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LA CULTURA DELLA VITA:

FONDAMENTI E DIMENSIONI
ATTI DELLA SETTIMA ASSEMBLEA
DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA
Citt del Vaticano, 1-4 Marzo 2001
A cura di :
JUAN DE DJOS VIAL CORREA
ELIO SGRECCIA

LIBRERIA EDITRICE VATICANA


2002
Presentazione (Prof. JUAN DE DIOS VIAL CORREA E ELIO SGRECCIA)
DOCUMENTI CORRELATI
Discorso del Santo Padre GIOVANNI PAOLO II
Comunicato Finale
CONTRIBUTI DELLA TASK-FORCE
S.E.R. Mons. JAVIER LOZANO BARRAGN, L'uomo "immagine di Dio". Vita umana e salute
alla luce della teologia.
Rev. Mons. BRUNO MAGGIONI, Dio parla della vita.
Rev. Mons. GIUSEPPE LORIZIO, Credo nella resurrezione della carne.
Dr. LUKE GORMALLY, La dignit umana: il punto di vista cristiano e quello laicista.
Rev. Prof. MAURIZIO FAGGIONI, La vita e le forme di vita. Rapporto fra biologia e antropologia.
Rev. Mons. FIORENZO FACCHINI, Evoluzione, emergenza e trascendenza dell'uomo.
S.E.R. Mons. ELIO SGRECCIA - Prof. MARIA LUISA DI PIETRO, La vita dello spirito nella
corporeit: persona e personalit.

S.E.R. Mons. ANDREAS LAUN, La legge naturale.


Dr. VINCENZA MELE, Per un'ecologia personalista tra antropocentrismo ed ecocentrismo.
Rev. Mons. MAURO COZZOLI, La legge naturale a difesa della vita. Le ragioni e i limiti della
difesa della vita fisica.
Prof. FRANCESCO D'AGOSTINO, Il rispetto della vita e il dirito.
Prof. GONZALO HERRANZ, La cultura della vita: un impegno affermativo.
Rev. Prof. TADEUSZ STYCZEN, Vivere significa ringraziare: gratias ago, ergo sum.
S.E.R. Mons. FRANCISCO GIL HELLN, Missione della famiglia nella cultura della vita.
Dr. CARLO CASINI, Ambiti e forme nuove di sostegno alla vita nascente.
Prof. GIAMPIERO GAMALERI, I media e la cultura della vita.
Prof. ADRIANO PESSINA, Cultura della vita e mentalit tecnologica.
Prof. JUAN DE DIOS VIAL CORREA, Giovanni Paolo II: Il Pontefice della vita.

JUAN DE DIOS VIAL CORREA, ELIO SGRECCIA


PRESENTAZIONE

Le annuali sessioni di studio della Pontificia Accademia per la Vita hanno sviluppato in questi
primi sette anni d'attivit una riflessione approfondita su punti precisi del dibattito etico-
giuridico, concernente sempre la difesa della vita umana: l'Identit e lo Statuto dell'Embrione
Umano, il Genoma Umano, la Dignit del Morente. A questi temi cruciali del dibattito bioetico
attuale fa da premessa il Commento scientifico e dottrinale sull'Enciclica "Evangelium Vitae", e lo
studio del rapporto tra l'E.V. e la Legge che funge da esame retrospettivo della situazione
giuridica nei vari continenti e nei paesi del mondo, per quanto riguarda la protezione legale della
vita umana a cinque anni dalla pubblicazione della Enciclica "Evangelium Vitae".
I volumi (n.6) che testimoniano questa ampia e approfondita riflessione costituiscono un
patrimonio apprezzato dagli studiosi, date anche le numerose traduzioni realizzate per la
maggior parte dei volumi.
Il discorso sulla cultura della vita stato continuamente richiamato durante questo percorso
esplorativo, ma si avvertiva la necessit di porre esplicitamente a tema tale concetto e vederne le
implicazioni culturali e le prospettive future, in senso positivo.
Infatti, le testimonianze della cultura della morte sono sotto gli occhi di tutti, hanno di per s una
visibilit massiccia, ma i pressuposti per una cultura della vita, nei suoi fondamenti filosofici e
teologi non ci risultava che fossero stati sottoposti ad un esame approfondito ed esplicito. La
domanda era ed rilevante, se si vuol passare ad una fase operativa quella di costruire cio una
cultura della vita, come superamento della fase di semplice condanna del male dilagante, che pur
esiste ed minaccioso, "Vince in bonum malum": il monito della Scrittura (Rm 12, 21). In questa
percezione storica e culturale si colloca la scelta del tema della VI Assemblea Generale, La
cultura della vita: fondamenti e dimensioni.
Con il metodo collaudato della Task-Force, che ha impegnato un numero elevato di specialisti
(19) nello studio personale e in un confronto reciproco, ampio, condotto nella fase preparatoria
della Assemblea stessa, si giunti ad un panorama che ha toccato -crediamo- i nodi essenziali del
tema posto allo studio. I diversi sottotemi, quali: il concetto di "dignit dell'uomo", il fondamento
teoretico e teologico della "creazione", la concezione della corporeit, la definizione della vita e
delle forme di vita, la legge naturale... sono stati approfonditi da specialisti e discussi
nell'Assemblea Generale. Il volume comprende anche i contributi della teologia e della
prospettiva di fede e comprende altres relazioni che toccano temi di confronto critico con la
cultura attuale come quelli dell'ecologia e della concezione dell'evoluzione delle varie forme di
vita; si voluto portare la riflessione sulle ricadute della cultura della vita negli ambiti della
famiglia e di mass-media e sui temi dibattuti della difesa della vita nascente, delle conseguenti
legislazioni.
Il risultato di questo esame nel volume che presentiamo, un volume scritto da pi autori,
ognuno specialista nel tema, ma unificato, quasi monografico, attorno al tema di fondo che
quello della cultura della vita. Questo volume sar subito pubblicato in due lingue: l'inglese e
l'italiana, con la previsione che esso possa costituire un serio supporto per chi nell'insegnamento,
nel dibattito culturale e nell'azione pastorale vorr trarre ispirazione e contenuti.

GIOVANNI PAOLO II
DISCORSO

E' sempre con vivo piacere che vi incontro, illustri membri della Pontificia Accademia per la Vita.
Quest'oggi il motivo che me ne offre l'occasione l'annuale vostra Assemblea Generale, che vi ha
visti convenire a Roma da diversi Paesi. Il mio pi cordiale saluto va a ciascuno di voi, benemeriti
amici che formate la famiglia di quest'Accademia a me molto cara. Un particolare e deferente
pensiero rivolgo al vostro Presidente, il Professor Juan de Dios Vial Correa, che ringrazio per le
amabili parole con cui ha interpretato i vostri sentimenti. Estendo il mio saluto al Vice-Presidente
Mons. Elio Sgreccia, ai componenti del Consiglio Direttivo, ai collaboratori e benefattori.
Avete scelto come tema per la vostra riflessione assembleare un argomento di grande interesse:
"La cultura della vita: fondamenti e dimensioni". Gi nella stessa sua formulazione il tema
manifesta il proposito di portare l'attenzione sull'aspetto positivo e costruttivo della difesa della
vita umana. In questi giorni vi siete domandati da quali fondamenti occorra partire per
promuovere o riattivare una cultura della vita e con quali contenuti proporla ad una societ
contrassegnata - come ricordavo nell'Enciclica "Evangelium vitae" - da una sempre pi diffusa ed
allarmante cultura della morte (cfr nn. 7, 17).
Il miglior modo per superare e vincere la pericolosa cultura della morte consiste proprio nel dare
solidi fondamenti e luminosi contenuti ad una cultura della vita che ad essa si contrapponga con
vigore. Non sufficiente, anche se necessario e doveroso, limitarsi a esporre e denunciare gli
effetti letali della cultura della morte. Occorre piuttosto rigenerare di continuo il tessuto interiore
della cultura contemporanea, intesa come mentalit vissuta, come convinzioni e comportamenti,
come strutture sociali che la sostengono.
Tanto pi preziosa appare questa riflessione, se si tiene conto che dalla cultura non viene
influenzata soltanto la condotta individuale, ma anche le scelte legislative e politiche, le quali, a
loro volta, veicolano spinte culturali che non di rado ostacolano, purtroppo, l'autentico
rinnovamento della societ.
La cultura orienta, inoltre, le strategie della ricerca scientifica, che oggi, come non mai, in grado
di offrire mezzi potenti, non sempre impiegati purtroppo per il vero bene dell'uomo. Anzi, talora
la ricerca sembra muoversi, in molti campi, addirittura contro l'uomo.
Opportunamente, pertanto, voi avete voluto precisare i fondamenti e le dimensioni della cultura
della vita. In questa prospettiva, avete posto l'accento sui grandi temi della creazione,
evidenziando come la vita umana debba essere percepita quale dono di Dio. L'uomo, creato ad
immagine e somiglianza di Dio, chiamato ad essere suo collaboratore libero e, ad un tempo,
responsabile nella gestione del creato.
Avete voluto, altres, ribadire il valore inalienabile della dignit di persona, che connota ogni
individuo, dal concepimento alla morte naturale; avete rivisitato il tema della corporeit e del suo
significato personalistico; avete portato l'attenzione sulla famiglia come comunit d'amore e di
vita. Vi siete soffermati a considerare l'importanza dei mezzi di comunicazione per una
capillare diffusione della cultura della vita, e la necessit di impegnarsi nella testimonianza
personale a suo favore. Avete inoltre ricordato come vada perseguita, in questo ambito, ogni via
che favorisca il dialogo, nella convinzione che la verit piena sull'uomo a sostegno della vita. Il
credente sorretto, in questo, dall'entusiasmo radicato nella fede. La vita vincer: questa per
noi una sicura speranza. S, vincer la vita, perch dalla parte della vita stanno la verit, il bene, la
gioia, il vero progresso. Dalla parte della vita Dio, che ama la vita e la dona con larghezza.
Come sempre avviene nel rapporto tra riflessione filosofica e meditazione teologica, anche in
questo caso sono di imprescindibile aiuto la parola e l'esempio di Ges, che ha dato la sua vita per

vincere la nostra morte e per associare l'uomo alla sua risurrezione. Cristo la resurrezione e la
vita (Gv 11,25).
Ragionando in quest'ottica, nell'Enciclica "Evangelium vitae" ho scritto: "Il Vangelo della vita non
una semplice riflessione, anche se originale e profonda, sulla vita umana; neppure soltanto un
comandamento destinato a sensibilizzare la coscienza e a provocare significativi cambiamenti
nella societ; tanto meno un'illusoria promessa di un futuro migliore. Il Vangelo della vita una
realt concreta e personale, perch consiste nell'annuncio della persona stessa di Ges.
All'apostolo Tommaso e ad ogni uomo, Ges si presenta con queste parole: Io sono la Via, la
Verit e la Vita (Gv 14,6)" (n. 29).
Si tratta di una fondamentale verit che la comunit dei credenti, oggi pi che mai, chiamata a
difendere e propagare. Il messaggio cristiano sulla vita "scritto in qualche modo nel cuore
stesso di ogni uomo e di ogni donna, risuona in ogni coscienza dal principio, ossia dalla creazione
stessa, cos che, nonostante i condizionamenti negativi del peccato, pu essere conosciuto nei
suoi tratti essenziali anche dalla ragione umana" (Evangelium vitae, 29).
Il concetto di creazione non soltanto un annuncio splendido della Rivelazione, ma anche una
sorta di presentimento profondo dello spirito umano. Ugualmente, la dignit della persona non
nozione derivabile soltanto dall'affermazione biblica secondo cui l'uomo creato "ad immagine e
somiglianza" del Creatore, ma concetto radicato nel suo essere spirituale, grazie al quale egli si
manifesta come essere trascendente rispetto al mondo che lo circonda. La rivendicazione della
dignit del corpo come soggetto, e non semplice oggetto materiale, costituisce la logica
conseguenza della concezione biblica della persona. Si tratta di una concezione unitaria
dell'essere umano, che molte correnti di pensiero, dalla filosofia medioevale fino ai nostri tempi,
hanno insegnato.
L'impegno per il dialogo tra fede e ragione non pu che rafforzare la cultura della vita,
congiungendo insieme dignit e sacralit, libert e responsabilit di ogni persona, quali
componenti imprescindibili della sua stessa esistenza. Verr, altres, garantita, insieme con la
difesa della vita personale, la tutela dell'ambiente, entrambi creati e ordinati da Dio, come
comprovato dalla stessa struttura naturale dell'universo visibile.
Le grandi istanze relative al diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte,
l'impegno per la promozione della famiglia secondo il disegno originario di Dio, e l'urgente
bisogno, ormai da tutti sentito, di tutelare l'ambiente nel quale viviamo rappresentano per l'etica
e per il diritto un terreno di comune interesse. Soprattutto in questo campo, in cui sono coinvolti i
diritti fondamentali dell'umana convivenza, vale quanto ho scritto nell'Enciclica Fides et ratio:
"La Chiesa permane nella pi profonda convinzione che fede e ragione si recano un aiuto
scambievole, esercitando l'una per l'altra una funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di
stimolo a progredire nella ricerca e nell'approfondimento" (n. 100).
La radicalit delle sfide che oggi vengono poste all'umanit, da una parte, dai progressi della
scienza e della tecnologia, dall'altra dai processi di laicizzazione della societ, esige uno sforzo
appassionato di approfondimento della riflessione sull'uomo e sul suo essere nel mondo e nella
storia. E' necessario dar prova di una grande capacit di dialogo, di ascolto e di proposta, in vista
della formazione delle coscienze. Solo cos si potr dar vita ad una cultura fondata sulla speranza
e aperta al progresso integrale di ogni individuo nei vari Paesi, in modo giusto e solidale. Senza
una cultura che mantenga saldo il diritto alla vita e promuova i valori fondamentali di ogni
persona, non si pu avere una societ sana n la garanzia della pace e della giustizia.
Prego Dio perch illumini le coscienze e guidi quanti sono coinvolti, a vari livelli, nell'edificazione
della societ di domani. Sappiano sempre proporsi come obiettivo primario la tutela e la difesa
della vita.

A voi, illustri membri della Pontificia Accademia per la Vita, che spendete le vostre energie a
servizio di uno scopo tanto nobile ed esigente, esprimo il mio pi vivo e grato apprezzamento. Il
Signore vi sostenga nel lavoro che state svolgendo e vi aiuti a portare a compimento la missione
che vi affidata. La Vergine Santissima vi conforti con la sua materna protezione.
La Chiesa vi riconoscente per l'alto servizio che rendete alla vita. Quanto a me, desidero
accompagnarvi con il mio costante incoraggiamento, avvalorato da una speciale Benedizione.

( Da L'Osservatore Romano, domenica 4 marzo 2001)





COMUNICATO FINALE

Si svolta, dall'1 al 4 Marzo, presso l'Aula vecchia del Sinodo in Vaticano, la VII Assemblea
Generale della Pontificia Accademia per la Vita, sul tema La cultura della vita: fondamenti e
dimensioni.
Anche quest'anno, il convenire della quasi totalit dei Membri dell'Accademia, ha permesso lo
sviluppo di una riflessione approfondita e compiuta intorno alla tematica proposta, secondo il
metodo della interdisciplinarit.
Durante le sessioni di lavoro, ogni impegno stato messo dai partecipanti nel cercare di
individuare gli elementi fondanti ed imprescindibili per un'autentica cultura della vita, che possa
essere promossa nel contesto culturale odierno, spesso contrassegnato da crescenti ed
inquietanti scenari di una cultura di morte che sembra avanzare sempre pi.
Un impegno, dunque, quello dell'Accademia per la Vita in questa sua Assemblea annuale, tutto
volto al positivo, con il deliberato scopo di non fermarsi tanto a focalizzare gli eventuali limiti etici
di specifiche problematiche di pertinenza della bioetica, quanto piuttosto a ripresentare i punti
cardine da assumere come riferimento nella ricostruzione di una nuova civilt della vita.
Ampio stato l'orizzonte d'indagine. Nell'ambito biblico-teologico, si trattato dei fondamenti
biblici del senso e del valore della vita umana, di ogni vita umana, qualunque sia la sua condizione
contingente; ugualmente, anche la riflessione sulla fede nella risurrezione della carne ha
rappresentato un importante presupposto per ogni ulteriore sviluppo antropologico.
Ecco perch, entrando in questo campo, si scelto di porre a fondamento proprio un'attenta
considerazione della dignit umana, cos come questa si andata manifestando nello sviluppo del
pensiero cristiano e secolare; allo scopo di approfondire ulteriormente la questione
antropologica, un'intera sessione dei lavori stata dedicata alla considerazione della singolarit
dell'uomo rispetto all'universo dei viventi, singolarit espressa massimamente dall'unitariet del
suo essere corpore et anima unus (Gaudium et Spes 14), che vede la vita dello spirito vivificare
ed informare la sua corporeit.
Il riconoscimento della vita come dono creato da Dio, poi, orienta l'uomo stesso a vivere la sua
esistenza come un bene da donare a sua volta con gratitudine, al suo Creatore, eterna sorgente
del suo essere, e ai fratelli, in un impegno di solidariet e condivisione. Soltanto cos l'uomo pu
realizzare in pienezza se stesso.
La ripresentazione di un tale quadro antropologico ha consentito anche di affrontare
fondatamente la questione ecologica, rifuggendo dalla semplicistica alternativa tra tutela
indifferenziata di ogni forma di vita e protezione esclusiva della vita umana, mediante l'adozione
del concetto di custodia : la natura un dono di Dio che l'uomo non deve soltanto utilizzare ma
anche custodire, cio proteggere ed, insieme, far fruttificare.
Si voluto anche sottolineare, dal punto di vista della teologia morale, che la vita fisica umana
un bene morale primario e fondamentale, che reclama di essere promosso, difeso e
rispettato, pur attendendo il compimento della sua perfezione che si realizzer soltanto nella
condizione soprannaturale ed eterna.
Non sono mancati riferimenti al rapporto tra la tutela e il sostegno della vita umana, soprattutto
se debole ed indifesa, e l'impegno per un rinnovato quadro legislativo, secondo le esperienze dei
vari Paesi. Tra gli strumenti da impiegare per una efficace diffusione del Vangelo della vita,
nell'orizzonte socio-culturale odierno, massima importanza rivestono i mass-media la cui forza
d'impatto risulta impressionante; per questo, appare decisivo affrontare la problematica etica
circa la comunicazione, riproponendo con coerenza la strada del servizio alla verit della vita.

Il cammino di riflessione di questa Assemblea ha poi trovato un importante momento di


arricchimento e di incoraggiamento dalla presentazione di alcune testimonianze di dedizione
piena al servizio della vita in difficolt.
Anche quest'anno, il Santo Padre ha voluto ricevere in udienza speciale i partecipanti
all'Assemblea Generale, rivolgendo loro la sua preziosa parola a sostegno delle attivit
dell'Accademia ed indicando la direzione per continuare il cammino gi intrapreso.
Vi l'urgenza - ha detto il Papa - di rigenerare di continuo il tessuto interiore della cultura
contemporanea, cos come vi pure la necessit di dare prova di una grande capacit di
dialogo, di ascolto e di proposta, in vista della formazione delle coscienze, nella costruzione di
un'autentica cultura della vita, poich senza una cultura che mantenga saldo il diritto alla vita e
promuova i valori fondamentali di ogni persona, non si pu avere una societ sana n la garanzia
della pace e della giustizia .
L'Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita si conclusa facendo proprio il grido
che il Papa ha pronunciato con entusiasmo: La vita vincer: questa per noi una sicura
speranza. S, vincer la vita, perch dalla parte della vita stanno la verit, il bene, la gioia, il vero
progresso. Dalla parte della vita Dio, che ama la vita e la dona con larghezza.

(pubblicato su "L'Osservatore Romano" di Domenica 18 Marzo 2001, p. 7)

JAVIER LOZANO BARRAGN



L'UOMO IMMAGINE DI DIO.
VITA UMANA E SALUTE ALLA LUCE DELLA TEOLOGIA

Il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute ringrazia vivamente l'Accademia per la Vita per
il suo interesse ad approfondire il tema della vita stessa, visto che salute e vita si intrecciano, e
quando si svolge uno studio con la profondit con cui lo fa l'Accademia per la Vita, si offre al
Pontificio Consiglio un aiuto meraviglioso in linea con le sue grandi preoccupazioni ed interessi.
Il tema che mi stato assegnato probabilmente pu essere preso come una piccola introduzione a
quello che sar esposto in modo autorevole nel corso del Congresso. Tenter di unire alcune
poche idee sulla vita concludendo con il suo rapporto con la pastorale della salute attraverso i
concetti di opposizione, di contraddizione e di opposizione come contrariet relativa. La
riflessione in questo modo sar centrata sul concetto di vita e di vita umana alla luce della
Teologia.

LA VITA

A prima vista sembrerebbe che la vita una verit di per s stessa cos evidente che non abbia
bisogno di nessuna ulteriore riflessione e che di per s stessa appaia come una specie di primo
principio che risulti a tutti chiaro e venga percepita senza alcuna confusione, comunque, se ci
chiediamo pi profondamente, che cosa la vita, in cosa consiste veramente il vivere, e
concretamente, il vivere umano, le cose si complicano un poco.

Antica definizione della vita

Ricordo una vecchia definizione della vita: la vita muovere se stesso. Questo la vita, ci
dicevano gli antichi, l'essere o agire della sostanza che secondo la sua natura si mette in relazione
con il movimento o con qualche altra operazione.Si tratta di un essere costituito nelle sue parti
essenziali che ora si avvia alla vita, questo un movimento interno. Ma, cosa questo
movimento?, ci viene risposto: quello che in capacit e potenza in quanto tale. Perci la vita
sarebbe la capacit primordiale di essere e di agire.

Relazioni e organicit

Essere agendo e agendo si . Ma in qualunque movimento ci sono due termini, uno dal quale si
procede e un altro verso il quale si tende e quello verso il quale si tende la sua finalit, quello
che specifica e definisce tutto il movimento. La finalit per essere tale deve essere l'esempio, e
pertanto, inizio ed efficacia. Quindi, in quale direzione tende la vita? Penso che la risposta sia che
la vita tende verso l'unit. L'unit quello che specifica la vita, c' un'unit che organizza l'essere
vivente dall'interno e c' un'altra unit che l'organizza dall'esterno, cio in rapporto con gli altri
esseri.
Sono due le classi di unit: l'unit interna d il rapporto interno delle parti e cos costituisce
l'esclusione di altri esseri dentro di s e d l'individualit, l'individualit costituisce, per dirlo in
un certo modo, la prima meta della vita che diventa cos concreta e la realizza costituendo
l'individuo. L'unit esterna sorge dalla comparazione di questo individuo concreto con gli altri
individui. Prendendo l'individuo come punto di partenza, grazie alla sua comparazione
scaturiscono rapporti speciali tra questo individuo gi costituito e gli altri.


I rapporti

I rapporti sorgono nel costatare la meravigliosa unit dell'Universo e del suo ordine imperante;
senza rapporti non ci sarebbe ordine, tutto quello che diverso per la sua partecipazione creata
si unifica attraverso i rapporti. I rapporti costituiscono il condursi l'uno all'altro, l'aversi di un
ente rispetto l'altro.
In qualunque rapporto abbiamo un soggetto, un termine ed il fondamento del rapporto. Ci sono
rapporti mutui e rapporti unilaterali, rapporti che coinvolgono due elementi o diversi elementi,
sono diversi per la loro profondit e durata, alcuni scaturiscono dall'indigenza di uno dei soggetti
che si relaziona e altri dalla sua ricchezza. La distinzione pi importante dei rapporti tra quelli
trascendentali e quelli predicamentali, quelli trascendentali superano i limiti della categoria e si
riferiscono alla costituzione essenziale del soggetto, come i principi dell'essere e i rapporti della
creatura con il suo Creatore, quelli predicamentali sono accidentali e trasmettono una
determinazione ulteriore al soggetto gi costituito. Di solito si parla anche di rapporti reali e
logici a seconda che il loro fondamento si trovi nell'ordine oggettivo o soggettivo.
L'insieme di effetti realizzati per i rapporti trascendentali e predicamentali esprime l'organicit.

La organicit

Per costituire l'organicit, necessaria la distinzione delle parti, l'interna e l'esterna; altrimenti,
non ci pu essere unit. L'unit interna, l'organicit dell'essere vivente genera la propria vita.
Comunque, questa organicit non si esaurisce nell'interno, ma mira all'organicit esterna, mira
verso l'unit con gli altri essere viventi. L'unit interna conferisce l'individualit, comunque
quest'unit interna non vitale se non intimamente trasformata dall'unit esterna, cio, se non
si mette in rapporto con gli altri esseri viventi. L'organicit esterna influisce in tale maniera
sull'individualit in modo che l'individuo non pu chiudersi in s stesso per diventare vita
individuale ma ottiene la sua ricchezza quando si apre agli altri e si realizza l'unit, l'armonia, la
convergenza tra i diversi. Si potrebbe quindi dire che la vita in genere la convergenza tra i
diversi. Cos l'organicit esterna diventa in un certo modo un rapporto trascendentale, influisce
sull'organicit interna senza danneggiare la distinzione degli esseri viventi; cio, senza scendere
in un monismo panteista di segno organologico.

Esseri diversi

Di fatto, ogni individuo essenzialmente diverso dagli altri, in effetti, chiunque si pu considerare
diverso in quanto ha quello che l'altro non possiede e non possiede quello che l'altro ha. C'e un
aspetto della vita nel quale compresa una negazione, e su questa negazione si genera la vita,
perch in questa inclusa un'affermazione che esige l'organicit, la convergenza stessa verso
l'unit degli esseri diversi, la vita.
Questa convergenza tra i diversi, che in un ultimo termine costituisce la vita nella sua totalit,
stata pensata o negata in diversi modi attraverso la storia del pensiero. Una corrente che ha
seguito questa linea stata il Panteismo in tutte le sue forme, del quale abbiamo gi fatto
menzione; un'altra corrente stata rappresentata dalla Partecipazione. Infine c'e stata un'altra
linea di pensiero che strutturava molte correnti contemporanee che stata la negazione basica
dell'organicit esterna dell'uomo nella cosiddetta cultura o anticultura della morte.

Negazione della distinzione: panteismo

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Nel Panteismo veramente non esiste organicit distinta in quanto le barriere vengono soppresse,
nel profondo non c' pluralit perch l'uno il tutto e il tutto l'uno. Quindi il Panteismo non
spiega la vita, perch in esso non c' una vera coincidenza tra i diversi ma un tutto amorfo e
pertanto senza vita. Veramente nel Panteismo non esiste un'autentica opposizione tra rinuncia e
propriet o un vero rapporto che riconosca l'organicit, perche tutto confuso.


VITA COME OPPOSIZIONE

Nelle concezioni lontane dal Panteismo, invece, esiste l'obiezione; ma mettiamo in chiaro quale
tipo di obiezione si intende: la vita opposizione, l'opposizione pu essere come contrariet o
come contraddizione. Se come contrariet, ci troviamo nell'ambito della vita. Se come
contraddizione, ci porta alla morte. L'opposizione come contrariet unisce i contrari con un
disgiungimento, "questo e quest'altro"; l'opposizione come contraddizione elimina uno degli
opposti per affermare l'altro. Nell'eliminare uno degli opposti non c' pi organicit e quindi non
si pu pi parlare di vita. Aggiungendo qualcosa a quanto gi detto possiamo dire che c'
opposizione tra due contenuti quando la posizione di uno elimina in qualche modo quella
dell'altro. A seconda di quale sia lo spirito di questa eliminazione si hanno le diverse classi di
opposizione. L'opposizione come contraddizione irriducibile, si svolge tra l'essere e il non
essere, non tollera un termine medio. L'opposizione come contrariet o opposizione contraria fa
s che i due contenuti si respingano in un aspetto limitato e per tanto accetta i termini medi.
L'opposizione contraria pu essere privativa oppure relativa a seconda che siano in opposizione i
due contenuti per rinuncia - propriet, oppure per semplice relazione.

Opposizione di contraddizione nel concetto della vita

C' una mentalit nel mondo moderno che si basa fortemente sull'opposizione come
contraddizione. Questa la mentalit evoluzionistica applicata all'uomo in modo diretto e
interamente. In effetti, nella mentalit evoluzionistica la sopravvivenza delle specie si ha nella
lotta fino alla morte che un'opposizione come contraddizione, che porta alla sopravvivenza del
pi forte. Probabilmente molti passi dell'evoluzione degli esseri inferiori all'uomo si possono
spiegare in questa lotta per la vita, la famosa "struggle for life". Ma non risulta possibile applicarla
nella sua totalit perch, sebbene vero che esiste una gradualit nell'esistenza attuale delle
specie nel mondo vivente subumano, cio esiste una gradualit attuale delle stesse, non sono
scomparse le specie inferiori. Queste nel suo insieme formano la sfera subumana organica. Il
problema sorge pi fortemente quando questa spiegazione della vita attraverso l'opposizione
contraddittoria si applica alla sfera umana della vita stessa. Quindi si arriva al punto che la
prevalenza e la sopravvivenza del pi forte diventano una norma e da l si originano tutte le
opinioni maltusiane e di razze superiori nelle quali alcuni si affermano tentando di uccidere gli
altri, in modo pi selvaggio negli stadi primitivi, in modi pi sofisticati nel mondo attuale. Questa
la cultura della contraddizione, o per dire lo stesso, la cultura della morte che viene chiamata
l'anticultura propriamente detta.
In questa posizione non c' praticamente organicit, la vita come organicit scompare perch non
c' termine contro il quale opporsi, poich stato distrutto. Il problema che siccome questo
termine assolutamente indispensabile per la vita, dal momento che non esiste pi, la vita
marcisce e quindi si arriva alla cultura della morte. Non c' il termine contro il quale affermarsi
dal momento che questo appartiene internamente alla propria organicit del soggetto che vuole

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affermarsi, la stessa vita individuale muore. Nuovamente, con la stessa logica, affrontiamo
l'assurdo della cultura della morte.

Opposizione di contrariet nel concetto della vita

L'autentica opposizione che pu garantire la vita l'opposizione di contrariet. Questa, come
dicevamo prima, si esprime mediante un disgiungimento: "questo e quest'altro". In parole
povere, la vita complementariet organica, si vivi in quanto si in opposizione ad un altro
essere vivente perch non si ha quello che l'altro possiede ma si vuole partecipare della sua
ricchezza. A sua volta, l'altro essere vivente vivo in quanto partecipa della ricchezza del primo.
L'ideale che questa mutua partecipazione sia senza menomazione, cio, senza sottrarre alla
partecipazione comune niente di quello che gli esseri viventi possiedono di per s. In questo caso
ci troviamo con l'opposizione per mero rapporto.

LA VITA NELLA SANTISSIMA TRINITA' E NELL'INCARNAZIONE

precisamente questo l'ideale che si realizza nella fonte della vita di tutta la creazione che la
Santissima Trinit. La Santissima Trinit, secondo la rivelazione dello stesso Dio, si costituisce in
una opposizione relativa e una coincidenza assoluta. per questo che Dio uno in tre persone
diverse (cfr. Jo 16,15). In Dio l'opposizione tra le persone divine l'opposizione di rapporto di
completezza, non di indigenza; dove, vero, si trova la rinuncia e la propriet nelle diverse
persone, ma senza che questa rinuncia significhi una menomazione di una delle persone divine, e
senza che la propriet di una delle persone possa produrre qualche sottrazione a un'altra.
L'opposizione tra le persone divine un rapporto di completezza che consiste in una mera
opposizione di contrariet relativa.
In definitiva, quello che una persona non possiede si mette in rapporto con quello che un'altra ha
in modo che la rinuncia resta in una possessione non relativa ma assoluta e infinita.
Quest'apparente contraddizione viene chiarita osservando le tre persone concretamente: il Padre
non ha la filiazione, ma padre per la filiazione. Il Figlio non ha la paternit ma Figlio per la
paternit. Lo Spirito non ha l'ispirazione, ma Spirito per l'ispirazione del Padre e del Figlio.
Infine tutti e tre sono infiniti nella perfezione di una sola natura divina perch il Padre, il Figlio e
lo Spirito Santo sono un solo Dio. La vita infinita delle tre persone divine si realizza per una
donazione assoluta del Padre al Figlio, del Figlio al Padre, del Padre e del Figlio allo Spirito e dello
Spirito al Padre e al Figlio. La distinzione si ha per rapporto di completezza, cio, per opposizione
di mera contrariet relativa e, a sua volta, per la sua opposizione di sola contrariet sono la vita in
s, che vuol dire, sono un solo Dio (Cfr. Jo 16, 13-15;17, 22).
Da questo modello divino possiamo intuire che la vita nella sua fonte, e quindi nella sua massima
espressione, muovere se stesso in un insieme di rapporti verso la piena donazione. Viene
donato quello che si possiede e si riceve quello che non si ha in un processo incessante che
arricchisce e che , precisamente, il processo vitale. (Cfr. Jo 17, 22-23.26). I punti fondamentali
sono i rapporti che fondano l'opposizione contraria, non per rinchiudersi nella propria propriet
o nella propria rinuncia, ma per aprirsi in una totale donazione. Cos la vita diventa rapporto di
completezza feconda in una donazione amorosa.
Questa la vita in s, e quando Dio la partecipa nella sua creazione, in particolare quando
partecipa l'uomo, la dona, analogamente, in questo modo. Dio iscrive questa donazione
all'interno della libert umana. E precisamente quando l'uomo non vuole pi accettare questa
donazione, allora si rinchiude in s stesso, si oppone agli altri in contraddizione. Questo il
peccato, vale a dire, la morte.

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La storia della salvezza

All'interno di queste coordinate si scrive la Storia della Salvezza, come una storia della libert
(Gn 2, 16-17). E siccome l'uomo aveva scelto l'opposizione di contraddizione (Gn 3,6), il peccato e
la morte e nonostante Dio non gli aveva sottratto il fatto che nel suo interno sia ancora fatto a sua
immagine, la storia dell'umanit una storia che si svolge all'interno di due capi vincolati nel pi
profondo dell'uomo: contraddizione-contrariet, morte-vita, odio-amore, egoismo-donazione.
In questo ambito, l'Incarnazione Pasquale viene a compiere la frattura della contraddizione in
una costruzione amorosa di contrariet di rapporto. Cio, la morte viene vinta dalla risurrezione.
Cristo prende su di s la contraddizione dell'uomo che significa il suo peccato e la sua morte, e
porta questa contraddizione fino a patirla su s stesso nella sofferenza della morte (Cfr. Ro 5-6,
passim). Ma questa morte, per l'amore dello Spirito Santo diventa fonte di vita, una donazione
amorosa di vita, una risurrezione per Cristo medesimo e per tutta l'umanit (Cfr. Ro 8; Ef 1). La
contraddizione in quest'unico caso diventa feconda, viene distrutta la sua negazione della vita e si
trasforma in opposizione di contrariet amorosa, fondata nel rapporto di amore che lo Spirito
Santo: la morte diviene la maggiore prova di amore, la maggiore prova di donazione. E cos Cristo,
divenuto colpevole, prendendo su di s la contraddizione assoluta dell'uomo che la morte, crea
nuovamente un uomo nuovo nel rapporto di giustizia e santit che la risurrezione.

La contraddizione compresa nella contrariet

Per arricchire quello gi detto possiamo aggiungere che Cristo prende su di s la contraddizione
e la fa diventare contrariet in rapporto di massimo amore e quindi di massima vita, contrariet
nella quale si oppone relativamente all'uomo come soggetto al quale gli dona quello che gli
manca totalmente: la vita. La vita trinitaria di opposizione contraria di pura donazione ora passa
attraverso la contraddizione della morte per vincere la stessa morte e trasformarla in una pura
donazione nello Spirito. La fa diventare donazione di puro amore. Si supera la contraddizione
della morte nell'opposizione relativa di contrariet che un rapporto di amore. Avevamo
descritto come l'opposizione di contraddizione genera la cultura della morte; in Cristo, questa
opposizione lo condusse alla massima morte, cos chiamata perch la sua morte prende su di s
tutte le morti del mondo, tutte e ciascuna delle contraddizioni; la Redenzione quindi si fond nel
trasformare questa massima morte nella massima vita, riformare la contraddizione attraverso lo
spirito in un puro rapporto di amore, come donazione totale.
Se, come dicevamo, la vita capacit di essere e di agire, possiamo quindi concludere che la vita
capacit di essere e di agire attraverso un'opposizione contraddittoria, come la morte, una
opposizione contraria come rapporto di donazione amorosa assoluta nella quale si riceve la
partecipazione alla vita della Santissima Trinit (Jo. 17,23.26). In questo consiste l'obbedienza di
Cristo che, sentendo la voce del Padre e condotto dallo Spirito Santo, rinuncia a s stesso, come
dice San Paolo: "Pur essendo di natura divina, non ha insistito nell'essere uguale a Dio, ma
abbandonando quello che gli era proprio e prendendo la natura di un servo nato come uomo e
presentandosi come uomo si sottopose all'umiliazione e per obbedienza, andato incontro alla
morte, vergognosa morte, sulla croce. Per questo Dio gli ha offerto il pi alto onore e il pi
eccellente di tutti i nomi, cos sentendo il nome di Ges pieghino le ginocchia tutti quelli che sono
nei celi e nella terra, e sotto la terra, e tutti possano riconoscere che Ges Cristo il Signore, per
lode a Dio Padre" (Fil 2, 6-11).

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Opposizione, tensione e salute



All'interno di questa riflessione sul contesto salvifico di Cristo ora necessario considerare
molto brevemente cosa la salute. Lo faccio soltanto a modo di conclusione. Trattare in modo
esauriente la salute comporterebbe un discorso molto lungo per il quale non abbiamo tempo in
questa occasione. Qui possiamo enunciare il concetto di salute che Papa Giovanni Paolo II ci ha
offerto nel Messaggio Giubilare della Giornata Mondiale del Malato dell'anno 2000. Diceva il
Papa: "La salute non si identifica soltanto con l'assenza di malattia, ma si pone come
un'inclinazione verso la pi piena armonia e sano equilibrio a livello fisico, psichico spirituale e
sociale. In questa stessa prospettiva la persona chiamata a mobilitare tutte le sue energie
disponibili per realizzare la propria vocazione e il bene degli altri" (Giovanni Paolo II, Messaggio
per la VII Giornata Mondiale del Malato, 6.VIII.1999) Ora tenteremo di commentare brevemente
questo concetto di salute utilizzando i termini della riflessione che abbiamo svolto finora:
Abbiamo parlato di un rapporto di opposizione. Anche la salute un'opposizione perche una
tendenza verso l'armonia totale dell'uomo, verso l'armonia fisica, psichica, sociale e spirituale
dell'uomo. Quest'armonia , in ultimo termine, la partecipazione della vita divina della Santissima
Trinit nell'uomo ed quindi un'opposizione di contrariet relativa di completezza, come
abbiamo gi detto, e la tendenza partecipa di questa stessa natura della vita armonica trinitaria.
Infine, la salute la tendenza generata dalla chiamata di Dio in Cristo a partecipare a questa
armonia, la risposta che l'uomo offre a Dio lungo le diverse tappe della sua vita. A volte
comporter l'assenza di malattia, a volte No. L'essenziale non l'assenza di malattia ma la
tendenza all'armonia. Questa tendenza un'opposizione di rapporto di completezza. muoversi
in completezza. Cos la salute si avvia verso la vera vita, che pu trovarsi anche nella malattia e
nella stessa morte, quando questa ha una natura come quella di Cristo. Una cosa , quindi, la
carenza di malattia e un'altra l'autentica salute. In questo senso, la vera salute si identifica con
la vera vita in quanto la vita si trova, in un certo senso, nel cammino verso la salute.
Si fa notare, inoltre, il vincolo essenziale che c' tra salute e Chiesa, dal momento che la Chiesa la
chiamata concreta a quest'armonia.
La vita e la salute sono, quindi, un dono dello Spirito Santo, sono i doni sperati dall'armonia nel
contesto delle contraddizioni pi grandi che siano mai esistite.
Dicevamo che la vita consiste nel muovere se stesso, possiamo quindi dire che la vita e la salute
sono i doni che fanno s che l'uomo metta in moto s stesso nella forza dello Spirito Santo e grazie
allo stesso (Cfr. 1 Cor 2, 6-16; 12-13; 2 Cor 5, 1-5).
Cos, salute e vita si identificano con il regalo della vita divina affidata, partecipata all'uomo. La
vita e la salute sono il rimedio alle tensioni quotidiane che ricevono un cammino di risoluzione
nella Parola di Dio che Cristo e che ora ci arriva nella forma sacramentale, in particolare,
nell'Eucaristia. Per questo motivo l'Eucaristia si chiama il pane della vita ed la medicina
dell'immortalit (Cfr. Jo 6, 25-29).

CONCLUSIONE: L'UOMO COME IMMAGINE DI DIO

Tutto questo che stato detto stato un balbettare alcune idee partendo dall'analogia per
descrivere la vita e la salute e, in questo modo, l'uomo come immagine di Dio. Quindi, in sintesi,
potremmo concludere la nostra riflessione dicendo che l'uomo come immagine di Dio (Gn 1, 27;
Cfr. Ro 5, 12-19) l'uomo che tende verso l'armonia, una tendenza che consiste nella
contraddizione morte-vita (Ro 6, 1-11), che si risolve nel rapporto amoroso e di completa
donazione con lo Spirito stesso (Ro 8, 1-17) e che permette all'uomo di vivere in quanto si apra a
Dio e agli altri in un'essenziale integrazione umana (Cfr. Ef 4, 17-32).

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Cos la vita convergenza dei diversi, diversi che sono opposti ma non per un'opposizione di
contraddizione ma per una mera opposizione di contrariet che consiste in un rapporto di
completezza dove quello che si possiede si dona agli altri, e invece di scomparire si diventa pi
forte per lo stesso atto di donazione. Questa la meraviglia della vita e la salute come immagine
di Dio.
Come immagine di Dio, l'uomo si costituisce nella vita grazie alla donazione amorosa verso Dio e
verso gli altri. Come immagine di Dio, la tendenza che lo spinge a donarsi sempre a Dio ed agli
altri costituisce la salute. una tendenza che punta verso la completa armonia della resurrezione,
ma una tendenza molto dolorosa, perch passa attraverso la contraddizione che la morte di
Cristo. La vita donazione amorosa sempre crescente che si spinge verso orizzonti infiniti. La
salute la tendenza che orienta la vita verso quest'armonia sempre perfezionabile. E questa vita
e questa salute cristiane fanno s che l'uomo sia, nel suo rapporto con Dio e con gli altri, una vera
immagine di Dio.

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BRUNO MAGGIONI
DIO PARLA DELLA VITA

Sono convinto che Dio parli della vita in diversi modi. Nel mio discorso, per, mi soffermo sulla
Parola di Dio "scritta", Antico e Nuovo Testamento. Mi interessa soprattutto una domanda: qual
la radice che nel discorso biblico costituisce il fondamento ultimo che d senso e dignit
alla vita di ogni uomo? Non soltanto senso e dignit alla vita riuscita e promettente, ma anche alla
vita "ferita"? Come si sa, il cammino biblico pu apparire frammentario, lungo, persino tortuoso.
La verit non sta nella somma si tutti i particolari che emergono, ma nella logica che guida
l'intero cammino, che rimane ferma anche nel variare delle situazioni, che via via si chiarisce e
trova il suo compimento nell'evento di Ges Cristo.
La prospettiva scelta- indubbiamente limitata e tuttavia essenziale- mi libera da alcune
preoccupazioni, come l'analisi dei singoli testi, delle situazioni storiche in cui si collocano, della
loro genesi. Nulla di questo, non faccio esegesi, ma teologia biblica. Mi interessa la sintesi.


LE COORDINATE

Ritengo utile iniziare la conversazione elencando alcune coordinate che costituiscono la griglia
entro la quale il discorso biblico si svolto, sia pure non sempre con la stessa chiarezza. Sono
notissime e basta elencarle.
Fin dall'inizio la Bibbia convinta che la vita sia molto di pi della semplice esistenza.
Paradossalmente il vangelo dir che per avere la vita occorre anche saper perdere l'esistenza (Mc
8, 34)! La Bibbia poi particolarmente colpita da quelle manifestazioni della vita che possiamo
descrivere come movimento e vivacit. La vita qualcosa che cresce e si sviluppa, dic4e pienezza
e intensit. Per questo il vocabolo ebraico al plurale, appunto per sottolineare la pienezza e la
intensit. La Bibbia convinta che occorre allargare la vita, non solo allungarla. In proposito si
pu leggere Prov. 3, 16-18.
La concezione biblica della vita si costruisce entro una concezione unitaria dell'uomo. Nessun
dualismo, n fra spirito e corpo, n fra individuo e societ. Per la Bibbia non possibile alcun
dualismo, perch vede sempre l'uomo nella sua inscindibile unit.
Il tratto biblico pi tipico e pi ricco certamente il legame tra Dio e la vita. Dio il Vivente, e la
vita il dono pi prezioso che sgorga dal suo amore gratuito e fedele. In mille modi si sottolinea
che la vita dono, e come tale da vivere in gratitudine e letizia. La parola vita sempre unita ai
verbi che indicano l'azione salvifica di Dio: donare, redimere, custodire, disporre, fare. Il racconto
di Genesi 2 narra che "Il Signore modell l'uomo con la polvere del terreno e soffinelle sue narici
un alito di vita, e cos l'uomo divenne un essere vivente. Il racconto sacerdotale (Genesi 1) narra
invece che il sesto giorno Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza"
(Genesi 1, 26); e per assicurare all'uomo la sua benedizione.
Non soltanto la creazione dell'umanit nel suo insieme, ma anche l'apparire di ogni singola
persona e di ogni singola vita viene ricondotta dalla Bibbia all'attivit creatrice e operosa di Dio.
Per la Bibbia l'uomo non comprende a fondo se stesso se non ha questa consapevolezza: egli trae
la propria origine da una decisione nella quale egli non ha preso parte. All'origine di ogni uomo
c' la gratuit dell'amore di Dio, la libert di un gesto di amore.
In proposito si possono leggere testi bellissimi, come il salmo 139 e Giobbe 10, 8-12. E' in questa
gratuit originaria che sta la ragione vera che d senso e dignit a ogni uomo vivente. E in questa

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gratuit racchiusa la "promessa" della fedelt di Dio all'uomo, a ogni singolo uomo, una fedelt
che non pu venir meno iin nessuna circostanza.
Nella concezione dell'uomo immagine di Dio sono contenute alcune affermazioni di grande
rilievo. La prima che la vita discende da Dio ed suo dono, sua immagine e sua impronta. Dio
l'unico padrone della vita, e perci questa una realt intoccabile, sottratta al potere di qualsiasi
uomo. Benedicendo No alla fine del diluvio, Dio disse: "Della vita dell'uomo domander conto
alla mano dell'uomo, alla mano d'ogni suo fratello... perch quale immagine di Dio Egli ha fatto
l'uomo (Gen 9, 6-6)".
Una seconda affermazione che l'uomo si colloca al vertice della creazione. L'uomo qualcosa di
unico. E' certo imparentato con la creazione ed solidale con tutte le creature, ma in lui c' un di
pi: appunto l'essere immagine di Dio. E questo vale per qualsiasi uomo, al di l di ogni possibile
differenza (si veda il salmo 8). Immagine di Dio non qualcosa che si aggiunge alla creaturalit,
ma esprime piuttosto il significato profondo di tale creatura di Dio. E si riferisce all'uomo nella
sua totalit, non a una parte di essa o a una sua qualit.
Una terza affermazione che la vita da vivere nell'obbedienza. Immagine dicerelazione, realt
riflessa, obbedienza appunto. Dono di Dio, la vita si sviluppa rimanendo in comunione con la sua
sorgente, si mortifica allontanandosene. Pi semplicemente, molti passi biblici legano la
promessa della vita all'osservanza dei comandamenti: per esempio Deut. 31, 15-16. In altri
termini meno immediatamente religiosi, diremmo che lo sviluppo della vita legato a una
corretta impostazione della vita stessa. Con grande acutezza i profeti hanno sempre tentato di
strappare Israele da progetti autonomi, e di distoglierlo da sicurezze troppo umane, ferme, fosero
pure religiose. Bisogna invece abbandonarsi fiduciosamente nelle mani di Dio: "Cercate me e
vivrete", dice il profeta Amos (5, 4ss). Per vivere pienamente occorre il coraggio di abbandonarsi
in avanti, alla vita che ci viene incontro. E per questo non soltanto nella prospettiva di un mondo
futuro (un dato che nell'Antico Testamento nebuloso) ma anche nello svolgersi della vita
mondana.
Ma dove scorge- di fatto- l'uomo biblico la sua grandezza e la sua consistenza? Con grande
chiarezza risponde a questa domanda cruciale il salmo 8, che si presenta come il frutto maturo di
una lunga meditazione sulla creazione e sul rapporto Dio e uomo. Il salmista trova la grandezza e
la solidit dell'uomo nel fatto che Dio si ricorda di lui. Non nella bellezza dell'uomo, o nella forza,
o nell'intelligenza. E' l'amore di Dio che d dignit all'uomo. L'esperienza pi profonda dell'uomo
biblico lo stupore di essere ricordato da Dio.
L'ultima coordinata a cui voglio accennare, tanto importante da costituire in qualche modo la
spina dorsale dei discorso (e perci gi ripetutamente accennata), il rapporto di fiducia fra
l'uomo e Dio: una fiducia nella sua promessa tanto solida che le molte smentite la purificano, ma
non la fanno crollare. Nelle pagine bibliche, anche nelle pi angosciate, quelle che sembrano
esprimere l'abbandono di Dio, la fiducia nella sua fedelt resta sempre, magari sotterranea.
Questa fiducia persino presente nel racconto di Abramo che obbedisce a Dio sino ad essere
disponibile al sacrificio del figlio.
Certamente non mancano nel percorso biblico comportamenti divergenti da quanto sin qui detto:
violenza contro il nemico, sterminio di citt straniere, uccisioni, anche qualche episodio di
suicidio. Questi comportamenti non compromettono, per, il discorso essenziale. Dicono invece
la difficolt della sua maturazione e la fatica di superare le molte remore culturali. In ogni caso,
non alla luce di questi comportamenti che va inteso il discorso centrale, ma viceversa.

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TIPOLOGIE

Dopo le coordinate (alle quali ho forse dato uno spazio eccessivo) utile riguardare il percorso
anticotestamentario attraverso le varie situazioni che l'uomo biblico ha incontrato. Ne elenco
alcune brevemente:
- l'uomo che vive una vita riuscita che giunge al suo termine naturale;
- la vita interrotta che si conclude con una morte prematura, a volte violenta;
- una vita colpita: la sofferenza innocente (Giobbe);
- una vita insoddisfacente e tuttavia umanamente riuscita, priva di senso in se stessa, quasi una
promessa delusa (Qohelet);
- il martirio.
Certamente queste varie situazioni suscitano modi differenti di affidarsi alla vita. Ma la cosa
interessante -e per noi essenziale- che l'uomo biblico, in tutte le situazioni, ha sempre cercato
rifugio nella fedelt di Dio.


L'EVENTO DI GES CRISTO E LA VITA

Il Nuovo Testamento non pone al centro della sua rivelazione l'uomo, ma come Dio guarda
l'uomo: il suo amore per l'uomo, la sua alleanza con l'uomo, il suo condividere l'esistenza
dell'uomo. Ovviamente questa rivelazione -che riguarda anzitutto Dio- getta una luce
impensabile, nuova, sull'uomo. Elenco alcuni aspetti che direttamente ci possono interessare.
Il Figlio di Dio si fatto "carne" (1, 14), si legge nel prologo di Giovanni. Carne non certo la
condizione di peccato, ma neppure semplicemente la natura umana: la natura umana nella sua
caducit, nella sua storicit, nella sua corporeit e nella sua mondanit. Il Figlio di Dio ha assunto
la vita dell'uomo nella sua piena realt. E cos viene posto di nuovo il fondamento della dignit
della vita dell'uomo nella sua totalit. Dopo l'incarnazione dei Figlio di Dio al cristiano preclusa
ogni fuga lontano dal mondo. Neppure il peccato pu servire come alibi per la denigrazione della
vita dell'uomo nel mondo.
Per il Nuovo Testamento non ci sono due esistenze parallele (spirituale e materiale), tanto meno
un'esistenza spirituale imprigionata nel corpo e da esso impedita, e neppure due esistenze
concepite semplicemente come un prima e un poi, ma un'esistenza unitaria, quella che gi ora si
vive, destinata per a sfociare nell'eternit e nella piena comunione con Dio. S. Giovanni, con la
sua ripetuta espressione di vita eterna -da intendere come partecipazione gi ora della vita
divina, qualitativamente tale da vincere la morte- indica che la ragione (o il senso) della vita non
solo da cercare al di fuori di essa, nel suo destino futuro, ma gi dentro di essa: certo un
senso ricevuto, ma gi presente.
Se poi osserviamo le precise modalit storiche dell'esistenza vissuta dal Figlio di Dio, allora
comprendiamo anche che Egli ha assunto il volto dell'uomo deriso, del sofferente, del
perseguitato, del nemico, persino dell'uomo considerato peccatore e malfattore. Tutto questo
mostra che nessun uomo, chiunque sia e qualsiasi cosa abbia fatto, pu essere privato della sua
dignit di amato da Dio. Proprio perch radicata nel gratuito amore di Dio, la dignit dell'uomo
inalienabile e incondizionata.
Ges esige, poi, esplicitamente il massimo rispetto per l'uomo e considera come diretti a se stesso
tanto l'amore quanto l'offesa (Mt 25, 21 ss). Un Dio pensato come lontano pu permettere di
manipolare l'uomo, ma un Dio che si fa uomo non lo permette.
Il Nuovo Testamento apre la vita dell'uomo su orizzonti vastissimi, sconfinanti nello stesso
mistero di Dio, il mistero trinitario. E' sempre il gratuito amore di Dio che apre all'uomo questi

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ulteriori impensati orizzonti. E cos la vita tutta segnata dalla gratuit: dono gratuito nel suo
primo sorgere e dono gratuito nella sua elevazione. In qualche modo anche nell'Antico
Testamento si pensava la vita -nel suo nocciolo pi profondo- come comunione con Dio. Ma ora si
parla dipartecipazione alla stessa vita divina. E tutto questo molto importante per comprendere
la vita. Se si limita lo sguardo al solo tempo presente, o anche se si chiude lo sguardo dentro lo
spessore naturale dell'uomo, trovare un senso alla vita resta obiettivamente pi difficile. Bisogna
alzare lo sguardo verso Dio, della cui vita l'uomo partecipa.
E siccome la vita di Dio un dialogo di comunione e di amore (Trinit), ne consegue che anche la
vita dell'uomo -inserita nel dialogo trinitario- si manifesta e si sviluppa nell'amore e nella
comunione. Ha ragione S. Giovanni di scrivere nella sua lettera (3, 14): "Noi sappiamo di essere
passati dalla morte alla vita, poich amiamo i fratelli". Vita la novit dell'amore di Dio che in
Cristo afferra la persona in tutta la sua interezza, rinnovandola, aprendola verso una impensata
dignit.


LA CROCE/RISURREZIONE DI GES

Ma per capire la vita bisogna capire la Croce e, ovviamente, la risurrezione. Senza la Croce
mancherebbe la chiave per comprendere le contraddizioni dell'esistenza, troppe cose dell'uomo
resterebbero senza senso. La Croce non sopprime le realt negative della vita, ma ne suggerisce
una diversa lettura.
Accettando la via della Croce, Ges ha condiviso della vita dell'uomo il peso e la tentazione, il
fallimento e la sofferenza, lo sconcerto di fronte a una vita interrotta, l'abbandono. Cos la Croce
di Ges il luogo in cui il mistero dell'esistenza si rispecchia, in un certo senso si ingigantisce, e
poi si risolve. Morendo in Croce, Ges si veramente posto al centro del mistero dell'uomo e di
Dio, l dove la vita sembra smentita e Dio contraddire la sua promessa. Ma la Croce/risurrezione
trasforma tutte le contraddizioni in rivelazione. Le tre grandi alienazioni dell'uomo, che
sembrano sconfiggere la vita privandola di senso e dignit (il peccato, la sofferenza e la morte)
trovano una diversa comprensione: il peccato perdonato, la morte vinta dalla risurrezione, la
sofferenza si tramuta in solidariet e riscatto. Cos il vangelo persuaso che per trovare un senso
positivo della vita, non solo nonostante le sue alienazioni, ma addirittura dentro le sue
alienazioni, necessario confrontarsi con la Croce di Ges.

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GIUSEPPE LORIZIO
"CREDO NELLA RISURREZIONE DELLA CARNE"

Premesse: il fondamento cristologico della fede nella risurrezione della carne

Per questa riflessione a carattere teologico-fondamentale sul tema che mi stato assegnato
prenderei spunto da una constatazione molto semplice, ma non per questo ovvia ed acquisita. Si
tratta del fatto che la formula "risurrezione della carne" non di origine biblica, bens
protocristiana. Uno dei testi pi antichi e significativi a riguardo un passaggio dell'omelia,
impropriamente denominata "Seconda lettera di San Clemente ai Corinti" (ca 140):

Ka m leg'tw tij mn, ti ath srx o
krnetai od nstatai.

Gnte: 'n tni 'sqhte, 'n tni nebl'yate,
e m 'n t sark tath
ntej;
De? on mj j nan qeo fulssein tn
srka.
?On trpon gr 'n t sark 'klqhte, ka 'n t
sark 'lesesqe.

E Cristj Krioj ssaj mj, n mn t
prton pnema, 'gneto srx ka otwj mj
'klesen, otwj ka me?j 'n tatV t sark
polhymeqa tn misqn[1].


Nessuno di voi venga a dire che questa nostra
carne non subir il giudizio e non risusciter.
Ricordatelo: non foste salvati, non otteneste la
vita interiore, se non in questa carne, vivendo in
essa?
Perci doveroso custodire la carne come un
tempio di Dio.
Nella carne foste chiamati e nella carne
raggiungerete [Dio o la salvezza].
Se Cristo, il Signore, nostro Salvatore, che prima
era solo spirito, si fece carne e solo cos ci
chiam, anche noi solo in questa carne
raggiungeremo il premio eterno[2].

Oltre che sul testo stesso e sulla ricorrenza in esso del termine srx mi preme concentrare
l'attenzione su due elementi contestuali, a mio avviso particolarmente significativi, anche per
un'attualizzazione del tema e una sua riproposta nell'attuale areopago culturale e religioso:
Il contesto di martura-testimonianza in cui si esprime la fede nella "risurrezione della carne",
qui attestata, per cui la carne destinata alla risurrezione anzitutto la carne dei martiri, che
hanno testimoniato col dono supremo della propria vita-carne la fede della comunit (basterebbe
ricordare il linguaggio forte e a tratti eccessivamente cruento di Ignazio d'Antiochia).
Il contesto di polemica antignostica che costituisce lo sfondo di queste affermazioni intorno al
carattere sarxico della salvezza cristiana. A questo proposito ricorder soltanto come, nel quadro
della sistematica gnostica emerga con distinta chiarezza una concezione ispirata al pi radicale
dualismo ontologico, cosmico ed antropologico, il che in rapporto alla soteriologia, viene
designato con la formula della "restituzione del corpo": "La deposizione del corpo non
rappresenta per la gnosi soltanto una liberazione dell'Anima, bens anche un giudizio sulle
potenze che hanno creato il corpo. una vittoria del regno della Luce che precede la distruzione
definitiva della Tenebra"[3].
Una seconda indicazione preliminare riguarda il fatto che la pi antica cristallizzazione in una
formula di fede dell'attestazione che conosciamo nel Papiro liturgico Dr Balyzeh, rinvenuto
nell'alto Egitto e riproducente una liturgia che si fa risalire alla met del sec. IV:

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Pistew ej Qen pat'ra pantokrtora


ka ej tn monogen ato u\n tn krion mn 'Ieson Cristn
ka ej t pnema t gion
ka ej sarkj nstasi[n
'n t] gv kaqolik 'kklhsv.[4].
Tre brevi considerazioni a questo proposito: La prima concerne la collocazione della formula
sarkj nstasij subito dopo quella concernente lo Spirito Santo, il che evidentemente comporta
un'attenzione alla dimensione pneumatologica della fede nella risurrezione della carne, infatti
lo Spirito che ha il potere di ridare vita alle ossa aride e alle carni putrefatte.
La seconda annotazione riguarda l'apertura all'ultima formula che concerne la gv kaqolik
'kklhsv. Siamo cos condotti a riflettere sulla dimensione ecclesiale della nostra fede
escatologica, per cui la carne non va intesa soltanto in senso individuale bens anche comunitario.
Infine va notato che il termine nstasij nel suo significato originario di "mettere in piedi, rizzare,
far alzare (qualcuno che disteso o dorme)". A un'attenta analisi del termine scelto in rapporto
ad 'gerw, si fa notare come la radice di quest'ultimo designi, specialmente nel passivo, l'evento
pasquale, cio la risurrezione del crocifisso, mentre i termini con la radice anhist- vengano
utilizzati, oltre che naturalmente nel contesto dell'evento fondatore, anche in riferimento alle
risurrezioni di morti compiute durante la vita di Ges e alla risurrezione escatologica di tutti i
morti. Un testo particolarmente significativo al riguardo 1Cor 15,13: e d nstasij nekrn ok
?stin, od Cristj 'ggertai["Ebbene se non c' risurrezione dei morti, neppure Cristo stato
risuscitato"].
Sarebbe interessante a questo punto introdurre ed articolare la tematica, che ci limitiamop ad
accennare, della nostra formula di fede in rapporto a 1Cor 15,50: Toto d' fhmi, delfo, ti srx
ka a?ma basilean qeo klhronomsai o dnatai, od fqor tn fqarsan klhronome?
["Ora questo dico, fratelli: la carne e il sangue non pu ereditare il regno di Dio n la corruttibilit
pu entrare nell'incorruttibilit"], dove l'espressione "carne" e "sangue" sta ad indicare "l'uomo
nella sua creaturale impotenza di fronte alla sfera del soprannaturale"[5].
Siamo cos rimandati al fondamento cristologico della fede nella "risurrezione della carne" e alle
sue implicazioni teologiche. Una riflessione teologico-fondamentale sulla corporeit non potr
ignorare da un lato l'evento fondatore e le sue tracce costitutive, in rapporto alla corporeit del
Risorto: - tomba vuota e sua storicit; - il corpo di Cristo nei racconti delle apparizioni[6],
dall'altro il realismo dell'incarnazione e la logica paradossale (Discorso a Diogneto[7]) del lgoj
srx, cos come richiamata e impostata da Ireneo, in direzione antignostica[8].

La valenza antropologica della fede nella risurrezione della carne

Il cuore della problematica che la fede nella "risurrezione della carne" solleva comunque di tipo
antropologico. Sebbene il sintagma sarkj nstasij non sia immediatamente rinvenibile nelle
Scritture, bisogna tuttavia a mio avviso interpretarlo alla luce del dato biblico sull'uomo, senza
dimenticare il configurarsi dell'antropologia cristiana e i suoi possibili sviluppi in rapporto al
pensiero contemporaneo. Propongo quindi una riflessione in tre momenti: il primo dei quali si
rivolger alla concezione antropologica che la Scrittura suggerisce, il secondo ai grandi maestri
del pensiero medievale, rilevando in particolare la tematica dell'unit dell'uomo nel pensiero di
Tommaso, il terzo alla fenomenologia contemporanea, di cui si esporranno i risultati in ordine
alla nozione di "corpo soggettivo".

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La dimensione carnale dell'uomo nelle Scritture

Tentiamo qui un approccio all'antropologia biblica attraverso l'analisi dei termini pi significativi
attraverso cui si designa l'essere umano, limitando la nostra attenzione al termine "carne".
Nel testo ebraico dell'Antico Testamento il termine basar ricorre ben duecentosessantasei volte
con svariati significati, raggruppabili come segue: - indica la parte muscolosa del corpo umano,
che l'uomo ha in comune con gli animali; - l'intero corpo umano per sineddoche; - tutto l'uomo
concreto; - l'insieme degli esseri viventi; la parentela del sangue e la comunione creata nel
matrimonio ecc. A noi mi sembra possano interessare soprattutto i tre seguenti significati:

- basar = il cadavere umano e il corpo morto degli animali, come nel testo del Genesi, dove Dio
proibisce a No di mangiare il cadavere (basar) degli animali con la loro vita, cio con il loro
sangue (Gen 9, 4);

- basar = l'uomo nella sua condizione terrena, fragile, debole, mortale, lontano da Dio ovvero
distinto da Lui, che, invece, forza e potenza (Cf. Gen. 6, 3; Ger.17,5; Sal. 56, 5; Is. 40, 6; Giob. 34,
14-15; Deut.5, 26 ecc.).

- basar = l'uomo in una certa opposizione a Dio (cf. Giob. 10, 4; Is. 31, 3; Ger. 17, 5).

Generalmente si tratta della relazione dell'uomo alla terra, che lo rende mortale, cio
radicalmente lontano dal Creatore (estraneit rispetto a Dio). Notiamo che si tratta di tutto
l'uomo rivolto alla terra, quindi che la prospettiva esclude ogni dualit. Questo significato getta
luce sul testo di Paolo sopra riportato 1Cor 15,50.
Sebbene gli autori biblici considerino l'uomo prevalentemente come un'unit, tuttavia colgono
tre aspetti fondamentali (dimensioni strutturali), che sono espressi con le parole ebraiche: basar,
nefesh e ruah, che i LXX e il Nuovo Testamento greco traducono con: srx, yuc, pnema e la
Vulgata con: caro, anima e spiritus. L'articolazione dei significati di srx nel NT in rapporto al
giudaismo ellenistico risulta estremamente variegata con oscillazioni non indifferenti per es. nei
testi di Paolo sopra richiamati e nel versetto del prologo giovanneo. Particolarmente significativo
il brano di 1Cor 15, 36-45, con la risposta di Paolo alla domanda con quale corpo risuscitano i
morti?:


15:39 Non ogni carne la medesima carne;
15:39 o psa srx at srx, ll llh mn
altra la carne di uomini e altra quella di
nqrpwn, llh d srx kthnn, llh d srx
animali; altra quella di uccelli e altra quella di pthnn, llh d cqwn.
pesci.
15:40 ka smata 'pournia, ka smata
15:40 Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma 'pgeia: ll \t'ra mn tn 'pouranwn
altro lo splendore dei corpi celesti, e altro
dxa, \t'ra d tn 'pigewn.
quello dei corpi terrestri.
15:41 llh dxa lou, ka llh dxa selnhj, ka
15:41 Altro lo splendore del sole, altro lo
llh dxa st'rwn: str gr st'roj diaf'rei 'n
splendore della luna e altro lo splendore delle dxV.
stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra
nello splendore.
15:42 Otwj ka nstasij tn nekrn. speretai
15:42 Cos anche la risurrezione dei morti: si 'n fqor, 'geretai 'n fqarsv:

22

semina corruttibile e risorge incorruttibile;


15:43 speretai 'n timv, 'geretai 'n
15:43 si semina ignobile e risorge glorioso, si dxV: speretai 'n sqenev, 'geretai 'n
semina debole e risorge pieno di forza;
dunmei:
15:44 si semina un corpo animale, risorge un 15:44 speretai sma yucikn, 'geretai sma
corpo spirituale. Se c' un corpo animale, vi pneumatikn. e ?stin sma yucikn, stin ka
anche un corpo spirituale, poich sta scritto che pneumatikn.
15:45 il primo uomo, Adamo, divenne un essere 15:45 otwj ka g'graptai, 'Eg'neto prtoj
vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito
nqrwpoj 'Adm ej yucn zsan: scatoj
datore di vita.
'Adm ej pnema zJopoion.


Lo slittamento semantico srx sma risulta coerente con quanto verr categoricamente
affermato al v. 50, dove tuttavia si lascia una apertura alla risurrezione corporea introdotta dalla
sintomatica espressione: do mustrion m?n l'gw = "ecco vi annunzio un mistero".
L'affermazione paolina "non ogni carne la medesima carne" ci far da guida nei passaggi
successivi, in particolare nel terzo momento, allorch introdurremo nella nostra riflessione la
nozione di "corpo soggettivo"[9].

L'elaborazione teoretica dell'antropologia cristiana in et medievale

Referente privilegiato del pensiero credente in et patristica certamente la filosofia platonica.
Baster qui richiamare la famosa formula agostiniana, con cui il dottore della grazia definiva
l'anima: come substantia rationis particeps regendo corpori accomodata[10]. Un'antropologia di
questo tipo venne seguita nel Medioevo finch non si venne a conoscenza del De anima di
Aristotele, che aveva percorso un'evoluzione dall'adesione al dualismo antropologico della teoria
ilemorfica. La caratteristica fondamentale dell'aristotelismo maturo (che per Tommaso
l'aristotelismo tout court) la rivelazione e la netta affermazione dell'unit del vivente concreto
animato.
Il filosofo di Stagira parte da un'analisi "fenomenologica" dell'esperienza, indagante il
comportamento concreto del vivente e la coimplicanza delle sue manifestazioni operative. Il
vivente uno: le sue attivit sono operazioni varie fenomenicamente, unificate, per, su uno
sfondo che resta unitario, quale fonte prima e radicale di esse. La concezione ilemorfica, estesa ed
applicata al vivente, la chiave ermeneutica dei dati fenomenici. Il primo libro del De
anima,impostato il problema dell'oggetto e del metodo ed individuato il primo in ogni vivente
animato e il secondo nell'indagine del suo comportamento si conclude con la netta affermazione
dell'unit dell'anima[11]. Poco pi avanti entriamo nel punto centrale dell'opera aristotelica,
dove viene data la definizione di "anima" come l'entelecha prima di un corpo naturale che ha la
vita in potenza[12]. Conclusione logica di questo discorso: la non separabilit dell'anima dal
corpo e il dubbio di fronte alla analogia del nocchiero[13].
Il procedimento di Aristotele ha seguito una linea di coerenza notevole, allorch si trattato di
applicare l'ilemorfismo agli esseri viventi inferiori, ma quando passato a considerare l'uomo,
sono sorte notevoli difficolt, derivate dalla presenza dell'intelletto, non riducibile alle forme di
vita presenti negli altri viventi. Il riconoscimento di questa presenza sembr in qualche maniera
arrestare e bloccare il processo di unificazione del vivente umano, cos lo Stagirita venne a
trovarsi in un groviglio di aporie, che sembra non sia riuscito a superare. Il processo di
unificazione rimase, inconcluso, tuttavia troviamo qui le premesse perch l'anima venga definita

23

"unica forma sostanziale del composto umano". La conclusione che la teoria aristotelica sembra
suggerire apparve, per, incompatibile con l'immortalit dell'anima, che una prospettiva
dualistica riesce meglio a fondare. Nonostante questa incompatibilit il Medioevo credente non
oppose un netto rifiuto all'antropologia aristotelica, probabilmente anche perch lasciava spazio
ad interpretazioni differenziate.
Del resto, storicamente, prima di conoscere la traduzione del De anima di Aristotele, l'Occidente
medievale[14] conobbe quella del De anima di Avicenna, che si presentava come una parafrasi
della trattazione dello Stagirita e ne avvicinava l'antropologia a quella di Agostino, non gi perch
Avicenna conoscesse Agostino, piuttosto perch attingeva anch'egli elementi neo-platonici.
Analogamente Bonaventura[15] (ed altri con lui), pur adottando la terminologia aristotelica,
rimase tuttavia fermo alla posizione agostiniana, affermando che l'anima non una forma come
le altre, cio che non semplicemente atto di una materia, ma un essere in s, una sostanza con
una propria indipendente attivit, composta a sua volta anche essa di materia e forma.
Il Medioevo conosceva anche un altro commento al De anima di Aristotele, dovuto alla penna di
un altro filosofo arabo: Averro, che intendeva presentare l'antropologia aristotelica con
maggiore fedelt di Avicenna. Nel farlo, per, la interpretava, sviluppando le parti oscure circa
l'intelletto separato, per cercare di conciliare l'unit dell'uomo col fatto che certe forme di
conoscenza si presentano come trascendenti il mondo corporeo. Il filosofo arabo credette di
risolvere il problema, pur avvertendone tutta la difficolt, ammettendo che solo l'attivit
intellettiva dell'indivduo umano partecipasse alla vita dello spirito. Concep l'intelletto come
rigorosamente spirituale, ma pens che fosse separato ed unico per tutta l'umanit. La
conoscenza intellettiva sarebbe una partecipazione dell'individuo umano all'attivit dell'unico
intelletto possibile, mentre l'anima sensitiva rimaneva, essendo il principio delle funzioni vitali,
forma del corpo. Le conseguenze a livello escatologco della concezione aristotelico-avverroista
saranno tratte da Pietro Pomponazzi (1464-1525), che insegner a Padova che lo spirito, per la
sua capacit di comprendere l'universale, non una natura singola individuale, pertanto come
tale non pu perdurare oltre la morte. Ecco un dato per ermeneutizzare correttamente le
affermazioni del Concilio Lateranense V, che, condanner Pomponazzi, affermando la immortalit
dell'anima[16]. Il problema dell'unit dell'anima: il motivo ispiratore di tutto il commento di
Tommaso al De anima di Aristotele, nel quale non esita a dissentire dal filosofo prediletto
nell'intento di prevenire qualsiasi attentato all'unit dell'anima umana[17]. Le parti dell'anima
vengono qui intese e concepite quali potenze (facolt) radicate in una unit fondante e fontale e
per giustificare la sua tesi l'Aquinate fa appello e mette in particolare evidenza i testi
favorevoliall'unit.
Con la lezione settima del commento al libro terzo entra nella spinosa questione dell'intelletto
aristotelico, che Averro aveva separato e superindividualizzato, ed afferma che una simile
concezione non risulta dai testi di Aristotele, che suggeriscono la lapidaria espressione dell'hic
homo intelligit, fulcro dell'argomentazione tomista nella polemica anti-averroista. Nel secondo
libro della Summa contra Gentiles, tra l'altro, Tommaso osserva che l'averroismo preoccupato di
salvare la spiritualit dell'uomo e, in particolare, della conoscenza intellettiva, ma, staccando
l'intelletto dall'individuo concreto (che poi l'unico uomo reale) finisce col farne un animale
uguale a tutti gli altri: pone fra l'uomo individuo e il bruto una differenza solo di grado. Tommaso,
diversamente da Averro, prosegue l'itinerario di unificazione intrapreso da Aristotele e cerca di
superarne le aporie. Egli aveva a sua disposizione una maturazione plurisecolare di indagini
sull'anima umana, ma soprattutto disponeva storicamente e psicologicamente della tradizione
cristiana, che gli offriva tutta la potenzialit dei suoi dati sulla creazione, la spiritualit e

24

l'immortalit dell'anima umana. Nel portare a compimento l'itinerario aristotelico Tommaso


approda a formulazioni rivoluzionarie, se comparate letteralmente con quelle dello
Stagirita. L'anima umana caratterizzata dall'attivit intellettuale: ci che Aristotele vide e
riconobbe, ma poi esit nel precisare i rapporti fra l'intelletto e la forma del corpo. La rivoluzione
tomista fa capo alla scoperta chiara e consapevole che l'uomo radicalmente uno. E questo viene
espresso nella formulazione dell'anima intellettiva come forma del corpo. Se l'anima intellettiva
cos pensata cadono tutti quegli pseudoproblemi del come essa possa unirsi al corpo (si pensi alle
trovate del razionalismo cartesiano), poich per sua natura atto del corpo. Il vero problema
piuttosto sar del come l'anima possa separarsi dal corpo nell'escatologia intermedia, che da
Tommaso considerata come stato delle anime separate. E per rispondere a questo problema
l'Aqunate, prima di definire l'anima forma del corpo, le riconosce le caratteristiche di sussistenza
e di incorruttibilit, e questo gli consente di considerare la sopravvivenza dopo la morte come
momento di esilio dell'anima dal suo corpo, in tensione verso il ricongiungimento.
Tommaso, a differenza di Bonaventura e di altri teologi della scuola francescana, prende sul serio
la terminologia aristotelica e non ne assume solo il rivestimento esterno, per riproporre
sostanzialmente un'antropologia dualistica. Quindi, a differenza di Bonaventura, egli nega che
l'anima sia composta di materia e forma. Inoltre, in polemica con il filosofo giudaico Avicebron,
che nella sua opera Fons vitae aveva ipotizzato l'esistenza di una materia prima, chiamandola
materia universale ed appropriandola sia alle sostanze spirituali che a quelle materiali, ricevendo
in queste solo in parte la forma della corporeit, Tommaso oppone tutto il realismo della filosofia
aristotelica, che, portata alle estreme conseguenze, lo induce all'affermazione ancora pi
rivoluzionaria secondo cui la forma sostanziale dell'uomo una ed unica. Nella Summa
theologiae Tommaso addurr le ragioni che lo inducono all'affermazione dell'unicit della forma
sostanziale nell'uomo. Questa tesi, infatti, esprime per l'Aquinate l'unico modo d'intendere e di
salvare l'unit dell'essere umano, che si fonda appunto sull'unit ontologica data dalla forma. La
molteplicit delle forme, invece, moltiplica l'essere e scinde le strutture del vivente. Concludendo
e schematizzando, possiamo dire che, mentre per gli agostiniani e la scuola francescana, l'anima
substantia sui generis; per Tommaso d'Aquino, preoccupato piuttosto di salvare l'unit
dell'uomo, l'anima forma sui generis, dove il sui generis dice per entrambi i sistemi la difficolt di
imprigionare in una formula il mistero dell'uomo cos come si rivela e si nasconde nell'evento
della morte e il travaglio che comporta la fedelt alla dottrina rivelata. Il primo, adottando un
certo dualismo antropologico, lo purifica, ammettendo che l'anima destinata all'unione con il
corpo. L'Aquinate, invece, servendosi della filosofia aristotelica, deve tuttavia mitigare questa
prospettiva, perch il suo pensiero non sia in contrasto con il dogma dell'escatologia
intermedia. L'unit dell'uomo - secondo Tommaso - non assolutamente in contrasto con la fede
cristiana, anzi risulta esigita dal dogma della resurrezione, che segna per l'uomo il ricostituirsi in
unit, ovvero la realizzazione in pienezza nei suoi due aspetti: quello spirituale e quello corporeo.
Se l'escatologia successiva stata sviluppata soprattutto sottintendendo uno schema dualistico,
dovrebbe essere a questo punto chiaro che ci avvenuto in maniera autonoma (anzi opposta)
rispetto al pensiero tomista pi autentico.

