l'"unit
di
due"
dell'amore
coniugale
per
primo,
e
successivamente
rompe
l'unit
tra
i
genitori
e
i
figli
mostrandoli
come
opposti
arrivando
alla
soppressione
della
vita
dell'innocente,
quando
si
182
ritenga
opportuno.
In
questo
consiste,
in
grande
misura,
la
grave
malattia
della
cultura
della
morte.
Di
fronte
a
questa
situazione
necessario
generare
una
nuova
cultura
della
vita,
il
cui
motore
sia
la
famiglia,
capace
di
accogliere
il
dono
della
vita
degli
altri,
dei
figli,
dei
genitori,
dei
bambini,
degli
anziani.
Si
tratta
di
costruire
una
civilt
dell'amore
nella
quale
l'amore
coniugale
e
la
trasmissione
della
vita
possano
recuperare,
davanti
alla
cultura,
l'unit
che
hanno
nella
realt
naturale,
che
sussiste
nel
bene
del
matrimonio,
l'istituzione
dell'amore
coniugale.[19]..
In
questo
compito
storico
la
famiglia
ha
una
missione
imprescindibile.
Si
tratta
di
acquistare
chiara
coscienza
della
famiglia
come
luogo
di
donazione
e
di
accoglienza,
santuario
della
vita
e
dimora
dell'amore.
Nella
misura
nella
in
cui
l'esempio
della
famiglia
fondata
sul
matrimonio,
sia
testimonianza
dell'amore
fedele
e
fecondo,
immagine
con
cui
risplende
in
mezzo
al
mondo
l'amore
ineffabile
tra
Cristo
e
la
Chiesa,
essa
sar
il
vero
motore
di
trasformazione
di
una
societ
veramente
orientata
verso
il
bene
comune.
[1]
Giovanni
Paolo
II,
Enc.
Evangelium
vitae,
n.
78.
[2]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
Gratissimam
sane
(Lettera
alle
Famiglie),
n.
2.
[3]
Concilio
Vaticano
II,
Const.
past.
Gaudium
et
spes,
n.
48.
[4]
Concilio
Vaticano
II,
Dich.
Gravissimum
educationis,
n.
3.
[5]
Gil
Helln,
F.,
I
luoghi
dell'educazione
nei
valori:
la
famiglia,
en
Dolentium
hominum.
Chiesa
e
salute
nel
mondo
44
(2000)
n
22,
p.
38.
[6]
Giovanni
Paolo
II,
Enc.
Evangelium
vitae,
n.
92.
[7]
Giovanni
Paolo
II,
Enc.
Evangelium
vitae,
n.
92.
Cfr.
Concilio
Vaticano
II,
Const.
past.
Gaudium
et
spes,
n.
50.
[8]
Gil
Helln,
F.,
Il
matrimonio
e
la
vita
coniugale,
Libr.
Editrice
Vaticana,
Vaticano
1996,
p.
235s.
[9]
Ratzinger
J.,
Prologo,
in
Schooyans
M.,
El
Evangelio
frente
al
desorden
mundial,
Diana,
Mxico
D.F.,
p.
XVIII.
[10]
Giovanni
Paolo
II,
Enc.
Evangelium
vitae,
n.
21.
[11]
Gil
Helln
F.,
La
familia,
al
servicio
de
la
vida,
in
AAVV
(a
cura
di
R.
Lucas
Lucas),
Comentario
interdisciplinar
a
la
"Evangelum
vitae",
BAC,
Madrid
1996,
p.
655-668.
[12]
Giovanni
Paolo
II,
Enc.
Evangelium
vitae,
n.
78.
[13]
Giovanni
Paolo
II,
Lettera
Gratissimam
sane
(Lettera
alle
Famgilie),
n.
13.
[14]
Concilio
Vaticano
II,
Const.
Past.
Gaudium
et
spes,
n.
24.
[15]
Giovanni
Paolo
II,
Enc.
Evangelium
vitae,
n.
43.
[16]
Giovanni
Paolo
II,
Enc.
Redemptor
hominis,
n.
10.
[17]
Giovanni
Paolo
II,
Enc.
Evangelium
vitae,
n.
11.
[18]
Gil
Helln
F.,
La
familia,
al
servicio
de
la
vida,
in
AAVV
(a
cura
di
R.
Lucas
Lucas),
Comentario
interdisciplinar
a
la
"Evangelum
vitae",
BAC,
Madrid
1996,
p.
657.
[19]
Gil
Helln,
F.,
Il
matrimonio
e
la
vita
coniugale,
Libr.
Editrice
Vaticana,
Vaticano
1996,
p.
235s.
183
CARLO
CASINI
AMBITI
E
FORME
NUOVE
DI
SOSTEGNO
ALLA
VITA
NASCENTE
Vita
nascente:
una
finestra
su
tutta
la
vita
umana
Sono
convinto
che
quando
oggi
si
parla
del
valore
e
del
sostegno
alla
vita
nascente
si
parla
di
tutta
la
vita
in
ogni
et
e
condizione.
Infatti
la
caratteristica
dell'uomo
nell'et
pi
giovane
della
sua
esistenza
di
possedere
soltanto
la
vita.
Non
ha
n
ricchezza,
n
intelligenza,
n
coscienza,
n
visibilit.
Ha
solo
la
vita.
In
atto
non
nulla
di
pi
che
un
essere
umano
vivente,
in
potenza
pu
divenire
uno
scienziato
del
livello
di
Einstein
o
un
Leonardo
da
Vinci.
Quantomeno
in
potenza
uno
dei
miliardi
di
uomini
qualsiasi
con
un
qualche
possesso
di
intelligenza,
di
ricchezza,
di
relazioni.
Ma
all'inizio,
come
realt
gi
realizzata,
soltanto
un
individuo
umano
vivente.
Niente
di
pi.
Eppure
il
suo
valore
straordinariamente
grande,
perch
cos
pu
essere
definito
qualsiasi
altro
uomo.
Egli
esprime
il
comune
denominatore
di
tutti
e
solo
questo.
Per
indicarne
la
specificit
si
pu
dire
che
il
non
ancora
nato
l'unico
essere
umano
che
possiede
solo
la
vita.
Nel
corso
della
sua
esistenza
posseder
molte
altre
cose.
Forse
vi
saranno
momenti
in
cui,
misurato
con
il
metro
dell'avere,
torner
simile
all'embrione
che
era
all'origine,
ma
qualcosa
continuer
inevitabilmente
a
possedere
oltre
alla
vita
almeno
la
visibilit.
Invece
nel
suo
inizio
l'uomo
possiede
solo
la
vita.
Si
pu
dire
che
vita.
Meglio:
che
solo
uomo,
perch
cos
insuperabilmente
piccolo
e
povero
da
non
possedere
altra
ricchezza
che
la
sua
umanit.
Ci
che
di
lui
pensiamo
e
diciamo
riguarda
ogni
uomo.
Aspetti
inediti
nella
scienza
medica
e
nel
diritto
Il
mio
compito
descrivere
la
novit
nell'impegno
a
servizio
della
vita
nascente
all'aprirsi
del
terzo
millennio.
La
novit
riguarda
la
risposta
possibile
alla
situazione
nuova
(Giovanni
Paolo
II
direbbe
"inedita":
cfr.
Evangelium
Vitae
n.
95)
nella
quale
ci
troviamo.
Per
non
invadere
il
campo
di
altri
relatori
non
mi
introdurr
nell'ambito
della
cultura
in
generale.
Mi
limiter
a
ricordare
soltanto
due
novit
straordinarie
che
riguardano
il
diritto
e
la
scienza
medica.
Il
diritto
sembra
aver
trovato
la
risposta
alle
sue
angosciose
domande,
formulate
fin
dai
primordi
della
riflessione
umana
sull'esperienza
giuridica
:
"
che
cosa
distingue
la
legge
dal
comando
del
pi
forte?"
e
"che
cosa
distingue
lo
Stato
da
una
associazione
ben
organizzata?".
La
risposta
moderna
:
l'elemento
distintivo
la
dignit
umana
e
la
conseguente
uguaglianza
nei
diritti
umani,
prima
di
tutto
nel
diritto
alla
vita.
Ma
tale
risposta
vanificata
dallo
smarrimento
del
soggetto.
Chi
il
titolare
dei
diritti
umani?
Lo
smarrimento
non
la
conseguenza
di
una
fatica
intellettuale
che
non
riesce
a
trovare
la
conclusione.
,
piuttosto,
la
conseguenza
pratica
di
scelte
pratiche
decise
prima
dei
principi
che
dovrebbero
condizionarle.
Sullo
sfondo,
naturalmente,
c'
l'aborto
legale,
in
molti
Paesi
divenuto
fenomeno
di
massa
concepito
e
attuato
come
un
servizio
sociale.
L'Evangelium
Vitae
dice
che
"l'aspetto
pi
conturbante
e
sovversivo"
dell'attuale
"congiura
contro
la
vita"
si
colloca
"proprio
sul
piano
sociale
e
politico"
e
si
manifesta
nella
"trasformazione
del
delitto
in
diritto".
Dunque
investe
il
diritto.
Per
consentire
l'aborto
legale
di
massa
concepito
come
servizio
sociale
bisogna
dimenticare
il
soggetto
dei
diritti
umani.
Ho
detto
"dimenticare"
e
non
"negare",
perch
in
materia
di
aborto
la
linea
prevalente
dei
giuristi
stata
non
lo
scontro
frontale,
ma
la
elusione,
la
esclusione
del
problema
della
soggettivit
come
problema
squisitamente
civile
e
giuridico.
Il
comparire
del
pi
giovane
essere
umano
in
una
provetta
sta
cambiando
le
cose.
Per
poter
consentire
e
finanziare
la
produzione
soprannumeraria
di
embrioni
mediante
fecondazione
184
185
vivente
della
specie
umana.
Per
questo
ho
indicato
le
due
contraddizioni:
quella
presente
oggi
nel
diritto
e
quella
presente
nella
cultura
medica.
Le
due
discipline
che
pi
dovrebbero
confortare
e
sostenere
il
riconoscimento
non
solitario
dell'"altro"
come
valore.
Il
diritto
non
diritto
se
non
riconosce
i
soggetti
come
soggetti,
se
non
distingue
pi
le
cose
dalle
persone.
La
medicina
non
pi
medicina
se
non
si
pone
a
servizio
della
vita
di
tutti
e
di
ciascuno.
Lo
smarrimento
della
funzione
propria
del
diritto
e
della
medicina
determina
un
rischio
reale
e
concreto
per
la
vita
di
una
grande
moltitudine
di
esseri
umani.
Perci
ogni
azione
a
sostegno
della
vita
deve
puntare
a
una
supplenza.
Il
primo
servizio
alla
vita
consiste
nel
mantenere
egualmente
nella
coscienza
sociale,
nonostante
l'abdicazione
del
diritto
e
della
medicina,
il
riconoscimento
del
concepito
come
essere
umano.
In
definitiva
la
contrapposizione
in
tutto
il
mondo
della
mentalit
"per
la
scelta"
alla
mentalit
"per
la
vita"
esprime
bene
il
tipo
di
novit
che
deve
caratterizzare
le
azioni
a
sostegno
della
vita.
Un
conto
aiutare
una
donna
a
proseguire
la
gravidanza
perch
lei
lo
desidera
e
nei
limiti
in
cui
ella
lo
desidera,
una
conto
condividerne
le
difficolt
perch
c'
di
mezzo
un
essere
umano
con
il
suo
diritto
alla
vita.
Nessuno
nega
l'opportunit
e
il
valore
delle
iniziative
che
aiutano
una
donna
a
realizzare
il
proprio
desiderio
di
avere
un
figlio.
Ma
se
questa
la
sola
ragione
della
solidariet
viene
negato
il
valore
del
figlio.
esattamente
questa
la
mentalit
che
conduce
ai
nuovi
attentati
contro
la
vita
nella
provetta.
Il
figlio
ad
ogni
costo
esattamente
la
stessa
cosa
del
rifiuto
del
figlio
ad
ogni
costo.
Da
queste
considerazioni
derivano
conseguenze
importanti.
Prima
di
tutto
quella
che
l'ambito
delle
azioni
a
sostegno
della
vita
si
estende
enormemente.
Non
c'
solo
l'azione
concreta
di
rimozione
delle
difficolt
che
possono
spingere
a
sopprimere
una
vita.
Voglio
dire
che
non
c'
solo
il
campo
della
assistenza
per
offrire
alternative
all'aborto
o
alla
fecondazione
artificiale.
Vi
anche
il
campo
dell'educazione
e
della
politica.
L'ambito
della
parola
che
annuncia
e
dimostra
il
diritto
alla
vita,
quello
della
solidariet
nei
casi
concreti
e
quello
dove
si
elaborano
le
norme
che
guidano
la
societ
non
sono
diversi.
Sono
in
continuit
fra
loro
perch
tutti
mirano
alla
difesa
concreta
e
reale
della
vita
umana
consentendo
quel
riconoscimento
della
pari
dignit
di
ogni
essere
umano
che
condizione
preliminare
della
salvezza
degli
esseri
umani
nella
fase
pi
giovane
della
loro
esistenza.
Educare
al
rispetto
della
vita
Tutti
gli
educatori
dovrebbero
perci
sentirsi
operatori
della
vita.
Gli
educatori
non
sono
soltanto
i
maestri
e
i
professori
nelle
scuole
e
nelle
universit.
Sono
anche
i
giornalisti,
gli
scrittori,
i
registi
cinematografici
e,
naturalmente
i
sacerdoti.
Vi
un
dato
fondamentale
nell'esperienza
del
servizio
alla
vita
nascente:
la
parola,
anche
da
sola
pu
salvare.
Anzi
salva
concretamente.
Ha
salvato
realmente
in
un
grande
numero
di
casi
la
vita
del
figlio
e
il
coraggio
(io
dico
"la
giovinezza")
della
madre.
Il
messaggio
non
complicato.
essenzialmente
semplice.
Riguarda
il
dato
biologico
e
la
dignit
umana.
Perci
tanto
pi
doloroso
il
diffuso
silenzio
sul
diritto
alla
vita
persino
nell'ambito
delle
stesse
istituzioni
ecclesiali.
Tanto
pi
ammirevole,
invece,
la
scelta
di
Giovanni
Paolo
II
di
essere
il
"Papa
della
vita".
Ma
nella
catechesi
ordinaria
cos
come
nella
esplicazione
quotidiana
dell'insegnamento
che
dovrebbe
manifestarsi
il
servizio
alla
vita.
Seminari
di
bioetica
per
insegnanti,
premi
per
tesi
di
laurea,
concorsi
nell'ambito
scolastico,
promozioni
di
premi
nel
campo
letterario,
artistico,
giornalistico,
musicale,
si
rivelano
utili
al
livello
di
azioni
civili
e
laicali
per
stimolare
e
moltiplicare
consapevolezze
e
servizi
nell'area
educativa.
A
proposito
dell'azione
educativa
non
possibile
ignorare
il
collegamento
stretto
tra
la
dimenticanza
del
valore
della
vita
nascente
e
la
banalizzazione
della
sessualit.
Ho
detto
che"
il
messaggio
non
complicato"
ed
vero.
Ma
vi
da
considerare
che
l'espressione
"dignit
umana",
186
propria
-
come
abbiamo
osservato
-
non
solo
dell'antropologia
cristiana,
ma
anche
della
modernit
laica,
di
una
straordinaria
densit.
Essa
indica
un
mistero,
una
trascendenza
dell'uomo
sulla
materia
che
vanno
penetrati:
la
conoscenza
del
dato
biologico
non
sufficiente
se
non
si
percepisce
il
senso
della
vita
umana.
Inoltre
occorre
comprendere
il
perch
delle
indicate
contraddizioni
nel
campo
del
diritto
e
della
medicina.
Alla
radice
dello
smarrimento
non
vi
una
difficolt
di
comporre
in
modo
ordinato
i
dati
conosciuti.
Vi
,
invece,
il
premere
urgente
di
esigenze
pratiche,
derivate
da
una
concezione
e
da
una
pratica
banale
della
sessualit.
Per
vivere
la
sessualit
come
esclusivo
strumento
di
piacere
o
di
evasione
bisogna
liberarla
da
ogni
responsabilit,
cio
da
qualsiasi
legame
con
realt
pi
ampie
e
profonde
del
piacere
e
della
evasione.
La
cultura
della
scissione
rompe
il
rapporto
tra
sessualit
e
amore,
tra
amore
e
famiglia,
tra
famiglia
e
senso
della
vita
umana.
La
contraccezione
lo
strumento
tecnico
di
una
tale
cultura
della
scissione.
Per
questo
io
preferisco
parlare
pi
che
di
"mentalit
contraccettiva"
di
"concezione
banale
della
sessualit".
Ma,
nonostante
tutto,
resta
il
figlio,
come
ragione
estrema
di
responsabilit
e
principio
di
ricomposizione.
Nonostante
tutto
innegabile
che
l'incontro
sessuale
in
grado
di
far
scoccare
il
vero
"big
bang"
della
creazione,
la
novit
assoluta
del
figlio,
che
realizza
l'esistenza
creata
nella
sua
pienezza.
L'uomo
non
pu
esistere
se
non
come
figlio
e
l'uomo
l'esito
finale
e
causale
della
creazione.
Perci
la
concezione
banale
della
sessualit
deve
inevitabilmente
cancellare
il
figlio.
Nella
mente
prima
che
nei
fatti.
Il
tradimento
della
medicina
e
del
diritto
riguardo
alla
vita
nascente
non
deriva
da
oscurit
proprie
della
medicina
e
del
diritto.
Deriva,
invece,
da
addensamenti
di
nebbia
provenienti
dall'esterno,
appunto
dal
degrado
della
sessualit.
Perci
l'educazione
al
rispetto
della
vita
deve
trovare
linguaggi
e
metodi
nuovi
anche
nel
campo
dell'educazione
sessuale.
Alla
banalizzazione
non
si
risponde
con
divieti
le
cui
ragioni
vengono
date
per
scontate.
Si
risponde,
invece,
con
l'offerta
di
una
visione
alta
e
affascinante
della
sessualit,
il
che
non
possibile
senza
parlare
anche
di
amore,
di
famiglia,
di
significato
del
vivere.
A
questo
riguardo
si
pu
sottolineare
un
aspetto
che
forse
pu
rendere
meno
pessimista
la
valutazione
del
nostro
tempo.
Non
c'
alcun
dubbio
che
oggi
le
aggressioni
contro
la
vita
nascente
abbiano
raggiunto
un
livello
di
gravit
inedita
sia
per
quantit
che
per
qualit.
Esse
si
accompagnano
allo
sfascio
del
matrimonio
e
della
famiglia
e
alla
perdita
di
valore
della
fedelt
definitiva
e
del
dono
di
s.
Ma
se
guardiamo
al
passato
possiamo
constatare
che
il
maggior
rispetto
della
vita
concepita
e
la
pi
diffusa
stabilit
familiare
erano
sostenuti
da
puntelli
di
ordine
economico-sociale
che
nulla
avevano
a
che
fare
con
le
convinzioni
profonde
dell'uomo.
In
una
societ
contadine
i
figli
erano
ricchezza,
perch
braccia
per
lavorare
la
terra
e
bastone
per
la
vecchiaia;
la
fedelt
e
la
perpetuit
del
matrimonio
erano
garantite
soprattutto
dalla
dipendenza
economica
della
donna
e
dalla
sostanziale
immobilit
fisica.
Oggi
tutti
i
puntelli
sono
caduti.