La nozione di "corpo soggettivo nella fenomenologia contemporanea

Una elucidazione della nozione moderna e contemporanea di "corpo soggettivo" mi sembra possa
offrirci una possibile chiave interpretativa e teoretica della fede nella risurrezione della carne.
L'originalit della proposta cristiana rispetto alle acquisizioni della filosofia greca stata messa
in luce dal filosofo-fenomenologo di Montpellier Michel Henry[18] nella sua analisi della

25

corporeit in rapporto alla soggettivit, nel suo saggio di ontologia biraniana[19]. Alla nozione di
"anima" lo stesso autore ha dedicato, oltre che un paragrafo dello stesso scritto, un lavoro
autonomo, che riproduce il testo di due lezioni tenute a Bruxelles nel novembre del 1965 e
pubblicate sulla Revue philosophique de Louvain l'anno seguente[20]. L'intenzione di questa
riflessione presto dichiarata: si tratta di riflettere sul vecchio concetto metafisico di "anima" per
rispondere alla domanda relativa al suo senso per noi che filosofiamo oggi, dove per "avere un
senso" si intende "riferirsi ad una realt" che a tale nozione corrisponde[21]. La domanda del
tutto legittima in quanto tra la metafisica tradizionale, la quale insegna che abbiamo un'anima
distinta dal corpo, spirituale, semplice, identica a se stessa attraverso il tempo, non caduca ecc.,
tra questa metafisica che Henry definisce "rassicurante" e noi che filosofiamo oggi si situa la
critica kantiana, considerata a sua volta radicale e definitiva[22].
Anche se pu sembrare un'impresa presuntuosa e sproporzionata, se si vuole ancora oggi
continuare a parlare di "anima", bisogna effettuare una rigorosa critica della critica kantiana del
paralogismo della psicologia razionale, una operazione che il Nostro denomina di "distruzione
ontologica", nel senso di "mettere a nudo le strutture dell'essere" implicate nel paralogismo
stesso e nella critica kantiana. Henry, dopo una dettagliata esposizione del pensiero di Kant
riguardo all'anima, propone il proprio argomento "distruttivo": "L'argomento di questa critica
sar il seguente: la struttura dell'essere, come lo comprende Kant, incompatibile con la
struttura dell'essere del nostro io. Questa struttura dell'essere dell'io possiamo chiamarla
l'essenza dell'ipseit. Se il nostro ragionamento vero, allora dovr essere possibile dimostrare
due cose: da una parte che l'esperienza interna descritta da Kant, di fatto incapace di
consegnarci il nostro io; d'altra parte che ogni volta che Kant parla dell'io, o di un io in generale,
non fa che presupporlo, meramente e semplicemente, come non fa che presupporre l'essenza
dell'ipseit, di cui non rende mai conto, e che non eleva mai allo stato di problema"[23]. L'analisi
serrata della critica kantiana mostra l'indigenza della rappresentazione dell'io penso in ordine al
problema dell'anima, in quanto, trattandosi appunto di una rappresentazione, resta situata nella
sfera dell'esteriorit, ma - aggiunge Henry - "l'essere dell'io non pu sorgere, n mostrarsi, nel
cuore dell'esteriorit"[24]. Per poter cogliere l'essenza dell'ipseit si dovr far ricorso alla
dimensione dell'interiorit radicale, nella quale solo possibile la manifestazione dell'essenza.
Nonostante il divieto husserliano rivolto verso l'interiorit e nonostante i pregiudizi filosofici
presenti nell'areopago contemporaneo, Henry non si stanca di rimandare a questa dimensione
fondamentale, che costituisce peraltro l'originalit e lo specifico della sua filosofia. Cos alla
critica della critica kantiana, il Nostro affianca la discussione con le tesi fondamentali della
fenomenologia del corpo di Merleau-Ponty.
Sebbene risulti paradossale legittimare la nozione di interiorit radicale e, attraverso questa, la
nozione di anima, far appello al corpo, Henry intraprende senza esitazione la via del "corpo
soggettivo" e ad essa rigorosamente si attiene: "Questo paradosso si attenua allorch si fa strada
l'idea di un corpo soggettivo. Allorch il corpo interpretato, in effetti, non pi nel modo ingenuo
ed unilaterale di un oggetto, ma anche come un soggetto, e pu essere come il soggetto autentico,
come la fonte della nostra conoscenza sensibile, e allorch questa conoscenza sensibile, a sua
volta, al posto di essere trattata come un modo inferiore della conoscenza, compresa come la
sola e il fondamento di ogni conoscenza possibile, allora l'analisi del corpo cos compreso nella
sua soggettivit originaria sembra poterci condurre a quell'interiorit che noi cerchiamo"[25].
La strada rimane tuttavia preclusa, qualora con Merleau-Ponty, la soggettivit venga intesa nei
termini dell'essere-nel-mondo e quindi della trascendenza. Le arcinote descrizioni dell'esistenza

26

corporea contenute nella Fenomenologia della percezione[26] in termini di trascendenza


risultano agli occhi di M. Henry per un verso evidenti e sostanzialmente fedeli a ci che
descrivono, mentre lasciano in ombra il problema essenziale del come questo corpo, che ci apre
al mondo ( il "veicolo della nostra presenza al mondo") e che costituisce la base del nostro
sapere del mondo, conosce se stesso? Come presente a se stesso? A queste domande
fondamentali non si pu rispondere se si nega l'interiorit, come avviene nella filosofia moderna
globalmente considerata. Di qui l'interesse di Henry verso il pensiero di Maine de Biran, il quale
(in polemica con il sensismo di Condillac), pur senza misconoscere affatto la dimensione
trascendente dell'esperienza corporea come capacit del corpo di porci in rapporto al mondo e
agli altri, ha posto il problema previo a quello di questo rapporto, ossia il problema della
conoscenza del corpo stesso. Se si parte dalla considerazione della conoscenza originaria che noi
abbiamo della mano che tocca qualcosa e ci soffermiamo sulla stessa capacit del toccare,
dobbiamo concludere che una tale conoscenza non consiste in un'estasi, in quanto non si svolge
di fronte all'essere, compreso, esterno. Dunque una conoscenza originaria di questo genere non
n pu essere in alcun modo intenzionale, per il fatto che ogni intenzionalit fondata sulla
trascendenza, sviluppando un orizzonte come luogo dell'alterit. Se il potere di toccare con mano
ci venisse consegnato tramite la mediazione dell'intenzionalit, allora esso sarebbe un potere
esterno a noi, ma se vero che ad ogni vero potere dato un primo potere, assoluto ed
immanente, allora il potere di toccare in quanto ha di esteriore si fonda sul potere autentico ed
interiore che il mio corpo: "Esiste [...] una forza assoluta, una causalit efficiente (questa
autentica causalit di cui la metafisica tradizionale ha negato la nozione o l'ha riservata a Dio
solo), esiste un potere autentico un "io posso" nell'effettivit del suo esercizio? S: il mio corpo.
Poich il mio corpo questo potere assoluto, irrefutabile, per il quale dilato o contraggo i miei
polmoni, per il quale chiudo o apro le mie dita, per il quale io mi alzo e cammino. Il mio corpo il
movimento che si prova camminando, cio che si attesta lui stesso interiormente, la mia azione
tale quale la vivo in una esperienza immediata che sfida ogni commento e a maggior ragione ogni
contestazione, l'essenza su cui scivolano le chiacchiere, la libert che deride i paralogismi, le
rappresentazioni, la conoscenza e le sue tesi, che si fa beffe della scienza"[27]. Traendo le
estreme conseguenze da questa esclusione radicale della trascendenza della soggettivit e della
corporeit, Henry giunge a concludere che la relazione soggettiva dell'io al proprio corpo non
nient'altro che la relazione fondamentale del corpo a se stesso, l'autoaffezione (per riprendere la
tematica dell'affettivit) del movimento e del senso per se stessi e questa autoaffezione
immanente ed interiore l'ipseit. La coerenza interna primaria di questo "abitacolo che noi
siamo, in cui siamo e in cui siamo dei viventi" riceve a questo punto il nome di "anima". In
chiusura del suo saggio e prima di indicare il senso della nozione di anima nella struttura
"monadica" dell'essere come "interiorit", Henry riporta un passaggio di un autore, cui spesso
ricorre anche nella sua opera principali: Kafka, che nel romanzo America narra di Karl, in quale
nella sua ricerca di un lavoro, viene colpito da un cartello con la scritta : "Qui c' un posto per
ciascuno". L'espressione esprime agli occhi di Henry la condizione metafisica dell'essere.
"L'ontologia contemporanea rende conto facilmente in apparenza dei primi termini di questa
proposizione: "qui" "c'" "un posto". Ma che significa il sorgere alla fine della frase di quel
"ciascuno"? L'ipseit un'aggiunta contingente all'avvenimento instancabile, anonimo,
impersonale dell'essere nell'esteriorit, una limitazione accidentale, una particolarizzazione
infondata della sua universalit? O non designa piuttosto la condizione dell'essere, la sua stretta
originaria in una luce che non pi quella del mondo, la donazione prima che giustamente la
stessa ipseit?"[28]. In tale prospettiva l'anima non sar dunque altra cosa che l'ego, ma l'ego ha
un essere che appunto l'anima, ma non l'anima intesa in termini di trascendenza, che in questo

27

senso non che un'ombra, una larva vagante nell'Ade della metafisica classica. La realt del
"corpo soggettivo" consente all'anima di uscire da questa esistenza vaga ed umbratile per
comprendersi come autenticamente reale.
La dottrina cristiana del corpo, non considerato soltanto come un modo determinato e
contingente della nostra esperienza storica, ma come una realt ontologica costitutiva della
natura umana, comporta una serie di affermazioni sorprendenti, che secondo Henry hanno un
senso solo se comprese alla luce della nozione di "corpo soggettivo": "Solo se il nostro corpo , nel
suo essere originario, qualcosa di soggettivo, le brevi allusioni della dogmatica a proposito del
suo destino metafisico possono essere altra cosa che delle concezioni stravaganti. Stravaganti, in
effetti, dovevano necessariamente sembrare, agli occhi dei Greci, delle affermazioni come quella
che sostiene la resurrezione del corpo. Ecco perch i Corinzi sghignazzavano allorch Paolo
pretendeva di non riservare all'anima il privilegio di questa resurrezione. chiaro al contrario
che se l'essere originario del nostro corpo qualcosa di soggettivo, esso cade, allo stesso titolo
della nozione di "anima", sotto la categoria di ci che suscettibile di essere ripreso e di essere
giudicato. manifestamente al contenuto della teologia cristiana che Rimbaud ha improntato
l'affermazione: les corps seront jugs"[29], citazione che riecheggia il testo dell'omelia
protocristiana citato all'inizio.
Mi preme ancora ricordare come la distinzione fra "corpo oggettivo" e "corpo soggettivo" svolga
un ruolo importante nella elaborazione di una antropologia ispirata all'ontologia trinitaria
nell'opera pi ponderosa di Edith Stein. La ripresa dell'antropologia trinitaria di stampo
patristico, che considera l'essere umano finito come immagine dell'Essere eterno trinitario, se da
un lato si inquadra nella tradizione origeniana e agostiniana, nonch bonaventuriana pi
autentica, d'altra parte include dei riferimenti fecondi alla tematica ad esempio del corpo
soggettivo, che la Stein chiama "corpo vitale", distinguendo fra Krper e Leib ed introducendo cos
una categoria tipica dell'ontologia fenomenologica, di cui certamente debitrice, ma che, per
tanti versi, richiama il senso cristiano della corporeit e la sua valenza personale e spirituale. Il
quadro gnoseologico qui dato dalla concezione della verit, anch'essa trinitariamente
strutturata, secondo le dimensioni logica, ontologica e trascendentale. La dottrina dell'anima
rimanda alla mistica del castello interiore e ad essa di fatto si ispira, in maniera fin troppo
esplicita: L'anima lo "spazio" al centro di quella totalit composta dal corpo, dalla psiche e
dallo spirito; in quanto anima sensibile (Sinnenseele) abita nel corpo, in tutte le sue menti e parti,
fecondata da esso, agisce dando ad esso forma e conservandolo; in quanto anima spirituale
(Geistseele) si eleva al di sopra di s, guarda al mondo posto al di fuori del proprio io - un mondo
di cose, persone, avvenimenti -, entra in contatto intelligentemente con questo, ed da esso
fecondata; in quanto anima, nel senso pi proprio, per, abita in s, in essa l'io persona di casa.
Qui si raccoglie tutto ci che entra provenendo dal mondo sensibile e da quello spirituale, e qui
ha luogo la disputa interna muovendo dalla quale si prende posizione, ricavandone ci che
diventer pi propriamente personale, la componente essenziale del proprio io, ci che (parlando
metaforicamente) si trasforma in carne e sangue. L'anima in quanto "castello interiore", come
l'ha chiamata la nostra santa madre Teresa, non puntiforme, come l'io puro, ma uno spazio, un
castello con molte abitazioni, dove l'io si pu muovere liberamente, andando ora verso l'esterno,
ora ritirandosi sempre pi verso l'interno[30]. In tempi nei quali la figura dell'angelo ritorna e
richiama l'interesse dei filosofi, mentre viene quasi del tutto dimenticata dai teologi, leggere la
pagine dell'opera della Stein, in cui si delinea una vera e propria angelologia filosofico-teologica,
pu addirittura risultare di sconcertante attualit.

Conclusioni

28


Uno sviluppo speculativo importante dell'affermazione paolina secondo cui o psa srx at
srx pensiamo possa avvenire proprio a partire dalla nozione di "corpo soggettivo" sopra
esposta, senza tuttavia dimenticare le fondamentali acquisizioni del pensiero tomistico, che
restano punto imprescindibile per il pensiero cristiano.
Il contesto o areopago culturale contemporaneo presenta infatti delle interessanti analogie col
periodo della prima evangelizzazione, oggi come allora la tentazione gnostica sembra incombere
sulla fede e connotare le variegate forme del cosiddetto ritorno del sacro. Oggi come allora il
richiamo alla martura-testimonianza ci sembra particolarmente prezioso e decisamente
significativo in un contesto in cui si espone sempre pi all'incomprensione e all'isolamento chi,
con energia ed evangelica parresia non demorde dal compito di "custodire la carne come un
tempio di Dio".

29

[1] F, 1, 194 - PG 1, 341.

[2] Seconda lettera di san Clemente ai Corinti, in I Padri apostolici, trad., intr. e note di G. Corti,
Citt Nuova, Roma 19713, 230.
[3] R. Kurt, La Gnosi. Natura e storia di una religione tardoantica, Paideia, Brescia 2000, 249.

[4] DS 2.
[5] La prima lettera ai Corinzi, introd., versione e commento di G. Barbaglio, Dehoniane, Bologna

1995, 855.
[6] Cf tra l'altro H. Kessler, La risurrezione di Ges Cristo. Uno studio biblico, teologico-
fondamentale e sistematico, Queriniana, Brescia 1999.
[7] "I cristiani non si distinguono dagli altri uomini n per territorio, n per lingua, n per
costumi. Non abitano citt proprie, n usano un gergo particolare, n conducono uno speciale
genere di vita. La loro dottrina non la scoperta del pensiero e della ricerca di qualche genio
umano, n aderiscono a correnti filosofiche, come fanno gli altri. Ma, pur vivendo in citt greche o
barbare - come a ciascuno toccato - e uniformandosi alle abitudini del luogo nel vestito, nel vitto
e in tutto il resto, danno l'esempio di una vita sociale mirabile, o meglio - come dicono tutti -
paradossale" [Discorso a Diogneto, in I Padri apostolici, cit., 364-365].
[8] Sar proprio facendo leva sul realismo dell'incarnazione ["Il Figlio di Dio divenne veramente
uomo per salvare l'uomo" (Adversus haereses III, 18,7)] e adottando una prospettiva storico-
salvifica (okonoma) che il grande Ireneo di Lione soprattutto nell'AH risponder alla
tentazione gnosticistica e alle sue diverse espressioni, fornendoci allo stesso tempo una fonte
preziosa per la conoscenza di questo fenomeno e di queste dottrine.
[9] Sul tema dell'antropologia biblica cf tra l'altro L. Scheffczyk, L'uomo moderno di fronte alla
concezione antropologica della Bibbia, LDC, Leumann 1970, W. Mork, Linee di
antropologia biblica, Esperienze, Fossano 1971 e G. De Gennaro,L'antropologia biblica,
Dehoniane, Napoli 1981.
[10] Aurelius Augustinus, De quantitate animae XIII, in PL XXXII, 1048.

[11] Cf Aristotele, Opere, Laterza, Bari 1973, IV, 125.


[12] Ib., 128.
[13] Cf ib., 130.
[14] Su questo tema cf tra l'altro Aa. Vv., L'anima dell'uomo. Trattati sull'anima dal V al IX secolo,

Jaca book, Milano 1979.


[15] Resta fondamentale il volume di E. Gilson, La filosofia di San Bonaventura, Jaca book, Milano
1995.
[16] Cf<DS 1440-1445.

[17] Per tutta questa problematica in prospettiva tomista cf S. Vanni Rovighi, L'antropologia

filosofica di S. Tommaso d'Aquino, Vita e pensiero, Milano 1972.


[18] Data la scarsa frequentazione di questa filosofia, ne diamo una bibliografia di riferimento
quasi completa, in modo da offrire materiali per l'ulteriore approfondimento di queste pagine:
Opere filosofiche di M. Henry: L'essence de la manifestation, PUF, Paris 1963, 2vv.; Philosophie et
phnomnologie du corps. Essai sur l'ontologie biranienne, PUF, Paris 1965; Marx. I: Une

30

philosophie de la ralit. II: Une philosophie de l'conomie, Gallimard, Paris 1976; Gnalogie de
la psychanalyse. Le commencement perdu, PUF, Paris 1985; La barbarie, Grasset, Paris 1987; Voir
l'invisible. Sur Kandinsky, Bourin, Paris 1988; Phnomnologie matrielle, PUF, Paris 1990; C'est
moi la vrit. Pour une philosophie du christianisme, Paris 1996. Articoli e saggi di carattere
filosofico: "Le bonheur chez Spinoza", in Revue d'Histoire de la Philosophie 39-40 (1944) 187-225;
41 (1946) 67-100; "Le concept d'me a-t-il un sens?", in Revue philosophique de Louvain 64
(1966) 5-33; "Introduction la pense de Marx", in Revue philosophique de Louvain 67 (1969)
241-266; "Forces productives et subjectivit, le socialisme selon Marx", in Diogne 88 (1974) 95-
118; "Le concept d'tre comme production", in Revue philosophique de Louvain 73 (1975) 79-107;
"Phnomnologie de la conscience, Phnomnologie de la vie", in Aa. Vv., Sens et Existence. En
hommage Paul Ricoeur, du Seuil, Paris 1975, 138-151; "La mtamorphose de Daphn", in Les
tudes philosophiques 32 (1977) 319-332; "Qu'est que cela que nous appellons la vie?",
inPhilosophiques mai (1978) 133-150; "La rationalit selon Marx", in Aa. Vv., Rationality today,
Univ. Press, Ottawa 1979, 116-135; "Thodice dans la perspective d'une phnomnologie
radicale", in Archivio di filosofia 56 (1988) 383-393; "Acheminement vers la question de Dieu:
preuve de l'tre ou prouve de la vie", in Archivio di filosofia 58 (1990) 521-531; "La parole de
Dieu: un approche phnomnologique", in Archivio di filosofia 60 (1992) 157-163; "Qu'est-ce
qu'une Rvlation?", in Archivio di filosofia 62 (1994) 51-57. Romanzi: Le jeune officier, Paris
1954; L'amour le yeux ferms, Paris 1976; Le Fils du Roi, Paris 1981 (tutti editi da Gallimard).
Studi su Michel Henry: J. Colette, "L'essence de la manifestation", in Revue des sciences
philosophiques et thologiques 51 (1967) 39-52; P. D. Dognin, "Le Marx de Michel Henry",
in Revue thomiste 4 (1977) 610-624; A. Dominguez, Une phnomnologie de l'intriorit. La
philosophie de Michel Henry. Tesi dottorale difesa nel 1968 presso l'Universit Cattolica di
Lovanio (non pubblicata); Id., "Michel Henry, un filosofo de la immanencia", in Pensamiento 34
(1978) 145-176; G. Dufour-Kowalska, "Michel Henry lecteur de Matre Eckhart", in Archives de
philosophie 36 (1973) 603-624; Id., "Marx ou l'anti-marxisme", in Contrepoint 22-23 (1976) 247-
249; Id., Michel Henry au miroir de Marx", in Critique 360 (1977) 489-504; Id., "Un concept de la
dialectique", in Revue de thologie et de philosophie 4 (1977) 296-306; Id., "Le Marx de Michel
Henry et la question de l'idologie", in Archives de philosophie 41 (1978) 641-657; Id., Michel
Henry, un philosophe de la vie et de la praxis, Vrin, Paris 1980; J. Lacroix, "Un philosophe du
sentiment: Michel Henry", in Id., Panorama de la philosophie franaise contemporaine, PUF, Paris
1966, 164-170; G. Lorizio, "La parousia dell'Assoluto nel pensiero di Michel Henry", in
Id.(ed.), Morte e sopravvivenza, AVE, Roma 1995, 73-106; J. L. Petit, Autour du Marx de Michel
Henry, I: Marx et l'ontologie de la praxis", in Revue de Mtaphysique et de Morale 82 (1977) 365-
385; J. Racette, "La philosophie du corps de Michel Henry, in Dialogue 7 (1968-9) 391-409; J.
Textier, Autour du Marx de Michel Henry, II: Marx est-il marxiste?, in Revue de Mtaphysique
et de Morale 82 (1977) 386-409; X. Tilliette, "La rvlation de l'essence. Notes sur la philosophie
de Michel Henry", in Aa. Vv., Manifestation et Rvlation, Beauchesne, Paris 1976, 207-236; Id.,
"Michel Henry: L'amour les yeux ferms", in Revue des Deux-Mondes, vol. I (1977) 505-508; Id.,
"Corpo oggettivo, corpo soggettivo", in Aa. Vv., Il corpo, perch? Saggi sulla struttura corporea
della persona, Morcelliana, Brescia 1979, 53-65; Id., "Une nouvelle monadologie: la philosophie de
Michel Henry", in Gregorianum 61 (1980) 633-651; Id., "Michel Henry: la philosophie de la vie",
in Philosophie 15 (1987) 3-20; G. van Riet, "Une nouvelle ontologie phnomnologique. La
philosophie de Michel Henry", in Revue philosophique de Louvain 64 (1966) 436-457.
[19] Cf M. Henry, "La thorie de l'ego et le problme de l'me", in Id., Philosophie et
phnomnologie du corps, cit., 50-70.
[20] Id., "Le concept d'me a-t-il un sens?", cit.

31

[21] Cf ib., 5.
[22] La tesi kantiana nota e viene da Henry cos riassunta: "Ce qui est constamment affirm

travers les mandres de laDialectique transcendentale, c'est, d'une part, que l'tre de l'ego ne peut
tre pos partir de la pense pure ni par elle, et, d'autre part, qu'il ne peut pas davantage tre
saisi tel qu'il est en soi. Et c'est parce que l'me dont parle la mtaphysique traditionelle dsigne
en fin de compte cet tre rel et vritable du moi, que Kant carte son concept" (ib,, 6).
[23] Ib., 11.

[24] Ib., 18.


[25] Ib., 21.
[26] Cf M. Merlau-Ponty, Fenomenologia della percezione (a cura di A. Bonomi), il Saggiatore,
Milano 19803. I testi di questo autore sulla tematica del corpo sono raccolti in M. Merleau-
Ponty, Il corpo vissuto (a cura di F. Fergnani), il Saggiatore, Milano 1979.
[27] M. Henry, art.cit., 27.

[28] Ib.,, 32-33


[29] M. Henry, Philosophie et phnomnologie du corps, cit.,289.
[30] E. Stein, Essere finito e Essere eterno, Citt Nuova, Roma 1988, 394-395.

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LUKE GORMALLY

LA DIGNIT UMANA:
IL PUNTO DI VISTA CRISTIANO E QUELLO LAICISTA 1

INTRODUZIONE

Il contrasto da discutere in questo saggio tra la classica concezione cristiana della dignit umana
e quella tipicamente laicista pu essere brevemente enunciata come segue. Entrambe asseriscono
che agli esseri umani pertiene un indiscutibile valore. Nella concezione cristiana classica tale
valore, o dignit, pu essere definito nei modi seguenti: (1) il valore, o la dignit, che gli esseri
umani possiedono in virt della loro natura creata, una dignit che insita in questa natura, e che
come tale appartiene a tutti gli esseri umani; (2) la dignit che appartiene a quegli esseri umani
che vivono completamente in accordo con il fine o l'intento che Dio riserva agli esseri umani;
infine (3) la dignit che appartiene alla perfezione della vita umana in paradiso. Queste
potrebbero essere chiamate (1) dignit ontologica o innata, (2) dignit esistenziale o acquisita, e
(3) dignit definitiva. La concezione contemporanea tipicamente laicista della dignit umana
nega che ci sia una dignit innata che attiene agli esseri umani in quanto tali, nega che soltanto
alcune disposizioni o scelte (quelle che rispettano la verit circa il bene umano) siano coerenti
con il raggiungimento della dignit esistenziale, ma afferma che la dignit esistenziale collegata
all'esercizio della capacit di determinare sia ci che da considerare di valore, sia il modo di
vivere la propria vita.
Questo saggio delinea lo sviluppo della classica concezione cristiana della dignit umana, analizza
con particolare attenzione ci che San Tommaso d'Aquino ha da dire sul concetto di dignit,
individua quali elementi cruciali nella concezione di Tommaso sulla vita umana (la sua
antropologia) sono andati successivamente perduti nella tradizione intellettuale europea, e
suggerisce come proprio tali perdite concorrano a spiegare l'emergere della concezione moderna
della dignit umana. La concezione moderna, in alcune delle sue versioni contemporanee
estreme, presume che non esista una cosa come la verit concernente gli elementi importanti del
bene umano. Il saggio si chiude con una brevissima analisi della recente risposta del Santo Padre
alle contemporanee concezioni laiciste della dignit umana.
Nel proporre una genealogia della comparsa della moderna concezione laicista della dignit
umana, sono consapevole sia di quanto approssimata e sommaria la trattazione offerta, sia delle
lacune che necessiterebbero d'essere colmate in un resoconto pi dettagliato. L'omissione
maggiore un'analisi particolareggiata del carattere mutevole della dottrina della volont tra
d'Aquino e Kant. La mia relazione si concentra sulla costituzione fondamentale degli esseri
umani, ed in particolare sul contrasto tra, da una parte, una concezione unitaria e teleologica
degli esseri umani e, dall'altra, un'antropologia dualistica in cui il corpo considerato
meccanicisticamente; tale contrasto sicuramente fondamentale per comprendere il fallimento
tipicamente laicista nel riconoscere l'innata dignit degli esseri umani. Limiti di tempo e di spazio
hanno imposto il carattere selettivo di quanto segue.


IL RETROTERRA PAGANO CLASSICO[2]

Nel mondo classico non c'era una base religiosa o filosofica per l'idea di uguaglianza nella dignit
di tutti gli esseri umani.[3] Nel pensiero non-cristiano dell'antichit si possono identificare due

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posizioni relative al valore della vita individuale dell'uomo. Quella predominante "semplicemente
asserisce o argomenta che per qualsiasi motivo (p.es. mancanza di nous) gli uomini nascono con
un valore disuguale in qualche fondamentale senso di "valore."[4] L'altra posizione, minoritaria,
(presente in Epitteto e Plotino) che gli esseri imani sono nati con la capacit di raggiungere pari
valore per mezzo dell'acquisizione della virt e dunque godere della parit di spettanze (o
'diritti'), ma "che tali diritti sono alienabili, a volte in toto, e che, dunque, potrebbe verificarsi che
alcuni potrebbero trovarsi addirittura nella posizione di non avere diritto alcuno."[5]


LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA CRISTIANA SULLA DIGNIT UMANA

"Creati ad immagine dell'unico Dio e ugualmente dotati di anime razionali, tutti gli uomini hanno
la stessa natura e la stessa origine. Redenti dal sacrificio di Cristo, tutti sono chiamati a
partecipare della stessa beatitudine divina: tutti, pertanto, godono d'una eguale dignit."[6]
"L'uguaglianza degli uomini si basa essenzialmente sulla loro dignit come persona e sui diritti
che da essa scaturiscono...."[7]
In queste frasi il Catechismo della Chiesa Cattolica chiarisce che ci sono due concetti che sono
stati di centrale importanza nello sviluppo della dottrina Cristiana sulla dignit umana: il
concetto di 'immagine di Dio' e il concetto di 'persona'.

L'immagine di Dio e la dignit umana: sviluppi biblici, patristici e medievali del tema[8]

Genesi 1, 26-27 e 5, 1 insegnano che gli esseri umani furono creati ad immagine (tselem) e a
somiglianza (demuth) di Dio. L'immagine associata al dominio sulla creazione animale. E'
evidente che l'immagine permane dopo il peccato originale, in quanto l'uomo, essendo ad
immagine di Dio, la ragione della proibizione dell'assassinio [Genesi 9, 6].
Nel Nuovo Testamento di Cristo che si parla come "immagine di Dio invisibile" [Colossesi 1, 15].
Dall'interpretazione di questo testo, sono derivate due distinte concezioni di immagine tra i Padri
della Chiesa:
a) c'era chi riteneva che l'umana natura di Cristo fosse l'immagine visibile della realt divina
(Ireneo, Tertulliano, Mario Vittorino).
b) c'era chi reputava che solo la divinit di Cristo potesse essere "l'invisibile immagine
dell'invisibile Dio" (Origene): Dio, essendo incorporeo, non pu avere un'immagine corporea.
Questa disputa su Cristo collegata alla disputa sul senso in cui l'uomo imago Dei: da una parte
ci sono coloro per i quali l'immagine nell'intero uomo, corpo e anima. dall'altra ci sono coloro
per i quali l'immagine risiede solo nell'anima.
Per molti Padri della Chiesa solo Cristo, il Figlio, propriamente detto "immagine", mentre
l'uomo solamente "ad immagine" (kat' eikona). Questo essere 'ad immagine' costituisce
l'essenza della natura umana. Dal momento che molti dei Padri ritennero che Cristo fosse
l'immagine di Dio nella sua divinit, non nella sua umanit, solo l'anima, o piuttosto
ilnous dell'uomo, che 'ad immagine' di Dio. Il corpo partecipa per derivazione alla dignit
che propriamente appartiene all'anima/nous.
Tra i Padri emerge una distinzione tra 'ad immagine', intesa come costituita da ci che l'uomo
nell'ordine della natura, e 'a somiglianza', intesa come costituita da ci che l'uomo
riceve nell'ordine della grazia. Cos Sant'Agostino distingue l'uomo come 'capax Dei' in virt della

34

ragione, dell'immortalit e della conoscenza naturale di Dio, e l'uomo come 'particeps Dei' grazie
ai doni soprannaturali.
A causa della forte influenza della filosofia Platonica e neo-Platonica sulla patristica,
particolarmente rispetto all'anima, non chiaro se ci sia un'intrinseca dignit per la vita
corporea.
Nel periodo[9] medievale antecedente a d'Aquino, a causa dell'ininterrotto dominio delle
influenze filosofiche Platoniche, non emersa una esauriente spiegazione del modo in cui il corpo
umano partecipasse della dignit della persona umana.

D'Aquino sulla dignit, 'l'immagine di Dio' e la persona umana[10]

"La 'dignit' denota la bont di qualcosa per se stessa (propter se ipsum)."[11]
I due concetti di 'immagine di Dio' e 'persona', che nel Catechismo abbiamo notato essere concetti
chiave per la comprensione della dignit umana, appaiono chiaramente avere questa funzione in
San Tommaso. Qui, in successione, riportiamo la sua trattazione di entrambi, nel modo in cui si
collegano alla concezione della dignit umana.

L'immagine di Dio

La sua principale trattazione di questo concetto in relazione all'uomo nella Summa theologiae I
q. 93.
Un'immagine, dice San Tommaso, una somiglianza significativa. Nell'uomo c' una somiglianza
con Dio, ma non una somiglianza perfetta (ci perch la Scrittura dice che l'uomo
fatto a somiglianza di Dio: hoc significat Scriptura, cum dicit 'hominem factum ad imaginem Dei'.
Praepositio enim 'ad' accessum quemdam significat, qui competit rei distanti. Art.1) Una
somiglianza una somiglianza significativa soltanto se contiene quel che distintivo di ci che
rappresenta. Tra le creature, solo quelle che conoscono e comprendono maggiormente si
avvicinano a Dio nella somiglianza. E dunque solo le creature intellettuali sono, propriamente
parlando, 'ad immagine di Dio'.
L'immagine di Dio nell'uomo imperfetta ma pu essere portata a perfezione. Questo possibile
in quanto
1) l'immagine consiste, in prima istanza, nella nostra natura intellettuale, in virt della quale noi
siamo dotati dellacapacit dinamica di sviluppare le abilit necessarie alla conoscenza e l'amore
di Dio;
2) la grazia rende possibile nell'uomo un'effettiva o consueta, ma certamente non perfetta,
conoscenza di Dio e del suo amore;
3) possiamo essere portati a conoscere ed amare Dio perfettamente in paradiso 'dalla
somiglianza della gloria'.
Corrispondenti ai gradi di somiglianza nell'immagine, sono i gradi di dignit:
1) la naturale dignit dell'uomo - la dignit che appartiene alla sua natura e ai suoi poteri
naturali. Questa non viene mai perduta.[12]
2) La dignit di coloro che vivono rettamente, i 'justi'.
3) La dignit dei benedetti in paradiso, i 'beati'.
Questi tre livelli corrispondono a ci che noi abbiamo chiamato 'innata' (o ontologica), 'acquisita'
(o esistenziale) e 'definitiva' dignit. Dal nostro punto di vista, in questo saggio, la dignit umana
che pi ci interessa la prima, la naturale, innata dignit dell'uomo, la dignit che appartiene alla

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sua natura e alle sue facolt naturali. L'esplorazione del fondamento di questa dignit forse
maggiormente accessibile se ci rivolgiamo al secondo concetto chiave, quello di 'persona'.

La Persona

Il concetto di persona implica la 'dignit', e questo il motivo per cui il concetto di persona
valido solo per individui di natura intellettuale, che precisamente ci che d loro la
dignit.[13] Una persona 'una sostanza individuale di natura razionale'. Gli esseri umani sono
costituiti come sostanze individuali di natura razionale in virt del fatto che possiedono anime
razionali. L'anima razionale la 'forma e la realt persistente tutta la vita"[14] che d unit
dinamica ai complessi organismi materiali quali noi siamo e all'espressione delle nostre svariate
facolt (vegetativa, animale e intellettuale) in molteplici attivit. San Tommaso in II Sent., d.26,
q.1 a.4c afferma: "Dall'essenza dell'anima scaturiscono facolt che sono essenzialmente
differenti... ma che sono tutte unite nell'essenza dell'anima, come in una radice." Le facolt
dell'anima, nella forma di capacit fondamentali non completamente sviluppate, vengono donate
a ciascun individuo all'inizio della sua esistenza. Questo il fondamento della dignit naturale
che appartiene ad ogni essere umano.
Una parte importante di questa dottrina di San Tommaso quella inerente all'unicit della forma
sostanziale.[15] Una delle implicazioni di questa dottrina che il corpo umano partecipa della
dignit della nostra natura razionale nel senso che, finch siamo corpi umani viventi, la nostra
corporeit intrinseca a ci che ci d dignit naturale.
Ma tale insegnamento sulla unicit della forma sostanziale di fondamentale importanza anche
per comprendere ci che San Tommaso intende quando parla della nostra capacit di controllo
(dominium) sulle nostre azioni, una capacit che una caratteristica centrale della nostra natura
razionale, ed essenziale per la nostra dignit esistenziale o acquisita.[16]Perch l'unicit della
forma umana vuol dire, inter alia, che l'impulso e il bisogno dei sensi non sono qualcosa di
estraneo alla nostra natura sostanziale, ma (a) sono capaci di rivelare i beni della persona umana
che sono, in modo riconoscibile,integrali alla realizzazione umana, e (b) per quanto il desiderio
sensuale sia contrario al bene dell'uomo, tale desiderio trasformabile, fondamentalmente in
virt della nostra razionalit, attraverso l'acquisizione di virt morali. Il 'dominium' razionale a
cui siamo chiamati nella nostra condotta di vita non vuole essere una forma di tirannia esercitata
su emozioni e sentimenti essenzialmente estranei, ma dovrebbe portare a quella integrazione di
sentimento ed emozione, attraverso la trasformazione, che favorisce il nostro vivere bene con la
speranza di giungere a quella realizzazione per la quale Dio ci ha creati. La vita umana ha un
obiettivo da raggiungere, e pu essere condotta ad una certa unit morale dall'impegno profuso
nel raggiungimento di tale obiettivo [ci, naturalmente, non pu essere ottenuto senza la grazia].
Le capacit radicali che pertengono all'essenza dell'anima umana hanno un orientamento
teleologico dinamico volto alla nostra realizzazione.
Vorrei ora proseguire sostenendo che la perdita di una concezione, unificata e teleologica, della
vita umana una parte importante della spiegazione relativa alla concezione moderna e laicista
della dignit umana. Far questo cercando di indicare i modi in cui una concezione dualistica
della vita umana, che includa una concezione meccanicista del corpo umano, hanno influenzato la
nascita di una etica kantiana, e come le concezioni moderne e laiciste della dignit umana siano
derivate da Kant.

36

37

L'EMERGERE DELLA CONCEZIONE MODERNA E LAICISTA DELLA DIGNIT UMANA



Il contrasto tra il meccanicismo cartesiano e la teleologia nella concezione del corpo umano

Secondo Cartesio, qualcosa, la cui caratteristica essenziale 'la coscienza'[17],
misteriosamente congiunto [il filosofo ipotizza attraverso la ghiandola pineale] con il corpo
umano. Il corpo umano da concepirsi in termini meccanicistici. Cosa si intende con questa
espressione? Dire che qualcosa pu essere concepito come una macchina vuol dire che possiamo
spiegare cosa essa sia solamente con riferimento alle leggi naturali che ne governano
le parti, considerate non come parti ma come entit di nature proprie del tutto indipendenti. Se si
vuole comprendere qualcosa di semplice come una pompa di bicicletta - come essa funziona - ci
che bisogna cogliere come le sue parti si adattino l'una all'altra tanto da trarre vantaggio dalle
leggi naturali che governano le sue parti. Ma sono le leggi naturali che governano le parti che in
definitiva spiegano come essa funziona. E ci che valido per una pompa di bicicletta valido
anche per una macchina o un aeroplano o un reattore nucleare o qualunque altro tipo di
macchina. Una concezione meccanicista di una qualsiasi entit , in linea di principio, una
concezione riduzionista di quella cosa.[18]
Vale la pena considerare brevemente ci che Cartesio ha da dire sul corpo umano nella sua Sesta
Meditazione, dove il corpo viene paragonato ad un orologio. Egli scrive: "Dunque, un orologio
fatto di rotelle e bilancieri obbedisce non meno esattamente a tutte le leggi di natura sia quando
costruito male e non segna l'ora esatta, sia quando soddisfa in ogni suo aspetto i desideri del suo
costruttore ... Certamente, se considero la mia idea preconcetta dell'uso di un orologio
potrei direche quando non segna l'ora esatta si allontana dalla sua 'natura'. Allo stesso modo, se
considero la macchina del corpo umano, posso pensare che essa devia dalla sua 'natura' se la sua
gola asciutta in un momento in cui il bere non l'aiuta a sostenersi, ma vedo chiaramente che
questo senso di 'natura' molto diverso dall'altro. Dunque, 'natura' un termine che dipende dal
mio personale modo di pensare ['a cogitatione mea'], dal mio paragone tra un malato o un
orologio mal costruito e l'idea di un uomo sano o un orologio ben fatto. [La 'natura'] qualcosa
di estrinseco all'oggetto cui attribuita."
Un orologio, come osserva Cartesio, non funziona bene in virt di una natura ad esso intrinseca.
Le parti di un orologio, sia che funzionino bene o male, sono conformi alla loro natura. La nostra
idea di un 'buon orologio' qualcosa di estrinseco alla natura della materia che noi abbiamo
combinato in modo tale da farle svolgere il compito che noi vogliamo sia eseguito.
Secondo Cartesio, possibile dire qualcosa di esattamente equivalente riguardo alla nostra idea
di un 'buon (o sano) corpo '. Affermare che un corpo malato non vuol dire che non sia in grado
di essere o di funzionare nel modo in cui la suanatura intrinseca propenderebbe a farlo
funzionare. Le nostre idee di un funzionamento sano e insano non derivano da nessuna
concezione di come il corpo, nella sua vera natura, dovrebbe funzionare, proprio perch in quanto
corpo non ha una natura che lo caratterizza come corpo unificato. E' un assemblaggio meccanico
di parti che, a livello microscopico, si pu dire abbiano una natura caratterizzata nei termini delle
leggi fondamentali di natura.
Ci che Cartesio rifiuta in questo influente insegnamento sia il principio circa l'anima razionale
come unica forma sostanziale di vita corporale umana, sia la concezione teleologica di tale vita.
Cartesio, ovviamente, non avrebbe negato che le macchine e i manufatti hanno delle finalit - le
forbici per tagliare, le pompe per gonfiare le gomme, le macchine per trasportarci, e cos via. Ma i
manufatti e le macchine servono tali finalit in virt del fatto che abbiamo organizzato la materia

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in modo da ottenere questi scopi; non c' nulla di intrinseco alla materia di cui i manufatti sono
composti che rende il raggiungimento di questi scopi intrinseci alla materia.
La concezione teleologica del corpo umano, che Cartesio rifiuta, afferma che il corpo umano il
locus di una vita unificata cos che la totalit di quella vita plasmata e informata da una
dinamica di sviluppo finalizzata alla realizzazione dell'uomo. Questo sviluppo dinamico abbraccia
la totalit della vita umana perch tutte le parti sono informate da un principio di vita unificatore
- l'anima razionale. La dinamica dello sviluppo diretta alla realizzazione dell'uomo, la quale
include tutti gli aspetti dell'essere umano: un buon funzionamento in quanto organismo
corporeo, una giusta relazione con gli altri nella giustizia e nell'amicizia, il bene della
trasmissione della vita umana (nel matrimonio), la progressiva comprensione della verit e il
superamento dell'errore e del confondersi nei propri pensieri, una giusta relazione con Dio,
l'integrazione delle proprie emozioni cos che gradualmente si diventi pi prontamente sensibili
all'autentico bene della vita umana - tutte queste sono possibilit da realizzare in virt della
dinamica di sviluppo che intrinseca alla nostra natura e che rende i nostri corpi non accozzaglie
meccaniche, ma una unit che pu essere informata dall'orientamento teleologico della nostra
razionalit pratica.
Il dualismo e il meccanicismo cartesiano hanno fondato la struttura antropologica di molti
successivi sviluppi della filosofia moderna. Risulta subito evidente che la vita corporale,
concepita in termini meccanicistici, ha poco in comune con la dignit umana che la dottrina
cristiana classica attribuisce alla vita corporale dell'uomo. In ci che segue, vorrei indicare come
la struttura antropologica cartesiana abbia influenzato la concezione kantiana della dignit
umana come 'autonomia', e in che modo tale interpretazione dell'autonomia sia degenerata nelle
concezioni laiciste contemporanee della dignit e dell'autonomia.

Kant e la dignit come autonomia

Non si pu comprendere il significato della 'svolta' kantiana in etica senza tener conto di un'altra
conseguenza dovuta all'abbandono di una concezione teleologica della vita umana. La forza, e
dunque entro certi limiti l'autorit della morale tradizionale, viene in parte spiegata da San
Tommaso nel distinguere che il rifiuto delle norme di moralit non il rifiuto di una arbitraria
volont divina, ma piuttosto il rifiuto di norme il cui punto consiste nella realizzazione per la
quale noi siamo destinati in virt della natura che ci stata data. Le norme sono intrinsecamente
intelligibili dai riferimenti al fine (telos) per il quale siamo stati creati (e redenti). Agire
contrariamente alle norme una attivit intrinsecamente auto-frustrante; agire in accordo con
esse intrinsecamente razionale, come il contribuire alla nostra realizzazione.
Con la perdita di una concezione teleologica unificata della vita umana, i moderni hanno anche
perduto la loro comprensione dell'intelligibilit delle norme morali, che esistono proprio al fine
della realizzazione.[19] Questa concezione delle norme morali fu sostituita in primo luogo da
una concezione di esse che le interpretava dotate di una loro forza esclusivamente in virt della
volont Divina, una volont che non era pi concepita come intelligibile in riferimento alle
intenzioni creative di Dio manifestate nella nostra natura. Con l'erosione del credo in un Dio
provvido e l'emergere del Deismo, si sono dovuti trovare altre ragioni per rendere intelligibile la
forza e l'autorit dei principi morali tradizionali. Questa una parte centrale del compito che
Kant si era prefissato. Il passo che lui comp fu di dire che
la moralit costituita dall'esigenza di agire in rispetto di una legge morale che noi stessi creiamo.
Questa l'idea di autonomia cui necessita, nel determinare cosa sia la legge morale, che la
volont non debba essere costretta da nulla di estrinseco alla ragione stessa. E' importante

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rilevare qui una conseguenza fondamentale del meccanicismo cartesiano, nella concezione del
corpo, per la formulazione del contenuto della legge morale. Dato che Kant concepiva il corpo
umano governato da leggi meccaniciste e deterministiche, non consider che l'esperienza
corporale e il desiderio sensuale potessero essere fonte di comprensione profonda del bene e dei
valori che dovrebbero governare le nostre scelte razionali. L'esperienza corporale e il desiderio
finirono nell'ambito dell'eteronomo. La nostra distintiva costituzione umana, in quanto esseri
corporei, non attiene alla definizione della razionalit che dovremmo esercitare nella condotta
della nostra vita.
Se la legge morale deve avere autorit, deve prendere la forma di imperativi categorici (non
ipotetici). Ma se gli imperativi categorici devono essere possibili, devono esserci alcuni principi
guida che ci mostrino in che modo la ragione li identifica. Le finalit dell'azione non si devono
trovare in nulla di estrinseco alla ragion pratica stessa.
"L'azione razionale deve pertanto fornire i suoi stessi fini. L'essere autonomo sia l'agente sia il
depositario di tutto il valore, ed esiste, nelle parole di Kant, 'come un fine in se stesso'. Se, in
generale, dobbiamo avere valori, dobbiamo apprezzare (rispettare) l'esistenza e gli sforzi degli
esseri razionali. In tal modo l'autonomia prescrive i suoi stessi limiti. La limitazione della nostra
libert dovuta al fatto che dobbiamo rispettare la libert di tutti: in quale altro modo pu la
nostra libert generare leggi universali? Da ci segue che non dobbiamo mai usare un altro senza
considerare la sua autonomia; non dobbiamo mai trattarlo come un mezzo."[20]
Concludendo queste brevi osservazioni sulla 'svolta' kantiana in etica, tre punti devono essere
tenuti a mente:
1. i suoi presupposti antropologici non consentono considerazioni sulla nostra costituzione di
esseri corporei unificati in quanto determinativi dei beni e dei valori che dobbiamo rispettare e
onorare.
2. rende considerazioni puramente formali determinative di ci che vincolante per noi; in
una versione esse sono equivalenti all'affermazione che il test di ragionevolezza cui sottoporre
un'eventuale 'norma' d'azione quello che dovrebbe rispettare la libert di tutti gli altri agenti
razionali;
3. il sistema morale richiede che ogni persona legiferi per s.
Nella considerazione kantiana, dunque, la dignit attiene all'agente morale autonomo che
determina la legge morale per se stesso nel modo che Kant propone. Una chiara implicazione di
tale valutazione che coloro i quali sono privi di evolute capacit di comprensione e scelta
necessarie all'azione morale non possono possedere dignit.

La volgarizzazione della 'autonomia'

Una conseguenza dell'interpretazione meccanicista del corpo umano, un'interpretazione andata
formandosi sin dal diciannovesimo secolo attraverso la diffusa credenza secondo cui gli esseri
umani sono prodotti casuali di un processo evolutivo, che quei valori che la tradizione cristiana
associa in particolar modo alla vita corporea (come la vita stessa, e la trasmissione della vita
come valore che governa l'attivit sessuale) vengono sempre pi ritenuti privi di una base
oggettiva e conseguentemente vengono assegnati alla sfera della scelta privata ed autonoma. La
'soggettivizzazione' di certe aree del valore un fattore assegnato di proposito, da un numero
significativo di autori moderni, all'idea di 'autonomia': la persona autonoma determina non solo
ci che deve contare come legge morale, ma ci che essa deve considerare di valore. Lo sfondo di
molta riflessione contemporanea, su ci che renda una vita umana preziosa, un diffuso
agnosticismo o scetticismo sull'ipotesi che esista una gamma di eterogenei valori di base che

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siano componenti integrali, per cos dire, del benessere umano. Presupposto tale agnosticismo e
scetticismo, una persuasiva risposta alla domanda sul valore della vita umana procede come
segue: la tua vita ha valore nella misura in cui sei nella posizione di valutare le cose e consideri le
cose in quanto dotate di valore. Ci significa che se non possiedi le facolt mentali che rendono
possibile alle cose di sembrare di valore per te, allora non c' modo di dare conto del valore della
tua vita. [21]
A causa di ci solo un limitato gruppo di esseri umani da ritenersi in possesso di dignit umana
o di valore - e dei basilari diritti umani che accompagnano il riconoscimento della dignit umana.
Sono quegli esseri umani che possiedonocapacit subito esercitabili, capacit tipiche degli esseri
umani sviluppati: abilit di comprendere, scegliere e comunicare razionalmente. Nei circoli
anglo-americani, i filosofi che promuovono questa posizione hanno cominciato a riservare il
termine 'persona' a quegli esseri umani dotati di tali abilit sviluppate ed esercitabili.
L'affermazione che solo questi esseri umani sono 'persone' dovrebbe essere visto per ci che :
una condizione ideata per sancire una particolare valutazione su quali, degli esseri umani, hanno
dignit e godono dei diritti.[22]
E' chiaro che, in base a questa visione laicista della dignit umana, non stato difficile giustificare
l'aborto, la sperimentazione embrionale, l'infanticidio, l'eutanasia volontaria o non-volontaria. E'
opportunamente chiamato punto di vista laicista perch non riconosce l'ordine della creazione in
cui le intenzioni del Creatore sono percepibili nei beni appropriati alla realizzazione della nostra
natura umana creata.


LA REPLICA DI PAPA GIOVANNI PAOLO II ALLA CONCEZIONE LAICISTA DELLA DIGNIT
UMANA[23]

In Evangelium Vitae, Papa Giovanni Paolo II sottolinea che "... quando viene meno il senso di Dio,
anche il senso dell'uomo viene minacciato e inquinato, come lapidariamente afferma il Concilio
Vaticano II: '... l'oblio di Dio priva di luce la creatura stessa'."[24] La conseguente perdita di
comprensione si manifesta nell'incapacit di riconoscere la dignit ontologica e in una falsa
concezione della dignit esistenziale. Il Santo Padre identifica come radici principali delle diffuse
violazioni dei diritti umani - e pertanto della dignit umana - evidenziate nell'aborto,
nell'eutanasia, e nei programmi di controllo della popolazione, "la mentalit che ... riconosce
come titolare di diritti solo chi si presenta con piena o almeno incipiente autonomia ... e la logica
che tende a identificare la dignit personale con la capacit di comunicazione verbale ed esplicita,
o almeno percepibile."[25] Qui abbiamo un venir meno del senso della dignit ontologica.
Assieme a tale perdita viene affermata una falsa concezione della dignit esistenziale: "... la
libert rinnega s stessa, si autodistrugge e si dispone all'eliminazione dell'altro quando non
riconosce e non rispetta pi il suo costitutivo legame con la verit; ... allora la persona finisce con
l'assumere come unico e indiscutibile riferimento per le proprie scelte non pi la verit sul bene e
sul male, ma solo la sua soggettiva e mutevole opinione o, addirittura, il suo egoistico interesse e
il suo capriccio."[26]
Due anni prima dell'Evangelium Vitae, Giovanni Paolo II aveva criticato, nell'enciclica Veritatis
Splendor, l'opinione secondo cui ci che distintivo in una persona (e costitutivo della dignit
propria della persona) la libert che "si autoprogetta, un fenomeno che crea se stesso e i suoi
valori." Non per l'uomo "determinare liberamente il significato del proprio comportamento".

41

"Una libert che pretende di essere assoluta finisce per trattare il corpo umano come un dato
bruto, sprovvisto di significati e di valori morali finch essa non l'abbia investito del suo
progetto."[27]
Il fondamento per il rifiuto di questa concezione di libert la verit degli insegnamenti della
Chiesa secondo cui "l'unit dell'essere umano, la cui anima razionale per se et essentialiter la
forma del corpo. L'anima spirituale e immortale il principio di unit dell'essere umano, ci per
cui esso esiste come un tutto - corpore et anima unus - in quanto persona." A motivo di tale unit
"ragione e libera volont sono legate a tutte le facolt corporee e sensibili".[28] Il corpo
condivide la fondamentale dignit propria della persona. Inoltre, le predisposizioni del corpo
favoriscono quei beni che sono gli elementi costitutivi della realizzazione della persona umana.
La nostra natura, in quanto persone corporee, impone dei limiti circa la linea di condotta
prescelta e consona alla nostra realizzazione come esseri umani. Pertanto, la nostra natura di
persone corporee impone dei limiti su ci che possiamo considerare scelte adeguate al rispetto
della dignit umana. La dignit essenziale dipende dal rispetto di questi limiti; dipende, si
potrebbe dire, dal rispettare la realt della dignit ontologica.
Qui giungiamo al rifiuto del meccanicismo cartesiano e dell'autonomia kantiana, le idee seminali
che sono al centro della modernit e costituiscono la radice intellettuale delle nostre
contemporanee concezioni laiciste della dignit umana.
E' chiaro che il Santo Padre vede il recupero di una adeguata concezione della dignit umana
come dipendente, almeno in parte, da un recupero di una concezione dell'anima razionale come
unica forma sostanziale del corpo umano e di una concezione della dinamica teleologica che, di
conseguenza, informa la nostra esperienza corporea. Il recupero di tale concezione di fronte alle
usuali ipotesi di gran parte della scienza biologica e, pi ampiamente, della cultura prevalente,
un vasto ed impegnativo compito.

[1] Ho sostituito il termine 'laico' con 'laicista'. Una visione laica pu essere quella tipica di una
societ laica, ovverosia una societ in cui l'autorit politica viene esercitata indipendentemente
dalla autorit religiosa dato che ad entrambe si riconoscono distinti ambiti di competenza. Una
visione laicista quella caratterizzata da una struttura mentale in cui o si crede che Dio non
esista, o che, se pure esiste, non ha nulla a che vedere con le questioni umane, o che l'interesse di
Dio vagamente benevolo, e non implica nessuna particolare richiesta il cui rifiuto
comporterebbe una radicale e potenzialmente definitiva alienazione da Lui. Su questo tema vedi,
in breve, GORMALLY L., Catholic Bioethics in a secularised society, Priests and People 1997, 11,
413-417, e, pi estesamente, FINNIS J., On the practical meaning ofsecularism. Notre Dame Law
Review 1998, 73, 491-516.
[2] Uno studio agile e sintetico su questo tema FERNGREN G. B., The Imago Dei and the sanctity
of life: the origins of an idea, in McMILLAN R. C., ENGLEHARDT H. T., SPICKER S. F. (a cura
di), Euthanasia and the Newborn, Dordrecht, Reidel 1987, 23-45. Pi estesi e articolati: den BOER
W., Private Morality in Greece and Rome: Some Historical Aspects,Leiden, E. J. Brill 1979; RIST J.
M., Human Value: A Study in Ancient Philosophical Texts, Leiden, E J Brill 1982.
[3] FERNGREN, The Imago Dei, op. cit., p.34.

[4] RIST, Human Value, op. cit., p.153.


[5] Ibid.

42

[6] Catechismo della Chiesa Cattolica, par.1934.


[7] Ibid., para.1935.
[8] La brevissima analisi qui abbozzata si basa su trattazioni sintetiche del tema della 'immagine

di Dio' in FERGUSON E. (a cura di) Encyclopedia of Early Christianity, II ed., New York, Garland
1998 (di J. L. Garrett) e in di BERARDINO A. (a cura di) Encyclopedia of the Early Church [tit.
orig.: Dizionario Patristico e di Antichit Cristiana] Cambridge, James Clarke 1992 (di Henri
Crouzel).
[9] Ci che qui viene detto sul periodo medievale limitato ad una singola osservazione sulla
condizione della vita corporale umana; poco pi di un passaggio di collegamento per giungere
alla trattazione dell'Aquinate. Il tema della dignit umana riceve una ricca e vasta trattazione dai
teologi monastici e dai primi scolasti. Per una disamina vedi JAVELET R., La dignit de l'homme
dans la pense du XII sicle, in HOLDEREGGER A., IMBACH R., SUAREZ de MIGUEL R., (a cura di) De
Dignitate Hominis. Melanges offerts a Carlos-Josaphat Pinto de Oliveira. Fribourg/Freiburg 1987,
39-87; vedi anche DALES R. C., A Medieval View of Human Dignity, Journal of the History of
Ideas 1977, 47, 557-72. Nel presente saggio non faccio riferimento al tema centrale del
contributo di Dales sulla dignit dell'uomo in quanto 'microcosmo'. Per una disamina dettagliata
di questo tema nella prima fase della Scolastica vedi McEVOY J., The Philosophy of Robert
Grosseteste, Oxford, Clarendon Press 1982, Capitolo 6: 'The place of man in the cosmos', 369-441.
[10] Importanti contributi sull'argomento sono: PINCKAERS S., La dignit de l'homme selon Saint
Thomas d'Aquin, in HOLDEREGGER et al., De Dignitate Hominis, op. cit., pp. 89-106; FINNIS
J., Aquinas. Moral, Political and Legal Theory, Oxford: Oxford University Press 1998, 176-180. Sul
tema della 'imago Dei' in d'Aquino, vedi PELIKAN J., 'Imago Dei. An Explication of Summa
theologiae, Part 1, Question 93', in A. Parel (a cura di) Calgary Aquinas Studies Toronto, Pontifical
Institute of Medieval Studies 1978: 27-48.
[11] III Sent. d. 35, q. 1, a. 4, sol. lc.

[12] Non viene distrutta o sminuita dal peccato: "bonum naturae nec tollitur nec diminuitur per
peccatum". Summa theologiae I II 85, 1c.
[13] I Sent. d.23, 1, 1: "Hoc nomen 'persona' significat substantiam particularem, prout subjicitur
proprietati quae sonet dignitatem, et similiter 'prosopon' apud Graecos; et ideo 'persona' non est
nisi in natura intellectuali." San Tommaso spiega la connessione dell'idea di 'dignit' con quella di
'persona' come derivante dal fatto che gli antichi attori teatrali indossavano maschere per
rappresentare personaggi che occupavano alte cariche o posizioni di rilievo nella loro societ, i
'dignitari' come si direbbe in italiano. Vedi Summa theologiae I q.29, a.3, ad 2.
[14] FINNIS, Aquinas, op. cit., p.178.

[15] "L'opinione di d'Aquino secondo cui c' una sola forma sostanziale in ogni sostanza,
compresi gli esseri umani, fu molto contestata anche durante la sua vita e dopo la sua morte. Uno
dei principali motivi per difendere tale punto di vista il seguente: se la forma sostanziale
comunica l'esistenza sostanziale alla materia e al composto forma-materia, una pluralit di forme
sostanziali risulterebbe in una pluralit di esistenze sostanziali e, dunque, minerebbe l'unit
sostanziale del composto. Se la prima forma sostanziale desse esistenza sostanziale, tutte le altre
forme darebbero solo esseaccidentale. Come d'Aquino asserisce in ST Ia. 76, se un essere umano
deducesse che vive grazie ad una forma, che un animale grazie ad un'altra, e che umano grazie
ad un'altra ancora, non sarebbe uno nel senso pieno del termine." WIPPEL J. F., Metaphysics, in

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KRETZMANN N., STUMP E., (a cura di) The Cambridge Companion to Aquinas, Cambridge,
Cambridge University Press 1993, 85-126, spec. pp.112-3.
[16] '... habent dominium sui actus; et non solum aguntur, sicut alia, sed per se agunt.' Summa
theologiae I q.29, a.1c.
[17] 'Cogitatio', nel senso di Cartesio, include emozioni e sentimenti, ed anche disposizioni
intellettuali ed atti.
[18] Il Riduzionismo stato certamente molto fecondo come principio metodologico per lo
sviluppo della scienza moderna. Gli scienziati hanno cercato di identificare le fondamentali parti
costituenti della materia e di scoprire le leggi basilari che le governano. Questo il programma
del micro-riduzionismo. Combinazioni pi o meno complesse di parti costituenti fondamentali -
come le molecole, le macromolecole, le cellule, i tessuti, gli organi - sono concepite come riuscite
combinazioni di particelle elementari, unite insieme, per cos dire, sfruttando i modi in cui le leggi
fondamentali che governano le parti tengono conto di tali combinazioni. Questo stato il
paradigma dominante nello sviluppo della scienza moderna, incluse le scienza mediche. E' stato
un paradigma fecondo. Ci ha permesso di capire molto sul funzionamento del corpo umano: i
sistemi organici, i singoli organi, i tessuti, le cellule, i cromosomi, i geni. Attualmente i geni sono
oggetto di intensi programmi di ricerca che mirano a svelare il modo in cui buona parte dello
sviluppo umano sia pre-programmato da quelli che attualmente supponiamo siano gli elementi
base dell'ereditariet trasmessi nei gameti (sperma e ovulo). Ma proprio la storia della genetica
utile per mostrare l'inadeguatezza del riduzionismo. E' impossibile capire la funzione del gene
senza comprendere le complesse dinamiche della cellula, che a loro volta non possono essere
capite senza una comprensione delle dinamiche intra-cellulari, che a loro volta non possono
essere comprese senza capire il ruolo che, diciamo, gruppi di cellule hanno in un organo, che a
sua volta non pu essere compreso senza far riferimento all'organismo nel suo complesso. Sulla
storia dello sviluppo della genetica vedi FOX KELLER E., The Century of the Gene, Cambridge,
Mass., e Londra, Harvard University Press 2000.
[19] Questo viene evidenziato come fattore importante nella genealogia della contemporanea
situazione morale da Alasdair MacIntyre nel suo After Virtue, II ed., Notre Dame, University of
Notre Dame Press 1984.
[20] SCRUTON R., Kant, Oxford, Oxford University Press 1982, 70.

[21] Vedi alcune prove documentarie della presenza di tale posizione negli scritti estremamente
convincenti di Mary Warnock e Ronald Dworkin, nel riferimento presente nella nota successiva.
Punti di vista simili si possono trovare, ad esempio, in Grant Gillett, Jonathan Glover, John Harris,
Peter Singer ed altri.
[22] In diverse pubblicazioni ho sostenuto che l'interpretazione, secondo cui solo un sotto-
gruppo di esseri umani possiede la dignit necessaria per fruire dei diritti umani fondamentali,
incompatibile con le nostre pi basilari idee di giustizia e, in quanto tale, non ci consente di
stabilire nessun difendibile parametro di giustizia nei rapporti umani. Tra i pi recenti, vedi
GORMALLY L, (a cura di) Euthanasia, Clinical Practice and the Law, Londra, The Linacre Centre
1994, spec. pp.118-126.
[23] Questa sezione non pu sperare di rendere giustizia alla ricca trattazione del tema sulla
dignit umana negli scritti di Papa Giovanni Paolo II. Semplicemente sintetizzo a grandi linee, ci
che il Santo Padre ha da dire in Evangelium Vitaesulle false concezioni della libert umana (in ci
che si ritiene consista la dignit umana) che si trovano alla radice di diffuse violazioni
contemporanee dei basilari diritti umani, specialmente il diritto alla vita; successivamente

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propongo una breve analisi della concezione della dignit umana che il Papa invoca in Veritatis
Splendor, nell'affrontare tale concetto accolto da quei teologi morali che, influenzati da Kant,
propongono un 'sistema morale autonomo'. Ometto qui lo sviluppo nel pensiero di Papa Giovanni
Paolo dell'idea delle specifiche dignit dell' 'essere uomo' e dell' 'essere donna', che egli collega al
tema del senso nuziale del corpo. Vedi in particolare l'enciclica Mulieris Dignitatem.
[24] Evangelium Vitae 22, con citazioni interne tratte dalla Costituzione Pastorale sulla Chiesa
nel Mondo Contemporaneo, Gaudium et Spes 36.
[25] Ibid. 19.

[26] Ibid.
[27] Veritatis Splendor, 48.
[28] Ibid.

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MAURIZIO FAGGIONI
LA VITA E LE FORME DI VITA.
RAPPORTO FRA BIOLOGIA E ANTROPOLOGIA

INTRODUZIONE

In questo intervento, dopo aver esaminato la nozione di riduzionismo, vedremo le conseguenze
della prospettiva riduzionista applicata allo studio del fenomeno vita nelle sue forme e
articolazioni e soprattutto della vita umana. Sulla base dell'antropologia cristiana cercheremo
quindi di superare le aporie del riduzionismo e di comprendere correttamente il senso della
dimensione biologica e il valore normativo dei dinamismi biologici alla luce del mistero integrale
della persona.


L' INCANTESIMO IONICO

Secondo le opinioni correnti, l'universo che noi conosciamo avrebbe avuto inizio circa 15 miliardi
di anni fa a partire da uno stato della materia caratterizzato da dimensioni subnucleari e da
densit e temperatura praticamente infinite che, in un ipotetico istante primordiale, sarebbe
andato incontro a un violento moto espansivo, paragonabile a una grande esplosione (big bang)
la quale innesc il divenire delle cose nella loro inesauribile multiformit. Da allora un numero
sterminato di mondi, di galassie, di stelle, di pianeti sorto, si sviluppato, ha compiuto il corso
del suo esistere ed scomparso. Fu cos che circa 4 miliardi e mezzo di anni fa, attorno a una
stella che noi chiamiamo Sole, in un sistema ai margini della nostra Galassia, si formato un
piccolo pianeta, la Terra. In esso, circa 3 miliardi e mezzo di anni fa, particolari situazioni
ambientali venutesi a creare nell'atmosfera e negli immensi oceani primitivi unite - secondo
alcuni - all'apporto di molecole organiche da parte di comete, condussero alla comparsa
dapprima di composti organici e quindi di biopolimeri e infine, dopo innumerevoli tentativi ed
esperimenti della natura, come distaccandosi con un sobbalzo dal livello della materia inanimata,
prese inizio una forma di esistenza del tutto inedita, la materia vivente[1].
Non sappiamo se in altre parti dell'universo e in altri tempi si siano realizzate le fortunate
circostanze necessarie per la comparsa della vita, ma senza dubbio la vita terrestre rappresenta
un evento raro e di grande interesse. Le singole unit viventi si presentano infatti dotate di
qualit stupefacenti, prime fra tutte la autoregolazione e la autoorganizzazione che si esplicano
nelle funzioni caratteristiche della vita. I differenti ecosistemi terrestri, l'avvicendarsi delle ere
geologiche, la lotta senza quartiere per la sopravvivenza e la riproduzione agiscono come giudici
inesorabili dell'attitudine di un certo organismo a occupare uno spazio sul pianeta. Sotto la spinta
della selezione naturale e mossa dal desiderio recondito in ogni cellula "di diventare due cellule" -
come si esprime F. Jacob - la vita fiorita sulla Terra in forme sempre cangianti, sempre pi
complesse, sempre pi affascinanti[2]. Letta in chiave evoluzionistica, la vita ci appare quindi
come un fenomeno fondamentalmente omogeneo che, a partire dalle prime unit viventi, si
enormemente diversificato e complessificato e anche la nostra sottospecie, Homo sapiens sapiens,
pur presentando tratti e caratteristiche di assoluta originalit, pu essere in qualche modo
inserita in questo inesausto flusso vitale[3].
In prospettiva semplicemente scientifica, lo studio del fenomeno vita nel suo complesso e della
vita umana, in particolare, senza dubbio esaltante e ricco di scoperte entusiasmanti che - si
spera - ci porteranno a conoscenze sempre pi sicure sull'origine della vita, sull'evoluzione dei

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viventi, sul loro modo di funzionare e di organizzarsi. Esaminando, tuttavia, l'attitudine che guida
la scienza contemporanea nello studio della vita umana e non umana, si coglie un tratto
ricorrente che ne costituisce come il vizio di fondo e che ne predetermina gli sviluppi e gli esiti ed
l'opzione metodologica riduzionista cui si accompagna di fatto, anche se non necessariamente,
una opzione ontologica parimenti riduzionista. In un suo volume sulla vita e l'unit del sapere, E.
O. Wilson ha indicato nel riduzionismo una delle costanti del pensiero occidentale ed ha applicato
a questa tendenza ipersemplificativa il concetto einsteniano di incantesimo ionico[4]. I filosofi
ionici, almeno nella presentazione che ne fa Aristotele e la dossografia greco-romana, avevano
infatti messo al centro delle loro ricerche filosofiche la questione dell'arch del reale e c' chi
ravvede in questo tentativo di ricondurre il molteplice ad unum il movente della ricerca filosofica
e il sogno segreto di tutto il pensiero filosofico e scientifico occidentale[5].
Posizioni eterogenee come il rasoio di Ockham, l'analisi di Condillac, la nosografia del linguaggio
scientifico di Wittgenstein e il comportamentismo di Watson sono tutti esempi di programmi
riduzionisti cio di strategie finalizzate alla semplificazione del sapere. In generale, il
riduzionismo una forma particolare della relazione di identit, la relazione "nient'altro che" o
"nientaltrismo": gli A infatti possono essere ridotti a dei B solo se gli A non sono altro che dei
B[6].
Dal punto di vista logico, la riduzione pu essere definita come la assimilazione di una classe di
oggetti a un'altra ovvero la trasformazione di un certo enunciato in un altro enunciato
equivalente al primo, ma pi semplice o pi preciso e quindi tale da rivelare la falsit o la verit
dell'enunciato di partenza. Nella riduzione definitoria, sia concettuale sia proposizionale, gli
enunciati che si riferiscono a un certo tipo di entit possono essere tradotti senza residui in altre
parole o enunciati riferentesi ad entit di altro tipo. Cos enunciati relativi ai numeri possono
essere tradotti o, se si vuole, ridotti a enunciati relativi ad insiemi di numeri e, similmente,
enunciati relativi alla casalinga di Voghera possono essere ridotti a enunciati specifici intorno a
quelle donne che a Voghera fanno le casalinghe. Nella riduzione proposizionale, in particolare, il
valore veritativo delle proposizioni stesse resta invariato, mentre si modifica il loro contenuto
semantico. Nella riduzione teorica, una teoria viene ridotta a un caso particolare di un'altra,
dimostrando che le leggi della prima possono essere dedotte, mediante precise regole di
corrispondenza e servendosi di opportuni enunciati passerella, dalle leggi della seconda[7]. Un
esempio classico dato dalla riduzione delle leggi dei gas alle pi generali leggi della
termodinamica o da quello pi complesso della riduzione della genetica formale alla genetica
molecolare[8].
Dal punto di vista epistemologico, il riduzionismo una strategia di condensazione
dell'informazione e di diminuzione della complessit. Nella sua forma tipica, la riduzione
ontologica, il riduzionismo afferma che "oggetti di determinati tipi non sono altro che oggetti di
altri tipi: ad esempio, che le sedie non sono altro che collezioni di molecole"[9]. L'attitudine
riduzionista vorrebbe evitare la proliferazione inutile di entit che vengono postulate in virt di
pure costruzioni logiche o metodologiche, ma spesso tende a respingere programmaticamente
tutti i concetti che si riferiscono a entit inosservabili[10]. Ogni sistema reale viene quindi
considerato come la semplice risultante aggregativa di un insieme di sottosistemi che lo
compongono e le propriet e i poteri causali di un ente sono spiegati riconducendoli alle
propriet e poteri causali di enti pi semplici: per esempio il calore di una sbarra di ferro
incandescente non presuppone una vis calorifica, ma dipende dall'energia cinetica media delle
molecole che compongono la sbarra stessa, mentre le conseguenze causali tipiche di un solido,
quali la resistenza alla pressione e l'impenetrabilit, non postulano la soliditascome entit, ma
rimandano ai poteri causali del reticolo in cui si organizzano le molecole di ferro nella sbarra.

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Riduzionismo e scienza moderna sembrano fare tutt'uno. Per la scienza positiva del XIX secolo e
ancor pi sistematicamente per i neopositivisti del XX secolo, il riduzionismo rappresenta una
tesi epistemologica cardinale che postula un ordine gerarchico delle varie discipline scientifiche a
partire dalla fisica, considerata prima e fondamentale; alla fisica sono subordinate, in ordine di
importanza decrescente, la chimica, la biologia, la psicologia e la sociologia. Tutti i termini ed i
concetti di una qualunque di tali discipline sono traducibili nei termini e nei concetti di una
disciplina pi fondamentale, mentre il contrario non possibile. Nella prospettiva neopositivista
di Carnap, il riduzionismo si propone di operare una discriminazione fra teorie scientifiche e
metafisiche, costruendo un linguaggio empirico composto da enunciati protocollari o da
osservazioni alle quali sar riconducibile qualsiasi enunciato scientifico. Questo programma
riduzionista presuppone che, al di l della autonomia metodologica delle diverse discipline, si dia
una autentica omogeneit dei saperi e postula, come esito estremo, l'unificazione delle scienze
nella fisica (fisicalismo). La psicologia potr essere ridotta alla neurofisiologia, la biologia alla
chimica organica, la chimica organica a quella inorganica e questa, a sua volta, alla fisica, sino a
pervenire alla massima unificazione e semplificazione.
Prescindendo dalla precomprensione antimetafisica e antispiritualista implicata in diverse
espressioni del riduzionismo, la scienza moderna ha provato l'utilit delle regole di economia,
imposte dal riduzionismo logico, per la formalizzazione e assiomatizzazione delle teorie
scientifiche nonch l'enorme potere euristico del riduzionismo epistemologico. Ma lecito
chiedersi se l'eleganza formale e concettuale della riduzione non esponga al rischio di giungere a
una ipersemplificazione artificiosa dei dati che sottace e occulta le specificit irriducibili di alcuni
fenomeni. Se spesso utile, infatti, considerare certi ordini di fenomeni come soggetti alle leggi,
meglio stabilite o pi precise, di un altro ordine di fenomeni, ci si chiede se tale riduzione sia
sempre possibile e rispettosa della complessit del reale e dei suoi livelli di emergenza o non
rappresenti invece, almeno in alcuni casi, un oggettivo impoverimento del sapere e un ostacolo
ad una comprensione autentica.


LA VITA E LE FORME DELLA VITA

La tensione fra riduzionismo e antiriduzionismo che caratterizza il plurisecolare dibattito
sulla vita, in riferimento soprattutto alla omogeneit fra mondo organico e mondo inorganico, al
rapporto fra le leggi che regolano i viventi e quelle che regolano gli oggetti inanimati, alla
possibilit e ai modi del passaggio, tanto in una visione statica quanto in una visione evolutiva,
dalla materia inerte a quella vivente, si espressa classicamente nelle due posizioni denominate
meccanicismo e vitalismo[11].
Il meccanicismo, variamente declinato nel tempo, sostiene la piena riducibilit di tutte le
manifestazioni della vita alle forze e leggi fisico-chimiche. Dopo il meccanicismo degli antichi
atomisti democritei ed epicurei, il fondatore del meccanicismo moderno considerato R. Cartesio
(1596-1650) il quale volle elaborare una spiegazione meccanicista dei sistemi viventi nel quadro
della sua visione meccanicista della natura e si sforz pertanto di ricondurre la fisiologia dei
viventi, equiparati ad automi, alla meccanica:
Tutte le funzioni che ho attribuite a questa macchina ... seguono tutte il modo naturale ... dalla
sola disposizione dei suoi organi, n pi e n meno di quanto fanno i movimenti di un orologio o
altro automa in seguito a quello dei suoi contrappesi e delle sue ruote[12].
Il concetto di animale-macchina fu ripreso, in contesto materialista, da Hobbes, dai sensisti
francesi del '700, da molti positivisti ottocenteschi. Le posizioni estreme del riduttivismo
contemporaneo sono riassunte da una affermazione del Nobel F. Crick secondo il quale "lo scopo

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ultimo che si prefigge la moderna biologia di spiegare tutta la biologia nel quadro della fisica e
della chimica"[13], ma il riduzionismo assume oggi, in genere, una forma alquanto pi sofisticata
dal momento che molti Autori ammettono che, pur essendo i corpi viventi costituiti dagli stessi
elementi del mondo inorganico, tuttavia la scienza biologica non completamente e
immediatamente riducibile nei termini delle scienze fisiche in senso stretto[14]. Il riduzionismo
biologico si caratterizza infine per una critica radicale ad ogni forma di finalismo e di teleologia
immanente agli oggetti naturali viventi, come argomentato nel celebre saggio di J. Monod, Le
hasard et la ncessit, secondo il quale tutti gli organismo, incluso l'uomo, sono sistemi prodotti
da mutazioni casuali e spiegabili attraverso principi fisici generali[15]. Il finalismo del vivente
viene ripreso, in qualche misura, nelle teorie cibernetiche della vita che assimilano il vivente a un
automa capace di autoregolazione, ma anche in questo caso non si esce, di fatto, da una visione
automatica del vivente come somma di parti[16].
I vitalisti di ogni tempo sostengono che il fenomeno vita in s irriducibile alla realt inanimata
per cui ammettono l'esistenza di leggi proprie dei viventi non riconducibili pienamente alle leggi
fisico-chimiche e perci il vitalismo si spesso accompagnato alla negazione della possibilit
di generazione spontanea ovvero del passaggio dalla materia inerte alla vita. Bench la dottrina
ilemorfica sia spesso considerata un vitalismo, a rigore dovrebbero essere indicate come vitaliste
solo quelle le interpretazioni del fenomeno vita che pongono la novit del vivente rispetto al non
vivente in una forza o principio vitale aggiunta alla materia, per cui il vivente non spiegabile
con le leggi che sono valide per la materia stessa. Furono vitalisti per motivi diversi, talora
opposti, grandi scienziati del secolo XVIII e XIX come G. L. Buffon (1707-1788), J. B. De Lamarck
(1744-1829), L. Pasteur (1822-1895) e soprattutto, a cavallo fra i due secoli, H. Driesch (1876-
1941). Driesch defin il vitalismo la "dottrina dell'autonomia della vita" e dall'autonomia del
fenomeno vita rispetto alla fisica e alla chimica, egli deduceva l'autonomia della biologia come
scienza della vita[17]. Ancora nella seconda met del secolo XX, W. M. Elsasser parlava di speciali
"leggi biotoniche" che spiegherebbero i fenomeni biologici in accordo con le leggi fisiche, ma a
queste non riducibili, e analogamente M. Polanyi proponeva per i viventi principi pi
elevati addizionali alle leggi della fisica e della chimica[18].
Le critiche che si possono rivolgere al vitalismo sono due: dal punto di vista del metodo
scientifico il vitalismo parte dall'accettazione precostituita di un'ignoranza che non pu essere
superata, stante il carattere inafferrabile del principio vitale; dal punto di vista metafisico pone
un dualismo insanabile fra due principi eterogenei, la materia e il principio vitale, appunto,
incorrendo in tutte le difficolt tipiche dei dualismi e non spiegando la propriet pi affascinante
dei viventi che la profonda e armoniosa unit organismica.
Forse ha ragione E. Cassirer che, a ben guardare l'antagonismo fra meccanicismo e vitalismo
esprime, pi che due posizioni irriducibili, "uno stato particolare di oscillazione di metodi"[19],
ma, in ogni caso, sarebbe illusorio cercare la soluzione dell'annoso dibattito in sede puramente
scientifica. Il termine vita, una nozione metafisica perch esprime l'atto di essere tipico dei
viventi, cos come corsa termine astratto per il concreto correre, e occorre, perci, in via
preliminare cercare di determinare che cosa debba intendersi, in senso proprio e in modo
adeguato, cio in ambito metafisico, quando si parla di vita. I due piani, scientifico e metafisico, se
si mantengono le distinzioni dai diversi gradi del sapere, non sono necessariamente rivali e in
contraddizione, non essendoci contraddizione fra la conoscenza biologica della vita, che studia e
definisce le specificit dei viventi e del loro operare, e la conoscenza metafisica della vita, che
vede la vita come una perfezione trascendentale dell'essere di una classe particolare di enti.
Scrive, a questo proposito, L. Melina:
Non si tratta certo di passare dal rigido meccanicismo del razionalismo positivista ad un
vitalismo irrazionalista, che non rispetta la legittima distinzione e autonomia metodologica della

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biologia sperimentale. Piuttosto si tratta di mostrare come, sulla base dell'integrale rispetto dei
risultati della scienza sperimentale, pu sorgere una filosofia dell'essere vivente, che li interpreta
nella luce sua propria, offrendo in tal modo alla biologia la sua giustificazione razionale. Cos la
dimensione fisico chimica non rimarr giustapposta alla dimensione vitale del fenomeno
biologico, ma apparir ordinata ad essa[20].
Questa intima articolazione dei diversi piani del sapere comporta, d'altra parte, che la difficolt di
dare una caratterizzazione scientificamente condivisa del fenomeno vita, anche a prescindere dal
problema se la vita sia riducibile o no in termini materiali di tipo fisico-chimico, si rifletta nella
difficolt di dare una definizione metafisicamente ineccepibile della vita.
Dal punto di vista scientifico, il vivente pu essere distinto dal non vivente per la sua capacit di
autoregolarsi ed autoorganizzarsi[21]. L'autoregolazione permette al vivente di esistere in una
situazione molto speciale dal punto di vista termodinamico, caratterizzata da una condizione di
stabilit lontana dall'equilibrio[22]. L'autoregolazione si attua attraverso complesse interazioni
di organi fra loro gerarchizzati a formare l'organismo vivente che, come un tutto, regola le
funzioni degli organi stessi.
Per giungere a una definizione metafisica di vita che tenga nel giusto conto questa
caratterizzazione scientifica utile prendere le mosse dalla definizione aristotelica della vita
come "movimento non comunicato e immanente"[23]. Il tipo di azione propria del vivente
immanente all'ente stesso e si esplica come la capacit di autodeterminazione parziale (nei
viventi non umani) o totale (nell'uomo) della propria attivit[24]. Mentre le azioni transeunti
hanno per termine un altro, le operazioni immanenti iniziano e terminano nello stesso soggetto.
L'azione immanente una forma di organizzazione globale e autofinalizzata delle singole azioni
transitive o modificazioni fisico-chimiche delle parti materiali degli organismi viventi. "La
nozione scientifica di autoregolazione - scrive a tal proposito Basti - ai suoi diversi livelli, pu
fornire una buona via rendere intelleggibile al moderno la nozione metafisica di azione
immanente come tipica delle operazioni organiche ... ai loro diversi gradi di complessit
(perfezione)"[25].
In prospettiva aristotelico-tomista, la forma che d unit a tutte le parti e a tutte le operazioni del
singolo ente organico e che dirige l'organismo verso il suo autocompimento la forma
sostanziale, il principio vitale o anima di quel vivente[26]. Solo l'interpretazione ilemorfica della
vita riesce a evitare le aporie del meccanicismo e del vitalismo: contro il meccanicismo, riesce, in
primo luogo, a rendere conto del fatto che il vivente ha una capacit di generare informazione e
non semplicemente di manipolare quella che un progettista umano inserisce estrinsecamente
nella macchina e, in secondo luogo, riporta l'evidente unit di operazioni del vivente
all'insieme piuttosto che alla somma delle parti. Contro il vitalismo, supera il dualismo tra il
principio vitale, comunque inteso, e le funzioni vitali, essendo evidente che il principio vitale
dipende strettamente da queste.
Classicamente si riconoscono nei viventi tre tipi di azioni immanenti: operazioni vegetative,
operazioni senso-motorie, operazioni intellettive[27]. Le operazioni vegetative (metabolismo,
accrescimento, riproduzione) sono comuni a tutti i viventi e si svolgono in modo non
intenzionale, secondo una forma innata e costante. Le operazioni senso-motorie, comuni a tutti
gli animali, sono non intenzionali e possono essere modificate quanto a esecuzione e a forma. Le
operazioni intellettive, tipiche dell'uomo, fanno s che un fine volontariamente perseguito possa
modificare sia la forma sia l'esecuzione dell'azione intenzionale.
Nell'ilemorfismo il passaggio dalla materia inerte alla materia vivente e da un livello vitale a un
altro comporta un salto ontologico e quindi l'azione di una causalit capace di operarlo. Come de
facto si sia realizzato nel tempo questo salto ontologico, cio se mediante un intervento diretto
del Creatore o mediante un concorso divino operante per attraverso le cause seconde, non pu

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essere stabilito in modo apodittico[28]. Quello che importante sottolineare la non riducibilit
del vegetale all'animale e soprattutto dell'umano all'animale, perch la natura delle operazioni
intellettive (cognitive e deliberative) richiede la possibilit di reflexio o reditio
completa dell'anima umana e implica perci la sua spiritualit.
Purtroppo, quando si tratta di caratterizzare la vita umana rispetto alla vita puramente animale,
la filosofia e la scienza moderna - come vedremo nel prossimo paragrafo - cadono nel
riduzionismo pi mortificante e le conseguenze di questa non comprensione della dignit
ontologica e assiologica dell'uomo sono, come si pu ben immaginare, devastanti.