I
valori
devono
essere
percepiti
nella
loro
intrinseca
forza
e
bellezza.
potrebbe
dunque
essere
il
nostro
tempo
di
autenticit,
in
cui
le
difficolt
esteriori
chiedono
una
forza
interiore
pi
grande
e
pi
vera.
Il
sostegno
alla
vita
nascente
esige
perci
anche
una
educazione
alla
sessualit,
all'amore
e
alla
famiglia
che
sia
espressione
di
una
grande
luminosa
cultura,
non
pavida,
non
arroccata
sul
passato,
non
marginale.
L'insegnamento
dei
metodi
naturali
non
pu
che
essere
inserito
in
questo
contesto.
L'opposizione
della
Chiesa
Cattolica
alla
contraccezione
incomprensibile
all'uomo
moderno
se
non
percepita
come
lo
sforzo
di
comprensione
e
adesione
al
mistero
profondissimo
che
inerisce
alla
sessualit
e
quindi
ultimamente
al
mistero
della
vita
umana.
Anzi:
se
esposta
senza
tali
profonde
motivazioni
la
contiguit
del
tema
della
contraccezione
con
quello
dell'aborto
diviene
argomento
capovolto
dagli
avversari
per
negare
il
diritto
alla
vita.
Far
scivolare
l'aborto
nell'ambito
della
contraccezione
significa,
infatti,
negare
l'esistenza
di
un
figlio,
confondere
il
quinto
con
il
sesto
comandamento.
Penso
perci
che
occorre
187
partire
da
uno
sguardo
contemplativo
sullo
splendore
della
vita
umana
per
illuminare
il
significato
dei
gesti
che
la
generano
e
coglierne
le
esigenze
di
autenticit
e
verit.
Condividere
le
difficolt
della
vita
Nell'ambito
della
solidariet
concreta
sbaglierebbe
chi
indicasse
l'azione
dei
vari
centri
e
servizi
per
la
vita
come
la
novit
in
s.
La
comunit
cristiana
ha
sempre
difeso
la
vita
nascente
e
la
maternit.
Alludo
ad
una
enorme
ricchezza
di
opere,
rispetto
alla
quale
i
vari
centri
e
servizi
alla
vita,
promossi
da
vari
movimenti
per
la
vita,
hanno
una
importanza
modesta.
La
rete
intera
della
presenza
cristiana
costituisce
un
sostegno
non
solo
nella
globalit
dell'esistenza,
ma
anche
in
specifico
riferimento
alla
vita
nascente.
Tuttavia
mi
pare
interessante
riflettere
su
un
fatto
nuovo.
In
tutti
i
Paesi,
non
appena
comincia
la
discussione
sulla
legalizzazione
dell'aborto
nascono
entit
associative
caratterizzate
dallo
specifico
scopo
di
aiutare
concretamente
le
madri
a
non
abortire.
Tali
centri,
pur
non
avendo
una
origine
comune,
hanno
spontanee
caratteristiche
comuni:
si
fondano
sul
volontariato,
offrono
un
aiuto
materiale
e
morale,
per
lo
pi
si
presentano
come
strutture
laicali
nel
senso
che
in
esse
sono
chiamati
a
collaborare
non
solo
i
credenti
o
gli
appartenenti
al
cattolicesimo,
ma
ogni
uomo
di
buona
volont.
Lo
slogan
usato
nei
centri
di
aiuto
alla
vita
italiani
probabilmente
valido
per
ogni
centro
nel
mondo:
"le
difficolt
della
vita
non
si
superano
sopprimendo
la
vita,
ma
superando
insieme
le
difficolt".
Mi
sono
interrogato
molte
volte
sul
significato
profondo
di
questo
fatto:
la
protezione
"sociale"
della
vita
nascente
non
una
novit,
ma
una
novit
il
sorgere
di
strutture
specifiche
ed
degno
di
meditazione
il
fatto
che
esse
abbiano
ovunque
caratteristiche
simili
nonostante
che
nessuno
le
abbia
programmate
con
un
disegno
organico.
Ci
deve
essere
una
esigenza
unitaria
impellente.
Fino
a
quando
l'aborto
non
era
legalizzato
o
non
se
ne
chiedeva
la
legalizzazione,
la
razionalit
collettiva
riguardo
alla
vita
umana
si
esprimeva
soprattutto
con
la
legge:
il
divieto
di
aborto
schierava
la
comunit
tutta
insieme
dalla
parte
della
vita.
Anche
se
le
motivazioni
potevano
essere
pi
o
meno
limpide,
la
testimonianza
dell'intera
comunit
degli
uomini
a
favore
della
vita
era
evidente.
Quando
la
legge
rinuncia
a
tale
testimonianza,
la
comunit
cerca
di
sostituirla
con
una
sua
testimonianza
diretta.
Ecco
perch
i
centri
di
aiuto
alla
vita,
nonstante
la
frequente
modestia
delle
loro
forze,
pretendono
di
essere
l'espressione
di
un'intera
comunit
che
accoglie
la
vita.
Si
caratterizzano
per
la
specificit
gelosa
del
loro
scopo
affinch
la
loro
azione
non
sia
percepita
esclusivamente
come
sostegno
alla
libera
scelta
della
donna.
Si
dichiarano
organismi
laici
per
manifestare
che
il
sostegno
alla
vita
nascente
non
la
difesa
di
una
opinione
e
tento
meno
di
una
idea
religiosa,
ma
l'impegno
ineludibile
della
societ
come
tale.
Insomma
vi
l'idea
di
una
assistenza
che
testimonianza
e
di
una
testimonianza
che
di
per
s
stessa
assistenza,
cio
sostegno
concreto.
Ma
vorrebbero
esprimere,
questi
centri,
anche
un'altro
pensiero
che
mi
pare
abbastanza
profondo.
Naturalmente
facile
osservare
che
la
parola
che
annuncia
il
valore
della
vita
non
credibile
se
non
si
accompagna
alle
opere.
Se
in
una
citt
avviene
una
catastrofe
naturale
non
basta
proclamare
il
valore
della
vita.
Occorre
agire
per
salvare
il
maggior
numero
possibile
di
persone.
Altrimenti
le
sole
parole
di
indignazione
divengono
persino
urtanti.
Ma
nella
testimonianza
che
questi
centri
vorrebbero
rendere
vi
qualcosa
di
pi
profondo.
Vi
l'intuizione
di
un
legame
tanto
forte
quanto
misterioso
fra
la
vita
umana
e
l'amore.
Questa
affermazione
vera
a
livello
metafisico.
La
Rivelazione
cristiana,
che
indica
in
"Amore"
il
nome
del
Creatore,
che
l'essere,
cio
la
vita
per
essenza,
esprime
in
modo
rigoroso
questo
legame.
Ma
questa
affermazione
vera
anche
a
livello
sociologico
e
psicologico.
Di
regola
la
donna
che
si
sente
amata
non
abortisce.
Per
dimostrare
la
vita,
per
testimoniare
la
vita,
per
persuadere
alla
vita,
occorre
usare
un
linguaggio
ed
una
metodologia
impregnati
di
amore.
Per
questo
i
centri
188
dovrebbero
usare
la
metodologia
della
condivisione
delle
difficolt.
Al
fondo
vi
l'idea,
espressa
da
Giovanni
Paolo
II
nel
visitare,
il
19
ottobre
1986,
il
primo
centro
di
aiuto
alla
vita
d'Italia.
Egli
disse
che
questi
centri
sono
"testimonianza
in
favore
del
primato
della
vita
umana
di
fronte
a
tutti
gli
altri
valori
materiali;
un
appello
a
tutti
affinch
comprendano
che
una
societ
giusta
non
si
costruisce
con
la
eliminazione
degli
innocenti
[...]
Desidero
vivamente
-
concluse
il
Papa
-
che
i
cristiani,
i
credenti,
gli
uomini
di
buona
volont
collaborino
con
impegno
sincero
e
costante
in
un'opera
cos
evangelica,
favorendone
un
adeguato
sviluppo".
Naturalmente
non
c'
da
meravigliarsi
se
il
progetto
lontano
dalla
realt,
soprattutto
per
quanto
riguarda
la
capacit
dei
centri
di
essere
espressione
di
un'intera
comunit
che
accoglie.
L'ideale
che
ogni
cristiano,
anzi,
ogni
cittadino
si
senta
e
sia
concretamente
membro
del
centro
della
sua
citt.
Cos
come
la
legge
esprime
tutti,
analogamente
il
centro
dovrebbe
esprimere
tutti.
Se
la
legge
esprimeva
tutti
con
la
minaccia
di
un
castigo
per
chi
offende
il
diritto
alla
vita
e
con
tale
minaccia
intendeva
prevenire
la
lesione,
cos
la
promessa
di
condivisione
delle
difficolt
dovrebbe
esprimere
in
modo
nuovo
la
"razionalit
collettiva"
e
cos
prevenire
l'aborto
sostituendo
l'amore
alla
paura.
In
questa
logica
di
somma
importanza
non
solo
l'ampiezza
delle
partecipazioni
e
delle
collaborazioni
con
i
centri
di
servizio
alla
vita,
ma
anche
lo
stretto
collegamento,
prima
mentale
e
poi
pratico,
con
tutte
le
strutture
di
solidariet
religiose
e
civili
esistenti
sul
territorio.
Non
si
assiste
la
vita
proteggendola
solo
nel
momento
delle
delle
origini.
D'altra
parte
se
il
concepito
un
essere
umano,
allora
egli
un
bambino
e
un
povero.
Anzi:
il
pi
bambino
dei
bambini,
il
pi
povero
dei
poveri.
Perci
tutti
coloro
che
si
occupano
dei
poveri
e
dei
bambini
dovrebbero
testimoniare
anche
a
favore
del
non
ancora
nato
e
tutti
sentirsi
parti
collegate
sulla
vasta
frontiera
in
cui
si
difende
la
vita
umana.
In
tale
contesto
penso
che
le
annuali
celebrazioni
civili
in
cui
si
ricordano
la
Dichiarazione
dei
diritti
dell'uomo
(10.
12.
1948)
e
la
Convenzione
dell'ONU
sui
diritti
del
bambino
(20.
11.
1989)
dovrebbero
diventare
occasioni
privilegiate
per
testimoniare
in
favore
della
vita
nascente.
Nuovi
servizi:
qualche
esempio
Naturalmente
le
promesse
devono
essere
mantenute.
In
particolare
se
una
gravidanza
incontra
la
difficolt
di
un
alloggio
mancante,
bisogna
poter
offrire
la
casa
di
famiglie
accoglienti
o
comunque
case
di
accoglienza.
Se
ci
sono
difficolt
economiche,
occorre
tentare
una
risposta,
per
quanto
parziale.
A
questo
riguardo
mi
piace
segnalare
un
servizio
particolare
attuato
in
Italia
da
alcuni
anni
denominato
"Progetto
Gemma".
Esso
prende
lo
spunto
da
una
esperienza
assai
diffusa,
quella
della
adozione
a
distanza,
attuata
soprattutto
in
favore
di
bambini
abbandonati
o
bisognosi
di
paesi
in
via
di
sviluppo.
Se
anche
il
concepito
non
ancora
nato
un
bambino,
allora
quando
egli
rischia
di
essere
ucciso
il
pi
abbandonato
e
bisognoso
di
tutti.
Ma
non
si
trova
lontano.
Non
a
distanza.
vicino.
tra
noi.
Inoltre
si
trova
in
una
situazione
particolarissima.
Vive
nel
corpo
di
sua
madre.
Se
chiamassimo
"adozione"
l'aiuto
economico
ritmato
e
durevole
offerto
da
una
famiglia,
un
gruppo,
una
parrocchia
a
un
bambino
lontano
perch
viva
e
cresca
allora
bisogna
parlare
di
"adozione
a
distanza
ravvicinata"
non
solo
di
un
bambino,
ma
anche
della
sua
mamma
quando,
attraverso
la
rete
dei
centri
per
la
vita,
l'aiuto
mensile
per
un
certo
tempo
offerto
per
condividere
le
difficolt
economiche
che
potrebbero
condurre
all'aborto.
Questo
"progetto
Gemma".
L'altra
grande
spinta
a
sopprimere
la
vita
la
solitudine.
Esigenza
fondamentale
dunque
quella
di
far
sapere
che
nella
societ
ci
sono
persone
e
strutture
pronte
a
rompere
la
solitudine.
In
una
societ
che
censura
la
vita
nascente
non
facile
"far
sapere".
Eppure
il
"far
sapere"
fa
parte
delle
"forme
nuove"
di
servizio
alla
vita,
con
le
forme
"nuove"
della
pubblicit
in
specie
nelle
farmacie,
189
negli
studi
medici,
sui
mezzi
di
comunicazione
sociale.
Il
telefono
e
forse
Internet
diventano
strumenti
potenti
di
servizio
alla
vita.
In
Italia
da
qualche
anno
funziona
un
servizio
telefonico
nazionale,
gratuito
per
il
chiamante,
funzionante
24
ore
su
24,
che
ha
gi
salvato
il
coraggio
delle
madri
insieme
alla
vita
dei
figli.
Si
chiama
S.
O.
S.
Vita.
Ma
ha
bisogno
di
essere
conosciuto.
Altra
causa
di
uccisione
la
paura.
Intendo
dire
la
paura
di
malformazioni
del
figlio.
Naturalmente
il
figlio
va
accolto
in
ogni
caso,
ma
tutte
le
volte
che
possibile
-
e
l'esperienza
dimostra
che
i
casi
sono
numerosi
-
bisogna
dissolvere
o
ridurre
la
paura.
Ci
esige
studio
rigoroso,
approfondimento
a
livello
internazionale,
risposte
vere,
ma
capaci
egualmente
di
suscitare
coraggio.
merito
di
alcuni
medici
della
Facolt
di
Medicina
e
Chirurgia
dell'Universit
Cattolica
di
Roma
aver
avviato
un
servizio
chiamato
"Telefono
Rosso".
una
esperienza
nuova
che
andrebbe
moltiplicata
e
fatta
crescere.
Uno
degli
aspetti
pi
inquietanti
della
"cultura
della
morte"
si
manifesta
nel
modo
in
cui
si
proclama
il
"diritto
a
nascere
sano".
Poich
tale
posizione
implica
una
evidente
discriminazione
sull'uomo
e,
ultimamente
un
atteggiamento
"razzista",
la
legalizzazione
dell'aborto
in
caso
di
malformazioni
del
feto
stata
mascherata
spesso
con
il
pericolo
della
salute
psichica
della
madre.
Ci
evidente
nella
legge
italiana
sulla
interruzione
della
gravidanza
.
Ma
la
maschera
cade
nel
campo
della
procreazione
artificiale
in
vitro,
quando
addirittura
si
celebra
come
trionfo
della
medicina
e
come
vittoria
sulla
malattia
l'uccisione
di
molti
embrioni
osservati
in
provetta
prima
ancora
di
essere
impiantati
nel
corpo
della
madre,
in
modo
da
selezionare
e
tentare
di
far
vivere
solo
quelli
che
non
sembrano
presentare
rischi
di
malattie
genetiche.
Di
qui
all'eugenismo
e
alla
selezione
dei
figli
in
base
alle
loro
caratteristiche
il
passo
breve.
Sempre
pi
frequenti
sono
poi
le
cause
per
danni
promosse
contro
medici
e
strutture
sanitarie
nel
caso
di
nascite
di
bambini
handicappati,
non
perch
la
malformazione
sia
stata
cagionata
da
imperizia
o
negligenza
dal
medico
(nel
qual
caso
sarebbe
ovvio
il
dovere
di
risarcire
il
danno),
ma
perch
il
personale
sanitario,
non
essendosi
accorto
durante
la
gravidanza
della
malformazione
e/o
non
avendo
consigliato
o
eseguito
l'aborto,
ha
lasciato
vivere
il
figlio.
Gi
in
Francia
una
recente
sentenza
(novembre
2000)
ha
riconosciuto
un
tale
diritto
al
risarcimento
del
danno
verso
il
medico
per
aborto
non
effettuato
non
solo
ai
genitori,
ma
anche
al
figlio.
Il
"danno
da
nascita"
l'esatta
antitesi
dell'idea
che
la
vita
un
dono
e
la
nascita
un
lieto
evento.
Lo
sbocco
finale
sar
il
diritto
al
risarcimento
per
essere
venuto
al
mondo
non
solo
verso
i
medici,
ma
anche
verso
le
eroiche
madri,
che,
pur
conoscendo
la
malformazione
del
figlio
non
hanno
voluto
divenire
omicide.
E
poich
la
malformazione
non
che
una
possibile
causa
di
"sofferenza
del
vivere"
si
capisce
bene
come
la
"cultura
della
morte"
possa
immaginare
scorrerie
terribili
attraverso
la
breccia
del
"diritto
a
nascere
sani".
A
questo
proposito
la
risposta
urgente
della
"cultura
della
vita"
,
naturalmente,
l'accoglienza
premurosa
del
disabile
e
del
malato,
ma
anche
la
messa
in
opera
degli
strumenti
pi
raffinati
della
scienza
e
dell'amore
per
contrastare
la
facile
propensione
all'aborto
quando
vi
soltanto
un
sospetto,
magari
remoto,
di
anomalia
o
malformazione
(propensione
favorita
e
spesso
indotta
da
una
categoria
di
medici
timorosa
di
essere
chiamata
a
risarcire
i
danni)
e
comunque
di
favorire
sempre,
nel
rispetto
della
verit
scientifica,
l'accoglienza
del
figlio.
Affinch
le
esortazioni
siano
anche
condivisione
efficace
urge
conoscere
e
proporre
terapie
e
rimedi
sia
durante
che
prima
e
dopo
la
gravidanza.
Fortunatamente
-
questa
una
delle
molte
contraddizioni
-
l'embrione
considerato
un
paziente
nell'ambito
di
una
scienza
medica
che
giunta
a
poterlo
curare
e
persino
operare
all'interno
dell'utero
materno.
"Telefono
Rosso"
un
servizio
di
rassicurazione
nei
molti
casi
in
cui
il
timore
infondato
o
affrontabile
e
tende
comunque
ad
essere
il
sostegno
del
medico
autorevolmente
amico
della
vita
a
bilanciare
il
potere
medico
che
spesso
orienta
verso
la
morte.
190
191
della
moderna
teoria
dei
diritti
umani,
deve
sottrarre
l'uomo,
tutto
l'uomo
ed
ogni
uomo,
al
mondo
delle
cose
e
collocarlo
sul
piano
misterioso
di
una
trascendenza
rispetto
alla
materia.
Ci
compito
del
diritto
la
cui
funzione
quella
di
separare
gli
oggetti
dai
soggetti.
Riconoscere
il
concepito
come
soggetto,
affermarne
l'eguaglianza
e
la
dignit
il
massimo
strumento
di
prevenzione
dell'aborto,
il
gesto
di
solidariet
concreta
verso
gli
individui
che
la
Fivet
condanna
a
morte
prima
ancora
della
loro
esistenza,
la
risposta
giusta
all'idea
della
"nascita
come
danno",
la
base
solida
e
il
sigillo
finale
della
teoria
dei
diritti
umani.
Non
si
pu
dispiegare
un
completo
sostegno
della
vita
nascente
senza
la
"novit"
del
riconoscimento
di
un
vero
e
proprio
diritto
soggettivo
alla
vita
dell'uomo
fin
dal
concepimento,
cio
senza
la
dichiarazione
della
soggettivit
(capacit)
giuridica
dell'embrione
fin
dalla
fecondazione.
Ci
significa
anche
rivendicare
la
nobilt
del
diritto
e
della
legalit
come
strumento
di
giustizia
e
non
di
forza.
Dal
biodiritto
alla
biopolitica
Da
quanto
ora
detto
deriva
che
non
si
pu
difendere
concretamente
la
vita
senza
attingere
alla
politica.
la
politica
che
fa
le
leggi
ed
una
legge
che
non
protegge
la
vita
umana
non
una
legge
in
senso
moderno.
Ho
gi
concentrato
l'attenzione
sull'essenziale
trascurando
i
dettagli.
Ci
che
essenziale
il
riconoscimento
giuridico,
cio
detto,
scritto
nelle
leggi
e
perci
insegnato
nelle
Universit
e
reso
noto,
che
ogni
essere
umano
un
soggetto
e
che
perci
anche
il
concepito
fin
dalla
fecondazione
dotato
di
capacit
giuridica.
Questo
il
massimo
elemento
di
prevenzione.
Ormai
il
pensiero
giuridico
costituzionale
europeo,
in
mezzo
a
tante
incertezze,
sembra
condizionata
da
questa
riflessione.
Ma
l'azione
politica
deve
dare
grande
rilevanza
anche
alle
strutture
amministrative
locali.
Esse,
se
vogliono,
possono
sostenere
e
finanziare
progetti
di
sostegno
alla
vita.
Possono
proclamare
nei
loro
statuti
il
diritto
alla
vita.
Nonostante
tutto
assai
pi
difficile
scrivere
in
atti
giuridici
che
l'embrione
una
cosa.
Perci
il
livello
politico
locale,
alla
lunga,
pu
cambiare
la
mentalit
anche
laddove
le
leggi
nazionali
sono
inique.
Infine
urgente
riflettere
sulla
esigenza
che
il
diritto
alla
vita
entri
nella
politica
nel
ruolo
che
gli
spetta,
un
ruolo
cos
centrale
da
rendere
insostenibile
la
neutralit
sulla
vita
dei
governi,
delle
alleanze,
dei
partiti
e
dei
voti
popolari.
Discorso
difficile
e
complesso,
questo,
nel
quale
ancora
si
balbetta.
per
impossibile
non
affrontarlo
se
rileggiamo
il
paragrafo
n.
5
dell'Enciclica
Evangelium
Vitae:
Come
un
secolo
fa
ad
essere
oppressa
nei
suoi
fondamentali
diritti
era
la
classe
operaia,
e
la
Chiesa
con
grande
coraggio
ne
prese
le
difese,
proclamando
i
sacrosanti
diritti
della
persona
del
lavoratore,
cos
ora,
quando
un'altra
categoria
di
persone
oppressa
nel
diritto
fondamentale
alla
vita,
la
Chiesa
sente
di
dover
dare
voce
con
immutato
coraggio,
a
chi
non
ha
voce.
Il
suo
sempre
il
grido
evangelico
in
difesa
dei
poveri
del
mondo,
di
quanti
sono
minacciati,
disprezzati
e
oppressi
nei
loro
diritti
umani.
Ad
essere
calpestata
nel
diritto
fondamentale
alla
vita
oggi
una
grande
moltitudine
di
esseri
umani
deboli
e
indifesi,
come
sono,
in
particolare,
i
bambini
non
ancora
nati.
Se
alla
Chiesa,
sul
finire
del
secolo
scorso,
non
era
consentito
tacere
davanti
alle
ingiustizie
allora
operanti,
meno
ancora
essa
pu
tacere
oggi,
quando
alle
ingiustizie
sociali
del
passato,
purtroppo
non
ancora
superate,
in
tante
parti
del
mondo
si
aggiungono
ingiustizie
ed
oppressioni
anche
pi
gravi,
magari
scambiate
per
elementi
di
progresso
in
vista
dell'organizzazione
di
un
nuovo
ordine
mondiale.
Queste
parole
di
Giovanni
Paolo
II
dovrebbero
essere,
secondo
me,
lo
stimolo
fondamentale
per
un
nuovo
manifesto
di
presenza
politica
dei
cattolici
nel
mondo.
Tanto
pi
gravi
mi
appaiono
pertanto
le
reticenze,
la
prudenza,
le
diplomazie,
i
rinvii
e
le
evasioni
con
cui
anche
da
parte
di
molti
che
vogliono
sostenere
la
vita
nascente
si
cerca
di
separare
il
diritto
alla
vita
dalla
politica.
192
Della
politica
conosco
bene
la
complessit,
le
difficolt,
le
insidie,
le
condizioni.
Accetto
la
logica
della
gradualit
(se
non
rinuncia
all'obiettivo
finale),
della
mediazione
(se
non
compromesso,
ma
conoscenza
della
realt),
del
risultato
concreto
(se
non
rifiuto
della
testimonianza).
Tuttavia
mi
pare
che
anche
la
politica
debba
sentire
a
s
rivolta
l'esortazione
pressante
del
paragrafo
95
della
Evangelium
Vitae:
Urgono
una
generale
mobilitazione
delle
coscienze
e
un
comune
sforzo
etico,
per
mettere
in
atto
una
grande
strategia
a
favore
della
vita.
Tutti
insieme
dobbiamo
costruire
una
nuova
culture
della
vita:
nuova,
perch
in
grado
di
affrontare
e
risolvere
gli
inediti
problemi
di
oggi
circa
la
vita
dell'uomo;
nuova
perch
fatta
propria
con
pi
salda
e
operosa
convinzione
da
parte
di
tutti;
nuova,
perch
capace
di
suscitare
un
serio
e
coraggioso
confronto
culturale
con
tutti.
193
GIAMPIERO
GAMALERI
I
MEDIA
E
LA
CULTURA
DELLA
VITA
Il
"fiume
del
cambiamento"
della
galassia
dei
media
continua
a
non
arrestarsi.
Anzi,
esso
riguarda
non
pi
soltanto
lo
sviluppo
dei
supporti
digitali
ai
quali
si
ancora
il
fenomeno
della
comunicazione
oramai
costantemente
spostata
sulle
tradizionali
"autostrade
dell'informazione",
ma
anche
gli
aspetti
qualitativi
e
quantitativi
della
comunicazione
stessa.
In
pratica,
sono
venuti
trasformandosi
completamente
la
forma
e
la
sostanza
della
comunicazione
tradizionale.
I
nuovi
media
raggiungono
tutti,
per
cui
la
globalizzazione
sta
oggi
vivendo,
forse,
il
suo
punto
di
maggiore
vivacit.
Ma
accanto
alle
grandi
e
molteplici
possibilit
che
ci
attendono,
e
che
sempre
pi
spesso
sono
gi
presenti,
si
affiancano
anche
una
serie
di
rischi
-
di
natura
etica
e
morale
-
per
la
comune
utenza.
Ebbene,
da
questi
richiami
non
dovremo
n
potremo
prescindere,
se
il
fine
ultimo
dell'affermazione
delle
nuove
tecnologie
nell'universo
della
comunicazione
dovr
essere
considerato
un
evento
pienamente
positivo
per
la
crescita
e
lo
sviluppo
della
persona
umana,
sia
dal
punto
di
vista
meramente
individuale
che
da
quello
della
vita
sociale
e
collettiva.
LA
TRASFORMAZIONE
DELLA
GALASSIA
DEI
MEDIA
Gli
ultimi
cinque
anni,
oltre
ad
aver
suggellato
la
chiusura
del
Secondo
Millennio,
hanno
rivelato
una
mutazione
nei
consumi
culturali
italiani
e
pi
in
generale
dei
cittadini
europei.
L'ultimo
Rapporto
Censis,
al
solito
fedele
specchio
delle
abitudini
del
nostro
Paese,
ci
aiuta
dati
alla
mano
a
capire
questi
cambiamenti
e
a
confrontarci
con
i
medesimi[1].
In
generale,
si
potr
osservare
come
l'evoluzione
del
consumo
di
contenuti
diffusi
mediante
strumenti
legati
alle
nuove
tecnologie
abbia
raggiunto
uno
sviluppo
di
altissimo
valore
percentuale.
Inoltre,
sar
facile
constatare
come
-
in
conseguenza
di
ci
-
la
quantit
di
consumatori
culturali
multimediali
abbia
raggiunto,
oggi,
delle
percentuali
simili
in
tutti
i
Paesi
europei.
Vale
a
dire,
anche
Italia
e
Spagna
(per
fare
un
esempio)
hanno
raggiunto
i
loro
partner
continentali
nella
diffusione
e
nell'uso
quotidiano
delle
nuove
tecnologie
e
nel
loro
utilizzo
a
favore
della
fruizione
di
contenuti
formativi
ed
informativi.
Come
si
potr
notare,
ad
una
tenuta
dei
media
tradizionali
(radio
e
televisione)
si
affianca
un
calo
dell'informazione
su
supporto
cartaceo
(giornali
e
riviste),
mentre
CD-Rom
e
televisione
digitale
continuano
a
riscuotere
un
sempre
pi
ampio
consenso
verso
i
consumatori.
Ma
il
dato
che
risalta
certamente
la
diffusione
dinamica
e
generalizzata
di
Internet.
In
questo
senso,
evidente
come
la
fruizione
della
Rete
non
sia
sottrattiva
ma
aggiuntiva.
Vale
a
dire
che
l'uso
sempre
pi
frequente
di
Internet
dovuto
anche
alla
sua
possibilit
di
fornire
pi
contenuti:
assume
dunque
una
funzione
integrativa
e
complementare
rispetto
agli
altri
media,
soprattutto
a
quelli
di
natura
audiovisiva.
Il
dato
che
segue
ci
aiuta
a
comprendere
ancora
pi
nel
dettaglio
questo
discorso,
spostando
l'analisi
dell'evoluzione
dei
consumi
dei
media
verso
la
definizione
della
tipologia
del
consumatore.
Questi
dati
mostrano
chiaramente
come
-
stando
alla
lettura
dei
grandi
numeri
-
circa
la
met
della
popolazione
europea
sia
oramai
orientata
ad
un
consumo
culturale
di
tipo
multimediale,
grazie
alle
notevoli
e
numerose
applicazione
che
anche
un
semplice
personal
computer
mediamente
accessoriato
oggi
consente.
194
195
Dal
canto
suo,
ipotizzabile
che
nel
lungo
periodo
il
computer
andr
ad
assolvere
la
funzione
della
televisione,
malgrado
le
attuali
difficolt
di
integrazione
dei
due
medium.
Inoltre,
nonostante
alcune
difficolt,
l'Italia
si
segnala
in
netta
crescita
per
quanto
concerne
il
consumo
della
televisione
a
pagamento.
Possiamo,
in
tal
senso,
fare
tesoro
dell'indicazione
fornitaci
dalla
newsletter
britannica
"Screen
Digest",
secondo
la
quale
l'Italia
costituir
"il
mercato
europeo
che
avr
il
pi
alto
tasso
di
crescita
della
spesa
nella
pay
tv
nei
prossimi
quattro
anni,
superando
la
quota
di
Spagna
e
Germania,
che
oggi
ci
precedono"[5].
C'
infine
l'ultima
frontiera
della
convergenza
multimediale:
la
telefonia
cellulare.
Gi
approdata
alla
tecnologia
WAP,
essa
centrer
appieno
l'obiettivo
dell'integrazione
multimediale
con
l'arrivo
dei
telefonini
UMTS,
cosiddetti
di
terza
generazione,
con
i
quali
Internet
e
telefono,
coesisteranno
in
un
solo
supporto
operativo,
un
apparecchio
operante
in
audio
e
video
per
dialogare
"faccia
a
faccia"
oppure
per
controllare
on
line
i
listini
della
Borsa.
Il
sistema
UMTS,
operativo
in
Italia
dal
2002,
trover
un
Paese
oramai
preparato
su
larga
scala
all'uso
del
telefono
cellulare:
oltre
il
65%
degli
italiani
usa
il
telefonino,
con
una
punta
di
quasi
l'84%
tra
i
giovani
fino
ai
35
anni,
mentre
oltre
il
52%
fa
comunemente
uso
dei
messaggi
SMS
e
circa
un
italiano
su
cinque
abile
nella
navigazione
di
Internet.
NUOVE
OPPORTUNIT,
NUOVI
RISCHI
Questo
inedito
contesto
operativo
ci
avvicina
a
possibilit
fino
a
pochi
anni
fa
impensabili,
ma
in
ultimo
deve
anche
impedirci
un
precoce
allontanamento
dalla
"realt
pi
bassa",
quella
di
tutti
i
giorni.
In
sintesi,
agli
enormi
vantaggi
che
il
futuro
ci
offre
dobbiamo
sempre
contrapporre
i
rischi
che
potrebbero
derivare
dal
seguire
in
maniera
frettolosa
il
"flusso
del
futuro".
Al
giorno
d'oggi,
siamo
abituati
alla
possibilit
di
essere
costantemente
in
contatto
con
tutto
e
tutti:
siamo
cio
in
grado
di
vivere
nel
"nodo"
della
comunicazione,
ed
essere
contemporaneamente
-
e
in
qualsiasi
momento
-
soggetto
ed
oggetto
della
comunicazione.
Non
solo:
in
ogni
momento
della
nostra
vita
siamo
potenzialmente
multimediali,
nel
senso
che
possiamo
usufruire
simultaneamente
di
pi
mezzi
e
di
diversi
linguaggi
di
comunicazione.
Inoltre,
possiamo
convogliare
i
messaggi
su
uno
o
pi
canali,
con
la
massima
libert
di
scelta
nell'articolazione
di
questi
"movimenti
comunicativi".
Questi
fattori,
novit
straordinarie
e
sempre
pi
in
via
di
affermazione,
ci
permettono
conseguentemente
di
ampliare
la
nostra
capacit
di
soggetti
recettori,
spostando
il
raggio
di
attenzione
da
ci
che
gi
sappiamo
esserci
utile
a
ci
che
"imprevedibilmente"
ci
sar
utile.
In
pratica,
possiamo
affermare
che
i
cambiamenti
in
atto,
prodotti
dalla
circolarit
della
comunicazione,
in
cui
il
destinatario
dell'informazione
pu
essere
anche
mittente,
sono
gi
notevoli.
L'utente
non
si
rivolge
pi
soltanto
al
classico
contenitore
domestico,
dal
quale
abitualmente
doveva
ricevere
indifferentemente
ci
che
esso
trasmetteva,
adeguando
se
stesso
al
ritmo
dell'apparecchio,
ad
esempio
ai
palinsesti
propri
di
ciascuna
emittente
televisiva.
Il
consumatore
di
Internet
non
dovr
far
altro
che
cercare
ci
di
cui
ha
bisogno,
e
sintonizzarsi
sul
"fornitore"
ideale.
La
Rete
sar
cos
esplorata
e
selezionata
-
navigata
-
da
ogni
soggetto
recettore.
Concludendo,
tale
processo
ci
consente
oggi
di
partecipare
ad
un
allargamento
orizzontale
dell'informazione,
ad
una
sorta
di
globalizzazione
e
democratizzazione
del
sapere,
con
facilit
e
libert
di
accesso
alle
fonti.
Affinch
questa
dinamica
non
cessi
di
offrirci
nuove
opportunit,
per
trasformarsi
in
una
dispersione
della
conoscenza
o
peggio
ancora
in
una
diffusione
di
notizie
e
nozioni
errate
e
fuorvianti,
sar
per
opportuno
attrezzarsi
al
meglio
per
non
essere
posti
in
una
condizione
di
difficolt
quando
ci
dobbiamo
orientare
nel
surplus
informativo
della
Rete,
soprattutto
quando
si
tratta
di
verificare
le
informazioni
e
le
fonti
originarie.
196
LA
QUALIT
TELEVISIVA
La
comunicazione
televisiva,
in
termini
di
qualit,
deve
rappresentare
quella
che
a
mio
avviso
potremmo
definire
"televisione
aperta",
perch
non
inventa
la
realt
ma
vi
si
ispira,
la
riproduce.
La
fiction,
ad
esempio,
svolge
un
ruolo
importante
e
delicato,
essendo
un
tramite
al
rivelarsi
dei
sentimenti
e
delle
forme
di
partecipazione
del
profondo.
E'
per
quanto
mai
utile
una
fiction
capace
di
ispirarsi
alla
realt,
perch
la
vita
stessa
pi
grande
di
qualsiasi
capacit
di
immaginazione
dell'uomo.
Questa
"televisione
aperta"
non
pu
essere
tale
solo
nei
contenuti,
cio
nei
programmi
che
arrivano
al
pubblico,
che
pur
sono
l'elemento
pi
importante
in
termini
di
visibilit,
ma
nell'intera
sua
architettura
tecnologica
ed
organizzativa.
Pensare
il
contrario
sarebbe
come
limitare
l'esperienza
religiosa
ai
sermoni
"unidirezionali"
della
domenica
e
non
considerare
tutta
la
dialogicit
che
pervade
l'esperienza
cristiana
e
anche
quella
di
altre
confessioni
orientate
verso
l'altro
in
dimensione
sia
orizzontale
(il
dialogo
con
i
fratelli)
che
verticale
(l'invocazione,
la
preghiera).
Inoltre,
la
televisione
di
qualit
viaggia
attraverso
l'evoluzione
del
mezzo
stesso.
In
questo
senso
possiamo
anche
affermare
un
tentativo
di
"confronto"
tra
il
messaggio
evangelico
e
la
testimonianza.
Nel
messaggio
c'
infatti
un'intenzionalit
didascalica,
mentre
nella
testimonianza
troviamo
l'umilt
del
porgersi,
del
mettersi
a
confronto,
del
dialogare.
E
quando
la
testimonianza
proviene
da
una
certa
esperienza
e
cerca
di
incarnarla,
seppure
immeritatamente,
ecco
che
la
televisione,
mezzo
evidentemente
testimoniale,
la
riproduce
e
la
amplifica.
Riguardo
i
sistemi
di
comunicazione,
stiamo
andando
da
mezzi
consolidati,
ancora
animati
da
una
forte
vitalit,
verso
mezzi
nuovi.
Il
mezzo
elettronico
in
cui
l'esperienza
religiosa
ha
trovato
la
possibilit
di
presenze
efficaci
stato
senz'altro
la
radio.
Non
un
caso
che
la
Santa
Sede
abbia
ritenuto
di
"compromettersi"
fin
dall'inizio
con
questo
mezzo,
con
l'epopea
marconiana
e
la
nascita,
appunto,
della
Radio
Vaticana.
Oltre
a
questa
esperienza
istituzionale,
ne
abbiamo
altre
di
diverso
tipo
in
tempi
pi
recenti:
Radio
Maria,
ad
esempio,
per
quanto
riguarda
il
nostro
Paese,
e
molte
altre
all'estero.
Sta
di
fatto,
comunque,
che
la
cerniera
tra
la
radiofonia
e
la
presenza,
l'interrogarsi
sulle
cose
profonde,
sulla
dimensione
religiosa,
sulla
presenza
di
Dio
tra
noi,
tutto
ci
ha
senz'altro
avuto
nella
radio
esperienze
molto
significative.
La
televisione,
d'altra
parte,
ha
quella
laicit
-
che
Ettore
Bernabei
arrivava
provocatoriamente
a
definire
"ateismo"
-
da
cui
siamo
realisticamente
partiti,
che
effettivamente
possono
provocare
un
senso
di
estraneit,
di
ghettizzazione.
Anche
un
altro
punto
va
a
mio
avviso
sottolineato:
non
di
sole
rubriche
religiose
vive
la
testimonianza
cristiana
in
tv.