ASPETTI DEL RIDUZIONISMO ANTROPOLOGICO

La sfida del riduzionismo assume toni e conseguenze drammatiche quando si pretende
programmaticamente di leggere e comprendere una realt complessa e pluristratificata come
quella rappresentata dal fenomeno umano riconducendola o, meglio, riducendola a realt pi
semplici e ontologicamente inferiori. Nella prospettiva della odierna mentalit secolarista e
dell'invadente riduzionismo scientista, l'uomo viene ridotto al suo momento biologico e anche la
cultura tende ad essere risolta in natura, cos che persino l'etica, la religione, l'arte, i valori
spirituali sono interpretati in chiave puramente biologica. Si tratta di una visione chiusa alla
trascendenza, sia pure nella forma di autotrascendenza, alla quale sfugge completamente il senso
creaturale della vita umana e la sua sacralit, cio l'eccedenza ontologica del soggetto umano
rispetto agli oggetti naturali. Alla fine il riduzionismo antropologico, assunto come premessa
della ricerca e orizzonte di pensabilit, condiziona gli atteggiamenti e le scelte nei confronti delle
persone.
Le radici di questo modello antropologico sono rintracciabili nelle tre grandi rivoluzioni moderne
che hanno tanto profondamente ferito il narcisismo dell'umanit: la rivoluzione di N. Copernico
(1473-1543) quella di C. R. Darwin (1809-1882) e infine quella di S. Freud (1856-
1939). La rivoluzione cosmologica di Copernico aveva spodestato l'uomo dal centro dell'universo
e aveva fatto della sua Terra uno dei tanti pianeti intorno al Sole, infrangendo l'antica
persuasione umana di occupare un posto privilegiato e dominante nel cosmo. L'illusione di
conservare tuttavia un primato ontologico sul mondo subumano era stata dapprima incrinata da
Charles Darwin il quale aveva mostrato che l'organismo umano non solo funziona come quello
delle bestie, ma ha stretti rapporti di parentela filogenetica con le creature subumane:
L'uomo - scrive S. Freud - cominci a porre un abisso fra il loro e il proprio essere. Disconobbe ad
esse la ragione e si attribu un'anima immortale, appellandosi ad un'alta origine divina che gli
consentisse di spezzare i suoi legami col mondo animale. Sappiamo che le ricerche di Charles
Darwin e dei suoi collaboratori e predecessori hanno posto fine, poco pi di mezzo secolo fa, a
questa presunzione dell'uomo. L'uomo nulla di pi , e nulla di meno, dell'animale[29].
Ancor pi drasticamente, infine, Sigmund Freud ed i suoi seguaci hanno messo in crisi le pretese
del razionalismo, svelando gli oscuri sottofondi dell'anima umana e sforzandosi di dimostrare che
l'uomo, anche in ci che sembra pi squisitamente umano, il suo psichismo, non radicalmente
diverso dalle altre creature del mondo animale di cui si autoproclama, a torto, signore e sovrano.
In questo orizzonte il progetto umano integrale si trova a dover subire le sfide di visioni
antropologiche fortemente riduttive, che cercano di ricondurre la creature umana, nelle sue
espressioni pi elevate, alla pura biologicit.

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La sfida delle neuroscienze



Una delle sfide pi durature e gravi alla comprensione adeguata del progetto umano venuta
dallo studio del cervello.
Le premesse erano gi tutte nel positivismo ottocentesco ed in particolare nel metodo e nelle
teorie fisiologiche elaborati da C. Bernard (1813-1878)[30]. Con il Positivismo giunse a maturit
una concezione fisicista dell'uomo, che si ricollegava non solo all'empirismo di J. Locke (1632-
1704) e di D. Hume (1711-1776), ai sensisti francesi e a tutta la biologia meccanicista sei e
settecentesca emblematicamente rappresentata dall'Homme-machine di J. Offroy de La Mettrie
(1709-1751), ma ultimamente risaliva a Cartesio. Tenacemente avversi all'ammissione di una
consistenza extrafisica dei contenuti mentali, gli scienziati positivisti professeranno un
materialismo dogmatico, acritico e insieme tragico. Lo zoologo Karl Vogt (1817-1895) formuler
in questo senso uno degli assiomi pi crudi che esprimono il clima del tempo: "Il pensiero
secrezione del cervello come la bile secrezione del fegato".
Su uno sfondo meccanicista, alquanto meno ingenuo e metodologicamente molto raffinato, si
muove anche la psicologia fisiologica di J. Wundt (1832-1920), secondo il quale i processi mentali
superiori non possono diventare oggetto di ricerca rigorosa, ma viene assunta a oggetto
principale di studio la coscienza esaminata attraverso l'introspezione elementistica. Il dualismo in
certo qual modo presente nella proposta di Wundt del tutto superato da una delle risposte pi
rigorosamente riduzioniste in senso materialista al problema del rapporto fra meccanismi
neurologici e mente, quella dei comportamentisti o behavioristi. L'ipotesi emessa da J. Watson
(1878-1958) negli anni '20 che il comportamento umano non ha cause mentali, dal momento
che il comportamento osservabile di un organismo, incluso l'organismo umano, dipende dalle
risposte osservabili a determinati stimoli: le cause del comportamento stanno negli stimoli e non
in un preteso mondo della mente. Ricollegandosi idealmente a queste posizioni, B. F. Skinner pi
tardi svilupper una psicologia il cui ruolo quello di catalogare le leggi che determinano
relazioni casuali fra stimoli e risposte. Le asserzioni psicologiche del tipo "ho sete" significano,
cio stanno per, comportamenti e disposizioni al comportamento. "Ho sete" significa quindi "Se ci
fosse acqua da bere, la berrei".
Ai nostri giorni, venendo a contatto con l'incredibile sviluppo delle neuroscienze, l'eterno
problema anima-corpo ha assunto la forma del dilemma mente-cervello. Pare essere un'evidenza
che esistono contenuti mentali, che esistono la creativit e la fantasia, che esiste la capacit di
elaborare le idee e di produrre simboli, ma non chiaro che rapporto intercorra fra lo psichico e
il neurologico. Una impostazione alquanto diffusa fra i cultori delle neuroscienze, di cui si fatto
influente interprete J.-P. Changeux con L'homme neuronal[31], tende non solo a ridurre lo
spirituale al mentale o allo psichico, ma cerca di ridurre ulteriormente il mentale al neurologico.
Secondo la lettura materialista della vita psichica, il mentale non distinto dal fisico e tutti gli
stati, le propriet, i processi e le operazioni mentali sono identici, in linea di principio, a stati,
propriet, processi e operazioni fisiche. La teoria dell'identit ha due principali declinazioni:
laidentit di tipo, per cui ad ogni evento mentale corrisponde un ben determinato evento
cerebrale, e la identit di occorrenza, per cui ogni evento mentale identico a un evento
cerebrale, anche se non possibile ridurre la tassonomia della psicologia a quella della
neurologia. Una lettura ancora pi estrema nega che esistano realt ed eventi mentali e che
quindi il linguaggio che si riferisce ad essi semanticamente vuoto o, al massimo, costituisce uno
strumento utile per interpretare noi e gli altri, pur non designando alcuna realt sussistente[32].
Lo studio della memoria, dei centri della parola, della visione, degli stati emotivi compiuti
attraverso la Risonanza magnetica, la Tomografia emissione di positroni e altre metodiche di brain
imaging che permettono di seguire in diretta il funzionamento di determinate aree cerebrali in

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relazioni con specifiche operazioni mentali, sembra confermare una precisa localizzazione
cerebrale di eventi psichici quali memoria, volizione, intellezione, emozioni, elaborazione delle
sensazioni. La corrispondenza fra precisi stati mentali e modificazioni funzionali di alcuni gruppi
neuronali o di intere aree cerebrali conferma la precomprensione riduzionistica che
il mentale altro non sia che un modo per indicare l'effetto delle funzioni neurofisiologiche[33].
Contro coloro che, come il filosofo D. Chalmers[34], parlano del rapporto mente-cervello come
di hard problem e postulano una irriducibilit della mente a qualcos'altro, allo stesso modo che
sono irriducibili le categorie di spazio e di tempo, D. Dennett sostiene che, una volta risolto i soft
problems, gli aspetti strutturali e funzionali del cervello, avremo risolto anche il problema della
coscienza[35].
Le scoperte sui neuromediatori e sui neuromodulatori del sistema nervoso centrale, gli effetti sul
comportamento e sul tono dell'umore di svariate sostanze psicotrope, gli stessi successi della
psiconeurofarmacologia su patologie mentali finora ribelli a qualsiasi trattamento psicoterapico
convergono a confermare una interpretazione organicista della vita psichica. La stessa medicina
psicosomatica sembra aver riscoperto l'unit pluristratificata del composto umano, ma, a ben
guardare essa non altro che una variante del generale riduzionismo, perch riduce la persona
all'integrazione di soma e di psiche, intendendo per psiche la somma dei contenuti mentali consci
e inconsci e non certo il principio immateriale dell'esistenza umana.
Si potrebbe obiettare che le modificazioni neurobiologiche accadono semplicemente in occasione
e per effetto dei processi mentali, ma, con rigorosa applicazione del rasoio riduzionista, A.
Damasio risponde che "i processi biologici che sembrano semplicemente corrispondere a
processi mentali, in realt sono i processi mentali: non sto negando l'esistenza della mente o
affermando che, quando avremo conosciuto tutto ci che occorre sapere sulla biologia, la mente
cesser di esistere. Penso semplicemente che la mente, sebbene preziosa e unica, sia
un'entit biologica, che deve essere descritta in termini biologici"[36].
Una risposta all'antimentalismo che caratterizza molte teorie psicologiche e comportamentali a
sfondo neurofisiologico data dalle sempre risorgenti teorie dualiste. Secondo l'impostazione
dualista la mente non riducibile al cervello, ma una sostanza non fisica, tradizionalmente detta
spirito o anima. Esistono diverse versioni del dualismo fra le quali il dualismo emergentista,
come quello di K. R. Popper, e il dualismo interazionista neo-cartesiano, come quello di J. C.
Eccles[37]. Si tratta di posizioni molto variegate e complesse che qui non possiamo certo
esaminare in dettaglio, ma contro le quali vengono sollevate due principali difficolt: se la mente
qualcosa di non fisico, ne segue che non occupa una posizione nello spazio fisico e allora riesce
difficile capire come una causa non fisica possa dare un effetto comportamentale che ha come via
d'uscita una alterazione fisica; in secondo luogo ci si chiede come il non fisico possa dar luogo ad
un effetto fisico senza violare le leggi di conservazione della massa, dell'energia e della quantit
di moto, senza cio che si abbia una produzione di energia ex nihilo.
La risposta del neurobiologo J. C. Eccles e del fisico R. Penrose che, all'interno dei microtubuli
dei neuroni, i moti molecolari implicati nell'attivit neuronale devono essere immaginati come
soggetti in alla meccanica quantistica e non a quella classica[38]. In altre parole, l'attivit
neuronale non risponde al determinismo della fisica classica, ma all'indeterminismo della fisica
quantistica. Bench non sembri plausibile cercare di spiegare l'obscurum per obscurius, tuttavia
affascinante pensare che la libert e la creativit della persona potrebbero essere riconnesse al
principio di indeterminazione.

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La sfida delle scienze cognitive



L'antimentalismo ha dominato quasi incontrastato la scena antropologica sino a tutti gli anni '60
ed i suoi echi si possono rintracciare in molti dei pi influenti autori e movimenti filosofici,
dall'empirismo logico, a Quine a Ryle, al secondo Wittgenstein. Lo sviluppo delle scienze
cognitive negli anni '70 segna una svolta nella comprensione del rapporto mente-cervello e un
deciso superamento delle posizioni dei comportamentisti, al punto che tale che i cognitivisti, pur
non essendo in dualisti, si autodefinirono provocatoriamente mentalisti. Le scienze cognitive
partono da quella che l'architettura interna dei processi cognitivi e, per farlo, ricorrono a
modelli computazionali nella presunzione che la mente umana funzioni come una elaboratrice
attiva delle informazioni che le giungono tramite gli organi sensoriali, in analogia con i servo-
mecanismi di tipo cibernetico.
Secondo la versione classica del funzionalismo computazionale, introdotta da Hilary Putnam, gli
stati o i processi mentali sarebbero identici a stati o processi computazionali della mente-
cervello, ovvero, con una metafora, la mente il softwareche gira nel
nostro hardware cerebrale[39]. Ai nostri giorni lo studio delle reti neurali sta producendo in
questo campo notevoli sviluppi ed evoluzioni, con un continuo rinvio dall'intelligenza naturale a
quella artificiale e viceversa. Dall'interpretazione del cervello che come un sistema di
interconnessioni gerarchizzate e distribuite in parallelo scaturita la progettazione di computer
a imitazione delle reti neurali e quindi dotati di flessibilit di fronte a situazioni nuove e di
capacit di apprendimento, anche se tuttora pi primitivi del pi elementare sistema nervoso
animale[40].
Se la mente pensante pu essere compresa adeguatamente in termini computazionali, allora si
pu teorizzare che un computer potr, presto o tardi, simulare le prestazioni dell'intelligenza
umana. ovvio, infatti, che, se il soggetto pensante funziona come una macchina si pu ipotizzare
che una macchina opportunamente progettata possa giungere a sviluppare un pensiero analogo a
quello umano. A ben guardare, la questione tuttavia pi complessa di quanto non vorrebbero
accettare i nostri sogni sull'intelligenza artificiale: prima di tutto noi non sappiamo esattamente
che cosa significhi essere intelligenti e pensare, ma certo il pensare umano non pu essere ridotto
allo svolgimento di compiti per quanto impegnativi essi siano. Il soggetto che pensa - a meno di
non far ricorso all'homunculus ovvero dello spirito nella macchina (ghost in the machine) dei
dualismi ingenui[41] - non raggiunge l'autocoscienza, la percezione della propria soggettivit a
prescindere dal suo corpo, dalle sue sensazioni, dalle sue emozioni.
Secondo la ipotesi riduzionista difesa da A. R. Damasio e G. M. Edelman, il fondamento biologico
del senso del S pu essere rinvenuto nei meccanismi cerebrali che rappresentano, istante dopo
istante, la continuit di uno stesso organismo. Damasio, in particolare, ritiene che il cervello sia
capace non solo di rappresentarsi il mondo esterno e di ricavarne mappe, ma anche di
autorappresentare l'organismo cui esso appartiene e che interagisce con il mondo esterno. Il
cervello in grado di produrre elaborazione sia di primo, sia di secondo ordine, di elaborare, per
esempio, sia la sensazione visiva, sia l'organismo che riceve ed elabora questa stessa sensazione:
l'autocoscienza un'autorappresentazione dell'organismo che interagisce con il mondo[42]. Solo
accidentalmente questa autorappresentazione pu servirsi di espressioni verbali e non verbali
che permettono, fra l'altro, alla soggettivit umana di emergere pienamente. Cos l'ipotesi
computazionale e rappresentazionista ritiene di eliminare per sempre il ricorso a entit
immateriali e, in ogni caso, diverse dal cervello.
L'uso di metafore tratte dal mondo della tecnica per descrivere e comprendere il funzionamento
del sistema nervoso centrale antico e pu rivelarsi fecondo[43]. I grandi neurofisiologi hanno
tratto spesso dal loro ambiente l'ispirazione per illustrare, con opportune analogie, le loro teorie

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anatomo-fisiologiche. Galeno nel II secolo d. C., pensando alla mirabile rete idrica dei Romani,
paragon il sistema nervoso centrale a una complicata rete di acquedotti; Descartes, nel XVI
secolo, mentre si diffondeva in Europa la mania degli automi, spieg in termini meccanicistici le
reazioni nervose dei bruti; i medici dell'800, affascinati dalle scoperte nel campo dell'energia
elettrica e del suo sfruttamento, paragoneranno il sistema nervoso centrale ad una grande
centrale elettrica; noi, che viviamo immersi nel mondo dei computer, amiamo dare una
spiegazione cibernetica del funzionamento della mente. Ovviamente se si tratta di metafore ed
analogie, questo procedimento corretto e pu servire per illuminare questo o quell'aspetto del
funzionamento del sistema nervoso centrale, se rispondono alla logica nientaltrista, diventano
letture riduttive e parziali. Dire che esiste una analogia tra il funzionamento del cervello umano e
il funzionamento di un computer del tutto legittimo, mentre invece affermare che "il cervello
umano non nient'altro che un calcolatore" riduttivo.
Le scienze cognitive rischiano certamente di cadere in una forma molto raffinata di
meccanicismo, ma la situazione cambia se passiamo da una considerazione banale e fisicista del
cervello computazionale alla considerazione del significato informazionale delle reti neurali. In
questa direzione si muove Gianfranco Basti, filosofo di stretta osservanza tomista ed esperto di
cibernetica, il quale ha compiuto un interessante tentativo di porre in rapporto il tema
della forma corporis con quello delle neurali, recuperando l'idea di dispositio e soprattutto
recuperando il tema scolastico dell'intenzionalit rispetto a quello moderno
della rappresentazione. Non si tratta quindi di creare energia, come nel dualismo interazionista,
ma di produrre informazione e la mente potrebbe essere descritta come una forma che organizza
la materia[44].

La sfida dell'evoluzionismo

La teoria dell'evoluzione come fu proposta da Ch. Darwin nel 1859 , pur essendo nata come
semplice ipotesi biologica, diventata poco a poco una chiave di lettura di tutta la realt ed ha
sostituito una visione rigida e statica del mondo con una visione dinamica e in divenire,
allargandosi ad abbracciare in un unico movimento evolutivo il cosmo stesso. La teoria della
evoluzione, con tutte le sue ricadute in campo sociale, politico ed economico, ispirate soprattutto
alla logica della sopravvivenza del pi adatto, e con la sua carica eversiva verso antiche istituzioni
e credenze pi che una teoria scientifica: essa una vera e propria metanarrazione tipica della
modernit e, come tale, si presta ad essere strumentalizzata e piegata verso usi ideologici
extrascientifici.
Una delle grandi sfide dell'evoluzionismo al progetto umano e motivo permanente di scandalo,
sta nella affermazione della continuit fra uomo e animali. Collocata in un orizzonte empirista,
questa affermazione, trapassa facilmente dallacontinuit biologica, che pu essere verificata o
falsificata, alla continuit ontologica che, essendo un asserto metafisico non verificabile n
falsificabile attraverso prove ed esperimenti. Tale pretesa continuit va contro una persuasione
profondamente radicata nell'animo umano. I nostri antenati, infatti, nel corso della evoluzione
della nostra specie, hanno sviluppato una crescente consapevolezza del loro essere, una
autocoscienza che li faceva cogliere a se stessi come soggetti di fronte agli oggetti naturali. Il
rapporto uomo-animale stato segnato sin dagli albori dell'umanit dalla contrapposizione, una
contrapposizione nella lotta della sopravvivenza che si tradotta nella convinzione di una ben
pi profonda e insuperabile contrapposizione ontologica, sul piano dell'essere. Si pu dire che
l'idea di uomo, nel pensiero dell'Occidente, costruita in contrapposizione all'idea di animale:
umanit e animalit appaiono come termini di una polarit irriducibile: il possesso del logos e

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l'uso, quindi, della parola e della ragione, qualifica l'uomo e segna la sua distanza incolmabile
dall'animale, che logos, privo di favella e pertanto di razionalit[45].
Questa idea percorre davvero tutta la storia culturale dell'Occidente, dall'antichit greca,
attraverso il cristianesimo, sino alla modernit. Se per Aristotele l'uomo si distacca e si
differenzia dalla sua base animale perch appunto dotato di razionalit (l'uomo zon
logikn o animal rationale), la fede giudeo-cristiana riconosce, pur nella comune origine
creaturale e terrestre, l'incomparabile superiorit dell'uomo sull'animale, essendo l'uomo dotato
di uno spirito vitale che lo assomiglia, come divina imago, al Signore e ne giustifica il compito
dominativo sulle altre creature[46]. Nella concezione scientifica del mondo propria della
modernit non c' dubbio che l'animale esista per il servizio e il benessere dell'uomo e sar
il meccanicismo che caratterizza il nascere della biologia moderna a fornire una base "scientifica"
allo sfruttamento animale[47].
Preparata idealmente da antesignani sette e ottocenteschi e sorretta scientificamente dagli
apporti delle scoperte nel campo dell'evoluzione, dell'etologia, della sociobiologia, una delle
novit filosofiche pi significative degli ultimi decenni stato l'emergere della cosiddetta
tematica animalista. La filosofia animalista sottopone ad analisi critica le categorie di umanit e
animalit, per verificarne la consistenza e l'adeguatezza teoretica rispetto agli attuali parametri
scientifici, e riflette sulla relazione uomo/animale, tradizionalmente interpretata in termini
antinomici, partendo dall'assunto opposto che cio questa antinomia insostenibile e
interrogandosi sul significato di natura umana o razionale in quanto opposta a natura
animale[48].
Un tema preso di mira dai filosofi animalisti per mostrarne l'insostenibilit dal punto di vista
scientifico quella dellacomplessit mentale, argomento principe tradizionalmente usato dai
sostenitori di una prassi di esclusione assoluta degli animali dal mondo morale. Nella prospettiva
dell'antropologia riduzionista l'esse appiattito sul bios e viene negata aprioristicamente
l'esistenza di realt spirituali nell'uomo, per cui si cerca di ricondurre le facolt
superiori dell'uomo (razionalit, autocoscienza, libert) a semplici dinamismi psichici. Una volta
esclusa la dimensione spirituale dell'uomo, la demarcazione fra umanit e non umanit o
animalit diventa evanescente. Non solo infatti la nostra vita mentale non considerata altro che
un effetto dell'attivit del sistema nervoso centrale, ma si pu anche scientificamente dimostrare
che essa si svolge su una struttura largamente comune alle altre specie: i dati pi recenti offerti
dalla neurofisiologia comparata, dimostrano che esiste una reale somiglianza e continuit delle
funzioni neurofisiologiche fondamentali in tutti gli animali pluricellulari, uomo incluso, e che le
somiglianze crescono - come intuibile - con il crescere della posizione di una certa specie nella
scala zoologica. La continuit a livello delle strutture neurologiche e le omogeneit di
funzionamento, fanno pensare che debba esistere una vera continuit anche tra le funzioni
mentali che queste strutture e funzioni sottendono e, in particolare, si pu legittimamente
pensare a una continuit fra sensibilit, intelligenza, autocoscienza umana e sensibilit,
intelligenza, autocoscienza animale[49]. Non esiste perci una barriera invalicabile tra umani e
non umani e diventa possibile confrontare le esperienze psichiche tra specie diverse sulla base
dell'accertata similitudine delle propriet fondamentali dei neuroni, delle sinapsi e dei
meccanismi neuroendocrini.
La visione delle relazioni biologiche e ultimamente ontologiche fra uomo e animali, generata
dall'evoluzionismo estremo di matrice darwiniana, ha ricevuto conferme non solo dalla
paleontologia, l'anatomia comparata e la genetica, ma anche - come vedremo pi avanti -
dall'etologia che, studiando il significato del comportamento, delle motivazioni, della
comunicazione degli animali, ha cercato di evidenziarne elementi significativi di continuit col
comportamento umano e ha portato a rafforzare, di conseguenza, l'idea dell'affinit e della

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continuit dell'uomo con le altre specie animali. Ne consegue un'antropologia che non teme di
umiliare la dignit umana nel considerare Homo sapiens sapiens una specie fra le altre e un'etica
che, negata la sacralit della vita umana, non riesce pi a cogliere la differenza assiologica fra vita
umana e vita animale[50].
La posizione della teologia cattolica e del Magistero sull'evoluzionismo applicato all'uomo stata
molto circospetta e non questa la sede per entrare nel dettaglio[51]. Oggi, superati, mediante
un'accorta purificazione epistemologica, i pregiudizi materialisti e immanentistici presenti nelle
versioni correnti dell'evoluzionismo e risolti, mediante una ermeneutica raffinata, i pi ardui
ostacoli antievoluzionistici contenuti nelle fonti della Rivelazione, resta la questione davvero
fondamentale di comprendere come la persona umana, nella sua unit di anima e di corpo, possa
emergere da realt ontologicamente inferiori. Secondo l'interpretazione proposta da Karl Rahner
- che resta ancor oggi una delle letture pi penetranti - si deve pensare a
un autosuperamento della creatura che reso possibile attraverso il concorso di Dio che non
opera accanto all'operare creaturale, ma che causa di quello stesso operare[52].
Questa visione dell'uomo e dell'evoluzione umana che, pur rispettando la multidimensionalit
dell'uomo e la distanza ontologica fra la realt umana e non umana, ci fa tuttavia sentire parte
integrante del nostro universo materiale risponde a un bisogno profondo del cuore umano,
sempre teso fra mondanit e trascendenza. Gli esseri intelligenti non sono frutto di
pura casualit - come pretende il riduttivismo biologico - ma il traguardo del divenire del cosmo.
Se nella lezione di Teilhard de Chardin l'evoluzione del cosmo e dei viventi risponde a una
direzione di movimento che punta al traguardo della Noosfera sino al punto Omega[53], secondo
i fautori del cosiddetto principio antropico, nella sua versione forte, il cosmo strutturato fin
dall'inizio in modo tale da ammettere la comparsa nel suo seno, a un qualche stadio, di esseri
capaci di coglierne l'intima intelligibilit[54]. "Il cosmo- commenta Saturnino Muratore - inteso
come un grande complicatissimo laboratorio che sta eseguendo un programma, la produzione
della vita, anzi, della vita intelligente ... Questo insperato recupero dell'Anthropos all'interno di
una lettura scientifica del cosmo rappresenta un'autentica svolta nei confronti di quella
rivoluzione copernicana che aveva dato origine alla modernit occidentale"[55].

La sfida della genetica

Gli stupefacenti progressi della genetica, la scoperta della probabile base genetica non solo dei
caratteri fisici ma anche delle disposizioni a contrarre malattie, dei tratti temperamentali, di certe
inclinazioni normali e devianti, la possibilit di leggere il programma genetico dell'uomo e,
virtualmente, di ciascuno di noi, la prospettiva di poter intervenire e manipolare questo stesso
programma attraverso l'ingegneria genetica, stanno provocando profonde ripercussioni nella
nostra considerazione dell'uomo, delle sue scelte e dei suoi comportamenti.
La biologia sta chiarendo la cascata di eventi che pu spiegare le relazioni fra predisposizione
genetica e comportamenti. I geni codificano infatti proteine con funzioni diverse: se ci sono
alterazioni genetiche, per esempio, nelle proteine che costituiscono i recettori implicati nella
risposta nervosa o che sono coinvolte nella metabolizzazione dei neuromediatori, possono aversi
turbe psichiche e comportamentali legate all'alterato equilibrio dei neuromediatori.
Nel caso della tossicodipendenza, per esempio, stato provato che nel causare tale condizione
concorrono diversi fattori di tipo socio-culturale, psicologico e biologico che interagiscono fra
loro secondo modalit non ancora pienamente chiarite. Esistono indizi scientificamente provati,
bench di significato ancora piuttosto incerto, che porterebbero a ipotizzare l'esistenza - almeno
in alcuni soggetti - di una sorta di predisposizione biologica all'assunzione di droghe,
analogamente a quanto stato supposto per l'assunzione di alcool negli alcoolisti. Tuttavia la

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semplice e inoppugnabile osservazione che persino un soggetto diventato tossicodipendente


possa interrompere permanentemente, se opportunamente aiutato e motivato, l'assunzione
compulsiva della droga, ci porta a ritenere che tale predisposizione non agisce in modo
deterministico o almeno che non sia sufficiente a spiegare da sola il sorgere del comportamento
di abuso[56]. "Il fenomeno della tossicodipendenza - scrive lo psichiatra V. Andreoli - l'insieme
di tre fattori: sostanza, consumatore, ambiente sociale in cui l'incontro tra sostanza e
consumatore si attua. Qualsiasi valutazione fatta ignorando uno di questi elementi conduce ad un
errore riduzionistico. Vi pu essere il riduzionismo farmacologico, quello psicologico ed infine
quello sociologico. Ognuno di questi atteggiamenti tende a minimizzare o neutralizzare le altre
componenti"[57].
Certamente, anche ridimensionando il determinismo genetico verso comportamenti anomali o
devianti, resta la percezione che la nostra libert sia probabilmente pi condizionata di quanto di
solito non si sospetti. Sappiamo che la libert umana una realt in via di definizione ed emerge
concretamente come frutto della dialettica fra determinazione e non determinazione, ma le
spinte deterministiche - dopo la scoperta della base genetica di tante inclinazioni e
comportamenti - operano ad un livello strutturalmente cos intimo e profondo da chiederci se
davvero si aprono spazi adeguati per l'esercizio della libert. L'ingegneria genetica costituisce
uno strumento molto potente per allargare le nostre conoscenze nel campo delle scienze della
vita, dall'embriologia, alla fisiologia, alla patologia. L'impiego delle sonde molecolari, permettendo
di riconoscere la sequenza e la posizione dei geni sui cromosomi, ha aperto la possibilit di
analizzare interi genomi (mappatura). L'obiettivo pi ambizioso la mappatura dell'intero
genoma umano normale e della individuazione delle principali alterazioni genetiche alla base di
patologie umane: a questo stupefacente progetto, detto progetto genoma, si stanno dedicando
decine di istituti di ricerca in tutto il mondo coordinati a livello internazionale[58]
Una forma estrema di riduzionismo, strettamente connesso con i progressi della genetica, dato
da una nuova disciplina, la sociobiologia[59]. Secondo la definizione data dal suo fondatore, E. O.
Wilson, la sociobiologia "lo studio sistematico delle basi biologiche di ogni forma di
comportamento sociale"[60]. Essa cerca di spiegare ogni comportamento, specialmente quello
sociale, sia degli animali, sia dell'uomo con le sole risorse della biologia in una prospettiva
evoluzionista che integra i dati della genetica e quelli dell'etologia. La biologia ci insegna che ogni
specie caratterizzata da un certo patrimonio genetico che viene trasmesso in modo invariante
alla progenie, ma, all'interno di una stessa specie e quindi nell'ambito di un'informazione
sostanzialmente omogenea, possono esistere genotipi che presentano leggere diversificazioni. Il
processo selettivo che sta alla base dell'evoluzione consiste sostanzialmente nella sopravvivenza
e nella riproduzione differenziale dei diversi genotipi: in un certo ambiente un certo genotipo
pu rivelare una maggiore idoneit biologica e quindi una migliore capacit di sopravvivenza e di
riproduzione.La selezione naturale, dunque, si riferisce primariamente alla sopravvivenza dei
geni e non alla sopravvivenza dell'individuo. Lasciando da parte le critiche di natura scientifica
mosse a Wilson e ai suoi seguaci, dal punto di vista filosofico il limite di fondo della sociobiologia
sta nel suo esasperato e programmatico riduzionismo: essa d un'importanza esclusiva agli
aspetti genetici dell'evoluzione sociale e sottovaluta gli aspetti extragenetici che, nella specie
umana, determinano invece quella seconda natura che la cultura.
Non sfugge al riduzionismo neppure la proposta, per altri versi affascinante, di Dawkins.
Correggendo l'idea di Wilson che la cosa pi importante dell'evoluzione sia il bene della specie
invece che il bene dell'individuo e quindi dei suoi propri geni, Dawkins ritiene "una qualit
predominante da aspettarsi in un gene che abbia successo un egoismo spietato. Questo egoismo
del gene provocher, in genere, egoismo nel comportamento dell'individuo ... Tuttavia esistono
circostanze speciali in cui un gene pu raggiungere le proprie mete egoistiche favorendo una

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forma limitata di altruismo a livello dei singoli animali"[61]. Egli d'altra parte ben conscio che
"una societ umana basata soltanto sulla legge del gene, una legge di spietato egoismo, sarebbe
una societ molto brutta in cui vivere"[62]. Per fortuna, per, anche se la natura biologica non
sempre ci aiuta, la nostra specie pu cercare di opporsi ai disegni dei geni egoisti. Infatti, accanto
ai replicatori naturali, i geni, sono apparsi, con l'uomo, replicatori culturali, detti da
Dawkins memi o unit di imitazione assunte per apprendimento (es. parole, teorie, norme,
melodie ecc) la cui evoluzione e diffusione pu essersi attuata in un certo modo perch
vantaggioso per lui. Forse Aristotele avr soltanto ancora due o tre dei suoi geni in viaggio per il
mondo, ma i suoi memi sono ancora molto diffusi nell'umanit e continuano a influenzare le
nostre scelte, giudizi, comportamenti. A ben guardare, tuttavia, gli esseri umani diventano cos
semplici supporti dei memi, come prima erano stati i supporti dei geni egoisti[63].
Una delle grandi sfide della genetica e delle discipline che ad essa si appellano sta in questa
riduzione di tutto l'agire umano alle leggi del vantaggio selettivo sia esso popolazionistico o
individuale e quindi nella difficolt di spiegare come la libert, cos apprezzata dai nostri
contemporanei, possa emergere e sopravanzare il determinismo del gene tiranno.


ANTROPOLOGIA E BIOLOGIA

Di fronte alle sfide del riduzionismo antropologico la filosofia cristiana afferma
la differenza dell'essere umano rispetto ad ogni altro essere e quindi la sua eccellenza assiologica,
come si legge in un famoso testo di Gaudium et Spes dedicato a descrivere i costitutivi dell'uomo:
Corpore et anima unus, homo per ipsam suam corporalem condicionem elementa mundi
materialis in se colligit ... Homo vero non fallitur, cum se rebus corporalibus superiorem agnoscit
... Interioritate enim sua universitatem rerum excedit[64].
"L'uomo uno nel corpo e nell'anima", egli uno e insieme duale perch, in quanto unitas
multiplex, totalit unificata, non riducibile n alla sua biologicit animale n alla sua razionalit.
Il pensiero cristiano, sin dai primi tentativi di pensare la fede da parte dei Padri, ha ritenuto
irrinunciabile l'affermazione dell'eccedenza dell'uomo rispetto alla sua base o dimensione o
componente biologica e materiale e ha trovato conveniente esprimere questa eccedenza
ricorrendo al theologoumenon dell'anima. La parola anima, da comprendersi in relazione con la
categoria biblica di imago Dei, prima ancora che rispondere a una categoria ontologica definita,
lo strumento linguistico appropriato per indicare la diversit dell'uomo e la sua eccedenza
costitutiva rispetto allo strato animale. Professare l'esistenza dell'anima umana quindi
un'affermazione della singolarit dell'uomo e costituisce un creditum che solo in seconda istanza
si tematizza razionalmente in uno scitum. L'eccedenza ontologica permetteva alla Tradizione
fondare con sicurezza l'eccellenza assiologica dell'uomo (sacralit della vita, in quanto vita di
persona, anima comeprincipium agendi e ratio essendi, dignit della persona).
Giovanni Paolo II nell'enciclica Veritatis splendor insegna, collocandosi nell'orizzonte della
filosofia aristotelico-tomista, che "l'anima spirituale e immortale il principio di unit dell'essere
umano, ci per cui egli esiste come un tutto - "corpore et anima unus" - in quanto persona.
Queste definizioni non indicano solo che anche il corpo, al quale promessa la risurrezione, sar
partecipe della gloria; esse ricordano altres il legame della ragione e della libera volont con
tutte le facolt corporee e sensibili"[65].
Non si pu dire che l'uomo possieda un corpo od uno spirito o che l'uomo sia uno spirito che usa
un corpo: l'uomo corporeo, l'uomo uno spirito incarnato. Perci il suo corpo non semplice
corpo oggettuale (Krper), ma corpo di una persona, corpo vissuto (Leib) condizione stessa
dell'esistere personale ed epifania della persona stessa [66]. Il rapporto del soggetto umano con

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il suo corpo complesso e non pu essere descritto in modo strumentale o possessivo, secondo
una lettura oggettuale della formula anima utens corpore, per neanche la formula antropologica
secondo la quale " l'uomo il suo corpo" pu essere accettata senza spiegazioni. "L'uomo anche
pi del suo corpo; vivendolo lo trascende. Questa trascendenza non comporta, almeno nella
classica visione tomista dell'uomo, alcun dualismo di anima e di corpo: l'essere uomo
caratterizzato da una specifica "unitotalit". Pur sperimentando una certa tensione tra queste
due dimensioni del suo esistere, egli sempre e insuperabilmente unit di spirito e di corpo, in
ognuna delle sue decisioni e delle attivit con cui realizza se stesso, agisce nel mondo e comunica
con gli altri"[67].
Secondo l'interpretazione tomista, che in questo punto molto si differenzia dall'impostazione
genuinamente aristotelica[68], il composto umano, come ogni altra sostanza, deriva l'actus
essendi dalla sua forma, che per l'uomo una sostanza spirituale, l'anima, a sua volta attuata da
un atto di essere. L'anima riceve l'esse mediante l'opera creatrice di Dio e partecipa il suo essere
al corpo o, meglio, riceve il corpo nella comunione del suo stesso atto di essere. L'anima, in
quanto forma sostanziale, non viene ad informare un corpo di per s individuato, perch, essendo
una forma in senso stretto, essa destinata ad informare non un determinato corpo, ma la
materia prima. "Cos si afferma - spiega Karl Rahner - che ci che noi chiamiamo corpo non altro
che l'attualit dell'anima stessa nell'altro della materia prima, l'alterit autooperata dell'anima
stessa, come sua espressione e simbolo"[69]. In tal modo viene salvaguardata sia la originalit
ontologica del composto umano rispetto ad ogni modalit di esistenza creata, sia l'unit del
composto umano, che risulta attuato da un unico atto di essere, sia infine l'immortalit
dell'anima, vale a dire l'eccedenza ontologica della persona rispetto alla corruttibilit legata alla
mondanit e alla temporalit.
Alcune delle pagine pi penetranti sul rapporto fra spirito-materia, rapporto che soggiace senza
identificarvisi del tutto alle discussioni antropologiche della tradizione filosofica su anima e
corpo, sono state scritte da K. Rahner, che pi volte tornato sull'argomento[70]. Egli parte da
una analisi ontologica sulla natura del simbolo che gli permette di definire il corpo come un
simbolo, una espressione, una autoattuazione dell'anima, per cui ci che noi diciamo corpo non
altro che l'attualit dell'anima stessa nella materia prima, materia prima che viene da lui
identificata con la vuota spazio-temporalit; "il corpo gi spirito, colto nel momento in quel
momento dell'autoattuazione in cui la spiritualit personale perde se stessa allo scopo di poter
incontrare, in maniera diretta e tangibile, il diverso da s"[71]. Dialetticamente, quindi, la non
identit dell'anima e del corpo (quella che potrebbe dirsi la dualit), dipende in ultima analisi
dall'unit di spirito e di materia nell'uomo, per cui la materia gi spirito e lo spirito ha la
materia come momento costitutivo intrinseco.
Nella prospettiva dell'unit vigente fra spirito e materia possibile cogliere il senso della vita
corporea per la persona nella sua totalit. La struttura biologica fondamentale della persona
umana , al pari di ogni altro vivente, di tipo organismico. Il medium fra vita personale
integralmente presa e vita biologica, in un'antropologia realista come quella cristiana, dato
appunto dalla nozione di organismo autoorganizzato che abbiamo introdotto parlando della vita
in generale[72]. Dall'inizio della vita organismica di ciascuna unit biologica individuale sino alla
sua disgregazione irreversibile in quanto unit organizzata, si svolge la vita della persona[73].
In un organismo complesso come quello umano, il compito di mantenere l'adeguata unit
organizzativa svolto nelle fasi embrionali dal genoma e dai sistemi di comunicazione
intercellulare, cui subentra progressivamente l'encefalo (cervello, tronco e cervelletto) nonch -
insieme con esso e in via gerarchicamente subordinata - il sistema immunitario e il sistema
endocrino. Esiste perci una piena simmetria fra l'inizio della vita al concepimento, con la
comparsa dell'unit autorganizzata dello zigote, e la fine della vita, con la scomparsa delle unit

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autorganizzata, indipendentemente dalle strutture anatomo-fisiologiche preposte al


mantenimento di quello specifico livello organizzativo[74].
La dottrina tomista permette di comprendere e giustificare razionalmente la nozione biologica di
vita e di morte in quanto mantenimento e perdita irreversibile, rispettivamente, dell'unit
funzionale di un oggetto naturale, e di spiegare in modo soddisfacente e non dualista il rapporto
intercorrente fra il mantenimento di questa organizzazione e la presenza dell'anima spirituale e
quindi fra mantenimento della funzionalit organismica e presenza personale[75]. Secondo
Tommaso, l'insieme degli spiriti corporei costituisce la causa dispositiva per cui un organismo
animale diviene un tutto. Essi, come totalit unica, sono il principio che dispone in unit le singole
membra in relazione al tutto vivente (causa dispositiva attiva): in virt di tale capacit unificante
le parti diventano organi di un corpo in potenza alla vita[76]. Nei confronti dell'unione dell'anima
al corpo essi costituiscono invece la causa dispositiva passiva, dal momento che l'organismo
biologicamente umano offre la materia apte disposita ad essere informata dall'anima spirituale
ovvero ladispositio passiva all'animazione[77]. L'anima infatti destinata al corpo ed atta ad
unirsi, come unica forma corporis, alla materia prima (unibilitas). Questa unione per possibile
solo se si realizza un substratum biologico adeguato, capace cio di agire come un tutto, e la
stessa unione viene meno e ne consegue la morte della persona se viene meno la causa
dispositiva passiva, cio l'unit organica operata dagli spiriti corporei, tale unione diventa
impossibile. La nozione di causa dispositiva spiega egregiamente il rapporto fra inizio della vita
della persona e infusio dell'anima spirituale e fine della vita della persona e secessio dell'anima
spirituale dal corpo[78].
Nel definire la persona, la filosofia cristiana evita sia le impostazioni naturalistiche o attualistiche,
che legano il riconoscimento di una presenza personale alla verifica di caratteristiche
semplicemente animali (come la percezione del dolore) o ritenute qualificanti per l'essere umano
(come l'autocoscienza o la relazionalit), sia le impostazioni anti-naturaliste che non ritengono
rilevanti i dati biologici per definire lo statuto ontologico dell'essere umano e rifiutano l'idea che
si possa ancorare lo statuto etico della persona su qualsiasi dato empirico.
Il personalismo ontologico non sottovaluta la rilevanza del dato biologico, ma ricerca una
determinazione sostanziale e non attualistica dell'essere persona. In questa ottica i signa
personae non sono trascurati, ma si ritiene che l'essere persona o anche, se si vuole, il diventare
persona non possono essere argomentati sulla base dei dati empirici, ma all'interno di una
concezione dell'essere e dei suoi gradi di perfezione.
Ci muoviamo lungo la linea classica che non si accontenta di una definizione nominale o
convenzionale di persona, n di una descrizione delle sue operazioni, ma tenta di coglierne
l'elemento costitutivo, di raggiungerne l'ultima verit e la radice essenziale. La persona possiede
un suo actus essendi che la rende ontologicamente incomunicabile e insieme possiede una
comunicabilit intenzionale nell'ordine dell'operare, cio una apertura trascendentale al
conoscere, all'amare, al dialogare, al Tutto. Boezio, in questa prospettiva, aveva definito la
persona rationalis naturae individua substantia, e con lui Riccardo di san Vittore rationalis
naturae individua existentia e soprattutto san Tommaso individuum subsistens in rationali natura.
Possiamo enucleare dalle definizioni due elementi essenziali nel costituire la persona:
l'individualit sussistente e la natura razionale o spirituale.
Tommaso spiega che "individuum autem est quod est in se indistinctum, ab aliis vero distinctum"
e ne conclude che persona ci che in una certa natura distinto, per cui, parlando della natura
umana, "persona ... significat has carnes, et haec ossa, et hanc animam, quae sunt principia
individuantia hominem"[79]. Il personalismo ontologico infatti non trascura il livello somatico,
ma anzi lo presuppone, perch la sostanza individuale umana anche corporea: l'individualit
biologica, a partire dal momento in cui si stabilisce, entra a costituire l'individualit personale

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dell'individuum subsistens. Nello stesso tempo, per, il personalismo ontologico riesce a cogliere
aspetti pi vasti e intimi del semplice essere umano biologico perch intravede nella individualit
biologica radicarsi la profondit della persona. la proposta di una antropologia integrale che
comprende e insieme trascende il semplice livello biologico, superando le secche del
riduzionismo ed aprendosi ad una comprensione adeguata della persona.
In questo modo di concepire la persona, l'essere umano (assunto in senso biologico)
indissociabile dall'essere persona(l'essere umano in senso metafisico) nel rispetto delle
distinzioni frai diversi livelli o strati dell'esistente concreto. Si pu parlare, con P. Prini, di
un personalismo biologico o - forse meglio - ontobiologico, in cui l'orizzonte biologico integrato
da una ontologia relazionale cos che "ci che costituisce l'essenza dell'uomo come persona ...
coestensivo, nella sua vicenda terrena, all'intera storia del suo organismo vitale"[80].


VALENZA ETICA DEI DINAMISMI BIOLOGICI

Una conseguenza importantissima dell'unitotalit della persona che l'integrit e i dinamismi
biologici del corpo umano non sono indifferenti dal punto di vista etico. In base all'antropologia
cristiana, "le inclinazioni naturali acquistano rilevanza morale solo in quanto esse si riferiscono
alla persona umana e alla sua realizzazione autentica, la quale d'altra parte pu verificarsi
sempre e solo nella natura umana"[81]. La legge naturale di cui parla la teologia cattolica non
detta naturale in riferimento alla natura biologica che accomuna l'uomo con gli altri viventi, ma in
riferimento alla natura della persona umana, "che la persona stessa nell'unit di anima e di
corpo, nell'unit delle sue inclinazioni di ordine sia spirituale sia biologico e di tutte le altre
caratteristiche specifiche necessarie al perseguimento del suo fine"[82]. La norma morale si
fonda ultimamente sulla persona, perch il bene da perseguire o conservare un bonum
humanum, il bene colto dalla persona e nella persona come apertura alla piena autorealizzazione.
Come appare chiaramente in tema di regolazione artificiale della natalit e di fecondazione
artificiale, il criterio di liceit di questi e di altri interventi sulla vita dato dalla tutela del bene
umano autentico e quindi dalla salvaguardia dei valori umani essenziali, includendo tra questi
anche i valori corporei perch "nell'uomo non possibile scindere il biologico dall'umano"[83].
Fermo restando questo principio, ci si chiede tuttavia, di fronte ad alcune tecnologie innovative,
dove finisca un legittimo e talvolta doveroso aiuto alla natura (adiuvatio naturae) e dove inizi una
inaccettabile sostituzione di essa (substitutio naturae).
Gi Platone, nel Protagora, aveva sottolineato che l'uomo, essendo la creatura pi inerme e
sprovvista di risorse naturali, ha bisogno di sviluppare la sua tchne[84], che dunque da
ritenersi conseguenza dell'indigenza dell'uomo, ma anche espressione della sua superiorit
ontologica su ogni altra creatura terrestre. In linea con questa tradizione di pensiero, ma con la
consapevolezza propria dell'uomo moderno, Jos Ortega y Gasset, nella Meditacin de la tcnica,
indicava nella tecnica il mezzo per la liberazione dell'uomo dai vincoli e dalle servit naturali e
per il dispiegarsi delle sue infinite possibilit. Per merito della tecnica l'uomo pu occuparsi di se
stesso e dedicarsi ad una serie di realizzazioni non biologiche, che non sono imposte dalla natura,
che egli inventa per s[85]. Innestandosi sul discorso di J. Ortega y Gasset e di P. Alsberg[86], A.
Gehlen afferma che la tecnica necessaria all'uomo per la sue stesse carenze biologiche, perch
l'uomo un essere carente (Mngelwesen), privo di una forma data una volta per tutte, privo,
rispetto agli animali, di specializzazioni, privo di un ambiente (Umwelt) che gli sia naturalmente e
istintivamente corrispondente[87]. L'uomo naturalmente un essere tecnico, in quanto per la
sua natura biologica portato a modificare il mondo (Welt) che trova di fronte a s, secondo una
sua progettualit e secondo i suoi bisogni e desideri. Questa plasticit umana nei confronti del

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mondo, questa capacit di riorientarsi e ripensarsi, permette all'uomo di superare la sua innata
incompiutezza e, appropriandosi del mondo, appropriarsi di se stesso.
Il concetto di plasticit, introdotto da Gehlen in aperta polemica con l'antropologia di ispirazione
etologica elaborata da K. Lorenz, non si sottrae a una domanda di capitale importanza per il
nostro tema. L'uomo, sin dagli albori della sua presenza sulla Terra, ha dimostrato di essere la
creatura pi plasmabile a livello comportamentale, capace di adattarsi a situazioni ambientali
nuove e a lui sfavorevoli, modificando opportunamente le sue abitudini e intervenendo con
tecniche pi o meno sofisticate sull'ambiente per renderlo pi vivibile e sicuro. Tale
sorprendente capacit di immaginare, progettare e rendere diversi da come sono il mondo e
anche se stessi, riconducibile (ma non riducibile) all'incredibile plasticit del sistema nervoso
centrale umano, costituisce uno dei tratti etologicamente distintivi dell'uomo rispetto agli altri
animali, al punto tale che ci si chiesti se l'uomo abbia una natura nel senso in cui la possiedono
gli altri viventi, o se la sua natura sia di non avere una natura data, ma essere la creatura
sempre in fieri.
L'uomo, afferma J. M. Buchanan in sintonia con la tradizione empirista, l'essere che capace di
diventare differente; mentre l'animale naturale, l'uomo insieme naturale e artificiale
(artifactual) o, meglio un animale artificiale legato da condizionamenti naturali. "Noi - egli scrive
- siamo e saremo, almeno in parte, quello che noi faremo essere noi stessi. Noi costruiamo i nostri
esseri, anche se entro limiti"[88]. I limiti entro i quali ci autocostruiamo sono biologici e culturali,
individuali e sociali, e questi limiti o dati sono l'equivalente di quello che per un animale la
natura, cos che "nella misura in cui gli individui sono rigidamente vincolati da regole di condotta
i modelli di comportamento sviluppati culturalmente, questi elementi entrerebbero a far parte
dell'uomo naturale o, per meglio dire, dell'uomo non artificiale"[89].
Non possiamo addentrarci nella vexata quaestio del rapporto fra natura e cultura nollo
strutturare l'uomo, ma chiaro che le diverse precomprensioni antropologiche si riflettono
drammaticamente nel giudizio da dare su alcune applicazioni biomediche nel campo della vita e
della salute umana, come l'ingegneria genetica applicata all'uomo, la fecondazione in vitro, la
selezione embrionale. Ci si chiede, in pratica, se la progettualit e la plasmabilit dell'uomo
includano anche le strutture e i dinamismi corporei e, in caso di risposta affermativa, in quale
misura. Si scontrano qui due concezioni antropologiche opposte: da una parte la tendenza a
considerare il corpo umano come un oggetto biologico grezzo, un dato naturale, ancora avulso
dalla sfera della umanit, ma capace di diventare umanamente significante se investito di un
progetto e di un senso; dall'altra la tendenza a riconoscere al corpo una sua consistenza, una sua
finalizzazione indipendentemente e previamente all'essere inserito in un progetto, prima cio di
una qualsiasi appropriazione di esso da parte del soggetto. Nel primo caso il corpo sar di per s
disponibile, trovandosi i limiti a questa disponibilit in motivi estranei al corpo, come, per
esempio, nel diritto di autonomia del soggetto. Nel secondo caso il corpo potr essere giudicato
disponibile, ma solo nella misura in cui lo consente la salvaguardia del naturale biologico, assunto
come normativo: all'interno di questa posizione si collocano anche i diversi biologismi.
Se alcuni infatti rivendicano la totale autonomia della libert dalle dimensioni somatiche della
persona e il diritto di manipolare secondo i propri bisogni e i progetti la vita, sino a poterne
programmare l'inizio e la fine, altri, all'interno di una concezione dell'etica di ascendenze
sociobiologiche, professano un autentico biologismo perch ritengono che la regola etica sia
il naturam sequi, intendendo la natura in modo strettamente scientifico e descrittivo, per cui tutto
ci che accade in natura pu essere assunto come guida e giustificazione per l'agire umano[90].
La prospettiva biologica ed evoluzionista, che tenta di risolvere la vita morale in termini di
selezione e competizione darwinistica, ribalta il dato empirico in norma etica e con
questo cortocircuito metaetico cade in una vera fallacia naturalista. L'essere

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oggettivistico studiato dalle scienze, per le opzioni gnoseologiche sottese, un essere povero,
colto nella sua fattualit empirica, un essere svuotato di densit ontologica per il quale vale la
famosa aporia di D. Hume (1711-1776) segnalante l'impossibilit di passare da
questo essere espropriato a un corrispondente dover essere, dai giudizi di fatto, a conseguenti
giudizi di valore[91].
L'etica cattolica, pur nelle sue diverse declinazioni, riconosce la valenza etica delle strutture
naturali, ma prende accuratamente le distanze dal naturalismo o dal biologismo, dal momento che
la natura di cui si parla una natura compresa e interpretata attraverso la mediazione
antropologica: la natura della persona. La legge morale naturale, che la legge della creatura
ragionevole, trascende il dato empirico e quindi il biologico, ma allo stesso tempo lo implica e non
pu eluderlo, perch non si pu separare la persona dalla natura n opporle antiteticamente.
L'uomo infatti una realt pluridimensionale o pluristratificata, una realt complessa nella quale
si correlano in mutua pericoresi natura e persona, la dotazione comune di strutture e dinamismi
dati e la singolarit irripetibile del soggetto[92]. Da tale pericoresi fra natura e persona discende
la grande rilevanza dei risultati delle scienze della natura per orientare e delimitare il processo
interpretante e, in dipendenza da questo, la normativit. Il criterio etico per qualsiasi intervento
sull'uomo non sar infatti da ricercarsi nella natura come semplice datum, ma nella persona
compresa nella sua complessa articolazione ontologica.
La persona esiste nella sua natura biologica, la singolarit della persona sussiste nella ripetitivit
della natura e il corpo rappresenta il punto di convergenza e di incontro di queste diverse
dimensioni dell'esistere umano. La stessa percezione di s come soggetto, quel senso dell'identit
personale che costituisce l'asse portante del nostro mondo interiore, quella originaria
autocomprensione di s come distinti da altri e quindi liberi, si sviluppa attraverso la coscienza
del proprio corpo. Il corpo, che biologicamente datum, viene vissuto, compreso e interpretato e
si dischiude nella autotrascendenza della persona come singolarit incomunicabile che si apre
all'alterit e come libert che si attua nella storicit. In tale prospettiva, l'integrit
biologica diventa eticamente rilevante come condizione dell'identit personale: l'uguaglianza,
connessa con la natura biologica, si trova a svolgere il compito di assicurare la singolarit
personale per cui - conclude K. Demmer - "una disuguaglianza creata artificialmente corre al
contrario il pericolo di sminuire i naturali presupposti della libert, sia interni che esterni,
introducendo vincoli che sono d'impedimento al prodursi pieno della singolarit personale"[93].
Potremmo dire perci che ogni atto che coinvolge i processi naturali pu diventare un'invasione
dello spazio intangibile della persona nella sua uguaglianza e nella sua singolarit e tradursi in un
dominio non sulla natura, ma sull'uomo.
Se il corpo un corpo compreso e interpretato, se la natura rivela la sua normativit soltanto
attraverso comprensione e interpretazione, si deve certamente ammettere una immanente
plasmabilit del corpo, una intrinseca disposizione del corpo umano a corrispondere alla
singolarit interpretante. Tale plasmabilit dovr per comporsi con la tutela dell'integrit e, in
ultima analisi, dell'identit personale: i dati corporei sono flessibili, ma non indefinitamente e
sarebbe contraddittorio se un uomo, per attuare la sua soggettivit, si autonegasse nella propria
identit essenziale attraverso unvulnus all'integrit corporea o addirittura alla sua sussistenza.
Ogni intervento sull'uomo sar dunque un interpretare sensato se rispetter la verit integrale
della persona, la sua uguaglianza e la sua singolarit, il datum e l'unicum, se riconoscer insomma
la sua eccedenza e rispetter la sua eccellenza.

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[1] Della sterminata letteratura sull'origine della vita, vedere per esempio: DAVIES P., Da dove
viene la vita, Mondadori, Milano 2000.
[2] Sull'evoluzionismo dal punto di vista scientifico: FUTUYMA D. J., Evolutionary Biology,
Sinauer, Sunderland 1998; RIDLEY M., Evolution, Blackwell, Cambridge 1966; WILLIAMS G.
C., Adaptation and Natural Selection, Princeton 1966.
[3] Sulla controversa questione dell'evoluzione umana, vedere l'intervento di mons. F. Facchini.
Cfr. FACCHINI F., Evoluzione, uomo e ambiente. Lineamenti di antropologia, UTET, Torino 1988;
ID., Le origini dell'uomo, Jaca Book, Milano 1990.
[4] WILSON E. O., Consilience, Alfred Knopf, Nw York 1998 (trad it. L'armonia meravigliosa. Dalla
biologia alla religione, la nuova unit della conoscenza, Mondadori, Milano 1999, 4-5).
[5] Non entriamo nella questione se l'arch degli ionici sia da intendersi in senso riduzionista e
quindi si tratti del rimando a un principio strutturale che costituisce il tessuto portante del reale o
se non si tratti piuttosto della ricerca di unprincipio metafisico che possa render conto del reale
stesso.
[6] Per la classificazione dei riduzionismi: SEARLE J. R., The Rediscovery of Mind, MIT Press,
Cambridge (Mass.) 1992 (trad. it. La riscoperta della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1994, 128-
130). L'espressione "nothingbuttery theory" si trova in: MACKAY D. M., Information, Mechanism
and Mind, Cambridge (Mass.) 1969.
[7] C' discussione sulle regole di conversione, ma sono usualmente accettate le due condizioni di
E. Nagel: la prima che ogni termine della teoria ridotta deve essere definito per mezzo dei
termini della teoria riducente e la seconda che ogni proposizione della teoria ridotta deve poter
essere derivata da un insieme di proposizioni della teoria riducente. Cfr. NAGEL E., The Meaning
of Reduction in the Natural Sciences, in STAUFER R. T. ed., Science and Civilisation, 1949, 99-138;
ID., The Structure of Science, New York 1961, 345-349.
[8] FORNERO G., Riduzione, in ABBAGNANO N., Dizionario di filosofia, Torino 19983, 934.
[9] SEARLE J. R., La riscoperta, 128.
[10] Questo spiega l'opzione riduzionista di filosofie nativamente antimetafisiche come
l'empirismo, il sensismo, il positivismo e il neopositivismo.
[11] Presentazioni sintetiche della filosofia della vita: BASTI G., Filosofia dell'uomo, Studio
Domenicano, Bologna 1995, 105-196; LUCAS LUCAS, L'uomo spirito incarnato. Compendio di
filosofia dell'uomo, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1993, 29-48; LA VERGATA A., Filosofia e
biologia, in ROSSI P. dir., La filosofia, vol. 2, Torino 1995, 99-182 (soprattutto 151-169); MUNSON
R., Meccanicismo e vitalismo, in Enciclopedia del Novecento, vol. 4, Roma 1988, 65-76; VANNI-
ROVIGHI S., Elementi di filosofia, vol. 3, La Scuola, Brescia 1963, 73-104.
A prescindere dal valore intrinseco delle due posizioni, dal punto di vista teologico tanto il
meccanicismo quanto il vitalismo sono compatibili con la fede nelle creazione e con una apertura
alla trascendenza, anche se spesso l'interpretazione meccanicista della vita si inscrive in una
visione materialista e antispiritualista.
[12] DESCARTES R., Trait de l'homme (1664), in Oeuvres et lettres de Descartes, Paris 1952, 873.
Sul meccanicismo cartesiano, vedere: BONICALZI F., Il costruttore di automi. Descartes e le ragioni
dell'anima, Jaca Book, Milano 1987.
[13] CRICK F., Of Molecules and Men, Seattle-London 1966 (trad. it. Uomini e molecole. morto il
vitalismo?, Bologna 1970, 10).
[14] Cfr. SIMPSON G. S., This View of Life, New York 1963. In questa linea l'emergentismo
materialista di A. I. Oparin, di J. B. S. Haldane, di M. Prnant.

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[15] MONOD J., Le hasard et la ncessit. Essai sur la philosophie naturelle de la biologie moderne,
Paris 1970 (trad. it.Il caso e la necessit. Saggio sulla filosofia naturale della biologia
contemporanea, Mondadori, Milano 1970).
[16] PRIGOGINE I., Dall'essere al divenire, Torino 1986.
[17] Cfr. DRIESCH H., Der Vitalismus als Geschichte und als Lehre, Leipzig 1905, 109: "La vita non
... una connessione speciale di eventi inorganici; la biologia, pertanto, non un'applicazione
della chimica e della fisica. La vita qualcosa di diverso, e la biologia una scienza indipendente".
[18] Cfr. ELSASSER W. M., Atom and Organism, Princeton (NJ) 1966; POLANYI M., Life's
Irreducible Structure, "Science" 160 (1968), 1308-1312.
[19] CASSIRER, Storia della Filosofia Moderna, vol. 4/1, Torino 1978, 326.
[20] MELINA L., Questioni epistemologiche relative allo statuto dell'embrione umano, in
PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Identit e statuto dell'embrione umano, Editrice Vaticana, Citt
del Vaticano 1998, 88.
[21] Un tentativo molto interessante per caratterizzare la vita dal punto di vista
dell'organizzazione la teoria dell'autopoiesi: MATURANA H., VARELA F., De maquinas y seres
vivos. Una teoria sobra la organizacin biolgica, Editorial Universitaria, Santiago1972 (trad.
it. Macchine ed esseri viventi. L'autopoiesi e l'organizzazione biologica, Astrolabio, Roma 1992);
IID., The Tree of Knowledge: The Biological Roots of Human Understanding, Boston 1988.
[22] Sui singolari aspetti termodinamici del vivente, vedere il classico: SCHRDINGER E., What is
Life? The Physical Aspects of the Living Cell, Cambridge University Press, Cambridge 1944 (trad.
it. Che cos' la vita?, Adelphi, Milano 1995). Cfr. MURPHY M. P., O'NEILL L. A. J. eds, What is Life?
The Next Fifty Years. Speculations on the Future of Biology, Cambridge University Press,
Cambridge 1995. Lo stato di equilibrio termodinamico per un vivente corrisponde, infatti, alla
morte dell'individuo biologico: quando infatti un corpo morto, non produce pi calore col
metabolismo, si pone in equilibrio con la temperatura ambientale e si raffredda.
[23] ARISTOTELE, De anima, II, 1, 403 b 16.
[24] Cfr. TOMMASO D'AQUINO, De potentia, q. 10, a. 1: "Est autem duplex operatio. Quaedam
quidem transiens ab operante in aliquid extrinsecum ... Alia vero est operatio non transiens in
aliquid extrinsecum, sed manens in ipso operante ... Primum autem operationum genus commune
est viventibus et non viventibus; sed secundum operationum genus est proprium viventis".
[25] BASTI G., Filosofia dell'uomo, 113. Uno di pi affascinanti tentativi di dare "una
interpretazione ontologica dei fenomeni biologici" in: JONAS H., The Phenomenon of Life. Toward
a Philosophical Biology, New York 1966 (trad. it.Organismo e libert. Verso una biologia filosofica,
Torino 1999, cit. pag. 3).
[26] La forma sostanziale di ogni vivente detta anima dagli Antichi, ma i Moderni riservano
questo nome all'anima umana. Con l'eccezione dell'anima umana, le forme sostanziali degli enti
corporei si corrompono con la corruzione delle parti materiali che esse organizzano.
[27] Cfr. TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 18, art. 3 in corpore.
[28] Secondo Tommaso possibile passare dalla materia inerte alla pi semplice materia vivente
per generazione spontanea perch la causalit generale, derivante da Dio attraverso le cause
seconde (i cieli della cosmologia medievale), pu produrre il salto ontologico nella materia, se
questa gi disposta ad accogliere la formalit sopravveniente. Cfr. S. Th. I, q. 91, art. 2, ad 2:
"Sufficit autem virtus caelestium corporum ad generandum quaedam animalia imperfectiora ex
materia disposita" (cfr. S. Th. I, q. 45, art. 8, ad 3; I, q. 71, art. un., ad 1).
[29] FREUD S., Una difficolt della psicanalisi, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1976, vol.
8, 660.
[30] BERNARD C., Introduction l'tude de la mdecine exprimentale, Paris 1865. Cfr.
FEDERSPIL G., SCANDELLARI C., L'evoluzione storica della metodologia in medicina, "Federazione

66

Medica" 44 (1991), 481-490; GRMEK, M. D.,Raisonnement exprimentale et recherches


toxicologiques chez Claude Bernard, Paris-Genve 1973 (trad. it. Psicologia ed epistemologia nella
ricerca scientifica. Claude Bernard: le sue ricerche tossicologiche, Milano 1976).
[31] CHANGEUX J.-P., L'homme neuronal, Librairie Arthme Fayard, Paris 1983 (trad. it. L'uomo
neuronale, Feltrinelli, Milano 1983).
[32] Cfr. CHURCHLAND P. M., Matter of Conscioussness. A Contemporary Introduction to the
Philosophy of Mind, MIT Press, Cambridge (Mass) 1984; CHURCHLAND P. S., Neurophilosophy.
Toward a Unified Science of the Mind-Brain, MIT Press, Cambridge (Mass) 1986.
[33] Si veda, in questo senso: CRICK F., The Astonishing Hypothesis. The Scientific Search for the
Soul, Touchstone/Simon and Schuster, New York 1994 (trad. it. La scienza e l'anima, Rizzoli,
Milano 1994).
[34] CHALMERS D. J., The Puzzle of Conscious Experience, "Scientific American" 273 (1995), 80-
86.
[35] DENNETT D., Consciousness Explained, Little, Brown and Company, Boston 1991 (trad.
it. Coscienza. Che cosa , Rizzoli, Milano 1993); ID., Kinds of Minds (trad. it. La mente e le menti.
Verso una comprensione della coscienza,Milano1997).
[36] DAMASIO A. R., Mente, coscienza e cervello, "Le Scienze" 63 (1999), 101.
[37] ECCLES J. C., POPPER K. R., The Self and its Brain, Berlin- New York 1977 (trad. it. L'io e il
suo cervello, Roma 1981); ECCLES J. C., Evolution of the Brain. Creation of the Self, Routledge-
London-New York 1989 (trad. it. Evoluzione del cervello e creazione dell'io, Roma 1990).
[38] PENROSE R., The Emperor's New Mind.. Concerning Computers, Minds, and the Laws of
Physics, Oxford University Press, Oxford 1989 (trad. it. La mente nuova dell'imperatore, Rizzoli,
Milano 1992); ID., Shadows for the Mind. An Approach to the Missing Science of Conscioussness,
Oxford 1994 (trad. it. Ombre della mente. Alla ricerca della coscienza, Milano 1996).
[39] PUTNAM H., Minds and Machines, in HOOK S. ed., Dimensions of Mind, New York 1960.
[40] CHURCHLAND P., SEJNOWSKI T. R., The Computational Brain. Models and Methods on the
Frontiers of Computational Neuroscience, MIT Press, Cambridge (Mass) 1992 (trad. it. Il cervello
computazionale, Il Mulino, Bologna 1995); EDELMAN G. M., Neural Darwinism. The Theory of
Neuronal Group Selection, Basic Books, New York 1987 (trad. it. Darwinismo neurale: la teoria
della selezione dei gruppi neurali, Einaudi, Torino 1996).
[41] Il problema del S viene tradizionalmente risolto postulando l'esistenza di
un homunculus pensante che sarebbe il soggetto ultimo dell'autocoscienza, ma questo sposta il
problema dal cervello all'homunculus e non tiene in nessun conto il ruolo della corporeit e delle
emozioni nell'elaborazione intellettuale. Cfr. DAMASIO A. R., Descartes' Error, Emotion, eason and
the Human Brain, Grosset-Putnam, New York 1994 (trad it. L'errore di Cartesio. Emozione, ragione
e cervello umano, Adelphi, Milano 1996).
[42] Cfr. DAMASIO A. R., The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of
Consciuosness, Harcourt Brace 1999; EDELMAN G. M., Bright, Air, Brilliant Fire. On the Matter of
the Mind, Basic Books, New York 1992 (trad. it.Sulla materia della mente, Adelphi, Milano 1993);
KOSSLYN S., Image and Brain. The Resolution of the Imagery Debate, Boston 1994.
Partendo dal presupposto che l'autocoscienza autorappresentazione, si riduce un problema
metafisico a un problema gnoseologico. L'autocoscienza invece frutto della reditio completa
dello spirito, resa possibile proprio perch lo spirito , per definizione, immateriale e inesteso.
Per lo sviluppo dell'argomento si veda: BASTI G.,. Il rapporto mente-corponella filosofia e nella
scienza, Studio Domenicano, Bologna 1991, 23-61.
[43] Sull'uso delle metafore: KUHN T. S., La metafora nella scienza, Milano 1983.
[44] BASTI G., Il rapporto mente-corpo, 106. 265.

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[45] Sulla storia del rapporto uomo-animale: BONDOLFI A., Rapporti uomo-animale. Storia del
pensiero filosofico e teologico, "Rivista di Teologia Morale" 21 (1989), 57-77; 107-123 (ricca
selezione bibliografica); CASTIGNONE S., LANATA G. curr., Filosofi e animali nel mondo antico,
Pisa 1994.
[46] Il tema del dominium terrae di solito connesso con la superiorit ontologica dell'uomo,
creato a immagine del Signore: CONIGLIARO F., L'interpretazione del dominium terrae, in PUCCI
R., RUGGIERI G. curr., Inizio e futuro del cosmo: linguaggi a confronto, Cinisello Balsamo (Milano)
1999, 167-201; KROLZIK U., Die Wirkungsgeschichte von Genesis 1, 28, in ALTNER G.
cur., kologische Theologie. Perspektiven zur Orientierung, Kreuz Verlag, Stuttgart 1989, 149-163
(trad. it. "Dominium terrae". Storia di Genesi 1, 28, "Rivista di Teologia Morale" 22 (1990), 257-
267). Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, n. 42, in AAS 87 (1995), 446.
[47] Si noti, per, che il macchinismo cartesiano stato recentemente rivisitato: COTTINGHAM, A
Brute to the Brutes? Descartes and the Treatment of Animals, "Philosophy" 53 (1978), 551-558.
MARCIALIS M. T., La questione dell'anima delle bestie ovvero la razionalit senza soggetto, "Rivista
di Storia della Filosofia" (1993), 83-100.
[48] Per un primo approccio: BATTAGLIA L., Etica e diritti degli animali, Roma-Bari 1997;
CASTIGNONE S. cur., I diritti degli animali. Prospettive bioetiche e giuridiche, Bologna 19882;
REGAN T., P. SINGER eds., Animal Rights and Human Obligations, Englewood Cliffs 1976 (trad.
it., Diritti animali, obblighi umani, Torino 1987); SINGER P. ed., In Defence of Animals, Oxford 1985
(trad. it. In difesa degli animali, Roma 1987).
[49] Cfr. ALLEN C., BEKOFF M., Il pensiero animale, Milano; DENTON D., The Pinnacle of Life.
Consciousness and Self-Awareness in Humans and Animals, St. Leonards (Australia) 1993; GRIFFIN
D. R., The Question of Animal Awareness, New York 1976 (trad. it. L'animale consapevole, Torino
1979); VALLORTIGARA G., Altre menti. Lo studio comparato della cognizione animale, Bologna
2000.
[50] Questa posizione stata sviluppata in due studi molto discussi: RACHELS J., Created from
Animals. The Moral Implications of Darwinism, Oxford-New York 1990 (trad. it. Creati dagli
animali. Implicazioni morali del darwinismo, Milano 1996); SINGER P., Rethinking Life and
Death 1995 (trad. it. Ripensare la vita. La vecchia morale non serve pi, Milano 1996).
[51] Una sintesi storico-teologica: MOLARI C., Darwinismo e teologia cattolica, Roma 1984. Si
veda il numero monografico di "Concilium" 36 (2000), 1 su Evoluzione e fede. Il 24- 10-1996, il
Santo Padre ha inviato una Lettera allaPontificia Accademia delle Scienze che contiene
un'apertura all'evoluzionismo moderato. Si vedano i commenti: MURATORE S., Magistero e
darwinismo, "Civilt Cattolica" 148 (1997), I, 141-145; VILLANUEVA J., Una riabilitazione
dell'evoluzionismo? Elementi per un chiarimento, "Acta Philosophica" (1998), 127-148.
[52] RAHNER K., OVERHAGE P., Das Problem der Hominisation, Freiburg 19632 (trad. it. Il
problema dell'ominizzazione, Brescia 1969).
[53] Vedere, oltre ovviamente ai testi del gesuita francese, alcuni studi d'insieme: GIBELLINI
R., Teilhard de Chardin: l'opera e le interpretazioni, Brescia 19842; SMULDERS P., La visione di
Teilhard de Chardin, Torino 1967.
[54] Sul principio antropico: BARROW J. D., TIPLER F. J., The Anthropic Cosmological Principle,
Oxford 1986; BERTOLA F., CURI U. eds., The Anthropic Principle, Cambridge 1993; BREUER
R., The Anthropic Principle, Boston 1991; GALE G., Il principio antropico, "Le Scienze" (1982), 62-
73; MASANI A., Il principio antropico; in COYNE G. V., SALVATORE M., CASACCI C. edd., L'uomo e
l'universo, Citt del Vaticano 1987, 4-21; MURATORE S., L'evoluzione cosmologica e il problema di
Dio, Roma 1993; RONDINARA S., Il principio antropico e l'unit dell'universo, "Nuova Umanit" 12
(1991), 39-53. Critici sul valore del principio: GALLENI F., Scienza e teologia. Proposte per una
sintesi feconda; Queriniana, Brescia 1992, 44-51; STRAFELLA F., Le obiezioni al principio

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antropico, in ANCONA G. cur.,Cosmologia e antropologia. Per una scienza dell'uomo, Padova 1995,
30-40.
[55] MURATORE S:, L'origine e l'evoluzione della vita. Puntualizzazioni epistemologiche,
"Rassegna di Teologia" 38 (1997), 213.
[56] GERRA G., Drogati si nasce? Percorsi nell'infanzia-adolescenza prima della tossicodipendenza,
Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1994, 18: "Se qualcosa di biologico dovesse realmente influenzare
l'individuo nella sua pulsione verso le sostanze - conclude G. Gerra - si tratterebbe di un semplice
cofattore, cio di un componente parziale determinante il comportamento, non della causa
assoluta: facile immaginare quante possibili influenze ambientali e culturali vadano a
modificare nell'uomo le spinte ricevute dalla natura e si sommino con la sua struttura biologica".
[57] ANDREOLI V. et al., Tossicodipendenze, Masson, Milano 19942, 1-2.
[58] Per approfondire: BROVEDANI E., Progetto genoma. Aspetti tecnico-scientifici, prospettive e
implicazioni etiche, "Aggiornamenti sociali" 40 (1989), 487-507; TRENTIN G., Progetto Genoma.
Questioni etiche della conoscenza e manipolazione del patrimonio genetico, "Credere oggi" 17
(1997), 4, 37-54; WILKIE T., La sfida della conoscenza. Il progetto genoma e le sue implicazioni,
Milano 1995; ZUCCO F., Responsabilit etica e ricerca scientifica: il caso della mappatura del
genoma, in DI MEO A., MANCINA C. curr., Bioetica, Laterza, Bari 1989, 217-230
[59] Sul rapporto fra sociobiologia e morale: DE FEO A. M., L'etologia di K. Lorenz e la
sociobiologia di E. O. Wilson. Due paradigmi per un'etica naturale evolutiva, Roma 1990.
[60] E. O. WILSON, Sociobiology. The New Synthesis, Cambridge (Mass.) 1975 (trad.
it. Sociobiologia. La nuova sintesi, Bologna 1979).
[61] DAWKINS R., The Selfish Gene, Oxford 1976 (trad. it. Il gene egoista, Mondadori, Milano 1995,
4-5).
[62] Ibid., 5.
[63] La tesi corrente che la trasmissione dei dati culturali (incluse le norme morali) avviene in
modo lamarckiano, cio istruttivo, e non attraverso meccanismi selettivi di tipo darwiniano, ma si
stanno facendo strada modelli biologici di trasmissione della cultura: CHANGEUX J.-P., Ragione e
piacere, Milano 1995; CHANGEUX J.-P-, RICOEUR P., La natura e la regola. Alle radici del pensiero,
Milano1999; SPERBER D., Il contagio delle idee, Milano 1999.
[64] CONC. EC. VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et Spes, n. 14.
[65] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Veritatis splendor, 6-8-1993, n. 48, in AAS 85 (1993), 1172.
[66] La distinzione fra Krper e Leib, gi presente in A. Schopenhauer (1788-1860), si trova nel
cuore della filosofia di E. Husserl (1859-1938) e fu variamente ripresa dalla sua scuola
fenomenologica e dall'esistenzialismo. Vedere: BCHLI E.,Corporeit e conoscenza. Nota sulla
posizione della filosofia fenomenologica del Novecento, in AAVV, Il corpo in scena, Milano
1983, 69-85; FERGNANI F., Il corpo vissuto, Milano 1979.
[67] GATTI G., Morale sessuale, educazione dell'amore, ElleDiCi, Leumann (To) 1988, 50.
[68] GILSON E., Elements of Christian Philosophy, New York 1960 (trad. it. Elementi di filosofia
cristiana, Milano 1964, 297-323); LOBATO A. cur., L'anima nell'antropologia di S.
Tommaso, Milano 1987; PEGIS A. C., St.Thomas and the Problem of the Soul in the Thirteenth
Century, Toronto 1934; VANNI-ROVIGHI S., L'antropologia filosofica di S. Tommaso d'Aquino, Vita
e Pensiero, Milano 1965; VERBEKE G., L'unit de l'homme: St. Thomas contre Averro, in RPhL58
(1960), 220-249; WEBER E. H., L'homme en discussion l'Universit de Paris en 1270. La
controverse de 1270 l'Universit de Paris et son retentissement sur la pense de St.Thomas
d'Aquin, Paris 1970.
[69] RAHNER K., Zur Theologie des Symbols, in Schriften zur Theologie/4, Einsiedeln 1960, 305.
[70] Soprattutto vedere: RAHNER K., Geist in Welt. Zur Metaphysik der endlichen Erkenntnis bei
Thomas von Aquin,Mnchen 19643; ID., Zur Theologie des Todes, Quaestiones disputatae 2,

69

Freiburg 19632 (trad it. Sulla teologia della morte, Brescia 19662); ID., Die Einheit von Geist und
Materie im christlichen Glaubensverstndnis, in Schriften zur Theologie/6, Einsiedeln 1965, 185-
214 (trad. it. L'unit vigente tra spirito e materia nella concezione cristiana, in Nuovi saggi/1,
Roma 1968, 257-295).
[71] RAHNER K., Teologia dell'esperienza dello Spirito, Brescia 1978, 515.
[72] Sul rapporto fra individualit e organismo: JONAS H., I fondamenti biologici dell'individualit,
in ID., Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Bologna 1991, 277-302.
[73] Cfr. SGRECCIA, Corpo e persona, in RODOT S. cur., Questioni di bioetica, Laterza, Bari 1993,
113-122.
[74] Risultano perci infondate le accuse mosse alla bioetica cattolica sulla pretesa incoerenza
fra i paradigmi interpretativi usati per illustrare l'inizio e la fine della vita. Cfr. MORI M., Aborto e
trapianto: un'analisi filosofica degli argomenti addotti nell'etica medica cattolica recente sull'inizio
e sulla fine della vita, in MORI M. cur., Questioni di bioetica, Milano 1988, 103-148.
[75] Sull'inizio e la fine della vita: PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Identit e statuto
dell'embrione umano, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 1998; WHITE R. J. et al.
eds, The Determination of Brain Death and Its Relationship to Human Death, Libreria Editrice
Vaticana, Citt del Vaticano 1992.
[76] TOMMASO D'AQUINO, Quaestio disputata De Anima, 9, resp. ad 6.
[77] ID., Summa Theologiae I, q. 76, art. 7 ad 2. Cfr. ARISTOTELE, De anima II, 1, 412 a 10. 22-30.
[78] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Ai Partecipanti al Convegno della Pontificia Accademia delle Scienze
sulla "Determinazione del momento della morte", 14-12-1989, Insegnamenti, vol. 12/2, 1527: [La
morte] "sopravviene quando il principio spirituale che presiede all'unit dell'individuo non pu
pi esercitare le sue funzioni sull'organismo e nell'organismo i cui elementi, lasciati a se stessi si
dissociano. Certo questa distruzione non colpisce l'essere umano intero. La fede cristiana - e non
solo essa - afferma la persistenza, oltre la morte, del principio spirituale dell'uomo".
[79] TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 29, ad 4, concl.
[80] PRINI P., Il corpo che siamo, Torino 1991, 57.
[81] GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor, n. 50, in AAS 85 (1993), 1173-1174. Cfr. CONGR.
DOTTR. FEDE, Istruz.Donum Vitae, 22-2-1987, Introduzione, 3, in AAS 80 (1988), 74. Sul tema
delle inclinationes naturales vedere PINCKAERS S., Le fonti della morale cristiana. Metodo,
contenuto, storia, Milano 1992, 468-532 (con ampia bibliografia).
[82] GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor, n. 50. Cfr. LUCAS LUCAS R., Natura e libert, in
LUCAS LUCAS R. ed.,"Veritatis Splendor". Testo integrale e Commento filosofico-teologico tematico,
Cinisello Balsamo 1994, 268-286; VALORI P., La "natura" norma della moralit, "Aquinas" 27
(1984), 317-325. Uno status quaestionis sul tema della legge naturale: CHIAVACCI E., Legge
naturale, in COMPAGNONI F. et al., Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Paoline, Cinisello
Balsamo (Mi) 1990, 634-647.
[83] LUCAS LUCAS R., Fondazione antropologica dei problemi bioetici, "Gregorianum" 80 (1999),
697-758 (cit. p. 702).
[84] PLATONE, Protagora, 321 C.
[85] ORTEGA Y GASSET J., Meditacin de la tcnica (1939), in Obras completas, t. 5, Madrid 1970,
317-375.
[86] ALSBERG P., Das Menschheitsrtsel, Dresden 1922.
[87] GEHLEN A., Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt, 1940 (trad. it. L'uomo. La
sua natura e il suo posto nel mondo, Milano 1983); ID., Die Seele im technischen Zeitalter, 1957
(trad. it. L'uomo nell'era della tecnica, Milano 1984). Cfr. FADINI U., Antropologia filosofica, in
ROSSI P. dir., La Filosofia, vol. 1, Torino 1995, 514-520.

70

[88] BUCHANAN J. M., Natural and Artifactual Man, in ID., What Should Economists Do?,
Indianapolis 1979, 94: "We are, and will be, at least in part, that which we make ourselves to be.
We construct our own beings, again within limits. We are artifactual ...".
[89] Ibid., 95: "For the extent that individuals are rigidly bound to culturally evolved rules of
conduct or modes of behavior, these elements would make up part of natural man, or, better
stated, nonartifactual man".
[90] Un esempio la bioetica globale professata dall'antropologo B. Chiarelli, per il quale la
bioetica "una scienza biologica e naturalistica con rilevanze ecologiche", in cui il criterio etico
decisivo il mantenimento della configurazione ecologica empiricamente indagabile: CHIARELLI
B., Bioetica globale, Pontecorboli, Firenze 1993.
[91] L'aporia o legge di Hume fu evidenziata dall'empirista scozzese in A Treatise of Human
Nature (book 3, part 1, sect. 1) e fu riproposta col rigore della filosofia analitica da MOORE G.
M., Principia Ethica, Cambridge 1903. Cfr. CARCATERRA G., Il problema della fallacia naturalistica.
La derivazione del dover essere dall'essere, Milano 1969; SCARPELLI U., Etica senza verit, Bologna
1982.
[92] Ripercorriamo l'illuminante itinerario di DEMMER K., Deuten und handeln. Grundlagen und
Grunfragen der Fundamentalmoral, Freiburg 1985 (trad. it. Interpretare e agire. Fondamenti della
morale cristiana, Cinisello Balsamo 1989, 125-161); ID., Identit personale e integrit biologica, in
AAVV., La mente umana, Roma 1984, 217-239; si vedano anche le riflessioni, nella linea
dell'antropologia trascendentale: RAHNER K., Zum Problem der genetischen Manipulation,
in Schriften zur Theologie/8, Einsiedeln 1967, 386-327 (trad. it. Il problema della manipolazione
genetica, in Nuovi Saggi/3, Roma 1969, 371-373).
[93] DEMMER K., Interpretare, 129.

71

FIORENZO FACCHINI
Evoluzione, emergenza e trascendenza dell'uomo

Lo studio dell'uomo, nelle sue origini e nel suo sviluppo, dispone di una documentazione fornita
da vari settori della scienza, particolarmente dalla paleontologia, dalla preistoria, dalla biologia
evolutiva. La visione antropologica attuale, sviluppatasi nel quadro delle scienze della natura,
porta a riconoscere nell'uomo, sul piano fenomenologico, delle peculiarit che non si ritrovano in
altre specie e non rientrano negli orizzonti della scienza empirica, per cui non sarebbe possibile
spiegarle con i parametri di riferimento in uso nella scienza.
In particolare il comportamento umano fa emergere schemi e modelli che non si ritrovano in
altre specie, la cui interpretazione si sviluppa e va ricercata in altro ordine di conoscenze, come
quello propriamente filosofico.
Si pu parlare legittimamente, oltre che di evoluzione, di emergenza dell'uomo in un senso anche
pi ampio di quello riferibile a qualunque specie e, ancora, di trascendenza dell'uomo, per
quanto si ricava da comportamenti che vanno oltre la sfera strettamente biologica evolutiva, sia
considerata sul piano fisico che su quello sociale.
L'identit dell'uomo sotto il profilo biologico e culturale, presenta aspetti che appaiono
strettamente congiunti nel passato e nel presente e rappresentano il background per qualunque
considerazione sull'uomo.


EVOLUZIONE UMANA

Per l'uomo, come per le altre specie, si ammette una evoluzione da forme precedentiche hanno
preparato la sua comparsa sulla terra. L'evoluzione, come fenomeno caratteristico dei viventi,
suggerita da varie osservazioni relative sia al passato che al presente. Lo studio dei fossili,
l'anatomia comparata, la genetica molecolare mettono in evidenza caratteristiche biologiche di
specie estinte e di specie viventi che possono spiegarsi ammettendo una parentela, cio una
evoluzione.
Come ha rilevato Giovanni Paolo II nel messaggio inviato alla Pontifica Accademia delle Scienze
nell'ottobre del 1996, si pu parlare non pi di ipotesi, ma di teoria evolutiva "progressivamente
impostasi all'attenzione dei ricercatori a seguito di scoperte fatte nelle diverse discipline del
sapere". La loro coerenza con il supposto fenomeno evolutivo giustifica la sua accettazione nel
campo scientifico. Ci non significa che noi conosciamo tutti i meccanismi, le modalit, i passaggi
dell'evoluzione biologica.
La spiegazione darwiniana secondo la sintesi moderna attraverso l'interazione tra cambiamenti a
livello genetico e selezione naturale operata dall'ambiente deve avere giocato un ruolo
importante se non decisivo. Essa sostenuta da molti studiosi (Simpson, Monod, Jacob, Mayr,
Dobzhansky, Ayala, ecc.), sulla base di quanto si osserva a livello microevolutivo, come unica
causa di tutto il processo evolutivo. Ayala riconosce alla selezione naturale un ruolo di
"creazione" delle diverse specie: La selezione naturale un processo creativo che pu rendere
ragione della comparsa di vere novit" (1).
Tuttavia tale spiegazione non viene ritenuta da altri studiosi come sufficiente per rendere
ragione della formazione delle grandi direzioni evolutive in tempi relativamente brevi e per la
crescita della complessit delle strutture viventi. Grass (1979) afferma: "Occorre cercare fuori
dalla mutazione la fonte del flusso evolutivo... fare appello a un meccanismo diverso dalla
mutazione imperativo per tutti i sistemi che pretendono di spiegare l'evoluzione".(2)

72

In ogni caso occorre distinguere tra evoluzione biologica e darwinismo. L'evoluzione una teoria
che sostiene un processo evolutivo, il darwinismo una spiegazione sui meccanismi di tale
processo che pu essere ritenuta non sufficiente anche da chi ammette un'evoluzione.
Uno dei punti di grande discussione rimane quello di un disegno generale dell'evoluzione, un
problema per che appare pi di ordine filosofico che scientifico. In ogni caso, anche in una
visione improntata a eventi casuali non pu escludersi che un disegno possa essersi
comunque realizzato. (3)
Pur nella inevitabile incompletezza, il paradigma evolutivo viene utilizzato comunemente nella
biologia moderna, per la quale costituisce una chiave interpretativa di fenomeni passati e attuali.
Secondo Ayala "Darwin ha completato la rivoluzione copernicana estendendola al mondo
dei viventi" (4).
Anche per l'uomo si pu affermare che l'evoluzione rappresenta la spiegazione pi plausibile
della documentazione fossile che si possiede, come pure delle somiglianze e delle differenze a
livello morfologico e biomolecolare rispetto agli altri viventi, in particolare rispetto ai Primati
nel cui alveo si ammette si sia formata la prima forma umana. Ci pu essere ritenuto, anche se
gli sviluppi filetici che hanno portato alla forma sono non ancora del tutto chiariti. L'interazione
fra mutazioni genetiche e ambiente ha segnato il cammino evolutivo verso l'uomo e dopo la
comparsa dell'uomo, ma vi sono trasformazioni in tempi relativamente brevi per le quali non
facile trovare una spiegazione con il semplice modello della teoria sintetica dell'evoluzione. Basti
pensare al processo di cerebralizzazione che ha portato in poco pi di due milioni di anni a
triplicare le dimensioni del cervello.
La comparsa della forma umana stata dunque preparata da un lungo processo evolutivo
sviluppatosi sul ceppo dei Primati. A qualunque livello morfologico si ponga la soglia umana si
osserva una serie di trasformazioni che possono essere interpretate come una preparazione alla
comparsa della forma umana.
E' nell'ambito degli Ominoidei del Terziario, circa 4-5 milioni di anni fa, che si osservano forme,
oggi non pi esistenti, caratterizzate da un tipo di locomozione non legato all'ambiente
forestale, ma a un ambiente aperto, e tendente al raddrizzamento della colonna vertebrale e al
bipedismo (5).
E' stato osservato che l'evoluzione incomincia dai piedi (Leroi-Gourhan); forse si potrebbe dire
che incomincia dal la colonna vertebrale, come ha rilevato Coppens (6).
Adattamenti in questa direzione sono presenti negli Australopiteci di 3-4 milioni di anni fa,
scoperti in Etiopia e Kenya (Australopithecus ramidus, Australopithecus anamensis,
Australopithecus afarensis), ai quali viene riconosciuta una locomozione bipede, anche se non
perfetta. Sono state descritte numerose specie di Australopiteci (ramidus, anamensis, afarensis,
bahr-el-gazalensis, africanus, robustus, Boisei, aethiopicus,), vissute in Etiopia, in Kenya, Tanzania,
Chad, Sud Africa, raggruppabili in forme arcaiche, gracili e robuste (7).
La relazione filetica degli Australopiteci con le forme pi antiche del genere Homo, viene vista
diversamente dagli studiosi. La forma pi antica del gen. Homo, da individuarsi in Homo habilis,
sarebbe da ricollegarsi all'A. arcaico (o afarense) o all'A. africano o a una forma piuttosto antica
(A. anamense di circa 3,9 milioni di anni fa) che sembra pi chiaramente orientata al bipedismo
nella morfologia degli arti. (8)
La vita degli Australopiteci si svolgeva essenzialmente in ambiente aperto, ma per alcuni, quelli
pi antichi, come le forme arcaiche, doveva esserci grande familiarit con l'ambiente arboreo,
come si ricava dalla conformazione degli arti superiori. Sono state segnalate pietre scheggiate
trovate in giacimenti di Australopiteci, ma la scheggiatura non era praticata in modo sistematico
e progressivo, come si avr con le forme umane.

73

Homo habilis viene identificato in un Ominide vissuto 2-2,5 milioni di anni fa, in cui alcune
caratteristiche morfologiche e funzionali (bipedismo meglio definito, aumento della capacit
cranica, presenza di aree cerebrali deputate al linguaggio articolato) come pure alcuni
comportamenti (lavorazione sistematica della selce, organizzazione del territorio) inducono
molti Autori a ritenerli l'espressione pi antica dell'umanit (9).
Anche il livello morfologico di Homo habilis presenta una certa variabilit. Vi sono forme meno
cerebralizzate (da 670 a 720 cc), come quelle di Olduvai di circa 1,8 milioni di anni fa, e altre pi
cerebralizzate (circa 800 cc) , come Homo habilis del Turkana di due milioni di anni fa, per il
quale stata proposta la denominazione "Homo rudolfensis". Il livello di Homo habilis, o pi
genericamente del gen. Homo, documentato due milioni-due milioni e mezzo di anni fa in altre
regioni dell'Africa, oltre alla Tanzania e al Kenya (Etiopia, Sud Africa, Malawi), anche se non tutti
i reperti riferiti a tale livello accompagnati da segni di cultura.
Homo habilis evolve con il tempo nell'Africa orientale in una forma caratterizzata da una
maggiore cerebralizzazione e da un progresso nella fabbricazione delle industrie litiche e nella
organizzazione del territorio. E' il livello definito comeHomo erectus (le pi antiche forme
africane sono denominate modernamente Homo ergaster) ed individuabile intorno a 1,6 milioni
di anni fa in Africa. Esso si diffonde ed evolve durante centinaia di migliaia di anni in Europa e in
Asia, dove pare si sia portato in epoca molto antica (oltre un milione di anni fa). In Europa i pi
antichi giacimenti che hanno fornito reperti sono segnalati a Dmanisi, in Georgia (tra 1,8 e
1,6 milioni di anni fa), in Spagna a Atapuerca (800.000anni fa), a Ceprano, nel Lazio (800.000
anni fa). Le antiche forme di erectus europeo vengono ricollegate a Homo ergaster dell'Africa (a
meno che non sia giunto prima Homo habilis) e vengono considerate antenati dei Neandertaliani
europei (se non anche dell'Uomo moderno) attraverso l'Uomo di Heidelberg. Le forme asiatiche
pi antiche sono rappresentate dai Pitecantropi e dal Sinantropo.
La continuit evolutiva tra Homo habilis e Homo erectus tale da rendere sempre meno fondata la
loro distinzione a livello di specie. Altrettanto dicasi per gli ultimi per le forme di erectus di
200.000-100.000 anni quando si assiste a una evoluzione verso l'uomo moderno o Homo
sapiens in Africa. La distinzione delle specie fossili in habilis, erectus esapiens ha sempre pi un
valore classificatorio pi che biologico, perch si tende a vedere in esse stadi morfologici (Jelinek,
Coppens, ecc.) (10).
L'Uomo anatomicamente moderno (Homo sapiens sapiens) si diffonde dall'Africa in tutto l'Antico
Continente, probabilmente con qualche mescolanza non di grande rilievo con rappresentanti
di erectus, specialmente nell'Asia sudorientale e nell'Europa orientale.
Il popolamento dell'Australia da parte di Homo sapiens risale a circa 50.000 anni fa, quello
dell'America a vari momenti dell'ultima glaciazione (tra 35.000 e 10.000 anni fa), specialmente
attraverso lo stretto di Behring.
Come gi accennato, si ammette per le prime forme umane un unico ceppo, ricollegabile a Primati
non umani e oggi individuabile nell'Africa, ma per l'umanit attuale (Homo sapiens sapiens) si
fronteggiano due teorie: essa potrebbe essere collegata a forme di erectus evolutesi
parallelamente nei diversi continenti (ipotesi della continuit) oppure a forme provenienti
dall'Africa 100-200.000 anni (ipotesi della sostituzione). Quest'ultima gode attualmente di
maggiore favore, anche se vari Autori ammettono qualche incrocio con forme precedenti, come si
ricaverebbe da reperti paleontologici di alcune regioni (Europa orientale, Est asiatico) (11).
Le ricerche sul DNA antico in reperti neandertaliani suggerirebbero che essi non hanno
contribuito alla formazione del genoma dell'uomo moderno. Sempre sul piano biomolecolare le
ricerche sui Primati attuali non umani e sull'uomo suggeriscono che la differenziazione dei
Primati antropomorfi asiatici (Orango) dal ceppo africano risalga a 10-12 milioni di anni fa; pi
recente, intorno a 5-6 milioni di anni, sarebbe la separazione della linea umana da quella che ha

74

portato alle Antropomorfe africane. Tra i dati biomolecolari e quelli paleontologici vi un certo
accordo sull'ordine dello sviluppo filetico, minore accordo sui tempi di separazione delle diverse
linee (12).


EMERGENZA DELL'UOMO

L'evoluzione umana caratterizzata dalla emergenza della forma umana. Bene individuabile
nelle fasi pi recenti (Homo sapiens), la sua identificazione oggetto di discussione per le fasi pi
antiche.
Gli inizi sono avvolti nell'oscurit. "L'uomo entra in punta di piedi nella scena della terra, notava
Teilhard de Chardin - quando lo vediamo gi una folla."
Il vero problema costituito dalla continuit e dalle discontinuit. Entrambe debbono essere
ammesse. Si pu essere pi attenti all'una o alle altre. Ci spiega perch sulla individuazione della
soglia umana non vi universalit di vedute, anche se la maggior parte dei paleoantropologi
(Tobias, Piveteau, Jelinek, Coppens, etc.) incline e riconoscere nel livello diHomo habilis le pi
antiche forme umane (13).
Al di l del dibattito sull'epoca della comparsa dell'uomo ci si pu chiedere che cosa caratterizzi
la forma umana sul piano biologico e su quello fenomenologico, in base cio alla documentazione
che pu essere fornita dai fossili.
Sul piano biologico, cio in base allo sviluppo morfologico-funzionale, oltre al bipedismo, deve
esserci una certa organizzazione cerebrale che consenta il linguaggio e attivit psichiche di livello
intellettivo umano. Le dimensioni del cervello hanno la loro importanza (alcuni Autori
individuano in 700-750 cc il "Rubicone" cerebrale per l'uomo). L'esistenza di un legame tra
psichismo e organizzazione cerebrale difficile da contestare almeno a livello di specie. Del resto
ha osservato Bergson: " La coscienza (noi diremmo lo psichismo) non sgorga dal cervello, ma
cervello e coscienza si corrispondono perch misurano ugualmente, l'uno grazie alla complessit
della propria struttura e l'altra grazie all'intensit del suo risveglio, la quantit di scelte di cui
l'essere vivente dispone" (14).
La cerebralizzazione stata proposta da Teilhard de Chardin e da altri come un parametro per
seguire l'evoluzione: "La differenziazione nervosa si distacca come trasformazione significativa.
Essa d un senso e per ci stesso contemporaneamente prova che esiste un senso
nell'evoluzione" (15). Tuttavia la individuazione di quella che pu essere ritenuta soglia cerebrale
minima per l'uomo resta assai problematica. Secondo Piveteau (1993): "in una simile ricerca il
criterio anatomico pu essere solo un fattore di indecisione: il criterio psichico certamente
quello preponderante" (16).
In ordine a ci resta il fatto che la differenziazione delle aree cerebrali connesse con il linguaggio
(area di Broca e Wemicke), pu assumere un evidente interesse. Ora tali aree sono state
individuate nell'endocranio di Homo habilis (Falk, Tobias) (17).
Sul pano comportamentale occorre guardare alle manifestazioni che possono essere interpretate
come cultura. Dove c' cultura c' l'uomo. Ma che cosa caratterizza il comportamento culturale?
Il comportamento culturale, in qualunque livello evolutivo lo si consideri, deve avere due
caratteristiche essenziali che appaiono strettamente connesse fra loro e rivelano un'intelligenza
astrattiva: la progettualit e la simbolizzazione.
Progettualit significa capacit di agire intenzionalmente mediante la predisposizione di
determinati atti per raggiungere un fine. Progettualit significa originalit, capacit innovativa,
sia che si esprima nella lavorazione della selce, che nella organizzazione del territorio o nella
manipolazione degli alimenti. ' quello che avviene nella tecnologia. La intenzionalit rivela la

75

nozione del tempo, perch il soggetto elaborando immagini del passato si proietta sul futuro che
riesce a prefigurare. Anche nel mondo animale si ritrovano delle tecniche, a volte di elevata
perfezione, ma sono regolate biologicamente e non presentano innovazioni e progressi. Non si
notano i segni di una capacit astrattiva capace di proiettarsi sul futuro.
Nelle sue manifestazioni a carattere intenzionale l'uomo rivela anche capacit di scelta e quindi di
autodeterminazione, di libert. Un aspetto che lo colloca su un piano di valori e quindi morale.
La simbolizzazione l'altra caratteristica del comportamento umano in quanto culturale. Essa
consiste nell'attribuire a un segno, a un suono o a un oggetto, un valore, un significato che va oltre
il segno. Mediante la simbolizzazione vengono arricchite di significato e di valore le realizzazioni
della tecnica.
Il contenuto simbolico evidente quando ci si trova di fronte a rappresentazioni artistiche o di
significato religioso (simbolismo spirituale) o quando ci si riferisce al linguaggio umano e alle
varie forme di comunicazione sociale (simbolismo sociale). Ma anche ai prodotti della tecnica si
pu riconoscere un valore simbolico. Ci che viene ottenuto con la tecnica, oltre a rispondere a un
progetto, assume un valore di segno o di richiamo a qualche utilizzazione o impiego. Lo
strumento rimanda alla funzione alla quale destinato e assume un significato nell'immaginario
dell'uomo. I prodotti della tecnica vengono quindi ad assumere un valore simbolico. Si pu
parlare di simbolismo funzionale.
Homo symbolicus tale in quanto uomo, creatore di strumenti e di arte, capace di comunicare il
proprio mondo interiore in vari modi (18).
Vi sono buoni argomenti per sostenere che le prime manifestazioni a carattere culturale si siano
avute con Homo habilis. Le espressioni culturali che si osservano per la fase di Homo
habilis paiono caratterizzare, sia pure in forma elementare e semplice, il comportamento e
l'ambiente di vita. Sono segnalate anche pietre scheggiate o utilizzate dagli Australopiteci, ma il
significato che esse hanno nel contesto di vita, molto diverso da quello delle forme del
gen. Homo di 2-1,5 milioni di anni fa, come sono diverse da quelle dei Primati attuali. Per questi le
realizzazioni strumentali non sono essenziali per la sopravvivenza e il rapporto con
l'ambiente (Kitahara Frisch, 1984) (19).
Il livello umano dell'artefatto dato dal progetto che esso esprime e dal significato che assume
nel contesto di vita e per la sopravvivenza.
Coppens (1991), pur ritenendo l'Australopiteco capace di fabbricare utensili, riconosce che tale
fabbricazione "aveva un carattere anedottico". "Con l'uomo gli strumenti diventano permanenti,
numerosi, diversificati". 20). Ed proprio per questo sviluppo della cultura che l'uomo andato
avanti nella evoluzione e gli Australopiteci si sono estinti.
Alcuni studiosi sostengono che la nascita del pensiero simbolico si sia avuta solo con l'uomo
anatomicamente moderno ( oHomo sapiens sapiens) intorno a 40.000-30.000 anni fa, quando
vengono segnalate le prime manifestazioni dell'arte mobiliare e parietale (21). Altri prendono la
pratica della sepoltura, risalente al Paleolitico medio e superiore (da circa 90.000 anni fa) come
segno di psichismo umano (22). Leroi-Gourhan proponeva la distinzione tra pensiero tecnico, che
peraltro riconosceva anche agli Australopiteci, e pensiero simbolico, proprio solo di Homo
sapiens (23).
Nell'interpretazione da noi proposta l'attitudine simbolica dell'uomo da ritenersi connaturale
con la forma umana, anche se la documentazione a noi pervenuta per le forme pi antiche
riguarda essenzialmente le espressioni del simbolismo funzionale. Alla sfera della
simbolizzazione sono da ricondurre comportamenti intenzionali di carattere tecnologico
documentati dagli strumenti, dal modo di realizzarli (scelta del materiale, tecnica impiegata) e
dal significato che assumono i manufatti nel contesto di vita, come pure dall'organizzazione dello
spazio abitativo o di frequentazione (es. per la caccia, per la protezione) e dalla domesticazione

76

del fuoco, documentata almeno mezzo milione di anni fa. Lo strumentario e l'organizzazione del
territorio, orientati alla sussistenza e alla vita del gruppo familiare, costituiscono un sistema
simbolico di relazioni che si sviluppa nel corso della storia evolutiva dell'uomo. Queste attivit,
praticate per lungo tempo da Homo erectus e in forma ancora elementare da Homo habilis, hanno
rappresentato vere strategie adattative nel rapporto con l'ambiente (24).
Mediante sistemi simbolici di comunicazione e di organizzazione l'uomo si esprime, vive e
trasmette il suo immaginario. Ci troviamo di fronte a un simbolismo funzionale e sociale: Homo
oeconomicus, Homo technologicus, Homo faber, in quanto Homo symbolicus.
Pi recenti appaiono alcune manifestazioni di simbolismo spirituale (sepolture, raffigurazioni
artistiche). Va per notato che segni di simbolismo spirituale si vanno segnalando anche per
epoche assai pi antiche del Paleolitico superiore quando compare l'uomo anatomicamente
moderno. Recentemente sono stati segnalati documenti di attivit simbolica che portano pi
indietro nel tempo (es. un manufatto di epoca musteriana (tra 100.000 e 50.000 anni fa) trovato
a Tata in Ungheria; alcuni bifacciali acheuleani trovati a Norfolk che portano al centro l'impronta
di gusci di molluschi; una costola di bovide di epoca rissiana con incisioni intenzionali, un
frammento di tibia di elefante trovato a Bilzinsgleben risalente a 400.000 anni fa con segni
intenzionali di non facile interpretazione e altri ancora (25).


TRASCENDENZA DELL'UOMO

L'emergenza dell'uomo, rivelata sul piano comportamentale dalla capacit progettuale e dalla
simbolizzazione, cio dalla cultura, appare come una discontinuit rispetto al mondo fisico e
biologico. Le realizzazioni culturali dell'uomo sono rivelatrici dell'umano, di ci che specifico e
peculiare dell'uomo in quanto uomo e non in quanto animale. Sul piano filosofico si pu parlare
di discontinuit ontologica, perch investe la natura spirituale dell'uomo. Ma anche a livello
sperimentale, come ha rilevato Giovanni Paolo II nel messaggio alla Pontificia Accademia delle
Scienze dell'ottobre 1996, si possono cogliere "molti segni delle specificit dell'essere umano". Si
tratta di osservazioni sul piano fenomenologico che si basano su manifestazioni rivelatrici
dell'umano, cio dello psichismo proprio dell'uomo, in definitiva delle espressioni della cultura.
La cultura, pur inserendosi o avendo rapporti con la sfera biologica, si caratterizza come extra-
biologica o meta-biologica, nel senso che realizza un trascendimento rispetto alle leggi o modalit
puramente biologiche del comportamento. Infatti, anche quando pu avere qualche relazione con
bisogni di ordine biologico, si realizza fuori da ogni determinismo biologico o comportamentale e,
come stato pi sopra rilevato, segno di libert o autodeterminazione. Ci risulta
particolarmente evidente nelle manifestazioni del simbolismo spirituale e sociale.
Secondo Dobzhansky (1969) nella storia della vita si sono avuti due grandi momenti di " crisi"
nella storia dell'evoluzione in forza dei quali, pur conservandosi leggi e modalit organizzative
della fase precedente, c' stato un avanzamento oltre il piano organizzativo precedente e si
realizzato un nuovo livello. L'Autore propone di chiamare questi nuovi momenti come
"trascendimenti evolutivi". Un primo trascendimento si avuto nel passaggio dalla non vita alla
vita. Non sono state rinnegate le leggi della chimica, ma si sono instaurate modalit organizzative
e di rapporto con l'ambiente. "L'evoluzione cosmica trascese se stessa generando la vita". Un
secondo momento di trascendimento si avuto con la comparsa dell'uomo: "l'evoluzione
biologica trascese se stessa dando origine all'uomo", afferma ancora Dobzhansky. Non vengono
annullate le leggi che regolano i viventi, ma le modalit organizzative della societ umana si
pongono su un altro piano. "L'evoluzione organica si sovrappone a quella organica..; l'evoluzione
culturale si sovrappone a quella biologica e inorganica" (26).

77

In questo modo di vedere l'evoluzione, che richiama per vari aspetti la concezione di Teilhard de
Chardin di cui Dobzhansky era ammiratore, l'Autore non vuole attribuire un significato filosofico
o mistico al termine trascendimento. "Trascendere significa superare i limiti, o andare al di l
delle possibilit normali, abituali, gi provate di un sistema". Del resto ci non neppure
necessario, mantenendosi sempre sul piano fenomenologico o empirico, anche se una
spiegazione va ricercata sul piano ontologico.
A mio modo di vedere il termine trascendimento pu essere impiegato correttamente per l'uomo,
rimanendo sempre sul terreno scientifico, per due ragioni.
1. L'attivit che l'uomo realizza mediante la cultura, anche strumentale, fuori da schemi
biologici prefissati e costanti, posta liberamente, con modalit innovative che si basano
sull'esperienza individuale ed in grado di opporsi alla selezione naturale. Ci per non come
avviene per qualunque altra specie che fa fronte a condizioni ambientali nuove mediante le sue
varianti genetiche, ma proprio contrastando con altri mezzi, non biologici, le forze selettive
dell'ambiente sia difendendosi da tali forze sia modificando l'ambiente. Ci rappresenta una
novit assoluta nella storia della vita. Sotto questo aspetto lo sviluppo della specie umana
rappresenta sul piano evolutivo "un paradosso", in quanto la selezione naturale avrebbe prodotto
un essere capace di contrastarla con modalit che non rientrano pi nel gioco naturale della
competizione degli esseri viventi con l'ambiente. In questo modo la selezione naturale viene
rallentata o anche annullata. Un caso unico nel mondo dei viventi, si direbbe "un?anomalia",
spiegabile con l'intervento della cultura, cio di un fattore che non si ritrova nelle altre specie (27).
2. L'altra espressione del trascendimento data dall'arricchimento di valori e di significato,
non connessi con il bisogno biologico, nelle risposte che l'uomo in grado di realizzare a bisogni
biologici, come pure da comportamenti che non sono direttamente legati alla sfera biologica,
quali si osservano nelle manifestazioni del simbolismo spirituale. L'uomo in grado di
interiorizzare le risposte ai bisogni biologici attribuendo ad esse altri valori connessi con il
mondo interiore della persona o con la sfera sociale. Cos, l'abitazione non ha solo funzione
protettiva, di rifugio, ma simbolo e mezzo di coesione della famiglia; l'abito non solo per la
protezione del corpo, ma pu avere un significato estetico, sociale o di pudore; il pasto non
soddisfa solo l'esigenza del cibo, ma momento di comunicazione; la sessualit non solo
genitalit, ma amore, ecc.. Se poi ci si riferisce alle manifestazioni del simbolismo spirituale (arte,
religione, gratuit) il carattere trascendente anche pi evidente.
Il trascendimento pone in una condizione di trascendenza sia che venga inteso in senso
comportamentale che in senso filosofico. Ci va affermato per l'uomo preistorico come per
l'uomo attuale.
In ogni caso anche rimanendo sul piano fenomenologico si deve parlare di modalit di
comportamento che non sono regolate da leggi biologiche e rientrano nella sfera
dell'autodeterminazione dell'uomo in base a scelte di valore.
L'identit dell'uomo non paragonabile a quella di qualunque altra specie, perch ha peculiarit
che vanno oltre il piano biologico.
Quanto alla spiegazione della natura di tale trascendenza e delle sue cause occorre portarsi oltre
gli aspetti fenomenologici, su un piano propriamente filosofico.


CONCLUSIONI

L'uomo fatto della stessa "stoffa" dell'universo e degli altri viventi: atomi, molecole, cellule.
Questi elementi acquistano coscienza nell'io dell'essere umano. E' questa una novit assoluta nel
mondo dei viventi. Un evento casuale la comparsa dell'uomo o finalistico? Nella visione

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darwiniana la comparsa di ogni specie un evento fortuito, del tutto casuale e attraverso eventi
casuali si sarebbero formate le diverse linee evolutive, compresa quella dell'uomo. E' il problema
del finalismo e della casualit nel processo evolutivo, sul quale si sviluppato un ampio dibattito
anche perch il problema non soltanto scientifico, ma anche filosofico, specialmente se ci si
riferisce a un disegno generale nell'evoluzione. Non sarebbe da escludere che un disegno
superiore possa essersi realizzato con il concorso di eventi accidentali, nel gioco tra i grandi
numeri e la casualit, come ha notato Teilhard de Chardin, o per l'intreccio di eventi genetici
casuali, specialmente macromutazioni, e della selezione, operanti su programmi biologici che via
via si formano (28).
Certamente l'uomo appare come un evento culminante nel processo evolutivo, il punto pi alto
della complessit biologica, segnato dalla presenza di elementi nuovi: la coscienza, lo psichismo
riflesso. Osserva Piveteau: " la nascita del pensiero riflesso non si pu considerare un fatto
accidentale; costituisce al contrario il tratto fondamentale della storia della vita". Lo stesso
Autore continua: "L'uomo aveva creduto, un tempo, di essere il centro del mondo; poi gli sembr
di non avere nessuna misura con la natura, trovandosi sperduto in un angolo dell'universo. La
paleontologia gli restituisce, in una nuova forma, una preminenza in cui non credeva pi" (29). Ci
si accorda con quanto viene enunciato dal principio antropico suggerito dall'astrofisica che
sembra reintrodurre nell'interpretazione scientifica dell'universo l'idea di finalismo(30).
Il pensiero umano, espresso nel comportamento, costituisce un momento emergente nella
evoluzione rispetto alle forme che non hanno questa attitudine e sembra farsi coscienza anche
del mondo infraumano.
Emergenza evolutiva e trascendenza dell'uomo sono in stretto rapporto fra loro.
A prescindere dalle cause e dalle modalit, emerge ci che trascende un certo livello, per cui il
carattere trascendente del comportamento umano diventa criterio per riconoscere l'emergenza
dell'uomo in ci che lo caratterizza in modo peculiare e unico.
Mentre sul piano morfologico si osserva una certa continuit evolutiva tra forme non umane e
forme umane, pur nelle innovazioni, segnate soprattutto dalla cerebralizzazione, sul piano
comportamentale si riconoscono aspetti di discontinuit, anche se le manifestazioni agli inizi
possono apparire elementari.
Per quanto si riferisce al confronto tra uomo e antropomorfe attuali non manca chi sostiene che
le differenze siano soltanto di ordine quantitativo; tuttavia difficile negare il trascendimento
che complessivamente contraddistingue il comportamento umano.
Pi arduo pu risultare l'identificazione della specie umana alle sue origini.
A questo riguardo ci sembra importante distinguere tra attitudine alla cultura, espressa nella
progettualit e nella simbolizzazione, e le sue manifestazioni. Mentre l'attitudine pu essere
ritenuta una costante dell'uomo da quando si avuta la sua presenza, le manifestazioni
presentano una progressione nel tempo sia che riguardino lo sviluppo delle tecnologie
(strumentali, abitative, alimentari) nel rapporto con l'ambiente sia che si esprimano in una
maggiore complessit dei sistemi simbolici nell'organizzazione e nella vita sociale (31).

Emergenza e trascendenza contraddistinguono l'uomo di ogni luogo e di ogni tempo. Di qui la
comune identit e la fondamentale uguaglianza, radicata sul piano biologico e variamente
espressa nelle culture dei popoli attraverso l'attitudine culturale che li accomuna.

79


(1) AYALA J.F., Darwin's devolution: design without designer, in RUSSEL R.J., STOEGER W.R.,
AYALA F.J., (eds.),Evolutionary and molecular Biology: Scientific Perspectives on divine
Action: Vatican Observatory Publications: Vatican City State and Center for Theology and Natural
Sciences: Berkeley, CA, 1998: 101-116.
(2) GRASSE' P., L'evoluzione del vivente, Milano: Adelphi, 1979.
(3) La teoria evolutiva conciliabile con la fede cristiana. L'evoluzione non in contrasto con la
creazione. L'evoluzione suppone la creazione, come ha osservato Giovanni Paolo II (Discorso
in occasione del Congresso Internazionale su Fede cristiana ed evoluzione; Osservatore Romano,
27.4.1985). Tuttavia sono da tenere fermi due punti: 1) tutta la realt creata da Dio e
corrisponde a un suo disegno in qualunque modo si sia realizzato; 2) lo spirito non pu derivare
da un animale, ma creato direttamente da Dio. Circa il disegno generale nella evoluzione e
alcuni aspetti di ordine teologico cf. ARNOULD J, La teologia dopo Darwin, Brescia, Queriniana,
2000; AYALA F.J., 1998, cit.; GALLENI L., Scienza e Teologia, Brescia, Queriniana, 1992; FACCHINI
F., Le origini dell'uomo: vedute scientifiche e attuali e istanze teologiche,Rivista di Teologia
dell'evangelizzazione, 2000, gennaio-giugno 2000: 127-145. E' da rilevare la posizione di Ayala
che parla di un disegno senza disegnatore, in quanto ogni teleologia sarebbe prodotta dalla
selezione naturale. Io direi che il disegnatore c', ma nascosto dietro le leggi della chimica, della
fisica, della biologia e dei grandi numeri.
(4) AYALA, 1998, cit.; AYALA J.F., Evolution and rationality: Natural selection, Teleology an
Novelty, in FACCHINI F. (a cura di), Scienza e conoscenza. Verso un nuovo Umanesimo, Ed.
Compositori, Bologna, 2000: 137-149.
(5) L'origine africana della linea umana pu essere affermata non soltanto in base alla
documentazione fossile, ma anche da ricerche sui Primati viventi. Gli studi biomolecolari sui
Primati non umani viventi e sull'uomo suggeriscono che la differenziazione delle Antropomorfe
asiatiche (Orango) dal ceppo africano sia avvenuta 10-12 milioni di anni fa; la separazione della
linea umana da quella che ha portato alle Antropomorfe africane (Gorila, Scimpanz) sarebbe pi
recente, risalendo a circa 5-6 milioni di anni fa. Ma recenti scoperte di fossili che paiono orientati
verso la linea umana risalenti a circa 6 milioni di anni fa nel Kenya (v. Nota 8) riapre il dibattito
sull'epoca della divergenza. C' un certo accordo tra i dati biomolecolari e quelli paleontologici
sull'ordine delle separazioni filetiche, ma non sui tempi.
(6) COPPENS Y., L'originalit anatomique et fonctionelle de la premire bipedie, Bull. Acad. Natle.
Md., 175, 7, 1991:977-993; COPPENS Y., L'volution des Hominids, de leur locomotion et de leur
environnements, in COPPENS Y., SENUT B., (eds.), Origine de la bipedie chez les Hominids, Paris,
Ed. CNRS, 1991: 295-301.
(7) Cf. COPPENS Y., Le genou de Lucie, Paris, Odile Jacob, 1999; FACCHINI F., Evoluzione umana e
cultura, Brescia, La Scuola Editrice, 1999. Recentemente Recently nel Kenya stata scoperta una
nuova forma australopitecina (Kenyanthropus) vissuta 3,3 milioni di anni fa.
(8) FACCHINI, 1999, cit.; SENUT B., GOMMERY D., Le bipedie degli Ominidi, Nuova Secondaria,
Brescia,15 maggio 1999: 26-30. Recentemente sono stati segnalati nelle colline di Tugen, vicino al
Lago Baringo nel Kenya, nuovi reperti (frammenti di omero, femore, mandibola), riferiti a vari
individui, denominati dapprima "ancetre du Millenaire" e poiOrrorin tugenensis, che sarebbero
vissuti circa 6 milioni di anni fa e mostrano un orientamento verso il bipedismo molto prima
degli Australopiteci arcaici, come Lucy (cf. Science, 23 febr. 2001, p. 1460-1461)
(9) FACCHINI F., Il cammino dell'evoluzione umana. Milano, Jaca Book, II ed. 1995. Secondo Falk
and Tobias lo sviluppo delle aree cerebrali di Broca e di Wernicke per il linguaggio articolato
nell'emisfero sinistro pu essere osservato nell'endocranio di Homo Habilis (FALK D., Cerebral
cortices of East African early Hominids. Science, 222, 1983:1072-1074; TOBIAS Ph., The brain of

80

Homo habilis: a new level of organisation in cerebral evolution, Journal of Human Evolution, 16,
1988:741-761; TOBIAS Ph., The evolution of the brain, language and cognition, in FACCHINI F.,
(ed.) The first humans and their cultural manifestations, Abaco, Forl, 1996:87-94).
(10) JELINEK J., Was Homo erectus already Homo sapiens sapiens? In FEREMBACH D. (Ed.), Le
processus de l'Hominisation, Ed. C.N.R.S., Paris, 85-90; COPPENS Y., 1999, cit.
(11) Sul problema dell'origine di Homo sapiens cf. fra gli altri: BRAUER G., SMITH F.,
(Eds.), Controversies in Homo sapiens evolution, Balkema, Rotterdam 1992; AYALA F.J., The myth
of Eve:molecular biology and human origins,Science, 270, 1995: 1930-1936; CONDEMI S., I
Neandertaliani e l'origine dell'uomo moderno, Nuova Secondaria, Brescia, 15 maggio 1999:30-35;
WOLPOFF M. H., HAWKS J., FRAYER D. W., HUNLEY K., Modern human ancestry at the
peripheries: a test of the replacement theory, Science, 291, 12 January, 2001, 293-297.
(12) KRINGS M, STONE A., SCHMITZ R.W., KRAINITZKI H., STONEKING M., PAABO S., Neandertal
DNA sequences and the origin of modern humans. Cell. 90, July ,1997: 19-30; OVCHINNIKOV I.,
GOTHERSTROM A., ROMANOVA GALINA P., KHARITONOV V., M., LIDEN K. & GOODWIN W.,
Molecular analysis of Neanderthal DNA from the northern Caucasus. Nature,404, 3 march 2000,
490-493.
(13) TOBIAS Ph. Recent advances in the evolution of the Hominds with especial reference to brain
and speech, in CHAGAS C., (ed.), Recent advances in the evolution of
Primates, Pontificia Academia Scientiarum, Citt del Vaticano, 1983: 85-140; PIVETEAU J., La
comparsa dell'uomo, Jaca Book, Milano, 1994(tr. it. L'apparition de l'homme, Oeil, Paris, 1986);
COPPENS Y., Le singe, l'Afrique et l'homme, Fayard, Paris, 1983; Le genou de Lucie, Odile Jacob,
1999.
(14) BERGSON H., L'evoluzione creatrice, La Scuola, Brescia, 1983. (L'volution cratrice, 1971)
(15) TEILHARD DE CHARDIN P., Le phnomne humain, Ed. Seuil, Paris, 1955.
(16) PIVETEAU J., La comparsa dell'uomo. Jaca Book, Milano, 1994. (tr. it. L'apparition de
l'homme. O.E.I,.L., Paris, 1986).
(17) FALK, 1983, cit.; TOBIAS, 1984, 1996, cit.
(18) FACCHINI F., Il simbolismo nell'uomo preistorico. Aspetti ermeneutici e manifestazioni, Rivista
di Scienze Preistoriche, XLIX, 1998, 651-671; Symbolism in Prehistoric Man, Collegium
antropologicum, Zagreb, 24, 2, 2000.
(19) KITAHARA FRISCH J., Ethologie animale et image de l'homme, Nouvelle Revue Thologique,
106, 1984: 235-20.
(20) COPPENS, 1991, cit.
(21) DAVIDSON I., NOBLE W., The Archaeology of perception. Traces of depiction and language,
Current Anthropology, 30, 1989, 125-155.; LINDLY J.M., CLARK G.A., Symbolism and modern
human origins, Current Anthropology, 31, 1990: 233-261.
(22) MARCOZZI V., I problemi della origine dell'uomo e la paleontologia, Gregorianum, 59, 3,
Pont. Univ. Gregoriana, 1978, 511-535.
(23) LEROI-GOURHAN Y, Le fil du temps. Ethnologie et Prehistoire. Fayard, Paris, 1983.
(24) cf. FACCHINI F., Planning Capacity and Symbolism as survival Strategies, in H. ULLRICH,
(Ed), Hominid evolution.Lifestyle and survival strategies,Ed. Archaea, Gelsenkirchen/Schwelm,
1999: 517-525.
(25) FACCHINI F., 1998, cit.
(26) DOBZHANSKY Th., Le domande supreme della biologia,De Donato, Bari, 1969. (tr. The Biology
of ultimate concern,New York, 1967).
(27) FACCHINI F., Determinismo, indeterminismo, finalismo nella storia dell'uomo. In ARECCHI T.,
(Ed.), Determinismo e complessit. Nova Spes e Armando, Roma, 181-195.
(28) Intorno al finalismo vedi nota 3.

81

(29) PIVETEAU J. 1994, cit.


(30) Le costanti fisiche che regolano l'universo sono tali da assicurare che vi siano osservatori,
per cui l'universo cos organizzato in vista della comparsa di esseri intelligenti che possano
conoscerlo. E' questa la versione forte del principio antropico che sembra per difficile da
dimostrare. Se invece ci si limita ad affermare che le costanti che regolano i rapporti fra gli astri
sono tali da consentire la vita sulla terra il principio espresso nella forma debole, ma in questo
caso appare come una semplice constatazione. (cf. DALLA PORTA N., SECCO L., Il principio
antropico in fisica e cosmologia,dell'uomo. Il futuro dell'uomo, 18, 2, 1991:61-110).
(31) Lo sviluppo della cultura pu essere rappresentato in un sistema cartesiano da segmenti di
retta che si susseguono l'un l'altro, sfasati nel tempo, mantenendo la medesima pendenza. In
questa rappresentazione la pendenza esprime la medesima, fondamentale attitudine alla cultura,
mentre le vasriazioni di distanza dall'asse dell'ascissa (che rappresenta il tempo) corrisponde
alle innovazioni o discontinuit culturali nella evoluzione culturale. In vicinanza dell'origine il
segmento di retta (che corrisponde alla derivata) ha una lieve pendenza (le manifestazioni
elementari della cultura) e si origina molto vicino all'ascissa, ma col tempo la distanza
dall'ascissa aumenta sempre pi in relazione allo sviluppo delle espressioni culturali . (cf.
Facchini F., Premesse per una Paleoantropologia culturale, Jaca Book, Milano, 1991). Alcuni Autori
propongono una curva esponenziale per rappresentare l'evoluzione culturale, ma cos non sono
rappresentate le discontinuit che si osservano nello sviluppo culturale e l'attitudine alla cultura
in quanto costante dell'uomo.

82

MARIA LUISA DI PIETRO, ELIO SGRECCIA


LA VITA DELLO SPIRITO NELLA CORPOREIT:
PERSONA E PERSONALIT

Verso la sconfitta etica?

"L'eclissi del senso di Dio e dell'uomo conduce inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale
proliferano l'individualismo, l'utilitarismo e l'edonismo [...] nel medesimo orizzonte culturale, il
corpo non viene pi percepito come realt tipicamente personale, segno e luogo della relazione
con gli altri, con Dio e con il mondo. Esso ridotto a pura materialit: semplice complesso di
organi, funzioni ed energie da usare secondo criteri di mera godibilit ed efficienza"[1].
Il n. 23 della Lettera Enciclica "Evangelium vitae" ci introduce a queste brevi riflessioni sulla
persona umana e sulla natura e sul valore del corpo umano, partendo da un inconfutabile dato di
fatto: la chiusura della realt umana in una visione intramondana e il perseguimento del solo
benessere materiale hanno portato, tra l'altro, alla distorsione della lettura del rapporto tra la
persona e il suo corpo con alcune inevitabili conseguenze.
Da una parte, il disprezzo del corpo fino a legittimarne la "cosificazione" (la sperimentazione non
terapeutica su embrioni umani o su soggetti gi nati; la compravendita di organi; la
prostituzione), o la violazione (la violenza fisica, psichica, morale), o la soppressione (l'aborto;
l'eutanasia; l'omicidio; il genocidio). Dall'altra, l'esaltazione del corpo, oggetto nella sua
esteriorit di cure ma in modo da penalizzare l'interiorit della persona, s da dare l'impressione
di una "bellezza" fatta solo di apparenze. Basti pensare al corpo utilizzato come mezzo di
seduzione o curato in modo ossessionante (dal salutismo al culturismo), nel tentativo forse di
risolvere con "l'apparire" un profondo senso di frustrazione.
Ma conseguenza ancor pi grave, perch alla base delle suddette scelte, l'estraniazione del
corpo umano dall'agire morale o, per meglio dire, la "destituzione" del corpo umano nelle
questioni della legge naturale.
"Una libert - si legge al n. 48 della Lettera Enciclica "Veritatis splendor" - che pretende di essere
assoluta finisce per trattare il corpo umano come un dato bruto, sprovvisto di significati e di
valori morali finch essa non l'abbia investito del suo progetto. Di conseguenza, la natura umana
e il corpo appaiono come dei presupposti o preliminari, materialmente necessari alla scelta della
libert, ma estrinseci alla persona, al soggetto e all'atto umano. I loro dinamismi non potrebbero
costruire punti di riferimento per la scelta morale, dal momento che le finalit di queste
inclinazioni sarebbero solo beni "fisici", detti da taluni "pre-morali". Farvi riferimento, per
cercarvi indicazioni razionali circa l'ordine della moralit, dovrebbe essere tacciato di fisicismo o
di biologismo. In un simile contesto la tensione tra la libert e una natura concepita in senso
riduttivo si risolve in una divisione nell'uomo stesso"[2].
Una "distorsione" della lettura del rapporto tra la persona e il suo corpo: non una novit nella
riflessione antropologica di sempre, ma una novit che si presenta in tutta la sua drammaticit
nella nostra epoca, perch "quando il corpo umano, considerato indipendentemente dallo spirito
e dal pensiero, viene utilizzato come materiale alla stregua del corpo degli animali [...] si va
incontro inevitabilmente ad una terribile sconfitta etica"[3].
Le chiavi di lettura
Tra le ragioni di una distorta lettura del rapporto tra la persona e il suo corpo vi possono essere,
da una parte, la diversit e la parcellizzazione delle chiavi di lettura, e, dall'altra, un uso
diversificato della stessa chiave di lettura.

83

a. Diversit e parcellizzazione delle chiavi di lettura.



A conclusione di questa prima riflessione, diremo che non possibile "pensare l'uomo" solo da un
punto di vista, da un'angolazione, ma che tutto ci che le scienze sia sperimentali sia non
sperimentali ci mettono a disposizione utile e necessario per conoscere questa realt tanto
misteriosa quanto complessa. Riteniamo, per, necessario scindere prima le diverse chiavi di
lettura s da mettere in evidenza come un approccio parcellare non sia di per s sufficiente.[4]
La prima chiave di lettura quella basata sul metodo sperimentale, che si avvale, come noto,
di un preciso itinerario: l'osservazione dei fenomeni, l'ipotesi interpretativa, la verifica
sperimentale e la valutazione del risultato della sperimentazione. Questo itinerario metodologico,
che ha una sua validit intrinseca, consente l'accumulo di conoscenze sicch lo sperimentatore
successivo pu avvalersi dei risultati, positivi o negativi che siano, ottenuti dallo sperimentatore
precedente ed apportare, a sua volta, nuovi contributi utilizzando la medesima metodologia.
Tuttavia il metodo sperimentale ha un suo limite intrinseco che costituto dal fatto che deve per
forza poggiarsi su dati empirici, suscettibili di essere osservati, computati, comparati, senza
riuscire a guardare "al di l". Ne consegue che il metodo sperimentale di per s riduzionista
della realt.
Nell'ottica del metodo sperimentale, si cerca di comprendere il corpo attraverso lo studio della
struttura (anatomia), delle funzioni (fisiologia), della struttura cellulare (biologia e biochimica),
dei meccanismi regolatori e attivatori (neurologia e immunologia), della struttura degli organi e
delle loro funzioni e di una variet di malattie, menomazioni[5].
E' sufficiente, per, questo tipo di conoscenza del corpo umano che non tiene conto della
soggettivit della persona, che riduce l'uomo ad un insieme di manifestazioni estrinseche? O che,
addirittura, nega l'esistenza umana se i dati empiricamente rilevati non corrispondono a criteri
biologici tra l'altro arbitrariamente fissati[6]? Ed un corpo umano, spogliato della sua umanit e
individualit, pu essere considerato ancora un corpo umano?
Una chiara risposta a questo interrogativo viene formulata al n. 3 della Istruzione "Donum
vitae", ove si legge: " Il corpo umano non pu essere considerato solo come un complesso di
tessuti, organi e funzioni, n pu essere valutato alla stregua del corpo degli animali, ma parte
costitutiva della persona che attraverso di essa si manifesta e si esprime"[7].
Quindi, se la conoscenza sperimentale comporta di necessit la considerazione dei soli aspetti
fisico-biologici del corpo umano e l'astrazione dalla soggettivit che lo abita, si rende necessario
percorrere altre strade per inglobare questa soggettivit primariamente esclusa ma che si
manifesta in modo "prepotente" nel e mediante il corpo.
La seconda chiave di lettura quella propria della tecnica, che contribuisce a modificare e spesso
a migliorare le condizioni di vita dell'uomo: una tecnica che ha oramai pervaso e "impregnato" il
nostro modo di vivere.
"Per il fatto che abitiamo un mondo in ogni sua parte tecnicamente organizzato, la tecnica non
pi oggetto di una nostra scelta, ma il nostro ambiente, dove fini e mezzi, scopi e ideazioni,
condotte, azioni e passioni, persino sogni e desideri sono tecnicamente articolati e hanno
bisogno della tecnica per esprimersi. Per questo abitiamo la tecnica irrimediabilmente e senza
scelta. Questo il nostro destino di occidentali avanzati, e coloro che, pur abitandolo pensano
ancora di rintracciare un'essenza dell'uomo al di l del condizionamento tecnico, come capita di
sentire, sono semplicemente degli inconsapevoli che vivono la mitologia dell'uomo libero per
tutte le scelte, che non esiste se non nei deliri di onnipotenza di quanti continuano a vedere
l'uomo al di l delle condizioni reali e concrete della sua esistenza"[8].
Queste osservazioni mettono in evidenza quanto la tecnica abbia "guadagnato" oramai
sull'uomo: sulla sua mente e sul suo corpo. Il corpo frammentato e parcellizzato nelle sue

84

singole componenti e scorporato nelle sue singole funzioni fino a perderne la visione unitaria; la
mente espropriata della sua soggettivit.
"La tecnologia diventa parte del corpo, non fisico ma mentale: protesi della soggettivit. E in
questo farsi parte, la tecnologia permette al corpo di giocare nuove parti: ruoli prima impossibili.
Quali divengono i confini della corporeit, e come si rappresenta la corporeit, quando essa si
mescola alla tecnologia in modo co-sostanziale, come possibilit stessa di espressione della
soggettivit?"[9].
Prima di valutare le conseguenze della tecnica, c' da chiedersi - in prima istanza - quale sia lo
"sguardo" della tecnologia, ovvero del sapere che accompagna la tecnica, al corpo umano. E',
senz'altro, lo sguardo del dominio, dell'utilit e dell'efficienza: dai risultati positivi ma anche
negativi, soprattutto quando si riduce il corpo a mero strumento e ad oggetto di manipolazione.
Alla base di tutto, la profonda crisi che sta attraversando la scienza pura e non solo quanto
tecnica, crisi che trae la sua origine nell'avere identificato lo scopo della "scienza" come tale con
l'opera tecnologica. In questo orizzonte, la scienza intesa essenzialmente come ricerca di quei
processi che conducono ad un successo di tipo tecnico e fa, invece, allontanare l'uomo dalla
ricerca della verit: anzi la verit diviene superflua e talora viene esplicitamente rifiutata. Il
successo tecnico diviene esso stesso "verit" e il progresso umano viene misurato soltanto in
base al progresso della scienza e della tecnica, senza attenzione , come gi detto, al valore
"uomo". Il mondo a livello scientifico cos ridotto ad un semplice complesso di fenomeni
manipolabili e oggetto della scienza solo una connessione funzionale che viene analizzata
unicamente proprio in relazione della sua funzionalit[10].
La terza chiave di lettura quella antropologico-filosofica, che guarda al corpo umano nella sua
globalit al fine di indagare sulla sua realt, sul suo valore, sulla sua dignit. Anzi lo sguardo
penetra in profondit, superando la fisicit per scoprire quale la realt ontologica
dell'individuo umano.
La quarta, ed ultima, chiave di lettura quella della teologia, che si integra - senza confondersi -
con quella antropologico-filosofica: "Esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il
loro principio, ma anche per il loro oggetto: per il loro principio, perch nell'uno conosciamo con
la ragione naturale, nell'altro con la fede divina; per l'oggetto, perch oltre le verit che la ragione
naturale pu capire, ci proposto di vedere i misteri nascosti in Dio, che non possono essere
conosciuti se non sono rivelati dall'alto. La fede, che si fonda sulla testimonianza di Dio e si avvale
dell'aiuto soprannaturale della grazia, effettivamente di un ordine diverso da quello della
conoscenza filosofica. Questa, infatti, poggia sulla percezione dei sensi, sull'esperienza e si muove
alla luce del solo intelletto. La filosofia e le scienze spaziano nell'ordine della ragione naturale,
mentre la fede, illuminata e guidata dallo Spirito, riconosce nel messaggio della salvezza la
pienezza di grazia e di verit (cfr Gv 1,14) che Dio ha voluto rivelare nella storia e in maniera
definitiva per mezzo di suo Figlio Ges Cristo (cfr 1Gv 5,9; Gv 5,31-32)"[11].
La riflessione teologica, dunque, pur tenendo criticamente presenti le conclusioni della
riflessione filosofica, studia il corpo alla luce della Rivelazione che Dio ha fatto di s in Cristo,
trasmessa dalla Sacra Scrittura e insegnata dalla Chiesa.
Quattro chiavi di lettura, dunque, che consentono di indagare secondo quattro angolature diverse
un'unica realt: l'individuo umano. Quattro chiavi che, se usate singolarmente, possono dare una
lettura non esaustiva della realt umana e non rispondere alla domanda fondamentale: "Come
dobbiamo comportarci nei confronti della persona umana?".
Quattro chiavi di lettura che esigono di essere integrate e gerarchizzate attorno ad un valore
centrale di riferimento, la persona, anche se la "serratura" della piena comprensione pu essere
aperta dalla chiave antropologico-filosofica e dalla chiave teologica, senza trascurare, per, le
acquisizioni delle altre discipline. Solo cos sar possibile compiere quel "passaggio, tanto

85

necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento": la ricerca antropologico-filosofica e


teologica, dunque, come modalit per trascendere il fenomeno, da cui comunque si deve attingere
per cogliere il vero significato della persona umana.

b. Differenti conclusioni con la stessa chiave di lettura

Che la stessa chiave di lettura possa condurre a conclusioni differenti emerge dall'analisi a livello
antropologico-filosofico. E' noto, infatti, che la domanda sul rapporto tra la persona e il suo corpo
ha ricevuto nel tempo almeno due risposte: dualista e duale[12].
La risposta dualista affonda, come noto, le radici nel dualismo platonico, prima, e nel dualismo
cartesiano, poi.
Al riconoscimento della sostanzialit dell'anima si oppone nel dualismo platonico la svalutazione
del corpo ritenuto un aspetto transitorio ed accidentale dell'esistenza umana. L'anima, infatti,
preesistente al corpo, imprigionata in esso a causa di una caduta e possiede un'indipendenza
assoluta rispetto al corpo; solo l'anima l'elemento immutabile e divino, chiamato alla
contemplazione delle idee, mediante l'ascesi volontaria con cui l'uomo muore alla materia.
Per il dualismo cartesiano, il corpo (res extensa) unito concretamente e fisicamente all'anima
(res cogitans) attraverso l'epifisi, ma le due realt differiscono per essenza e per valore. La
distinzione tra res cogitans e res extensa pone l'eterogeneit sostanziale nell'uomo tra il pensiero
e il corpo ridotto a estensione e moto locale.
Un'interpretazione in entrambi i casi dualista, ma con alcune differenze: per Platone il corpo
non-essere, mentre in Cartesio si fa strada la necessit di una fondazione della scienza dei corpi;
inoltre, a differenza del dualismo platonico, il dualismo cartesiano non conduce
necessariamente alla fuga dal mondo e al disprezzo delle realt temporali[13].
Dal dualismo platonico e, soprattutto, dal dualismo cartesiano hanno preso le mosse, da una
parte, il dualismo moderno, che si dovuto poi confrontare con la questione del rapporto tra il
corpo e l'anima (rapporto di mera accidentalit, come nel caso dell'occasionalismo di Geulinex e
di Malebranche), e, dall'altra, il monismo sia materialista (l'unica sostanza il corpo, mentre lo
spirito l'insieme delle sue funzioni) sia spiritualista (l'unica sostanza lo spirito, mentre il
corpo solo frutto di una conoscenza empirica). Ma, soprattutto, ha preso le mosse una
concezione organicistica e funzionale del corpo umano, un corpo considerato nel complesso di
tessuti, organi e funzioni: il che non si pu escludere se la chiave di lettura quella del metodo
sperimentale, ma che non esaurisce, come gi detto, la totalit della conoscenza del corpo
umano. Ed il corpo, definito come materia estesa, qualificabile dalle coordinate spazio-temporali
(il corpo occupa un determinato spazio e ha una determinata continuit nel tempo), diventa una
realt che l'uomo pu possedere e manipolare e di cui pu disporre.
"Il filosofo che ha formulato il principio del "Cogito, ergo sum": "Penso, dunque esisto", ha pure
impresso alla moderna concezione dell'uomo il carattere dualista che la distingue. E' proprio del
razionalismo contrapporre in modo radicale nell'uomo lo spirito al corpo e il corpo allo spirito
[...] La separazione nell'uomo tra spirito e corpo ha avuto come conseguenza l'affermarsi della
tendenza a trattare il corpo umano non secondo le categorie della specifica somiglianza con Dio,
ma secondo quelle della sua somiglianza con tutti gli altri corpi presenti in natura, corpi che
l'uomo utilizza quale materiale per la sua attivit finalizzata alla produzione di beni di
consumo"[14].
Anche la lettura del rapporto persona-corpo da parte dei Padri della Chiesa stata ampiamente
influenzata dal dualismo platonico: infatti, pur affermando l'unit dell'uomo e la chiamata alla
salvezza di tutto l'essere, i Padri hanno corso il rischio di ridurre l'uomo alla sua anima. Anche lo
stesso Sant'Agostino: per Sant'Agostino - scrive Gilson - "l'uomo non un'anima separata, n un

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corpo separato; ma un'anima che si serve di un corpo"[15]. Il suo intento di difendere sia
l'immortalit dell'anima sia l'unit dell'uomo, continua Gilson, ma di fatto non riesce a
giustificare l'unit.
Un primo superamento del dualismo platonico l'ilemorfismo aristotelico, che presenta, per,
una difficolt: l'incapacit di giustificare l'immortalit dell'anima.
"L'ilemorfismo aristotelico cedeva l'anima come la forma del corpo. Quindi due erano i principi
sostanziali dell'unit dell'uomo: materiale (corpo) e formale (anima). Con ci si salva bene l'unit
dell'uomo, la quale sostanziale e non accidentale, per si mette in pericolo l'immortalit
dell'anima, giacch l'anima l'atto o la forma. Ma l'atto o la forma non realt sostanziale, bens
appartiene ai principi dell'essere. Quindi l'atto o la forma cessa di esistere con la morte
dell'uomo. In altre parole: la forma del corpo umano dura finch non cessa l'unione tra anima e
corpo"[16].
Nella lettura di San Tommaso d'Aquino, invece, l'anima umana s la forma del corpo (materia),
ma una forma speciale che possiede e d sostanzialit.
"Omne compositum ex materia et forma est corpus" [17]; "anima rationalis est forma in homine,
qua corpus est corpus"[18]; "una enim et eadem forma est per essentiam, per quam homo est ens
actu, et per quam est corpus, et per quam est homo"[19]: cos S. Tommaso esprime l'unit
essenziale dell'uomo. Un'unit di corpo e anima che sostanziale, intima e strettissima: le
dimensioni vegetativa, animale e spirituale della vita personale non sono giustapposte tra loro, in
una combinazione accidentale che le lasci estranee l'una all'altra, ma l'anima razionale investe,
trasfigura e trasferisce in un orizzonte nuovo tutta la corporeit umana. Essa perci non
corporeit solo materiale, ma corporeit personale: " il corpo permeato anzitutto (se cos ci si
pu esprimere) da tutta la realt della persona e della sua dignit"[20].
L'uomo , dunque, unit grazie alla sua forma che sostanzializza e spiritualizza il corpo: "L'uomo
persona nell'unit del corpo e dello spirito. Il corpo non pu essere mai ridotto a pura materia:
un corpo spiritualizzato, cos come lo spirito tanto profondamente unito al corpo da potersi
qualificare uno spirito corporeizzato" [21].
L'io-spirituale dell'uomo , allora, un io-spirituale in un corpo: il suo essere corpo coincide con il
suo essere spirituale. Ne consegue che nella persona umana non coesistono due realt -
spirituale e corporea -, e il corpo non una parte o un settore dell'uomo: il corpo espressione -
segno - di tutto l'uomo che solo attraverso di esso ha la possibilit di essere e di esistere. A sua
volta il corpo pu essere a giusta ragione definito umano proprio perch prende significato dalla
sua connessione con la persona e perch animato da un'anima spirituale, quella stessa anima
per cui conosciamo e siamo liberi.
Corpo o corporeit?
La stessa chiave di lettura pu, dunque, portare a due diverse soluzioni: per quale ragioni
dobbiamo propendere per una soluzione piuttosto che per l'altra?
Essere corpo significa "occupare" uno spazio e un tempo, provare caldo o freddo, avvertire la
sete e la fame: ma questo medesimo "corpo", se un corpo umano, pu essere anche in grado di
pensare, di ragionare, di volere liberamente. E' l'esperienza che ci conduce ad una soluzione
duale.
"L'esperienza ci attesta la profonda unit dell'uomo: io che sento freddo e ho mal di capo ho il
concetto della giustizia e dimostro l'esistenza di Dio. Tale unit si spiega soltanto se si ammette
che il principio delle nostre attivit, lo stesso principio per cui conosciamo intellettivamente, sia
forma sostanziale del corpo. S. Tommaso usa due argomenti per dimostrare questa tesi: uno
positivo e uno negativo. Quello positivo procede cos: l'uomo, hic homo, quello che mangia, beve e
veste panni, quest'uomo che sono io, un corpo: io sono un corpo. Ora ci per cui il corpo
esercita la sua attivit la sua forma sostanziale. Infatti, per operare, bisogna essere, e per

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operare in un determinato modo bisogna essere in un determinato modo, bisogna avere una
determinata natura; e il principio per cui il corpo ha una determinata natura - quindi anche una
determinata attivit - la forma sostanziale. Ora fra le varie attivit dell'uomo (fra le attivit mie)
v' la conoscenza intellettiva. Dunque il principio dell'attivit intellettiva forma sostanziale
dell'uomo: la forma sostanziale del corpo [...] L'argomento negativo addotto da S. Tommaso
questo: trovatemi voi un altro modo di unione fra il principio intellettivo e il corpo, che spieghi la
profonda unit della vita umana nelle sue varie manifestazioni"[22].
Quanto fin qui detto pu essere riassunto nella nota espressione di Marcel: "Je suis mon
corps"[23]. Ma come sottolinea Riva, questa affermazione di Marcel non deve di certo portare
alla conclusione che "siamo solo corpo": "Tornando, infine, al predicato mon corps, si osservato
come l'indice possessivo veicoli l'intimit, la solidariet ed il mutuo riconoscersi di soggettivit e
corporeit. Non bisogna per dimenticare che non si tratta d'una identificazione bens d'una
reciproca vicinanza del corpo e dell'io. Per ci stesso mantenuta nel mon, oltre che nell'unit
dei termini in questione, la loro distinzione. E' dunque in virt del mon attribuito
precedentemente, in sede di rilievo fenomenologico, dal soggetto al corpo che si rende possibile
la predicazione je-suis-mon corps. Il possessivo, infatti, prolunga la sfera della soggettivit
avvicinando ci che era distante"[24].
Una riflessione questa che ci porta ad analizzare le due espressioni solitamente utilizzate per
indicare il rapporto tra la persona e il suo corpo: "io ho il corpo"; "io sono il mio corpo".
In una visione dualista senz'altro escluso un rapporto persona-corpo basato sulla categoria
dell'avere: se il corpo un tutt'uno con l'anima, non si pu pensare a due elementi, uno che funge
da soggetto e possiede, e l'altro che funge da oggetto e viene posseduto. E', per, soddisfacente
basare il rapporto corpo-persona sulla categoria dell'essere un corpo? Non si rischia di esaurire
tutta l'esistenza personale nell'essere un corpo?
Perch l'uomo possa avere interiormente coscienza della presenza del corpo e percepirne la sua
unit, egli deve necessariamente trascendere il suo corpo e, quindi, non pu identificarsi in toto
con esso. Se l'uomo si identificasse, in toto con il proprio corpo, per quale ragione, ad esempio, si
cerca nell'altro, al di l dell'aspetto esteriore del suo corpo, "qualcosa" di cui quel corpo
manifestazione?
Guardando, infatti, il corpo umano, io cerco ci che non visibile e non empiricamente
dimostrabile: il pensare e il volere di quella persona che mi si manifesta attraverso quel corpo.
"... questo insieme osservabile dall'esterno - scrive Karol Wojtyla in Persona e Atto - non
esaurisce del tutto la realt del corpo umano, come quella del corpo degli animali delle piante. Il
corpo possiede anche una sua propria interiorit..."[25]. Ed ancora (a pag. 235): "L'appartenenza
del corpo all'io soggettivo non consiste in un'identificazione con esso. L'uomo non il proprio
corpo ma "possiede" il proprio corpo. Il possesso del proprio corpo condiziona la sua
oggettivazione negli atti, e allo stesso tempo si esprime attraverso tale oggettivazione. L'uomo in
modo particolare consapevole di possedere il proprio corpo, allorch, nell'azione, si serve di
esso come un mezzo obbediente per esprimere la sua autodeterminazione".
Premesso che la categoria del "possesso" utilizzata da Wojtyla per esprimere il rapporto
persona-corpo-atto non corrisponde alla categoria dell'avere nel rapporto corpo-persona[26],
opportuno soffermarsi sull'affermazione "l'appartenenza del corpo all'io soggettivo non consiste
in un'identificazione con esso": in altre parole, la persona pi del suo corpo.
Ed allora, l'espressione che meglio esplicita questa peculiare costituzione dell'uomo : "Io sono
una corporeit".
Gi la filosofia fenomenologica ha sottolineato la diversit tra i termini "corpo" e "corporeit": in
fondo, la distinzione introdotta da Husserl prima tra Korper e Leib, ove Korper indica il corpo
come semplice oggetto e Leib indica il corpo vissuto o la coscienza del proprio corpo[27], e da

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Scheler poi tra Geist (il mondo dello spirito), Ich (il mondo psichico), Korper (il mondo fisico) e
Leib (la forma unitaria di tutte le sensazioni organiche), prelude a questa chiarificazione.
"Il mio corpo pu [...] apparirmi anche come un corpo fra i corpi, pu in qualche modo essere
oggettivato, ma mai totalmente [...] Posso toccare la mia destra con la sinistra e farne oggetto
della mia percezione ed ecco che una parte di me, la mano sinistra, si sottrae
all'oggettivizzazione: toccante, gi soggettivit"[28].
E cos, mentre "corpo richiama la scissione classica di corpo e anima di origine greca e indica,
almeno nel linguaggio comune, una parte della persona: la componente corporea in quanto
distinta dalla componente spirituale... Corporeit indica l'intera soggettivit umana sotto
l'aspetto della sua condizione corporea in quanto costitutiva della sua identit personale.
Storicamente infatti non esiste una persona umana che non sia al tempo stesso un io-spirituale e
un io-corporeo; la corporeit in questo senso l'espressione, il riflesso visibile e l'attuazione
dell'essere umano, uno e indiviso. Corporeit una nozione pi ampia di corpo; in quanto tale la
corporeit inerisce alla totalit della persona e interferisce nella sua interiorit e nel suo
rapportarsi agli altri nel mondo"[29].
Questa corporeit manifesta a pieno la sua umanit: l'uomo diverso dall'animale - afferma
Knapp - in virt della sua corporeit.
"L'uomo - scrive Hengstenberg - non solo un organismo animale con l'aggiunta della coscienza
che lo sopraeleva. E' l'unico essere che ha un corpo, mentre nell'animale si pu parlare solo di
organismo [...] L'essere rivolti all'oggettivit (o senso) ha cooperato nella morfologia della
membra e degli organi umani, e lo stesso vale per il corpo"[30]. Ma gi Scheler aveva contestato
la definizione dell'uomo come "animale razionale", sostenendo che le differenze che separano
l'uomo dall'animale riguardano anche il corpo[31].
Fin qui l'analisi del rapporto persona-corpo con uno sguardo alla "persona": ma anche uno
sguardo al rapporto interpersonale pu evidenziare come l'individuo sia nel contempo un'unit
inscindibile di anima e di corpo. Si pensi all'esperienza dell'incontro con l'altro, che avviene
sempre attraverso il corpo ma che non si ferma alla dimensione corporea.
"Ad esempio, se noi riteniamo peculiare della persona l'autocoscienza, non abbiamo per
esperienza diretta dell'autocoscienza ma la deduciamo dai comportamenti altrui che sono
sempre comunque mediati dal corpo. Infatti l'Io che ha l'autocoscienza lo stesso che si sposta,
che ha caldo, che ha freddo. Senza riferimento al corpo non c' possibilit di relazione con l'altro.
L'altro per me innanzitutto il suo corpo anche quando non soltanto un corpo (il ricordo
sempre il ricordo di un volto)"[32].
Attraverso il corpo si esprime la persona: il corpo manifesta la persona nella sua visibilit; il
corpo - come ha scritto Giovanni Paolo II - "sacramento" della persona, ovvero manifestazione
visibile di una realt invisibile[33]: la realt invisibile e interiore della persona si esprime e si
realizza mediante la realt visibile ed esteriore del corpo. Attraverso la sua corporeit la persona
umana pu esprimersi, comunicare con gli altri, entrare in rapporto con loro, donarsi ed
accogliere l'altro.
Questa mediazione sociale del corpo uno degli aspetti sottolineati dal pensiero di G. Marcel: se
l'esistenza umana tale in quanto un "essere con" altri, essere aperti agli altri, ci possibile
attraverso la corporeit e il suo linguaggio[34]. Il corpo "presenza" di fronte agli altri, sintesi
del passato, presente e futuro: da qui la necessit del reciproco riconoscimento come persone e di
comune-unione.
Il corpo come "espressione", e quindi come cultura, civilizzazione, capacit di trasformazione del
mondo e della materia; il corpo come mediazione per la realizzazione della persona; ma il corpo
anche come mediazione per conferire al mondo significati sempre nuovi, trascendendo di
continuo le proprie esperienze e i precedenti significati: "Il corpo proprio nel mondo come il

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cuore nell'organismo: mantiene continuamente in vita lo spettacolo visibile, lo anima e lo


alimenta interamente, forma con esso un sistema [...] il corpo il nostro mezzo generale di avere
un mondo"[35].
Se il corpo mi manifesta la persona, esprime la persona, ne consegue che il corpo ha un
"linguaggio" che mi consente il riconoscimento.
"Questa volta essa carne della mia carne e osso delle mie ossa"(Gen. 2,23), esclama l'uomo alla
vista della donna. Carne della mia carne: il corpo rivela l'uomo in modo cos evidente da poter
essere subito riconosciuto.
"L'omogeneit somatica e il dinamismo in essa svelato, nonostante la diversit della costituzione
legata alla differenza sessuale, sono cos evidenti che l'uomo (maschio) la esprime subito
riconoscendo un altro uomo (femmina) simile a lui"[36].
Il corpo assume cos un valore simbolico: esso comunica con il linguaggio delle emozioni e
dell'affettivit significati che la coscienza chiamata, poi, a riconoscere e ad interpretare. Un
linguaggio, che prescinde da ogni manipolazione dell'uomo: "Il pianto spontaneo di un neonato
esprime una domanda di aiuto, prima ancora che egli ne sia cosciente. Cos il gesto di una stretta
di mano o di un bacio si collocano al confine tra natura e cultura: l dove le convenzioni hanno
dato forma variata ad elementi profondamente radicati nella natura e perci ricorrenti nelle
diverse culture. Insomma: il linguaggio s opera dell'uomo, ma non arbitraria; esso parte da un
dato naturale, che implica significati spontanei, quali regole universali della comunicazione,
radicate nella corporeit"[37].
Sulla "primordialit" del linguaggio del corpo si sofferma Giovanni Paolo II nelle Catechesi
sull'amore umano: "Il corpo umano non soltanto il campo di reazioni di carattere sessuale, ma ,
al tempo stesso, il mezzo di espressione dell'uomo integrale, della persona, che rivela se stessa
attraverso il linguaggio del corpo. Questo linguaggio ha un importante significato interpersonale,
specialmente quando si tratta di rapporti reciproci tra l'uomo e la donna"[38].
Nella relazione interpersonale il linguaggio del corpo pu comunicare con due modalit:
esprimendo la verit della persona (linguaggio "primordiale" o oggettivo"); o comunicando ci
che la persona vuol dire attraverso il proprio corpo (linguaggio "soggettivo").
Con il linguaggio oggettivo il corpo che parla - "Abbiamo qui in mente in primo luogo il
linguaggio in senso oggettivo: i Profeti paragonano l'Alleanza al matrimonio, si riportano a quel
sacramento primordiale di cui parla Gen 2,24 nel quale l'uomo e la donna diventano, per libera
scelta, una sola carne"[39] -; il linguaggio soggettivo successivo alla lettura e all'interpretazione
da parte del soggetto del linguaggio oggettivo e, quindi, all'assunzione nella verit o nella falsit
della specificit di questo linguaggio - "Tuttavia caratteristico del modo di esprimersi dei
Profeti, il fatto che, supponendo il linguaggio del corpo in senso oggettivo, essi passano, ad un
tempo, al suo significato soggettivo..."[40].
Da qui l'appello di Giovanni Paolo II affinch vi sia una lettura ed una espressione soggettiva del
linguaggio del corpo ma in tutta la sua verit oggettiva: "L'uomo e la donna svolgono nel
linguaggio del corpo quel dialogo che - secondo Genesi 2,24-25 - ebbe inizio nel giorno della
Creazione. E appunto a livello di questo linguaggio del corpo - che qualcosa in pi della sola
reattivit sessuale, e, che come autentico linguaggio delle persone, sottoposto alle esigenze
della verit, cio a norme morali obiettive - l'uomo e la donna esprimono reciprocamente se
stessi nel modo pi pieno e pi profondo, in quanto loro consentito dalla stessa dimensione
somatica della mascolinit e femminilit: l'uomo e la donna esprimono se stessi nella misura di
tutta la verit della loro persona"[41].
La vita dello spirito nella corporeit

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"Unit di anima e corpo, l'uomo sintetizza in s, per la sua condizione corporale gli elementi del
mondo materiale, cos che questi attraverso di loro toccano il loro vertice e prendono voce per
lodare in libert il Creatore"[42].
L'uomo, dunque, come "luogo" di sintesi tra natura biologica e trascendenza; l'uomo come
novit, ontologica e di valore, nel mondo materiale. Quest'uomo che, pur scrutabile con gli stessi
criteri utilizzati per altre specie viventi, l'unico dotato - in forza dello spirito - di intenzionalit.
Il corpo umano inventa, infatti, movimenti, gesti, ed sempre aperto a nuove possibilit; il corpo
umano capace di apprendere significati attraverso i sensi e di comunicare significati; il corpo
umano aperto all'apprendimento ed coinvolto nel processo conoscitivo e affettivo.
"Quando diciamo che l'uomo una persona vogliamo dire che egli non solamente un pezzo di
materia, un elemento individuale della natura, cos come sono elementi individuali nella natura
un atomo, una spiga di grano, una mosca, un elefante. L'uomo s un animale e un individuo, ma
non come gli altri. L'uomo un individuo che si guida da s mediante l'intelligenza e la volont;
esiste non solo fisicamente, c' in lui un esistere pi ricco e pi elevato, una sopraesistenza
spirituale nella conoscenza e nell'amore. E' cos in qualche modo un tutto, e non soltanto una
parte, un universo a s, un microcosmo, in cui il grande universo pu, tutto intero, essere
contenuto per mezzo della conoscenza; mediante l'amore pu darsi liberamente ad altri esseri
che per lui sono come altri se stesso, relazione questa, di cui non possibile trovare l'equivalente
in tutto l'universo fisico. In termini filosofici ci vuol dire che nella carne e nelle ossa umane c'
un'anima che uno spirito e che vale pi dell'universo tutto intero. La persona umana, per
dipendente che sia dai pi piccoli accidenti della materia, esiste per l'esistenza stessa della sua
anima che domina il tempo e la morte. E' lo spirito che la radice della persona"[43].
Un'intenzionalit che non sarebbe possibile se non fosse sostenuta da una natura d'essere:
l'uomo non potrebbe aprirsi e tendere a ci che trascende la materialit del mondo, se in esso
stesso non vi fosse un nucleo metafisico spirituale, non soggetto ai determinismi delle realt
finite[44].
La dignit della persona e la sua irriducibilit all'ordine della semplice natura biologica sono
rilevabili - come abbiamo visto - attraverso pi vie, che mettono, per, in evidenza quale sia il
loro reale fondamento: un soggetto spirituale, ontologicamente cosciente e libero,
indipendentemente dal fatto che coscienza e libert possano poi estrinsecarsi.
D'altra parte, l'uomo stesso percepisce questa "irriducibilit" e "distanza" dal mondo materiale -
"La sostanza materiale, ed anche il nostro corpo considerato nelle sue propriet puramente
fisiche, estesa nello spazio ed composta e quindi divisibile nelle sue particelle elementari
(almeno dal punto di vista matematico). Il cervello umano composto e realmente divisibile in
milioni e milioni di parti. La sostanza materiale pu anche venire percepita sensibilmente - anche
se solo indirettamente attraverso i suoi accidenti -, ad essa appartengono peso, colore, ecc. Tutte
queste determinazioni sono evidentemente prive di senso in rapporto al soggetto cosciente
immediatamente vissuto delle nostre esperienze e dei nostri atti. Questo soggetto non pu essere
esteso nello spazio, avere nello spazio delle parti che siano esterne ad altre parti, essere
composto e divisibile miliardi di volte"[45] -, ma nello stesso tempo vive i limiti e l'ambiguit di
essere uno "spirito corporeizzato".
Limite che l'uomo sperimenta nel dolore e nella malattia: l'Io che vive, sente, capisce, soffre,
spera, spirituale e corporeo insieme: il corpo malato - scrive Focault - racconta l'uomo e ne
rende evidente la sua finitezza[46]. Anche per la normale dipendenza da ritmi biologici,
fisiologici e psicologici.
Un limite che rende ancor pi manifesto il suo essere spirituale-corporeo, perch sottolinea
ancor di pi il divario tra le aspirazioni umane e le possibilit reali.

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Ambiguit che si sperimenterebbe, secondo Scheler, soprattutto nell'esperienza del pudore[47].