Procederei
anzi
alla
formulazione
di
un'equazione
abbastanza
precisa:
tanto
diventa
globale
il
mezzo,
tanto
deve
essere
totalizzante
l'esperienza
proposta.
Per
nella
tv
ci
sono
certamente
una
tradizione
e
una
resistenza
che
non
vanno
sottovalutate.
La
strada
giusta
mi
sembra
si
possa
indicare
nel
recupero
della
normalit
di
certi
personaggi
di
alcune
popolari
fiction,
attraverso
cui
proporre
i
valori
che
li
legano
a
una
certa
radice,
a
certe
tradizioni.
Ed
proprio
andando
oltre
questi
modelli
che
si
recupera
l'uomo,
tramite
inevitabile
per
quell'interrogativo.
Perch
anche
per
i
contemporanei
di
Ges
fu
necessario
che
Ges
si
incarnasse.
Nessuno,
infatti,
avrebbe
potuto
cogliere
la
radicalit
del
messaggio,
se
non
ci
fosse
stato
un
testimone
ultimo
ad
incarnarlo
e
rappresentarlo.
Se
questo
valso
per
i
contemporanei
di
Ges,
a
maggior
ragione
vale
per
noi,
che
dobbiamo
evidentemente
vedere
questa
testimonianza
attraverso
storie
umane
che
siano
portatrici
di
quella
problematicit.
197
Tornando
a
prendere
a
pretesto
la
radio,
se
dovessimo
lanciare
uno
slogan
per
dire
che
essa
ha
dimostrato
di
poter
assolvere
a
tale
compito,
potremmo
anche
dire
che
-
perch
la
televisione
possa
camminare
su
questa
strada,
che
una
strada
di
umanesimo
cristiano
-
bisogna
scavare
intorno
al
concetto
di
"televisione
aperta".
Se
noi
scavassimo,
per
usare
una
provocazione
in
qualche
modo
popperiana,
attorno
a
un
concetto
di
televisione
che
non
ha
pregiudizi,
che
ospita
il
contraddittorio
fino
in
fondo,
che
favorisce
il
confronto
pi
radicale
tra
gli
individui
pur
naturalmente
rimanendo
nei
confini
della
tolleranza
-
se
cio
cercassimo
di
definire
una
televisione
che
si
confronta
col
mistero,
penso
che
la
definizione
che
ne
potremmo
dare
proprio
quella
di
una
televisione
che
in
tutte
le
sue
espressioni
aperta,
esattamente
l'opposto
di
una
"televisione
dottrinale",
poggiata
su
una
proposta
pedagogica
che
era
troppo
spesso
messa
ad
etichetta
della
testimonianza
cristiana.
Invece
l'humus
della
proposta
cristiana,
l'acquario
in
cui
essa
si
muove,
la
televisione
aperta
che
prevale
sulla
televisione
dogmatica.
E
qui
vorrei
sottolineare
come
il
cattolicesimo,
inteso
come
esperienza
storica
di
vita
di
una
comunit,
un'esperienza
che
si
impernia
appunto
sulle
relazioni
umane
e
non
esclusivamente
su
testi
scritti,
su
espressioni
chiuse:
perch
il
cattolicesimo
l'esperienza
meno
dogmatica
che
esista,
di
incontro
dell'uomo
con
Dio.
Se
questo
vero,
come
io
credo,
tanto
meno
la
televisione
dogmatica,
tanto
pi
aperta,
e
tanto
pi
in
grado
di
ospitare
l'esperienza
cristiana.
Pensiamo
a
un
esempio:
nel
campo
dei
programmi
scientifici
ci
sono
due
modi
radicali,
come
insegna
il
mio
collega
ed
amico
Dario
Antiseri,
di
impostare
il
problema.
C'
un
modo
che
ha
tutta
la
sua
dignit
e
che
io
rispetto
profondamente,
un
procedimento
di
tipo
descrittivo
e
quasi
manualistico,
corredato
di
bellissime
immagini
e
ottimi
testi,
in
cui
si
descrivono
le
cose
e
si
danno
per
fatte:
le
cose
stanno
cos
perch
cos
ha
spiegato
la
comunit
scientifica.
C'
poi
un
altro
modo,
chiamiamolo
qui
ancora
una
volta
"popperiano",
in
cui
l'aspetto
scientifico
viene
s
posto
in
tutta
la
sua
potenzialit,
ma
mirando
anche
all'individuazione
dei
suoi
limiti,
nel
confronto
con
quell'oltre
che
fa
interrogare
non
solo
l'uomo
comune
ma
anche
lo
scienziato,
facendogli
dire
"Eureka,
eureka"
quando
viene
contraddetto
-
perch
sappiamo
tutti,
ormai,
che
davanti
alla
contraddizione
che
la
scienza
fa
un
passo
in
avanti,
costringendo
l'uomo
di
scienza
ad
escludere
una
data
ipotesi
per
sposarne
un'altra,
immaginando
e
ipotizzando
uno
scenario
diverso.
Questo
un
altro
punto
su
cui
provvidenzialmente
la
televisione
dovrebbe
operare,
perch
non
farebbe
altro
che
spalancarsi
sulla
modernit
di
una
concezione
scientifica
che
rinvia
ad
interrogativi
superiori
e
diversi,
n
magici
n
miracolistici,
ma
sicuramente
atti
a
far
cogliere
fino
in
fondo
al
telespettatore
questo
senso
del
limite.
Un'altra
considerazione
ruota
intorno
alla
definizione
del
ruolo
delle
nuove
tecnologie.
Qui
pi
che
mai
verrebbe
da
dire
che
"il
mezzo
il
messaggio",
nel
senso
che
si
tratta
di
chiedersi
se
lo
sviluppo
della
digitalizzazione
dei
sistemi
sia
strutturalmente
pi
idoneo
a
poter
incanalare
quell'elemento
testimoniale
di
cui
parlavamo
prima.
La
risultante
di
questa
analisi
la
situazione
apparentemente
paradossale
di
un
mezzo
come
Internet,
che
si
differenzia
dalla
televisione,
in
cui
c'
una
schiera
di
provveduti,
di
abili
professionisti
i
quali
confezionano
messaggi
per
diffonderli
ad
altri.
Nella
Rete
non
c'
un
vertice,
giusto
o
sbagliato
che
sia,
che
comunque
elargisca
verso
la
base,
con
l'unica
speranza
che
questo
vertice
sia
rispettoso,
aperto,
pluralistico.
In
Internet
abbiamo
il
"farsi"
di
un
dialogo,
l'introdursi
di
attori.
Abbiamo
un
paradosso:
il
massimo
della
concentrazione
tecnologica,
perch
questo
sistema
un
sistema
integrato,
mondiale,
planetario,
una
tela
di
ragno
intricatissima
-
con
il
massimo
di
decentramento
198
comunicativo,
perch
ciascuno
pu
penetrare
dentro
questo
sistema
da
qualsiasi
punto,
attingere
e
dialogare,
solo
che
lo
voglia.
Pensando
al
Giubileo
ed
oltre,
perch
ritengo
che
il
Giubileo
sia
la
grande
prova
generale
della
Chiesa
del
terzo
millennio,
vorrei
aggiungere
che
la
Chiesa
non
solo
benedice
questi
mezzi,
ma
se
ne
appropria,
e
per
Chiesa
intendo
non
solo
quella
istituzionale,
ma
tutte
le
esperienze
dei
cristiani,
tutto
il
fermento
di
ricerca,
di
testimonianza
cristiana
che
c'
nel
mondo.
Considero
in
tal
senso
la
Chiesa
portatrice
di
una
peculiarit
formidabile,
sociologicamente
parlando,
ma
sappiamo
che
non
solo
un
fenomeno
ovviamente
sociologico,
perch
ci
investe
nel
profondo:
forse
l'unica
esperienza
diffusa
su
tutto
il
pianeta,
in
alcune
zone
maggiormente,
in
altre
in
un
tono
minore.
Fondamentalmente,
per,
il
Papa
nei
suoi
viaggi
non
altro
che
una
sorta
di
internettizzazione
fisica,
che
prelude
alla
internettizzazione
elettronica,
perch
ovviamente
dopo
le
sue
presenze
s'immagina
che
rimanga,
come
rimane,
il
dialogo
che
viene
instaurato.
Se
ci
vero,
io
vedo
una
provvidenziale
congiunzione
tra
le
caratteristiche
di
questi
mezzi
e
la
peculiarit
dell'esperienza
religiosa,
tipica
del
cristianesimo
e
del
cattolicesimo
in
specie.
Le
nuove
tecnologie
possono
permettere
la
realizzazione
anche
di
quella
esperienza
profonda,
radicale,
per
la
quale
la
Chiesa
possa
sviluppare
l'esperienza
di
vita
tipica
di
una
comunit,
una
comunit
che
si
riunisce,
dialoga,
si
interroga,
si
contrasta,
si
confronta
con
gli
altri,
attraverso
lo
strumento
elettronico.
Ci
sarebbe
poi
da
dire
circa
il
coinvolgimento
di
una
realt
sensoriale
pi
ampia,
della
realt
virtuale,
parlandone
al
di
l
dell'oggettistica
e
della
produzione
"artistica"
che
la
caratterizza
per
alcuni
aspetti.
Certamente,
per,
possiamo
affermare
che
la
comunicazione
va
costantemente
verso
un
coinvolgimento
pi
ampio
dei
sensi,
forse
anche
in
modi
pi
semplici
che
non
attraverso
quei
marchingegni.
La
realt
virtuale,
senza
fare
salti
in
avanti,
anch'essa
un
fenomeno
che
pu
consentirci
di
vivere
questa
esperienza
-
la
testimonianza
di
comunit
cristiana
-
toccando
il
lembo
del
mantello
(direi
citando
il
cardinal
Martini),
vale
a
dire
arrivando
forse
anche
a
forme
di
tattilit.
Il
percorso
alla
televisione
di
qualit
ancora
lungo
e
non
mancheranno
involuzioni
e
persino
regressioni.
Ma
ormai
sembra
inesorabilmente
avviato.
Naturalmente
deve
essere
accompagnato
da
validi
strumenti
di
regolazione
giuridica
e
sociali
a
livello
nazionale
e
transnazionale.
Ma
altrettanto
sicuro
che
gli
scenari
ambivalenti
dell'era
della
comunicazione
elettronica
devono
muoversi
in
una
sola
direzione,
conciliando
le
reali
antinomie:
la
direzione
dei
diritti
fondamentali
della
persona
nella
societ
virtuale.
PLANETARIZZAZIONE,
PERSONALIZZAZIONE,
PIATTAFORMA
In
ultima
istanza,
pu
essere
utile
individuare
una
chiave
di
lettura
ed
una
capacit
di
governo
della
trasformazione.
Nell'era
della
comunicazione
gli
slogan
si
presentano
come
chiavi
di
lettura
e
di
semplificazione
che
aiutano
a
dipanare
la
matassa
della
complessit.
Possiamo
quindi
accogliere
con
curiosit
ed
interesse
la
sigla
delle
"3P"
che
caratterizzano
il
nostro
tempo:
planetarizzazione,
personalizzazione,
piattaforma.
Planetarizzazione
ci
d
la
dimensione
dei
processi
in
atto.
Di
fatto
ogni
progetto
si
giustifica
oggi
per
il
suo
obiettivo
di
essere
almeno
tendenzialmente
orientato
a
coinvolgere
l'intero
pianeta.
Per
quanto
circoscritto,
si
misura
sul
tutto.
l'effetto,
questo,
della
globalizzazione
per
cui
un'iniziativa
o
tende
a
crescere
o
non
esiste.
Ci
vale
soprattutto
nelle
politiche
e
nell'imprenditoria,
ma
vale
anche
nel
mondo
della
professione,
che
ormai
deve
misurarsi
su
un
orizzonte
senza
confini.
Cos
anche
il
giornalista
ha
come
suoi
competitors
non
solo
le
grandi
firme
dell'informazione
nazionale,
ma
anche
gli
editorialisti
del
New
York
Times
o
i
conduttori
della
CNN.
199
200
un
dono
prezioso
e
mi
rammarico
della
prospettiva
della
mia
morte
solo
perch
tante
pagine
del
destino
dell'uomo,
se
mi
si
permette
l'immagine
gutenberghiana,
non
potr
leggerle.
Ma
forse,
come
ho
cercato
di
dimostrare
nel
mio
esame
della
cultura
postalfabetica,
la
storia
ha
inizio
quando
il
libro
si
chiude[8]."
[1]
Di
qui
in
avanti,
per
i
dati
cfr.
34
Rapporto
Censis,
Franco
Angeli,
Roma
2000.
[2]
Vittorio
Zucconi,
Usa,
nozze
tra
Internet
e
tv,
"La
Repubblica",
11/01/2000.
[3]
Antonio
Pilati,
Un'integrazione
tra
media
e
Internet,
"Il
Sole
24Ore",
11/01/2000.
[4]
Dom
Serafini,
La
concorrenza
tv-computer
frena
la
corsa
alla
convergenza,
"Il
Sole
24Ore",
11/01/2000.
[5]
Per
l'analisi,
cfr.
Marco
Mele,
Italia,
corsa
disordinata
al
digitale,
"Il
Sole
24Ore",
8/12/1999.
[6]
Per
una
pi
approfondita
analisi
dello
sviluppo
delle
comunicazioni
mobili
e
personali
si
rimanda
al
successivo
paragrafo
1.3.
e,
pi
approfonditamente,
al
capitolo
VII.
[7]
Postman
N.,
Ecologia
dei
media
-
La
scuola
come
contropotere,
Armando,
Roma
1981.
[8]
McLuhan
M.,
Percezioni
-
Per
un
dizionario
mediologico,
a
cura
di
Gianpiero
Gamaleri,
Armando,
Roma
1998.
201
ADRIANO
PESSINA
CULTURA
DELLA
VITA
E
MENTALIT
TECNOLOGICA
Introduzione
L'intento
che
guida
queste
pagine
quello
di
individuare
alcune
delle
componenti
teoriche
che,
nell'epoca
contemporanea,
influiscono
sulle
modalit
di
comprensione
e
di
rappresentazione
della
vita.
Chiunque
voglia
promuovere
e
difendere,
oggi,
una
"cultura
della
vita"
deve
cercare
di
capire
quali
siano
i
modelli
culturali
che
costituiscono
l'ethoscontemporaneo.
Lo
sforzo
di
interpretazione
del
presente
richiesto
sia
dall'esigenza
di
istituire
un
dialogo
con
interlocutori
reali,
con
coloro,
cio,
che
vivono
e
pensano
secondo
le
strutture
culturali
oggi
diffuse,
sia,
intrinsecamente,
dalla
necessit
di
ritrovare
le
ragioni
ultime
in
grado
di
formulare
il
senso
della
nostra
responsabilit
di
fronte
agli
aspetti
specifici
della
nostra
epoca.
Pensare
la
storia,
dentro
la
storia,
un
compito
anch'esso
storico,
di
confronto
con
le
categorie
con
le
quali
siamo
chiamati
a
pensare
e
ad
esprimere
la
verit
sull'uomo,
sulla
sua
esistenza
e
sulla
sua
collocazione
nel
cosmo.
L'annuncio
evangelico
non
ha
bisogno,
di
per
s,
di
una
filosofia,
ma
ha
sempre
bisogno
di
una
ragione
credente,
perch
la
"
fede
e
la
ragione
sono
come
due
ali
con
le
quale
lo
spirito
umano
s'innalza
verso
la
contemplazione
della
verit"[1].
Ma
la
legittimit
di
un
apporto
della
filosofia,
condotta
secondo
i
metodi,
ed
anche
i
limiti,
che
le
sono
propri,
alla
comprensione
della
vita,
le
riconosciuta
dalla
stessa
fede:
infatti,
tra
le
molteplici
risorse
"che
l'uomo
possiede
per
promuovere
il
progresso
nella
conoscenza
della
verit,
cos
da
rendere
la
propria
esistenza
sempre
pi
umana
(...)
emerge
la
filosofia,
che
contribuisce
direttamente
a
porre
la
domanda
circa
il
senso
della
vita
e
ad
abbozzarne
la
risposta"[2].
Le
annotazioni
che
intendiamo
svolgere
si
pongono
sul
piano
della
ricerca
filosofica
e
intendono
chiarire
le
condizioni
che
permettono
oggi
di
riformulare
questa
domanda
radicale
sul
senso
della
vita
all'interno
di
un
contesto
che,
per
quanto
esteso,
determinato,
e
precisamente
il
contesto
tecnologico
occidentale.
Quella
che
definiremo
"mentalit
tecnologica"
tende,
tramite
i
fenomeni
della
globalizzazione
economica,
ad
estendersi
e
ad
interagire
anche
con
tradizioni
culturali
strutturalmente
pre-
tecnologiche,
come
quelle,
per
esempio,
che
caratterizzano
i
paesi
orientali.
Ma
non
dobbiamo
dimenticare
che
la
questione
tecnologica
dipende
dallo
sviluppo
della
scienza
moderna
e,
in
questo,
indubbiamente
uno
degli
apporti
pi
cospicui
del
pensiero
occidentale.
La
capacit
di
penetrazione
della
"mentalit
tecnologica"
in
contesti
culturali
differenti,
testimonia
il
fatto
che
la
tecnologia
qualcosa
di
pi
di
un
semplice
insieme
di
utensili
"neutri".
Essa,
infatti,
influisce
sui
comportamenti
e
sulla
stessa
rappresentazione
della
realt,
rafforzando
tutte
quelle
categorie
culturali
che
le
sono
funzionali.
La
questione
indubbiamente
complessa.
L'intreccio
di
diversi
fattori
non
permette,
quindi,
un'analisi
che
possa
superare
il
semplice
piano
della
riflessione.
In
questo
senso,
possiamo
definire
questo
nostro
contributo
come
un
tentativo
di
chiarificazione
e
di
orientamento
nella
complessa
situazione
contemporanea.
La
cultura
tecnologica
Prima
di
tutto
opportuno
chiarire
che
cosa
si
intende
per
"cultura
tecnologica".
Essa
corrisponde
all'immagine
che
la
tecnologia
fornisce
di
s.
Possiamo
identificarla
con
il
processo
di
legittimazione
della
complessa
impresa,
data
dall'intreccio
tra
scienza,
tecnica
ed
economia,
con
la
quale
l'uomo
occidentale
intende
governare
e
razionalizzare
i
vari
aspetti
della
propria
esistenza.
Questo
processo
produce
e
diffonde
alcune
persuasioni
che
finiscono
con
il
costituire
una
larga
parte
della
civilt
occidentale.
Per
comprendere
adeguatamente
questa
"cultura"
202
necessario
fuggire
la
tentazione
di
costruire
dei
modelli
ideali
che
istituiscano
una
mitica
contrapposizione
tra
il
presente
e
il
passato.
Una
delle
costanti
dell'analisi
dei
processi
culturali
rappresentata
dalla
confusione
tra
la
polarit
dei
modelli
teorici
e
la
polarit
dei
contesti
storici.
Mentre
ha
senso
rilevare
l'opposizione
tra
impianti
teorici
differenti,
che
a
volte
hanno
avuto
maggiore
diffusione
in
particolari
periodi
storici,
errato
contrapporre,
idealizzandoli,
il
passato
e
il
presente.
Ogni
periodo
storico
manifesta
caratteri
propri
e
l'irreversibilit
del
tempo
richiede
che
si
governino
gli
elementi
specifici
della
propria
condizione
storica,
senza
costruire
"miti",
pi
o
meno
consolatori.