Lo sguardo o l'atteggiamento dell'altro potrebbe, infatti, violare la sacralit del corpo, facendo
sentire l'individuo a disagio, "ridotto" a mera fisicit, espropriato del suo essere persona. Il
pudore una reazione, una protesta del corpo contro questa forma di cosificazione: il tentativo
di tutelare la dignit e l'intimit della persona e di riportare l'attenzione dell'altro verso il vero
livello di comunicazione interpersonale, gli occhi[48].
La teologia della corporeit
La chiave di lettura fin qui utilizzata , dunque, quella antropologico-filosofica che pone la
questione della corporeit non a livello biologico ma ontologico: questo consentir, poi, di
distinguere tra ci che rispetta e ci che viola la dignit della persona non solo sulla base di
criteri biologici quanto in ragione di significati insiti nella corporeit umana. Vi , come gi detto,
un'altra chiave di lettura, quella della teologia che consente di cogliere la verit sull'uomo a
partire dall'esperienza umana illuminata dall'incontro con Cristo, Figlio di Dio fatto uomo.
"Al di fuori di un tale contesto non si pu parlare di teologia del corpo. E dal momento che tutta la
rivelazione trova la sua pienezza in Ges di Nazareth, il paradigma centrale della teologia del
corpo Ges il Cristo, il quale non solo rivela Dio all'uomo, ma rivela l'uomo all'uomo e gli fa nota
la sua altissima vocazione"[49].
La lettura alla luce della Rivelazione di Dio consente, inoltre, di evidenziare quanto sia grande la
realt corporea: il corpo dono del gesto creativo di Dio; il corpo il "luogo" dell'Incarnazione;
il corpo il "mezzo" della Redenzione. Sono queste le tappe fondamentali della storia della
Salvezza e a queste tre tappe si collega solitamente lo studio teologico del corpo. Uno studio che
"se per un verso riguarda un ambito particolare del sapere teologico, per l'altro permette di
proclamare l'unit del disegno divino, dalle origini al suo centro e al suo fine ultimo: dal corpo
creato da Dio al Corpo assunto dal verbo incarnato e introdotto nella gloria della Trinit con la
sua resurrezione fino al corpo della Chiesa, al corpo e al sangue di Cristo nell'eucarestia, al corpo
del battezzato divenuto tempio dello spirito, al corpo di Maria assunto in cielo fino alla
resurrezione dei nostri corpi [...] L'intera economia della salvezza attraversata, dall'inizio alla
fine, da un reale e concreto spessore corporeo"[50]
L'uomo creato da Dio in anima e corpo - "All'origine di ogni persona umana v' l'atto creativo di
Dio: nessun uomo viene all'esistenza per caso; egli sempre il termine dell'amore creativo di
Dio"[51] - e il suo essere ad immagine e somiglianza di Dio non riguarda solo lo spirito ma anche
il corpo: anzi, proprio attraverso il corpo che si manifesta il mistero di Dio, attuando
quell'incredibile sintesi tra immanenza e trascendenza. L'essere corpo cos importante per Dio
che si fatto corpo per venire tra gli uomini: "il Verbo si fatto carne ed ha posto la sua dimora in
mezzo a noi" (Gv 1,14).
"Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto n sacrificio n offerta, un corpo
invece mi hai preparato..." (Ebr 10,5ss): la grandezza di Dio si riversa, cos, nella fragilit di un
corpo umano, elevandolo ad una nuova dignit e riscattandolo dal peccato. Non vi mai
disprezzo del corpo umano da parte di Dio, ma valorizzazione al punto da assumere la natura
umana per manifestarsi al mondo, e vivere e raccontare la Sua Storia.
Anche la Redenzione di Ges Cristo passa e si realizza nel corpo, attraverso il corpo - il dono di
Ges Cristo fatto uomo si realizza attraverso il dono del Suo corpo e del Suo sangue -, cos come la
Resurrezione. La corporeit non , allora, "solo una condizione provvisoria e caduca dell'uomo,
perch l'attesa escatologica della salvezza conosce il perfezionamento dell'uomo come
tale, nella sua totalit unificata, quindi anche nel suo corpo. Certo non sappiamo - e per la nostra
salvezza non affatto necessario saperlo - come sar "il corpo spirituale" (1Cor 15,44); il corpo
glorioso; sappiamo per che il fatto che sia glorioso non a detrimento della realt del corpo:

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nell'escathon il corpo umano diventa il segno e il luogo della rivelazione totale e della
realizzazione piena della salvezza, e pertanto della stessa personalit umana"[52].
Un altro tassello manca, per, nell'analisi della teologia della corporeit e che consentirebbe di
evidenziare un'altra dimensione fondamentale della corporeit, l'essere dono.
"Se ogni essere creato, proprio perch creato, porta impresso il sigillo dell'amore di Dio ('ogni
creatura porta in s il segno del dono originario e fondamentale'), l'uomo porta impresso tale
sigillo in una maniera tutta sua, originale, propria, tale cio che lo differenzia dagli esseri
infraumani: lui, lui solo sa di essere dono; l'unica creatura che capace di comprendere il senso
stesso del dono nella chiamata dal nulla all'esistenza. Ed egli capace di rispondere al creatore
con il linguaggio di questa comprensione"[53]
Ges Cristo vive questa dimensione del dono della corporeit fino al massimo delle sue
manifestazioni: il dono del Corpo e del Sangue nell'Eucarestia, il dono di S per la salvezza dei
fratelli.
La dimensione sponsale del corpo
Il luogo ove la persona umana sperimenta questa dimensione del dono soprattutto la
corporeit sessuata, l'esperienza cio di essere uomo o di essere donna: un'esperienza intrinseca
alla vita umana. La corporeit umana segnata, infatti, originariamente dalla differenza sessuale
che, partendo dalle sue componenti biologiche, risulta radicata nella struttura ontologica della
persona: "Fino all'ultima cellula il corpo maschile maschile e il femminile femminile ed
analogalmente l'intera esperienza ed autocoscienza empirica. Questo all'interno di una natura
umana identica in entrambi la quale per in nessun punto emerge neutrale, al di l della
differenza dei sessi, come in luogo di possibile comprensione"[54].
La persona, dunque, attua la sua costituzione ontologica esistendo sempre e soltanto come uomo
o come donna, senza che questo per scavi un abisso incolmabile dal momento che unico il
fondamento, l'esistere come persona umana: "Il testo jahvista del capitolo secondo - scrive
Giovanni Paolo II - ci autorizza a pensare prima solamente all'uomo in quanto, mediante il corpo,
appartiene al mondo visibile, per oltrepassandolo, poi, ci fa pensare allo stesso uomo, ma
attraverso la duplicit del sesso [...] La mascolinit e la femminilit sono [...] due differenti
incarnazioni, cio due modi di essere corpo dello stesso essere umano, creato ad immagine di
Dio"[55].
Nella corporeit sessuata si manifestano tutte quelle dimensioni a cui abbiamo fatto gi cenno: la
corporeit come manifestazione della persona, come relazione, come intenzionalit, come limite.
E cos come la corporeit non esaurisce tutta l'esistenza personale, anche la corporeit sessuata
non esprime tutta la persona n la persona necessitata ad esprimere la totalit delle proprie
capacit sessuali.
Essere donna non equivale, allora, necessariamente ad essere moglie o madre, cos come essere
uomo non vuol dire essere necessariamente marito e padre. Se cos non fosse, non si
spiegherebbe d'altra parte la scelta della verginit: l'aver scelto di vivere la propria sessualit
senza un'attivit genitale, per potenziare la capacit di donazione, di Amore e di impegno verso
gli uomini e verso Dio, non rende certamente n meno uomini n meno donne.
L'essere sessuati, dunque, come espressione della persona, intimamente orientata all'Amore e al
dono: ed su questa dimensione che ci soffermiamo, con particolare attenzione alla relazione
uomo-donna nella coniugalit.
Infatti, l'uomo e la donna, pur sperimentando nella corporeit sessuata il limite di non essere in
se stessi tutta l'umanit, hanno nel contempo la consapevolezza di essere e di esistere con e per
qualcuno
"L'uomo e la donna diventano quello che sono unicamente nella reciprocit di un faccia a faccia
corporeo che li impegna l'uno e l'altro; parimenti essi sperimentano quello che sono soltanto in

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questa reciprocit. Si se stessi solo per l'altro: ecco cosa significa, fondamentalmente, la
sessualit"[56].
Si se stessi solo per l'altro: questa la chiave di lettura della dimensione del dono - o
dimensione sponsale secondo la definizione di Giovanni Paolo II - della corporeit: attraverso il
corpo "l'uomo-persona diventa dono e - mediante questo dono - attua il senso stesso del suo
essere e del suo esistere"[57]. Nella dimensione sponsale la capacit del dono supera poi il limite
della relazione uomo-donna nell'apertura al dono totale di s ad una nuova esistenza.
Anzi nel farsi "dono per il dono", l'uomo e la donna ripropongono e ricostruiscono il mistero
stesso della Creazione: "L'uomo e la donna, unendosi tra di loro cos strettamente da divenire una
sola carne, riscoprono per cos dire, ogni volta e in modo speciale, il mistero della Creazione,
ritornando cos a quella unione nell'umanit che permette loro di riconoscersi reciprocamente
come la prima volta, di chiamarsi per nome [...] Il fatto che divengono una sola carne un potente
legame stabilito dal Creatore, attraverso il quale essi scoprono la propria umanit, sia nella sua
unit originaria, sia nella dualit di una misteriosa attrattiva reciproca"[58].
Se, dunque, la lettura della corporeit sessuata viene condotta alla luce del disegno divino
sull'uomo e sulla donna e sulla loro relazione originaria, si coglie con maggiore pienezza il
significato della dimensione sponsale del corpo per la quale la persona chiamata a divenire
sempre di pi, nell'amore e nel dono di s, quello che fin "dall'origine": dono[59].
"Non bene che l'uomo sia solo" (Gen 2,18): per questo motivo Dio crea la donna e la conduce
all'uomo. Egli la "riconosce": "Finalmente essa osso delle mie ossa e carne della mia
carne" (Gen 2,23), scoprendo cos un "tu" che gli uguale e complementare, un tu che ha atteso
da sempre perch l'uomo non pu che esistere se non in "relazione con" qualcuno che sia uguale
e di pari dignit.
"Nella creazione della donna - scrive Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne - inscritto sin
dall'inizio il principio dell'aiuto: aiuto - si badi bene - non unilaterale ma reciproco. La donna il
completamenti dell'uomo, come l'uomo il completamento della donna: donna e uomo sono tra
loro complementari [...], non solo dal punto di vista fisico e pischico, ma ontologico. E' soltanto
grazie alla dualit del maschile e del femminile che l'umano si realizza appieno"[60]
E gi qualche anno prima, soffermandosi su questo mistero dell'unit/dualit, cos scriveva:
"Seguendo la narrazione del libro della Genesi, abbiamo constatato che la definitiva creazione
dell'uomo consiste nella creazione dell'unit di due esseri. La loro unit denota soprattutto
l'identit della natura umana; la dualit invece, manifesta ci che, in base a tale identit
costituisce la mascolinit e la femminilit dell'uomo creato"[61].
Dal riconoscimento al dono/accoglienza: "... e saranno una sola carne" (Gen 2,24). La sessualit,
inscritta nel corpo, invito alla reciprocit nella comunione, resa possibile dal fatto di possedere
un'uguale identit umana ma di essere anche differenti.

Persona e personalit

L'uomo, dunque, come unit inscindibile di anima e di corpo: ma qualsiasi corpo umano, anche se
malato o deforme, allo stadio di poche cellule o privo di coscienza, corpo di un essere umano?
Quegli embrioni fecondati e congelati in provetta sono altro che un grumo di cellule? Quell'uomo
incapace di comunicare ancora un uomo? In altre parole, quegli esseri umani, in cui non
ancora evidente una morfologia umana completa o non si sono estrinsecate alcune capacit o
funzioni, sono persone umane?
La nozione di "persona" stata elaborata, come noto, da parte della Chiesa cristiana per
risolvere questioni di natura cristologica e trinitaria, al fine di caratterizzare e di sottolineare, in
particolare, le caratteristiche spirituali della natura umana: ne derivato un modo di leggere

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l'uomo ad immagine del Creatore: "... non basta definire l'uomo come individuo della specie homo
(neppure homo sapiens). Il termine 'persona' stato scelto per sottolineare che l'uomo non si
lascia rinchiudere nella nozione 'individuo della specie umana'; che c' in lui qualche cosa di pi,
una pienezza e una perfezione d'essere particolari, che non si possono rendere altro che con la
parola persona"[62].
La stessa etimologia greca del termine persona (prosopon; in latino: persona), che - come noto -
indicava la maschera che adoperavano gli attori antichi nelle rappresentazioni teatrali,
nascondendone il volto e facendone risuonare forte la voce (per-sono= suonare in tutte le
direzioni), sta a significare ci che viene rappresentato in scena ma che va nel contempo al di l
delle apparenze. Persona , allora, l'uomo in quanto "maschera" o "parola" dell'Essere, in quanto
capace di percepire un appello morale incondizionato e di pensare l'infinito, in quanto dotato di
uno sguardo libero e capace di riconoscimento.[63]
E proprio in questo senso che il termine ha, poi, perso l'antico significato di "maschera" per
essere identificato - nelle dispute teologiche - con il termine greco ipostasis (in latino: substantia;
in italiano: sostrato, fondamento) ovvero ci che opposto alle sue apparenze.
Ma - fatto sconcertante - si tentato poi di trasformare una nozione, elaborata per
approfondire e compendiare le caratteristiche pi elevate della natura umana (intelletto,
autocoscienza, volont, libert, creativit, attivit simbolica, comunicativit) a prescindere dal
fatto che fossero tutte e sempre presenti in ogni singolo essere umano, in un criterio di discri-
minazione fra gli esseri umani, suscettibile di negare a molti di loro lo stesso diritto alla vita. In
altre parole, pur essendo univoca l'interpretazione etimologica del termine persona, le domande
"Che cosa la persona?" e, di conseguenza, "Chi persona" hanno, invece, ricevuto almeno due
diverse risposte: quella dell'orientamento funzionalistico-attualistico e quella dell'orientamento
sostanzialista.
L'orientamento funzionalistico-attualista subordina l'esistenza della persona umana, e quindi di
un soggetto titolare di diritti, al riconoscimento della presenza di alcune caratteristiche e/o alla
realizzazione di alcune funzioni, riducendo tutto l'uomo a dati empiricamente dimostrabili. Per
l'orientamento sostanzialista, invece, l'essere persona non dipende dal grado di presenza di certe
caratteristiche o dalla realizzazione di alcune funzioni bens da una posizione d'essere, cio dalla
natura ontologica (essenza) di determinati individui, costante in loro. Ne consegue che
dall'identica essenza scaturisce il valore uguale di ogni persona, in modo indipendente dal
possesso attuale di certe propriet o funzioni.
Essenza, che Boezio definisce come rationalis naturae individua substantia: ed proprio il
genitivo rationalis naturae che indica tutta la novit che fa la persona. La differenza che permette
di denominare persona un individuo , dunque, la ragionevolezza senza che questo comporti,
per, come conseguenza che "l'essere persona o il divenirlo siano accertabili solo funzionalmente
o empiricamente" quanto piuttosto che siano "argomentabili razionalmente entro una
concezione dell'essere e dei suoi gradi di perfezione"[64].
In altre parole, la persona non perde la propria struttura d'essenza per il fatto di non esercitare,
ad esempio, l'autocoscienza e l'autodeterminazione: questo perch la natura ontologica pu
anche manifestarsi in una serie di capacit, attivit e funzioni, caratterizzanti della razionalit, ma
non riducibile ad esse. Pertanto un individuo umano possiede la natura razionale (ed essere con
ci stesso persona) anche senza manifestare tutte, sempre e nel grado massimo, dette
caratteristiche.
Ed allora il divenire persona ("sinolo" di anima e corpo), come possesso del proprio statuto
ontologico radicale, "non un processo, ma un evento o atto istantaneo per cui si stabiliti
nell'essere persona una volta per tutte (la fecondazione), mentre la personalit qualcosa che si
acquisisce processualmente attraverso l'effettuazione di atti personali secondi"[65].

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Dire, invece, che persona solo chi dotato di coscienza, di razionalit, o che possiede
determinate caratteristiche corporee, non consente di dare una definizione reale di questa realt,
in quanto viene posto l'accento solo su un accidente ontologico, una qualit seconda, e non sul
carattere essenziale. E, mentre le qualit accidentali sono sempre soggette a cambiamento, le
caratteristiche essenziali ci sono o non ci sono: l'essere umano persona perch , nella sua
essenza, di natura spirituale - Uno spirito "corporeizzato"; un corpo "spiritualizzato" - e non
perch ha una maggiore o minore capacit di coscienza, di autocontrollo, di relazionalit, etc.
"In ultima analisi [...] l'argomento, povero ma decisivo, per stabilire chi uomo e chi non lo ,
quello di guardare all'origine: l'essere umano colui che nasce da altri esseri umani [...]
L'esperienza della privazione, nel segno del non ancora e del non pi, il segno della finitezza
umana e del carattere evolutivo/involutivo di ogni vivente: prendere sul serio questo dato
empirico significa comprendere che la disarmante semplicit dell'argomento con cui si afferma
che uomo comunque e sempre colui che nasce da altri uomini la condizione per procedere a
qualsiasi ulteriore e pi approfondita definizione dell'uomo"[66].
Solo se inizia ad esistere e se ci saranno le condizioni fisiologiche e ambientali adeguate,
quell'uomo potr sviluppare quelle caratteristiche biologiche, psicologiche e relazionali che non
sono "fondamenta" del suo essere persona (lo gi fin dalla fecondazione e lo rimane fino alla
morte) quanto piuttosto "mattoni" che servono per costruire la sua personalit.
Se per essere persona sufficiente possedere una natura umana, quando tale natura comincia ad
esistere? Quando questa corporeit cos essenziale ha inizio? E quando cessa di esistere?
Gli apporti della biologia e della genetica mettono in evidenza come il primo atto indispensabile
e biologicamente evidente affinch si formi un essere umano - come per migliaia di altri esseri -
la fusione di cellule altamente specializzate e teleologicamente programmate, la cellula uovo o lo
spermatozoo[67].
Dall'istante in cui lo spermatozoo entra in contatto con la cellula uovo e si affonda nel suo
citoplasma, parte una nuova catena di attivit la quale indica, in modo evidente, che i due gameti
non operano pi come se fossero due sistemi tra di loro indipendenti, ma che invece si
costituito un nuovo sistema che agisce come un'unit. E' l'unit definita zigote o embrione
unicellulare che, gi distinto da altri enti, opera come una unit individuale ed intrinsecamente
orientato ad una ben definita e precisa evoluzione. Tali caratteristiche, individuazione e
orientamento, sono determinate dal genoma o patrimonio genetico di cui lo zigote dotato.
Grazie al genoma, lo zigote va incontro ad uno sviluppo che individuale, coordinato, continuo e
graduale. Uno sviluppo, quello embrionale, che si svolge - tranne nel caso di impedimenti
intrinseci o estrinseci - senza interruzioni, e in cui ogni fase successiva necessit della presenza
della precedente in un concatenarsi inestricabile di eventi. Non , allora, plausibile porre l'inizio
della vita umana in un momento diverso dalla fecondazione.
Questa inscindibilit della vita biologica dalla vita personale continua poi per tutta l'esistenza
dell'individuo umano, perch la vita dell'organismo vita della persona sempre. Da quando e
finch c' vita umana in atto - in senso unitario e unificante -, questa vita di un solo soggetto, di
una persona umana: con la fecondazione inizia questa attivit convergente che, guidata e
coordinata dal genoma, porta in s un progetto tutto da realizzare; con la morte si ha la
cessazione della vita dell'organismo nella sua unit e coordinazione.
Infatti, per sapere quando un uomo morto non sufficiente individuare la perdita della capacit
di pensare, volere, relazionarsi con il mondo, ma si vanno a ricercare quei segni che possono
indicare che l'organismo ha cessato di essere una totalit unificata di funzioni[68].
Certo, si potrebbe ribattere: "la nostra finitezza umana non consente di attingere informazioni ad
un livello che supera la mera fisicit". Questo, per, non sminuisce la corporeit: anzi, ne mette
ancor pi in evidenza il significato e il valore.

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La centralit del corpo


Il dibattito attuale sulla persona riguarda sia la fase iniziale sia la fase terminale della vita:
passando attraverso la dicotomia tra essere-persona ed essere-corpo si cerca di giustificare
azioni che di per s sono moralmente illecite, ma che si vogliono in modo utilitaristico "stipare" in
una zona franca.
Separando nell'uomo lo spirito dal corpo, si sta, infatti, cercando di trasformare in diritto ci che
in effetti un delitto (aborto, eutanasia, etc.). Ma prima ancora si sta perdendo la consapevolezza
che si compie un omicidio non solo quando si uccide un corpo umano perfettamente formato ( da
alcuni considerato "persona" solo in questo caso), ma anche quando si uccide un essere
umano che non manifesterebbe ancora o non pi i "caratteri" della persona.
La dignit che deriva dall'essere un corpo personale non si commisura, per, al grado di sviluppo
corporeo, bens dal suo "esserci" o "non esserci": "Il nostro dovere e la responsabilit verso una
persona non si commisurano sulla riuscita delle sue membra o sulla felicit delle sue reazioni
intersoggettive e sociali... bens sulla realt stessa della sua presenza nel mondo"[69]
Qualsiasi attentato, qualsiasi sopruso alla persona deve necessariamente passare attraverso il
suo corpo, perch la sua esistenza non pu essere che corporea: "io mi posso ritrarre in me dalla
mia esistenza e renderla esterna. Scacciare da me la sensazione particolare ed essere libero nei
ceppi. [...] per gli altri, io sono nel mio corpo [...]. La violenza fatta da altri al mio corpo una
violenza fatta a me"[70].
Quali le conseguenze sul piano dell'etica?
Innanzitutto, l'indisponibilit del proprio e dell'altrui corpo: "l'uomo - scrive Kant - ha il
possesso su di s e non pu fare del suo corpo ci che vuole. In quanto parte del proprio s, con
il corpo che l'uomo costituisce una persona. Egli non pu trasformare la propria persona in una
cosa"[71], n disporre della propria persona come di una cosa: "non gli consentito vendere un
dente o un'altra parte di s"[72].
L'unica giustificazione ad un intervento sulla corporeit umana il beneficio che ne potrebbe
derivare in termini di vita e di salute per quello stesso individuo; cos come l'unica modalit di
disporre della propria corporeit quella del dono, gratuito, volontario, che non arrechi danno al
soggetto agente e che sia agito in vista di un vantaggio per la vita del beneficiario[73].
Il corpo umano non deve essere, dunque, oggetto di interventi che "troppo disprezzano il corpo
umano", ma neanche di interventi che "troppo lo esaltano", perch l'uomo "tenuto a
considerare buono e degno il proprio corpo"[74].
Certamente non bisogna dimenticare che per il credente, la vita del corpo, pur essendo un valore
fondamentale sul quale cio si fondano gli altri valori, non per un valore assoluto "tanto che gli
pu essere richiesto di abbandonarlo per un bene superiore; come dice Ges, chi vorr salvare la
propria vita, la perder; ma chi perder la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salver (Mc
8,35)"[75]. La vita, comunque, una "realt sacra che viene affidata perch la custodiamo con
senso di responsabilit"[76] e "nessun uomo pu scegliere arbitrariamente di vivere o di
morire"[77].
In secondo luogo, bisogna tenere presente che ogni relazione essenzialmente relazione che pur
mediata dalla corporeit porta con s la ricchezza della totalit della persona. Di questo si deve
rendere conto, ad esempio, il medico, il cui intervento sul corpo umano non potr non tenere
presente questa ricchezza e questo legame: atto di una persona su un'altra persona con la
mediazione del corpo[78]. Altro esempio: i coniugi - nella relazione sessuale-genitale - non
possono non riconoscere reciprocamente il valore di persona presente nell'altro. Non si ha solo
l'unione di due corpi, ma attraverso i corpi di due persone.
Anzi, in una lettura teologica, attraverso il riconoscimento dell'essere persona dell'altro, i coniugi
sentono addirittura di essere partner del Creatore stesso, partecipe del Suo amore fecondo ed

97

unitivo. Il coniuge riconosce in s e nell'altro coniuge il dono di un amore trascendente e di una


responsabilit procreante, riconosce che la vita dell'eventuale figlio dono del Creatore prima
ancora di essere frutto dell'amore coniugale. Pertanto il coniuge avverte che l'atto coniugale non
un gesto qualsiasi e che la procreazione non semplicemente riproduzione, che non pu essere
pertanto n contraffatto n contraddetto nella sua struttura.
Ed, infine, la centralit e la continuit della corporeit umana potrebbero essere la base di
partenza per il riconoscimento e la difesa dei diritti dell'uomo al di l delle disquisizioni sulla
persona umana. D'altra parte, la stessa "Donum vitae" nel chiedere il rispetto del "diritto alla vita
e all'integrit fisica di ogni essere umano dal momento del concepimento alla morte", fonda tale
diritto non sul riconoscimento della presenza o meno nell'embrione di un'anima spirituale ma sul
suo essere una realt biologica.
"Certamente - si legge al n. I.1 - nessun dato sperimentale pu essere per s sufficiente a far
riconoscere un'anima spirituale: tuttavia le conclusioni della scienza sull'embrione umani
forniscono un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da
questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe persona
umana?".


[1] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica "Evangelium vitae", 25 marzo 1995, Libreria Ed. Vaticana,
Citt del Vaticano 1995.
[2] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica "Veritatis splendor", 6 agosto 1993, Libreria Ed. Vaticana,
Citt del Vaticano 1993.
[3] Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie, 2 febbraio 1994, Libreria Ed. Vaticana, Citt del
Vaticano 1994, n. 19.
[4] A questo proposito cos scrive F. D'Agostino: "Il pensiero scientifico giunto invece ad
una impasse. Nessuna delle sue posizioni culturali tipiche rende realmente ragione della
corporeit: n nel pensiero fisico-scientifico che ha dissolto il corpo e la materia nell'impalpabile
dell'energia, n quello psicologico-psicoanalitico, che vede s la corporeit, ma attraverso la
mediazione di un dato francamente metafisico come quello dell'inconscio [...], n
quello antropologico-culturale" (F. D'Agostino, I diritti di indole biofisica, in G. Concetti (a cura
di), I diritti umani. Dottrina e prassi, AVE, Roma 1982, p. 760).
[5] R.M. Zaner, Body, in W. Reich (ed.), Encyclopaedia of Bioethics (revised edition), Simon &
Schuster - Mac Millan, New York 1995, pp. 293-298.
[6] Si pensi a tal proposito al dibattito sullo statuto dell'embrione umano. Come noto, secondo
alcuni autori l'inizio dell'esistenza individuale umana va posticipato ad epoche successive alla
fecondazione quando si rendono evidenti alcune caratteristiche biologiche (dopo 21-22 ore; dopo
il 14^ giorno, epoca in cui si forma la stria primitiva, etc,). Sull'argomento vedi: K.
Dawson, Fertilization and moral status: a scientific perspective, in Singer P., et al. (eds), Embryo
experimentation, Cambridge University Press, Cambridge 1990, pp. 43-52; R. Di
Menna, Umanizzazione e animazione del concepito umano, in AA.VV., Scienza e origine della vita,

98

Orizzonte Medico, Roma 1980, pp. 36-72; J.F. Donceel,Immediate animation and delayed
hominization, Theological studies 1970; 31: 76-106; N.M. Ford, When did I begin? Conception of
the human individual in history, phylosophy and science, Cambridge University Press, Cambridge
1988; J.M. Goldening, The brain-life theory: towards a consistent biological definition of
humaneness, Journal of Medical Ethics 1985; 11: 198-204; M.F. Goodman, What is a person?,
Humana Press, Clifton N.J. 1988; C. Grobstein, Biological characteristics of the preembryo, Annals
of the New York Academy od Science 1988; 541: 346-348; A. McLaren, Prelude to embryogenesis,
in Ciba Foundation, Human embryo research: yes or no?, London, Tavistock 1986, pp. 5-23; Ruff
W.,Individualitat und Personalitat in embryonalen Werden. Die Frage nach dem Zeitpunkt der
Geistbeseelung, Theologie und Philosophie 1970; 45: 25-49.
[7] Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione "Donum vitae", 22 febbraio 1987, Libreria
Ed. Vaticana, Citt del Vaticano 1987.
[8] U. Galimberti, Psiche e techne. L'uomo nell'et della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999, p. 34.
[9] M. Tallacchini, Il corpo e le sue parti. L'allocazione giuridica dei materiali biologici umani,
Medicina e Morale 1998; 3: 504.
[10] A. Strumia, L'uomo e la scienza nel Magistero di Giovanni Paolo II, Piemme, Casale
Monferrato 1987.
[11] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica "Fides et ratio", 14 settembre 1998, Libreria Ed.
Vaticana, Citt del Vaticano 1998, n. 9.
[12] Per un'analisi del pensiero filosofico sulla corporeit, si veda: A. Ales Bello, L'analisi della
corporeit nella fenomenologia, Studium 2000; 3/4: 481-494; M. Bizzotto, Corporeit. Approccio
filosofico, in G. Cin, E. Locci, C. Rocchetta, L. Sandrin (a cura di), Dizionario di Teologia Pastorale
Sanitaria, Ed. Camilliane, Torino 1997, pp. 257-265; C. Bruaire, Filosofia del corpo, Paoline,
Milano 1975; J. Haldane, Bioethics and Philosophy of the Human Body, in L. Gormally (ed.), Issues
for a Catholic Bioethic, London: The Linacre Center, 1999: 77-89; R. Lucas Lucas, L'uomo spirito
incarnato, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1993; V. Melchiorre, Il corpo, La Scuola, Brescia 1984;
Id., Corpo e persona, Marietti, Genova 1987; P. Prini, Il corpo che siamo, SEI, Torino 1991; A.
Rigobello, La corporeit propria come luogo dello stupore originario, Studium 2000; 3/4: 495-507;
W. Schultz, Le nuove vie della filosofia contemporanea. La corporeit, Marietti, Genova 1988, vol.
III.
[13] D. Tettamanzi, Bioetica. Difendere le frontiere della vita, Piemme, Casale Monferrato, 1987, p.
105.
[14] Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie..., n. 19.
[15] E. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, Morcelliana, Brescia 1969, p. 225.
[16] I. Fucek, Prospettive teologiche ed etiche in tema di corporeit umana, Medicina e Morale
1990; 5: 933-948.
[17] Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, ESD, Bologna 1984, q3, a2, sed c.
[18] Id., Questiones disputatae: De spiritualibus creaturis, Gregorianum, Roma 1964, a 3,5; sed c.
[19] Id., Summa Theologiae..., q 76, a 6,1.
[20] Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo cre. Catechesi sull'amore umano, Libreria Ed.
Vaticana, Citt del Vaticano 1985, LV, p. 223.
[21] Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie..., n. 19.
[22] S. Vanni Rovighi, Elementi di Filosofia, La Scuola, Brescia 1982, vol. III, pp. 164-166.
[23] G. Marcel, Journal de mtaphysique, Gallimard, Paris 1927, II, p. 252.
[24] F. Riva, Corpo e metafora in Gabriel Marcel, Vita e Pensiero, Milano 1985, pp. 120-121.
[25] K. Wojtyla, Persona e atto, Libreria Ed. Vaticana, Citt del Vaticano 1980, p. 230.
[26] Sempre a p. 235 di Persona e atto cos si legge alla nota 63: "Riallacciandosi alle opinioni qui
riportate, l'autore desidera osservare che quando in questo studio afferma che l'uomo non il

99

proprio corpo, ma possiede il proprio corpo, si basa sulla convinzione che l'uomo se stesso (cio
persona) nella misura in cui possiede se stesso; e, in questo senso, anche nella misura in cui
possiede il proprio corpo".
[27] Ancor prima di Husserl cos scriveva Rosmini: "Noi possiamo percepire il nostro corpo con
una percezione 'extrasoggettiva', ossia con quel tipo di percezione che coglie anche gli altri corpi
e cio tutti i corpi che costituiscono per l'uomo un che di oggettivo, oppure con una percezione
'soggettiva' con un sentimento fondamentale 'del proprio s'". E cos quando "noi percepiamo il
nostro corpo nella seconda maniera, cio per quel sentimento fondamentale cui d a noi l'essere
vivi, noi percepiamo il nostro corpo come una cosa con noi; egli diventa in tal modo, per
l'individua unione con lo spirito nostro, soggetto anch'egli senziente: e con verit si pu dire
ch'egli da noi sentito come senziente.
Quando all'incontro noi percepiamo il nostro corpo nella prima maniera, cio alla maniera
medesima onde percepiamo gli altri corpi esterni pe' nostri cinque sensi, allora il corpo nostro
come tutti gli altri fuori del soggetto, un diverso dalle nostre potenze sensitive: non lo
sentiamo pi in quanto anch'egli senziente, ma puramente ne' suoi dati esteriori, in quanto
atto ad essere sentito, ad eccitare in noi le sensazioni , e non a riceverle" (A. Rosmini, Nuovo
saggio sulle origini delle idee, vol. II, sez. V. p. V. CIII, art IX, Milano 1972, citato da: V. Melchiorre, Il
corpo, La Scuola, Brescia 1984, pp. 7-8).
[28] Melchiorre, Corpo e persona..., p. 41.
[29] C. Rocchetta, Per una teologia della corporeit, Ed. Camilliane, Torino 1990, p. 99.
[30] H.E. Hengstenberg, Philosopische Antropologie, Pustet, Munchen- Salzburg 1984, p. 81; p.
82.
[31] M. Scheler, Zur Idee des Menschen, in Ges. W., vol. 3, Franke, Bern 1955, pp.176-178.
[32] A. Pessina, Bioetica. L'uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano 1999, p. 90.
[33] Giovanni Paolo II, Catechesi sull'amore umano..., XIX, pp. 90-92.
[34] G. Marcel, Homo viator, Aubier, Paris 1945.
[35] M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, Bompiani, Milano 1963.
[36] Lucas Lucas, L'uomo spirito incarnato..., p. 200.
[37] L. Melina, Maschio e femmina li cre: teologia del corpo e differenza sessuale, in M.L. Di
Pietro ( a cura di), Educare all'identit sessuata, La Scuola, Brescia 2000, p. 91.
[38] Giovanni Paolo II, Catechesi sull'amore umano..., CXXIII, p. 467.
[39] Ibi., CIV, p. 401.
[40] Ibidem.
[41] ID., Catechesi sull'amore umano..., CXXIII, p. 468.
[42] Concilio Vaticano II, Costituzione Pastorale "Gaudium et spes", in Enchiridion Vaticanum, I,
Dehoniane, Bologna 1985, n. 14, pp. 791-813.
[43] J. Maritain, I diritti dell'uomo e la legge naturale, Vita e Pensiero, Milano 1977, pp. 4-5.
[44] J. De Finance, Conoscenza dell'essere. Trattato di ontologia, PUG, Roma 1993, pp.455-473; G.
Salatiello, Identit maschile e femminile in una lettura antropologica, in Di Pietro (a cura di),
Educare alla identit sessuata..., pp. 73-86.
[45] J. Seifert, Essere e persona, Vita e Pensiero, Milano 1989, pp. 328-329.
[46] M. Focault, Nascita della clinica, Einaudi, Torino 1977, pp. 222ss.
[47] M. Scheler, Pudore e sentimento del pudore, tr. it. A. Lambertino, Guida, Napoli 1978.
[48] C. Wojtyla, Amore e responsabilit, Marietti, Torino 1978, pp. 161-178.
[49] Rocchetta, Per una teologia della corporeit..., p. 97. Cfr. anche: Giovanni Paolo II, Catechesi
sull'amore umano...; A. Scola, Il mistero nuziale. 1. Uomo-donna, PUL-Mursia, Roma 1998.
[50] Rocchetta, Per una teologia della corporeit..., p. 98.

100

[51] Giovanni Paolo II, La vocazione cristiana dei coniugi pu esigere anche l'eroismo, 17
settembre 1983, inInsegnamenti di Giovanni Paolo II, Libreria Ed. Vaticana, Citt del Vaticano
1983, vol. VI/2 (1983), p. 562.
[52] Tettamanzi, Bioetica..., pp. 113ss.
[53] ID., La sessualit umana: prospettive antropologiche, etiche e pedagogiche, Medicina e Morale
1984; 2: 141.
[54] H.U. von Balthasar, Le persone nel dramma: l'uomo in Dio, Jaca Boook, Milano 1982, vol.II, p.
345.
[55] Giovanni Paolo II, Catechesi sull'amore umano..., VIII, p. 54.
[56] A. Janniere, Antropologia sessuale, Gribaudi, Torino 1969, pp. 115-116.
[57] Giovanni Paolo II, L'uomo-persona diventa dono nella libert dell'amore, 16 gennaio 1980,
in Insegnamenti di Giovanni Paolo II...., vol. III/1 (1980), p. 148.
[58] ID., Catechesi sull'amore umano..., X, p. 63.
[59] Sull'argomento cfr. anche: Wojtyla, Amore e responsabilit..., pp. 84-89; 107ss.
[60] Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 29 giugno 1995, Libreria Ed. Vaticana, Citt del
Vaticano 1995, n. 7.
[61] Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica "Mulieris dignitatem", 15 agosto 1988, Libreria Ed.
Vaticana, Citt del Vaticano 1988, p. 58.
[62] Wojtyla, Amore e responsabilit..., p. 12.
[63] Sull'argomento "persona" cfr.: P. Cattorini, Dieci tesi sullo stato vegetativo persistente,
Medicina e Morale 1994; 5: 927-954; T.H. Engelhardt Jr., Manuale di Bioetica, Il Saggiatore,
Milano 1991; L. Palazzani, Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Giappichelli, Torino
1996; V. Possenti, La bioetica alla ricerca dei principi: la persona, Medicina e Morale 1992; 6:
1075-1096.
[64] V. Possenti, La bioetica alla ricerca dei principi: la persona, Medicina e Morale 1992; 6: 1081.
[65] Ibi., p. 1088.
[66] A. Pessina, Bioetica. L'uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano 1999, p. 91.
[67] A. Serra, R. Colombo, Identit e statuto dell'embrione umano: il contributo della biologia, in
Pontificia Accademia per la Vita, Identit e statuto dell'embrione umano, Libreria Ed. Vaticana,
Citt del Vaticano 1998, pp. 106-158.Sull'argomento, vedi anche: AA.VV., Identit e statuto
dell'embrione umano, Libreria Ed. Vaticana, Citt del Vaticano 1998; P. Caspar, Individuazione
genetica e gemellarit: l'obiezione dei gemelli monozigoti, Medicina e Morale 1994; 3: 453-467;
Centro di Bioetica, Universit Cattolica del S. Cuore, Identit e statuto dell'embrione
umano (22.6.1989), Medicina e Morale 1989; 4 (suppl.); R. Colombo R., Individualit biologico-
molecolare dell'uomo e statuto biologico dell'embrione, in Galbiati D., Eligio P., Ricci R.A.,
Rigamonti G., Sindoni E. (a cura di), Scienza ed etica alle Soglie del terzo Millennio, Societ Italiana
di Fisica, Bologna 1993, pp. 303-311; R. Colombo, Statuto biologico e statuto ontologico
dell'embrione e del feto umano, Anthropotes 1996; 1: 133-162; A. Serra, Quando iniziata la mia
vita?, La Civilt Cattolica 1989; 3348: 582ss.; A. Serra, Per uno statuto integrato dell'embrione
umano. Alcuni dati della genetica e dell'embriologia, in Biolo S. (a cura di), Nascita e morte
dell'uomo, Marietti, Genova 1993, pp. 55-105.
[68] Sull'argomento esiste una vasta letteratura. Cfr. tra l'altro: Comitato Nazionale per la
Bioetica, Definizione e accertamento della morte nell'uomo, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,
Roma 1991; J. De Dios Vial Correa, E. Sgreccia (eds.), The dignity of the dying person, Libreria Ed.
Vaticana, Citt del Vaticano 2000.
[69] A. Poppi, Etiche del Novecento, Ed. Scientifiche , Napoli 1993, p. 253.
[70] G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1974, p. 70.
[71] I. Kant, Lezioni di etica, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 189.

101

[72] I. Kant, La metafisica dei costumi, Laterza, Roma-Bari 1991, II, p. 279.
[73] E. Sgreccia, Manuale di Bioetica. I. Fondamenti ed etica biomedica, Vita e Pensiero, Milano
1999, pp. 159-166; ID.,Corpo e persona, in S. Rodot (a cura di), Questioni di bioetica, Laterza,
Roma-Bari 1993, pp. 113-122. Cfr. anche: X. Dijon, La rconciliation corporelle. Una tique du droit
mdical, Ed Lessius, Bruxelles 1998.
[74] Concilio Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et Spes..., n. 14.
[75] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica "Evangelium vitae"..., n. 47.
[76] Ibi., n. 2.
[77] Ibi., n. 47.
[78] K. Jaspers, Il medico nell'et della tecnica, Raffaello Cortina, Milano 1991.

102

ANDREAS LAUN

LA LEGGE NATURALE

Nel 1947 H. Rommen parl di una "eterna ricorrenza" della legge naturale, ed in effetti questo
un argomento che "ricorre" continuamente, indipendentemente dal modo in cui se ne parla. E
sebbene solitamente si rifiuti, in modo sprezzante, di discutere di legge naturale, nondimeno la
questione si ripresenta quasi di sua propria iniziativa, in particolare quando le persone sono
costrette a subire il male che stato ideologicamente o legalmente legittimato (per esempio sotto
Hitler o il comunismo).
Qual la natura di questa domanda sulla legge naturale? In cosa consiste e a cosa alludono le
persone quando la formulano? Perch continua a ripresentarsi e qual il suo significato?
Innanzitutto vorrei chiarire il concetto, per poi fare una considerazione sulla posizione della
legge naturale all'interno della teologia morale cattolica. Successivamente vorrei esaminare
alcuni problemi specifici, e infine trarre delle conclusioni.

IL TRIPLICE SIGNIFICATO DELLA LEGGE NATURALE

L'espressione "legge naturale" pu essere usata per indicare tre diverse "cose", una distinzione
utile per qualunque discussione sull'argomento:

La legge naturale come "legge di ragione"

Se come cristiano si pensa alla rivelazione e alla possibilit di distinguere ci che morale e
giusto per mezzo di essa, allora la legge naturale ogni lex in senso morale e legale, che una
persona in grado di riconoscere in base alla sua naturale capacit di ragionamento. La legge
naturale allora sinonimo di legge di ragione e in quanto tale opposta ad un comandamento o ad
una legge che stata rivelata da Dio. Il termine naturalis indica lo strumento grazie al quale
la lexviene riconosciuta - vale a dire la ragione.
L'espressione "legge naturale" in questo senso contrasta con "morale rivelata" o "legge rivelata" e
non tiene conto della domanda se o in che senso esista una morale impartita grazie a o basata
sulla rivelazione.

La legge naturale come "legge superiore"

Nel secondo significato, parliamo di legge naturale che contrasta con la legge umana in senso pi
stretto. [1] Questo tipo di legge naturale "legge" in un senso pi limitato e non include la pi
comprensiva lex morale. E', per cos dire, solo "met" del concetto sopra descritto.
Cos, anche qui si applica lo stesso principio: non richiesta nessuna rivelazione per riconoscerla.
Le leggi dell'ordinamento giuridico umano dovrebbero conformarsi a questo senso di legge
naturale. Essa la legge superiore, su di essa le leggi meramente umane sono fondate e da essa
vengono limitate. Se questo senso di legge naturale, per una qualche ragione, non viene rispettato
a favore di leggi esclusivamente umane, le conseguenze risultano talvolta disastrose.
Un'altra espressione per "legge naturale" avente questo significato - e in un senso pi oggettivo e
pi facilmente comprensibile nell'ottico dello sviluppo sociale - "diritti umani". Si potrebbe
anche solo, o pi esattamente, parlare di "legge Divina", ma sempre una legge Divina che pu
essere riconosciuta dalla ragione.

103

"Legge naturale" come forma specifica dell'etica naturale



La terza accezione di legge naturale quella cui ci riferiamo quando ne parliamo in base alla
tradizionale terminologia scolastica. Tale significato include non solo l'altra "met" del primo
concetto (=la lex morale che riconosciuta dalla ragione), ma allo stesso tempo una forma
particolare di etica filosofica, il cui assioma base : bonum est secundum naturam agere. O
anche: bonum est secundum rationem agere. O, mettendola ancora in un altro modo: il bene ci
che conveniens naturae o conveniens rationi.
In altre parole, Lex naturalis indica non solo una morale riconoscibile naturalmente, ma anche il
modo in cui essa dimostrata.


LA "LEGGE NATURALE" OGGI?

Oggigiorno, i primi due significati di "legge naturale" sono normalmente riconosciuti, sebbene
con una riserva che fa apparire questo "riconoscimento" estremamente opinabile.

La legge naturale nel senso attuale di diritti umani?

Per quanto riguarda la "met legale" del primo significato di "legge naturale": la gente parla
molto di "diritti umani" e, in forza di questi, avanza rivendicazioni, ma il fondamento di questi
"diritti umani" si va sempre pi smarrendo a seguito della perdita di (fede in) Dio. In
conseguenza a questo allontanamento da Dio, anche l'Uomo si perde, nel senso che in lui non si
riconosce pi l'immagine di Dio, ed in lui si vede solo "un organismo tra gli altri". Da ci ne deriva
che l'uomo possiede tutt'al pi "diritti animali", ma non ha pi il sacro diritto alla vita e la
protezione della sua integrit. I veri diritti umani possono solo essere basati sul riconoscimento
dell'Uomo come persona e, in termini religiosi, in quanto "immagine di Dio".
Il passo nell'Evangelium Vitae che spiega tale connessione - che la perdita di Dio conduce alla
perdita dell'Uomo - forse il pi importante e il pi appassionante dell'intera enciclica. [2]
Le conseguenze di tale "perdita dell'uomo a seguito della perdita di Dio" sono note a tutti i qui
presenti. La reale situazione relativa al riconoscimento dei diritti umani si chiarisce
fulmineamente pensando alla degenerazione di tale concetto attraverso la proclamazione di un
diritto umano all'aborto o ai "matrimoni" omosessuali.

La legge naturale come etica naturale oggi?

La situazione della legge naturale nel senso di etica non molto migliore: perch l'etichetta "etica
naturale" usata moltissime volte in riferimento a quelle teorie relativistiche, largamente diffuse,
che non meritano l'onore di essere chiamate "etica". Vengono molto meglio descritte come una
distruzione ideologicamente infiorettata dell'etica, come Giovanni Paolo II ha affermato molto
chiaramente in Veritatis Splendor. [3] Basta soltanto rendersi conto di quanto spesso oggi la
gente parli in un modo estremamente nebuloso di idee personali, di valori o di un cambiamento
di valori.

La legge naturale scolastica nel senso di una etica precisa

Non passato molto tempo da quando il "fondamento della legge naturale dell'etica" - ovverosia,
la legge naturale nel terzo significato dell'espressione - era il tipico modo di pensare cattolico di

104

tutti i teologi morali, tuttavia oggi si sviluppata una situazione completamente diversa. Almeno
nei paesi di lingua tedesca non c' quasi nessun teologo morale che possa essere descritto come
un rappresentante della "legge naturale" nel senso della scolastica.


LA LEGGE NATURALE ALLA LUCE DELLA TRADIZIONE E DEL MAGISTERO DELLA CHIESA

Pensatori pre-cristiani come Cicerone hanno gi chiaramente distinto l'esistenza di una lex
naturalis nel primo e nel secondo significato dell'espressione. W. Waldstein, membro di questa
Accademia, lo ha dimostrato in modo definitivo in molti dei suoi lavori. [4]
Ancora pi importante di questa dimostrazione storico-filosofica il ricordare che la legge
Naturale una porzione essenziale dell'esplicito insegnamento delle Sacre Scritture ed ,
dunque, una parte del credo cattolico:
In Romani 2, 14seg.. leggiamo: "Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono
conforme alla Legge, pure non avendo Legge, sono legge a se stessi; portano il dettame della
Legge scritto nei loro cuori: ne d testimonianza la loro coscienza ..." [Versione Standard
Rivisitata]
Allo stesso modo il Concilio: "Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non lui a
darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il
bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimit del cuore: fa questo, evita
quest'altro. L'uomo ha in realt una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire la dignit
stessa dell'uomo, e secondo questa egli sar giudicato." [Gaudium et spes, 16, Flannery]
Per quanto la legge naturale, nei due primi significati dell'espressione, sia essenziale per la
concezione cattolica del mondo, di certo non si deve sostenere che la Chiesa voglia limitare le
argomentazioni dei filosofi e dei teologi cattolici alla "legge naturale della Scolastica". La critica
possibile e, almeno riguardo a certi rappresentanti di questa corrente di pensiero, anche
necessaria.


LO SVILUPPO DELLA TEOLOGIA MORALE CATTOLICA IN RELAZIONE ALLA COMPRENSIONE
SCOLASTICA DELLA LEGGE NATURALE

Nel 1968 Humanae Vitae esplose come una bomba e sollev una considerevole ondata di proteste
tra i teologi, che furono seguiti da molti laici ed anche da dichiarazioni di chiese in cui i loro
autori episcopali tentarono quello che si rivel essere, nel suo effetto finale, un vano tentativo di
conciliare la fedelt al Papa e l'acquietamento dei contestatori.
Ma ovviamente l'ondata di proteste contro l'Humanae Vitae riflu - fu il pi profondo attacco da
parte della Chiesa Cattolica allo spirito del tempo. I non-cattolici videro in essa la conferma dei
loro pregiudizi contro la Chiesa, strinsero le spalle e se ne allontanarono. Ma a quell'epoca tra
molti cattolici inizi un processo di scisma. Quanto questa spaccatura sarebbe stata estesa e
profonda pu essere compreso, ad esempio, dalle richieste della deplorevole
"Kirchenvolksbegehren" (= il movimento "Noi siamo la chiesa"), da tutte le idee eretiche che
vengono promosse nelle facolt teologiche cattoliche, e pu essere visto in tutti gli eventi che
rendono un reale scisma sempre pi possibile e verosimile.
Contemporaneamente accadde qualcos'altro: nella solitudine del lavoro erudito inizi un
processo nell'ambito della teologia morale, che pu essere comparato alla demolizione e alla
ricostruzione di una vecchia casa. Tutti gli elementi strutturali della teologia morale tradizionale
furono sottoposti, uno ad uno, a quello che inizialmente era un legittimo esame critico. Tuttavia,

105

nell'opinione degli autori, quegli elementi non passarono l'esame! Di conseguenza furono
demoliti, sostituiti da nuovi e ricostruiti. Pi precisamente: dalla parte del soggetto fu sviluppata
una idea modificata di "coscienza", dalla parte dell'oggetto si afferm l'idea del cosiddetto
"soppesare i beni" proveniente dall'etica anglosassone, che fu sostituita dal sopracitato principio
di legge naturale (secundum naturam agere). [5]
Inoltre, si tent di mostrare (all'interno della discussione sul cosiddetto proprium christianum)
che la rivelazione, in effetti, non aveva affatto contribuito all'elaborazione di specifiche norme
comportamentali.
Che un "effetto collaterale" di ci fosse un cambiamento nel significato del Magisterium della
Chiesa non deve sorprendere. Una autorit che richiede obbedienza fu trasformata in una "guida"
[o "fonte di linee-guida"], che si prometteva "di prendere sul serio". Ma non si poteva pi parlare
di "obbedienza" nel senso proprio del termine, in quanto fu denigrata come "immaturit". Al suo
posto fu introdotto il giudizio "personale", cercando di rendere la sua dignit inespugnabile sulla
base di una "coscienza" individuale. Anche in riferimento a gravi peccati come l'aborto si parlava
esclusivamente di "giudizio di coscienza", che doveva essere trattato con rispetto - come uno
scudo contro le rivendicazioni del Magisterium.
E cos la ricostruzione della lex naturalis fu completata, una ricostruzione cos radicale che a
stento si potrebbe immaginare qualcosa di pi radicale. Con questo nuovo tipo di "etica" (se di
"etica" si tratta!) "incidenti" intellettuali - perch cos fu considerata Humanae Vitae - non
potevano in futuro accadere di nuovo.
Quando a questi teologi morali vengono rivolte domande sulla "legge naturale" essi l'accettano
alla lettera nel citato primo significato dell'espressione. Naturalmente estremamente discutibile
se, ci che essi descrivono come lex naturalis, esprima la stessa realt come intesa sia nella
tradizione, sia dal Magisterium della Chiesa. Essi dicono: l'etica teologica interamente fondata
sulla ragione. E' la ragione che, entro le possibilit della natura umana, crea significato e
norme. [6]In questo senso tale nuovo tipo di etica lex naturalis. Ma sebbene essi approvino la
"legge naturale" come sinonimo di etica basata sulla ragione (nel loro senso dell'espressione),
negano altrettanto fervidamente che sia un tipo di etica che possa oggettivamente acquisire le
sue norme dalle strutture dell'essere. Perch, secondo loro, la possibilit di un talesecundum
naturam agere fu definitivamente confutato nei dibattiti che si svolsero tra la fine degli anni
Sessanta ed i primi anni Settanta.
Per esporre la questione cautamente: si pu dimostrare che il tipo di teologia morale appena
delineata esista, sebbene non sia facile provare che esista nella sua forma "pura". Le principali
caratteristiche di questo modo di pensare sono comuni a tutti coloro che appartengono a gruppi
che potrebbero essere descritti come "moderni" teologi morali.


LA CRITICA DELLA LEGGE NATURALE NEL TERZO SIGNIFICATO DELL'ESPRESSIONE
(SECUNDUM NATURAM AGERE)

Questo non il luogo per delineare tutte le obiezioni che a quell'epoca furono sollevate contro la
comprensione scolastica della legge naturale e che - come in una reazione a catena - portarono al
suo declino.
Ma vorrei ricordare quelli che mi sembrano essere i due argomenti pi importanti, dal momento
che criticano validamente un certo modo di concepire la legge naturale da parte della scolastica.

106

Dall'essere all'obbligo?

Basandosi sulle argomentazioni di D. Hume e C.G. Moore si sostiene che un obbligo non pu
derivare dal [semplice] essere; il dovere verso un certo agere non mai la conseguenza
dell'"essere". Tale obiezione particolarmente e chiaramente visibile nella cosiddetta accusa di
biologismo, che viene ripetutamente sollevata contro la Humanae Vitae: perch le strutture
biologiche dovrebbero essere inviolabili e perch proibito intervenire soltanto per la
motivazione che "sono ci che sono"? Le strutture biologiche sono qualcosa di fondamentalmente
diverso dalle norme morali! [7]
Ed anche quando si aggiunga che Dio il creatore di queste leggi biologiche, non ne consegue che
esse abbiano un valore normativo, perch ci porterebbe a ridicole ed assurde conseguenze,
come prova il seguente esempio tratto dalla storia del pensiero umano:
Dio cre gli uomini con la capacit di farsi crescere una barba.
Egli, dunque, voleva che gli uomini si facessero crescere la barba.
Ne consegue pertanto che chiunque si rade agisce contro il volere di Dio.
Ma agire contro il volere di Dio peccato.
Non sufficiente ridere di questo esempio. Si deve anche essere in grado di mostrare perch la
conclusione, che suona cos logica, falsa.

"Realizzazione di s come norma etica originaria?"

Innanzitutto devo spiegare meglio il principio sopra citato - agere sequitur esse.
Quale esse non deve seguire (sequere) al fine di agire bene? La natura umana, la risposta; anche
questo il significato dilex naturalis: naturalis ci dice da dove vengono le norme morali, vale a
dire dalla natura umana, dall'essere dell'Uomo come egli .
Tommaso D'Aquino risponde alla domanda che segue da questa: "Come riconosciamo la natura
umana?" con il concetto di inclinationes naturales: ci che conforme alla "natura" noi lo
riconosciamo sulla base delle inclinationes naturales; ci a cui esse sono preposte ci mostra ci
che buono e conforme al volere di Dio. Tommaso nomina come inclinationesdi base le seguenti:
la inclinatio a preservare il proprio essere, la inclinatio a preservare la specie, la inclinatio verso il
riconoscimento e verso la collettivit. [8] Ci sembra ragionevole: dopo tutto sarebbe
incompatibile con la bont del Creatore aver dato all'Uomo inclinationes che non fossero preposte
al bene.
Quando l'Uomo segue le sue inclinationes naturales agisce bene e realizza il suo essere, che in tal
modo giunge a perfezione; questo ci che "realizzazione di s" significa per lui.
Ci sono due riserve a tale interpretazione dell'agere sequitur esse o all' actus moralis hominis
sequitur inclinationes naturae humanae.
La prima obiezione: la natura umana come noi la conosciamo stata distorta dal peccato,
una natura vulnerata. Le sueinclinationes non derivano affatto solamente da Dio. Alcune derivano
dal peccato e conducono a peccare. Si pensi solamente, da una parte, alle tante inclinazioni
peccaminose che colpiscono tutte le persone (orgoglio, indolenza ...), e alle specifiche inclinazioni
al peccato come l'omosessualit o la cleptomania dall'altra.
La seconda obiezione che, seppure la nostra natura fosse come Dio l'ha creata, l'amore sarebbe
la realizzazione di tutti i principi morali e sarebbe determinante in ogni atto morale. Ma l'amore
riguarda l'altra persona. Tommaso descrive l'amore di Dio come deum amare propter se ipsum.
Do ci segue che anche se il bene morale la perfezione della natura umana, la natura del bene
non pu consistere nell'impegnarsi a raggiungere la realizzazione di s.

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"NATURA COME FATTI NEUTRI" E "ESSERE CHE HA VALORE COME PARTE DEL PIANO DI
DIO"

Non c' via d'uscita al dilemma in cui la legge naturale neo-scolastica andata ad impegolarsi.
C' un pregiudizio nell'affermazione "Non si pu desumere un obbligo dal semplice essere", vale a
dire il pregiudizio che "non pu esistere l'essere con contenuto normativo" [9] , e che tutto
l'"essere" non nulla pi di un semplice "fatto", privo di qualunque valore, sostanza neutra ad
uso della libert umana. L'asserzione opposta : l'Essere affatto privo di valore; il valore una
propriet dell'essere stesso, inestricabilmente legato ad esso.
Tendo verso l'opinione che l'asserzione di "essere senza valore" una conseguenza dell'ateismo:
come pu il mondo contenere valori che ci legano moralmente quando solo un prodotto della
cieca sorte?
In questo caso la formula Agere sequitur esse si chiarifica in modo decisivo: Agere sequitur
bonum nell'essere.
Perci non un dovere morale portare la barba, perch ci solo un fatto, ma senza valore
morale (al contrario del valore estetico ...)! Di conseguenza nessun dovere deriva dalle leggi
biologiche in quanto tali (= biologismo), ma esse derivano in realt dal corpo umano, perch la
persona presente tramite esso ed in esso.
Quando nella teologia morale cattolica parliamo del "piano di Dio" che impone un dovere su di
noi, ci che intendiamo dire precisamente questo: dovremmo riconoscere quell'essere che
"buono" (nel senso di moralmente significativo).


L'ETICAMENTE BUONO: LA REALIZZAZIONE DI S DELL'INDIVIDUO O LA TRASCENDENZA
DELL'AMORE?

Abbiamo sentito: secondo Tommaso c' un dovere seguire le inclinationes naturales allo scopo di
conoscere ci che moralmente buono. Ma da ci non deriva che la gratificazione di
queste inclinationes di per s sia gi buona. Il pensiero pu anche essere espresso nel modo
seguente: le inclinationes naturales sono un principio euristico, che ci mostra come guardare nella
giusta direzione in cui si trovano tali beni moralmente significativi che rendono la nostra azione
di valore morale. [10]
La legge naturale compresa in questo modo conforme alla vasta corrente di etica
personalista [11] , che da una parte rappresentata da D. von Hildebrand e Josef Seifert, e
dall'altra da K. Wojtyla e dalla scuola di Lublino nella sua interezza.
L'atto morale una risposta al bene di un'altra persona, che va oltre la sfera dell'interesse
personale, che "trascende" il proprio tornaconto. Nelle parole di Hildebrand: l'atto morale una
"risposta di valore".
Applicando ci all'amore: se Dio si deve amare propter se ipsum, allora consegue che, per la sua
immagine, persona est affirmanda propter se ipsam. [12] Data la rilevanza di tale percezione,
Giovanni Paolo II ripetutamente cita l'insegnamento del Concilio: "l'Uomo in terra la sola
creatura che Iddio abbia voluto per se stesso;" egli "pu pienamente ritrovarsi solo attraverso un
dono sincero di s." [13]
Ci significa: non realizzazione di s o trascendenza, non realizzazione di s attraverso la
trascendenza (come se fosse il mezzo allo "scopo" della realizzazione di s!), ma realizzazione di
s come (Hildebrand direbbe: superabundante) conseguenza della trascendenza altruista [14] nel
dare generosamente se stesso nell'amore.

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Questa trascendenza dell'amore, come dono di se stesso all'altra persona, per se stessa si addice
ad ogni atto morale. InVeritatis Splendor si dice: "l'origine e il fondamento del dovere di rispettare
assolutamente la vita umana sono da trovare nella dignit propria della persona ... la vita umana,
pur essendo un bene fondamentale dell'uomo, acquista un significato morale in riferimento al
bene della persona che deve essere sempre affermata per se stessa." [15]


CONCLUSIONE - UN RINNOVAMENTO DELLA LEGGE NATURALE

Non pu essere negato: Alcuni degli autori neo-scolastici hanno favorito un duplice
fraintendimento della lex naturalis.
-Il fraintendimento che l'essere di per s - che essi senza notarlo hanno concepito privo di valore
- potrebbe essere il fondamento delle norme morali (una variante di tale errore il biologismo), e
-Il fraintendimento che un atto etico per sua natura incurvatus in se, il che vuol dire, in ultima
analisi, che sempre diretto verso la propria felicit e la realizzazione del proprio s.
Il concetto neo-scolastico di legge naturale ha subito il fuoco della critica e da esso ne emerge
purificato e rafforzato. Difatti, ora, due dei suoi aspetti sono divenuti chiari: 1)All'Uomo spetta
una dignit unica. L'atto morale d'amore risponde proprio a tale dignit - propter se ipsum. 2) Il
fondamentale atto morale l'amore. Esso trascende l'egoismo dell'individuo nell'appagamento
delle sue inclinationes. O nelle parole di Hildebrand: l'Uomo realizza se stesso quando non cerca
di realizzare se stesso, ma ama l'altra persona propter se ipsum.


LA FEDELT DELLA LEGGE NATURALE ALLA REALT

La crisi della legge naturale deriva dalla crisi seguita alla pubblicazione della Humanae Vitae. Ed
per questo che, nella sezione finale, vorrei mostrare quanto legittimo e conforme alla "legge
naturale" sia il metodo argomentativo dellaHumanae Vitae.
Perch proibita ogni possibile forma di contraccezione? Si pu comprenderlo solo in
riferimento al "significato eccezionale" dell'atto matrimoniale (Giovanni Paolo II) o alla
sua intima ratio [16] . Quando si comprende ci, si comprende anche il comandamento morale a
cui si riferisce. Qual questo "significato eccezionale" secondo l'insegnamento della Chiesa? La
risposta : L'unione sessuale un completo donarsi nel linguaggio del corpo (= essere) - pertanto
richiede il voto matrimoniale (= agere). [17] L'unione sessuale non fertilit e amore, ma
l'unione di amore fertile - la fertilit appartiene a questo amore (= essere). Tale connessione deve
dunque essere rispettata (= agere). Ne deriva che la contraccezione non solo un atto contro la
fertilit ma anche contro l'amore. [18] L'unione sessuale preposta al possibile concepimento
di un bambino e pertanto ad una misteriosa cooperazione con Dio, che crea l'anima immortale
(= essere). Dunque, deve essere rispettata (= agere).
Chiunque comprenda il "significato eccezionale" dell'abbraccio coniugale percepisce anche che
non automaticamente ci che dovrebbe essere secondo il piano di Dio. Non fa parte della santit
coniugale "astenersi il pi possibile dall'unione sessuale", ma il renderlo ci che dovrebbe essere
in conformit al volere di Dio. A questo scopo gli sposi hanno bisogno di quei poteri che
"scaturiscono dallo Spirito Santo, che purifica, ravviva, rafforza e perfeziona i poteri dello spirito
umano." Perch solo lo Spirito, "che rende vivi, la carne non di alcuna utilit." [19] In questo
Spirito - cito Giovanni Paolo II - l'unione sessuale caratterizzata da un'alta "dignit e
santit". [20]

109

Questo totalmente nuovo? S, perch nella storia della Chiesa non stato mai percepito in modo
cos chiaro come dall'attuale papa. No, perch nella storia ci sono stati sorprendenti esempi di
ci. In particolare vorrei ricordare un passo di Tommaso d'Aquino che mi ha profondamente
commosso: in risposta alla questione sul perch il matrimonio sia un sacramento, sebbene non
conduca alla sofferenza di Cristo, ma porti gioia, Tommaso risponde: il Matrimonio un
sacramento. E' vero che non conduce un cristiano alla sofferenza di Cristo, ma lo unisce all'amore
con cui Cristo ha sofferto per la sua Chiesa. [21]
Se mi domandate cosa la legge naturale, dar una risposta generale ed una specifica.
Nella risposta "generale" cito San Tommaso: A motivo della sua ragione l'Uomo, in parte,
comprende il piano Divino - e Tommaso chiama ci "partecipazione" (participatio) di una
creatura dotata di ragione alla Divina legge lex naturalis. [22]
La risposta specifica : In essa l'Uomo riflette sul "significato eccezionale" non solo dell'unione
coniugale, ma della sua stessa natura nella sua interezza; egli prende "parte" alla legge Divina -
non alla cieca, tuttavia, come un animale, ma con la capacit di comprendere.
Anche i salmi ci dicono cosa sia la legge naturale: innanzitutto io prego (con le parole del "salmo
dei teologi morali"![23] ) "Apri i miei occhi e io considerer le meraviglie della tua legge"
Poi medito e considero: "Ti ringrazio perch sono stato formato in modo stupendo; meravigliose
sono le Tue opere. Tu conosci molto bene l'anima mia; la mia ossatura non ti fu nascosta, quando
venivo formato in segreto, ricamato nelle profondit della terra. I tuoi occhi hanno visto la mia
sostanza, ancora informe." [24]
Dico: "Mediter sui tuoi precetti, considerer i tuoi sentieri." [25] Poich i miei soli sforzi non
sono sufficienti: "Signore, insegnami i tuoi statuti." [26]
Faccio l'esperienza: "Beati coloro ... che camminano secondo le leggi del Signore! Mi delizier nei
tuoi comandamenti."[27]
Pertanto: "Osserver i tuoi statuti." [28]
A causa della mia debolezza io prego: "Non farmi deviare dai tuoi
comandamenti!" [29] Riconoscere ci che meraviglioso nella creazione di Dio, e percepire
l'eco di tale portento nella portento nella propria coscienza- questa la legge naturale.

110

[1] Cfr. Seifert J., Wie erkennt man Naturrecht?, Heidelberg 1998. Con contributi di R. Buttiglione,
F. Bydlinsky, Th. Mayer-Maly, J. Seifert, e W. Waldstein.
[2] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae, Vaticano, 1995, n. ?.
[3] Veritatis splendor, n. 4 parla "di una messa in discussione globale e sistematica del patrimonio
morale".
[4] P.es. Waldstein W., 'Das Naturrecht und die Grundlagung seiner Erkenntnis im Rmischen
Recht,' in Seifert J. (a cura di), Wie erkennt man Naturrecht?, Heidelberg 1998, 35-63. spec. 55): In
questo brano l'autore cita Cicerone De Republica3, 3: "Est quidem vera lex recta ratio naturae,
diffusa in omnes, constans, sempiterna, quae vocet ad officium jubendo, vetendo a fraude
deterreat; [...] huic legi non abrogari fas est neque derogari ex hac aliquid licet neque tota
abrogari potest, nec vero aut per senatum aut per populum solvi hac lege possumus, neque est
quaerendus explanator aut interpres Sextus Aelius (Loeb: eius alius), nec erit alia lex Romae, alia
Athenis, alia nunc, alia posthac, sed et omnes gentes et omni gentes et omni tempore una lex et
sempiterna et immutabilis continebit, unusque erit communis quasi magister et imperatur
omnium deus, ille legis huius inventor, disceptator, lator; cui qui non parebit, ipse se fugiet ac
naturam hominis aspernatus hoc ipso luet maximas poenas, etiamsi cetera supplicia, quae
putantur, effugerit."
[5] Ciccone L, '30 anni dalla pubblicazione dell'enciclica Humanae Vitae,' in: Familie et vita, V,
2/2000, pp. 85-106, spec. 87: "Il dibattito (i.e. sull'Enciclica Humanae vitae) [...] fin per portarsi
ben oltre i confini del problema di partenza, giungendo a mettere in questione anche problemi di
portata fondamentale, come, ad esempio: la concezione di legge naturale, la competenza del
Magistero in materia [...]."
[6] Questo anche il modo in cui Veritatis splendor descrive i nuovi principi morali.
[7] Il biologismo, o almeno il pericolo di scivolare in esso, anche posto ogniqualvolta si crede
necessario individuare caratteristiche comuni tra uomo e animali, per poter riconoscere il
'naturale'. Ci valido anche per J. Messner quando sostiene che il concetto di bene morale
potrebbe essere reso riconoscibile dall'analisi di ci che che costituisce un buon cavallo (cfr.
Laun A., Die naturrechtliche Begrndung der Ethik in der neueren katholischen Moraltheologie,
Vienna 1973, p. 68; Messner J., Das Naturrecht, 4 ed., Innsbruck 1960, 35).
[8] Tommaso D'Aquino, Summa Theologiae I-II 94 2c.
[9] Waldstein W., 'Naturrecht und naturalistischer Fehlschule,' in Fides et jus, Festschift G.
May, Regensburg 1991, pp. 33-58, spec. 35.
[10] Tale interpretazione mi sembra che sia anche contenuta in Veritatis splendor n. 48, quando
si afferma: " alla luce della dignit della persona umana - da affermarsi per se stessa - che la
ragione coglie il valore morale specifico di alcuni beni, cui la persona naturalmente incline."
[11] Cfr. il resoconto di ci in J. Seifert, 'Johannes Paul II. ber die Ehemoral: Seine Lehren und
die Hintergrnde in einer personalistischen Philosophie der Sexualitt,' in A Ordem, Rio de
Janeiro 1997, pp. 125-151.
[12] Cfr. ibidem, p. 136, da cui tratta la citazione.
[13] Gaudium et spes, n. 24 (Flannery). In questo brano di GS si trova una nota che fa riferimento
a Luca 17, 33: "Chi cercher di salvare la propria vita la perder, ma chi la perder la preserver."
Cos nostro Signore Ges gi, in essenza, formulava il principio di Hildebrand (pi sotto).
[14] Senza che questo "altruismo" sia inteso nel senso di '"amour pur" di Fnelon! Cfr. Laun A.,
[...]. Eichsttt 1993, 188 seg.
[15] Veritatis splendor, n. 50.
[16] Humanae vitae, n. 12.
[17] Familiaris consortio, n. 11.

111

[18] Si dovrebbe fare una distinzione tra atti sessuali di persone che si amano, ed atti sessuali che
sono un'espressione di amore corporale! Le coppie sposate possono amarsi, senza che i loro atti
sessuali siano un'incarnazione dell'amore (p.es. perch praticano la contraccezione). Questo
valido anche per gli omosessuali: la loro relazione pu per molti aspetti possedere le
caratteristiche dell'amore, senza che le loro attivit sessuali siano "amore" - anche se in tali atti
essi si comportano l'uno nei confronti dell'altro in modo premuroso ("amorevole").
[19] Giovanni Paolo II, Die Erlsung des Leibes, Vallendar 1985, p. 345. E' inusuale sostenere che
gli sposi hanno bisogno dello Spirito Santo per consumare il loro matrimonio? No, perch gi in
Tommaso d'Aquino (Suppl. 42 3 c) troviamo l'affermazione: Senza grazia gli sposi non possono
consumare il loro matrimonio "convenienter".
[20] Giovanni Paolo II, Die Erlsung des Leibes, Vallendar 1985, pp. 233, 236. "Quando l'uomo [...]
nel matrimonio d un significato alla propria condotta, che corrisponde alla verit fondamentale
del linguaggio dell'amore, allora anche lui 'nella verit'. Nel caso opposto egli mente e falsifica il
linguaggio del corpo."
[21] Tommaso d'Aquino, S.Th. Suppl. 42 1 ad 3. "Matrimonium [...] conformat Christo quantum
ad caritatem per quam pro Ecclesia sibi in sponsam conjugenda passus est." In modo simile, in
Francis de Sales (Philothea III,38) troviamo l'affermazione: "Tutto" "sacro" nel matrimonio.
[22] Tommaso d'Aquino, S. Th. I-II, 91, 2c.
[23] Sal. 119, 18 seg. (RSV).
[24] Sal. 139, 14-16a (Nuova Versione di King James).
[25] Sal. 119, 15 (RSV).
[26] Sal. 119, 64 (RSV).
[27] Sal. 119, 1b, 47a (RSV).
[28] Sal. 119, 8a (RSV).
[29] Sal. 119, 10b (RSV).

112

VINCENZA MELE
PER UN'ECOLOGIA PERSONALISTA
TRA ANTROPOCENTRISMO ED ECOCENTRISMO

Con il termine di ecologia personalista, ho inteso riferirmi al pensiero filosofico ecologico
generato dal personalismo ontologicamente fondato, rifuggendo dagli estremismi
dell'antropocentrismo forte e dell'ecocentrismo.
Per delineare quindi la fisionomia di una ecofilosofia personalista ho percorso tre momenti di
riflessione: un primo momento per collocare concettualmente l'antropocentrismo moderato
all'interno del panorama dell'etica ambientale; un secondo momento per analizzare le posizioni
ecofilosofiche generate dall'ecologia, ed un momento conclusivo per tracciare i lineamenti di
un'ecofilosofia ad ispirazione personalista.


ETICHE DELL'AMBIENTE

La letteratura di etica dell'ambiente offre un panorama molto ampio di riflessione. Risulta quindi
estremamente complesso un tentativo di classificazione delle varie posizioni filosofiche, che
sappia essere chiarificatore ed al tempo stesso non eccessivamente semplificante, per una
materia cos complessa e variegata.
A questo scopo, mi sembrato utile proporre una doppia classificazione, guardando
all'argomento da una duplice prospettiva.
La prima riguarda le modalit di argomentazione filosofica dell'etica ambientale, ovvero i suoi
presupposti metaetici; la seconda si colloca ad un livello eminentemente pratico e guarda alle
qualit assiologiche della natura.
La prima classificazione presenta il vantaggio, a mio avviso, di schematizzare una materia cos
complessa; la seconda ha invece il proposito di differenziare pi in dettaglio le varie posizioni,
permettendo di specificare maggiormente le diverse sfaccettature dei termini antropocentrismo,
biocentrismo ed ecocentrismo, termini comunemente utilizzati nell'etica ambientale. [1]
Seguendo l'analisi proposta da Bartolommei, le diverse posizioni teoriche in etica ambientale
sono state classificate rispetto all'antropocentrismo/biocentrismo/ecocentrismo, individuando
quattro posizioni principali:antropocentrismo forte, antropocentrismo debole, biocentrismo
debole, biocentrismo forte ecocentrismo.[2]
In riferimento alla modalit di argomentazione filosofica,[3]le diverse impostazioni in tema di
etica ambientale possono essere ricondotte ai seguenti modelli: obiettivismo razionalista,
ontologia della natura, femminismo o ginomorfismo, antropomorfismo e teismo.
Nel modello dell'obiettivismo razionalista il valore conferito alla natura mediante un atto
attributivo da parte dell'uomo, sulla base della valutazione delle conseguenze negative sulle
generazioni future a causa di un agire umano distruttivo e irresponsabile nei confronti della
natura. Il giudizio etico si fonda quindi sulla ragione umana che valuta rischi e benefici a lungo
termine. In questo modello fondativo si collocano alcune posizioni utilitariste e dell'etica della
comunicazione.
Il modello dell'ontologia della natura considera la natura portatrice di un valore intrinseco.
All'interno di questo modello fondativo si possono rinvenire il neoaristotelismo, il paradigma
della sacralit della vita, e l'olismo.
Il modello antropomorfico attribuisce alla natura un valore in analogia al valore dell'essere
umano. Il giudizio etico si fonda sull'estensione del valore morale dall'uomo agli altri esseri

113

viventi (moral extensionism), in quanto capaci di sentire piacere e dolore. La posizione


antropomorfica si pu rintracciare all'interno di alcune posizioni utilitariste e dell'etica dei diritti.
Il modello femminista, nelle sue infine sfaccettature, assume come punto di partenza
argomentativa l'analogia fra maschilismo e distruzione della natura.
La griglia argomentativa delle diverse tipologie di femminismo varia a seconda
dell'interpretazione antropologica dell'identit femminile[4].
Nell'orizzonte teista il valore conferito alla natura da un atto creativo di Dio ed riconosciuto
dalla ragione umana, aperta alla verit . Il giudizio etico si fonda quindi sulla metafisica. Il teismo
sta alla base del personalismo ontologicamente fondato[5].
In riferimento all'ordine di valore intrinsecamente posseduto dalla natura o ad essa
attribuito, possiamo adottare le seguenti definizioni: la natura come risorsa, la natura
come totalit di esseri viventi e non viventi che interagiscono reciprocamente, la natura
come comunit biotica, la natura come luogo di dispiegamento dell'essere, la natura come
manifestazione della gloria di Dio.
Il concetto assiologico di natura come risorsa, che nella sua valenza etica possiamo definire
risorsismo etico, si riconduce alla matrice filosofica dell'utilitarismo quindi ad
un'etica antropocentrica forte, secondo l'accezione comunemente utilizzata nell'etica
ambientale.
Un esempio di impostazione antropocentrica che definirei forte[6] l'etica ambientale di John
Passmore.[7]
Secondo l'autore, gli unici valori del mondo naturale sono quelli riconducibili all'umanit ed ai
suoi bisogni, ragion per cui alla natura non viene riconosciuto alcun valore intrinseco.
La responsabilit dell'uomo per la natura dipende dal fatto che gli esseri umani sono causa di
cambiamenti per la biosfera e che questi cambiamenti danno luogo a un problema morale,
perch pongono a serio rischio il futuro della specie umana .
L'ambiente quindi considerato come un valore-risorsa per l'uomo, sia nel senso materiale, sia
in quello estetico.
Il concetto assiologico di natura come totalit di esseri viventi e non viventi che interagiscono
reciprocamente, si riconduce alla matrice filosofica dell'olismo, quindi ad un'etica ecocentrica.
L'etica ecocentrica quell'etica ambientale che attribuisce un valore intrinseco alla natura come
totalit, presa nel suo insieme; il valore della totalit della natura ritenuto cio maggiore del
valore di ogni singola parte.
L'etica ecocentrica trova le sue radici nell'ambito della scienza ecologica, ovvero della deeep
ecology movement secondo l'accezione del filosofo norvegese Arne Naess.[8] Naess distingue
le shallow ecologies movements dalla deep ecology movement. Le prime sono rappresentate dai
tradizionali modelli filosofici applicati all'etica dell'ambiente e si ispirano a modelli
antropocentrici, legati cio a punti di vista di utilit umana; la deep ecology movement, al
contrario, vuole introdurre in filosofia il punto di vista della natura ed generata dall'ecologia
scientifica, come vedremo pi avanti.
L'etica ecocentrica trova anche le sue radici filosofiche all'interno del femminismo.
Secondo la definizione proposta da Ynestra King "l'ecofemminismo un movimento che consta di
posizioni teoriche ed agire pratico, promosso dalle donne che ritengono di dover compiere un
compito speciale in questi tempi pericolosi. Da quando le donne hanno visto i segni della
distruzione ecologica e dell'annientamento atomico, si sono immediatamente rese conto della
connessione esistente tra la violenza patriarcale contro le donne, la violenza contro le persone in
genere e la violenza contro la natura.
Le donne hanno una percezione profonda e specifica di questo sia per la loro natura, sia per la
loro esperienza di donne." [9]

114

L'obiettivo ecofemminista quindi antipatriarcale, antimilitarista ed ecologista [10]


Nell'opera dell'americana Mary Daly [11]si pu rinvenire l'elaborazione di alcuni elementi di
una variante di pensiero ecofemminista, che definirei pseudospiritualismo ecologista.
Secondo la teoria della filosofa, le donne avrebbero una natura radicalmente diversa dagli
uomini, che le renderebbe capaci di vivere una vera vita, piena di forza e alimentata da una
dinamica comunione con gli animali, la terra e le stelle. Agli uomini mancherebbe tale capacit
perch sarebbero per natura dei parassiti che sfruttano le portatrici e le creatrici della vita,
costruendo delle pantomime necrofile della vera vita e della vera comprensione. La
natura femminile, secondo Daly, sarebbe una natura buona, capace di generare i legami profondi
dell'amicizia; risvegliando tale natura le donne potrebbero creare una coscienza unitaria per
risanare la creazione. La maschilit spuria e parassita sarebbe invece la fonte del male, causa
di un mondo fallace di illusione, che rovescia tutti i veri principi e distende una rete di morte sul
tessuto della vita. I problemi del mondo e della societ umana sarebbero, quindi, causati dal
comportamento arrogante maschile e dai valori a sostegno del patriarcato, che sarebbe stata e
sarebbe tuttora la forza pi potente del mondo.
La liberazione delle donne, continua Daly, verr dalle stesse donne, se sapranno
spezzare le catene della falsa coscienza che le tiene legate, con l'obiettivo di far emergere il
mondo della vita ginocentrica, oggi sommerso dal sistema patriarcale di menzogna e di morte.
La rinascita femminile sarebbe il punto di arrivo di un viaggio in un luogo di puro
intuito, incontaminato da linguaggio, cultura, presenza o aspettative maschili, attraverso
l'uso fantasioso e innovativo del linguaggio, la riflessione sull'esperienza, mediante la quale le
donne sviluppano un vero e proprio nuovo organo della mente, e la primaria attenzione al
simbolismo ginocentrico e multidimensionale della "O", nel cui ambito le femministe amanti
della vita possono rinvenire il principio di base ecofemminista, ovvero che ogni cosa
connessa con ogni altra cosa.
Paradossalmente le varianti ecofemministe, che sostengono tale nesso si autodefiniscono
spiritualiste. La dimensione spirituale ridotta in effetti all'energia sessuale femminile, una
sorta di vitalismo, fra l'altro pericolosamente connesso alla magia, che unirebbe le donne fra di
loro e con le altre forme viventi, fungendo da principio di interconnessione, e che abiliterebbe
la donna a celebrare ed amare la vita. La celebrazione della sacralit della vita, in tale
contesto teoretico, non avrebbe ragione di essere nella trascendenza, ma
nella immanenza femminile, ovvero nella quotidianit della vita delle donne.
La riscoperta della sacralit della vita rende ragione dell'ecologismo conseguente, in quanto in
celebrazione della sacralit della vita che vengono rispettate tutte le forme vitali esistenti sulla
terra e la terra nella sua globalit, in quanto animata dal principio femminile d'interconnessione.
Il limite evidente di queste posizioni di aver ridotto lo spirito alla materia, in altre parole
eliminando le differenze tra spirito e materia non la materia ad assurgere a livello spirituale,
ma lo spirito ad abbassarsi a livello di mera materia.
Anche la donna paga le conseguenze di tale riduzionismo perch in effetti
scompare dall'orizzonte della trascendenza[12].
Il concetto assiologico di natura come comunit biotica, che genera l'etica biocentrica, ovvero
quell'etica ambientale che pone al centro di riferimento valoriale il singolo essere vivente, si
riconduce a diverse matrici filosofiche: ad esempio all'utilitarismo di Peter Singer e al
paradigma della sacralit della vita di Albert Schweitzer, riletto pi recentemente da Kennet
Goodpaster.
Tuttavia la valenza filosofica del biocentrismo nei due casi sostanzialmente diversa: il primo
un biocentrismo edonista, che trova cio le sue ragioni nel evitare il dolore ad ogni essere

115

vivente; il secondo un biocentrismo che, invece trova le sue ragioni nel principio che ogni
forma di vita va rispettata perch sacra.
Peter Singer [13] il sostenitore dell'utilitarismo della preferenza o degli interessi . Il principio
guida dell'etica di Singer e' quello dell'uguale ed imparziale considerazione degli interessi attuali
e futuri. Gli interessi si riferiscono al desiderio di evitare il dolore, soddisfare i bisogni primari,
sviluppare le proprie capacita', godere di rapporti amichevoli, essere liberi di realizzare i propri
progetti. La condizione di possibilita' minimale per avere interessi o preferenze e' essere in grado
neurofisiologicamente di provare piacere e dolore.
La norma etica che ne consegue la seguente: prendere in considerazione gli interessi di tutti i
soggetti capaci di averne, combattendo ogni forma di discriminazione (razzismo, sessismo,
schiavismo, specismo), estendendo biocentricamente il principio di uguaglianza.
Goodpaster[14], al contrario, ritiene che la capacit di sentire piacere e dolore non sia un fine in
s, ma una strategia di sopravvivenza, perch grazie ad essa si possono evitare rischi di vita.
Ogni tentativo di legare la soglia di rilevanza morale a questo o a quell'attributo risulta arbitrario.
E' il principio di rispetto della vita, afferma Goodpaster, l'unico principio etico obiettivamente
riconoscibile. In natura, quindi, tale principio, pu essere contraddetto, soltanto per garantire la
sopravvivenza.
Il concetto assiologico di natura come luogo di dispiegamento dell'Essere, partorito all'interno di
una concezione filosofica definita neoaristotelica, espressione di un etica ontocentrica.
La denominazione di etica ontocentrica stata attribuita all'etica di Hans Jonas[15]
Il teleologismo di Jonas, in antitesi alla concezione darwiniana, rinviene nell'evoluzione naturale
un finalismo che ha il suo culmine nell'essere umano. Jonas individua cio un principio di
continuit nella natura che va dall'organismo alla mente, rifiutando ogni forma di riduzionismo
dualistico (matera/interiorit-libert; natura/uomo; mente/corpo). Il telos della natura, che
un valore, afferma Jonas, richiede previamente che la natura esista, ovvero che ci sia vita.
Jonas radica quindi l'imperativo di mantenere in vita la natura sull'ontologia della biologia[16].
Il concetto di natura come manifestazione della gloria di Dio, che trova le ragioni all'interno del
personalismo ontologicamente e teologicamente fondato, una etica definita nella letteratura
ambientale, antropocentrica debole o moderata, per differenziarla appunto
dall'antropocentrismo forte.
La fisionomia dell'antropocentrismo debole o moderato delineata nei testi di Elio Sgreccia e
Maria Beatrice Fisso:
" L'uomo rappresenta il vertice dell'universo, proprio per questa sua posizione di
preminenza non deve essere attribuita all'uomo la medesima rilevanza morale all'uomo e ad
altre entit naturali. Il recupero dell'equilibrio con la natura non si ottiene equiparando
l'uomo agli altri esseri ma cambiando in primo luogo il suo modo di pensare ed agire nei
riguardi di tutte le entit non umane. Esiste anche una gradazione nell'importanza delle varie
entit nella natura, che finisce con il ripercuotersi anche sul valore morale da attribuire loro.
Questa diversit insita nella Natura stessa, all'interno della quale esiste una struttura
gerarchica, di cui l'uomo al vertice"[17] Come giustamente afferma M. Faggioni, l'etica
dipendente dalla visione giudeo-cristiana propriamente un'etica teologica, che potrebbe essere
definita etica dell'amministrazione. Tale etica, infatti, fonda e giustifica la responsabilit per la
natura sul concetto del mondo come dono divino affidato all'essere umano, che deve rendere
conto a Dio stesso della sua amministrazione del mondo. L'etica ambientale cristiana, continua
Faggioni, prendendo le distanze dall'arroganza dell'antropocentrismo forte ed evidenziando la
non assolutezza del dominio umano sulla creazione, un teocentrismo, piuttosto che un
antropocentrismo, fondante un dovere di saggio utilizzo dei beni naturali da parte
dell'uomo[18].

116

Le diverse qualit assiologiche della natura sostanziano una diversit di baricentro per i
diversi modelli di etica ambientale: l'uomo, per l'antropocentrismo forte e moderato; l'essere
vivente per il biocentrismo; la totalit della terra per l'ecocentrismo; la scala dell'essere per
l'ontocentrismo.


DALL'ECOLOGIA ALL'ECOFILOSOFIA

Come giustamente ha indicato il filosofo norvegese A. Naess, va distinta l'ecologia come scienza
dalla ecologia come sistema filosofico[19].
Ritengo si possa definire ecologia scrictu sensu quel tipo di sapere che fa uso di metodi
scientifico-matematici per spiegare il mondo come realt biofisica, mentre pi precisamente si
debba intendere con il termine ecofilosofia il tipo di sapere che, prendendo le mosse
dall'ecologia scientifica, offre un modello interpretativo a valenza epistemologica, antropologica,
e prescrittiva.
L'ecofilosofia, in altre parole il prodotto di natura filosofica dell'ecologia come scienza.
Nella letteratura scientifica, il termine ecologia viene per la prima volta utilizzato dal biologo
tedesco Ernst Haeckel (1866), per indicare lo studio dell'interdipendenza e dell'interazione tra
gli organismi viventi (animali e piante) ed il loro ambiente (materia inanimata)[20].
Come giustamente fanno notare gli storici, l'idea di ecologia nata molto prima del suo nome. La
sua storia moderna ha infatti avuto inizio nel XVIII secolo, quando essa si configurava come un
metodo pi ampio per osservare la struttura della vita sulla terra: un punto di vista che cercava
di descrivere tutti gli organismi viventi come un insieme interagente, spesso definito l'economia
della natura, nozione proposta da Linneo.[21]
Il merito di Haeckel non fu soltanto quello di attribuire un nome nuovo alla cosidetta economia
della natura, ma anche quello di voler applicare a questa scienza, che si basava sui concetti di
relazione e contesto, il metodo predittivo delle scienze fisiche.
Fin dai suoi albori, quindi l'ecologia scientifica portatrice di due anime, espressioni di una
doppia natura: olistica e riduzionistica.[22]
Con Haeckel nasce quindi la I fase di pensiero scientifico ecologico, che possiamo definire fase
premoderna o fase dell'ecologia ambientale.
Nel 1893 John Burdon Sanderson innalza l'ecologia al rango di una delle tre parti della biologia,
accanto alla fisiologia ed alla morfologia, definendola la filosofia della natura.
Nei primi quarant'anni di vita, l'ecologia pian piano si allontanata dall'egemonia botanica per
approdare ai concetti di ecologia animale (Charles Elton), ecosistema (Arthur Tansley )[23] e
biosfera (Vladimir Vernadskij )[24] .
In questa prima fase, l'ecologia si presenta come una scienza che mira a tradurre in modelli
matematici e equazioni fisiche la complessit del mondo vivente e delle sue relazioni con
l'ambiente, incarnando un anima riduzionistica piuttosto che olistica.
Con l'ipotesi Gaia di James Lovelock [25] si pu dire che abbia inizio nel 1979 la II fase della
scienza ecologica, la fase dell'ecologia moderna ovvero dell'ecologia globale
L'idea di Gaia venne proposta da James Lovelock. Lovelock, chimico e medico, ha ipotizzato
l'esistenza di un meccanismo di autoregolazione della Terra e della vita che essa contiene.
Insieme, la vita e la terra formerebbero un sistema che avrebbe la facolt di mantenere la
superficie terrestre in uno stato propizio al proseguimento dell'esistenza degli esseri viventi.
Gaia, Lovelock afferma, un entit complessa , comprendente la biosfera terrestre, gli oceani e la
terra; l'insieme costituisce un sistema cibernetico di retroazione, che cerca un ambiente fisico e
chimico ottimale per la vita del nostro pianeta. Il mantenimento di condizioni relativamente

117

costanti mediante un controllo attivo pu essere descritta in modo soddisfacente con il termine
di omeostasi.
Nel momento in cui l'ecologia allarga i suoi confini per proporre modelli interpretativi del reale
diventa ecofilosofia.
L'ecofilosofia originariamente stata un prodotto dell'ecologia scientifica, prodotto la cui
fisionomia rappresenta quindi l'emergenza del paradigma ecologico in contesti diversi da
quello scientifico.
In questa prospettiva, possiamo interpretare i due modelli ecofilosofici partoriti sostanzialmente
dall'ecologia scientifica, che sono l'ecofilosofia scientista e l'ecofilosofia olista.
Il modello scientista espressione dell'anima riduzionista della scienza ecologica, al contrario il
modello olista espressione della sua anima olistica.

Il modello ecofilosofico scientista

Il modello scientista trova la sua origine nella teoria scientifica dell'ecologia ambientale.[26]
Il termine ambiente in questo caso viene utilizzato per indicare il modello di scientificit proprio
delle scienze fisiche.
Secondo l'approccio scientifico dell'ecologia ambientale, infatti l'ecologia si rivela come una
scienza che si avvale di modelli matematici, capace di offrire strumenti e metodi di
analisi, simulazioni, coefficienti, indici, e indicatori per la valutazione del rischio.
L'ecologia ambientale adotta uno sguardo meccanicista nei confronti della natura-ambiente.
La natura reificata ridotta a mera res extensa, esaurita alla sola dimensione quantitativa, resta
priva di legami di origine e significato con la soggettivit.
Questo fatto di per s comporta l'impossibilit per la teoria scientifica dell'ecologia ambientale di
costituire un adeguato supporto teoretico-fondativo ad un modello filosofico.
Pur tuttavia, la teoria scientifica dell'ecologia ambientale, intende assumere valenza filosofica,
quando pretende di convertire le leggi ecologiche in norme morali.
Il momento prescrittivo viene espresso nelle famose leggi dell'ecologia di Barry Commoner: ogni
cosa in relazione con tutte le altre; ogni cosa va in qualche direzione;non esistono in natura
consumi gratuiti; la natura conosce il meglio ("nature knows best"), dove il superiore grado di
conoscenza raggiunto dalla natura espresso dalla scienza ecologica riguarderebbe il sapere
pratico[27]
Il modello ecofilosofico, cos delineato, rimane imbrigliato nella rete delle maglie della fallacia
naturalistica, non riuscendo a superare l'impasse fra essere e dover essere.

Il modello ecofilosofico olistico

Il modello ecofilosofico olistico trova la sua origine nella teoria scientifica dell'ipotesi Gaia.
Il termine olismo stato coniato nel 1926 dall'uomo politico sudafricano Jan C.Smuts per indicare
la tendenza generale della natura a raggruppare ordinatamente in ogni settore e fase della realt,
unit strutturali in complessi dotati di propriet qualitativamente nuove rispetto alle
componenti.[28]
Il termine non nasce quindi nel contesto proprio della scienza ecologica.
In ambito ecologico, l'olismo determina un cambiamento di prospettiva dall'ontologia
dell'oggetto ad un ontologia del campo, nel cui ambito gli interi sono superiori alle parti, e le
relazioni sono pi reali degli enti: " una specie in effetti la somma delle reazioni adattative
all'ambiente che la specie ha sviluppato nel tempo".[29]

118

Nell'ontologia di campo, gli organismi individuali sono considerati come formazioni momentanee
di energia, piuttosto che come oggetti materiali con struttura stabile: " ogni essere vivente una
struttura dissipativa, per questa ragione , esso non .rimane in se stesso e non appartiene a se
stesso, ma soltanto il risultato di un continuo flusso di energia nel sistema."[30]
I concetti di entit-oggetti sono utili per gli scopi umani, ma gli enti in realt sono sono
momentanee entit in campi di energia, materia e informazione.
Anche gli esseri umani sono "nodi nella rete della vita".
L'olismo ecofilosofico trova la sua espressione completa nella deep ecology, il cui esponente pi
noto Arne Naess.[31]
La filosofia di Naess, si basa alcuni postulati concettuali:
- il rifiuto dell'immagine dell'uomo-nell'ambiente a favore dell'immagine relazionale a tutto
campo. Gli organismi sono nodi della rete biosferica o del campo di relazioni intrinseche;
- l'egualitarismo biosferico, in linea di principio. Per il ricercatore ecologico, l'eguale diritto a
vivere e a realizzarsi pienamente un assioma valoriale intuitivamente evidente ed ovvio;
- i principi di diversit e di simbiosi. La diversit accresce le potenzialit di sopravvivenza, le
chance di nuove forme di vita, la ricchezza delle forme ." Vivi e lascia vivere" un principio
ecologicamente pi potente che non "tu" o "io". Quest'ultimo tende a ridurre la molteplicit dei
tipi di forme di vita ed inoltre a provocare distruzione all'interno delle comunit della stessa
specie;
- la posizione anticlassista I principi dell'egualitarismo ecologico e della simbiosi sostengono
entrambi la stessa posizione anticlassista;
- la lotta contro l'inquinamento e l'esaurimento delle risorse. Questo principio, afferma Naess, deve
essere rispettato solo congiuntamente agli altri presupposti;
- la complessit, che va distinta dalla complicazione. La teoria degli ecosistemi contiene un
importante distinzione tra ci che complicato, essendo privo di qualsivoglia Gestalt o principio
unificatore, e ci che complesso. Gli organismi, i modi di vita e le interazioni nella biosfera in
generale manifestano una complessit sconcertante, che rende inevitabile il fatto di pensare in
termini di grandi sistemi e contribuisce ad un'acuta e stabile percezione della profonda ignoranza
umana circa le relazioni biosferiche e quindi l'effetto delle interferenze;
- l'autonomia locale ed il decentramento. Il significato di questo postulato di natura politica: per
gestire i problemi ecologici bisogna rafforzare l'autogoverno locale e l'autosufficienza materiale e
mentale[32].
L'ecofilosofia di Naess non rimane imbrigliata nelle maglie della fallacia naturalistica, in
quanto il trait d'union fra fatti e valori di natura sostanzialmente psicoantropologica: l'essere
umano, facendo esperienza del mondo, si intuisce in continuit con la totalit della realt esterna.
Naess suggerisce un ampliamento dell'autopercezione dell'io in direzione ecosistemica: la
soggettivit stessa pensata come luogo di ricapitolazione dell'evoluzione naturale.
Noi siamo-dice il filosofo qualcosa di pi dei nostri singoli io, non siamo solo frammenti minuscoli
ed impotenti. Identificandoci con unit pi vaste prendiamo parte alla loro creazione e
preservazione, pertanto condividiamo la loro grandezza.
I molteplici io si sviluppano fino a diventare dei s sempre pi grandi, proporzionali
all'ampiezze ed alla profondit dei nostri processi di identificazione.
L'ontologia della Gestalt il background teoretico del momento prescrittivo.

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L'ONTOLOGIA RELAZIONALE QUALE STRUTTURA METAETICA PER UNA DEFINIZIONE DI


ECOFILOSOFIA

Dalla letteratura di etica ambientale mi sembra traspaia una sorta di salto teoretico dalla
teologia della natura all'antropocentrismo moderato.
In altre parole, mi sembra che il personalismo ontologicamente fondato che sostanzia l'etica
antropocentrica moderata, dia per scontato il momento di riflessione ecofilosofica.
Ovviamente, nel contesto teoretico del personalismo la natura non una semplice risorsa in
senso economico , non neppure una totalit di esseri viventi e non che interagiscono
reciprocamente , perch nella totalit indistinta degli esseri si perderebbe la specificit
dell'humanum, non neppure una comunit biotica, perch questo sarebbe il segno di
una degradazione antropologica.
Che cosa allora la natura nell'ordine assiologico, ovvero come si traduce in termini filosofici la
natura come gloria di Dio?
E' necessario, a mio avviso, elaborare un'ecofilosofia che sia un trait d'union fra teologia,
personalismo ed etica.
Tale ecofilosofia mi sembra possa trovare le sue radici nell'ontologia relazionale.
Nella Bibbia chiaramente affermata un'antropologia di relazionalit che non consente di
immaginare l'uomo senza Dio e la natura senza l'uomo[33]
La Bibbia -afferma Antonio Bonora non considera mai il cosmo quale entit separata ed
indipendente dall'uomo, n l'uomo come disgiunto dal cosmo, ma come eventi che accadono
sotto un'immancabile azione divina e non come semplici dati o come pezzi accostati di un
meccanismo cosmico[34].
La relazionalit, dice Bellino, ha il suo fondamento nell'ontologia: la vita stessa apertura,
comunicazione, relazione[35]" la pulsione di vita, seminata nella nostra natura irriga ogni
minima piega della nostra esistenza. Ed pulsione inesorabile di relazione, di co-essenza: divenir
e tutt'uno con l'essenza oggettiva (posta-davanti) del mondo: tutt'uno con la bellezza della terra,
l'infinitezza del mare, il sapore dei frutti, il profumo dei fiori. Un solo corpo con l'altro. L'altro
costituisce l'unica possibilit perch la nostra relazione con il mondo abbia una reciprocit. E' il
logos (verbo e ragione) di ogni essenza oggettiva. Logos che si rivolge a me e mi invita alla
coessenza universale. Mi promette il mondo o kosmos della vita e lo straordinario ornamento o
kosmena della totalit. Nella sola relazione"[36]
Sul piano metaecologico, il pensiero dell'interconnessione si potrebbe dire che attinga le sue
radici nell'ontologia relazionale, ontologia che si traduce in antropologia personalista e
comunionale:"essere in realt inter-essere, non poter essere solo in virt di noi stessi , dover
inter-essere con ogni altra cosa"[37].
L'uomo moderno, afferma Mounier, l'uomo che ha perduto il senso dell'Essere, che non si
muove che tra cose, e cose utilizzabili, destituite dal loro mistero. Ma l'uomo, la vita, l'essere non
sono res, oggetti, definibili una volta per sempre essenzialisticamente . Sono eventi.
Una denuncia simile nei confronti del mondo moderno proviene anche da Martin Heidegger.
Viene offerta una lucida analisi del pensiero del Filosofo su questi aspetti da Umberto Galimberti,
nel commento alla lettera sull'umanesimo :"Se l'uomo, come esserci apertura all'essere, non
l'uomo a decidere dell'essere, come pretendono la scienza e la tecnica moderna, ma l'esserci
dell'uomo a essere deciso dall'essere. Dire che l'essere l'ethos dell'uomo significa dire che
l'uomo dimora e soggiorna nell'essere. La dimora ed il soggiorno intervengono come elementi
essenziali nella definizione dell'uomo che non pu scegliersi altra dimora perch,in quanto
apertura all'essere, se vuole essere uomo deve soggiornare nelle sue vicinanze".[38]

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Mi sembra che l'uomo moderno per ristabilire l'armonia con la natura debba innanzitutto
risvegliare la dimensione relazionale della propria coscienza, riscoprire un modo di
rapportarsi con il mondo che non conduce alla sua appropriazione, ma allo stare insieme ad
esso. Stare insieme al mondo accoglierlo come tale, e riconoscerlo come creato. Questa
relazione frutto di uno sguardo "amoroso", contemplativo ed insieme sollecito.
Lo sguardo contemplativo lo sguardo attento di Simone Weil: "uno sguardo anzitutto attento, in
cui l'anima si svuota di ogni contenuto proprio per accogliere in s l'essere che essa vede cos
com' nel suo aspetto vero. Soltanto chi capace di attenzione capace di questo sguardo" [39]
L'attenzione un atto che coglie la verit. E' un atto che lascia parlare l'essere. In quanto atto che
coglie la verit, un atto di pensiero."L'attenzione consiste nel sospendere il
proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all'oggetto, nel mantenere in
prossimit del proprio pensiero, ma ad un livello inferiore, e senza contatto con esso, le diverse
conoscenze acquisite che si costretti ad utilizzare. Il pensiero, rispetto a tutti i
pensieri particolari preesistenti, deve essere come un uomo su una montagna, che fissando
lontano scorge al tempo stesso sotto di s, pur senza guardarle, molte foreste e pianure. E
soprattutto il pensiero deve essere vuoto, in attesa; non deve cercare nulla ma essere
pronto a ricevere nella sua nuda verit l'oggetto che sta per penetrarvi"[40]
Lo sguardo amoroso oltre che attento anche sollecito, ovvero specificamente rivolto all'oggetto
della cura: la sollecitudine infatti ci che unisce, lega i due poli della relazione.
Prendersi cura del creato significa riconoscere l'essenzialit di un peculiare legame dell'essere
umano con la creatura, riconoscere in essa una certa sintonia con il nostro essere.
Importanti chiavi interpretative di un'ecofilosofia, o filosofia globale del rapporto uomo-natura
generata dall'ontologia relazionale, analogamente a quanto indicato per l'epistemologia, sono
l'attenzione e la cura.
L'attenzione rivela una dimensione essenziale del creato: il suo essere mistero e dono. Lo
sguardo attento luogo di una relazione che fa trasparire l'essere dell'altro come irriducibile
all'io, la differenza fra me ed altro da me.
La cura rivela un'altra dimensione essenziale del creato: il suo essere evento.
"L'avvenimento -dice sempre Mounier segna l'incontro dell'universo con il mio universo ...
L'avvenimento precisamente ci che io non creo, la catastrofe, l'invito ad uscire fuori dal mio
essere. La rivelazione dell'universo qui ancora termina con un dono"[41].
L'evento fa emergere il dinamismo dell'essere, la ricerca di un compimento nella relazione di
cura con l'altro, relazione che porta a compimento, non solo l'altro, ma anche me, nelle rispettive
irriducibili differenze.
In questo senso, possiamo interpretare il concetto di unit espresso nella Carta della Terra " Noi
siamo la terra, popoli, piante, e animali, piogge e oceani, respiro della foresta e corrente del mare.
Onoriamo la terra, casa di tutte le cose viventi. In tutta la nostra diversit noi siamo uno"[42].
La prima e pi immediata espressione di relazione dell'uomo con l'ambiente la relazione di
cura con l'ambiente-casa, relazione che Sally Gadow, ad esempio, chiama "inerenza"[43].
L'inerenza secondo Gadow, sta ad indicare che l'esistenza umana da un lato sempre struttura il
mondo che la circonda, dall'altro non mai indipendente e avulsa da esso.
L'ecosistema, ella afferma, una rete astratta di spazi, mentre l'inerenza concretizza lo spazio nel
luogo. Lo spazio concretizzato nel luogo, viene chiamato "casa".
L'ecologia diventa quindi la logica della casa, un ideale d'inseparabilit dell'uomo interconnesso
con specifici tempi e luoghi
L'ecologia come logica della casa-afferma Gadow sostanzia uno specifico modello etico: un'etica
dell'inerenza, ovvero della cura nei confronti del luogo in cui viviamo. Il luogo, ella afferma,

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significa situazione, paesaggio di significati non tracciati, di memorie e attese, conosciuti


soltanto a chi vissuto e vive nella casa.[44]
Nella nostra cultura occidentale, la perdita del significato di ambiente-casa, mi sembra
possa ritenersi uno dei segni fondamentali della crisi ecologica. Da molti autori, fra cui Vittorio
Hosle[45], l'interpretazione di tale crisi viene ricondotta al dualismo antropologico di matrice
cartesiana, che deprezzando la natura fisica dell'uomo quale res extensa drasticamente
contrapposta alla res cogitans, deprezza parimenti l'intero mondo di res extensae della natura.
In questa prospettiva, l'ecologia come filosofia della casa sembra trovare le sue radici, in
un'antropologia non dualistica, che rivalorizzi la corporeit, e quindi l'ambiente in continuit con
il corpo.
La continuit fra corpo ed ambiente-casa emerge ad esempio dalla lettura dei seguenti brani del
filosofo Virgilio Melchiorre: "l'uomo ha potuto vincere l'angoscia dell'elemento naturale
appunto nel raccoglimento della casa, del campo, del giardino: raccoglimento della terra e
dell'aria, del fuoco e della luce; raccoglimento che vince l'ostilit apparente dell'elemento,
lasciandone anzi emergere la parentela e l'intimit col proprio corpo, portandolo a cospirare con
quella centralit che noi siamo e per cui si costituisce un mondo. L'insieme delle cose, che
arricchiscono la dimora e che in essa sono diversamente disposte, appunto ordinato in questa
cospirazione dell'ambiente e dell'io corporeo, e in tal senso costituisce appunto gi un mondo:
non a caso uno dei significati di mundus, diceva di un insieme ordinato e degli ornamenti raccolti
per il corpo del guerriero o per quello della donna "[46]
Fino a questo punto, ho tracciato i lineamenti possibili di una ecofilosofia che si radica in un
ontologia relazionale, avvalendomi dei concetti di attenzione e cura quali chiavi interpretative.
Mi sembra, tuttavia, di individuare nel contesto finora elaborato una doppia defaillance.
La prima riguarda la fisionomia dell'ecofilosofia.
I concetti di attenzione e cura , quali chiavi interpretative di un'ecofilosofia fondata su
un'ontologia relazionale, delineano una filosofia del rapporto uomo-ambiente nello spazio
ristretto del qui, e nel tempo limitato dell'oggi. Tale modello interpretativo lascia, cio, un
ampio vuoto per quanto riguarda la filosofia di un rapporto uomo-ambiente dilatato nello spazio
e nel tempo, vuoto che si ripercuote in un'etica miope responsabile solo nei
confronti delle nicchie ecologiche e della attuale generazione umana .
La seconda defaillance riguarda le chiavi interpretative.
L'antropocentrismo moderato del personalismo filosoficamente e teologicamente
fondato, come fanno notare Sgreccia e Fisso, chiama in causa una specificit del dover essere
dell'uomo, chiamato ad essere custode della natura "L'uomo per la sua superiorit obbligato a
rispettare la Natura con il ruolo di custode indispensabile di essa. Tale ruolo implica la
possibilit di conferire diversa rilevanza alle diverse entit naturali, senza ridurle mai a delle
semplici cose di cui servirsi a proprio piacimento"[47].
Il concetto di custodia, che Sgreccia e Fisso propongono, mi sembra possa costituire un'ulteriore
chiave interpretativa di un'ecofilosofia fondata sull'ontologia relazionale, non solo per mettere
maggiormente in evidenza la dimensione teologica del rapporto uomo natura la natura un
dono di Dio che l'uomo non deve dominare, ma custodire, ma anche per giustificare sul piano
fondativo un'ecofilosofia che allarghi i suoi orizzonti nello spazio e nel tempo.
La natura non va distrutta, non va strumentalizzata, n sperperata , un patrimonio che va
custodito. La custodia sta ad indicare la necessit di protezione ed insieme di fruttificazione
del creato.
Come dice S. Weil : " Possa l'universo intero, da questo sasso ai miei piedi fino alle pi remote
stelle, esistere per me ogni momento come Agnese per Arnolfo e la cassetta per Arpagone. Se io

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voglio il mondo pu appartenermi come il tesoro appartiene all'avaro, ma un tesoro che non si
accresce"[48]
Proteggere e fruttificare la natura quindi la prospettiva etica: tale difficile equilibrio si
realizza innanzitutto se permane quale obiettivo fondamentale il permanere della terra come
habitat per la vita umana.
Una delle maggiori sfide che l'ecologia oggi pone all'etica delle societ industrializzate riguarda
appunto la responsabilit per le future generazioni.
Come fa notare Jonas, il nuovo potere della scienza e della tecnica chiama in causa una nuova
responsabilit nei confronti del futuro dell'umanit
"L'uomo non pi semplicemente estremo esecutore, ma anche potenziale distruttore dello sforzo
teleologico della natura, deve farsi carico nel suo volere dell'affermazione dell'essere, e nel suo
potere della negazione del non essere. Il futuro dell'umanit costituisce il primo dovere del
comportamento umano collettivo nell'era della civilt della tecnica divenuta, modo negativo,
onnipotente"[49]
Jonas, come sappiamo, radica la responsabilit dell'uomo nei confronti delle generazioni future
sull'ontologia della biologia.
Quale pu essere invece, se pu esservi, una base teoretica della responsabilit nei confronti
dell'umanit futura, radicata nell'ontologia relazionale ?
La relazione ricerca di senso, ma insieme prospettiva di immortalit ed aspirazione d'infinito.
Il tempo cronologico della finitudine umana pu essere sublimato nella temporalit cosmologica
della natura: come nell'alternanza dei cicli stagionali la vita sulla terra permane, cos il genere
umano sopravvive all'uomo, col permanere del mondo.
La relazione in una prospettiva diacronica si realizza quindi nella possibilit di una vita umana
futura, e la vita della terra la condizione necessaria perch tale possibilit possa realizzarsi.
Tale , ad esempio, il punto di vista della filosofia ecologica di Hannah Arendt :il
tempo cronologico della finitudine umana sublimato nella temporalit "infinita" del mondo che
continua, indissolubilmente legato alla vita della terra.
L'obiettivo pi profondo e ricco della speranza umana afferma la filosofa l'eternit, il
superamento della morte, ed il modo per acquistare l'immortalit la generazione.
Nell'amore per il mondo continua la filosofa trovano spazio l'amore per la vita e l'amore per la
terra. Perch il mondo delle persone sopravviva necessario curare la terra; la terra quindi
la quintessenza della condizione umana. Senza la terra non pu esserci la vita, e la vita il
legame fra mondo e terra. La vita rende possibile la nascita, la nascita l'inizio dell'iniziatore,
quindi l'inizio del mondo che continua. [50]
Quando Hannah Arendt stendeva "Vita Activa", afferma Alessandro Dal Lago nella Prefazione a
"Vita Activa" -l'ecologia era solo un settore specializzato delle scienze naturali, e i primi manifesti
dell'ondata ecologica (che si sarebbe ingrossata a partire dagli anni Settanta) non erano ancora
stati scritti. Hannah Arendt , oltretutto non derivava la prognosi sulla distruzione dell'ambiente
da ricerche specializzate, ma da una riflessione sul senso dell'agire umano. Era estraneo al suo
modo di pensare qualsiasi assunto organicistico e vitalistico preliminare a una definizione della
relazione tra uomo e cosmo. D'altra parte in questo saggio come in altri il concetto di natura non
svolge alcun ruolo educativo o idilliaco; esso si riferisce in primo luogo alla nascita. Il nesso
natura-nascita ci permette di riflettere sull'insensatezza di un processo che si potrebbe
riassumere come distruzione consapevole o non dei luoghi della nascitasiano essi le abitazioni
costruite dall'uomo nel corso dello sviluppo culturale, oppure la terra su cui esse poggiano
oppure il cielo che le sovrasta. In questo senso distruggendo la natura la societ umana distrugge
la condizione fondamentale della propria nascita e quindi della propria libert".[51]

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L'ecofilosofia di Hannah Arendt quindi un'ecofilosofia squisitamente antropocentrica, che


guarda all'uomo come unico soggetto di valore nell'ecosistema, ma riconosce la relazione
profonda esistente sul piano esistenziale fra agire dell'uomo e vita della natura.
Il concetto di custodia, come gi detto, chiama in causa oltre che il mantenimento e la protezione
anche la fruttificazione della natura.
La fruttificazione richiede un agire umano che sappia armonizzare il pensiero nella prospettiva
dell'avere con il pensiero nella prospettiva dell'essere, la logica strumentale con lo sguardo
contemplativo.
Perseguire questo equilibrio di difficile realizzazione richiede un ampio spazio di esercizio delle
virt, innanzitutto della virt della prudenza (che deve valutare caso per caso nella specificit
della situazione e con lungimiranza, guardando anche alla vita umana futura), poi della virt
della temperanza (che deve proteggere l'uomo dall'ingordigia della logica dell'avere) e last but
not least la virt della giustizia, una virt che ci fa allargare la prospettiva dello sguardo
all'umanit intera esistente sulla terra, una giustizia che si alimenti al fuoco della solidariet
umana.
La prospettiva filosofica dell'ontologia relazionale sottolinea particolarmente e specificamente
questa dimensione di solidariet, in quanto "segno" concreto e reale di relazione fra gli uomini.
Sarebbe una contraddizione in termine un'ecofilosofia radicata nell'ontologia relazionale che
non promuovesse la solidariet fra i popoli.
Il concetto di custodia, radicato nell'ontologia relazionale, deve adottare uno sguardo ampio oltre
che lungo, uno sguardo cio che sappia abbracciare tutte le nicchie ecologiche, tutti gli ambienti-
casa esistenti nel mondo.
Illuminanti mi sembrano in questo senso le parole di Giovanni Paolo II:" la terra essenziamente
un'eredit comune, i cui frutti devono essere a beneficio di tutti." Dio ha destinato la terra e tutto
quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e i popoli" ha riaffermato il Concilio Vaticano II
(Cost. Gaudium et spes..). Ci ha dirette implicazioni per il nostro problema . E' ingiusto che pochi
privilegiati continuino ad accumulare beni superflui dilapidando le risorse disponibili, quando
moltitudini di persone vivono in condizioni di miseria a livello minimo di sostentamento. Ed ora
la stessa drammatica dimensione del dissesto ecologico ad insegnarci quanto la cupidigia e
l'egoismo individuali o collettivi siano contrari all'ordine del creato, nel quale inscritta la
mutua interdipendenza"[52].

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[1] Per una classificazione delle etiche ambientali, si vedano i testi: SGRECCIA E., FISSO M.B.,
Medicina e morale 1996, 6: 1057-1082; IDEM, Medicina e Morale 1997, 1:57-74.
[2] La distinzione antropocentrismo-biocentrismo-ecocentrismo si veda il testo: BARTOLOMMEI
S., Etica e ambiente,Milano:Guerini 1989.
[3] Un' utile classificazione dell'etica ambientale sulla base delle diverse modalit di
argomentazione filosofica contenuta nel seguente testo: DELLAVALLE S. L'umano e il
naturale in IDEM (a cura di), Per un agire ecologico,Milano: Baldini e Castoldi 1998:11-56.
[4] Sulla correlazione identit femminile-bioetica, utile il riferimento al testo: MELE V., La
bioetica al femminile , Milano: Vita e Pensiero 1998:32-40.
[5] Per un'analisi completa del personalismo ontologicamente fondato e la bioetica, si
veda: SGRECCIA E., Manuale di bioetica Volume I Fondamenti ed etica biomedica, Milano: Vita e
Pensiero 1999.
[6] La scelta di indicare John Passmore quale esponente dell'antropocentrismo forte, a
differenza di quanto pi spesso viene indicato in letteratura, motivato dal fatto che
l'antropocentrismo cosiddetto forte o cowboy ethics, che si basa sull'assunto che le risorse della
natura siano inesauribili e tutte al servizio dei consumi umani, mi sembra possa avere soltanto un
valore storico e non sia pi rappresentato a livello di letteratura di etica dell'ambiente. Ho
preferito quindi attribuire all'antropocentrismo utilitarista la connotazione di antropocentrismo
forte (nonostante venga spesso definito come debole) per differenziarlo maggiormente
dall'antropocentrismo moderato ad impronta personalista

[7] PASSMORE J., Eliminare le sciocchezze. Riflessioni sulla frenesia ecologica, DELLAVALLE (a
cura di) ., Per un agire ecologico...p.247-278.
[8] NAESS A., The shallow and the deep ecology, Long-range Ecology Movement .A
Summary. Inquiry, 1973;16:95-100. Per un interessante commento alla classificazione di Naess si
veda: TALLACCHINI M., (a cura di) Etiche della terra Antologia di filosofia dell'ambiente ,
Milano:Vita e Pensiero 1998.
[9] KING Y., The eco-feminist perspective in CALDECOTT L., LELAND S. (eds) Reclaiming the Earth:
women speak-out for life on earth ,London: The Women's Press, 1983:120-137.
[10] IDEM, Toward an ecological feminism and a feminist ecology, in IDEM ( a cura di) Radical
Environmentalism,Belmont: Wadsworth Publishing Company, 1993:70-79.
[11] Per un panorama del pensiero di Mary Daly, si veda: DALY M., Beyond God the Father:
toward a philosophy of women's liberation, Boston: Beacon Press ,1974.
[12] MELE , La bioetica al femminile...
[13] SINGER P., Practical Ethics, trad.it. Etica Pratica, Liguori, Napoli 1989.
[14] Un commento alla filosofia di Goodpaster si trova in:TALLACHINI, Etiche della terra ...p.37
[15] FOPPA C., L'essere umano nella filosofia della biologia di Hans Jonas:qualche aspetto, in
PELLEGRINO P. (a cura di) Bari: Milella 1995.
[16] FURIOSI M.L, .Hans Jonas ed il suo contributo alla fondazione della bioetica , in Atti del
Congresso Internazionale"I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica", Roma 7-8
settembre 2000, in corso di pubblicazione.
[17] SGRECCIA, FISSO Etica dell'ambiente , Milano:Vita e Pensiero 1997:41.
[18] FAGGIONI M., L'uomo ancora signore del creato? Tracce di etica ambientale in "GS",
Antonianum 1995;70:429-472.
[19] SALIO G., Ecologia profonda ed ecosofia, -introduzione al libro di NAESS
A, Ecosofia, Como:Red, 1994: 7-20.

125

[20] Per uno studio storico dell'ecologia si vedano: DELEAGUE J.P., Storia dell'ecologia Una
scienza dell'uomo e della natura, Napoli: CUEN 1994; WORSTER D., Storia delle idee
ecologiche, Bologna: il Mulino 1994.
[21] DELEAGUE., Storia dell'ecologia...p.24-33.
[22] TALLACCHINI, Introduzione.Una scienza per la natura, una filosofia per la terra , in:
TALLACCHINI ., (a cura di)Etiche della terra...p.15.
[23] CALLICOT J.B., The metaphysical implications of ecology, Environ. Ethics 1986, 4:301-316.
[24] DELEAGUE., Storia dell'ecologia...p.197-221.
[25] LOVELOCK J., Gaia:a new look at life on earth, New York: Oxford University Press 1979.
[26] MIGLIETTA G., MELE V., L'interesse per l'ecologia nella formazione della bioetica generale.
Modelli antropologici di riferimento per l'elaborazione di un'etica ambientale, in Atti del Congresso
Internazionale "I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica", Roma 7-8 settembre
2000, in corso di pubblicazione.
[27] COMMONER B.,The closing circle:nature, man and technology, New York: Alfred A. Knopf,
1972, p.41.
[28] LA VERGATA A., Filosofia e biologia, in ROSSI P. (a cura di), La filosofia vol.II La filosofia e le
scienze,Torino:Garzanti 1996, p.155.
[29] CALLICOTT J.B. , The metafisical implication of ecology, Environ.Ethics, 1986,12:301-316.
[30] Una interessante e sintetica messa a fuoco dell'olismo si trova in : GADOW S., Existential
ecology:the human/naturalworld, Soc.Sc.Med., 1992, 4:597-602.
[31] NAESS, Ecosofia ...
[32] Ibidem.
[33] AUTIERO A., Una speranza per il nostro pianeta, in POLI C., TIMMERMAN P. (a cura
di), L'etica nelle politiche ambientali, Padova: Gregoriana Editrice, 1991: 91.
[34] BONORA A., L'uomo coltivatore e custode del suo mondo in Genesi 1-11, in CAPRIOLI A.,
VACCARI L. ( a cura di)Questione ecologica e coscienza cristiana, Brescia: Morcelliana, 1988 :157.
[35] Un interessante analisi della prospettiva dell'ontologia relazionale si pu trovare in:
BELLINO F., La storia della bioetica e la svolta pedagogica attuale, in Atti del Congresso
Internazionale "I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica", Roma 7-8 settembre
2000, in corso di pubblicazione.
[36] I brani di YANNARAS CH., sono riportati e commentati in: BELLINO, La storia della bioetica
...
[37] Il riferimento a NHAT HANH T, si trova sempre in BELLINO, La storia della bioetica..
[38] GALIMBERTI U., Invito al pensiero di Heidegger, Milano: Mursia 1989:68-69
[39] I brani di Simone Weil commentati sono ripresi da : MELE , La bioetica al femminile...p.85-
89
[40] Ibidem
[41] Ibidem
[42] BELLINO, La storia della bioetica...
[43] GADOW, Existential ecology...p.601.
[44] Ibidem
[45] HOSLE V., Filosofia della crisi ecologica, Torino:Einaudi, 1992:53-55.
[46] MELCHIORRE V., Corpo e persona, Genova: Marietti, 1991:129.
[47] SGRECCIA E., FISSO M.B., Etica dell'ambiente, Medicina e Morale, 1997; Suppl.3: 41
[48] WEIL S., L'ombra e la grazia, Milano: Rusconi, 1985:128.
[49] JONAS H., Il principio responsabilit, Torino: Einaudi, 1990:37.

126

[50] Per una analisi del rapporto amore per il mondo, nascita e mondo in Hannah Arendt si
vedano: RICCI SINDONI P.,Hannah Arendt. Come raccontare il mondo, Roma, Studium 1995; MELE
V., La bioetica al femminile...p.75-76
[51] DAL LAGO A., La citt perduta Introduzione, in ARENDT H., Vita activa, Milano: Bompiani,
1991: XXVI-XXVII.
[52] GIOVANNI PAOLO II, Pace con Dio creatore. Pace con tutto il creato n.8. Il messaggio de Papa
per la giornata mondiale della pace 1990, ripreso da: AaVv. La responsabilit ecologica, Roma:
Studium, 1990:194-195.

127

MAURO COZZOLI
LA LEGGE NATURALE A DIFESA DELLA VITA
Le ragioni e i limiti della difesa della vita fisica

La vita ha sempre interpellato la morale in ordine alle possibilit e alle condizioni d'intervento su
di essa, alla obbligatoriet e ai limiti della sua tutela. Queste interpellanze si sono fatte oggi pi
pressanti, complesse e urgenti, in ragione dei progressi biomedici e della loro traduzione
biotecnologica, con l'enorme carico di questioni che le crescenti possibilit manipolatrici e
invasive pongono e si trascinano. E' legittimo il loro impiego? E' anche doveroso? Lo in ogni
caso? Quali sono e da che cosa sono determinati i limiti d'intervento e di difesa della vita? Alla
morale compete offrire risposte. Risposte non soltanto normative, intese cio a tracciare i confini
del lecito e dell'illecito e a configurare gli obblighi e la loro vigenza. Ma anche - ed oggi diciamo
ancor pi - motivate: intese cio a dare ragione delle norme, in modo da essere trovate non solo
vincolanti ma anche credibili. E questo non nell'ambito del proprio credo, delle proprie tradizioni
o del proprio ethos, ma su scala mondiale, al cui livello si pongono oggi le questioni bioetiche
suscitate dal progresso biomedico e biotecnologico e acuite dalla ventata secolaristica e
relativistica che ha investito e problematizzato il senso e il valore della vita. Siamo in presenza di
una delle grandi sfide alla mondializzazione dell'etica.
E' una sfida per la Chiesa, chiamata a dischiudere la via della salvezza a tutti gli uomini sulla
strada della vita morale[1]. E' in questa prospettiva che il magistero della Chiesa e la teologia
ritrovano, ripensano e rilanciano la perenne attualit della natura umana e della legge naturale
come fonte e criterio d'intelligenza etica, d'intelligenza in particolare della verit della vita e dei
suoi obblighi morali.
Qui vogliamo delinearla e proporla in ordine alle ragioni e ai limiti della difesa della vita fisica. A
un duplice livello di riflessione: fondativo, il primo, inteso ad accreditare la natura e la legge
naturale come principio e fondamento di eticit;normativo, il secondo, inteso a configurare gli
obblighi morali che ne conseguono. Al fine di illuminare la rilevanza e l'attualit per la Chiesa
della via della natura e della legge naturale alla conoscenza del progetto di Dio sulla vita, ho scelto
di corredare e suffragare questo studio con una documentazione attinta al magistero della Chiesa,
al suo pi alto livello d'insegnamento.

NATURA E LEGGE NATURALE

Nella temperie culturale che ha investito e travolto il concetto ed ogni riferimento alla natura e
alla legge naturale, occorre ritrovarne il senso genuino e pregnante, riscattandole dalle
distorsioni del passato e dai fraintendimenti del presente. Una pi attenta e attualizzante
considerazione doverosa e possibile per l'intelligenza, provocata oggi dalle istanze ineludibili e
dalle sfide radicali della complessit, della storicit e della prassi. La teologia e la Chiesa non
rifuggono da esse, ma si pongono in ascolto vigile e dialogico.
Prestando attenzione alle critiche, molte delle quali legittime e stimolanti, e a partire da queste,
dobbiamo prima di tutto mostrare la fondatezza logica ed epistemologica d'ogni richiamo etico e
bioetico in specie alla natura e alla legge naturale.

NATURA E VITA

Natura e vita sono termini correlativi. La natura abbraccia la vita ed ha nella vita la sua
manifestazione nobile e pi insigne. La vita, a sua volta, comprensibile nell'orizzonte di senso

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della natura[2]. Senza questo costitutivo richiamo alla natura, essa tende a perdere ogni
elemento di significazione e differenziazione ed ogni valenza immutabile e perenne. Diventa un
elemento della cultura, relativo al fluttuare delle opinioni, delle sensibilit e delle ideologie. Senza
relazione all'ontologia, vale a dire all'essenza cio all'essere (essenza da esse) che la sostanzia e
che la natura esprime, la vita diventa una variabile relativa a tutto e a tutti. Cos perdiamo un
senso unitario e condiviso di questo bene basilare e primario. Ciascuno se ne modella il proprio. Il
che sintomo di un regresso, perch discordare sulla vita allontana le coscienze, impedendo la
condivisione, la comunicazione e la reciprocit. Per quanto il concetto di natura possa passare
per il vaglio della critica, come avvenuto nel nostro tempo, non possiamo prescindere da essa e
relegarla all'archeologia semantica, quasi una nozione d'altri tempi. Perdere il riferimento alla
natura smarrire l'habitat ermeneutico della vita ed esporla a tutte le espropriazioni e ideazioni
di senso.
Porsi nel contesto e nell'alveo veritativo della natura significa accostare e comprendere la vita
attraverso una fenomenologia di penetrazione del dato ossia di lettura meta-fisica, in grado di
doppiare l'evento sperimentale e descrittivo, attraverso un conoscere di senso e di valore. In tal
modo la vita che sottost a tutti gli esseri viventi assume rilievo. L'unica vita, che fa di un essere
un vivente, si diversifica secondo lo statuto ontologico di ciascuno. La natura la via all'essere e
perci alla verit originaria e specifica delle "specie" viventi. Non basta un approccio empirico e
descrittivo. Questo coglie gli elementi sperimentali e superficiali: importanti e indispensabili in
ordine a un sapere scientifico e tecnico, ma insufficienti e inadeguati a percepire la sostanza e il
valore. Per questi occorre un'intelligenza meta-empirica, in grado di penetrare il dato (l'empiria)
e cogliere la natura (la physis), l'essenza di ogni vivente, e affermarne la dignit secondo la specie.
Questo oggi va detto in modo esplicito e convinto. Perch la dittatura del sapere empirico e
l'antimetafisica del pensiero dominante sbarrano le porte ad ogni intelligenza in termini
di natura, sbilanciando sulla cultura ogni discorso concernente il significato, la dignit e il valore.
Con il risultato di un generale appiattimento delle forme di vita, delle cui sporgenze di senso e di
valore decide autonomamente e arbitrariamente l'uomo: questi diventa il padrone e l'arbitro
della vita. Non pu essere diversamente quando la vita svuotata d'ogni oggettivit e
relativizzata all'opinare dei soggetti. Si produce cos lo scivolamento dalla natura alla cultura.
Questa "fatta" dall'uomo, perci relativa all'uomo: soggetta alle sue sensibilit e disponibilit.
La natura invece "fatta" prima, da una sapienza creatrice che chiama l'uomo all'ascolto
contemplativo e conoscitivo[3].
Non si tratta di contrapporre natura a cultura, ma di arginare la deriva culturale cui sottoposta
oggi la "verit della vita" e di suffragare le debite istanze culturali cui la vita non pu essere
sottratta. Senza dubbio nel passato la riflessione sulla vita ha conosciuto uno sbilanciamento sul
versante della natura, con scarsa attenzione ai risvolti culturali. La metodologia era pressoch
deduttivistica, potendo disporre di assai pochi e spesso incompleti e inadeguati contributi
scientifici e fenomenici. La riflessione risentiva dell'astrattezza di un discorso in termini di
essenze, sostanze e accidenti. Ma il congedo dalla natura, a beneficio di un metodo
esclusivamente induttivo della verit e della dignit della vita, la priva di referenti valoriali,
abbandonandola alla congerie di aporie in cui s'impiglia oggi il discorso sulla vita o alla pochezza
e indifferenza di senso con cui da molti considerata. La vita trae significato e valore dalla natura,
ma trova forma concreta e storica nella cultura, in cui di volta in volta e di contesto in contesto fa
risplendere o adombra il suo valore. La cultura un habitat di presupposti, opinioni e
disposizioni che lo sviluppo scientifico, da una parte, e la comunicazione mass-mediale, dall'altra,
vanno ispessendo e globalizzando. Dalla qualit della cultura dipende in buona parte la
permeabilit della natura alle coscienze. La verit della natura senza la mediazione della cultura
viene a mancare, oggi specialmente, del supporto immediato e pervasivo di comunicazione. Per

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questo il risvolto e il tramite culturale non solo non pu essere trascurato ed eluso, ma dev'essere
acquisito alla coscienza e alla responsabilit di ogni riflessione e amore per la vita.

LA VITA UMANA

Abbiamo fin qui parlato della vita tout court, in riferimento alla natura che la significa. Ma
proprio la natura a stagliarne e differenziarne le forme, a farne risaltare la forma eminente e
singolare: quella umana. E' nell'umano che la vita raggiunge ed esprime la dignit e il valore pi
elevato, ma di una elevazione trascendente a motivo di una discontinuit o disomogeneit rispetto
ad altre forme di vita La vita vegetale e quella animale appartengono al mondo degli elementi,
ovvero degli esseri predeterminati, la cui vita interamente segnata e preordinata dalla natura.
Questa, attraverso un complesso di induzioni e reazioni vegetative (nelle piante) e psico-fisiche
(negli animali), presiede all'attivit e al ciclo vitale di ciascun organismo. Le stesse pulsioni,
istinti, sensazioni e sentimenti negli animali rispondono a tale predeterminazione. A differenza
della vita umana, la quale s'eleva con lo spirito sulle forme pre-umane di vita. Dire spirito dire
libert, mediante cui il vivente umano in grado di assumere la propria vita (e la realt animata e
inanimata che lo circonda), di indirizzarla e progettarla. Egli la comprende con l'intelligenza e
decide di essa con la volont: le due facolt spirituali che strutturano la libert. Con lo spirito il
vivente umano sporge su ogni altro vivente. La sua vita al vertice della gerarchia dei viventi,
perch non interamente predeterminata dalla natura ma da questa "posta nelle sue mani": egli
soggetto di determinazione. Che anzi dell'individuo umano solamente si pu dire che vive
davvero, perch soggetto della propria vita: egli vive, non vissuto dalla vita. Il suo spirito il
principio attivo della propria vita. Gli animali senza lo spirito magis aguntur quam agunt, perch
determinati e indotti dalla loro natura. Gl'individui umani invece dalla natura sono costituiti
soggetti attivi della propria vita[4].
E' la natura il principio enunciativo primo e perenne della vita umana e della sua verit, perch
rivelativo dell'essenza, della qualit sostanziale e perci caratterizzante e immutabile. Senza
questo ancoraggio logico ed epistemologico alla natura, la vita umana in balia delle ideologie di
turno e delle opinioni dominanti. Non potendo far valere una verit assiale ossia sostanziale, cui
articolare ogni concrezione e risvolto culturale, la vita umana subisce gli sbilanciamenti delle
tendenze e delle preferenze socio-culturali. Essa compresa e definita a partire da queste,
piuttosto che dall'ontologia qualificativa del vivere umano. Nella disaffezione e nella disabitudine
delle intelligenze al conoscere metafisico, in grado di raggiungere la verit trascendentale, si
mantiene un profilo conoscitivo pi modesto e debole, di tipo descrittivo, determinato da criteri
di efficacia, convenienza e soddisfazione[5].
Allora si fa strada una concezione indifferenziata della vita, incapace di cogliere e salvaguardare il
valore e la dignit singolari della vita umana, rispetto ad altri viventi. Al punto di equiparare la
vita animale o di talune specie animali alla vita umana o da disconoscere la dignit umana della
vita in determinati stadi del suo sviluppo o condizioni del suo essere al mondo.

QUALE NATURA?

Natura termine che si venuto caricando di una pluralit di significati, cos da essere preso e
adoperato con accezioni diverse e non previamente chiarite e condivise nell'ampio dibattito che
si acceso intorno ad essa in epoca contemporanea. Il che fonte di non pochi equivoci e
incomprensioni. La presa di distanza e l'abbandono della natura come fonte del conoscere in
buona parte da attribuire al malinteso concettuale. Cui si abbondantemente prestato - come
abbiamo rilevato - un uso astrattivo ed essenzialistico, vale a dire astorico e disincarnato del

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concetto di natura da parte dei suoi tradizionali fruitori: un concetto assai pi speculativo che
significativo, come tale alieno dalle frequentazioni conoscitive dell'uomo pratico e concreto di
oggi.
Sostanzialmente la nozione di natura ha subito due radicali sbilanciamenti o riduzioni. Il primo di
tipo spiritualistico, tendente a concepirla come un ordine di essenze astratte, incapace di cogliere
appieno e dar conto della concretezza esistenziale, individuale, corporea, sociale, storica e
cosmica del vivere umano (come anche del disegno storico-salvifico del Dio biblico e dell'evento
cristologico). Cos da comprendere e accreditare l'uomo e la sua vita secondo una concezione
sbilanciata sulle dimensioni e facolt spirituali. La natura dell'uomo coinciderebbe
essenzialmente con l'anima.
Il secondo sbilanciamento e riduzione di tipo fisicistico, in senso sia cosmologico che biologico.
Nel primo senso la natura coincide con ci che chiamiamo il creato, il quale abbraccia tutto il
mondo infraumano dell'universo inanimato, vegetale e animale. Verso questa accezione e forma
della natura c' oggi una sensibile e crescente attenzione, propagata e acuita dalla questione
ecologica: dal bisogno di salvaguardare le risorse e gli equilibri ecosistemici dall'accresciuto e
progressivo potere di sfruttamento dell'uomo. E' questo il senso e l'ambito che il termine natura
evoca generalmente e immediatamente nell'immaginario collettivo: natura come mondo allo
stato brado e spontaneo, non sfruttato e contaminato, e perci come contesto di vita per l'uomo.
Nel secondo senso la natura viene a coincidere con la vita fisica dell'uomo, vale a dire con le
espressioni corporee del vivere umano, cos che naturale ci che conforme alla composizione
anatomica o alla dinamica fisiologica dell'organismo umano. Esso si oppone ad artificiale: ci che
supplisce, integra o sostituisce un organo o una funzione biologica. Cos, per esempio, naturale
il parto fisiologico, l'allattamento al seno, la dieta alimentare, l'astensione dai rapporti sessuali
nei periodi genesiaci come metodo di regolazione della fertilit; artificiale il parto cesareo,
l'allattamento con latte confezionato, la dieta farmacologica, il ricorso ai mezzi contraccettivi[6].
Queste sono concezioni parziali e unilaterali e perci inadeguate ad esprimere la ricchezza
profonda e pregnante della natura in genere e della natura umana che ne il fulcro e la cifra di
significazione. La natura esprime il dato reale e veritativo originale e primario dell'esistenza. Cos
che alla sua luce noi comprendiamo l'essenza degli esistenti, conosciamo cio la verit costitutiva
di tutto ci che : la verit dell'essere (ontologica) e del valore (assiologica) e delle relazioni fra
gli esseri. Conoscere la natura portarsi alle radici, alle manifestazioni native della verit. Per la
via dell'autocoscienza del conoscente, che s'interroga sull'essenza del proprio essere: chi sono io?
E' da questa autocoscienza e dal conoscere, che essa instaura ed espande, che emerge il senso
personale della natura: natura come persona. La natura affiora alla coscienza come percezione
della centralit e interezza del soggetto conoscente, e delle relazioni che lo rapportano a tutti gli
altri esseri. E' quanto esprime il concetto di persona, che comprende e integra tutto questo. Non
si tratta di una natura astratta e disincarnata e neppure cosmologica e fisica in senso riduttivo,
ma della natura della persona (personalistica): unitotalit individuale di spirito e corpo, in
relazione creaturale e salvifica a Dio, in rapporto amicale e sociale con gli altri soggetti umani, in
solidariet con il mondo e con la storia. Espressione, questa, di una concezione globale della
natura, integratrice di tutte le componenti e le relazioni dell'essere umano. Essa compresa a
partire dal soggetto umano e dalle sue relazioni, secondo cui prendono senso e valore gli esistenti
e i legami tra essi[7].
La verit che ne emerge - la verit della natura - non una verit derivata, un "prodotto"
dell'uomo: il "risultato" di una elaborazione mentale o culturale. E' la verit costitutiva degli
esseri e dei loro legami. Verit essenziale e decisiva e perci ineludibile e inalterabile: da essa non
si pu prescindere e non soggetta all'arbitrio dell'uomo. Nei suoi confronti l'uomo non ha un
potere manipolatore. Si dispone piuttosto in atteggiamento di ascolto, riconoscimento e fedelt.

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Perch la natura non disegno del suo ingegno e opera delle sue mani. La natura presupposto e
principio primo: "ci a partire da cui" la mente umana argomenta ed elabora e le mani dell'uomo
trasformano e plasmano. Prescindere dalla natura attribuirsi un potere creatore della verit che
l'uomo non ha. Tutte le volte che lo fa imbocca sempre una via umanamente perdente e
deludente.

DIO E LA NATURA

La verit della natura appartiene al Creatore, che l'ha pensata e l'ha posta in essere, e ha dato
all'uomo l'intelligenza per conoscerla e la volont per farsene carico. La natura di soggetto
dell'uomo in questo suo essere non semplicemente parte della natura ma sporgente con il suo
spirito su di essa, per comprenderla e assumerla. In questo l'uomo riflette la dignit personale (
"ad immagine", dice la Bibbia) di Dio. Conoscendo la natura l'uomo ravvisa il progetto creatore
divino e prendendola in carico continua l'azione creatrice di Dio. E' con-soggetto del progetto e
dell'opera creatrice di Dio.
Il che consapevolezza esplicita e riflessa nel credente, implicita e irriflessa nel non credente.
Mettersi in ascolto attento e rispettoso della natura ha un significato non solo conoscitivo ma
anche religioso. Ha valenza pi che noetica: ha valenza teologale. L'attenzione e fedelt alla
natura sempre attenzione e fedelt a Dio. La via della natura via a Dio: via ecumenica, per
tutti. Attraverso la natura Dio si rivela e parla all'intelligenza di ogni uomo ed ogni uomo
risponde a Dio.

NATURA E LEGGE NATURA

La verit della natura non solo diretta all'intelligenza concettuale, rivolta anche alla ragione
pratica. Essa infatti portatrice di significati non solo teoretici, ma anche etici: significati non
meramente concettuali, espressioni delle essenze, ma anche pratici, espressioni delle esigenze. In
genere dalla verit interna agli enti, ai loro dinamismi e ai loro nessi, la conoscenza deriva un
sapere non solo scientifico ma anche operativo. Questa legge (metodologia) del sapere. Ora
l'operativit concerne non solo il fare empirico e produttivo ma anche l'agire morale e
realizzativo delle persone. Il primo sotto l'istanza del sapere poietico, proprio del conoscere
fisico. Il secondo sotto l'istanza del sapere etico, proprio del conoscere meta-fisico. Il
sapere poietico deriva leggi tecniche di funzionamento e produzione dai dati delle scienze
empiriche o positive. Il sapere etico deriva norme morali di comportamento e azione dai
significati delle scienze meta-empiriche o filosofiche. Tali significati hanno valenza non solo di
verit (verum) ma anche di bene (bonum), nonch di bello (pulchrum). Una fenomenologia della
persona - nella integralit del suo essere individuale (in s), creaturale e trascendente (da e per
Dio), relazionale e sociale (con gli altri), cosmico e storico (nel mondo e nella storia) - mette in
luce una pluralit di beni, in cui si rifrange e da cui costellato il bene centrale della persona. In
essi la persona si esprime e attraverso essi si compie[8]. Il che equivale a dire che convengono in
modo originario e finalizzante alla persona: appartengono alla sua identit e alla sua
realizzazione. In essi prende forma primaria la natura della persona[9]. Cos abbiamo il bene, per
esempio, della vita fisica, dell'integrit corporea, della sessualit, della libert, del lavoro, del
diritto, dell'amicizia, del matrimonio, della famiglia, della societ, della politica, della preghiera,
della fede, della cultura, dell'ambiente...
Tali beni sono anzitutto ontici, nel senso che rispecchiano l'essere della persona: ci in cui esso
prende forma sotto un aspetto particolare. La morale classica li chiama beni fisici: elementi,
qualit, requisiti, inclinazioni attinenti alla persona. La loro carenza un male ontico,

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un'anomalia fisica: la semplice mancanza di qualcosa che comunemente compete a qualcuno.


Cos, ad esempio, male ontico o fisico, patito da un individuo, pu essere un handicap corporeo o
mentale, la mancanza di lavoro, una limitazione di libert, la perdita di una persona cara, un
insufficiente grado d'istruzione.
In quanto avanzano esigenze di rispetto, tali beni sono morali[10]. Come tali comportano obblighi,
vincoli, doveri, responsabilit. Sono non soltanto indicativi ma anche imperativi. Essi
sono valori da riconoscere, assumere, tutelare, onorare, promuovere. Cos che disconoscerli,
offenderli, danneggiarli, violarli un male morale, e perci eticamente illecito, inammissibile e
colpevole: un peccato. Il che rende cattivo o malvagio un individuo. Nessuno riprovevole per il
difetto di un bene fisico o il patimento di un male fisico: per esempio la malattia, la povert
materiale, l'analfabetismo, l'ignoranza del Vangelo. Lo si invece per la negligenza di un bene
morale e soprattutto per il compimento di un male morale: per esempio, la calunnia, l'ipocrisia, il
tradimento, l'apostasia.
Questo vuol dire che la natura principio non solo di un'ontologia ma anche di un'assiologia e
quindi di un'etica. Il complesso di beni morali o valori espressi dalla natura della persona, in
ragione degli obblighi che avanzano, alla base dell'etica. Essi costituiscono come l'alfabeto
dell'etica: gli elementi primissimi, che prendono forma imperativa immediata nelle proposizioni
apodittiche. Queste esprimono, in forma imperante o proibente, la carica di esigenza prima,
generale e immediata di ciascun valore. L'esempio pi significativo costituito dal decalogo: i
comandamenti della legge mosaica non sono che la traduzione imperativa primaria di ben precisi
valori o beni morali[11].
Sorge e comincia a delinearsi cos la legge naturale. Di questa, beni morali e proposizioni
apodittiche costituiscono le espressioni originarie[12]. San Tommaso li chiama "principi primi"
della legge naturale. Essi sono dati con la coscienza stessa della persona, della sua verit e dignit.
Appartengono alla sinderesi, che il nucleo originario della coscienza. La loro conoscenza non
di tipo argomentativo ma percettivo, se non proprio intuitivo. Nel senso che sono appresi con il
senso stesso della persona e del suo valore. Non c' senso della persona senza di essi ed in essi si
esprime, prende forma il bene della persona[13].
Nei principi primi la norma d'azione espressa piuttosto generica e astratta. Essi dicono molto in
generale ma poco in particolare: nella concretezza, complessit e problematicit dell'agire
concreto e tematico. Per cui c' bisogno di una mediazione normativa, in risposta alle
interpellanze etiche avanzate da determinate e ricorrenti questioni morali. Qui i principi primi
diventano criteri e referenti di specifiche e concrete norme di comportamento, elaborate
dall'autorit morale per via argomentativa. Tali norme sono di legge naturale anch'esse, essendo
implicazioni logiche, determinazioni applicative di principi primi. Come tali sono dette "principi
derivati" o "secondi" della legge naturale.
Il carattere naturale e perci razionale di queste norme principio e garanzia della loro
universalit. E perci della loro comunicabilit e condivisibilit tra gli uomini, nel tempo e nello
spazio. La legge naturale il comune denominatore eticonella molteplicit e diversit delle
culture[14]. Ma anche e ancor pi in un mondo in via di globalizzazione, alla ricerca preoccupata
del codice etico: il codice normativo del "villaggio globale" e della "casa comune". Per quante
critiche e resistenze la legge naturale possa oggi incontrare, da essa uomini e popoli non possono
prescindere. Della legge naturale c' un insopprimibile e impellente bisogno, quale garanzia dei
beni e dei diritti fondamentali e universali da assicurare ed esigere per tutti.

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LEGGE DELLA PERSONA



Attinta alla verit della persona come identit e come fine, la legge naturale non ha carattere
precettistico o legalistico: espressione di un volontarismo eteronomico, fosse pure di
provenienza teonomica. Essa cio non elaborata, compresa e fatta valere come un codice di atti
e comportamenti comandati da qualcuno dal di fuori, fosse pure da Dio. Essa proposta e
percepita come un complesso di esigenze e compiti suscitati dalla verit della persona, che lo
stesso soggetto agente. Alla sua base c' il logos (verit) della persona, il quale implica
un axios (valore), per se stesso portatore di un deon(dovere), che prende corpo nel nomos (la
legge), in vista del telos (fine) realizzativo della persona. Al principio, al centro e alla fine della
legge naturale c' la persona[15]. C' l'essere della persona, di cui la legge naturale enuncia
il dover-essere, insieme ontologico-realizzativo ed etico-normativo: il secondo in ordine al primo,
come via al primo; ed il primo come prospettiva di senso del secondo. Per questo la legge
naturale non il codice legale di un Dio legislatore e giudice, che detta all'uomo le condizioni
salvifiche. Ma l'armonia e l'ordine della natura, secondo cui cio il Creatore ha forgiato e correlato
le creature e che queste rispecchiano[16].
Per questo San Tommaso non la definisce come comando (imperium) della volont di Dio, ma
come ordinamento della ragione (ordinatio rationis). La legge naturale cio esprime un ordine
normativo e vincolante, conosciuto ed enunciato dall'intelligenza[17]. Il che mette in luce e in
primo piano la valenza antropologica della legge naturale: legge dell'intelligenza, norma
razionale[18]. Ma in filigrana si scorge lo sfondo teologico. Usando rettamente della ragione
l'uomo entra in sintonia con la sapienza creatrice divina. In questo senso la legge naturale il
riflesso nella coscienza e nell'intelligenza dell'uomo della legge eterna (la stessa legge naturale
come essa sta nella mente del Creatore)[19]. Essa - come la dice S. Tommaso - " partecipazione
della legge eterna nella creatura razionale"[20]. Dio dunque non comanda all'uomo la sua legge
ma gli ha dato l'intelligenza per cercarla, conoscerla e farla propria[21]. Il che accredita una
comprensione personalista non precettistica, una fondazione autonoma non eteronoma della
legge naturale. Il suo significato profondamente umano ed insieme divino. Il Dio della legge
naturale non il legislatore e giudice delle eteronomie divine, ma il creatore e redentore
dell'autonomia del soggetto etico[22].
La stessa rivelazione e la fede avvalorano questa valenza antropologica e impianto personalista
della legge naturale. Esse non sono principio di un volontarismo biblico, che congeda la ragione
etica, ma della novit etica cristiana: di nuovi richiami e contributi, propri della parola e della
grazia, alla coscienza e intelligenza dell'uomo. Il che messo in evidenza specialmente dal
principio della creazione e dal principio cristologico. Il primo sta a richiamare l'appartenenza
della natura alla storia della salvezza: questa incomincia gi con la Genesi, vale a dire con la
creazione, la quale integrata a pieno titolo nell'alleanza di Dio con l'uomo. Il principio
cristologico sta a significare la partecipazione della natura umana alla natura divina: con
l'incarnazione il Figlio di Dio assume la natura dell'uomo, e con la risurrezione la eleva alla vita di
Dio. Insieme i due principi stanno a mostrarci come l'ordine soprannaturale della grazia non sia
un ordine appositivo o disconoscitivo dell'ordine della natura, ma di riconoscimento, assunzione,
redenzione ed elevazione di questo. La legge naturale la legge che Cristo non venuto ad
abolire ma a portare a compimento nella sua pienezza di senso e di esigenza. La legge
nuova (legge della grazia, legge di carit, legge dello Spirito Santo, legge di perfezione e di libert)
non una legge altra e aliena alla legge naturale, ma il suo perfezionamento conoscitivo e
operativo: la legge naturale entro l'economia d'illuminazione e abilitazione della grazia. Gratia
non tollit sed perficit naturam: la grazia non prescinde e non annulla ma compie e perfeziona la
natura[23].

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LEGGE NATURALE E DIFESA DELLA VITA

Sullo sfondo della natura si staglia e delinea la verit, il valore e la legge della vita. La natura
costituisce il background di senso veritativo e normativo della vita umana. Su di esso noi
comprendiamo i doveri che il bene della vita comporta in ordine alla sua tutela e promozione e
nel contempo i limiti della sua difesa. Senza questo referente razionale e universale della natura,
la vita umana esposta a criteri valutativi volubili e arbitrari. Essa non risponde pi alla sua
valenza oggettiva ma a precomprensioni soggettive e a sensibilit culturali cangianti, alla merc
di poteri forti, manipolatori dell'opinione pubblica e della legalit democratica. Nonostante tutto
la vita umana un bene oggettivo e avanza esigenze oggettive di rispetto. Questa oggettivit
configurata e garantita dalla natura e dalla legge naturale[24].

LEGGE NATURALE E BIOETICA

In relazione alla vita il logos, l'axios e il deon espressi dalla natura hanno nel bios un basilare
campo di inveramento. Non si pu comprendere la vita umana e gli obblighi che essa crea a
prescindere dalla corporeit biologica. Questa portatrice di elementi veritativi decisivi per
conoscere lo statuto ontologico ed etico della vita umana. Perch il corpo manifestazione dello
spirito e componente coessenziale del vivere umano. Nel bios corporeo prende forma visibile la
vita della persona. Cos che la natura corporea della persona ha valenza pi che biologica: ha
"significato morale"[25]. Ci che il corpo rivela nella sua struttura organica come nelle sue
dinamiche fisiologiche non eticamente indifferente ma significativo: rilevante in ordine alle
esigenze di rispetto, tutela e promozione della vita umana come anche alla cessazione di queste
esigenze[26]. Ci sta a dire che la conoscenza e la determinazione della legge naturale nel campo
della vita esige e s'avvale della razionalit biologica. E' questa, per esempio, a dirci quando
incomincia la vita individuale umana e quando invece essa finisce, al fine di precisare il momento
iniziale e terminale dei nostri obblighi, delle cure cio ad essa dovute. Gli apporti delle scienze
biologiche e mediche, e i loro sviluppi sono importanti per una migliore e pi precisa
comprensione e determinazione della legge morale naturale nel campo della vita.
Il nomos che la legge naturale esprime in questo campo, il complesso cio delle norme a tutela
della vita fisica e che oggi va sotto il nome di bioetica, ha in s e non pu non avere una sua
intrinseca ragionevolezza. Insegnato dalla Chiesa, non ha nulla di dogmatico, perch essa lo
attinge al conoscere biologico e meta-biologico, frutto dell'intelligenza verificatrice e
interpretativa, empirica e valutativa, come tale comunicabile e condivisibile da ogni uomo,
indipendentemente dal credo religioso. Ovviamente la Chiesa non prescinde dalla fede,
dall'intellectus fidei del vangelo. Essa annuncia il "vangelo della vita", principio fontale e
ispiratore del messaggio bioetico della Chiesa. Ma lo fa nell'esplicita e dichiarata persuasione del
suo intrinseco e profondo significato antropologico, vale a dire umano e umanizzante e perci
razionalmente pervio ad ogni intelligenza[27]. La dignit e il destino soprannaturale della vita
umana presuppone e porta a pienezza di senso e di valore tutto il significato naturale[28]. Per la
Chiesa, la natura fonte di verit come la rivelazione; e la ragione via conoscitiva in sinergia con
la fede. Cos da annunciare il "vangelo della vita" sulla lunghezza d'onda della legge naturale, vale
a dire del progetto creatore di Dio iscritto nella natura e intelligibile da ogni uomo[29]. "Non si
tratta - precisa allora Giovanni Paolo II - di imporre ai non credenti una prospettiva di fede, ma di
interpretare e difendere i valori radicati nella natura stessa dell'essere umano"[30].
Questo lo ribadiamo per smentire il pregiudizio laicista secondo cui l'insegnamento bioetico della
Chiesa e della teologia non pu che essere confessionale e dogmatico, chiudendosi cos

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pregiudizialmente alle loro ragioni argomentative. Atteggiamento, questo, dissimulatore della


preclusiva chiusura ad ogni intelligenza di natura e legge naturale, che non trova oggi favore e
credito tra i paladini della cosiddetta bioetica laica, posta prevalentemente sotto i principi
dell'efficacia e del desiderio. Un'etica della vita non pu essere n laica n confessionale:
dev'essere semplicemente ragionevole. Chiunque esprime valori, diritti e norme di
comportamento deve poterli legittimare razionalmente. La Chiesa e la teologia lo fanno in nome
della natura umana e della legge naturale. Queste sono via maestra dell'intelligenza etica, che
l'umanit ha percorso da sempre e che abbandonare oggi un regresso e una grave perdita.
E' cos fugata l'idea che la verit esigente della vita, illuminata dal Vangelo, vincoli i soli cristiani
ed contraddetta l'opinione secondo cui i non-cristiani non avrebbero ragioni (sufficienti) per
riconoscerla e adempierla: "La questione della vita e della sua difesa e promozione non una
prerogativa dei soli cristiani. Anche se dalla fede riceve luce e forze straordinarie, essa appartiene
ad ogni coscienza umana che aspira alla verit ed attenta e pensosa per le sorti
dell'umanit"[31].


VALORI E PRINCIPI ASSIOLOGICI

E' cos riconosciuta e legittimata la legge naturale, assunta a criterio logico e metodologico di
un'etica della vita: in ordine alla coscienza e conoscenza del bene della vita umana e ai compiti e
obblighi che ne derivano. Dire vita umana dire la vita di un essere con dignit di persona, di cui
naturalmente condivide e riflette il valore. Ne vogliamo qui configurare i valori peculiari in cui
prende forma e i principi assiologici che ne esprimono le esigenze.

Valore di soggetto e principio di cura e terapeuticit

Anzitutto la dignit e il valore di soggetto, perch la vita non n un concetto astratto n una
cosa, oggetto di possesso. La vita non qualcosa, sempre qualcuno: un individuo vivente. Come
tale ne rispecchia la dignit di soggetto. Un individuo umano non ha valenza di oggetto, non
comparabile e confondibile con le cose: non , in una parola, reificabile. Perch essere spirituale:
mediante il conoscere e il volere (la libert) egli s'eleva sugli esseri pre-umani, diventandone il
signore. Di questa soggettivit partecipa la vita d'ogni uomo e d'ogni donna, nella unitotalit di
spirito e corpo (spirito nel corpo)[32] che ciascuno costituisce. Cos che anche la vita corporea
condivide la dignit e il valore dello spirito: corpo-soggetto, non corpo-oggetto: io sono il mio
corpo, pi di quanto non abbia un corpo. "In riferimento alla persona umana nella sua "totalit
unificata", cio "anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale", si
pu leggere il significato specificamente umano [non meramente fisico, materiale, biologico] del
corpo"[33].
Questo il motivo per cui il bios corporeo ha significato morale ed fonte di moralit: ci che il
corpo rivela e in esso si compie non eticamente ininfluente e trascurabile, ma essenziale e
decisivo in ordine alla designazione del bene e ai compiti e obblighi che suscita. Prendiamo, ad
esempio, il genoma biologico: questo espressione e rivelazione di un genoma per cos dire
ontologico. Solo un individuo con patrimonio genetico umano pu essere un soggetto umano.
Non pu che essere tale ed essere riconosciuto e rispettato come tale.
La dignit di soggetto del corpo anche il motivo per cui ad esso sono dovute le attenzioni e le
sollecitudini proprie della persona. Nasce di qui il principio di cura e terapeuticit, che enuncia il
dovere morale del rispetto del corpo e della tutela della salute propria e altrui. Curare il corpo
curare la persona. La sollecitudine terapeutica (ma anche profilattica e riabilitativa) via

136

singolare e privilegiata di riconoscimento e reciprocit intersoggettiva. Ma anche


riconoscimento della propria soggettivit, su cui nessuno ha il potere, l'arbitrio o l'indifferenza
che pu avere sugli oggetti. Il che vale non solo in ordine alla cura della malattia ma ancor prima
al riguardo per il corpo, che non pu essere trascurato n sottoposto ad alterazioni e
infingimenti, a stimolatori ed eccitanti, a prove e carichi eccessivi, a condizioni di vita e di lavoro
irrispettosi della persona e a lungo andare nocivi per la salute.

Valore di fine e principio d'indisponibilit e inviolabilit

Alla dignit di soggetto strettamente e indivisibilmente correlato il valore di fine della vita
umana. L'inoggettivabilit ne comporta ed esprime il valore non strumentale. Cos da essere
cercata "per se stessa", non "per altro" o "per altri". L'uomo - dice il Concilio Vaticano II -
"l'unico essere che Dio ha voluto per se stesso"[34]. La vita che egli rispecchia questo "per s"
della persona. Per cui non posponibile a interessi altrui, n utilizzabile per scopi ad essa alieni.
S'illumina cos il valore assoluto della vita umana, nel senso di non relativo a niente e a nessuno,
fuorch al Creatore. Dio, il Vivente, l'assoluto sussistente. Il vivente umano invece l'assoluto
partecipato. Valore di fine e valenza "in s" e "per s" si implicano e concorrono a illuminare
questo assoluto.
Scaturisce di qui il principio d'indisponibilt e inviolabilit della vita umana. Questa non ha valore
di uso, cos da disporre di essa come di un mezzo o da violarne l'integrit e l'esistenza come di un
meccanismo cibernetico o di un mero organismo nelle mani dell'uomo[35]. Il valore di fine
esclude ogni strumentalizzazione e sfruttamento ed esige che ogni ricerca, sperimentazione e
intervento sulla vita debbano essere a suo beneficio; e a beneficio altrui solo nella certezza
morale di tutelarla e non recarle un grave danno. Parimenti il valore finale delegittima ogni
manipolazione non terapeutica dell'integrit fisica (biologica e genetica) della vita ed ogni
soppressione volontaria e diretta della vita innocente. Il valore di fine decide e misura la bont
della vita umana non dal suo "modo di essere" (sosein) ma dal suo "esserci" (dasein)
semplicemente: dal suo essere al mondo come vita di un individuo con dignit di persona. Cos
che nessuno dal di fuori - nessun potere legislativo, nessuna rivendicazione parentale, nessun
consenso sociale - ha il diritto di decidere di essa, ma solo il dovere di consentirne e favorirne il
decorso vitale.
Malgrado non attiri lo sguardo o non appaghi il sentimento, nonostante la piccolezza, le infermit
o le menomazioni, una vita umana vale sempre perch vale in se stessa, non in funzione di
qualcuno o di qualcosa. Per questo va denunciata ogni violenza sulla vita, in tutte le sue forme e
condizioni. In particolare - come fa il Papa nell'enciclica Evangelium vitae - va denunciata la
violenza soppressiva della vita nascente e terminale. Questo a motivo dello spessore e della
diffusione socio-culturale che stanno assumendo l'aborto e l'eutanasia oggi: vere e proprie
"strutture di peccato" contro la vita, che da delitto vanno acquisendo valenza di diritto,
nell'opinione pubblica e nell'immaginario delle coscienze[36].

Valore teologale e principio di venerazione

Il valore di soggetto e di fine fanno della vita umana un bene trascendente e assoluto: sporgente
col suo spirito su ogni bene oggettuale e non relativo a niente e a nessuno, se non a se stessa e a
Dio. Il che delinea il valore teologale della vita umana, inteso come partecipazione e riflesso della
dignit e della gloria di Dio. La Bibbia l'esprime con la categoria dell'"immagine" e della
"somiglianza" divina (cfr Gen 1,26-27; Sir 17,3). Cos che la sua bont riveste il carattere di
sacralit e santit della vita di Dio, e suscita la riverenza e il culto dovuti al santo. Il che d

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un'impronta e valenza religiosa agli obblighi morali verso la vita, qualificando


come venerazione ogni rispetto e tutela e dequalificando come profanazione ogni oltraggio e
disimpegno[37].
Parliamo di una teologalit nell'ordine della natura, non cio attinta dalla rivelazione, e perci
intelligibile da tutti[38]. In essa la dignit e il valore pi alto della vita umana e perci il motivo
e il fondamento dell'onore e del rispetto unico e massimo che esige. L'intelligenza che lo coglie
la forma pi alta e sapiente del conoscere: in grado di penetrare il dato e cogliere il valore, di
penetrare il bios e riconoscere un uomo. Senza questa intelligenza, inibiti dal sapere empirico alla
superficie del bios, il valore non risplende. Ma non per deficit di presenza bens di conoscenza.
Non si pu fare del significato e del valore religioso della vita una conoscenza di sola fede
rivelata. Significa depotenziare e sfiduciare l'intelligenza, privandola della possibilit di cogliere
l'assoluto che nell'uomo e perci di aprirsi a tutta la verit della vita.

Valore sociale e principio di solidariet e sussidiariet

Ogni vita unica e irripetibile nella sua individualit. Ma questa autonomia non principio di una
concezione monadica e solipsistica, bens il dato basilare e la condizione previa di ogni apertura e
relazione. Ogni vita umana viene al mondo e vive nel mondo secondo una costitutiva e vitale
relazione ad altri. Esse indigens et offerens, ogni vita umana intessuta in una rete di relazioni di
dipendenza (dagli altri) e di disponibilit (per gli altri). Il che vero a partire dalla generazione e
dalla nascita e si esplica lungo tutto il decorso vitale. Ci designa il
valore relazionale e sociale d'ogni vita umana, da cui prende avvio il principio di solidariet e
di sussidiariet.
La solidariet sta a dirci che ciascuna vita, in ragione del suo esserci, appello e attenzione ad
altri, all'interno della comunit di appartenenza: dalla famiglia alle societ intermedie, dalla
collettivit politica all'intera comunit umana. La sussidiariet sta a precisare la modalit
ausiliaria d'ogni premura e cura della vita altrui: queste, da una parte, devono essere misurate e
modulate ai bisogni di ciascuno; dall'altra, non devono sostituirsi e mortificare le legittime
decisioni e capacit dei soggetti. Cos, ad esempio, di una vita che viene al mondo con gravi
handicap si fa carico la comunit a tutti i livelli, integrando e sostenendo gli oneri particolari che
la famiglia chiamata ad affrontare. La sua soppressione con l'aborto o con l'eutanasia indice di
un individualismo egoista e opportunista, che esclude i pi deboli dalla tavola del bene comune.
Solidariet e sussidiariet sono fondate sull'amore e sulla giustizia, che ricercano, tutelano e
promuovono rispettivamente il bene e il diritto basilare e primario della vita. Esse sono ispirate e
animate dall'amore ed istituite e strutturate dalla giustizia.