Si
deve
inoltre
aggiungere
che
l'opposizione
dei
modelli
teorici
non
comporta
che
essi
siano
contraddittori,
cio
che
l'uno
escluda
l'altro[3].
Finch
i
modelli
restano
contrari
ma
non
contraddittori
possibile
ed
auspicabile
una
sintesi
che
conservi
ci
che
di
positivo
essi
esprimono:
ma
una
sintesi
richiede
innanzi
tutto
un
punto
di
vista
in
grado
di
formulare
una
gerarchia
sia
di
beni
sia
di
strutture
teoretiche.
Non
difficile
constatare
come
questa
impresa
sia
tanto
urgente
quanto
ardua.
Una
consapevole
ed
articolata
"cultura
della
vita"
potrebbe
realmente
contribuire
a
questa
impresa,
ridando
spessore
e
significato
all'antropocentrismo
occidentale,
che
resta
un
punto
di
riferimento
non
rinunciabile
alla
costruzione
della
civilt,
ma
che
oggi
conosce
diverse
forme
di
"crisi".
Crisi
che
strettamente
connessa
sia
con
le
forme
della
secolarizzazione
proprie
dell'Occidente,
sia
con
la
perdita
della
consapevolezza
della
condizione
"finita"
della
persona
umana.
Per
una
chiarificazione
dei
problemi
che
oggi
siamo
chiamati
ad
affrontare,
al
fine
di
rispondere
a
questa
"crisi",
o,
meglio
ancora,
al
fine
di
evidenziare
l'esistenza
di
questa
situazione
critica,
necessario
comprendere
che
cosa
introduca
la
"mentalit
tecnologica"
nella
struttura
dell'ethos
contemporaneo.
Un
principio
che
ci
pu
servire
da
guida
quello
formulato
da
Hans
Jonas[4],
quando
ha
scritto
che
"si
comprende
ci
che
in
gioco
soltanto
quando
si
sa
che
in
gioco".
Dobbiamo
perci
chiederci
"che
cosa
in
gioco"
nella
scommessa
esistenziale
che
oggi
viene
promossa
dalla
cultura
tecnologica.
Una
cultura
della
vita
formulata
nel
contesto
occidentale
non
deve
rinunciare
a
quanto
c'
di
buono
nello
sviluppo
tecnoscientifico,
ma,
nemmeno
deve
chiudere
gli
occhi
di
fronte
ad
impostazioni
unilaterali
e
a
forme
di
violenza
e
di
ingiustizia
che
questo
stesso
sviluppo
introduce.
Il
riferimento
al
passato
ha,
perci,
una
valenza
metodologica:
esso
ci
permette
di
individuare
le
trasformazioni
e
di
comprendere
come
ogni
epoca
viva
e
percepisca
con
modalit
proprie
le
questioni
pi
radicali
dell'esistenza.
E
la
comparazione
ci
permette
di
sfuggire
ad
un
implicito
e
vissuto
storicismo
che
ci
porterebbe
facilmente
a
pensare
l'identit
tra
lo
sviluppo
e
il
progresso,
tra
la
novit
e
la
bont.
Se
riusciremo
a
comprendere
le
profonde
trasformazioni
delle
categorie
culturali
e
delle
esperienze
umane
mediate
dalla
tecnologia,
riusciremo,
forse,
a
meglio
individuare
quali
siano
gli
argomenti
che
oggi
dovremo
porre
a
servizio
di
una
cultura
della
vita
capace
di
coniugare
verit
e
storicit.
Le
trasformazioni
culturali
Come
ha
osservato
Francesco
Barone,
"Parlare
di
et
"tecnologica"
implica
il
riconoscimento
di
altre
"et"
che
tecnologiche
non
sono
state"[5].
Ma
questo
non
pu
farci
scordare
che
esistono
delle
continuit
nei
processi
storici
e
che
la
determinazione
dell'inizio
dell'et
tecnologica
dipende
in
larga
misura
da
come
si
interpreta
il
fenomeno
della
tecnica
in
relazione
all'agire
umano.
In
questa
sede
non
certo
possibile
sviluppare
questo
argomento.
Tanto
meno
possiamo
prendere
in
considerazione
la
vasta
letteratura
che
si
occupata
del
fenomeno
della
tecnica
203
204
Il
successo
della
ragione
tecnoscientifica
non
soltanto
sul
piano
dell'estensione
del
sapere
umano
in
ordine
ad
alcuni
fenomeni
empirici,
ma
a
livello
della
trasformazione
della
qualit
della
vita,
ha
condotto
all'indebita
conclusione
che
l'unico
ambito
entro
cui
ancora
possibile
stabilire
la
differenza
tra
la
verit
e
la
falsit
sia
quello
governato
dal
modello
delle
scienze
sperimentali.
Da
questo
punto
di
vista,
la
contemporaneit
ha
portato,
per
cos
dire,
a
compimento
un
processo
di
capovolgimento
delle
prospettive,
relegando
forme
di
sapere
come
la
filosofia
e
la
teologia
nell'ambito
delle
opinioni
(della
doxa),
cio
di
quelle
impostazioni
che
non
hanno
pi
a
che
fare
con
la
verit
e
la
falsit,
ma
soltanto
con
le
teorizzazioni
delle
scelte
individuali,
delle
opzioni
esistenziali.
Opzioni
che,
come
tali,
sfuggono
alle
categorie
della
ragione.
Jonas
ha
colto
in
questa
situazione
uno
degli
aspetti
della
cosiddetta
crisi
dell'uomo
moderno.
In
un
saggio
intitolatoProblemi
attuali
nell'etica
in
una
prospettiva
ebraica,
Jonas
scrive:
"La
ragione,
vittoriosa
grazie
alla
scienza,
ha
distrutto
la
fede
nella
rivelazione
senza
tuttavia
sostituire
quest'ultima
nella
sua
funzione
di
punto
di
riferimento
per
le
nostre
scelte
fondamentali.
La
ragione
ha
reso
se
stessa
incapace
di
svolgere
tale
funzione,
nella
quale
un
tempo
era
in
competizione
con
la
religione,
precisamente
quando
si
poneva,
in
forma
di
scienza,
quale
unica
autorit
riguardo
alla
verit.
La
sua
abdicazione
nella
sfera
d'azione
originaria
la
conseguenza
del
suo
trionfo
in
altre
sfere:
qui
il
suo
successo
si
basa
sulla
ridefinizione
dei
possibili
oggetti
e
metodi
della
conoscenza
che
esclude
interi
ambiti
di
altri
oggetti.
Tale
situazione
si
riflette
nell'incapacit
della
filosofia
contemporanea
di
fornire
una
teoria
etica,
cio
di
attribuire
un
valore
a
delle
norme
etiche
in
quanto
parti
del
nostro
universo
conoscitivo".[9]
Detto
altrimenti,
l'uomo
contemporaneo
continua
ad
avere
la
domanda
sul
"come
vivere"
ma
non
ritiene
che
una
risposta
possa
essere
data
dalla
filosofia
o
dalla
fede.
Egli
pensa
che
filosofia
e
fede
non
abbiano
pi
a
che
fare
con
la
verit
e
con
la
ragione,
ma
possano
al
pi
compiere
un'opera
di
supplenza
esistenziale
per
coloro
che
non
hanno
raggiunto
la
piena
emancipazione
razionale,
che
solo
la
scienza
pu
dare.
Le
scelte
fondamentali,
quindi,
dovrebbero
trovare
nelle
promesse
della
tecnologia
il
loro
criterio.
Questo,
perci,
significa
pensare
che
anche
i
problemi
che
pure
si
intravedono
debbono
trovare
la
loro
soluzione
nello
sviluppo
tecnologico:
la
conoscenza
dell'uomo
e
la
costruzione
della
sua
esistenza
attendono
dalle
tecnoscienze
una
risposta.
Questa
convinzione
dipende,
in
larga
misura,
dalla
progressiva
familiarizzazione
della
cultura
contemporanea
con
il
modello
cibernetico,
che
la
grande
invenzione
metodologica
della
modernit.
Pensare
l'uomo
nei
termini
di
una
"macchina"
vivente
significa
tentare
di
comprenderne
il
"funzionamento"
e
quindi
di
individuare
ci
che
serve
alla
sua
vita.
La
"macchina"
risponde
pienamente
all'esigenza
di
razionalizzazione
della
realt.
In
essa
non
c'
niente
di
"misterioso"
e
il
suo
valore
dipende
direttamente
dalle
finalit
che
l'uomo
stesso
ha
stabilito.
Pensare
l'uomo
e
la
vita
attraverso
il
modello
cibernetico
significa
esporre
la
vita
ad
una
comprensione
puramente
funzionalistica
e
meccanicistica,
sempre
pi
prossima
alla
definizione
del
"come"
avvengono
i
fenomeni,
ma
anche
sempre
pi
lontana
dalla
individuazione
del
"perch"
della
vita
e
della
realt.
Questa
visione
funzionalistica
(che
ha
i
suoi
"vantaggi"
teorici
nel
campo
della
biomedicina)
rischia
per
di
produrre
una
concezione
unilaterale
dell'esistenza
e
di
eliminare
la
questione
decisiva
della
"finalit"
dell'esistenza.
Questa
trasformazione
culturale
induce
a
pensare
tutti
i
"limiti"
dell'esistenza
come
dei
"puri
ostacoli"
da
superare:
il
fattibile
non
diventa
soltanto
lecito,
ma
persino
"doveroso".
Se,
infatti,
la
"verit"
dell'esistenza
si
radica
soltanto
nella
progettualit,
soltanto
portando
a
compimento
il
processo
tecnologico
e
sperimentale
che
si
potr
rispondere
all'ansia
di
verit
che
pure
sotteso
all'impresa
tecnoscientifica.
In
questa
impostazione
si
radica
il
carattere
antientropico
della
205
tecnoscienza
contemporanea
e
la
difficolt
di
far
emergere
i
problemi
etici
che
sono
connessi
a
questa
nuova
estensione
del
potere
umano.
Non
difficile
notare
come
l'autorevolezza
della
fede
e,
qualche
volta,
della
filosofia,
sembrano
essere
accettate
soltanto
sul
piano
della
soggettivit
e
di
fronte
agli
scacchi
esistenziali
ed
emotivi
introdotti
dall'esperienza
del
dolore
e
della
morte.
Questa
funzione
"consolatrice"
per
marginale
a
fronte
di
una
scienza
che
promette
un'estensione
sempre
pi
indeterminata
della
vita
e
propone
rimedi
al
dolore
e,
persino,
la
sconfitta
della
morte.
Non
importa
che
queste
promesse
siano
o
no
mantenibili:
l'autorevolezza
della
tecnoscienza
strettamente
connessa,
in
un
certo
immaginario
collettivo,
con
la
sua
capacit
di
razionalizzare
la
vita,
di
sottrarla
alla
causalit
degli
eventi.
In
questa
prospettiva,
si
capisce
come
l'idea
dell'eutanasia,
quale
ultimo
atto
di
autodominio
"razionale"
nei
confronti
della
propria
esistenza,
si
diffonda.
In
concomitanza
potremmo
leggere
anche
il
motivo
del
consenso
che
accompagna
le
tecniche
di
procreazione
extracorporea:
esse
promettono
un
nuovo
controllo
sulla
vita
e
sulla
salute,
rappresentano
una
potente
assicurazione
in
ordine
alla
costitutiva
paura
del
dolore
e
della
morte.
I
due
"limiti"
dell'esistenza,
quelli
che
ne
indicano
la
passivit,
e
cio
il
nascere
e
il
morire,
sembrano
non
avere
un
"senso
proprio"
laddove
non
corrispondano
ad
un
progetto
umano.
Il
"valore"
della
vita,
umana
e
no,
sono
cos
strettamente
connessi
al
piano
dei
"desideri".
Gi
nella
prima
met
del
secolo
scorso,
Guardini
aveva
compreso
che
cosa
comportava
un
processo
di
razionalizzazione
compiuto
escludendo
gli
aspetti
della
vita
che
non
sono
alla
portata
del
potere
umano:
"l'insieme
degli
avvenimenti
di
cui
consta
la
vita
-scrive
Guardini-
non
appare
pi
come
la
Provvidenza
di
cui
Cristo
ha
parlato,
e
neppure
come
quel
mistero
del
destino,
quale
lo
sentivano
gli
antichi,
ma
come
una
semplice
catena
di
cause
e
di
effetti
empirici,
che
possono
essere
compresi
e
guidati.
(...)
Tutte
le
eventualit
della
vita
vengono
"previste",
calcolate
secondo
la
frequenza
e
l'importanza
e
rese
inoffensive.
Gli
eventi
capitali
della
vita
umana:
concepimento,
nascita,
malattia,
morte,
perdono
il
loro
carattere
di
mistero.
Divengono
fenomeni
biologici
e
sociali
di
cui
si
occupa
una
scienza
e
una
tecnica
medica
sempre
pi
sicura
di
s.
E
quando
rappresentano
dei
fatti
che
non
possono
essere
domati,
allora
si
"anestetizzano",
si
sopprime
la
loro
importanza;
e
qui,
ai
margini,
della
cultura,
appare
una
tecnica
complementare
a
quella
che
mira
a
trionfare
razionalmente
della
malattia
e
della
morte,
e
cio
l'eliminazione
di
quella
vita
che
non
appare
pi
degna
di
essere
vissuta
allo
stesso
vivente,
o
non
appare
pi
corrispondente
ai
fini
che
lo
Stato
si
propone"[10].
Possiamo
trarre
una
prima
conclusione:
nella
cultura
tecnologica
la
prassi
umana
non
guidata
da
alcuna
"verit"
oggettiva.
I
concetti
di
"limite",
di
"rinuncia",
di
"sacrificio"
non
hanno
pi
"senso",
cio
non
sono
capaci
di
indicare
dei
"beni"
da
preservare,
non
sono
pi
pensati
come
la
condizione
per
realizzare
beni
non
immediati
e
superiori.
Essi
diventano
soltanto
i
segni
"provvisori"
di
un'emancipazione
umana
non
ancora
compiuta.
Da
questo
punto
di
vista,
come
dicevamo,
il
possibile
non
soltanto
si
presenta
come
lecito,
ma
persino
come
doveroso.
La
strutturale
ambiguit
del
possibile
cela
il
problema
di
ci
che
"compossibile".
Infatti,
la
struttura
finita
della
condizione
umana
impone
che,
a
fronte
di
un
radicato
desiderio
di
ottenere
tutti
i
beni,
e
tutto
il
bene
possibile,
si
debba
scegliere:
e
ogni
scelta
comporta
una
rinuncia.
Ma
la
rinuncia
deve
essere
guidata
da
un
criterio.
Questo
criterio
pu
essere
colto
in
modo
non
arbitrario
soltanto
se
ci
si
impegna
a
stabilire
la
"verit"
dell'esistenza
umana
e
a
costruire,
quindi,
una
gerarchia
di
beni.
Cos,
per
esempio,
se
possibile
risolvere
il
problema
della
malattia,
della
sofferenza,
della
morte,
allora
doveroso
tentare,
purch
questa
impresa
non
vada
a
discapito
di
altri
beni
e
non
finisca
con
l'offuscare
la
"verit"
sull'uomo,
proiettando
nel
desiderio
il
fondamento
della
verit
stessa.
Alla
dinamica
della
cultura
tecnoscientifica
sfuggono
la
comprensione
di
alcuni,
decisivi,
elementi
206
dell'esistenza.
Essa
legittima
ogni
mezzo
in
grado
di
realizzare
i
desideri
umani
(in
s,
astrattamente
considerati,
buoni)
e
rischia
di
non
far
percepire
la
questione
morale
(del
bene
e
del
male)
del
"mezzo"
usato,
valutato
solo
in
termini
di
maggiore
o
minore
efficacia.
La
cultura
tecnologica
si
propone
come
una
larvata
e
latente
metafisica,
come
una
sorta
di
implicita
Weltanschauung.
Dal
punto
di
vista
teorico,
abbastanza
semplice
denunciare
il
fatto
che
il
primato
della
ragione
strumentale
promosso
dalle
tecnoscienze
non
in
grado
di
assicurare
questa
autoreferenzialit:
essa,
infatti,
non
in
grado
di
stabilire
"quali"
fini,
quali
"desideri"
siano
o
no
legittimi,
ma
pu
soltanto
indicare
i
mezzi
pi
adeguati.
Non
a
caso,
infatti,
la
cultura
tecnologica
continua
a
fare
riferimento,
per
legittimarsi,
al
bene
dell'uomo
e
ad
alcuni
"beni"
(la
salute,
l'estensione
della
libert,
l'emancipazione
dal
dolore
e
dalla
fatica),
ma
non
sa
dire
perch
questi
siano
beni
da
perseguire
e
quale
sia
ilsenso
(significato
e
direzione)
di
questa
tensione
esistenziale.
Lo
scacco
teorico
per
celato
agli
occhi
di
molti
da
due
fattori.
Da
una
parte
il
successo
pratico
dello
sviluppo
tecnologico;
dall'altra
l'eliminazione
di
ogni
dibattito
serio
intorno
al
senso
della
vita,
relegato
nell'ambito
della
pura
opzione
e
privato
del
suo
originario
e
costitutivo
riferimento
alla
questione
della
verit.
Trasformazioni
dell'esperienza:
la
tecnologia
come
forma
di
liberazione
Non
potremo
mai
comprendere
adeguatamente
la
cultura
tecnologica
se
non
prenderemo
seriamente
in
considerazione
quali
profonde
trasformazioni
essa
ha
introdotto
e
sta
introducendo
nell'esperienza
umana.
In
s
considerata,
la
tecnologia
costituisce
uno
dei
pi
potenti
elementi
di
emancipazione
dell'uomo
dai
vincoli
fisici
in
cui
si
trovato
a
costruire,
nei
secoli,
la
propria
identit.
L'invenzione
delle
"macchine"
ha
progressivamente
liberato
l'uomo
da
molti
limiti,
ha
trasformato
il
modo
della
produzione
dei
beni,
ha
ridotto
la
fatica
fisica,
gli
ha
permesso
di
superare
molte
barriere
spazio-temporali.
Ha
anche
modificato
la
percezione
della
natura-
ambiente,
sempre
pi
letta
attraverso
formule
biochimiche,
relazioni
matematiche
e
rappresentazioni
di
stampo
strumentale.
Qui
non
possiamo
approfondire
questo
tema.
Ci
limitiamo
a
ricordare
che
una
lettura
a
senso
unico
della
realt
vivente
offusca
progressivamente
la
stessa
immagine
dell'uomo,
che
condivide
con
la
natura-ambiente
non
soltanto
uno
spazio
vitale
ma
le
stesse
componenti
di
base.
La
neutralizzazione
assiologica
di
tutto
il
biologico
attraverso
un'interpretazione
puramente
tecnoscientifica
ha
una
pesante
ricaduta
sulla
stessa
percezione
dell'umano:
basterebbe
pensare
alle
attuali
discussioni
che
riguardano
zigoti,
embrioni,
blastocisti
e
feti
umani,
termini
scientifici
che
celano
il
fatto
che
queste
sono
fasi
di
sviluppo
di
un
figlio.
Le
trasformazioni
linguistiche
sono
anche
trasformazioni
culturali
e
hanno
un'immediata
ricaduta
sul
piano
della
comprensione
dei
fenomeni
etici
e
di
quelli
esistenziali.
Chi
nato
nell'et
della
tecnologia
fatica
a
comprendere
la
portata
pratica
e
teorica
propria
anche
dei
nuovi
mezzi
di
telecomunicazione:
strumenti
di
uso
quotidiano,
come
il
telefono,
la
televisione
o
internet,
permettono
relazioni
interpersonali
prima
assolutamente
impensabili.
Senza
voler
essere
irriverenti,
possiamo
fare
questa
annotazione:
se
prima
dell'avvento
della
tecnologia
era
necessario
un
"miracolo"
per
poter
comparire
di
fronte
ad
una
persona
che
risiedeva
a
migliaia
di
chilometri
di
distanza,
oggi
basta
internet
ed
una
web-cam
e
noi
possiamo
apparire
al
nostro
interlocutore
d'oltre-oceano.
Risulta
"banale"
compiere
atti
che,
grazie
alla
mediazione
della
tecnologia,
un
tempo
sarebbero
stati
straordinari
e
"miracolosi".
Altrettanto
"banale"
percorrere
distanze
notevoli,
grazie
agli
aerei,
in
poche
ore.
La
percezione
stessa
della
temporalit
risulta
mutata:
l'uomo
che
vive
i
risultati
della
tecnologia
pu
godere
di
tempi
liberi
207
dalla
fatica,
dal
lavoro,
che
prima
erano
impensabili:
non
a
caso
la
nostra
societ
ad
avere
come
problema
quello
del
"tempo
libero".
Una
menzione
meriterebbe
anche
la
percezione
estetica.
L'esperienza
musicale,
teatrale,
oggi
pu
essere
attuata,
banale
ricordarlo,
senza
bisogno
di
andare
ad
ascoltare
orchestre
o
di
recarsi
a
teatro
a
vedere
attori:
bastano
dischi
e
videocassette
e
ognuno
pu,
praticamente
in
qualsiasi
luogo,
grazie
a
strumenti
portatili,
godere
di
ci
che
stato
fatto
una
volta
ed
ora
a
portata
di
mano.
Certamente,
si
possono
dire
e
scrivere
molte
cose
contro
la
cultura
di
massa,
l'appiattimento
del
gusto
e
l'assenza
dell'originalit:
ma
non
si
pu
negare
che
ci
che
prima
era
esclusivo
possesso
di
pochi
oggi
diventa
bene
fruibile
di
molti[11].
Prima
di
condannare
o
di
esaltare
questa
situazione,
necessario
comprendere.
Infatti,
non
possiamo
dimenticare
che
questa
situazione
frutto
dell'ingegno
umano
ed
uno
sei
segni
della
reale
differenza
dell'uomo
dal
resto
dei
viventi.
Proprio
perch
il
fenomeno
tecnologico
un
fenomeno
complesso,
esso
interagisce
con
le
modalit
di
rappresentazione
proprie
dell'uomo
contemporaneo.
La
tecnologia
modifica
il
nostro
modo
di
vivere
e
induce
comportamenti
e
dipendenze
nuove.
Proprio
per
la
sua
complessit,
la
tecnologia
,
al
tempo
stesso,
uno
strumento
di
emancipazione
e
un
fattore
di
dipendenza.
La
tecnologia,
infatti,
crea
nuove
e
differenti
forme
di
"
esposizione"
esistenziale
dell'uomo.
A
differenza
dei
puri
utensili,
che
creano
abitudini
facilmente
correggibili
e
sono
facilmente
dominabili,
la
tecnologia
influisce
in
modo
radicale
nelle
costruzione
delle
proprie
abitudini.
Essa,
inoltre,
introduce
una
netta
separazione
tra
coloro
che
fruiscono
dei
prodotti
tecnologici
e
coloro
che
sanno
quali
sono
gli
elementi
teorici
e
pratici
che
la
rendono
possibile.
Molti
sanno
usare
un
computer
ma
quanti
sanno
dire
in
base
a
quali
principi
fisici
avviene
la
trasformazione
di
una
pressione
su
un
tasto
in
un'immagine
su
uno
schermo?
Le
"macchine"
non
fanno
soltanto
parte
del
nostro
ambiente
familiare,
al
punto
che
naturale
ed
artificiale
si
integrano
e
compenetrano,
ma
diventano
parte
costitutiva
della
nostra
rappresentazione
della
vita
e
della
realt:
il
modello
cibernetico
rappresenta
cos
lo
strumento
con
in
quale
si
descrive
la
corporeit,
il
macroscopico
e
il
microscopico.
Come
ebbe
ad
osservare,
gi
nel
1956,
Anders,
la
"macchina"
diventa
il
nostro
modello
di
perfezione:
"Credo
di
essere
capitato
sulle
tracce
di
un
nuovo
pudendum;
di
un
motivo
di
vergogna
che
non
esisteva
in
passato.
Lo
chiamo,
per
il
momento,
per
mio
uso,
vergogna
prometeica,
e
intendo
con
ci
vergogna
che
si
prova
di
fronte
all'umiliante
altezza
di
qualit
degli
oggetti
fatti
da
noi
stessi".
Che
cosa
si
pu
guadagnare
da
queste
osservazioni
in
merito
al
tema
della
"cultura
della
vita"?
Prima
di
tutto
un'osservazione:
la
tecnologia
dilata
le
possibilit.
E
il
possibile
mostra,
ed
un
fatto
positivo,
gli
autentici
caratteri
dell'esperienza
morale,
cio
la
dimensione
della
responsabilit.
Nella
prospettiva
morale
il
divieto
non
indica
una
impossibilit
fisica,
un
limite
estrinseco,
ma
il
richiamo
ad
una
scelta,
ad
un
vincolo
intrinseco.
Da
questo
punto
di
vista,
non
ci
sono
azioni
che
non
si
devono
fare
perch
impossibile
compierle,
ma
perch
male
compierle,
cio
contraddicono
la
dinamica
propria
della
possibilit
come
vocazione
alla
pienezza
del
bene.Il
rapporto
tra
essere
e
dover
essere
si
manifesta
pienamente
di
fronte
alla
dilatazione
dei
possibili.
In
questo
senso
la
tecnologia
fonte
di
liberazione
ma
anche
appello
al
significato
morale
e
non
soltanto
fattuale
della
libert.
Di
fronte
ai
molti
beni
l'uomo
chiamato
a
porre
una
gerarchia
e
a
riscoprire
il
bene
che
gli
necessario
perch
il
suo
potere
non
diventi
fonte
della
sua
dissoluzione
esistenziale
e
vitale.
Se,
quindi,
la
tecnologia
ha
un
merito
radicale,
questo
quello
di
condurci
di
fronte
alla
domanda
del
senso
del
potere
umano.
Da
una
parte,
infatti,
la
tecnologia
sembra
insegnarci
che
basti
volere
per
potere:
dall'altra
ci
interroga
sullo
scopo
di
questo
potere
che
ci
caratterizza.
208
Il
potere
dell'uomo
non
diventa
violenza
soltanto
quando
se
ne
trova
la
fonte
e
la
destinazione.
E
il
potere
dell'uomo
si
comprende
solo
riscoprendo
la
vocazione
dell'umano.
Si
pone
qui,
come
gi
dicevamo,
un
il
punto
di
frattura
con
la
pretesa
della
mentalit
tecnologica
ad
essere
autoreferenziale.
Il
potere
umano,
infatti,
va
compreso
in
ordine
al
problema
del
senso
dell'esistenza
umana
e
questo
problema
non
trova
risposta
se
non
si
riapre,
anche
nella
nostra
civilt,
la
questione
di
Dio.
Se,
infatti,
la
tecnologiapotenzia
il
potere
dell'uomo
e
quindi
ne
esalta
la
libert,
essa
risulta
incapace
di
definire
l'orizzonte
nel
quale
questopotere
va
esercitato,
questa
libert
attuata.
Ci
che,
senza
fatica,
possiamo
definire
come
il
disagio
della
nostra
epoca,
infatti,
deriva
da
questa
assenza
del
sensoultimo
del
potere
umano.
Ci
che
Weber
definiva
come
il
"disincantamento"
del
mondo,
porta
con
s
nuove
forme
di
angoscia
e
di
stanchezza
esistenziale.
Di
fronte
ad
un
progresso
che
mitologicamente
pensato
come
"infinito",
l'uomo
contemporaneo
rischia
di
essere
"stanco"
della
vita
e
non
"sazio".
Da
qui
nascono
nuove
forme
di
paura
nei
confronti
della
morte,
nuove
forme
di
"nausea"
nei
confronti
di
una
vita
che
sembra
priva
di
"scopo",
nuove
forme
di
discriminazione
nei
confronti
di
coloro
che
non
soddisfano
i
nostri
desideri,
i
nostri
bisogni,
le
nostre
rappresentazioni
della
qualit
del
vivere.
Le
relazioni
umane,
che
la
tecnologia
permette
di
ampliare
e
persino
di
approfondire,
si
trasformano
rapidamente
in
una
esaltazione
dell'impersonale
e
dell'individuale.
I
legami
interpersonali,
che
passano
attraverso
la
nozione
di
rispetto,
di
giustizia,
di
dedizione,
rischiano
continuamente
di
precipitare
nell'anonimato
di
una
vita
che
ha
perso
il
senso
della
temporalit
e
che
non
sa
pi
apprezzare
il
valore
della
finitezza.
La
stessa
comunit,
che
si
costituisce
attorno
ad
uno
scopo,
si
dissolve
nelle
funzioni
impersonali
che
garantiscono
soltanto
l'utile.
La
"crisi"
dell'uomo
che
assume
come
unico
orizzonte
di
senso
il
potere
della
civilt
tecnologica
legata
a
questa
nuova
forma
di
"ansia"
dell'assoluto,
che
lo
porta
continuamente
a
spostare
i
confini
della
propria
opera,
ad
"investire"
nel
futuro
la
sua
scommessa
sull'esistenza.
La
tecnologia
promuove
forme
impersonali
per
soddisfare
bisogni
personali,
come
quelli
della
comunicazione,
della
salute,
della
conoscenza.
Ma
la
cultura
tecnologica
(che
va
distinta
dalla
tecnologia)
funziona
proprio
perch
fa
sparire
la
soggettivit
e
trasforma
la
verit
in
un
progetto:
nasce
qui
un'intima
contraddizione
tra
l'origine
umanizzante
del
progetto
tecnologico
e
il
suo
esito,
allorch
questa
origine
va
perduta
nel
suo
significato
e
nella
sua
normativit.
Qualche
annotazione
conclusiva
La
cultura
della
vita
innanzitutto
"sapere"
della
verit
sull'uomo
e
sul
suo
fine
ultimo:
solo
ritrovando
la
familiarit
con
Dio
come
fondamento
della
libert
umana
e
come
compimento
del
suo
desiderio
di
assolutezza,
la
vita
assume
significato
e
pu
esprimere
pienamente
la
dinamica
religiosa
che
pu
condurla
ad
ascoltare
il
Vangelo
della
Vita.
Oggi,
questo
annuncio
deve
fare
i
conti
con
una
progressiva
riduzione
dell'esperienza
religiosa
umana
e
con
una
rappresentazione
di
Dio
come
realt
alternativa
all'uomo
e
alla
sua
libert.
Per
quanto
possa
risultare
illusoria
l'impresa
di
una
costruzione
dell'esistenza
che
non
risponda
alla
domanda
sul
suosenso
(significato
e
finalit),
la
cultura
tecnologica
tenta
questa
via
con
un'efficacia
ben
maggiore
delle
forme
di
irreligiosit
e
di
ateismo
che
si
sono
storicamente
affermati
nei
secoli
precedenti.
Se,
giustamente,
E.
Gilson,
ha
potuto
parlare
di
"ateismo
difficile"
per
indicare
gli
scogli
teoretici
di
qualsiasi
impresa
che
tenti
di
negare
l'esistenza
di
Dio[12],
va
osservato
che
oggi
la
negazione
di
Dio
passa
attraverso
l'
"indifferenza"
nei
confronti
dell'esperienza
religiosa.
Ma
la
radice
dell'esperienza
religiosa
non
ha
a
che
fare
con
la
soddisfazione
di
alcuni
bisogni,
ma
con
la
domanda
sulla
"verit"
della
vita,
quella
verit
che
fonda
ed
orienta
la
libert.
209
Da
questo
punto
di
vista,
forse,
il
benessere
offerto
dal
progresso
tecnoscientifico
potrebbe
veramente
permettere
una
purificazione
dell'esperienza
religiosa
ed
una
essenzialit
dell'annuncio
cristiano,
ricollocando
al
centro
dell'esperienza
di
fede
la
verit
di
una
relazione
costitutiva
tra
l'uomo
e
Dio,
tra
la
storia
e
Dio,
tra
il
mondo
e
Dio.
Se,
come
scrive
Guardini,
l'
"esperienza
religiosa"
indica
l'intuizione
che
"percepisce
direttamente
un
elemento
numinoso
in
tutte
le
cose,
in
tutti
gli
avvenimenti>>,
per
cui
la
realt
conserva
un
significato
che
trascende
ci
che
oggi
noi
chiamiamo
realt
empirica,
allora
possiamo
dire
che
questa
"intuizione
vada
indebolendosi
sempre
pi"[13].
Per
troppo
tempo
la
cultura
occidentale
ha
collegato
la
dimensione
religiosa
alla
preoccupazione
di
soddisfare
le
angosce
e
le
insoddisfazioni
dell'uomo,
facendo
della
fede
una
risposta
esistenziale
sradicata
da
ogni
preoccupazione
per
la
sua
veridicit:
non
difficile
comprendere
che
quando
la
tecnologia
riesce
a
soddisfare
(o
almeno
promette
di
soddisfare)
le
esigenze
dell'umano,
essa
finisce
con
il
radicarsi
in
quella
religione
del
progresso
e
dell'emancipazione
dell'uomo
che
oggi
si
alimenta
nel
ricorrente
mito
"salutistico".
Non
possiamo
infatti
ignorare
che
oggi
la
promessa
tecnologica
la
promessa
della
"salute"
e
della
perpetua
"giovinezza":
il
mito
salutista
oggi
il
pi
potente
surrogato
della
domanda
di
salvezza
che
ha
percorso
la
complessa
storia
dell'umanit.
Non
importa
se
questo
nuovo
mito
occidentale
o
no
in
grado
di
assolvere
a
questa
promessa:
ci
che
risulta
chiaro
che
le
nuove
forme
di
discriminazione,
di
emarginazione
e
di
violazione
della
vita
umana,
nascente
e
morente,
nascono
dentro
questo
mito
salutistico
e
vitalistico.
Le
prassi
eugenetiche
che
percorrono
la
civilt
tecnologica,
le
sacche
di
disperazione
e
di
solitudine
che
si
manifestano
dentro
le
mura
della
nostra
civilt,
sono
il
"prezzo"
di
questo
mito.
L'annuncio
di
Nietzsche
della
"morte
di
Dio"
sempre
stato
correlato
alla
promessa
della
nascita
dell'"oltre-uomo",
di
colui
che
avrebbe
potuto
ritrovare
in
s
la
risposta
all'ansia
di
infinito
che
non
pu
essere
cancellata.
Una
cultura
della
vita,
allora,
ha
oggi
il
compito
di
far
scoprire
il
senso
della
finitezza
umana,
di
ridirne
la
verit.
Perch
dentro
la
finitezza
che
si
manifesta
la
verit
della
vita
e
cio
che
Dio
partecipa
della
storia
dell'uomo
sia
perch
lo
costituisce
qui
ed
ora
nella
sua
libert,
sia
perch
nell'Incarnazione
si
annuncia
la
"chiave
dell'interpretazione
dell'esistenza"[14].
Di
fronte
all'ambiguit
dello
sviluppo
tecnologico,
e
ai
pericoli
per
l'esistenza
dell'uomo
e
del
suo
stesso
ambiente,
bisogna
ricordarsi
che
la
crisi
richiede
sempre
una
"decisione
fra
possibilit
negative
e
positive,
e
la
questione
di
sapere
dove
cada
questa
decisione.
Se
di
fronte
a
questa
crisi
nasce
l'impressione
che
si
esasperi
il
pericolo
di
ci
che
negativo,
ingiusto,
distruttivo,
ci
rappresenta
qualche
cosa
di
nuovo
non
in
modo
essenziale,
ma
solo
nei
riguardi
dell'intensit.
Quel
pericolo
sta
nell'uomo,
in
senso
assoluto,
e
non
esclusivamente
connesso
al
tempo
che
sopraggiunge;
la
giusta
posizione
pu
essere
solo
quella
di
accettare
la
situazione
che
ci
data
e
di
dominarla
dall'interno,
appoggiandosi
alle
forze
pi
pure
dello
spirito
e
della
Grazia.
Se
falliamo
non
significa
che
la
nostra
epoca,
come
tale,
sia
decadenza
e
rovina,
ma
diviene
evidente
che
in
ogni
tempo
l'uomo
soggetto
a
decadenza
e
rovina
e
ha
bisogno
della
Redenzione:
ci
che
in
determinate
circostanze
pu
essere
meno
evidente
che
in
altre"[15].
Oggi,
un
contributo
alla
cultura
della
vita
pu
essere
dato
anche
da
una
ripresa
della
problematica
metafisica.
Sebbene
ci
siano
molti
aspetti
della
riflessione
di
Jonas
che
lasciano
sia
insoddisfatti
sia
perplessi,
assolutamente
condivisibile
quanto
scrive
a
proposito
del
compito
della
metafisica:
"Noi
non
sosteniamo
quindi
che
soltanto
con
la
scomparsa
della
fede
la
metafisica
ha
dovuto
assumersi
un
compito
che
in
precedenza
la
teologia
era
gi
a
modo
suo
in
grado
di
assolvere,
ma
che
da
sempre
questo
compito
stato
suo
e
soltanto
suo
-nelle
condizioni
della
fede
come
della
miscredenza,
la
cui
alternativa
non
influisce
minimamente
sulla
natura
del
compito.
Dalla
teologia
la
metafisica
pu
apprendere
soltanto
una
radicalit,
fino
ad
allora
210
sconosciuta,
nel
porre
interrogativi,
tanto
che
un
quesito
quale
quello
leibniziano
(scil.
Perch
esiste
qualcosa
e
non
nulla)
sarebbe
stato
impossibile
nella
filosofia
antica".[16]
Questa
necessit
di
una
riflessione
metafisica
data
dal
fatto
che
la
sviluppo
tecnologico
pone
problemi
che
non
riguardano
soltanto
l'agire
umano
ma
il
suo
stesso
essere
e
l'essere
della
realt:
problemi
ontologici
che
la
mentalit
tecnologica
non
in
grado
di
risolvere.
Il
contributo
della
filosofia
oggi
strettamente
legato
alla
sua
capacit
di
superare
alcuni
dogmi
della
modernit,
come
quelli
che
vietano
di
riaprire
il
discorso
sulla
verit
nell'ambito
della
problematica
metafisica
o
quelli
che
impediscono
di
ritrovare
i
nessi
costitutivi
tra
azione
umana
e
fine
ultimo
dell'esistenza,
tra
essere
e
dover
essere.
Forse
un
altro
segno
dell'influsso
della
mentalit
tecnologica
riscontrabile
nell'alone
di
sfiducia
che
circonda
questa
impresa,
giudicata
inefficace.
Per
l'uomo
contemporaneo,
abituato
a
pensare
che
soltanto
ci
che
ha
statisticamente
dei
margini
di
successo
ha
valore
di
progetto
da
perseguire,
sembra
che
il
discorso
metafisico,
per
quanto
possa
essere
vero,
sia
"inutile".