LA MEDIAZIONE NEL VISSUTO

L'assoluto che la vita significa, i valori singolari che riflette e i principi in cui questi prendono
forma normativa primaria, non danno luogo a un'estetica della vita ma a un'etica della tutela
concreta e possibile. Perch l'etica non una contemplazione distaccata di valori e
un'enunciazione ideale di principi, ma la mediazione di questi nella concretezza, particolarit,
complessit e conflittualit del vissuto. Dove la purezza del bene e l'universalit del principio si
misura con ilimiti del particolare, della condizione fisica, delle risorse insufficienti, delle
conseguenze contrastanti, dei secondi effetti, delle circostanze particolari ed estreme, del logorio
del tempo, nonch della libert effettiva dei soggetti agenti. L'etica viene a trovarsi tra l'assoluto e
il limite: l'assoluto che la vita umana in se stessa (nel suo valore trascendente) e i limiti che ne
contrassegnano la condizione fisica e terrena[39]. L'etica li comprende entrambi, rifuggendo e il

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semplicismo di un'assiologia incurante del vissuto e l'opportunismo di una prassi aliena dai
principi. L'etica la scienza della mediazionedella coscienza trascendentale e ideale dei valori
nella coscienza categoriale e situazionale dell'agire, dove il principio si fa norma d'azione e la
coscienza si fa giudizio operativo.
Non si tratta di distillare il valore e il bene o di svigorire il principio, dando luogo alla doppia etica
della teoria e della prassi o a un'etica dell'accomodamento della prima alla seconda, consentendo
di fatto ci che illecito di principio. O anche scindendo un deontologismo della norma da un
teleologismo dell'atto: il primo parametrato sul dovere espresso dal valore e dal principio, il
secondo sulle intenzioni del soggetto agente e sul computo delle conseguenze del suo atto.
Quest'etica del "doppio binario" una morale dissociata e dissociativa che, in presenza del limite,
disposta a disconoscere in concreto ci che riconosce in astratto, cos da consentire di fatto il
male disapprovato in teoria ovvero da rinunciare in atto al bene asserito in principio. Ovviamente
parliamo del bene e del male morale, che l'etica non consente di disconoscere (il primo) e di
compiere (il secondo). Disconoscere il bene morale e compiere il male morale sempre
unpeccato che la morale non permette mai: non si pu peccare moralmente.
Questo non significa che la morale si disinteressi di beni e mali fisici. Anche di questi essa si fa
carico, cercando di tutelare, promuovere e massimizzare i primi e di prevenire, fugare e debellare
i secondi. Che anzi per essa un male fisico e un bene fisico, in ordine agli obblighi che avanzano e
suscitano, non hanno valenza meramente fisica ma assumono gi valore morale: sono un male
morale da evitare o un bene morale da compiere. In quanto per un male soltanto fisico la
morale pu permetterlo o tollerarlo. Se essa tenuta a evitare e proibire ogni male morale, non
altrettanto pu dirsi del male fisico. Sicch mentre sempre illecito compiere il male morale, pu
essere lecito permettere il male fisico.
Riguardo alla vita, il valore morale compete alla persona, da cui il corpo lo deriva. Questo non lo
in se stesso, nella sua valenza biologica, ma in quanto lo riceve dalla persona. "Cos - leggiamo
nell'enciclica Veritatis splendor - la vita umana, pur essendo un bene fondamentale
dell'uomo, acquista un significato morale in riferimento al bene della persona che deve essere
rispettata per se stessa"[40]. A significare questo la ragione: "Alla luce della dignit della
persona umana - da affermarsi per se stessa - la ragione coglie il valore morale specifico di alcuni
beni, cui la persona naturalmente inclinata"[41]. Primo fra tutti quello della vita fisica. Cos, "ad
esempio, l'origine e il fondamento del dovere di rispettare assolutamente la vita umana sono da
trovare nella dignit propria della persona e non semplicemente nell'inclinazione naturale a
conservare la propria vita"[42]. Per questo la salvaguardia della vita fisica non un dovere
ineccepibile e la sua privazione o menomazione non sempre una colpa. Ma solo in quanto
riflette il valore della persona: "solo in riferimento alla persona umana... si pu leggere il
significato specificamente umano del corpo". Motivo per cui - l'esempio fatto dall'enciclica -
"mentre sempre moralmente illecito uccidere un essere umano innocente, pu essere lecito,
lodevole o persino doveroso (cf Gv 15,13) dare la propria vita per amore del prossimo o per
testimonianza verso la verit"[43].
La vita nella sua fisicit non basta da sola a identificare la persona e perci a configurare il bene
morale della vita. Questa concerne la persona, di cui la corporeit fisica componente essenziale
ma non esaustiva: "la vita del corpo nella sua condizione terrena non un assoluto"[44], non
totalizza cio la vita della persona. La non-coincidenza della vita con la sua fisicit sta a
significare la non-coincidenza o, piuttosto, la coincidenza relativa e non assoluta del male fisico
inferto alla vita col male morale. Come tale la difesa della vita fisica condizionabile. Se la vita
corporea e la sua integrit biologica costituissero comunque e sempre un bene morale non vi
sarebbe limite alla loro difesa. E' il darsi della vita corporea come bene fisico (non ancora morale)
e la sua manipolazione e la sua perdita come male fisico (non morale) a porre la condizione di

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limite della sua difesa: limite eticamente accettabile e sostenibile. Perch in tal caso non
difendere la vita ad ogni modo o compiere una manipolazione o costrizione non costituisce un
male morale. Semplicemente si tollera un male fisico inevitabile (o non si consegue un bene
fisico).
Da questa basilare distinzione sono informati alcuni principi orientativi dell'agire determinato e
concreto. Essi mirano a precisare le condizioni di difendibilit della vita umana, sottraendole
all'arbitrio dei soggetti e consentendo di affrontare e risolvere la situazione e il caso particolare -
in ci che presentano di singolare, complesso, conflittuale, limitato - senza n l'angoscia del
dubbio n deroghe agli obblighi espressi dal bene e dal comandamento.
Essi non fanno che comporre ed esprimere in sintesi applicativa presupposti, esigenze e
condizioni di morale fondamentale. Questa insegna che alla moralit di un atto concorrono tre
elementi (oggetto, circostanze e intenzione) e due condizioni (conoscenza e volont). Gli elementi
designano la moralit sotto il profilo della bont o della malizia e perci della liceit o illiceit. Le
condizioni invece sotto il profilo della rilevanza etica o meno e perci del carattere morale o pre-
morale.
Relativamente agli elementi, il primo a decidere la bont o la malizia l'oggetto proprio (il finis
operis) dell'atto[45]: se questo un bene morale l'atto buono, se un male morale l'atto
cattivo. In forma subordinata e integrativa concorrono le circostanze in cui un atto posto e le
intenzioni (il finis operantis) del soggetto che lo pone. Queste incidono sulla bont oggettiva
aumentandola, diminuendola o cambiandola in male. Incidono invece sulla malizia oggettiva
aumentandola o diminuendola ma non cambiandola in bene. Per questo in presenza di un atto il
cui oggetto comunque e sempre un male morale (intrinsece malum), circostanze favorevoli e
intenzioni buone non valgono a legittimarlo moralmente: a cambiarlo da cattivo in buono[46]. Si
danno per circostanze non accidentali ma sostanziali, in quanto incidono sull'oggetto dell'atto in
modo da mutarne la specie (circumstantiae mutantes speciem) ossia la qualit intrinseca,
l'essenza specifica. In tal caso la qualit morale dell'oggetto va considerata indivisibilmente dalla
circostanza, nella determinazione della moralit dell'atto.
Relativamente poi alle condizioni di moralit, alla rilevanza etica di un atto concorrono insieme la
conoscenza attenta del suo significato (fisico e morale) e la volont libera da coazioni e
condizionamenti. Cos che eticamente rilevante pu dirsi l'atto conosciuto e voluto, in una parola
l'atto volontario. L'atto involontario invece, per deficit di conoscenza e/o di volont, da
considerarsi eticamente irrilevante: un atto pre-morale. Sotto il profilo degli effetti o
conseguenze, da considerarsi eticamente irrilevante e perci pre-morale l'atto volontario
indiretto: l'atto a doppio effetto, il cui effetto negativo una conseguenza seconda, prevista s ma
non voluta, semplicemente tollerata come inevitabile, dell'effetto primo e buono che il fine vero
e proprio dell'atto.


PRINCIPI MEDIATORI

Sulla base di questi richiami di morale fondamentale, veniamo all'enunciazione e applicazione nel
campo della vita di alcuni principi da essi ispirati e motivati.

Principio di legittima difesa

Il principio anzitutto della legittima difesa, il quale consente di fare violenza alla vita
dell'aggressore fino a sopprimerla, a determinate condizioni[47]: che la violenza dell'aggressore
sia in atto e non in previsione, che si siano esperiti tutti i mezzi non violenti di dissuasione, che la

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violenza difensiva sia proporzionata a quella aggressiva. Il verificarsi insieme di queste


condizioni determina una circostanza che muta la specie dell'atto. Non si tratta formalmente e
perci eticamente di un atto di violazione e uccisione, ma di difesa di una vita. Cos da non cadere
sotto il comandamento "non violare la vita", "non uccidere". Ovviamente si arreca un male
all'aggressore. Ma un male fisico, non morale.
Fare violenza alla vita, fino a sopprimerla, non comunque e sempre un male morale,
un intrinsece malum, e perci un peccato. La nonviolenza eccepibile dalla legittima difesa. La
violenza un intrinsece malum e perci un atto da non compiere mai nei confronti della vita del
giusto e dell'innocente. La vita di questi sempre un bene morale. Cos che violarla e sopprimerla
un male morale. Per questo il comandamento "non uccidere" (Es 20,13) dalla stessa Parola di
Dio precisato: "Non far morire l'innocente e il giusto" (Es 23,7). E l'enciclica Evangelium
vitae puntualizza: "Il comandamento "non uccidere" ha valore assoluto quando si riferisce alla
persona innocente... In effetti l'inviolabilit assoluta della vita umana innocente una verit
morale"[48]. Non si vede come e quando il giusto e l'innocente possano trovarsi in stato di
aggressione nei confronti di alcuno. Non si vede dunque come la soppressione della loro vita
possa mai non essere considerata un male morale.

Principio di spendibilit

Il principio di spendibilit della vita sta a dire che, in vista di un bene superiore, come l'amore del
prossimo o la testimonianza della verit, la vita fisica e terrena pu essere sottoposta a rischi
anche elevati di logoramento, di pericolo e di perdita, senza per questo contravvenire al dovere
morale di tutelare e curare la propria vita. Con questo non si disconosce il bene assoluto della
vita, appartenendo questo all'intera vita della persona[49], di cui la condizione fisica e terrena
parte integrante ma non il tutto. Come parte, la vita nel tempo ne partecipa la dignit e il valore,
con le esigenze di rispetto da questi avanzate e che prendono forma primaria nei principi
assiologici enunciati. Ma in quanto non il tutto(non totalizza la vita della persona) essa
relativizzabile da un bene superiore[50]. Precisa Giovanni Paolo II nell'enciclica Evangelium
vitae: "La vita nel corpo nella sua condizione terrena non un assoluto..., tanto che pu essere
richiesto di abbandonarla per un bene superiore"[51] - come dice e fa Ges nel Vangelo
(cfr Mc 8,35; Gv 15,13).
Il bene superiore, delineato dall'amore di Dio e del prossimo, consente e legittima il sacrificio
della propria vita fisica e terrena. Questo lecito perch, in relazione a un bene superiore, il
sacrificio della propria vita un male fisico (l'usura o la perdita di un bene fisico) non un male
morale. Esso non un atto d'incuria verso la vita, tanto meno di soppressione: un procurarsi la
morte. La circostanza sostanziale del bene superiore e del suo amore ne fanno un atto di
donazione, di consacrazione, di offerta: atto non solo moralmente lecito ma buono, nobile e
ammirevole, la cui pi alta testimonianza il martirio[52]. Ovviamente il principio di spendibilit
vale per la propria vita, non per la vita altrui.

Principio di totalit

Oltre i beni superiori, cui la vita fisica relativizzabile e per il cui conseguimento spendibile, c'
il bene della stessa vita corporea, inteso come un complesso organico, costituito dalle diverse
parti che lo strutturano. Anche l'integrit fisica dell'organismo, in quanto bene della persona,
assume un significato morale, che obbliga alla tutela e non alterazione di organi, tessuti e funzioni
biologiche. Non per in assoluto ma relativamente al bene del tutto. Nasce di qui il principio

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ditotalit, secondo cui la parte per il tutto ed legittimo manipolarla o sacrificarla per il bene
del tutto.
Il che trova applicazione nella terapia chirurgica. L'asportazione di un organo incurabile o la
soppressione di una sua funzione, per le malattie che provoca, costituisce un male fisico
eticamente lecito se non anche doveroso. Il bene del tutto d all'atto manipolatore una finalit e
un carattere terapeutico e perci - come abbiamo visto - di tutela e promozione della persona
nella sua salute. Diversa una manipolazione arbitraria, voluttuaria o finalizzata ad altri scopi:
questa configura un male morale, eticamente inammissibile.
Il principio di totalit vale sul piano fisico, in ordine alla cura di una patologia su base biologica o
organica. Non pu essere esteso alla cura di malattie psicogeniche o di disagi psichici e spirituali.
Non si pu mutilare e invalidare il corpo per bisogni e scopi ad esso alieni. Pertanto non si pu
invocare questo principio a legittimazione della sterilizzazione antiprocreativa, della chirurgia
transessuale o di certe pratiche eccessive e ossessive di chirurgia estetica[53].

Principio di beneficialit

Un bene peculiare e distinto il beneficio terapeutico che pu venire ad altri dalla messa a
disposizione della propria vita fisica, o dal dono di un tessuto o di un organo del proprio corpo. Il
che trova applicazione nella ricerca e sperimentazione in campo biomedico e nella terapia dei
trapianti da vivente. C' qui un limite alla difesa della vita fisica e della sua integrit? Il bene che
altri possono ricavarne iscrive l'atto in una finalit d'amore. Questa per non vale a legittimare n
la soppressione di una vita, n una grave menomazione della sua integrit (mutilazione), n un
tasso di rischio elevato per la salute, al fine di salvare o curare altre vite Il principio di
inviolabilit e indisponibilit non li consente. Evitato per il pericolo di violazione e di
strumentalizzazione di una vita a un'altra, consentire a un gesto d'amore terapeutico con la
propria vita o con parte di essa atto buono e lecito.
Il che legittimato dal principio di beneficialit, secondo cui ci possibile alla duplice
condizione del tasso di rischio accettabile e dall'assoluta gratuit del gesto. La prima esige di non
provocare un grave danno per la salute. La seconda di improntare l'atto al dono, escludendo ogni
forma di profitto e interesse. Cos non soltanto la vita fisica non subisce offesa, ma diventa
"luogo" singolare e "via" e privilegiata dell'amore che dona se stesso per la vita del prossimo[54].

Principio di proporzionalit

La medicina dispone di mezzi terapeutici. Il progresso biomedico e biotecnologico oggi li
moltiplica in modo esponenziale. Ci sono limiti nel loro utilizzo? Si tenuti a ricorrere a tutti i
mezzi disponibili? La rinuncia contravviene sempre al principio di terapeuticit, configurando
comunque un male morale? Come aprirsi una strada tra l'eutanasia passiva (per omissione di
cura) e l'accanimento terapeutico (per eccedenza di cura)? Come evitare un estremo senza
cadere nell'altro? Prendersi cura della vita fisica un obbligo morale enunciato e motivato dal
principio di terapeuticit. Ma la relativit della vita fisica alla condizione e al decorso temporale,
chiede di accettarne i limiti e il limite ultimo della morte. Questo vuol dire che doverosa la cura
della malattia, ma non ad ogni costo. Cos che possibile rinunciare a cure particolarmente
onerose e dai risultati incerti o precari. Il criterio per arbitrare rettamente tra dovere e rinuncia e
pervenire a un sereno giudizio in scienza e coscienza qui enunciato dal principio
di proporzionalit nell'uso dei mezzi terapeutici. Distinguendo tra mezzi proporzionati e mezzi
sproporzionati, esso afferma che ai primi si tenuti a ricorrere sempre, mentre ai secondi si pu
e, per non cadere nell'accanimento terapeutico, si deve rinunciare.

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Il rapporto di proporzione va calcolato mettendo a raffronto le condizioni del paziente e il mezzo


terapeutico con i risultati sperabili. Dove c' proporzione, nel senso che il mezzo d sufficienti e
apprezzabili risultati, il ricorso ad esso doveroso. Dove invece i risultati sperabili sono scarsi,
precari e inadeguati ai costi umani e sociali che il ricorso a una cura impone, ad essa si pu e, per
non cadere nell'accanimento terapeutico, si deve rinunciare. In tal caso non si compie un male
morale per omissione, ma si accetta un limite fisico (da ultimo il limite della morte) che la vita
porta con s nella sua condizione biologica e temporale. La sollecitudine terapeutica considera e
rispetta la vita nella concretezza dello stato e del decorso fisico di ciascun individuo, cos da non
sottoporla a forzature terapeutiche; senza per privarla mai delle cure ordinarie e
proporzionate[55].

Principio del volontario indiretto

Altamente problematico avvertito il limite della difesa della vita in situazioni di grave conflitto,
in cui la vita di un individuo non la si vede tutelabile o curabile che al prezzo di un male come la
morte dello stesso individuo o di qualcun altro. E' il caso dell'eutanasia come terapia del dolore o
dell'aborto per salvare la gestante. L'etica non permette mai di compiere un male morale per
conseguire un bene (non sunt facienda mala ut veniant bona) (cf Rm 3,8)[56]. Tale , ad esempio,
la morte procurata a un individuo per la salvezza di un altro o per mettere fine a un malessere
dello stesso individuo. Tale atto contravviene alla norma morale, che proibisce ogni
soppressione volontaria e diretta della vita innocente[57]. Cos precisata, sotto la proibizione
della norma non cade la soppressione involontaria (per deficit di conoscenza e di consenso) e
indiretta di una vita.
Questa seconda eventualit recepita e precisata dal principio del volontario indiretto o
del doppio effetto. Questo chiarisce che, nel caso in cui un atto buono comporta anche un effetto
cattivo, previsto s ma non voluto n come fine n come mezzo per conseguire il fine,
semplicemente tollerato come conseguenza seconda e inevitabile, tale atto si pu compiere. Non
essendo l'effetto cattivo n il fine oggettivo dell'atto (finis operis) n il fine soggettivo dell'agente
(finis operantis), non entra nel costitutivo etico dell'atto. Come tale non costituisce un male
morale ma fisico. L'atto - specificato dal suo fine diretto (oggetto proprio), che quello inteso e
voluto dall'agente - moralmente buono e volontario. L'effetto cattivo indiretto: come tale
ininfluente sulla moralit dell'atto. Per questo la perdita di una vita embrionale o fetale, connessa
ad un inevitabile intervento curativo della gestante, considerato aborto indiretto; la morte
anticipata in un malato dalla somministrazione di farmaci analgesici per la terapia del dolore
considerata eutanasia indiretta. Dal momento che la qualifica di indiretto toglie ogni valenza etica
all'effetto mortale dell'atto, non si dovrebbe neppure parlare, in questi casi, di aborto e di
eutanasia. Questi, infatti, hanno di per s una connotazione morale negativa. Nei casi qui
esaminati l'atto non n abortivo n eutanasico ma strettamente terapeutico. La morte
dell'embrione o del feto come dell'ammalato non costituisce il fine dell'atto, n lo strumento per
conseguirlo, ma la conseguenza del fine terapeutico non altrimenti raggiungibile: l'effetto
secondo, conosciuto ma non voluto (solo tollerato), di un atto oggettivamente buono.

CONCLUSIONE

La vita umana nella sua fase temporale e terrena - vita in un corpo biologico - momento e
condizione della vita della persona, che ha la sua pienezza nella condizione soprannaturale ed
eterna. Essa partecipa e riflette il valore assoluto che ogni vita umana in se stessa e nel
contempo connotata dalla relativit e penultimit della condizione terrena e biologica, soggetta

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al limite e destinata a terminare con la morte. In quanto esprime quel valore assoluto, la vita
terrena un bene morale che avanza obblighi intangibili e incondizionati di difesa e di rispetto. In
quanto riflette la relativit della sua condizione fisica e temporale, quegli obblighi sono relativi a
questa: la difesa del bene fisico della vita conosce dei limiti. Cos da diventare lecito e a volte
doveroso rinunciare alla difesa della vita fisica o anche solo della sua integrit.
Tali limiti sono fisici non morali. Perch il bene morale non conosce limiti: bonum faciendum. Il
bene morale obbliga. Non fare il bene morale un peccato e una colpa che l'etica non pu mai
legittimare. Questo vuol dire che l'etica non pu porre alcun limite morale alle esigenze di difesa
della vita nella sua condizione fisica e terrena: sarebbe un male morale eticamente inammissibile
(malum vitandum). Pu e deve invece riscontrare limiti fisici insuperabili, ammettere e
accogliere i quali non implica un male morale, non una colpa; anzi pu essere moralmente
doveroso.
Dov' scritto questo? Chi lo legge? E' scritto nel grande libro della vita, impaginato dal Creatore
nella natura. Ed letto dall'intelligenza, di cui il Creatore ha dotato la creatura umana, per
conoscere la verit e riconoscere la legge.

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[1] Cfr Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor [sig.: VS], 6 agosto 1993, n.3.
[2] Cfr Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae [sig.; EV], 25 marzo 1995, n 2, 57.
[3] Cfr VS n 53.
[4] Cfr VS n 43; San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.90, a.4, ad 1; Quaestiones disputatae, q.
XX, a.4.
[5] Cfr EV 19-20.
[6] Sulle differenti concezioni della natura oggi cfr VS 46.
[7] Cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et spes[sig.: GS ], n 51; VS 13. 50. 79.
Per questa globalit di senso, a una migliore e pi adeguata comprensione della natura
contribuiscono gli apporti veritativi di tutte le scienze.
[8] Cfr VS 13.
[9] Cfr VS 79.
[10] "Alla luce della dignit della persona umana... la ragione coglie il valore morale specifico di
alcuni beni, cui la persona naturalmente inclinata... L'esigenza morale originaria di amare e
rispettare la persona..., implica anche, intrinsecamente, il rispetto di alcuni beni fondamentali,
senza del quale si cade nel relativismo e nell'arbitrio" (VS 48). Tali beni "acquistano rilevanza
morale solo in quanto si riferiscono alla persona umana e alla sua realizzazione autentica, la
quale pu verificarsi sempre e solo nella natura umana" (VS 50).
[11] Cfr VS 13. 79.
[12] Cfr VS 79.
[13] Cfr Summa Theologiae, I, q. 79, a.12-13; I-II, q.94, a.1.
[14] Cfr VS 51. 53.
[15] La legge naturale "esprime la dignit della persona umana" (VS 51), "le esigenze
assolutamente irrinunciabili della dignit personale dell'uomo" (VS 96), del "valore trascendente
della persona" (VS 101), della "trascendente dignit della persona umana" (VS 99). "La legge
naturale esprime e prescrive le finalit, i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e
spirituale della persona umana" (Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione sul rispetto
della vita umana nascente e la dignit della procreazione Donum vitae, 22 febbraio 1987, Introd.
3; cfr Paolo VI, Enciclica Humanae vitae, 25 luglio 1968, 10).
[16] Cfr VS 12, 42-44.
[17] Cfr S. Tommaso, Summa theologica, I-II, q. 90, a. 1-4. " La legge naturale altro non che la
luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio" (S. Tommaso, In duo praecepta caritatis et indecem legis
praecepta. Prologus: Opuscula theologica, II, 1129, ed Taurinens 1954, 245).
[18] Legge "iscritta nella natura razionale della persona" (VS 51); "legge della ragione" (VS 61).
Cfr VS 12. 40. 42-43. 72. 79.
[19] Cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sulla libert religiosa Dignitatis humanae,
3; VS 40-44. 72.
[20] Cfr Summa theologiae I-II, q.91, a.2.
[21] "La luce della ragione naturale con la quale distinguiamo il bene dal male - il che
competenza della legge naturale - non altro che un'impronta in noi della luce divina" (S.
Tommaso, Summa theologiae, I-II q. 91, a.2. Cfr, ivi q. 90, a. 4.
[22] Cfr VS 40-41
[23] Cfr VS 24. 45
[24] Cfr EV 19-20.
[25] VS 49. Cfr VS 48-50.

145

[26] La natura corporea della persona "non pu essere concepita come normativit
semplicemente biologica, ma dev'essere definita come l'ordine razionale secondo il quale l'uomo
chiamato dal Creatore ... a usare e disporre del proprio corpo" (VS 50)
[27] "In Cristo annunciato definitivamente ed pienamente donato quel Vangelo della vita che,
...scritto in qualche modo nel cuore di ogni uomo e donna, risuona in ogni coscienza "dal
principio", ossia dalla creazione stessa, cos che...pu essere conosciuto nei suoi tratti essenziali
anche dalla ragione umana" (EV 29). Come tale "il Vangelo della vita non esclusivamente per i
credenti: per tutti" (EV 101). Esso "ha un'eco profonda e persuasiva nel cuore di ogni persona,
credente e anche non credente" (EV 2).
[28] "Il Vangelo della vita racchiude quanto la stessa esperienza e ragione umana dicono circa il
valore della vita, lo accoglie, lo eleva e lo porta a compimento" (EV 30).
[29] I cristiani sono chiamati a "mettere in risalto le ragioni antropologiche che fondano e
sostengono il rispetto di ogni vita umana. In tal modo, mentre faremo risplendere l'originale
novit del Vangelo della vita, potremo aiutare tutti a scoprire, anche alla luce della ragione e
dell'esperienza, come il messaggio cristiano illumini pienamente l'uomo" (VS 82).
[30] Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 51.
[31] VS 101. Cfr VS 77.
[32] "Corpore et anima unus" (GS 14). Cfr VS 48-49
[33] VS 50. Le citazioni interne al brano sono di Giovanni Paolo II, Esortazione
apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981, 11.
[34] GS 24.
[35] Cfr EV 5.39-40. 53.
[36] Cfr EV 4. 11. 12. 18. 24. 58-67.
[37] Cfr EV 9-41. 53.
[38] Cfr EV 2.
[39] Cfr VS 2. 47.
[40] VS 50.
[41] VS 48.
[42] VS 50.
[43] Cfr VS 50.
[44] EV 47, Cfr EV 2.
[45] Cfr VS 79.
[46] Cfr VS 80-82.
[47] Cfr EV 55.
[48] EV 57. Cfr EV 57; VS 50; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione
sull'eutanasia Iura et bona, 5 maggio 1980, in AAS 72 (1980) 546.
[49] "L'uomo chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza
terrena" (VS 2).
[50] Cf EV 2.
[51] EV 47
[52] Cfr EV 47
[53] Cfr Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, Carta degli Operatori
Sanitari [sig.: COS], Citt del Vaticano 1995, n.66.
[54] Cfr COS 84-85. 90.
[55] Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull'eutanasia Iura et bona, 5
maggio 1980, in AAS 72 (1980) 549-551; COS 64. 65. 120; EV 65.
[56] Cfr Paolo VI, Enciclica Humanae vitae, 25 luglio 1968, 14.
[57] Cfr EV 57.

146

FRANCESCO D'AGOSTINO
IL RISPETTO DELLA VITA E IL DIRITTO

Trattando della vita alla stregua di un mero concetto, la filosofia rispetta la propria
vocazione; nello stesso tempo, per, dimostrandosi incapace di trattare tale concetto in modo
adeguato, manifesta -se si vuole in modo umiliante- tutti i propri limiti. Nella Logica di Jena Hegel
scrive che "di fronte alla vita, il pensiero...si dissolve; per la mente l'onnipresenza del semplice
nella molteplicit del sembiante una contraddizione assoluta, un mistero impenetrabile" ( [1] ).
Anche se per la scienza un termine come mistero semplicemente insopportabile, bisogna
riconoscere che l'affermazione hegeliana non stata smentita nemmeno dal trionfo della biologia
che ha contrassegnato la seconda met del Novecento; essa ha fatto di tutto per farci perdere
piena coscienza della pregnanza dell'osservazione hegeliana, ma non ne ha dissolto la valenza. Se
oggi comunemente vita e vita biologica vengono usati come sinonimi, questo avviene ad onta del
fatto che -come giustamente osserva Sarah Franklin ( [2] )- quello della vita un concetto
caratterizzato da convinzioni antiche e consolidate quanto da incertezze recenti e vieppi
crescenti: non solo la determinazione dell'inizio e della fine della vita diviene sempre pi
problematica (anche per i biologi!), con ripercussioni bioetiche a tutti evidenti, ma la stessa
individuazione cognitiva dell' idea stessa di vita sembra ormai esser divenuta evanescente.
L'unico modo per aprire un qualsiasi discorso sulla vita, che abbia un senso per il giurista,
sembra dover prendere le mosse da una constatazione antica: vita concetto analogo, se
vogliamo ricorrere al vecchio termine scolastico; o, per dirla pi modernamente,
termine polisemico. Non so se i giuristi siano pienamente consapevoli di quanto sia ormai
divenuto imbarazzante continuare a usare in modo univoco il termine vita, ma ben certo che col
loro notevole istinto hanno da tempo avvertito la difficolt. Nel Convegno promosso a Roma
dall'Accademia dei Lincei nel maggio 1982 (che ha visto tra i protagonisti studiosi del calibro di
Santoro Passarelli, Falzea, Oppo, Pugliese, Mengoni, Rescigno, Trabucchi) anche se purtroppo non
ci si posto il problema essenziale, quello del rilievo per i giuristi di una adeguata riflessione
epistemologica sulla vita, si percepita per la necessit porre precisi limiti di competenza al
discorso giuridico, decidendo di riflettere esclusivamente sulla vita materiale. Esemplare, pur
nella sua ingenuit epistemologica, l' actio finium regundorum di Angelo Falzea: "Il giurista non si
occupa della vita, ma della vita dell'uomo...restano fuori quadro le situazioni di non-vita, ma
anche le situazioni di non pi vita. Per altro verso sono escluse dalla considerazione giuridica le
vite non umane, immanenti o trascendenti, alle quali non di rado le leggi hanno fatto o fanno
riferimento" ([3]) .
Un modo aurorale di affrontare il tema della vita in una adeguata prospettiva epistemologica
intanto quello di impostarlo nelle sue valenze lessicali ([4]). In tal modo acquistiamo
consapevolezza e ci facciamo carico dell'indubbia povert del linguaggio oggi a nostra
disposizione, indizio questo a sua volta di una penuria teoretica, propria di un tempo di povert,
di una drftige Zeit, per dirla con Heidegger, quale quella nella quale stiamo vivendo. Dobbiamo
allora, riflettendo sul linguaggio, sforzarne i limiti: chiediamo aiuto a un lessico lontano dal
nostro, eppure sufficientemente vicino perch possa ancora parlarci e attivare il nostro pensiero.
Se cerchiamo nel greco l'equivalente di vita ci troviamo di fronte a un ventaglio di possibilit. E'
vita, in senso proprio, la zo. Ed vita il bios. Cos come merita di essere tradotta con vita la
parola psych -anche se su questo termine gravano affascinanti precomprensioni teologiche, che
vanno per lasciate fuori da questo discorso. E alla vita si riconnettono numerosi altri termini,
da phyle a soma. Siamo chiamati a riflettere sul diritto e la salvezza della vita: ma quale vita
chiamato a salvare il diritto?

147

Zo indica innanzi tutto la vita come fenomeno fisico; allude alla vitalit che si esprime e si
manifesta in tutti gli esseri organici, quella vitalit che pervade il sogno di d'Alembert
([5]), quella vitalit che percepiamo nell'esperienza, ma di cui attraverso la mera esperienza non
possiamo conoscere causa, nascimento o fine (a domande siffatte danno piuttosto risposta i miti
e le rivelazioni religiose). In chiave cognitiva -che quella che qui ci interessa- zo, usando
scorrettamente un termine kantiano, appare alla stregua di un trascendentale: attraverso di esso
noi diamo un ordine al mondo in cui viviamo. Percependo e ponendo la distinzione vita/non
vita noi elaboriamo l'idea del luogo che siamo chiamati ad occupare nel mondo; costruiamo la
categoria dell'ambiente. In questa accezione il termine vita -come zo- non conosce quindi
plurale; alla zo ripugna l'individualit; possono esserci pi forme di vita (il greco le designer
come bioi), ma lazo una soltanto; non ci possono essere pi vite. E non conosce nemmeno
termini antagonistici: dalla zo si pu ben distinguere ci che non vitale, ma tale distinzione ha
una valenza non dialettica; alla zo non ha senso contrapporre la morte, perch quelli che
muoiono sono i singoli viventi, non il principio della vita ([6]). A quanto appena detto si potrebbe
opporre che la nostra generazione, per la prima volta nella storia, ha elaborato la consapevolezza
e percepito la possibilit che la zo possa essere distrutta: tema apocalittico, al quale con diversa
lucidit dan credito i movimenti ecologisti. Ecco apparire un primo modo di pensare alla salvezza
della vita da parte del diritto: il diritto dovrebbe prendersi cura della zo. Indipendentemente
dalle sue configurazioni operative, il progetto non pu che apparire nobile. Se sia
epistemologicamente convincente invece altro discorso: in una prospettiva cosmica, la
vita sorge, non nasce; e come la vita sorta, cos pu evidentemente anche risorgere nuovamente,
dopo essere scomparsa o essere andata distrutta (darwinianamente solo questione di tempo,
ma nel cosmo darwiniano il tempo non certamente risorsa scarsa). Il punto che le giustissime
preoccupazioni vitalistiche degli ambientalisti tendono inevitabilmente (n possiamo fargliene
una colpa) a onticizzare la zo, a smarrire la valenza trascendentale del concetto. Di fatto le lotte
ecologiste sono a favore non della zo, ma del bios, cio delle singole specifiche forme di vita
poste a rischio dalla manipolazione dell'ambiente. Ma non attraverso il bios che si salva
la zo: diversamente da questa, infatti, il bios costitutivamente individuale,
costitutivamente plurale e costitutivamente mortale. Se cos stan le cose, il compito che
propriamente dovrebbe accollarsi l'ecologismo molto pi imponente di quanto non appaia a
prima vista e chiederebbe radicali riformulazioni. Il precetto:salva la zo, semplice, intuitivo, ma
purtroppo privo di contenuto cognitivo; il precetto: salva il bios, ha invece un ben preciso
contenuto cognitivo, ma mal formulato; salva i bioi precetto epistemologicamente
impeccabile, perch correttamente formulato al plurale, ma allora richiede che si determinino
individualmente quali siano i bioi da salvare e se ne fornisca adeguata giustificazione. Se sia
giusto o no distruggere definitivamente il virus del vaiolo, che attualmente sopravvive sotto
continuo controllo solo in laboratori specializzati, problema che concerne la difesa del bios, non
dellazo.
Zo indica la vita qua vivimus; bios la vita quam vivimus ([7]). Bios il termine con cui la lingua
greca esprime il vivente nella sua individualit empirica, vincolata ineludibilmente alla
temporalit e destinata a strutturarsi tramite il corpo, ilsoma ([8]): del bios, a differenza che
della zo, predicabile la nascita e la morte. Un'espressione come vivere la vita si esprime quindi
in greco con bion zn. Si comprende quindi perch, per metafora, bios, con riferimento
all'uomo, sia passato a indicare in greco la professione, il mestiere, i mezzi di sostentamento e di
fortuna, perfino la dimora e il soggiorno: tutto ci, insomma, che qualifica la vita nella sua fragile
singolarit. Resta comunque fermo che il bios non ha in se stesso il proprio fondamento, n per
quel che riguarda il principio della sua vitalit (che resta la zo), n per quel che concerne il
principio della sua individualit. Questa non data dalla connessione col soma, necessaria ma

148

estrinseca, ma dalla sua connessione con la psych. Ben si comprende perch i latini abbiano
tradotto psych con anima, perch l' animaanima i corpi, individualizzandoli (i cadaveri,
diversamente dai corpi viventi, sono tutti eguali, perch egualmente inerti); ma psych ben pi
che un mero principio animatore di carattere fisico; la sua animazione dell' individualit, che
nei casi pi eccellenti (come il caso del bios umano) lo apre alla attuazione di se stesso, gli
consente di riconoscersi ed affermarsi come un io; ci -in linguaggio moderno- che gli offre e gli
spalanca la dimensione del senso. Tra bios epsych il vincolo ontologico, non biologico, perch -
con buona pace dei materialismi riduzionistici- solo ontologicamente (con uno sguardo dall'alto)
si possono percepire le qualit emergenti, si pu cio percepire in un uomo vivente una unit
superiore alla mera somma delle cellule che compongono il suo corpo. E' con riferimento
alla psych e non semplicemente al suo bios che l'uomo riceve un nome, che il diritto chiamato a
tutelare. Come mero dato empirico,bios, per quanto possa apparire prezioso, anonimo e non
possiede alcuna rilevanza n ontologica n assiologica: nel lamento su Cordelia morta, re Lear
non piange la morte di un essere vivente, ma quella morte, la morte della figlia: "Why should a
dog, a horse, a rat have life, and thou no breath at all?". E' solo perch pu ricevere (dalla psych)
una identit e un senso, che il bios acquista un valore, cos come pu perderlo. "Per l'uomo, dice
Platone attraverso Socrate, una vita (bios) non meditata non degna di essere vissuta (biots)"
([9]). Quello del bios quindi un valore estrinseco, che il biosdeve conquistare, attraverso
l'acquisizione di ritmo interiore (eurythmia) ed armonia (euarmostia), che di per s non possiede
([10]).. L'intuizione antichissima per la quale il bios dell'uomo abbisogna della polis, perch in
essa soltanto si d il nomos ([11]), riassume tutto questo discorso e ci d l'indicazione
fondamentale di cui abbiamo bisogno per tematizzare il nesso tra vita (come bios) e diritto.
1. Bios non ha dunque alcun valore intrinseco; non realt ultima, ma penultima. Ecco perch
in ben precisi contesti, come nei Vangeli, in cui il termine vita deve essere connotato in modo
assiologicamente forte e inequivocabile, non si fa cenno a bios, ma a zo e a psych ([12]). Ma ci
non comporta che bios sia destituito di ogni valore, perch l'unico luogo in cui pu manifestarsi
la vita come psych, cio quella forma di individualit, che il presupposto di ogni assiologia. E
questo un dato che ci viene evidenziato non solo dalla filosofia, ma dalla stessa antropologia
culturale, quando ci mostra come sempre e solo attraverso la realt fisica, attraverso il bios e in
particolare attraverso il corpo, e nelle forme pi contraddittorie e incredibili, -il corpo nutrito ed
affamato, mascherato ed esibito, abbellito ed umiliato, fortificato e indebolito, rispettato e violato,
sacralizzato e mutilato- che l'io (la psych) si fa strada e si manifesta nel mondo, come
dimensione di valore.
Il diritto non appartiene all'ordine della natura, ma solo nell'ordine della natura pu avere
possibilit di operare. E' per questo che la vita che chiamato a difendere non il bios, ma
la psych; ma poich la psych non da esso direttamente attingibile, ecco il rilievo che
il bios viene ad acquistare ad ogni livello di esperienza giuridica (come peraltro anche etica). Con
molta sottigliezza, S.Agostino osserva che la prima forma di espressione della nostra libert -la
prima affermazione del nostro io- non si manifesta (come si potrebbe in astratto pensare) n
attraverso un nobile s a valori assoluti e trascendenti, ad es. un s al bene o a Dio, n attraverso
un altrettanto nobile no a disvalori altrettanto assoluti (come il no a Satana recitato nella formula
battesimale), ma attraverso il semplice, quotidiano no a quelle forme contingenti di male che
sono i delitti -e il primo delitto che egli cita il delitto contro il bios dell'uomo, l'omicidio ([13]).
La psych dice di s a se stessa dicendo di no ad ogni attentato che minacci il bios.
Di qui la caratteristica insoddisfazione che ci afferra di fronte ad ogni discorso giuridico che
pretenda di avere per oggetto esclusivo il bios. Nulla ci autorizza a sacralizzarlo, come avviene in
alcune ingenue forme di naturismo, che si illudono che basti formulare il precetto difendi la
vita! per dare al diritto un principio adeguato di operativit. Ma nello stesso tempo nulla ci

149

autorizza a cosificarlo, quasi che il precetto: sii autonomo! implichi una disponibilit
indiscriminata del soggetto su quella dimensione di se stesso che il bios (e Kant ne era tanto
consapevole da affermare che nemmeno la parte apparentemente pi marginale del nostro io
corporeo, nemmeno un dente, propriamente disponibile da parte nostra). Ridurre il bios a un
mero strumento dell'io (della psych) altrettanto ingenuo che ridurre il linguaggio a un mero
strumento del pensiero. E' vero che il pensiero pu deformare l'uso del linguaggio (qui si
colloca il problema paradigmatico della menzogna), ma pur vero che il malum mendacii non sta
nella deformazione dell'uso del linguaggio, ma nel fatto che attraverso la menzogna
inevitabilmente il pensiero deforma se stesso. Analogamente, non c' alcun dubbio che
la psych abbia un potere sul bios, un potere che pu divenire letteralmente immenso ( il caso
del suicidio), ma non c' nemmeno alcun dubbio che attraverso l'uso di questo potere
la psych corre il pericolo di perdere definitivamente se stessa. Bios e psych sono uniti da vincoli
indissolubili, ma sottili; quando questi si ispessiscono e portano la psych ad appiattirsi
sul bios cadiamo in quelle forme di materialismo ingenuo, che vedono anche negli aspetti pi
raccapriccianti della natura una forma di sacralit impersonale; quando invece questi vincoli si
assottigliano, fin quasi a vaporizzarsi, cadiamo all'opposto in altrettanto ingenue forme di
individualismo solipsistico, per le quali la volont vuole quel che vuole e va sempre ritenuta
insindacabile, purch autentica. Nell'uno come nell'altro caso il diritto non ha pi alcuno spazio.
N meno che mai pu avere alcuna funzione di salvezza di quella realt sintetica, bios/psych, alla
quale ci riferiamo quando parliamo di vita umana.
Contrariamente a quanto molti pensano, per il diritto la mera manipolazione del bios non
affatto intrinsecamente condannabile (dato che il bios non ha alcun valore intrinseco);
condannabile solo quando dalla sua manipolazione si rescinde il vincolo di senso che lo unisce
alla psych. A volte tale vincolo si esprime facilmente attraverso intuitivi riferimenti teleologici. Il
diritto in casi come questi non trova difficolt a focalizzare opportunamente le proprie
posizioni.Un onesto allenamento atletico pu anche essere materialmente pi violento nei
confronti del bios di una attenta somministrazione di farmaci che ne potenzino artificialmente e
dolosamente le prestazioni, ma mentre questa condannabile perch deforma
la psych dell'atleta, inducendola alla dissimulazione e all'inganno, quello pu essere al contrario
estremamente lodevole, quando per suo tramite la psych (dell'atleta) raggiunge a un pieno
equilibrio con se stessa. Pi in generale ogni pratica medica giuridicamente giustificata non
perch benefica sempre e comunque per ilbios, ma in quanto orientata comunque a quel bene
della persona, per la cui percezione il riferimento alla psych essenziale. Ma in altri casi
nemmeno il pensiero teleologico in grado di ben focalizzare come vada tutelato il
vincolobios/psych: necessaria una coraggiosa affermazione ontologica, per evitare che il diritto
si perda nelle antinomie apparentemente insolubili dell'esperienza empirica. Non perch non si
hanno garanzie della veridicit della testimonianza (o meglio della delazione) che ne consegue,
infame la tortura. Non perch non abbia forza dissuasiva inaccettabile la pena di morte. Non
perch non riesca a prolungare obiettivamente la vita del corpo, condannabile l'accanimento
terapeutico. Non perch non possa far acquisire a chi la subisce una straordinaria vocalit,
ripugnante la castrazione. Queste pratiche possono anche produrre effetti al limite anche
socialmente vantaggiosi e comunque corrispondenti esattamente alle intenzioni di chi le pone in
essere: vanno rifiutate, come antigiuridiche -oltre che come non etiche- non perch dannose, ma
perch umiliano il nesso psych/bios, disumanizzandolo. O, se cos si preferisce pensare, perch
tolgono identit al bios, appiattendolo indebitamente sul soma.

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[1] Tolgo la citazione dal titolo del volume di E.Chargaff, Unbegreifliches Geheimnis. Wissenschaft
als Kampf fr und gegen die Natur, Stuttgart, 19884.
[2] Nella voce Life dell'Encyclopedia of Bioethics della Georgetown University (mi riferisco
alla revised edition del 1995, vol. III, p. 1345).
[3] Il diritto e la vita materiale, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1984, p. 7.
[4] Preziose le indicazioni che ci provengono da V.MELCHIORRE, Bios, anthropos, ethos, in
"Studium", 85, 1989, pp. 19 e ss.
[5] Mi riferisco, naturalmente, a DIDEROT, il cui Rve de d'Alembert si pu leggere in tr.it. in
DIDEROT, Opere filosofiche, a cura di P.ROSSI, Milano 1963, pp. 194-271.
[6] E' per questo che nel linguaggio della spiritualit zo passa a indicare la vita eterna.
[7] Vedi MELCHIORRE, loc.cit.
[8] Il bios per non si identifica col soma: questo pu alterarsi (ad es. perch mutilato), senza
che si alteri la sua realt vivente (il bios).
[9] PLATONE, Apologia. 38a.
[10] Cfr. PLATONE, Prot., 326b.
[11] DEMOCRITO, fr. 248 (Diels-Kranz).
[12] Prendiamo ad es. un testo notissimo, Gv 12.25: "Chi ama la sua vita (psych) la perder e chi
odia la sua vita (psych) in questo mondo, la conserver nella vita (zo) eterna.
[13] In Joa. Ev., 42.10.

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GONZALO HERRANZ
LA CULTURA DELLA VITA:
UN IMPEGNO AFFERMATIVO

INTRODUZIONE
Quando si analizza quello che dice l'Enciclica Evangelium vitae sulla cultura della vita, si capisce
che il Santo Padre si riferisce a una doppia realt.
Da una parte, il Papa ci mostra che la cultura della vita ha la sua ragion di essere nello scontro con
la cultura della morte. Giovanni Paolo II vuole farci prendere coscienza di questa dimensione,
necessaria e di relazione, ostile e reazionaria: la cultura della vita esiste per opporsi alla cultura
della morte. Il Papa non nasconde il fatto che siamo coinvolti in un "enorme e drammatico
scontro tra il bene e il male, la morte e la vita, la "cultura della morte" e la "cultura della vita"[1].
Quando fa riferimento a questo conflitto, il Papa scrive in modo caratteristico le espressioni
come "cultura della morte" e"cultura della vita" tra virgolette[2].
Da un'altra parte, la cultura della vita compare nell'Enciclica come una realt affermativa e
dinamica, autosufficiente e vera, che esiste si regge in piedi per se stessa, che non necessita di
essere capita come una reazione. Il papa di solito si riferisce ad essa chiamandola nuova cultura
della vita per segnalarci che qualcosa di creativo e originale, che parte da una civilizzazione di
amore e verit[3].
logico che alla prima dimensione, belligerante ed antagonista, la "cultura della vita" abbia
dedicato uno sforzo intenso e prioritario nel mondo intero, cos ricco di frutti come povero di
mezzi. C' un'immensa quantit di letteratura della "cultura della vita" sparsa tra il materiale
stampato negli opuscoli, bollettini, giornali e libri, e tra l'informazione depositata sulla rete[4].
Molta di questa letteratura, nonostante il suo carattere polemico, abbonda di buona dottrina e
comprensione verso ci che sbagliato, risponde con la luce alle ombre, alla rigidit con
tenerezza, al pessimismo con l'apertura alla speranza.
Ma non sempre le azioni ed il pensiero, da parte di chi a favore della cultura della vita, hanno
questo segno affermativo. La battaglia a favore della vita molto dura e senza sosta, si fa contro
un nemico che dispone di mezzi e risorse enormi: , come dice il Papa, una guerra dei forti contro
i deboli[5].
Data tale sproporzione di forze tra l'una e l'altra fazione, non strano che, andando avanti nel
tempo, tra molti dei lottatori a favore della vita si sia sviluppato un ethos peculiare. Nelle azioni e
negli scritti di non pochi di questi si apprezzano accenti di durezza e risentimento, di asprezza e
amarezza, frutto della stanchezza, delle ferite inevitabili, delle apparenti sconfitte, proprie di ogni
guerra prolungata. Il pensiero di essere a favore della vita perde la sua intensit e si sviluppa la
mentalit polarizzata che l'unico cos importante eliminare il nemico. Si genera cos
un'ideologia pi di negazione che di affermazione, viene persa la capacit di stringere amicizia.
Talvolta coloro che lottano per la vita possono assumere una personalit poco attraente.
Cos succede, in modo paradossale, che quello che iniziato come un movimento a favore della
vita si insensibilmente trasformato in un generatore di azioni "anti-": contro l'aborto o
l'eutanasia, ma anche contro le single persone e, in particolare, contro potenti organizzazioni che
promuovono la "cultura della morte". Nel fragore della battaglia, non facile respingere la
tentazione di impiegare le stesse armi, violente e dannose, di cui si serve il nemico. Si pu perfino
arrivare a dimenticare che la cultura della vita intrinsecamente un compito di carit, un
messaggio luminoso e amabile, che si sforza nel capire tutti eroicamente perch tutti vuole
attrarre e, nello stesso tempo, intransigente con l'errore che vuole respingere con razionalit e
pazienza.

152

Conviene, quindi, ricordare a tutti quelli che lottano per la vita che la cultura della vita esiste non
per indebolire i cultori della morte ma per salvarli, per offrire loro nuovi segni di speranza. La
cultura della vita lavora per la crescita della giustizia e della solidariet, cerca di costruire
un'autentica civilt della verit e dell'amore[6]. La cultura della vita un impegno
essenzialmente positivo.
facilmente comprensibile che, vista la violenza di questa guerra e la vicinanza del fronte di
battaglia, sia stata posta meno attenzione nello scoprire i contenuti positivi della nuova cultura
della vita che nel compito, apparentemente pi urgente, di combattere gli errori e le strategie
della "cultura della morte". Ci nonostante, e secondo il mio parere, non c' niente di pi
essenziale che studiare, tale e come lo stiamo facendo in questa VII Assemblea dell'Accademia, le
questioni e i problemi che potrebbero essere chiamati gli aspetti affermativi della cultura della
vita.
Si tratta di impegnarci a cercare cose tanto interessanti come le seguenti:
- il tono psicologico, costruttivo e attraente, che la cultura della vita deve istaurare con le sue idee
e azioni;
- i modi di definire e presentare la cultura della vita come una novit sempre fresca;
- definire e caratterizzare il suo stile intellettuale e umano, unitario nel suo nucleo, ma adattato
alle multiple variet, che dovranno essere non solo rispettate, ma anche promosse, nelle
mentalit, situazioni e luoghi;
- come provvedere affinch i messaggi della cultura della vita siano sempre colmati di scienza
solida e anche di comprensione e gioia, di speranza teologale;
- come esplorare nuovi modi di esprimere l'entusiasmo umano e cristiano per la vita umana,
senza scendere in scene di lirica o di narrativa manicheiste;
- bisogna stabilire fin dove deve arrivare il buon zelo nella difesa della vita per non sprofondare
nell'accanimento o il tormento;
- come, rispettando la libera iniziativa e l'infinita variet, possono essere segnalati i tempi per
perseguire determinati obiettivi comuni per creare un minimo di coordinazione in mezzo alla
polifonia della cultura della vita;
- trovare i modi di creare una comunicazione interna, per sentirci gli uni con gli altri, al di sopra
degli altri mille modi di propagare il vangelo della vita;
- in particolare, bisogna stringere un compromesso solido e leale con la verit contenuta nelle
scienze biologiche e umane, che mai lecito negare o ingrandire, deformare o manipolare;
- bisogna tentare in ogni caso di combinare armoniosamente la razionalit forte dei giudizi morali
obiettivi con la pratica della compassione;
- bisogna imparare a coniugare l'affermazione delle verit morali con l'accoglienza di coloro che
sbagliano.
- preciso, infine, sviluppare con coraggio e intelligenza il triplice incarico che il Papa ci chiede
nell'Enciclica di annunciare, celebrare e servire il Vangelo della vita.
Di tutto questo amplissimo ed incitante programma tematico, limiter la mia esposizione ad
offrire alcuni indizi su due dei punti: uno riguardo il compromesso incorrompibile con la verit
che dovranno avere tutte le azioni nell'ambito della cultura della vita; l'altro consiste nell'offrire
alcune considerazioni sul meno trattato, e forse il pi difficile, dei progetti della nuova cultura
della vita umana che il Papa ci segnala: come celebrare il Vangelo della vita.
Ovviamente, le mie conclusioni non sono definitive. Il tema necessita di molta riflessione. Qui le
offro a voi in modo che il Documento che verr poi presentato alla VII Assemblea venga arricchito
con tutte le vostre osservazioni, critiche e suggerimenti.

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Il compromesso con la verit



Una ricerca sistematica nel testo dell'Evangelium Vitae della parola "verit" e dei termini
imparentati ci mostra in modo palese che il Santo Padre pone la verit come un elemento
essenziale della teoria e la pratica della cultura della vita. Ci parla del valore fondamentale della
verit nella diffusione del Vangelo della vita, perche soltanto attraverso un profondo
compromesso con la verit che l'uomo riesce a scoprire e a diffondere il rispetto per l'umanit di
ogni essere umano. Dice il Papa, tra altre cose, che l'apertura sincera alla verit una condizione
necessaria affinch all'uomo venga rivelato il valore sacro della vita umana[7]; che tutto rapporto
sociale autentico deve basarsi sulla verit[8]; che ora, pi che mai, necessario chiamare le cose
per il suo nome, senza cedere alla tentazione dell'autoinganno[9]; che nella storia sono stati
commessi crimini in nome della verit[10]; che la cultura nuova della vita il frutto della cultura
della verit e dell'amore[11]; che il lavoro dei costruttori della cultura della vita deve esprimere
la verit compiuta sull'uomo e sulla vita[12]; che nei mezzi di comunicazione sociale deve essere
rispettata una scrupolosa fedelt alla verit[13].
E, d'altra parte, i messaggi di alcuni di quelli che militano nel campo della cultura della vita
sembrano inquinati da diverse forme di mancanza alla verit: non perch gli autori si servono
deliberatamente della bugia o dell'inganno, ma perch sono crollati davanti alla tentazione
dell'efficienza strategica. Di conseguenza, esagerano la verit e la deformano, con la pretesa di
farla diventare pi dura e convincente. Altrimenti la maltrattano per farle rivelare aspetti che non
sono contenuti in essa; o la rivelano solo in parte, occultandone l'altra, per eludere l'inevitabile
complessit che spesso la realt presenta.
In altre occasioni, per l'urgenza della situazione o per mancanza di venerazione per la verit,
vengono diffusi scritti immaturi, frutto dell'improvvisazione, creati nell'indegnazione o nell'ira,
che danneggiano la causa della cultura della vita e provocano il diletto di quelli che la
combattono. In queste occasioni non si manca soltanto alla verit e alla carit, ma anche alla
prudenza per non aver chiesto consiglio a chi potesse offrirlo. Mai, nella costruzione della cultura
della vita si dovrebbe ovviare il provvedimento di chiedere una critica costruttiva a chi pu
vedere il problema pi serenamente e con maggiore saggezza.
Le pubblicazioni scritte o le manifestazioni verbali dei seguaci della cultura della vita dovrebbero
limitarsi, nei casi applicabili, alle norme di qualit che governano il mondo delle comunicazioni
scientifiche e culturali. Queste norme che inizialmente si riferivano in modo quasi esclusivo a
questioni di stile e correttezza, hanno incorporato nel corso del tempo e con intensit crescente,
certi prerogative etiche[14]. Alcune di queste prerogative sono importanti nel nostro contesto
perch interpretano un atteggiamento etico di onest intellettuale e di integrit informativa,
prerogative che proteggono contro il rischio sempre presente di fare un uso contrario dell'etica.
Mai, nella costruzione della cultura della vita, si pu ammettere che, come dice il cinismo tico, la
finalit giustifica i mezzi. Nella guerra a favore della cultura della vita non valido il principio
perverso del "tutto lecito".
L'etica comune della pubblicazione[15] impone certi doveri, tra i quali possono essere segnalati i
seguenti:
- acquisire ed esercitare una condotta giusta nei confronti dei diritti intellettuali che ci obbliga a
non appropriarci dei meriti altrui attraverso il plagio o l'imitazione, ma a concedere per giustizia
il premio di originalit agli ideatori di nuove idee;
- comprovare la veridicit e l'esattezza dei dati che usiamo nelle nostre argomentazioni,
attraverso una valutazione accurata ed una selezione critica delle fonti di informazione affidabili,
ed indicando esplicitamente queste fonti;

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- respingere ogni tentazione di fabbricare i dati, falsare le testimonianze o omettere informazione


significativa;
- esprimere con razionalit, moderazione e prudenza le conclusioni dei nostri discorsi, per non
presentare come reale quello che solo auspicabile, per non segnalare come vero quello che
dubbio, per non presentare come dimostrato quello che semplicemente ipotetico;
- assumere personalmente la responsabilit morale di quanto comunichiamo e diffondiamo nel
contesto della cultura della vita, nella quale non c' spazio per la diffamazione anonima;
- chiedere consiglio a chi lo possa dare con competenza e generosit. Nello stesso modo in cui
l'impiego degli esaminatori ha generato un salto nella qualit delle pubblicazioni scientifiche,
chiedere consiglio prima di pubblicare , nel contesto della cultura della vita, la miglior garanzia
contro l'imprudenza e il soggettivismo. Chiedere e dare consiglio un grande tesoro umano e
cristiano, che salva dal pericolo, a volte troppo vicino, di lasciarsi trasportare da idee violente od
ossessive, specie quando sono sbagliate o inopportune.
Alcuni di questi errori etici nel campo della promozione della cultura della vita sono stati
denunciati recentemente, con molta forza e prendendo esempi tratti dalla vita reale, da
Roberge[16]. Il suo articolo degno di essere letto, perch non solo fustiga le deficienze
scientifiche e etiche che occasionalmente si trovano nella bibliografia pro-vita, ma segnala anche
alcuni difetti che contribuiscono a mantenere in uno stato rudimentale l'acquisizione di dati
scientifici e la valutazione degli esperti, che sono oggi cos necessari per un'azione vigorosa a
favore della cultura della vita.[17]
Questa una cultura di verit e amore. Quindi solo nell'onest intellettuale, nella ricerca della
verit, nello sforzarsi ad amare e perdonare, i movimenti a favore della vita troveranno il suo
spazio intellettuale ed etico. Credo che questo incomba in modo speciale sui membri della
Pontificia Accademia per la Vita. Penso che abbiamo un obbligo particolare di aiutare a costruire
una cultura della vita che sia solidamente fondata sulla valutazione amorosa ed intelligente,
critica e gioiosa della verit della vita umana.


La celebrazione del Vangelo della vita

Il tema della celebrazione del Vangelo della vita degno di considerazione, importante, ed ha
bisogno di studio e sviluppo, perche decisivo per definire il tono che dovranno prendere le altre
due direzioni nell'azione evangelizzatrice della vita alla quale il Papa ci invita, l'annuncio e il
servizio. Considero, inoltre, che nella comprensione profonda di quello che ci dice il Papa nei
punti 83 a 86 dell'Evangelium vitae si trova il rimedio per molte delle deviazioni che possono
affettare a coloro che lottano per la vita e che ho gi descritto precedentemente.
Senza allegria, senza la gioia dello Spirito Santo nell'anima, non possibile costruire la nuova
cultura della vita n pu radicarsi in noi la coscienza umile e grata di essere il popolo per la vita.
Per promuovere il necessario e profondo cambiamento culturale al quale il Papa ci avvia,
dobbiamo presentarci davanti agli uomini con gesti di pacifica e umile gioia, con spirito di
celebrazione.

Cosa ci dice il Papa nell'Enciclica sulla celebrazione del Vangelo della vita?

Il Papa consiglia -ed questo un suo esempio costante- che, quando possibile, dobbiamo
cominciare le nostre riflessioni ed insegnamenti etici con alcun riferimento alle Scritture, che
dobbiamo tentare di dargli un fondamento biblico[18]. Fedele al suo consiglio, il Papa da
fondamenti delle Scritture a tutta la sua Enciclica. E sceglie per questo un'atmosfera di

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celebrazione. Comincia la Lettera ricordandoci che, nell'aurora della salvezza, la nascita di un


bambino proclamata come notizia gioiosa: "Vi annuncio una grande allegria, che lo sar anche
per tutto il popolo: nato oggi per voi, nella citt di Davide, un salvatore, che Cristo il Signore"
(Lc 2, 10-11). Il Papa ci segnala cos che la gioia, ed in concreto la gioia messianica, costituisce il
fondamento e il culmine della gioia per ogni bambino che nasce. L'allegria nel pi profondo
della nuova cultura della vita[19]. Il Papa ci presenta, pi avanti, la scena esaltante della
Visitazione di Maria a Isabella come un'esplosione di gioia per la vita, nella quale si celebra sia la
fecondit e l'attesa con l'illusione di una nuova vita, sia il valore della persona umana dal
momento del concepimento[20].
All'inizio del Capitolo IV della Lettera, il Papa ci dice che le tre dimensioni, annunciare, celebrare
e servire il Vangelo della vita, non sono inseparabili e che, all'interno della vita della Chiesa,
ognuno dei lavoratori del Vangelo deve completarle secondo il proprio carisma e ministero,
mettendo cos insieme unit e diversit, fedelt e spontaneit[21]. Conclude il Papa che "tutti
insieme sentiamo il dovere di [...] di celebrare [il Vangelo della vita] nella liturgia e in tutta la
nostra esistenza": e cio, c' una celebrazione relazionata con la liturgia, ma c' un'altra che opera
nel mondo, nel campo senza limiti dell'intera esistenza[22]. Quest'ultima quella che oggi ci
interessa.
Non facile riassumere quello che ci dice il Papa tra i punti 83 a 86 dell'Enciclica, nei quali tratta
per esteso la celebrazione del Vangelo della vita. Ma vale la pena tentare.
Quella sezione della lettera porta come motto alcune parole del Salmo 139/138: "Ti ringrazio per
tante meraviglie: sono un prodigio". Questa giaculatoria di gratitudine e sorpresa d un tono
gioioso e grato a quello che segue. Con profonda intuizione psicologica e pastorale, il Papa ci
ricorda che siamo inviati nel mondo come "popolo per la vita" e che l'annuncio del Vangelo della
vita deve essere una celebrazione vera e genuina che attraverso i suoi gesti, simboli e rituali, si
converta in un veicolo della bellezza e grandezza di questo Vangelo. Non sono piccole, quindi, le
dimensioni di questa celebrazione, n dei suoi obiettivi.
Inaspettatamente, il Papa ci assicura che per far s che la celebrazione sia autentica necessario
coltivare noi stessi, e che fomentiamo negli altri, uno sguardo contemplativo del Vangelo della
vita. La nuova cultura della vita esige approfondire la nostra fede, credere solidamente che il Dio
della vita crea ogni uomo come un prodigio, un miracolo. Abbiamo bisogno di vedere la vita
umana nella profondit della contemplazione per stupirci senza tregua della sua gratuit e
bellezza, dell'invito alla libert e responsabilit che in essa incluso. Questo penetrante sguardo
contemplativo, che rispettoso ma non possessivo, ci riveler in ogni persona l'immagine vivente
del Creatore, ci far vedere in trasparenza l'intangibile dignit di ogni essere umano tante volte
occulto sotto l'apparenza della malattia, la sofferenza, la vulnerabilit, o la precariet che precede
la morte. Questo sguardo contemplativo d il suo senso a tutta vita umana, perch scopre nel
rostro di ogni uomo una chiamata al mutuo rispetto, al dialogo, e alla solidariet. La riflessione
profonda sul Vangelo della vita ci deve riempire l'animo di religiosa ammirazione per ogni essere
umano, ci deve far diventare capaci di venerarlo e rispettarlo. Il Papa ritorna al punto di partenza
nell'affermare che grazie a questa visione contemplativa dell'uomo che il popolo della vita pu
prorompere in inni di gioia, lode e ringraziamento per il dono inestimabile della vita, dono che
misteriosamente comprende la chiamata di ogni uomo a partecipare, in Cristo, della vita di grazia
e di una comunione senza fine con Dio Creatore e Padre[23].
Deposto cos il fondamento, Giovanni Paolo II ci invita a partecipare attivamente alla
celebrazione della vita ed a edificare la cultura della vita nella sua dimensione festiva. Ci offre un
insieme di idee, amabili e forti che, se assimilate a fondo, potrebbero dare al nostro dialogo con
gli uomini una freschezza sempre rinnovata e un'inesauribile capacit di superare i pregiudizi.

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La prima attivit in cui dovr manifestarsi la celebrazione del Vangelo della vita la gioia
nell'Amore creatore di Dio, nella Vita divina, vivificante di per s e creatrice della vita, dalla quale
procede ogni essere vivente e dalla quale proviene l'immortalit di ogni anima. Crediamo in un
Dio personale, Creatore e Datore di vita, al quale non basta semplicemente credere come ad un
remoto Principio, Causa e Fondamento unico della vita. necessario anche lodare, contemplare e
celebrare Dio come Vita che vivifica ogni vita.
Il Santo Padre enumera tutte le possibilit e suggerimenti idonei per celebrare la vita. Prendendo
parole dal Salmo 139/138, ci invita a rallegrarci ogni giorno, nella nostra preghiera, con lodi a Dio
nostro Padre che ci ha creato nel seno materno e ci ha visto e amato quando non avevamo ancora
forma. Ci invita a prorompere, con le parole che servono come moto a questa sezione
dell'enciclica, in ringraziamenti a Dio per la meraviglia che siamo. Citando il suo predecessore
Paolo VI, il Papa ci presenta il contrasto misterioso che formano vita e morte come occasione di
allegria: "questa vita mortale, nonostante le sue tribolazioni, i suoi oscuri misteri, le sue
sofferenze, la sua fatale caducit, un evento bellissimo, un prodigio sempre originale e
commovente, un avvenimento degno di essere cantato con gioia e gloria".
Il Santo Padre insiste ripetutamente perche l che ci sono le fondamenta della cultura della vita,
nell'affermare nella nostra coscienza l'idea chiara e profonda della dignit di ogni essere umano,
di tutti gli esseri umani. E questa dignit, tante volte nascosta dalla malattia e l'ignoranza, deve
essere, tuttavia, sempre celebrata perche in essa non manca mai una scintilla della gloria di Dio:
"in ogni bambino che nasce ed in ogni uomo che vive e muore riconosciamo l'immagine della
gloria di Dio, gloria che celebriamo in ogni uomo, segno del Dio vivo, icona di Ges Cristo"[24].
Queste e altre idee che sono contenute nei punti 83 a 86 dell'Enciclica, dovrebbero essere lettura
frequente per tutti quelli che lavorano nella costruzione della nuova cultura della vita. Anzi,
dovrebbero venire offerte con speranza a quelli che militano nelle linee della cultura della morte,
affinch possano comprendere qual il nucleo forte dell'amore per la vita umana.
Ma arrivato il momento di chiederci che cosa celebrare il Vangelo della vita e quale ruolo ha
nella costruzione della nuova cultura.
Se fosse stata assorbita completamente nella nostra anima, nella nostra coscienza morale,
l'atteggiamento incondizionato di ammirazione e di gioia davanti la dignit quasi divina
dell'uomo, sarebbe molto feconda e animosa la nostra attivit in favore della cultura della vita
che il Papa ci invita a edificare, che una cultura che tutto abbraccia e che ha mille aspetti diversi.
Io posso parlare, con una certa cognizione di causa, del ruolo che la celebrazione del Vangelo
della vita ha in due aree: nella docenza della Medicina (non ho il coraggio di parlare di altri studi
universitari), e nelle azioni sociali promosse a favore della vita.


Sulla celebrazione del Vangelo della vita nella docenza biomedica.

Paradossalmente, non mi sembra molto acuto tra molti universitari quello sguardo
contemplativo del quale parla il Papa. Per cominciare, quanto poveramente ispirati e scritti
sembrano la maggioranza di libri sui quali studiano i nostri alunni! Sono libri freddamente
descrittivi, scritti senza entusiasmo per la vita, con un'oggettivit rigida, unidimensionale,
noiosamente formalista. Bisognerebbe riscrivere i trattati di Biologia e Patologia umane con un
atteggiamento nuovo, un atteggiamento che unisse al rigore dell'osservazione scientifica e alla
valutazione critica dei fatti e delle ipotesi i lineamenti definitivamente umani dell'ammirazione.
Tante volte basterebbe introdurre nei libri e nelle spiegazioni piccole pause per lasciare spazio
allo stupore e ai suoi innumerevoli motivi. Tutti saremmo migliori educatori se, nelle nostre
lezioni e nei nostri libri di studio, offrissimo ai nostri alunni e lettori le opportunit per un sorriso

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di ringraziamento per la bellezza della vita, e anche per sondare la nostra ignoranza, per fare
qualche calcolo su quanto ci rimane da scoprire, dell'inesauribile speranza di arrivare a
conoscere e ammirare la ricchezza della realt vivente.
Cos potremmo proteggere gli studenti e professionisti delle scienze biomediche dalla terribile
tentazione del tecnicismo meccanicista, dal rischio di una visione della vita come una routine, di
far diventare triviale quello che sorprendente, di far diventare un deserto il terreno affettivo.
, quindi, necessario aggiungere vita alla vita. Solo cos possiamo proteggerci di fronte alla sottile
narcotizzazione dello scienticismo. L'osservazione meccanicista -non l'analisi scientifica dei
meccanismi e processi biologici e del suo adattamento alle condizioni anomale indotte dalla
malattia- ha la tendenza di registrare nella mente dello studente e del ricercatore, che solo quello
meccanicamente spiegabile reale, cosa che significa, come abitudine intellettuale, che solo
biologico quello che morto perch il paradigma oggi vigente -quello della Biologia e la Medicina
molecolari- afferma che scientificamente valido solo quello che pu essere spiegato in termini
di molecole. In questo modo, la biologia diventa una specie di tanatologia[25].
In tale contesto, l'insegnamento delle scienze biomediche perde l'ispirazione intellettuale e si
chiude al propriamente umano e alle considerazioni etiche. Si scende nella barbarie
dell'insensibilit, della cecit verso quello che umano. L'embrione umano diventa un mero
ammasso cellulare nel quale si esprimono geni e molecole modulatrici, in accordo a una
meccanica dello sviluppo, che non diversa in assoluto a quella che domina lo sviluppo di altre
specie pi o meno vicine. Parlare, in un corso di Embriologia medica, dell'embrione umano come
un essere umano che deve essere rispettato visto come un'eccentricit. Ammettere che
nell'embrione si esprime la natura umana sembra un tradimento alla scienza. Il mero ricordo che
la nostra esistenza personale cominciata con questa umile, ma gloriosa, apparenza rifiutato
come se fosse la segnalazione di un'ascendenza indegna.
Nell'insegnamento delle scienze biomediche basiche, l'assenza di riferimento all'umano vivente
lascia gli studenti impreparati all'incontro con i pazienti all'inizio dei loro studi clinici: non sono
stati abituati alle realt umane della malattia e della sofferenza. oggi frequente nello studente
sperimentare una strana sensazione nell'entrare in ospedale. La potrebbero superare se
leggessero l'Evangelium vitae, non soltanto perche un'eccelsa lezione di etica medica, ma anche
perche una profonda lezione di umanit medica. Dobbiamo dire ai nostri studenti, futuri medici,
che la vocazione medica ha a che fare pi con uomini vivi che con molecole morte, che devono
imparare a riconoscere e ad apprezzare i malati nella loro singolarit personale e nella loro
integrit umana, perche solo cos che potranno trattarli in un modo veramente professionale,
che sia tanto scientifico quanto umano.
necessario fomentare, come segnala il Papa, in tutti, ma particolarmente in quelli che saranno
medici, l'onest dell'intelletto, la sincerit dello sguardo, l'amore gioioso per la vita. Questo viene
raggiunto con lo sguardo contemplativo del quale ci parla il Santo Padre. Esiste una perspicacia
umana che permette di far diventare trasparente la realt e di aprirla al significato, che viene nel
professare lo stupore, umano e celebrativo, per la vita.
Mi piace citare alcuni scritti di Lewis Thomas, un uomo la cui vita non stata illuminata dalla luce
della fede, ma che trascorsa nella penombra della nostalgia di Dio. Thomas, oltre ad essere un
patologo con uno sguardo originale e uno scrittore affascinante, stato un uomo innamorato
della vita, un testimone delle meraviglie del vivere. Ha scritto sugli esseri viventi come pochi lo
hanno fatto finora.
Da un articolo intitolato "Sull'Embriologia" prendo questo saggio, nel quale Thomas ci racconta
quello che succede nei primi giorni della nostra vita. Descrive con tale garbo quello che succede
nell'albore della vita che la lezione diventa un'esperienza intensa, indimenticabile, che lascia un
segno. "Tu sei partito da una sola cellula che proviene dalla fusione di uno sperma con un oocita.

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La cellula si divide in due, dopo in quattro, in otto e cos via. E presto, in un momento preciso,
avviene che, sorge una che sar il precursore del cervello umano. La mera esistenza di questa
cellula la prima delle meraviglie del mondo. Dovremmo trascorrere le ore a commentare
quell'evento. Dovremmo trascorrere l'intero giorno a chiamare per telefono gli e agli altri, in un
inesauribile stupore, e darci appuntamento per parlare soltanto di quella cellula. qualcosa di
incredibile. Ma eccola, aprendosi spazio verso il suo posto in ciascuno dei mille embrioni umani
di tutta la storia, di tutte le parti del mondo, come se fosse la cosa pi semplice e ordinaria della
vita.
Se vuoi vivere di sorpresa in sorpresa, eccola qua la fonte di tutte quante. Una cellula si
differenzia per produrre il massiccio apparato di miliardi di cellule, che ci stato dato per
pensare, immaginare e, come in questo caso, per rimanere stupito davanti una cos formidabile
sorpresa. Tutta l'informazione necessaria per imparare a leggere e a scrivere, per suonare il
pianoforte, per discutere di fronte ad un Comitato del Congresso, per attraversare la strada in
mezzo al traffico, o per eseguire quell'atto meravigliosamente umano come stirare un braccio e
appoggiarsi ad un albero: tutto questo contenuto in quella prima cellula. In lei c' tutta la
grammatica, tutta la sintassi, tutta l'aritmetica, tutta la musica [...]. nessuno ha la pi minima idea
di come succede questo, ma la verit che niente in questo mondo sembra pi interessante. Se
prima di morire -concludeva Lewis Thomas- qualcuno dovesse trovare la spiegazione di questo
fenomeno, io farei una pazzia: prenderei in affitto uno di quegli aerei che possono scrivere
segnali sul cielo, anzi, una squadra completa di quegli aerei, e li spedirei per i cieli del mondo a
scrivere segni di ammirazione, uno dopo l'altro, fino a non finire tutti i miei soldi"[26].
La ragione di aver trascritto questo lungo frammento per il suo modo di esprimere lo stupore
entusiasmato e l'amore per la vita. Dovremmo sforzarci per applicare un simile entusiasmo,
stupore e amore nelle nostre lezioni e discussioni accademiche sulla vita umana, quando
dobbiamo arguire in suo favore. Penso che il rispetto etico si cova, non solo nel fondamento
metafisico, ma anche nello stupore biologico, nello sguardo contemplativo.
Ma la cultura della vita non fatta solo di intelligenza: esige anche amore. Nelle Facolt di
Medicina, si insegna agli studenti di medicina ad amare?
Per essere un attivo promotore della cultura della vita non sufficiente la conoscenza cordiale e
intensa. Bisogna favorire l'accrescimento del carattere. La cultura della vita richiede generosit e
servizio, vincere l'egoismo, avere capacit di avventura. Il Papa ricorda che necessaria una
paziente e coraggiosa opera educativa che spinga tutti e ciascuno a prendere su di s il peso degli
altri, che c' bisogno di un continuo sviluppo delle vocazioni di servizio, in particolare tra i
giovani. Quello sforzo educativo imprescindibile e urgente nel contesto sociale di oggi, cos
freddo ed egoista[27].
In un'analisi della crisi di umanit che attraversa oggi la pratica della Medicina, un medico ebreo,
il Prof. Shimon Glick, afferma che tale crisi il risultato dell'impoverimento in valori morali ed
etici che molte delle societ democratiche occidentali hanno introdotto nei loro sistemi educativi.
sufficiente calcolare la qualit umana e morale che avranno i giovani, uomini e donne, candidati
alla professione medica che sono stati allevati ed educati come bambini o adolescenti in un
ambiente comodo e apertamente permissivo, abituati ad ottenere senza sforzo e
immediatamente quello che vogliono e ogni volta che lo vogliono; quelli a cui stato insegnato
che l'obiettivo ultimo della vita aspirare, con il costo morale pi basso possibile, al benessere e
all'autosoddisfazione. Non da aspettarsi che questi bambini possano convertirsi in adulti morali
che si abbandonino con energia generosa alla pratica della Medicina[28].
Nello stile educativo di oggi manca quasi completamente la educazione alla generosit, per
l'allegria di dare e di darsi. Non viene fomentata la stima per i valori morali. L'educazione alla
virt stata espulsa da molte universit, dopo averla etichettata come mero moralismo, e si

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dimenticato che il meglio che un'universit pu offrire non tanto il profitto tecnico ma la
formazione del carattere degli studenti.
Se si dovr avverare il desiderio del Santo Padre che ogni educatore universitario sia un
ricercatore dell'uomo[29], sar necessaria la conversione, il ritorno alle radici cristiane,
restituire all'universit la gioia di vivere. Sotto questo aspetto, la celebrazione della vita sembra
qualcosa di essenziale.


Celebrazione e attivismo a favore della vita

Ho gi segnalato che una delle tentazioni pi insidiose che minacciano i difensori della vita di
soccombere alla tentazione dell'abbattimento. Non mancano i motivi se le cose si vedono solo a
livello terreno. Ma sarebbe triste che il buon sale perdesse il suo sapore, che i predicatori del
Vangelo della vita diventassero amari e vendicativi, che mettessero nelle loro parole e azioni pi
irritazione che gioia, pi rancore che speranza, pi antagonismo che carit.
Si capisce che per chi ogni giorno in contatto con l'aggressivit ideologica dei maltusiani e di chi
controlla i centri nevralgici dell'ispirazione politica e del controllo professionale, o chi tenta di
capire l'estensione e intensit della massiccia distruzione di vite umane che, con la protezione
della legge, viene perpetrata oggi nel mondo, ha abbondanti ragioni per sentirsi tormentato e
triste: sono molti i peccati che vengono commessi, molte le vite che vengono segate, molta
l'ostinazione impenitente.
Ma non dobbiamo dimenticare che questi sentimenti sono incompatibili con la nuova cultura
della vita. In ogni circostanza, il Vangelo della vita una buona notizia, piena di speranza e di
promesse, che deve essere presentata con serenit e amore. E se fosse possibile con vivacit negli
occhi e un sorriso sul viso, col cuore comprensivo e generoso, con pazienza, coraggio e semplicit,
e senza che mai manchi un tocco di umore.
Vi rammento ancora la prima pagina dell'Enciclica. In questa ci si chiede che il Vangelo della vita
venga predicato con fedelt e vigore, senza timore, ma con la gioia di una buona notizia a tutti gli
uomini di tutte le epoche e culture, perche una nuova legge di libert, gioia e benedizione. Il
Papa ci ricorda che i comandamenti di Dio non sono mai separati dall'amore, che sono sempre un
regalo che viene fatto per gioia e crescita dell'uomo.
molto importante trovare la chiave tonale giusta che dovranno avere le nostre parole e i nostri
lavori a favore della vita. In Veritatis splendor, giusto all'inizio, il Papa parla dello sforzo nel
trovare "espressioni sempre nuove di amore e misericordia per dirigersi non solo ai credenti, ma
a tutti gli uomini di buona volont" e ricorda che la Chiesa esperta in umanit, una Madre e
Maestra che si pone al servizio di ogni uomo, di tutti gli uomini[30].
L'attivismo a favore della vita dovr essere inondato di gioia. Si dice nell'Evangelium vitae che il
Vangelo della vita per la Chiesa non solo una proclamazione allegra, ma anche in s stesso una
fonte di gioia[31]. Il Vangelo della vita, cos come la nuova cultura che gli annessa, non una
convinzione politica, o un modo di giudicare la demografia o di valutare i rapporti sociali. Quello
che ci deve spingere a difendere la vita la gratitudine che sentiamo per la incomparabile dignit
dell'uomo. Questa la ragione che ci dovr spingere a diventare partecipi del nostro messaggio
agli altri uomini e donne.
Spesso, quando leggo pubblicazioni di movimenti pro-vita, sento la mancanza dello spirito
affermativo, incoraggiante, allegro, celebrativo, che dovrebbe dare energia alle azioni pro-vita.
Esiste in tali pubblicazioni troppa politica di partito, eccessivi riferimenti personali ai fautori del
male, esagerato localismo, esibizionismo di virt muscolari, scatti di manicheismo. La maggior
parte di queste pubblicazioni non sono molto ispiratrici. Mancano di generosit intellettuale. Ma

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questa generosit ci serve. Anche un poco di visione universale. E la gioia per le tante meraviglie
che si operano ogni giorno, in forma di conversione e pentimento.
Una cosa che chiara nel messaggio del Papa. Dopo l'Evangelium vitae l'attivismo pro-vita non
pu che essere affermativo e rivelatore della sua ricchezza evangelica. Non pu scendere mai pi
nel triste gioco di fare l'opposizione, di accettare la sfida di competere nell'odio o nell'altezzosit,
come vogliono i suoi nemici.
Penso che la celebrazione del Vangelo della vita deve basarsi su due appoggi fondamentali. Il
primo, molto semplice da esprimere e, con l'aiuto di Dio, da mettere in pratica, consiste in una
gioiosa e fedele accettazione degli insegnamenti del Magistero della Chiesa. Il secondo dovr
essere la solida convinzione che questo un lavoro che durer molto tempo, un punto fisso
nell'agenda di lavoro di tutti noi. nostro dovere cooperare a vita, ognuno con il proprio carisma
e vocazione, nella divulgazione, celebrazione e servizio di questo vangelo. Dobbiamo essere
lavoratori instancabili in un lavoro impegnativo e quasi interminabile.
Questo significa che, per il resto delle nostre vite, ognuno dovr dedicare una parte sostanziale
del proprio tempo e sforzo in questo compito tanto duro quanto promettente. Non possiamo
permettere che l'impatto dell'Enciclica si ammortizzi e estingua in pochi mesi.
Andiamo per il mondo seminando con allegria questa dottrina cos umana e vera, ringraziando
Dio che ci permette di trarre l'amore dall'odio, la vita dalla morte. La cultura della vita deve
costruirsi e pensarsi con l'aiuto della riflessione del teologo, l'astrazione del pensatore e la
ricerca del sociologo. Ma anche con storie personali, con poesie e canzoni che raccontino la
bellezza della vita reale, della solidit dell'amore. E che venga fatto con forza, per non lasciare
un'impressione fugace, una lieve commozione dello spirito, bens una ferita che provochi dolore
ogni giorno. Dobbiamo inondare di comprensione il forte scontro tra i pro-lifers e i pro-choicers,
non nel senso di cedere nei principi non negoziabili del rispetto sacro per la vita umana, ma
aumentando la preghiera per la conversione di coloro che sono in errore, pi carit per sentire
verso loro un amore dolente a causa dei loro errori e pregare affinch tornino alla casa del Padre.
Non possiamo dimenticare che la celebrazione del Vangelo della vita legata all'officio
sacerdotale dei seguaci di Cristo, che ha di informarla di molta misericordia e intercessione. Tutti
dobbiamo fare, sotto l'influsso della grazia, uno sforzo per comprendere coloro che sono in
errore ed attrarli con un amore che superi gli odi e le distanze. Il Papa ci da l'esempio, quando
invoca alla conversione al Vangelo della vita le donne che sono ricorse all'aborto. La Chiesa -
afferma Giovanni Paolo II- sa quanti condizionamenti possono aver avuto influenza nella loro
decisione e non ha dubbi che in molti casi si trattato di una decisione dolorosa, perfino
drammatica. vero che quello che successo stato profondamente ingiusto e continuer ad
esserlo. In ogni modo, non il caso di cedere allo scoraggiamento n di abbandonare la speranza.
Bisogna capire lucidamente quel che successo e interpretarlo nella sua verit. C' comunque
ancora spazio per la grande speranza del pentimento, del perdono del Padre di ogni misericordia.
Bisogna costruire, con la guida del Papa, quella nuova sociologia del perdono, della verit del
pentimento, uno degli atti umani pi elevati, sintesi della fragilit dell'uomo con l'amore
misericordioso di Dio[32].
La nuova cultura della vita dovr essere come la casa del padre del figlio prodigo.