Cedere
a
questa
ragione
strumentale
significa
abdicare
ad
un
compito
che
non
connota
soltanto
la
filosofia
come
disciplina
specifica,
ma
la
stessa
struttura
della
ragione
umana.
A
ben
vedere,
al
di
l
delle
differenze
e
delle
opposizioni,
ci
che
accomuna
tutti
i
progetti
umani
pur
sempre
il
terreno
della
ricerca
della
verit:
spezzare
una
visione
unilaterale
ed
univoca
di
questa
impresa
in
fondo
ci
che
richiesto
oggi.
Non
necessario
rinunciare
alla
verit
delle
scienze,
alla
verit
delle
tecnologie,
se
si
in
grado
di
leggerle
in
quella
verit
dell'essere
che
le
fonda,
le
giustifica
e
le
orienta.
Solo
in
questo
modo
si
potr
comprendere
perch
le
inevitabili
rinunce
che
riguarderanno
l'azione
umana,
dispiegata
in
un
contesto
di
finitezza,
non
saranno
alternative
ma
condizioni
di
possibilit
della
realizzazione
dell'originaria
vocazione
dell'uomo
all'infinito:
tensione
che
connota
la
sua
ragione
e
la
sua
struttura
antropologica.
E
questo
infinito
non
si
presenter
pi
come
il
"cattivo
infinito"
che
si
palesa
nel
prolungamento
indefinito
della
temporalit,
ma
come
quell'Infinito
che
fonda
il
reale,
e
che
ha
voluto
farsi
accogliere
nella
storia
dell'uomo
con
il
volto
stesso
dell'uomo.
Come
ha
sottolineato
Jonas,
il
compito
della
filosofia
trova
nella
fede
e
nella
ragione
credente
uno
stimolo
alla
radicalit
e
alla
seriet:
soltanto
se
queste
"due
ali
dello
spirito",
per
usare
della
metafora
iniziale,
non
cesseranno
di
battere,
sar
possibile
innalzarsi
ancora
verso
la
verit
dell'essere.
La
cultura
tecnologica
la
sfida
dell'oggi
a
questa
impresa:
una
sfida
analoga
a
quelle
che
in
altri
tempi
si
sono
sviluppate
su
altri
versanti.
Ci
che
in
gioco,
ancora
una
volta,
la
nostra
libert:
la
libert
di
fare
della
ragione
una
guida
alla
verit,
e
non
soltanto
uno
strumento
della
sopravvivenza.
La
cultura
della
vita,
infatti,
si
differenzia
dal
diffuso
vitalismo
dei
giorni
nostri
proprio
in
questo
suo
radicamento
nella
verit,
conosciuta
tramite
l'argomentazione
e
riconosciuta
dentro
l'esperienza
della
fede.
Da
qui
nasce
un
reale
e
permanente
interesse
del
credente
anche
per
il
mondo,
perch,
come
ha
scritto
Guardini,
tramite
l'Incarnazione,
"Dio
"esistenzialmente"
interessato
all'essere,
al
divenire,
allo
sviluppo
e
al
destino
dell'uomo
e,
attraverso
l'uomo,
del
mondo"[17].
Ma
questa
sollecitudine
diventa
possibile
"solo
se
il
mondo
viene
visto
come
una
realt
e
un
insieme
di
valori
voluto
da
Dio
e
a
lui
caro,
come
qualcosa
che
egli
ha
affidato
all'uomo.
(...)
Il
cristianesimo
storico.
Il
termine
non
deve
essere
inteso
nel
senso
storicistico
e
relativistico
della
teologia
liberale,
ma
nel
senso
di
quella
storia
che
Dio
svolge
con
la
sua
creazione.
Per
mezzo
di
questa
egli
offre
all'esistenza
cristiana,
di
volta
in
volta,
le
condizioni
nelle
quali
deve
attuarsi"[18].
Interpretare
i
segni
del
nostro
tempo
e
farsi
carico
di
individuarne
i
limiti
ed
i
valori
fa
parte
di
questa
sollecitudine.
211
[1]
Giovanni
Paolo
II
PP,
Fides
et
ratio,
in
Enchiridion
delle
Encicliche.
Giovanni
Paolo
I,
Giovanni
Paolo
II
(1978-!998),
EDB,
Bologna
1999,
p.
1809.
[2]
Idem,
p.
1813.
[3]
Su
questo
tema
cfr.
Pessina
A.,
Bioetica.
L'uomo
sperimentale,
B.
Mondadori,
Milano,
1999
e
specificamente
il
capitolo
dedicato
a
L'alternativa
impossibile
e
il
disincantamento
del
mondo.
[4]
Cfr.
Jonas
H.,
Il
principio
responsabilit.
Un'etica
per
la
civilt
tecnologica,
trad.it.,
Einaudi,
Torino,
1993.
[5]
Barone
F.,
Ricossa
S.,
L'et
tecnologica,
trad.it.,Rizzoli,
Milano,
1974,
p.
18.
[6]
Per
un
primo
orientamento
generale
si
veda
Nacci
M.,
Pensare
la
tecnica.
Un
secolo
di
incomprensioni,
Laterza,
Roma-Bari
2000.
[7]
Cfr.
Pieper
J.,
Verit
delle
cose.
Un'indagine
sull'antropologia
del
Medio
Evo,
trad.
it.,
Massimo,
Milano,
1981.
[8]
Kant
I.,
Prefazione
alla
seconda
edizione
della
Critica
della
Ragion
pura,
trad.
it.,
Laterza,
Roma-Bari,1983,
p.18.
[9]
H.
Jonas,
Problemi
attuali
nell'etica
in
una
prospettiva
ebraica,
in
Dalla
fede
antica
all'uomo
tecnologico,
trad.
it.,
Il
Mulino,
Bologna,
1991,
pp.
257-274,
p.
257.
[10]
Guardini
R,
La
fine
dell'epoca
moderna.
Il
potere,
trad.
it.,
Morcelliana,
Brescia,
1984,
pp.
95-
96.
[11]
Un
discorso
a
parte,
che
qui
non
intendiamo
sviluppare,
riguarda
poi
le
biotecnologie
e
la
loro
capacit
di
intervenire,
modificare
e
razionalizzare
alcuni
fenomeni
della
vita,
umana
e
no.
Rimandiamo
al
testo
Pessina
A.
L'uomo
sperimentale.,
cit..
[12]
Cfr.
Gilson
E.,
L'ateismo
difficile,
trad.
it.,
Vita
e
Pensiero,
Milano,
1983.
[13]
Guardini
R.,
Sul
limite
della
vita.
Lettere
teologiche
a
un
amico,
trad.
it.,
Vita
e
Pensiero,
Milano,
1979,
p.
39.
[14]
Idem,
p.
42
[15]
Guardini
R.,
La
fine
dell'epoca
moderna,
cit.,
p.
158.
[16]
Jonas
H.,
Il
principio
responsabilit.,
cit.
p.
60.
[17]
Guardini
R.,
Sul
limite
della
vita.
cit.
p.
35.
[18]
Idem,
pp.
31
e
32.
212
213
luogo
ogni
anno,
e
contorte
motivazioni
vengono
continuamente
fornite
per
permettere
l'uccisione
di
pazienti
terminali
e
in
coma.
Questa
apparente
seduzione
della
morte
vanta
anche
una
sorta
di
legittimazione
da
parte
della
scienza.
Sigmund
Freud
ha
scritto
"che
il
principio
di
piacere
svolger
una
funzione
destinata
a
privare
il
sistema
animico
delle
eccitazioni...tale
funzione
prender
parte
alla
pi
generale
aspirazione
di
ogni
essere
animato
di
ritornare
alla
quiete
del
mondo
inorganico..."[1]
Questo
significa
che
la
vita,
anche
nell'esaltata
modalit
del
piacere,
in
realt
sarebbe
mossa
da
una
brama
di
morte.
Non
sembra
possibile
attribuire
a
quest'ultima
un
pi
vasto
impero.
Questo
atteggiamento,
nella
sua
interezza,
specularmente
opposto
alla
rivelazione
di
Dio.
Il
Concilio
Vaticano
insegna
che
(l'uomo),
"...
la
sola
creatura
sulla
terra
che
Iddio
abbia
voluto
per
se
stesso..."[2].
Questa
verit
fondamentale
stata
vigorosamente
avanzata
dal
Papa
quando
egli
ricorda
ad
ogni
uomo
e
ad
ogni
donna
che
la
loro
vita
sempre
un
bene.
Il
Papa
ha
sottolineato
come
la
verit
circa
l'uomo
sia
un
argomento
non
solo
per
la
dottrina
rivelata,
ma
anche
per
la
ragione
umana.
L'insegnamento
di
Giovanni
Paolo
II
pone
l'accento
sull'importanza
della
ragione,
e
sulla
sua
fondamentale
capacit
di
raggiungere
la
verit.
L'uomo
non
pu
affrontare
la
vita
come
se
non
fosse
capace
di
conoscere
la
verit,
come
se
non
avesse
la
libert
di
agire
nell'ambito
della
verit,
come
se
non
avesse
dignit.
La
ragione
permette
di
percepire,
ed
apre
la
strada
al
desiderio,
il
bene
innegabile
che
proviene
da
un
giusto
uso
della
coscienza
morale,
o
dal
potere
creativo
del
lavoro,
o
dalla
vita
della
famiglia
o
dall'espressione
disciplinata
delle
funzioni
corporee.
In
breve,
possiamo
percepire
e
desiderare
il
bene
della
vita.
La
rivelazione,
da
parte
sua,
arricchisce
ed
allarga
questa
visione
fino
ad
aprire
orizzonti
che
non
sono
accessibili
alla
sola
ragione,
ma
che
confermano
e
concedono
pi
ampi
ambiti
a
quanto
quest'ultima
ha
raggiunto.
In
questo
modo
viene
conseguita
l'unione
menzionata
nell'introduzione
a
"Fides
et
Ratio":
"La
fede
e
la
ragione
sono
come
le
due
ali
con
le
quali
lo
spirito
umano
s'innalza
verso
la
contemplazione
della
verit"[3].
Una
verit
rivelata
che
d
la
piena
misura
del
bene
della
vita
umana,
e
che
ha
costituito
il
nucleo
di
buona
parte
dell'insegnamento
di
Giovanni
Paolo
II,
la
parola
del
Libro
della
Genesi
dove
scritto
che
l'uomo
fu
creato
ad
immagine
di
Dio[4].
La
riaffermazione
di
questa
verit
stata
proclamata
di
fronte
a
parecchie
correnti
e
modi
di
pensare
odierni,
in
base
ai
quali
il
bene
della
vita
messo
in
discussione
e
perfino
negato.
In
loro
antitesi,
dunque,
la
natura
profetica
dell'insegnamento
papale
diviene
particolarmente
evidente.
Nella
presente
relazione
non
intendo
fornire
un
trattamento
esaustivo
su
tale
argomento,
ma
ho
scelto
cinque
temi
in
cui
la
mano
che
la
Chiesa
ha
teso
al
mondo
risulta
particolarmente
utile
e
tempestiva.
Questi
sono
1)
la
coscienza
morale;
2)
la
famiglia;
3)
il
lavoro;
4)
il
corpo
umano,
e
5)
la
sofferenza.
LA
COSCIENZA
MORALE
L'Enciclica
"Veritas
Splendor"
inizia
con
le
seguenti
parole:
"Lo
splendore
della
verit
rifulge
in
tutte
le
opere
del
Creatore
e,
in
modo
particolare,
nell'uomo
creato
a
immagine
e
somiglianza
di
Dio
(Gen
1,
26):
la
verit
illumina
l'intelligenza
e
informa
la
libert
dell'uomo,
che
in
tal
modo
viene
guidato
a
conoscere
e
ad
amare
il
Signore".[5]
La
coscienza
non
solo
un
dialogo
dell'uomo
con
se
stesso.
E'
anche
"il
dialogo
dell'uomo
con
Dio,
autore
della
legge,
primo
modello
e
fine
ultimo
dell'uomo.
San
Bonaventura
insegna
che
la
coscienza
come
l'araldo
di
Dio
e
il
messaggero.
La
coscienza
testimonianza
di
Dio
stesso.
In
questo,
non
in
altro,
sta
tutto
il
mistero
e
la
dignit
della
coscienza
morale:
nell'essere
cio
il
luogo,
lo
spazio
santo
nel
quale
Dio
parla
all'uomo".[6]
214
La
sola
esistenza
di
questo
spazio
in
cui
Dio
Colui
che
parla,
d
la
misura
della
grandezza
e
della
bellezza
della
vita
umana,
che
viene
notevolmente
impoverita
quando
la
coscienza
ridotta
alla
facolt
di
stabilire
una
legge
puramente
umana
che
dipende
pi
dalla
volont
dell'uomo
che
dalla
verit
delle
cose.
Di
fronte
a
questa
reale
mutilazione,
il
Papa
erige
una
incomparabile
difesa
della
dignit
della
vita
umana,
e
facendo
ci
mette
a
nudo
il
paradosso
secondo
cui
l'uomo
spesso
considera
la
coscienza
un
peso,
mentre
in
realt
il
sigillo
della
sua
dignit.
LA
FAMIGLIA
In
numerose
occasioni
il
Papa
ha
insistito
sul
bene
veramente
speciale
della
famiglia
in
cui
la
condizione
dell'uomo
come
immagine
di
Dio
particolarmente
espressa.
In
"Familiaris
Consortio"
egli
scrive
"Dio
ha
creato
l'uomo
a
sua
immagine
e
somiglianza,
chiamandolo
all'esistenza
per
amore,
l'ha
chiamato
nello
stesso
tempo
all'amore"[7].
In
questo
modo
l'uomo
stato
posto
all'interno
di
una
comunit
in
cui
la
vita
stessa
di
Dio
si
manifesta
nel
reciproco
auto-
donarsi.
"Il
matrimonio
e
la
verginit
o
il
celibato
sono
i
due
modi
di
esprimere
e
di
vivere
l'unico
mistero
dell'Alleanza
di
Dio
con
il
Suo
popolo"[8].
La
famiglia,
che
all'origine
della
vita
umana,
anche
il
modo
e
lo
strumento
della
sua
realizzazione.
Pertanto
alla
famiglia
stata
affidata
una
missione
specifica,
strettamente
collegata
all'opera
di
salvezza:
"custodire,
rivelare
e
comunicare
l'amore"[9].
La
famiglia
dunque
sollecitata
ad
infondere
vitalit
nell'intera
societ
umana,
essendo
prova
dell'alto
bene
che
essa
favorisce
e
promuove:
la
vita
umana.
Gli
impietosi
colpi
che
nella
nostra
epoca
sono
stati
inferti
alla
famiglia,
sono
fin
troppo
noti.
Il
Papa
li
ha
fronteggiati
con
fede
e
coraggio,
ed
stato
un
vigoroso
difensore
dell'umanit,
a
custodia
di
uno
dei
suoi
beni
pi
grandi.
IL
LAVORO
Il
significato
del
lavoro
umano
diventa
chiaro
nella
prospettiva
della
dignit
della
persona
umana.
L'idea
del
lavoro
spesso
ridotta
a
mera
mercanzia
o
a
mezzo
di
produzione.
In
tal
modo
l'esistenza
umana
oscurata
e
la
natura
degli
sforzi
umani
svilita.
L'insegnamento
della
Chiesa
altamente
vivificante,
in
quanto
mostra
quanto
il
lavoro
sia
intimamente
congiunto
all'atto
creativo
di
Dio,
"il
lavoro
una
dimensione
fondamentale
dell'esistenza
dell'uomo
sulla
terra"[10].
"...la
vita
dell'uomo
costruita
ogni
giorno
dal
lavoro,
dal
quale
attinge
la
propria
specifica
dignit
...[11].
"Anche
se
(il
lavoro)
comporta
il
segno
di
un
bonum
arduum,
secondo
la
terminologia
di
San
Tommaso,
ci
non
toglie
che,
come
tale,
esso
sia
un
bene
dell'uomo.
Ed
non
solo
un
bene
'utile'
o
'da
fruire',
ma
un
bene
'degno',
cio
corrispondente
alla
dignit
dell'uomo,
un
bene
che
esprime
questa
dignit
e
la
accresce...Il
lavoro
un
bene
dell'uomo
-
un
bene
della
sua
umanit
-,
perch
mediante
il
lavoro
l'uomo
non
solo
trasforma
la
natura
adattandola
alle
proprie
necessit,
ma
anche
realizza
se
stesso
come
essere
umano"[12].
Questa
concezione
del
lavoro
eleva
il
suo
valore
soggettivo
ben
oltre
quello
strumentale.
Perch
esso,
per
essere
lavoro
vero,
dovrebbe
manifestare
la
natura
"divina"
della
condizione
umana.
L'Enciclica
Centesimus
Annus,
che
fu
pubblicata
dopo
la
caduta
dei
socialismi
reali,
ricava
l'insegnamento
da
quel
particolare
momento
storico.
"...l'errore
fondamentale
del
socialismo
di
carattere
antropologico.
Esso,
infatti,
considera
il
singolo
uomo
come
un
semplice
elemento
ed
una
molecola
dell'organismo
sociale..."[13]
Fu
la
radice
atea
che
spinse
ad
interpretare
i
frequenti
e
spesso
necessari
conflitti
sociali
come
espressione
di
una
inesorabile
lotta
di
classe,
che
ha
indotto
a
leggere
la
storia
umana
in
chiave
conflittuale.
Ma
la
sconfitta
di
una
dottrina
iniqua
non
necessariamente
viene
seguita
in
modo
215
automatico
dal
riconoscimento
dei
veri
valori
umani
negli
eventi
storici
successivi.
Questo
di
fondamentale
importanza
per
la
missione
della
Chiesa.
L'annuncio
della
verit
alla
societ
non
si
identifica
con
nessuna
tendenza
politica
o
teorie
filosofiche
o
scientifiche.
La
Chiesa
evangelizza
e
quel
grande
strumento
di
evangelizzazione
che
la
dottrina
sociale,
alla
luce
del
mistero
di
Dio
si
interessa
di
tutta
la
vita
sociale
e
"rivela
l'uomo
a
se
stesso".[14]
Il
lavoro,
in
quanto
partecipazione
alla
Creazione,
dunque
un
esempio
privilegiato
del
bene
e
della
dignit
della
vita
umana:
"L'uomo
immagine
di
Dio,
in
parte,
per
il
mandato
ricevuto
dal
suo
Creatore
di
dominare
la
terra..."[15]
IL
CORPO
UMANO
L'"immagine
di
Dio"
esiste
in
una
struttura
corporea,
e
non
come
un
puro
spirito.
In
questo
c'
un
mistero:
che
un
essere
soggetto
alle
trasformazioni
biologiche
e
a
tutte
le
limitazioni
della
materia
possa
essere
l'immagine
di
Dio.
"...solamente
nel
mistero
del
Verbo
Incarnato
trova
vera
luce
il
mistero
dell'uomo..."[16]
Il
corpo
umano
stato
preda
della
pi
paradossale
svalutazione
in
una
cultura
che
mirava
ad
esaltarlo.
La
riduzione
della
corporeit
a
fenomeni
fisico-chimici,
fa
s
che
il
corpo,
"la
macchina
del
corpo"
diventi
esteriore
all'uomo
stesso
e
venga
considerato
o
come
lo
strumento
di
una
libert
che
si
definisce
da
s,
come
espresso
in
Veritatis
Splendor:
"...Ci
significa
definire
la
libert
mediante
se
stessa
e
farne
un'istanza
creatrice
di
s
e
dei
suoi
valori..."[17];
o
come
un
essere
soggetto
al
cieco
determinismo.
In
entrambi
i
casi
ci
troviamo
di
fronte
ad
una
negazione
della
vera
dignit
del
corpo,
come
stato
affermato
dal
Papa:
"La
persona,
incluso
il
corpo,
affidata
interamente
a
se
stessa,
ed
nell'unit
dell'anima
e
del
corpo
che
essa
il
soggetto
dei
propri
atti
morali..."[18]
Per
il
fondamentale
motivo
che
la
Parola
di
Dio
assunse
la
carne
umana,
il
corpo
ha
una
essenziale
importanza
nel
piano
di
salvazione
di
Dio,
e
conseguentemente
nell'insegnamento
della
Chiesa.
La
creazione
visibile
nella
persona
dell'uomo
posta
su
un
piano
di
dignit
che
trascende
di
molto
arbitrarie
affermazioni
basate
su
una
distorta
libert
o
su
una
visione
esclusivamente
materialista.
La
persona
espressa
nel
corpo.
La
condizione
corporea
rivela
l'unicit
e
la
soggettivit
dell'essere
individuale,
cos
come
la
struttura
sessuata
dell'umanit
punta
verso
il
bisogno
di
complementarit
e
di
comunione.
"La
teologia
del
corpo,
che
sin
dall'inizio
legata
alla
creazione
dell'uomo
ad
immagine
di
Dio,
in
un
certo
senso
diviene
anche
una
teologia
del
sesso,
o
piuttosto
una
teologia
dell'essere
uomo
e
dell'essere
donna..."[19]
Le
capacit
di
esprimere
amore
e
la
capacit
e
la
profonda
disponibilit
all'affermazione
della
persona
sono
i
tratti
fondamentali
del
corpo
umano
che
sono
stati
sottolineati
dal
Papa.
Nel
corso
delle
Udienze
Generali
1979-1980,
Giovanni
Paolo
II
ha
presentato
una
dottrina
di
fondamentale
importanza
per
i
temi
morali
sviluppati
altrove:
"...una
dottrina
che
dissoci
l'atto
morale
dalle
dimensioni
corporee
del
suo
esercizio
contraria
agli
insegnamenti
della
Sacra
Scrittura
e
della
Tradizione"[20].
Questa
interpretazione
teologica
del
corpo
chiarisce
che
"...
La
legge
morale
naturale
esprime
e
prescrive
le
finalit,
i
diritti
e
i
doveri
che
si
fondano
sulla
natura
corporale
e
spirituale
della
persona
umana.
Pertanto
essa
non
pu
essere
concepita
come
normativit
semplicemente
biologica,
ma
deve
essere
definita
come
l'ordine
razionale
secondo
il
quale
l'uomo
chiamato
dal
Creatore
a
dirigere
e
a
regolare
la
sua
vita
e
i
suoi
atti
e,
in
particolare,
a
usare
e
disporre
del
proprio
corpo"[21].
216
SOFFERENZA
"La
vita
nel
tempo,
infatti,
condizione
basilare,
momento
iniziale
e
parte
integrante
dell'intero
e
unitario
processo
dell'esistenza
umana.
Un
processo
che,
inaspettatamente
e
immeritatamente,
viene
illuminato
dalla
promessa
e
rinnovato
dal
dono
della
vita
divina,
che
raggiunger
il
suo
pieno
compimento
nell'eternit.
Nello
stesso
tempo,
proprio
questa
chiamata
soprannaturale
sottolinea
la
relativit
della
vita
terrena
dell'uomo
e
della
donna.
Essa,
in
verit,
non
realt
'ultima',
ma
'penultima';
tuttavia
rimane
una
realt
sacra"[22].
Nella
prospettiva
delineata
da
queste
parole,
la
sofferenza
che
percepita
anche
dalla
sola
ragione
come
"...
un
tema
universale
che
accompagna
l'uomo
ad
ogni
grado
della
longitudine
e
della
latitudine
geografica..."[23],
acquisisce
un
valore
speciale,
"...
poich
nella
sofferenza
contenuta
la
grandezza
di
uno
specifico
mistero..."[24].
C'
qualcosa
che
Dio
attraverso
di
essa
desidera
fortemente
rivelare
riguardo
alla
sua
vicinanza
e
circa
la
presenza
del
male
nel
mondo,
ed
ogni
sofferenza
umana
pu
essere
associata
all'immensa
gioia
della
Redenzione
"...
L'amore
anche
la
fonte
pi
ricca
del
senso
della
sofferenza,
che
rimane
sempre
un
mistero...
L'amore
anche
la
sorgente
pi
piena
della
risposta
all'interrogativo
sul
senso
della
sofferenza.
Questa
risposta
stata
data
da
Dio
all'uomo
nella
Croce
di
Ges
Cristo..."[25]
Questo
il
motivo
per
cui
c'
anche
un
"Vangelo
della
sofferenza".
"...Cristo
soffre
volontariamente
e
soffre
innocentemente..."[26].
"Cristo
d
la
risposta
all'interrogativo
sulla
sofferenza
e
sul
senso
della
sofferenza
non
soltanto
col
suo
insegnamento,
cio
con
la
Buona
Novella,
ma
prima
di
tutto
con
la
propria
sofferenza,
che
con
un
tale
insegnamento
della
Buona
Novella
integrata
in
modo
organico
ed
indissolubile..."[27]
Questo
il
motivo
per
cui
l'Apostolo
Paolo
poteva
scrivere
le
parole
riportate
dal
Papa
in
Salvifici
Doloris:
"Completo
nella
mia
carne
quello
che
manca
ai
patimenti
di
Cristo,
in
favore
del
suo
corpo
che
la
Chiesa...
Perci
sono
lieto
delle
sofferenze
che
sopporto
per
voi..."[28]
La
lezione
che
ne
trae
il
Papa
che
"...
Cristo
allo
stesso
tempo
ha
insegnato
all'uomo
a
far
del
bene
con
la
sofferenza
ed
a
far
del
bene
a
chi
soffre...[29]
Queste
parole
furono
scritte
nel
1984
in
un
periodo
in
cui
la
Chiesa
e
il
mondo
si
erano
abituati
alla
sensibile
preferenza
manifestata
dal
Santo
Padre
nei
confronti
degli
ammalati
e
dei
disabili,
che
erano
ospiti
d'onore
in
sua
presenza.
Sedici
anni
pi
tardi
vediamo
che
l'esempio
personale
dato
dal
Papa
di
fronte
ad
una
societ
che
valuta
il
benessere
e
la
salute
pi
della
vita,
ha
suscitato
una
misteriosa
attrazione
nei
confronti
del
suo
insegnamento.
Pi
di
qualunque
altra
azione,
la
sua
accettazione
della
sofferenza
e
la
sua
dedizione
ad
un
altruistico
servizio
a
favore
della
intera
umanit
sono
un
segnale
visibile
del
vero
significato
della
vita
umana
che
"...il
sincero
dono
di
s..."[30].
VANGELO
DI
VITA
E
CULTURA
DELLA
VITA
L'insegnamento
del
Papa
ha
messo
in
moto
una
diffusa
campagna
per
la
proclamazione
e
la
difesa
della
vita
in
cui
ai
cattolici
si
sono
uniti
uomini
e
donne
di
buona
volont
e
di
convinzioni
diverse.
L'appello
a
soddisfare
questo
bisogno
avvertito
da
persone
di
ogni
condizione
o
estrazione
sociale,
allo
stesso
modo
da
ricchi
e
poveri,
da
giovani
e
anziani,
dalle
persone
istruite
e
dagli
incolti.
E'
ovvio
che
il
Papa
ha
toccato
una
corda
che
ha
profonda
risonanza
nell'anima
dell'umanit
intera.
Anche
le
numerose
reazioni
risentite
testimoniano
l'inequivocabile
chiarezza
e
l'appassionato
richiamo
del
messaggio
del
Papa.
Nel
corso
dei
suoi
viaggi
internazionali,
come
anche
nelle
udienze
a
Roma,
di
fronte
a
vaste
folle
e
in
ristretti
incontri,
parlando
ai
teologi
e
ai
bambini,
il
Papa
ha
presentato
il
Vangelo,
distante
ed
oltre
l'egotistico
laissez
faire
che
sta
intrappolando
l'umanit.
217
Alla
Chiesa
stato
affidato
esattamente
questo,
l'annuncio
del
Vangelo.
"La
Chiesa
ha
ricevuto
il
Vangelo
come
annuncio
e
fonte
di
gioia
e
di
salvezza.
[...]
Evangelizzare
-
come
scriveva
Paolo
VI
-
la
grazia
e
la
vocazione
propria
della
Chiesa,
la
sua
identit
pi
profonda.
Essa
esiste
per
evangelizzare..."[31]
Il
Vangelo
di
Ges
Cristo
ha
come
sua
parte
integrante
il
Vangelo
della
Vita.
L'annuncio
di
questo
Vangelo
di
Vita
ci
trasforma
nel
"popolo
della
vita"[32]
con
la
triplice
missione
di
annunciare
il
Vangelo,
celebrarlo
e
servirlo.
"...
il
centro
di
questo
Vangelo
l'annuncio
di
un
Dio
vivo
e
vicino..."[33].
Tale
annuncio
deve
attuarsi
attraverso
il
servizio
della
carit
"...
che
dovrebbe
essere
uno
specifico
atteggiamento
che
ci
deve
animare
e
contraddistinguere:
dobbiamo
prenderci
cura
dell'altro
in
quanto
persona
affidata
da
Dio
alla
nostra
responsabilit..."
"...nei
riguardi
della
vita,
il
servizio
di
carit
deve
essere
profondamente
unitario:
non
pu
tollerare
unilateralismi
e
discriminazioni,
perch
la
vita
umana
sacra
e
inviolabile
in
ogni
sua
fase
e
situazione;
essa
un
bene
indivisibile.
Si
tratta
dunque
di
prendersi
cura
di
tutta
la
vita
e
della
vita
di
tutti..."[34]
Il
Papa
ha
compilato,
specie
in
Evangelium
Vitae,
un
imponente
lista
di
servizi:
la
testimonianza
personale,
diverse
forme
di
volontariato,
l'attivit
sociale
e
l'impegno
politico,
il
riservare
una
speciale
attenzione
per
chi
pi
povero,
solo
e
bisognoso.
Dobbiamo
"prenderci
cura"
di
tutta
la
vita
e
della
vita
di
tutti,
e
tramite
ci
inserirci
nella
straordinaria
storia
della
carit,
e
continuare
a
scrivere
questa
storia
attraverso
l'attuazione
di
adeguati
ed
efficaci
programmi
di
supporto
per
la
vita
nascente,
con
una
speciale
vicinanza
a
quelle
mamme
che,
anche
senza
il
sostegno
del
padre,
non
temono
di
mettere
al
mondo
il
loro
bambino
e
di
educarlo.
Analoga
cura
deve
essere
riservata
alla
vita
degli
emarginati
o
dei
sofferenti,
specie
nelle
loro
fasi
terminali.
Evangelium
Vitae,
al
numero
88,
chiede
di
sviluppare
strumenti
per
la
realizzazione
di
progetti
e
iniziative
concrete,
a
lungo
termine
ed
evangelicamente
ispirate.
Queste
azioni
richiedono
"...persone
generosamente
disponibili
e
profondamente
consapevoli
di
quanto
decisivo
sia
il
Vangelo
della
Vita...",
un
incondizionato
coinvolgimento
che
particolarmente
impegnativo
per
gli
operatori
sanitari
che
sono
chiamati
anche
"...all'esercizio
dell'obiezione
di
coscienza..."[35]
Il
Papa
richiede
tutte
le
forme
di
volontariato,
ed
oltre
a
ci
insiste
sul
fatto
che
la
carit
esige
forme
di
impegno
sociale
e
politico
da
parte
dei
responsabili
della
cosa
pubblica.
La
legislazione
e
le
decisioni
dei
tribunali
hanno
dimostrato
di
possedere
un
tremendo
potere
malvagio
in
quanto
inducono
le
persone
ad
accettare
come
giusta
qualsiasi
cosa
abbia
ottenuto
una
ratifica
legale.
Nella
nostra
societ
sempre
minacciata
dall'anomia,
le
norme
legislative
hanno
un
peso
rilevante
nell'instillare
valori
negativi
nella
coscienza
dei
cittadini.
E'
comprensibile
che
di
fronte
ad
un
tale
travolgente
attacco,
molti
siano
indotti
a
sottovalutare
le
possibilit
di
successo
ed
a
dubitare
della
propria
capacit
di
ristabilire
un
giusto
ordine.
Il
Papa
richiede
a
queste
persone
di
nutrire
la
certezza
che
qualche
frutto
sar
ottenuto
grazie
al
loro
lavoro
perch
"...la
verit
morale
non
pu
non
avere
un'eco
nell'intimo
di
ogni
coscienza..."[36],
cosicch
un
giorno
possano
essere
ottenute
un'accettabile
politica
per
la
famiglia
ed
una
sincera
ed
umana
attenzione
alla
problematica
demografica.
Ancora
una
volta
nel
suo
Pontificato,
il
Papa
rivolge
alle
famiglie
la
richiesta
di
abbracciare
la
missione
che
stata
loro
affidata
di
"...
custodire,
rivelare
e
comunicare
l'amore..."[37].
Le
necessit
del
momento
rendono
questo
urgente
appello
veramente
molto
ampio.
In
particolare
si
estende
ai
pedagoghi,
ed
anche
agli
intellettuali
(ricordiamo
la
menzione
speciale
rivolta
alla
nostra
Pontificia
Accademia
per
la
Vita)[38],
ai
comunicatori
sociali,
alle
donne
in
genere
con
una
speciale,
sensibile
e
caritatevole
menzione
per
quelle
di
loro
che
hanno
fatto
ricorso
all'aborto.
certamente
enorme
la
sproporzione
di
forza
tra
tali
iniziative
-
per
quanto
varie
ed
entusiastiche
possano
essere
-
ed
il
potere
organizzato
e
travolgente
delle
forze
che
si
oppongono
218
ad
una
cultura
della
vita.
Ma
la
fiducia
di
coloro
che
promuovono
quest'ultima
non
posta
nell'astuzia
dell'uomo,
ma
nel
potere
di
Dio,
di
fronte
al
quale
"...
urgente
una
grande
preghiera
per
la
vita..."[39]
Coloro
che
promuovono
la
fedelt
culturale
al
Dio
della
Vita
stanno
infatti
seminando
qualcosa
che
altri
raccoglieranno.
Ma
il
Vangelo
della
Vita
richiede
pi
di
un
annuncio,
ed
anche
pi
della
grande
quantit
di
forme
di
servizio
caritatevole.
Richiede
la
celebrazione
con
cui
prendiamo
coscienza
dell'immensa
ricchezza
del
dono,
che
condividiamo,
e
per
cui
siamo
mossi
alla
lode
e
al
ringraziamento
del
Signore
della
Vita.
Questa
celebrazione
del
Vangelo
della
Vita
si
realizza
innanzitutto
"...
nell'esistenza
quotidiana,
vissuta
nell'amore
per
gli
altri
e
nella
donazione
di
se
stessi..."[40].
"...Noi
dobbiamo
celebrare
la
Vita
eterna,
dalla
quale
procede
qualsiasi
altra
vita.
Da
essa
riceve
la
vita,
proporzionalmente
alle
sue
capacit,
ogni
essere
che
partecipa
in
qualche
modo
alla
vita..."[41]
Si
potrebbe
pensare
che
l'unione
organica
della
proclamazione,
celebrazione
e
servizio
della
Vita
donata
da
Dio
sia
una
caratteristica
distintiva
del
Magisterium
di
Giovanni
Paolo
II,
che
posto
di
fronte
ad
una
situazione
carica
di
oscurit
e
minacce,
ha
fatto
risuonare
una
nota
di
profonda
gioia
e
ottimismo
sul
destino
dell'umanit
non
tanto
per
quello
che
l'inventiva
umana
potrebbe
escogitare,
quanto
per
la
certezza
della
salvezza
che
viene
da
Dio
Che
fa
muovere
la
storia.
219
[1]
Freud,
Sigmund,
Ms
all
del
Principio
del
Placer.
Opere
Complete,
vol.
3,
pp.
2507-2541,
Traduzione
dal
tedesco
di
Luis
Lpez-Ballesteros
y
de
orres,
Editorial
Biblioteca
Nueva,
Madrid,
1996.
[2]
Costituzione
Pastorale
sulla
Chiesa
nel
Mondo
Contemporaneo
Gaudium
et
Spes,
24.
[3]
Lettera
Enciclica
Fides
et
Ratio,
Introduzione.
[4]
Gen.
1,26.
[5]
Lettera
Enciclica
Veritatis
Splendor,
Introduzione.
[6]
Lettera
Enciclica
Veritatis
Splendor,
58.
[7]
Esortazione
Apostolica
Familiaris
Consortio,
11.
[8]
Esortazione
Apostolica
Familiaris
Consortio,
16.
[9]
Esortazione
Apostolica
Familiaris
Consortio,
17.
[10]
Enciclica
Laborem
Exercens,
4.
[11]
Enciclica
Laborem
Exercens,
1.
[12]
Enciclica
Laborem
Exercens,
9.
[13]
Enciclica
Centesimus
Annus,
13.
[14]
Enciclica
Centesimus
Annus,
54.
[15]
Enciclica
Laborem
Exercens,
4.
[16]
Costituzione
Pastorale
sulla
Chiesa
nel
Mondo
Contemporaneo
Gaudium
et
Spes,
22.
[17]
Lettera
Enciclica
Veritatis
Splendor,
46.
[18]
Lettera
Enciclica
Veritatis
Splendor,
48.
[19]
Giovanni
Paolo
II,
Uomo
e
donna
li
cre.
Catechesi
sull'amore
umano,
Citt
Nuova
Editrice,
Libreria
Editrice
Vaticana,
1995,
p.
60.
[20]
Lettera
Enciclica
Veitatis
Splendor,
49.
[21]
Lettera
Enciclica
Veitatis
Splendor,
50,
che
cita
Donum
Vitae,
Istruzioni
sul
rispetto
della
vita
umana
dal
suo
inizio,
e
sulla
dignit
della
procreazione,
3.
[22]
Lettera
Enciclica
Evangellium
Vitae,
2.
[23]
Lettera
Apostolica
Salvifici
Doloris,
2.
[24]
Lettera
Apostolica
Salvifici
Doloris,
4.
[25]
Lettera
Apostolica
Salvifici
Doloris,
13.
[26]
Lettera
Apostolica
Salvifici
Doloris,
18.
[27]
Lettera
Apostolica
Salvifici
Doloris,
18.
[28]
Lettera
Apostolica
Salvifici
Doloris,
1.
[29]
Lettera
Apostolica
Salvifici
Doloris,
30.
[30]
Costituzione
Pastorale
sulla
Chiesa
nel
Mondo
Contemporaneo
Gaudium
et
Spes,
24.
[31]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
78.
[32]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
79.
[33]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
81.
[34]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
87.
[35]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
89.
[36]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
90.
[37]
Esortazione
Apostolica
Familiaris
Consortio,
17.
[38]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
98.
[39]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
100.
[40]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
86.
[41]
Lettera
Enciclica
Evangelium
Viate,
84,
che
cita
Dionysus
Areopagite,
On
Divine
Names,
6
1-3;
PG
3,
856-857.
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