161

[1] Evangelium vitae, n. 28


[2] Evangelium vitae, nn. 21, 28 (in due occasioni), 50, 87, 95, 100.
[3] Evangelium vitae, nn. 6, 82, 92, 95 (tre volte), 97, 98 (quattro volte), 100. In questa seconda
accezione, per sette volte, la cultura qualificata come nuova; una volta chiamata autentica, e
un'altra ancora vera. In quattro occasioni si parla semplicemente di cultura della vita.
[4] Vedere, per esempio, il sito Internet della Cultura of Life Foundation (www.culture-of-
life.org/links_new.htm), nella quale si possono trovare connessioni a un elevato numero di
organizzazioni che militano nel campo della cultura della vita.
[5] Evangelium vitae, n. 100.
[6] Evangelium vitae, n. 6.
[7] Evangelium vitae, n. 2.
[8] Evangelium vitae, n. 57.
[9] Evangelium vitae, n. 58
[10] Evangelium vitae, n. 70.
[11] Evangelium vitae, n. 77.
[12] Evangelium vitae, n. 95.
[13] Evangelium vitae, n. 98
[14] International Committee of Medical Journal Editors. Uniform Requirements for Manuscripts
Submitted to Biomedical Journals. Annals of Internal Medicine 1997, 126(1):36-47.
[15] American Medical Association, Manual of style. A guide for authors and editors, Baltimore:
Williams & Wilkins, 1998, Chapter 3, Ethical and legal considerations, pp 87-172.
[16] Roberge L.F., Scientific disinformation, abuse, and neglect within pro-life, Linacre Quarterly
1999, 66(1):56-64.
[17] Connelly R. J., The process of forgiving: an inclusive model, Linacre Quarterly 1999, 66(3):35-
44.
[18] Smith J.E., The Introduction to the Vatican Instruction, in The Pope John Center, Reproductive
technologies, Marriage and the Church, Braintree, Mass: The Pope John Center, 1988:17.
[19] Evangelium vitae, 1.
[20] Evangelium vitae, 45.
[21] Evangelium vitae, 78.
[22] Evangelium vitae, 79.
[23] Evangelium vitae, 83.
[24] Evangelium vitae, 84.
[25] Holbrook D., Medical ethics and the potentialities of the living being, British Medical Journal
1985; 291:459-462.
[26] Thomas L., The medusa and the snail. More notes of a Biology watcher, New York: Bantam
Books, 1980:129-131.
[27] Evangelium vitae, 88.
[28] Glick S., Humanistic medicine in a modern age, New England Journal of Medicine
1981;304:1036-1038.
[29] Juan Pablo II, Discorso per il Giubileo dei Docenti Universitari. Sabato, 9 di settembre del
2000.
[30] Veritatis splendor, 3.
[31] Evangelium vitae, 78.
[32] Evangelium vitae, 99.

162

TADEUSZ STYCZEN
VIVERE SIGNIFICA RINGRAZIARE:
GRATIAS AGO, ERGO SUM

Gloria Dei vivens homo
Sant'Ireneo, Adversus haereses

STATUS QUAESTIONIS

Ringraziare significa donare?
Io dico "grazie" a qualcuno quando accetto da lui un dono. La gratitudine quindi un
atteggiamento rivolto sia al dono sia al donatore. E' l'atteggiamento di accettazione del dono. Ma
che cosa s'intende con accettazione del dono?
Proprio come un dono non tale, se in esso e per suo mezzo il donatore non si dona in qualche
modo al destinatario, cos si pu dire che la gratitudine non veramente tale a meno che il dono
non sia accettato nello stesso modo con cui accettato il donatore stesso. Che dono sarebbe
quello di offrire del pane a una persona invitata a mettersi a tavola con me, se, con questo gesto,
io volessi appena cogliere l'occasione per sistemare con lei degli affari? Che dono sarebbe se io
condividessi il pane con qualcuno solamente perch io ne ho di troppo? Il pane acquista carattere
di dono quando, spartendolo con un altro, io, in qualche modo, condivido me stesso con quella
persona. Insieme al pane, io do a un altro lo sforzo di essere ci che sono, lo sforzo in virt del
quale io sono affatto capace di invitare qualcuno nella mia dimora, di riceverlo nella mia casa,
cos che, facendo parte di quello che ho, io possa spartire con lui anche quello che sono. Non
per puro caso che invitando qualcuno a casa mia, io gli dica. "Vieni a trovarmi!". Mutatis
mutandis, questo vale anche per l'accettazione dell'invito. Io, infatti, non lo considero come un
dono, n lo tratto come tale, a meno che, nel varcare la soglia della casa, non sia sollecitato a
farlo, cos da donarmi alla persona che mi ha invitato, cosa che, in qualche modo, io compio nel
gesto stesso di accettare il suo invito. Non era per semplice coincidenza che i Romani, insieme al
saluto di benvenuto, scambiavano la parola servus con i loro ospiti. Questa parola, come ben
sappiamo, non significa "servo", bens "schiavo", ma, in questo caso, uno schiavo di propria
spontanea volont, in questo caso.
Quindi donare significa affermare, in un modo particolare, la persona a cui si dona qualche cosa, a
causa della persona stessa, attraverso il dono di se stessi. Similmente, ringraziare qualcuno per
un dono pure una speciale affermazione del donatore in quanto tale. Cos si pu parlare di vera
gratitudine solo nell'ambito di un amore reciproco, disinteressato, tra la persona donante e la
persona ricevente. Il dono un segno specifico e un modo speciale per riconoscere l'amore.
Perfino doni molto costosi, se dati senza l'intenzione di affermare l'altro con amore
disinteressato, non meritano il nome di doni e l'accettazione di essi non merita il nome di
gratitudine, anche se legata alle corrispondenti assicurazioni verbali e ai gesti convenzionali,
interpretati solitamente come segni di gratitudine.
Da queste osservazioni si possono trarre almeno due conclusioni: la prima, che la vera
gratitudine molto rara; la seconda, che un vero dono, tale da suscitare autentica gratitudine,
capita assai di rado. Dare se stessi in un dono una cosa difficile, un bonum arduum.
Non forse vero che quanto appare come un dono troppo spesso un sottile atto di
manipolazione di un'altra persona, un modo per acquistare simpatia o influenza, per garantire i
propri interessi con l'aiuto di un altro? In altri termini, un atto di annessione, forse addirittura
di aggressione, a cui si pu opporre assai scarsa resistenza; oppure, forse, fin dall'inizio,

163

entrambe le parti ritengono il dono e la corrispettiva gratitudine per esso, solo come una
convenzione, una specie di gioco sociale che non comporta conseguenze morali e che termina
come ogni gioco, quando i partecipanti decidono di sospenderlo.
Ero solito ritenere che gli esseri umani sono in realt incapaci di esprimere gratitudine in modo
appropriato, nemmeno quando ricevono un vero dono. Non credevo le persone capaci di
ringraziare Colui al quale per primo dovevano rendere grazie. Infatti, qualunque cosa una
persona riceva da un'altra, la riceve, in ultima analisi, da Dio stesso. Ma agli occhi di Dio, l'uomo
una creatura estremamente indigente. Allora come pu egli rivolgersi a Dio in altro modo se non
per chiedere aiuto a motivo delle proprie indigenza, per una qualunque ragione che non sia
egoistica? Come pu quindi ringraziare Dio in modo appropriato e adeguato al dono e al
Donatore? Io pensavo che per ringraziare Dio in modo appropriato e adeguato bisognava essere
uguali a Lui, bisognava essere Dio stesso. Ma poich assolutamente impossibile ringraziare Dio
in modo appropriato, mi sembrava Impossibile ringraziare chiunque altro in modo adeguato,
specialmente ringraziare una persona per il dono di se stessa. Sed contra...

Una scoperta nell'inno: Gloria in Excelsis Deo

La mia convinzione sub una piccola rivoluzione quando incontrai la musica di Johann Sebastian
Bach che scosse la mia certezza nel dubitare sulla capacit di una persona di esprimere autentica
gratitudine. Voglio riprendere brevemente il tema della gratitudine da una direzione inattesa:
dalla capacit, ossia, che l'uomo che creazione di Dio e perci bisognoso di Dio per sua stessa
natura, capace, ci nonostante, di donarsi a Dio, dando cos compimento alla sua esigenza
primaria di ringraziare Dio in modo adeguato, cio, "vere, dignum et justum est Deo gratias
agere". Vorrei dimostrare che questo non solo possibile, ma anche moralmente imperativo per
l'uomo in quanto uomo.
Non so esattamente quando per la prima volta entrai in contatto con Bach. Mi era gi noto e
avevo ascoltato la sua musica molto tempo prima di cedere alla magia dei suoi piccoli preludi per
pianoforte. Li avevo suonati per la prima volta quando prendevo lezioni di piano durante gli studi
teologici all'Universit Jagellonica di Cracovia. Ma non ogni incontro identico. Quello decisivo
per me avvenne molto pi tardi, quando sentii la Messa in si minore. Ascoltavo il disco in
continuazione mentre lavoravo al testo della mia abilitazione a Lublino e quindi con attenzione
divisa. Ma ogni volta che lo sentivo, ero costretto a interrompere il mio lavoro all'avvicinarsi di un
brano particolare. La musica di questo pezzo assorbiva la mia intera attenzione, la mia completa
concentrazione. L'ascolto della Messa era diventato per me l'attesa di questo solo brano e dalla
musica di questo frammento comprendevo tutto il significato della Messa, la totalit nel
frammento, das Ganze im Fragment.
Quale sorpresa non provai, quando le parole irruppero improvvisamente nella mia coscienza.
Esperimentai in tutta la sua potenza, quello che in un certo senso sospettavo. Sebbene in
antecedenza avessi sentito l'inno Gloria in excelsis Deoinnumerevoli volte e con esso le
parole gratias agimus Tibi propter magnam gloriam Tuam, fino a qual momento non avevo mai
provato nella profondit della mia esistenza che cosa significasse ringraziare Dio non solo per
quanto avevo ricevuto da Lui, ma piuttosto per quello che Egli mi permetteva di conoscere del
Suo essere pi intimo, della sua magnificenza. Infatti, io non Lo ringrazio in primo luogo per
quanto Egli mi permette di esperimentare come summum appetibile, cio per mio stesso
vantaggio, ma piuttosto per quanto Egli mi permette di esperimentare come summum affirmabile,
per se stesso, propter magnam gloriam Tuam.1 Forse non avrei mai scoperto la profondit di
queste parole nel loro pieno significato senza Bach e il suo prodigio musicale.

164

L'anonimo autore dell'inno vi esprime la reale possibilit dell'uomo, il suo reale bisogno e obbligo
di ringraziare Dio e di ringraziarLo in un certo modo. Egli non cerca di provare nulla a nessuno.
Probabilmente non mostrerebbe alcun interesse per un dotto convegno sulla gratitudine. Una
sola cosa conta per lui: l'atto di ringraziare. L'inno lascia supporre che egli ringrazi Dio e che Lo
ringrazi in questo modo, propter magnam gloriam Tuam. Con queste parole egli testimonia quello
che esperimenta. Che differenza fa che l'umilt gl'imponga di celare a noi il suo nome, dal
momento che egli esprime con le sue stesse parole la pienezza delle possibilit umane e di
conseguenza le possibilit di noi tutti?
Facendo cos, egli non si presenta a noi in modo insolito e particolare?
Nel ringraziare Dio per l'estensione della Sua Gloria, rappresentando cos tutti gli uomini, egli
rivela che la vera gratitudine verso Dio consiste nel gratias agimus Tibi propter magnam gloriam
Tuam. Noi scopriamo per mezzo di Bach e l'ignoto autore del Gloria che possibile fare ci che
dapprima sembrava assolutamente impossibile. Questa creatura indigente che umana,
affascinata e attratta da Dio, capace di ringraziarLo in questo modo, di liberare dal suo intimo
possibilit e aspirazioni e di trascendere se stesso. Naturalmente, ci si pu chiedere se chi
ringrazia Dio in questo modo, che trova questo propter, questo "a motivo di" che lo mette in
sintonia con l'inno di ringraziamento, se chi ringrazia Dio per la Sua gloria, sia capace di compiere
ci con le proprie possibilit umane o se non disponga di altre possibilit ad hocche gli sono
elargite da Dio stesso. Ma davvero cos importante sapere come la glorificazione di Dio sia
possibile in confronto al fatto stupendo che possibile? (Perch questo un fatto!) Ab esse ad
posse valet consequentia. Dopo tutto ogni possibilit umana in qualche modo un dono di Dio.
Non so neppure come la gratitudine verso Dio potrebbe essere separata dalla glorificazione di
Dio. Forse nemmeno Bach lo sa, n egli sicuramente si pone la questione. Egli sta semplicemente
in sospesa riverenza di fronte a ci che ha scoperto. Egli si permette di lasciarsi attrarre da
questa scoperta e cerca di condurre altri allo stesso senso di riverenza. Bach si lascia colmare
della stessa gratitudine mostrata dall'ignoto autore delle parole gratias agimus Tibi propter
magnam gloriam Tuam e incomincia egli stesso a ringraziare Dio con queste parole, come se
fossero davvero sue e impresta loro la voce della sua musica.
Mi ricordo di quella donna nei Vangeli, la Samaritana, che abbandona la sua brocca presso il
pozzo. Ella dimentica che era venuta ad attingere l'acqua e si allontana di corsa per annunciare
agli abitanti della citt la buona novella ricevuta, al pozzo di Giacobbe, da un uomo sconosciuto,
che le ha rivelato il mistero del donatore contenuto nel dono. Che cosa ha ricevuto da
quest'incontro? Che cosa spiega il suo grido: "Venite a vedere voi stessi"? (cfr. Gv 4, 29). Non
forse il modo con cui lo sconosciuto si rivolto a lei usando le parole: "Se tu conoscessi il valore
del Dono di Dio e se tu conoscessi chi Colui che ti ha chiesto: Dammi un sorso d'acqua"?2
Per tornare a Bach, io penso che le parole gratias agimus Tibi propter magnam gloriam Tuam, lo
abbiano commosso profondamente cos da non riuscire pi a liberarsene n a desiderare una tale
liberazione. Come avrebbe potuto desiderare di svincolarsi da ci che rappresenta l'apice della
libert, la suprema possibilit, quella, cio, a cui aspiriamo al di sopra di tutto? Poteva Bach,
mentre creava "L'arte della fuga", l'opera pi perfetta della sua vita, attribuire a Dio, suo
Creatore, le seguenti parole, con una sensazione di pace e di fiducia assolute: "BACH, sei tu,
Johann Sebastian Bach, proprio tu che Io ora sto per incontrare?" Cos non certo per pura
coincidenza che Bach riprenda la musica del Gloria alla fine dellaMessa. Questo genio dalle
infinite possibilit creative, decise di ripetere il tema alla conclusione della Messa nel: Dona nobis
pacem e cos il propter del Gloria diventa il finale della Messa. Ci si pu chiedere: "Perch?". Voglio
tentare una risposta. Egli doveva concludere la Messa in modo da lasciare l'impressione che non
debba finire mai, che continui per sempre, cos da trasformarsi in un canto di gratitudine e di lode
senza fine, gratias agimus tibi propter magnam gloriam Tuam.

165


VERSO UNA RISPOSTA

Amatus sum, ergo sum: sono amato, dunque sono

Se la riflessione sul donare e ringraziare non destinata a diventare una pura fantasticheria,
essa deve basarsi sull'esperienza. Presuppongo che tutti abbiano condiviso quest'esperienza in
circostanze espresse cos: "Com' bello, che meraviglia che tu sia qui", oppure, " Vorrei che tu
vivessi per sempre".3 A questa categoria appartiene il pi profondo dei desideri umani, quello di
dare alle persone amate una risposta al loro amore, colma di gratitudine, che si pu esprimere in
modo paradigmatico con le parole: "Voglio appartenerti interamente e per sempre" (totus Tuus,
tota Tua).
Suppongo che questi sentimenti appartengano all'esperienza quotidiana di tutti noi. Ma in
relazione a queste esperienze, sorgono le domande che evidenziano i difficili problemi
dell'esistenza umana. E' possibile dare una risposta adeguata all'offerta di una persona amata e
amante, senza prima accettare di essere dell'altro nel dono reciproco di s? Un'altra domanda si
presenta: "Io, mi appartengo abbastanza? Tu, ti appartiene abbastanza?".
Certo, il fondamento pi profondo di noi stessi, della nostra misteriosa esistenza, non soggetta
in alcun modo al nostro controllo. Werner Bergengrn esprime quest'esperienza nella sua
poesia Zu Lehen:
Ich bin nicht mein Io non sono mio
Du bist nicht dein Tu non sei tuo
Keiner kann sein eigen Sein Nessuno pu appartenere a se stesso
Ich bin nicht Dein Tu non sei Tuo
Du bist nicht mein Tu non sei mio
Keiner kann des anderen sein Nessuno pu appartenere ad un altro
Il poeta non ha forse ragione? E' proprio a partire da queste domande che il problema della
gratitudine pu essere considerato in tutta la sua estensione. La sua soluzione vuol dire
interrogarsi e rispondere alla pi profonda delle questioni sul significato
dell'identit (essentia) ed esistenza (existentia) umane, anzi, sul significato dell'amore umano
stesso: "Da chi dobbiamo accettare noi stessi? Chi dobbiamo ringraziare per noi stessi, cio, per
l'esperienza che-noi-siamo e per essere ci che siamo?".
Nulla mi rivela cos profondamente e chiaramente il carattere di dono dell'esistenza quanto
sperimentare la mia contingenza. Io non esistevo, ma ora io sono. Non era scontato che io ci fossi
e, tuttavia, io sono venuto all'essere. Io sono, quindi, perch sono stato donato a me stesso. Non
c' nulla per che me lo rivela cos profondamente e chiaramente della constatazione: "Com'
bene che tu esista!". Questa dichiarazione ci mostra quanto sia davvero contingente l'esistenza
dell'altro, dell'amato, e quanto sia ancora pi vero che tutto ci che l'altro , un dono. Ma un
dono da parte di chi? A chi dobbiamo la nostra gratitudine? Nessuno pu darsi se stesso o essere
dono a se stesso. Neppure il riferimento ai genitori risponde alla domanda in questione, poich
essa sorge proprio di fronte a genitori che piangono la morte del loro bambino.4
Quale grande potere necessario e, nello stesso tempo, quale grande amore deve operare
incessantemente in modo che l'uomo possa venire all'essere e alla vita? Anzi, quale grande potere
opera direttamente e ininterrottamente cos che l'uomo possa continuare a vivere? Non forse
necessario l'incontro dell'amore con l'onnipotenza per risolvere l'enigma del dono dell'esistenza
personale? L'vidence de l'experience, come disse Leibniz, conduce, attraverso la spiegazione
logico-riduttiva dell'esperienza, all'unica risposta della domanda pi sopra formulata, all'vidence
de la raison.

166

Alla sorgente pi profonda della riverenza, da cui sgorga l'esternarsi d'ogni umana esclamazione:
"Com' bene che tu esista!", sta l'atto primario del riconoscimento creativo, l'atto dell'amore
personale congiunto all'onnipotenza. La "bont dell'esistenza" rappresentata nel libro della
Genesi come conseguenza del comando divino: "Fiat!" (cfr Gn 1, 3-26), un ordine che diretto in
modo unico e irreversibile ad ogni singola persona, ad ogni individuo, al punto che, senza questa
persona, il mondo, nella prospettiva dell'amore assoluto e onnipotente, da quel momento in poi,
semplicemente non potrebbe pi essere lo stesso.5 Se noi comprendiamo a fondo e possiamo
spiegare la verit del donare e ringraziare come dono reciproco di una persona ad un'altra, allora
dobbiamo, innanzitutto, affermare con il patriarca Giacobbe: "Veramente c' il Signore in questo
luogo e io non lo sapevo!" (Gn 28, 16). Dio qui in mezzo a noi e forse anche noi non lo sappiamo.
La sola ragione, infatti, che io affatto sono, che possa affatto essere, che il Creatore
continuamente mi rende presente a me stesso. Io esisto solo come un dono e tu esisti solo come
un dono.6 Agostino direbbe probabilmente: "Io sono amato, dunque io sono, io sono amato
creativamente, dunque io sono. Amatus sum, ergo sum. 7
Il Creatore non obbligato a creare nessuno. Egli non obbligato a fare a nessuno il dono di
esistere come persona. Egli rimane completamente libero nelle Sue decisioni. Tuttavia, quando
Egli decide di creare me, di fare di me un dono a me stesso, Egli non pu farlo in altro modo che
donandomi anche Se Stesso. Infatti, Egli Stesso deve essere in me e deve operare in me, donando
dal di dentro di me, cos che io possa affatto esistere. Egli Stesso deve essere radicalmente
presente in noi, intimior intimo nostro, in actu et in persona. Actiones sunt suppositorum, actus
personarum. 8
Il semplice fatto che noi esistiamo sufficiente per stabilire questa verit definitivamente: in
quanto Dio Creatore fa di noi un dono a noi stessi, Egli si da a noi completamente come un dono.
E' dunque giusto dire che noi esistiamo perch Dio Creatore dona se stesso a noi
incessantemente, quia Deus bonus est nos sumus. Io non solo incontro me stesso, quando desidero
sinceramente incontrarmi in me. Io non solo incontro te in te, quando desidero sinceramente
incontrarti in te. E che cosa succede, quando desidero fare dono di me stesso ad un'altra persona
o quando accetto un'altra persona nel suo donarsi a me? In che cosa consister allora la
gratitudine adeguata e soprattutto a chi sar dovuta?
Amo, ergo sum: amo, dunque sono
Il donarsi di Dio ovviamente non pu essere semplicemente la comunicazione di un dono, non
pu essere pura informazione. E' una dichiarazione d'amore per eccellenza e un'attesa di
riscontro circa l'accettazione del dono. E' una specie d'invito alla comunione nel donarsi ad un
altro. L'uomo diventa, a questo punto, una teofania per eccellenza. Egli diventa colui nel quale Dio
opera: il suo incontro creativo e nello stesso tempo colui che incontra Dio, colui nel quale Dio
desidera essere accettato dall'uomo come dono. Ma che cosa significa tutto questo per l'autentica
comprensione di me stesso e per l'autentica identificazione con me stesso in una libera e onesta
auto-elezione, dato il fatto che io sono e che sono colui che sono, grazie unicamente a un dono di
Dio?
A livello dell'essere, cio, a livello della costituzione originale, creativa, metafisica di me stesso,
ci significa che Dio, mio Creatore, viene ad incontrarmi personalmente a partire dalla parte pi
intima del mio essere, per riconoscermi e accettarmi come un dono nel rispetto della verit
sulla mia struttura ontica. A livello interiore, soggettivo dell'auto-costituzione, cio, la
costituzione secondaria, cognitiva e moralmente creativa di me stesso, ci significa che io non mi
dischiudo come un soggetto di auto-conoscenza per identificarmi cos con me stesso, finch non
mi comprendo come un dono del mio personale creatore, attraverso il mio stesso atto di
conoscenza e nel mio stesso atto di conoscenza.9 E solo a questo punto io mi affaccio alla soglia
della cosa pi importante...

167

Quando io supero la dimensione entro la quale dico la verit su di me solo a me


stesso (soliloquium) e mi muovo verso la dimensione nella quale io parlo di me con quella
Persona che la Verit (colloquium), la verit su di me diventa per me un divino "Tu" e io mi
riconosco essere il "Suo" ascoltatore rispondente e responsabile. Ma significa, inoltre, che io sono
soltanto capace di eleggere davvero me stesso come soggetto di libert nell'atto di auto-elezione,
quando mi accetto come dono da parte di Dio Creatore. Solo allora io realizzo me stesso in quanto
me stesso, solo allora mi appartengo e mi posseggo abbastanza per eleggere di appartenere a Lui;
solo allora divento veramente me stesso, quando mi dono totalmente e completamente a Dio
attraverso l'accettazione di me come Suo dono, quando io rispondo al Suo "Totus tuus" con il mio
"totus Tuus". Solo quando io conformo il mio atteggiamento interiore completamente al totus
Tuus, posso ringraziarLo per me stesso come dono, che posso poi restituirGli con un dono totale
di me. Tuttavia, se l'accettazione di me stesso come dono di Dio inseparabile dall'accettazione
del Suo essere, come Colui che il donatore, allora, quando io mi accetto interamente e
totalmente come dono di Dio, io sono interamente e totalmente realizzato e la pienezza che
esperimento viene, non tanto da me stesso, ma piuttosto, anzi, soprattutto da Dio, il Donatore.
Mi avvio ora alla conclusione: cosi, quando accetto me stesso quale dono di Dio, attraverso
quest'accettazione, io do a Dio non solo il mio essere intero e totale, ma con me stesso anche Dio
stesso, interamente e totalmente.10 Questo non significa esattamente ringraziare Dio Creatore
per la mia esistenza, in modo appropriato?11 Io credo che questa la risposta alla domanda
posta all'inizio: da parte di chi dobbiamo accettarci per essere capaci di ringraziare
adeguatamente per noi stessi?
Ma ancora, un uomo pu davvero fare ci che qui si sostiene e donare Dio a Dio? La logica interna
del donare e ringraziare sconvolgente, ma nello stesso tempo sorprendente e quasi
sconcertante, perch, da un lato, che cosa vi di pi facile, che accettare l'iniziativa di Dio
Creatore che mi dona me stesso e contemporaneamente mi dona Se stesso? Che cosa vi di pi
facile che dire: "S, io mi accetto da te, completamente e incondiziona- tamente, e insieme accetto
totalmente te, il Donatore? Con questa accettazione io desidero darmi completamente a te (totus
Tuus, tota Tua, tutto per te). Ma, d'altro canto, come suona strano tutto ci! Cosa potrebbe esserci
di pi sconcertante di quanto qui si vuole sostenere: il desiderio di dare Dio a
Dio? Quest'asserzione di appropriatezza della gratitudine verso Dio non , in realt, una
manifestazione dell'arroganza dell'uomo, un prodotto della sua vana immaginazione?
Probabilmente non avrei potuto arrendermi a questa logica del dono e della gratitudine, se non
avessi esperimentato la stessa logica nelle stupende parole di Cristo: "Chiunque fa la volont del
Padre mio che nei cieli, questi per me fratello, sorella e madre" (Mt 12, 50; cfr. Mc 3, 5). Ma che
cosa significa dire che una persona " mia madre?". Non significa forse che questa persona mi ha
donato me stesso? Non ci esattamente quello che fece Maria, nel momento in cui disse a
Gabriele, il messaggero di Dio: Fiat mihi secundum verbum tuum? 12
Quindi soltanto se io mi accetto da Dio, quale Suo dono, e soltanto se attraverso
quest'accettazione io posso donare me stesso a Dio e con me donare Dio stesso a Dio, io ringrazio
Dio in un modo consono al mio essere. In secondo luogo, solo se io ringrazio Dio in questo modo
per il dono di me stesso, mi appartengo completamente, mi realizzo completamente e divento
autenticamente me stesso. Solo allora sono capace di ringraziare un altro per qualche cosa,
responsabilmente e adeguatamente, e in modo specialissimo per il dono di se stesso. Dunque, io
sono veramente vivo, quando riesco ad esprimere il mio grazie in questo modo. Gloria Dei, vivens
homo!

168

IN SANCTUARIO GRATIARUM AGENDI...: ALLA RICERCA DEL TEMPIO PER L' AZIONE DI
GRAZIE

Quando chi cerca trova...

Non dovrebbe stupire, quindi, il fatto che chi cerca la verit o la Verit gi racchiuso, fin
dall'inizio, nel suo abbraccio. Chi cercherebbe la verit, se non si fosse gi arreso al potere della
sua magnetica influenza? Una volta avviata la sua ricerca, non si gi superata la soglia della sua
dimora? "Tu non mi cercheresti, se non mi avessi prima trovato", dice B, Pascal. Questa
espressione, in realt, non sorprende, in particolare quando hai scoperto che la verit su di te che
stai cercando l'Amore Personale, quando ti sei accorto che questa verit , invero, il Personale
Infinito Amore Creante. Ecco perch Qualcuno pot dire e continuamente ripete: "Io sono la
Verit" (Gv 14, 6).
Tuttavia solo quando chi, postosi alla ricerca dell'Infinito, scopre improvvisamente, lungo il
cammino verso di Lui, che il nocciolo del problema ha subito un cambiamento radicale, che lo
scopo non pi di trovare l'Infinito e neppure di lasciarsi trovare da Lui, ma piuttosto di
ringraziarLo, solo quando chi cerca, riconosce che unicamente donando Dio a Dio si da...se
stessi a Lui, davvero soltanto allora che si pu trovare la propria totale realizzazione e
la propria vera identit, anzi, solo allora che si incomincia a vivere davvero. Ci veramente
incredibile e stupefacente. Ma insieme, la pi grande sorpresa della vita, la pi grande
avventura che sia possibile. Questo fatto costituisce un evento sul cammino verso l'Infinito e
contemporaneamente un evento sul cammino verso la pi intima profondit del proprio essere.
In principio tale occorrenza capita quasi inaspettatamente, ha luogo semplicemente
sul cammino dell'uomo avviato alla propria autoconoscenza. Ma non dovrebbe, invece,
diventare, in modo del tutto speciale, il suo compimento e cos il massimo evento lungo i sentieri
verso la sua libert? Questa occorrenza non dovrebbe diventare l'ora della sua nascita alla vita
nuova, il momento della sua decisione e opzione fondamentale?

Ringraziare significa accettare il donatore della vita nel dono delle vita

In realt, il riconoscimento deIl'Infinito in me stesso, il riconoscimento del mio "Tu" in me, esige
un riesame radicale di tutti i valori. Richiede che io guardi alla mia intera vita da una nuova
prospettiva: io provengo dal Suo dono! Io sono Suo figlio. Il mio "Io" iscritto in Lui per
sempre!13 Egli intimior intimo meo e per questo Io sono! Dunque, vivere, vivere realmente,
significa ringraziare! Il tempo che non speso in rendimento di grazie, tempo perduto. E allora?
Non dovremmo incominciare con una radicale "riordinamento della vita" per amore della
sua melior pars, cercando il luogo pi conveniente per rendere grazie? Non dovremmo
incominciare a trovare la nostra Bethania, per amore dell'unum necessarium, per amore
dell'unica cosa necessaria e importante nella vita? Non dovremmo incominciare a scalare "la
santa montagna della Trasfigurazione e del Ringraziamento, cos da trasformare tutta la nostra
vita in un'incessante atto di donare Dio a Dio, in un'ininterrotto pensare totus Tuus, tota Tua, in
un permanente rendimento di grazie al Padre, "in spirito e verit" (Gv 4, 24)?
Dovrebbe davvero essere cos! Nulla di meno e nulla di pi di questo. E' proprio di questo che qui
si tratta, solo che il tempio del ringraziamento al Padre "in spirito e verit", non lontano dalla
vita, non in qualche luogo remoto. Questo tempio, in realt, nel centro stesso della vita! Cos
non necessario darsi alla fuga, bens ritornare alla vita, ritrovare la Sorgente! E' un ritorno al
Donatore della vita nel Suo dono per eccellenza, che il dono della vita umana: humanae vitae
donum. E' la vita stessa, la vita personale di ogni uomo e di tutti gli uomini con il suo essenziale,

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irrepetibile volto, che costituisce "il dono di Dio" . Perci ogni vita anche "il luogo di Dio", il
luogo dove il Donatore, Donator in dono, Colui che si dona a ogni uomo, pi radicalmente attivo
e pi radicalmente presente in persona! Si pu trovare o eleggere un luogo pi adatto per
ringraziare Dio del dono, in cui Egli dona se stesso? Si pu trovare o scegliere un modo pi
appropriato per ringraziare il Donatore della vita, che mostrare rispetto per la vita personale, che
il Suo dono per eccellenza? Invero, ogni volta che una nuova vita umana concepita, ogni volta
che inizia, nasce e continua, il Padre stesso esercita la Sua Paternit, il Creatore si erige un tempio
vivente, cos che possiamo renderGli il nostro grazie accogliendoLo nel dono della vita e in questo
modo donare Lui a Lui stesso. Di conseguenza, ogni volta che trattiamo con la vita umana,
trattiamo con il Padre; trattiamo con un luogo sacro, con il tempio dell'azione di grazie. Toglietevi
i calzari! E' un luogo dove il rendimento di grazie doveroso: riconoscere in Lui il Padre di tutti i
Suoi figli, in ciascuno dei Suoi figli! Qui postet capere, capiat! Chi pu intendere, intenda!

Ringraziare dio significa accettare il dono delle sorelle e dei fratelli

Una volta riconosciuto l'Infinito Donatore e compreso chi Egli , colui che Lo ha cercato, ritrova se
stesso (nell'atto stesso di scoprire la verit su Dio e su se stesso), nella morsa di questa verit,
nella morsa della verit su quell'unione che una chiamata alla comunione personale con il
Donatore Personale. Ma questa morsa non rende schiavi, al contrario, ha il potere di indicare
all'uomo l'unica via che conduce all'apogeo del suo essere. Accettando di essere "condannato" a
questa comunione, io non ho accettato la subordinazione di uno schiavo da parte del tiranno,
bens l'appartenenza apportatrice di vita di un figlio nei confronti del Padre. Questa appartenenza
esprime la mia accettazione del legame che esiste tra me e la Sorgente vitale e quindi l'unico
modo per arrivare alla pienezza di vita, l'unico mio modo per raggiungere l'apogeo del mio
essere, per esercitare la mia libert nel mutuo scambio del dono di s, l'unico mio modo per
raggiungere la libert nell'amore. Accettando il mio essere "destinato" a questa comunione, io ho
scelto contemporaneamente, nel Padre, la comunione con tutti quelli ai quali Egli stesso ha
desiderato, pi che mai, di dare un volto umano, tale da essere unico tra tutti gli altri. Cos ho
scelto la comunione con ognuna e con tutte le mie sorelle, con ognuno e con tutti i miei fratelli.
Chi ha riconosciuto che ciascuna e tutte le persone umane, senza eccezione alcuna, sono persone
con cui il Creatore stabilisce un confronto personale, che ciascuna e tutte le persone sono un
luogo "dove" il Creatore le incontra, vedr pure che, da quel momento in poi, non pu esserci
alcun "s" per Dio o per... se stessi, espresso in altro modo che con un "s" per ogni "luogo", in cui
la Sua eterna, irrevocabile manifestazione creatrice, unica verso ogni singolo "Io", pu essere
udita: Amo te, ergo es!". "Io ti amo, dunque, tu esisti!!". Ogni persona , perci, ... unica! Ognuna
"il santuario di Dio", una casa dell'adorazione dovuta all'infinito Creatore. Ognuna proviene da un
dono e ognuna un luogo di azione di grazie per il dono di tutte le altre persone, per l'infinito
Amore di Dio verso di esse.
Chi ha scoperto l'infinito dopo averLo riconosciuto in ogni persona vivente, senza eccezione,
cos chiamato ad un difficile atto di gratitudine Nel ringraziare per l'accettazione del dono, si deve
essere in grado di reggerne tutto il peso. Un "s" al Donatore della vita, un "s" di un figlio che ha
riconosciuto il proprio essere, in quanto figlio di un tal Padre, trover la trasposizione e
l'interpretazione, l'espressione adatta e l'ineffabile "prova della verit", solamente in un "s"
assoluto, rivolto ad ogni persona, senza eccezione. Sar in grado di sostenere Dio, solo colui che
riuscito a percepirLo in ogni persona, che riuscito a sostenere tutto il rispetto dovuto a Dio,
presente in ogni persona e in se stesso. Ecco che cosa significa adorare il Padre "in spirito e
verit". Ecco che cosa significa rivolgersi a Dio come Abba, "Padre", mediante un'azione! Cos non
adorer il Padre chi ripete continuamente: "Padre, Padre", bens chi accetta il Padre nel Suo dono,

170

chi Lo riceve insieme con il dono, chi Lo accetta in qualunque di questi "minimi" figli Suoi.
Sant'Ambrogio, grande Patrono di Milano e della Chiesa, direbbe: "Voi avete chiamato Dio, vostro
Padre. Prendete, dunque, pienamente coscienza di ci che avete fatto".
Quando chi ha scoperto l'Infinito incomincia a ringraziare Dio in questo modo, quando s'impegna
di portare il peso del dono appena riconosciuto, egli cambia radicalmente il corso della storia del
genere umano, perfino se non avesse ancora compreso la portata di questo fatto. Egli
contribuisce a costruire una civilt autenticamente umana, egli incomincia a forgiare una nuova
storia dei popoli, una storia in cui chi non ancora nato nulla deve temere da chi gi nato, una
storia in cui neppure il pi debole deve avere paura del pi forte. In questa storia non c' spazio
per plus vis quam veritas.Questa storia governata e diretta solo dal principio plus veritas quam
vis. E' segnata dalla prima fondamentale verit(veritas) sull'uomo: egli proviene da un dono!
Questa anche la verit circa la libera fratellanza tra gli uomini, la verit riguardante la
solidariet di ognuno per tutti, la solidariet liberamente voluta da tutti, quale risultato della
scelta del Padre, della scelta del "dono di Dio!". Che cosa se non questa verit avrebbe potuto far
s che Beethoven, completamente sordo a quel tempo, sentisse l'imperativo di cantare la sua
gratitudine a Dio con le parole dell'Inno alla gioia di Schiller:
"Seid umschlungen Millionen, diesen Ku der ganzen Welt! Brder! berm Sternenzelt mu ein
lieber Vater wohnen!"? (Siate avvolti, o voi Milioni, in questo bacio del mondo intero! Fratelli! Al di
sopra della volta stellata deve abitare un Padre amoroso!). Eppure Egli profondamente presente
in ciascuno di noi, nel continuo dono che Egli ci fa di s. Intimior intimo nostro. E' da questa
profondit interiore di ciascuno di noi, dalla profondit che pi profonda di noi stessi, che
Egli dona noi a noi stessi, con il potere dell'amore del Suo Bacio Creatore, inseparabile da se
stesso! Infatti, in Dio tutto Dio! Egli pi vicino a noi di quanto noi non lo siamo a noi stessi!
Egli in noi. "Seid umschlungen, Millionen, diesen Ku der ganzen Welt!" (Siate avvolti in questo
bacio...!).

Ringraziare significa scoprire il sacrum nel profanum

Da dove dobbiamo iniziare? Non dobbiamo, forse, incominciare da una reiterata scoperta del
luogo che segna "il passaggio del Signore", transitus Domini, "il passaggio del Donatore della
vita?" Non dobbiamo, forse, incominciare con una reiterata scoperta del luogo e del tempo che il
Creatore stesso ha eletto, perch gli unici degni del miracolo della Creazione? Infatti sappiamo
che il Creatore ha scelto, quale luogo del suo passaggio, il centro dell'unione personale dell'uomo
e della donna nell' atto dell'amore sponsale che si realizza nel dono della vita a un nuovo essere
umano. Per quanto possa apparire strano, sembra che molti contemporanei non riconoscano pi
la profondit di questo atto, sebbene, proprio a motivo di questa profondit, l' atto del dono di s
abbia ricevuto un nome assai pertinente, che evidenzia il suo carattere di dono reciproco da parte
degli sposi. E' ancora peggiore il fatto che i nostri contemporanei abbiano perso l'abitudine di
riconoscere, in quest'atto, l'altare dove si compie il miracolo della creazione dell'uomo. Ma ci
non cambia affatto la sostanza della cosa: questo l'altare del Dio Creatore, l'altare del Dio
dell'Amore e del Dio della Vita.
Chi ha scoperto l'Infinito, cos chiamato a rivelare a tutti i nostri contemporanei il mistero del
rendimento di grazie e dell'adorazione del "Padre in spirito e verit", in-una caro-
communione, inerente all'atto sponsale dell'amore. Infine, egli chiamato a rivelare loro che gli
sposi sono davvero ministri di Dio Creatore e dispensatori del Suo amore creante. Chi ha
afferrato l'Infinito chiamato in modo particolare ad abbattere, una volta per sempre, il tragico
muro dell'equivoco che l'inconsistente civilt tecnologica della modernit ha eretto tra
il sacrum del tempio, da un lato, e il supposto profanumdella casa e del letto sponsale, dall'altro.

171

Non forse il caso che l'adorazione del sacrum, questo grande mistero dell'adorazione del Padre
e di ringraziamento a Lui, "in spirito e verit", per tale DONO, inizi proprio dove due persone
sono pi intimamente unite nel Suo nome?
Cos chi ha riconosciuto l'Infinto deve essere particolarmente sensibile alla natura sacra del
momento in cui il matrimonio, nel diventare famiglia, affronta la "prova della verit" della
propria identit. Colui che ha riconosciuto suo Padre in Dio deve far s che gli altri, come pure egli
stesso, si mostrino molto sensibili a questa "sacra soglia", dove si presenta la tentazione, assai
pericolosa nel mondo moderno, di respingere il Donatore respingendo il dono, che Egli solo pu
offrire e nel quale Egli pi intimamente presente: il dono della vita. Questa tentazione
accompagnata da un'altra che non meno perversa della prima: quella, cio, di manipolare il
Donatore imponendoGli ci che, invece, possibile e lecito accogliere, solo come dono Suo.
Questa seconda tentazione particolarmente perversa, dal momento che il dono di un Donatore
infinito, una persona umana e non un oggetto! Ecco, perch la protezione del carattere sacro del
"luogo" del matrimonio che costituisce la soglia della vita, formata dalla libera decisione presa da
due persone, diventata oggi "la prova" e la garanzia della sopravvivenza di tutto ci che
differenzia la civilt della vita e dell'amore dalla civilt della morte e dell'odio. Essa pure
diventata "la prova" e la garanzia della sopravvivenza di tutto ci che distingue la cultura
autentica dalle sue mere apparenze, di tutto ci che aiuta a riconoscere la crescita vera e di
cogliere l limiti che la separano dal suo crepuscolo.
Cos dobbiamo incominciare a riscoprire l'atto del dono di s! Chi commette un errore a questo
riguardo, compromette la soluzione della sostanza del problema. Dobbiamo incominciare a
rispettare i modi e i tempi del "passaggio del Signore", il Donatore di tutti i doni. E' cos che Egli
deve essere riconosciuto e accolto "in spirito e verit", come Donatore nel suo dono, come
Donatore nel "Dono di Dio", Donatorem in humanae vitae dono... Solo allora l'uomo pu
riconoscere e accettare anche se stesso. E solo allora pu costruire in se stesso, come pure in altri,
sia ci che "appartiene a lui" sia ci che "appartiene a Dio". Questo l'inizio e il criterio di tutto
quello che merita il nome di autentica moralit e religiosit, di autentica cultura. Tale cultura
raggiunge il suo apice solo nell'adorazione del Donatore della vita, in "gratias agimus Tibi..., in
cultus Dei Creatoris et Caritatis", nell'adorazione del Dio dell'amore creante, che continuamente ci
dona noi stessi e Se stesso. Tale amore ci spinge a rispondere ad esso con il nostro amore, a
ricambiarlo con il dono di noi stessi, con il nostro dono a Lui Caritas Christi urget nos (cfr. 2Cor
5, 14).
Ma la sfida di un amore cos non , forse, la sfida di un amore difficile? Certamente, s! e
sant'Agostino ammette: Amor meus, pondus meum (il mio amore e il mio peso). Egli per
aggiunge, con Cristo, eo feror quoqumque feror (io sono sostenuto da colui che sostengo). Perci,
l'Uomo-Dio stesso ci assicura che questo amore si dimostra non solo un peso leggero, ma, anzi,
un peso soave. Unicamente la cultura della vita, intrisa di questo amore, si dimostra una cultura
vitale. Soltanto questa cultura pervasa, dall'inizio alla fine, da questo "amore difficile". Non il
caso che, fin dagli inizi, tale amore si consideri semplicemente come un altro nome per questa
cultura? Si tratta, infatti, dello stesso amore che Cristo invoc per noi nella Sua ultima preghiera
sacerdotale, durante la cena di Pasqua, preghiera che, nello stesso tempo, inizia l'Eucarestia della
Storia in tutto il mondo:

172

"Padre, giunta l'ora, a tutti coloro che gli hai dato.


glorifica il Figlio tuo, Questa la vita eterna:
perch il Figlio glorifichi te. che conoscano te, l'unico
Poich tu gli hai dato potere Vero Dio, e colui che
sopra ogni essere umano, hai mandato"perch egli dia la vita
eterna
(Gv 17, 1-3).

173


1 Analizzando quest'esperienza vale la pena citare qui una significativa sentenza di San Tommaso
d'Aquino: Intellectus regit voluntatem non quasi inclinans eam in quod tendit, sed sicut ostendens ei
quod tendere debeat (L'intelletto dirige la volont non facendola seguire ci che tende a
perseguire, ma piuttosto rivelando alla volont che cosa dovrebbe perseguire), De veritate, q. 22,
a. 11 ad 5, che riguarda il suo approccio alla comprensione della persona umana e dell'essenza
della sua libert, come pure dell'essenza dell'obbligo morale. Vedi anche l'analisi del concetto
di finis ultimus debitus in San Tommaso fatta da Cornelio Fabro, Riflessioni sulla libert, Rimini
1983, p. 62.
Vale pure la pena citare quello che Jacques Maritain dice a questo proposito: "L'obligation-en-
conscience est une donne absolument premire et absolument irrductible de l'exprience
morale. Et elle est quelque chose de si simple que la rflexion philosophique son sujet ou bien la
saisit d'un ou bien passe entirement cot d'elle. See: La philosopie morale. Examen historique
e critique des grands systmes, Paris 1960, Libraire Gallimard, p. 534. Si noti il significato della
frase: L'art moral n'est l'art de bien vivre en vue d'atteindre le bonheur, c'est l'art d'tre heureux
parce qu'on vit bien", op. cit., p. 29. Vedi pure dello stesso autore: Letter to Jerzy Kalinowski and
Stefan Swieawski sulla loro opera La philosophie l'heure du Concile, in : Nova et vetera 40
(1965), pp. 242-249.
Pietro esperiment questo nel momento in cui dichiar di non conoscere l'Uomo, che egli invece
conosceva benissimo, non appena quell'Uomo lo guard. Fu allora che Pietro comprese
l'irriducibile differenza tra l'appetibile e l'affirmabile: egli comprese ci che costituisce l'essenza
del dovere morale, opposto alla sua riduzione fatta dal cosiddetto "eudaimonism".
Vedi: T. Stycze, La libert vive di verit. Intorno all'enciclica "Veritatis splendor", "Anthropotes" 2
(1995) pp. 246-250.
2 Questa una traduzione italiana di una citazione da: R. Brandstaetter, Pisma witego Jana
Ewangelisty (Opere di San Giovanni Evangelista), tradotto dal greco, Warszawa 1978.
Confronta: The New Jerusalem Bible, London 1990: "Se tu solamente conoscessi ci che Dio ti
offre e chi colui che ti dice: 'Dammi qualcosa da bere', saresti tu a chiedere ed egli ti avrebbe
dato acqua viva" (Gv 4, 10).
3 "Ratio autem gratuitatae donationis est amor: ideo enim damus gratis alicui aliquid, quia
volumus ei bonum. Primum ergo quod damus ei, est amor quo volumus ei bonum. Unde
manifestum est quod amor habet rationem primi doni, per quod omnia dona gratuita donatur",
San Tommaso d'Aquino: ST I, 38, 2. Josef Pieper si bas esattamente su questa esperienza per
tutta una dissertazione sul tema dell'amore. Cfr. Josef Pieper, ber die Liebe, Mnchen, Ksel
1972, e il motto: "E' bene che tu esista, bene che tu sia al mondo!". J. Pieper, op.cit., p. 39. Vedi
anche la citazione di San Tommaso: "Primo vult suum amicum esse et vivere" (ST II-II 25, 7), in
J.Pieper, op.cit., Nota 17 (II) p. 187.
4 Cfr. Jan Kochanowski, Laments (trad. di S. Baraczak & S. Heaney), New York 1995.
5 "So mich aber Gott liebt, weil ich es bin, so bin ich wahrhaft unersetzbar in der Welt" (Come
Dio mi ama perch sono io, cos io sono davvero insostituibile nel mondo,), Ladislaus Grnhut, Eros
una Agape. Eine metaphzsisch-religionsphilosophische Untersu-chung, Leipzig 1931, p. 20.
6 "Il fatto che l'uomo voglia esistere e vivere, ma nello stesso tempo non voglia vivere per
sempre di per s un segno di effettiva non-identit tra l'esistenza e la natura umana (o la natura
appartenente ad ogni altro essere mutevole) Perci nessun essere composito o mutevole, la cui
esistenza pu essere alienata, in s incomprensibile sotto l'aspetto essenziale [... ]. La
comprensione del realismo e dell'esistenza effettiva degli esseri condizionata dall'Esistenza
Necessaria: l'essere nel quale l'essenza coincide con l'esistenza che esistenza per necessit e,
come tale, esistenza per definizione. Questo essere denominato Dio [... ]. Questa la sola

174

conclusione razionale della spiegazione razionale dell'esistenza del mondo.", M. A. Krpiec,


"Tajemnica czy absurd?" (Mistero o assurdo?), in, dello stesso autore, Odzyska wiat
realny (Riconquistare il mondo reale), Lublin 1993, pp. 762ss. Cfr. anche dello stesso autore:
"Tajemnica i absurd w ostatecznym tumaczeniu wiata" (Mistero e assurdo nella spiegazione
ultima del mondo), in: Tygodnik Powszechny 11 (1957) N 3, pp. 1, 7ss.
7 Cfr. Sant'Agostino, Confessioni, IV: 11; VII: 10; VIII: 1; X. 6, 43; XIII: 1-4.
8 A questo punto si pu osservare l'esistenza di uno stretto legame tra Sant'Agostino e San
Tommaso: Sant'Agostino accentua la presenza profonda di Dio nell'uomo e San Tommaso
aggiunge che tutte le azioni hanno come loro soggetto una persona in actu; un actus sempre
un actus personae.
9 "Questo occuparsi della soggettivit non implica alcun soggettivismo, poich il suo tema
principale non la costituzione della verit da parte del soggetto, bens la formazione del soggetto
secondo la verit oggettiva e la partecipazione dell'uomo alla determinazione dell'ultima forma
della sua persona attraverso l'atto dell'obbedienza o della disobbedienza nei confronti della
verit". Rocco Buttiglione, ber die Dankbarkeit im Denken Karola Wojtylas, in: Josef Seifert (ed,
), Danken und Dankbarkeit. Eine Universale Dimension des Menschen, Heidelberg 1992, Carl
Winter, Universittsverlag, pp. 222fs.
10 Dai "Discorsi" di sant'Agostino", Disc. 34, 1-3. 5-6; CCL 41, 424-426.
Cerca per l'uomo il motivo per cui debba amare Dio e non troverai che questo: perch Dio per
primo lo ha amato. Colui che noi abbiamo amato, ha dato gi se stesso per noi, ha dato ci per cui
potessimo amarlo. Che cosa abbia dato perch lo amassimo, ascoltatelo pi chiaramente
dall'apostolo Paolo: "L'amore di Dio stato riversato nei nostri cuori" (Rm 5, 5). Da dove? Forse
da noi? No. Da chi dunque? "Per mezzo dello Spirito Santo che ci stato dato" (Rm 5, 5).
Avendo dunque una s grande fiducia, amiamo Dio per mezzo di Dio (sottolineato da T.S.).
Ascoltate pi chiaramente lo stesso Giovanni: "Dio amore; chi sta nell'ampre dimora in Dio e
Dio dimora in lui" (1Gv 4, 16). (Liturgia delle Ore, Ufficio delle Letture, Marted della terza
settimana di Pasqua, p. 642-643).
11 "Conoscer te, o mio conoscitore, ti conoscer come anch'io sono conosciuto. Forza della mia
anima, entra in essa e uniscila a te, per averla e possederla "senza macchia n ruga" (Ef 5, 27).
"Questa la mia speranza, per questo oso parlare e in questa speranza gioisco perch gioisco di
cosa sacrosanta [...]. Ma ora il mio gemito manifesta che io dispaccio a me stesso, e che tu rifulgi e
piaci e meriti di essere amato e desiderato, al punto che arrossisco di me e rifiuto me per
scegliere te, e non bramo di piacere n a te n a me, se non in te" (Sant'Agostino, Confessioni, 10, I,
I-2, 2; 5, 7. Citato secondo: " Liturgia delle Ore, Ufficio delle Letture, Marted dell'Ottava settimana
del Tempo ordinario".
12 Vedi Sant'Agostino, Disc. 25, 7-8; PL 46, 937-938, Liturgia delle Ore, Ufficio delle Leterure, 21
novemebre, memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria:
Fate attenzione, vi prego, a quello che disse il Signore Ges Cristo, stendendo la mano verso i suoi
discepoli: "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perch chiunque fa la volont del Padre mio che
nei cieli, questi per me fratello, sorella e madre" (Mt 12, 49-50). Forse che non ha fatto la
volont del Padre la Vergine Maria, la quale credette in virt della fede, concep in virt della
fede, fu scelta come colei dalla quale doveva nascere la nostra salvezza tra gli uomini, fu creata da
Cristo, prima che Cristo in lei fosse creato? Ha fatto, s certamente ha fatto la volont del Padre
Maria Santissima, e perci conta di pi per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata
madre di Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei maggiore dignit e maggiore felicit essere stata
discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo. Perci Maria era beata perch, anche prima
di dare alla luce il Maestro, lo port nel suo grembo. Osservasse non vero ci che dico.

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Cfr. Isacco di Stella, Disc. 51; Sant'Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca, Bk 2, 22-
27; Sant'Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, Ch 10, 33-34; Basilio Magno, Sullo Spirito Santo,
Ch 26, Nm 61.64.
Vedi anche R. M. Rilke, Verkndigung: Die Worte des Engels, in Ausgewhlte Gedichte,
Suhrkampf Verlag, Frankfurt am Main 1973, p. 9:
Du bist ein groes, hohes Tor, Tu sei la grande, eccelsa porta,
und aufgehn wirst du bald,

verranno ad aprirti presto.

Du, meines Liedes liebstes Ohr, Tu che il mio canto intendi sola:
jetzt fhle ich; mein Wort
verlor

in te si perde la mia parola

sich in dir wie im Wald.

come nella foresta.

So kam ich und vollendete

Sono venuto a compiere

Dir tausendeinen Traum

la visione santa.

Gott sah mich an; er blendete... Dio mi guarda, mi abbacina...


Du aber bist der Baum.

Ma tu sei la pianta.


13 Questa idea ricorre costantemente nella poesia di K. Wojtya. Cfr. p.es. "Veglia pasquale",
1966, dove il poeta dice: "L'uomo resiste oltre tutto l'andarivieni / in se stesso / e in te",
in: Poezje, Poems, Krakw 1998, p. 178, del medesimo autore.. Cfr. anche, sempre dello stesso
autore: "Promieniowanie ojcostwa" (Raggi di paternit) in: Poezje i dramaty(Poesie e drammi),
Krakw 1979, p. 239, 247, 249, 251. Cfr. pure: John Paula II, The Original Unity of Man and
Woman.

176

FRANCISCO GIL HELLN


MISSIONE DELLA FAMIGLIA NELLA CULTURA DELLA VITA

L'invito di Giovanni Paolo II, espresso nel quarto capitolo dell'Enciclica Evangelium vitae a
generare una nuova cultura della vita umana, correlata a una profonda necessit dei tempi
attuali. Infatti, la vita umana si svolge in un contesto di realt spirituali incrociate che sono
l'atmosfera nella quale la persona si realizza. Si tratta di un insieme di ideali e di valori che
esprimono, da una parte, la realt interiore dei popoli, e dall'altra, il frutto spirituale e collettivo
delle comunit umane. La cultura lo spirito plasmato di un popolo. Non si tratta di qualcosa di
definitivo, bens di qualcosa con una certa somiglianza agli esseri viventi: si sviluppa e cresce, ma
anche esposta alle malattie che la conducono al suo declino.

La storia, come sostiene autorevolmente Marco Tullio, l'Arpinate, Magistra vitae.. Dalla
contemplazione con ampia prospettiva della storia delle culture e dei frutti spirituali generati dai
popoli nel corso dei secoli, possono solo trarsi profondi insegnamenti. Anche dagli errori, dagli
insuccessi e perfino da quei germi della morte, che insorgendo lentamente all'inizio finiscono per
distruggere imperi e civilt millenarie, possiamo trarre grandi avvertimenti. Aristotele diceva che
il filosofo doveva onorare la memoria di tutti quelli che avevano intrapreso prima di lui la difficile
via della sapienza, compresa la memoria di quelli che avevano gravemente sbagliato nella loro
strada, perch per colui che intraprende il cammino sono di grande utilit le notizie, non solo
riguardante le strade che conducono al fine che si persegue ma anche l'esperienza di quelli che
errarono nel loro momento, per non ripetere la loro vana andatura. Queste verit sono altres
valide riguardo la storia delle civilt.
E sono, precisamente questi "germi della morte" quelli che il Papa denuncia coraggiosamente
nella civilt contemporanea. Raggruppandoli tutti quanti come in un fascio, Giovanni Paolo II gli
ha chiamati "cultura della morte". Con questa espressione sono designati tutti quei fattori
presenti nella cultura contemporanea che sono il vivaio dal quale nasce una moltitudine di mali
che, cos come la piaga biblica delle cavallette, divorano il campo dello spirito contemporaneo. Il
risultato di questa cosiddetta "epidemia" di idee, di questa vera malattia morale della cultura,
un insieme di attacchi che da tutti i fronti sembrano vessare la vita umana. Partendo da diversi
ragionamenti e da ideologie che cambiano esistono (e con grande virulenza) una larga serie di
tentativi per giustificare quelli che non sono altro che oltraggi alla dignit umana.
Si assiste, doveroso dirlo, ad una vera inversione della gerarchia dei valori. Si tenta di
trasformare il retto ordine dei valori sociali e personali, di modo che non solo si pretende di
giustificare il disprezzo della dignit di ogni persona umana, dal momento stesso del suo
concepimento fino alla sua morte naturale, ma perfino di sollevare alla categoria di "diritto"
quelli che non sono altro che veri reati davanti gli occhi di Dio, dell'uomo e della storia.
Solo in questo modo pu essere interpretata la spaventosa indifferenza di fronte al fenomeno
dell'aborto, dell'eutanasia, della manipolazione della vita umana nei suoi primi momenti, che
esiste alla base di molte legislazioni moderne. In buona misura queste iniziative hanno trovato
una buona accoglienza non tanto per quanto stato fatto in suo favore ma per mancanza di un
adeguato rifiuto. Questa mancanza di resistenza in difesa del valore della vita umana, soprattutto
negli antichi popoli della civilizzazione occidentale, dovrebbe essere oggetto di matura e
profonda meditazione. Il motivo di questa apatia supera l'ambito individuale: siamo davanti a
una vera malattia della cultura, che corrotta dai "germi della morte", si rivolta contro l'uomo e
minaccia di violare il santuario pi sacro della dignit umana, creata a immagine e somiglianza di
Dio.

177

L'invito del Santo Padre a scuotere l'apatia che sembra dilagare su tanti dei nostri contemporanei
e a generare una vera contro-cultura (una cultura della vita capace di opporsi ai "germi della
morte" presenti oggigiorno nella cultura), pertanto una necessit. doveroso dare una risposta
alla gravit del momento presente. La Chiesa non pu restare indifferente davanti questa
malattia morale e mortale che l'attuale cultura della morte. Non pu farlo perch l'uomo
"cammino per la Chiesa" come gi diceva il Papa nella sua prima Enciclica Redemptor hominis..
L'Evangelizzazione di oggi, dell'uomo concreto dei nostri giorni, passa attraverso l'annuncio del
Vangelo della vita. A questo fine, il Papa ci invita a mantenere la coscienza ferma e grata di essere
il popolo della vita e per la vita, presentandoci in questo modo davanti a tutti[1].

FAMIGLIA E CULTURA DELLA MORTE

La cultura non una specie di nuvola che sorvola la terra, coprendo dall'alto il luogo in cui si
svolge la vita degli esseri umani. Sebbene trascendente l'individuo, presente in ogni persona.
La cultura vive nelle persone. nelle persone dove la cultura, non pi "idea" e diventa "vita". In
modo analogo, nelle persone dove i "germi della morte" presenti nella cultura esercitano la loro
nefasta influenza. Il luogo dove dobbiamo trovare la sua origine, il terreno di coltura della nuova
cultura della vita, pertanto il cuore umano. nel cambiamento di mentalit delle persone, nella
loro conversione alla vita, dove si trover la linfa vivificante della nuova civilt dell'amore nella
cui costruzione impegnata la Chiesa del Terzo Millennio nella sua opera di evangelizzazione.
Se gli attentati contro la vita umana hanno acquistato nel nostro tempo una particolare gravit
questo dovuto, precisamente, che molte persone sono moralmente malate. Il fattore di
trasmissione di questa gravissima malattia, come con coraggio apostolico stato denunciato da
Giovanni Paolo II, la cultura.
In questa situazione, la Chiesa si proclama davanti al mondo a favore della vita. "All'interno del
'popolo della vita e per la vita' - si legge nell'Evangelium Vitae' - decisiva la responsabilit della
famiglia: una responsabilit che nasce dalla sua stessa natura - quella di essere comunit di vita
e amore, fondata sul matrimonio - e dalla sua missione di 'custodire, rivelare e comunicare
l'amore"2 . "Seguendo Cristo 'venuto' al mondo 'per servire' (Mt 20,28), la Chiesa considera il
servizio alla famiglia come uno dei suoi compiti essenziali. In questo senso, tanto l'uomo come la
famiglia costituiscono 'il cammino della Chiesa'"[2]. La famiglia la culla della vita, il suo vivaio.
La vita umana germoglia in modo naturale e spontaneo da quella cellula basica di comunione di
vita e amore coniugale che il matrimonio.
In effetti, aiuteremo i nostri contemporanei a riscoprire il valore della vita umana nella misura
che siamo capaci di recuperare il senso dell'amore vero tra un uomo e una donna, sigillato nel
matrimonio e benedetto da una corona di figli[3]. Famiglia e vita formano un'intima unit. Il
matrimonio comunit di vita e amore, una vita e un amore che sono, in realt, un bene unico.
Questo prezioso bene che l'amore coniugale, tende all'apertura, non alla chiusura. Richiede un
culmine che , per dirlo in un certo modo, un'estensione di se stesso nella famiglia. Platone
afferma giustamente che "il bene diffondente di se stesso". Per questo motivo, il bene che il
matrimonio tende in se stesso a consumarsi nella generazione di una famiglia. Questo il vero
sviluppo della vita umana, cos come stato disposto da Dio Creatore nel suo disegno eterno di
misericordia per tutti gli uomini.
Uno dei pi nefasti risultati della cultura della morte costituito dalla separazione dell'unit
intima che esiste tra l'amore e la vita. Molti falsi profeti partono oggi da un presupposto che
ritengono indiscutibile. Affermano che la vita matrimoniale ed i figli sono cose completamente
diverse. Viene rotto in questo modo il bene unitario che consiste nella stretta unione, disposta da
Dio, tra la famiglia fondata nel matrimonio e la vita umana. Da questa prospettiva, anticoncezione

178

e procreazione artificiale appaiono come semplici strumenti per evitare o "produrre" (secondo il
caso) vita umana a misura delle necessit, a gusto del consumatore. Questa concezione delle cose
molto lontana della verit sulla persona umana e della verit sull'amore coniugale.

EDUCAZIONE E CULTURA DELLA VITA

La generazione di una cultura della vita comprende una corretta comprensione della missione
educatrice della famiglia, perch detta missione affonda le sue radici nella vocazione primordiale
dei coniugi a partecipare nella opera di creazione di Dio. Tale compito, realizzazione di una
missione essenziale e propria della famiglia, si presenta come un'educazione della persona al
dono di se nell'amore ed , pertanto, un'educazione che favorisce "l'educazione integrale
personale e sociale dei figli"[4].. Si tratta di un'educazione che deve avere ben presente non solo
che ogni uomo si realizza mediante il sincero abbandono di se stesso, ma anche che stato
chiamato a vivere nella verit e nell'amore. Da tutto ci derivano importanti conseguenze per
un'educazione sessuale che formi nella virt, e che sia un approfondimento nella verit e nel
significato della sessualit. Il clima di quelle famiglie nelle quali si vive l'intima unit tra famiglia
e vita percepita come valore, la miglior difesa contro la cultura della morte. il miglior
contributo per aiutare l'adolescente a superare l'attrazione che rappresenta una attivit sessuale
immatura, prematura, poco responsabile, ridotta alla sola ricerca del piacere individuale. La
famiglia diventa cos perno ed elemento chiave nella formazione del carattere della persona e
nella generazione, a livello sociale, di una genuina cultura della vita[5].
Questo un punto veramente centrale. La famiglia, o un luogo di educazione di uomini e donne
padroni di se stessi, aperti al dono di se alla verit ed al significato della sessualit, alla famiglia e
alla vita, o invece un occasione persa per il raggiungimento di questi valori fondamentali. Nel
primo caso, l'esperienza dell'unione tra famiglia e vita diventa poi concetto, espressione
intellettuale che fissa un valore gi vissuto prima, e si trasforma in un valore cosciente nella
persona, da cui si genera una realt culturale e sociale. Nel secondo caso, l'interiorizzazione del
valore dipende da una molteplicit di fattori e diventa, in pratica, troppo dipendente da un arduo
cammino di arricchimento personale soggetto a troppe variabili.
La famiglia il primo luogo dove si impara il vero senso della sessualit e il naturale
orientamento dell'amore umano alla famiglia e alla vita. Ogni figlio si prepara al dono di se come
cammino da percorrere in una vita di amore. La famiglia, d'altro canto, non si realizza
completamente in se stessa se non al servizio della vita. Questo servizio, della famiglia alla vita,
che generazione ed educazione dei figli nelle virt si mette, pertanto, al servizio del bene
comune della societ.. La famiglia contribuisce in questo modo e in maniera privilegiata, alla
trasformazione decisiva e necessaria di una cultura della morte a una cultura della vita, sostenuta
dal Papa Giovanni Paolo II.

LA VITA UMANA: LO SCATURIRE DELL'AMORE CONIUGALE

La famiglia deve occupare nel contesto di "un popolo della vita e per la vita" il posto che gli
dovuto che consiste nel custodire, rivelare e comunicare l'amore[6].. "Si tratta dell'amore stesso
di Dio i cui collaboratori e interpreti nella trasmissione della vita e nella sua educazione secondo
il disegno del Padre sono i genitori[7].. Quindi amore e trasmissione della vita non possono
essere separati. La separazione di questo binomio contraria alla realt stessa dell'amore
coniugale. La cultura della morte ha voluto contrapporre l'amore coniugale e la trasmissione
della vita come se entrambi fossero in competizione, come se entrambi fossero incompatibili,
ignorando il loro profondo radicarsi l'uno nell'altro[8]. Il risultato stato che, essendo questi due

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valori insostituibili nel matrimonio, la negazione di uno ha comportato l'alterazione sostanziale


dell'altro. In questo modo ci troviamo davanti al fatto che nella cultura della morte, si magnifica
l'affetto e si deprezza la vita per cui si finisce per oscurare sia l'uno che l'altro, tanto il valore del
matrimonio come il valore della vita.
Il passo precedente, di fatto quasi necessario, per propugnare le leggi sull'aborto stato, per
quanto possa sembrare paradossale, l'approvazione di leggi sul divorzio. La storia ci mostra
questa costante: la sequenza che esiste tra l'accettazione del divorzio (con il conseguente
deterioramento del valore del matrimonio che ne consegue) e la considerazione della vita umana
come qualcosa di completamente manipolabile. Entrambe le espressioni manifestano il rifiuto
dell'"altro". Recentemente il Cardinale Joseph Ratzinger ha scritto: "nella paura della maternit
che si impossessata di una parte dei nostri contemporanei, anche presente un fattore pi
profondo: l'altro risulta essere un concorrente che ci toglie una parte della nostra vita, una
minaccia per noi e per il nostro libero sviluppo "[9].
La questione della vita umana, per tanto, stata estratta, sradicata dal suo vero posto nel cuore
degli uomini (l'amore coniugale, il matrimonio) per essere inquadrata nel contesto del privato.
L'"altro" (tanto nella mentalit divorzista come nella mentalit contraria alla vita) non un invito
al dono di se stesso e uno stimolo all'accoglienza. Innanzitutto l'amore coniugale stato privato
della sua dimensione istituzionale e ridotto a un affare privato (da risolvere tra due individui
opposti l'uno all'altro). Successivamente anche la vita umana diventata un affare individuale,
privato, ignorando in questo modo la verit fondamentale che la vita umana un dono e viene
accolta nel matrimonio. I figli sono il sorgere della vita umana nel matrimonio, diventando
famiglia.
Il matrimonio l'ambito specifico dove scaturisce e viene trasmessa la vita; la famiglia
l'istituzione nella quale trova la sua coltura pi appropriata: accoglienza, attenzione e cure,
sviluppo, educazione e formazione dell'"altro". La cultura della vita (che viene espressa
originariamente nella grande stima a tale dono), comprende in particolare quelle istituzioni che
per loro natura sono intimamente legate al dono della vita: il matrimonio e la famiglia.

Trasmissione della vita, dono e responsabilit degli sposi

Tra le radici pi profonde nella lotta tra la cultura della vita e quella della morte si trova un
concetto errato di libert che eclissa il senso di Dio e conseguentemente della dignit
dell'uomo[10]. Si tratta di un concetto di libert come una radicale autorealizzazione, opposta a
qualsiasi donazione ed abbandono di se. Questa mentalit quindi annulla la capacit di mettere le
fondamenta autentiche per il matrimonio e la famiglia, e percepisce nella trasmissione della vita e
nei figli i brandelli persi della sua onnipresente libert. L'amore coniugale presuppone,
precisamente, il dono e l'abbandono di s, per aprirsi ad un'intima comunit naturale di vita e
amore che diventa istituzione davanti a Dio e agli uomini. La libert non solo non viene ridotta
nel matrimonio ma in esso si realizza. Al contrario, nella cultura della morte, i concetti di libert e
di dono sembrano contraddittori. Si tratta pertanto di un concetto di libert incapace di capire
che la libert raggiunge il suo profondo significato umano solo quando sbocca nell'amore.
Quando la libert, che fatta per la rinuncia di s, diventa schiava dell'egoismo (cio, dell'amore
per se stesso che si chiude agli altri, e pertanto si chiude a quell'"altro" che il figlio) e vede negli
altri degli antagonisti - a maggior rinuncia a s, meno libert - l'uomo perde la bussola della sua
vita ed il senso della sua grandezza, che nell'amore per Dio e per il prossimo. L'amore coniugale
diventa impossibile, il matrimonio viene convertito in una chimera e la famiglia diventa una
realt di tempi remoti, chiamata ad essere sostituita da altre forme di vita pi attuali.

180

L'esistenza stessa dei movimenti per la vita prova che il riconoscimento della dignit e il rispetto
per l'essere umano oggigiorno non garantito dai poteri pubblici e che non stato pienamente
assunto da tutti i membri dell'attuale generazione. Esistono forze che tentano di oscurare
l'estensione universale di tale verit e che l'inviolabilit del diritto alla vita sia propria di ogni
essere umano. Quelli che promuovono questa cultura della morte lottano per eliminare certezze,
scavando nella debolezza e nell'egoismo degli uomini in modo da propendere contro la difesa
della vita. Si tratta di sradicare l'origine della vita umana dal suo contesto naturale: la famiglia
fondata nel matrimonio.
Oggi i nemici della Chiesa non basano tanto i loro dibattiti direttamente contro Dio, preferiscono
distruggere o deformare la sua immagine nell'uomo. Sfigurando il suo essere creatura e
svalutando il dono della vita, come mai verr rispettato il suo Autore? E se non viene apprezzata
la vita, che cosa impedir di banalizzare i rapporti di amore con Dio e con il simile? Valori come
giustizia, rispetto, solidariet, fedelt, verit, ecc. di conseguenza vengono volgarizzati una volta
oscurati nel senzavalore della vita[11].
La conformazione di una cultura della vita, passa per il recupero del vero senso dell'amore
coniugale, passa per la scoperta dell'intima apertura alla vita che consegue al vero amore tra un
uomo e una donna, passa per la stima, per l'abbandono della propria vita e per il sacrificio, che
sono parte del genuino amore matrimoniale. La trasmissione della vita viene intesa, in questo
modo, come un dono e una responsabilit comunitaria e condivisa dagli sposi uniti nella vita e
nell'amore.

Famiglia, vita e civilt dell'amore

Il "Popolo della vita e per la vita" ha celebrato qualche mese fa il Giubileo delle Famiglie, nel
contesto delle celebrazioni dell'Anno Santo del 2000. Un evento che s'iscrive nella sequenza degli
Incontri Mondiali del Papa con le Famiglie che, iniziato a Roma nel 1994, continuato a Rio de
Janeiro nel 1997, ha raggiunto con questo il terzo di questi importanti incontri. In questa
occasione, il moto stato "I figli, primavera della famiglia e della societ".
Un moto molto significativo per una riflessione sulla missione della famiglia in una nuova cultura
della vita. Si potrebbe dire che la cultura della morte ha preso di mira il bene dell'amore
coniugale fedele e fecondo (che terra feconda nel disegno di Dio per lo scaturire della vita
umana, per l'insorgere della famiglia, per l'accoglienza dell'"altro"). In questo modo i "germi della
morte" presenti nella cultura corrompono la vita umana nelle sue stesse radici. La famiglia,
particolarmente in Occidente, entrata in una specie di inverno, del quale necessario essere
coscienti. La proposta del Santo Padre per l'Anno Santo Giubilare del 2000 stata che le famiglie
mantengano "coscienza ferma e grata di essere il popolo della vita per la vita"[12]. l'invito a
una profonda riflessione sul dono dei figli e lo stimolo a una rinnovata primavera della famiglia.
Segno e frutto di questo deve essere una nuova cultura della vita.
Ogni cultura espressione di una civilt, di un preciso modo di concepire se stessi come popolo,
di esprimersi e proiettarsi verso il futuro. Il Magistero della Chiesa non ha dubitato nel qualificare
il senso di questa civilt: si tratta di una civilt dell'amore. stata giustamente durante la
celebrazione di un altro Giubileo, quello del 1975, che il Papa Paolo VI coni la seguente frase
durante l'Omelia della Messa di Chiusura del Anno Santo. Civilt una parola che proviene da
cittadino. Le famiglie sono i cittadini di una rinnovata Citt della vita, il cui segno e frutto la
civilt dell'amore. Il popolo della vita e per la vita, cio le famiglie, deve essere convocato per
generare una civilt di significato umanista, la cui cultura una nuova cultura della vita.
Questa una responsabilit che incombe su tutti. Come afferma Giovanni Paolo II, "la civilt
appartiene alla storia dell'uomo, perch corrisponde alle sue esigenze spirituali e morali: creato a

181

immagine e somiglianza di Dio, ha ricevuto il mondo dalle mani del Creatore con il compromesso
di modellarlo secondo la sua propria immagine e somiglianza. il compimento di questa
missione all'origine della societ, che non altro in definitiva, che l'"umanizzazione del
mondo"[13].. A differenza di qualunque altra classe di vita vegetale ed animale che per l'atto
creatore rimasta al servizio dell'uomo, esso l'"unica creatura terrestre che Dio ha amato per
se stessa"[14].. Nella trasmissione della vita umana Dio non ha voluto una semplice produzione o
riproduzione; ha voluto che l'uomo e la donna uniti nel matrimonio siano co-creatori con Egli. Co-
creatori, non creatori. Nessuno, come individuo, ha il potere di donare la vita. Tutti e due, in
mutuo abbandono di s, sono co-creatori con Dio, che ne crea l'anima immortale. Questa
missione propria del matrimonio comporta una responsabilit specifica vista la significativa
"partecipazione dell'uomo nella sovranit di Dio, Signore della vita. - prosegue il Papa
nell'Enciclica Evangelium Vitae - una responsabilit che raggiunge il suo apice nel dono della vita
mediante la procreazione da parte dell'uomo e della donna nel matrimonio"[15]. La vocazione
del matrimonio a collaborare con Dio nella trasmissione della vita certamente meravigliosa,
soprattutto quando si contempla che il fine degli uomini, il fine della Citt della vita, non solo
terreno ma supera l'orizzonte dell'eternit. Questo il senso profondo della civilt dell'amore.
"L'uomo non pu vivere senza amore. Rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita
privata di senso, se non gli rivelato l'amore, se non raggiunge l'amore, se non lo sperimenta e
non lo fa proprio, se non partecipa ad esso vivamente"[16].. In questo piccolo nucleo di persone
intrecciate dall'amore della rinuncia coniugale si esprime il passato, il presente ed il futuro
dell'umanit. Il futuro dell'umanit passa necessariamente attraverso la famiglia. Infatti il futuro
della societ condizionato dal patto di rinuncia mutua dei coniugi che rende possibile questo
ambiente propizio dove i nuovi germogli di ulivo riempiono di gioia il focolare. Non pu esserci
una vera comunione coniugale chiusa al servizio della vita, ne pu questa essere pretesa
separatamente dalla mutua rinuncia e dono all'"altro" che arriva come prezioso regalo di Dio.
Conseguentemente quando l'aborto radica la sua dimora nella cultura, incluso con la pretesa di
consolidarsi come "diritto", succede qualcosa di singolarmente grave: vengono avvelenate le
sorgenti stesse della vita. Un'ideologia che avvelena anche la nozione stessa di matrimonio e di
famiglia, il "santuario della vita"[17]. Non frequente che nelle case di ispirazione cristiana possa
essere considerato l'aborto tra le prime possibilit di cambiamento, ma pi facile il graduale
instaurarsi della contraccezione[18].. Questa conduce poco a poco all'aborto come una possibilit
che non viene eliminata in caso di necessit. Per anche grande il rapporto tra l'uso di metodi
contraccettivi e il divorzio che cresce come piaga nella presente societ.. Sono molti,
sfortunatamente, quelli che giustificano gli anovulatori come risorsa per salvare - come dicono -
la loro unione coniugale. Ebbene tutti sono coscienti prima o dopo che quello che edifica l'unione
e la fedelt e le rinforza contro qualunque insidia, cos frequenti oggigiorno, soltanto l'autentico
amore e non i suoi succedanei presentati dai "germi della morte" ai quali una nuova cultura della
vita deve far fronte.

Conclusione

Una cultura il modo in cui viene plasmato lo spirito di un popolo. Per una cultura non pu
essere un prodotto di laboratorio. Il posto della cultura il cuore delle persone. Oggi nel cuore
dei nostri contemporanei sussistono insidiose, gravi minacce alla dignit della persona umana,
immagine e somiglianza di Dio. Si tratta di una tendenza all'egoismo, all'individualismo, alla
chiusura, che vizia radicalmente il bene del matrimonio dissociando l'amore dalla vita. Divide
l'"unit di due" dell'amore coniugale per primo, e successivamente rompe l'unit tra i genitori e i
figli mostrandoli come opposti arrivando alla soppressione della vita dell'innocente, quando si

182

ritenga opportuno. In questo consiste, in grande misura, la grave malattia della cultura della
morte.
Di fronte a questa situazione necessario generare una nuova cultura della vita, il cui motore sia
la famiglia, capace di accogliere il dono della vita degli altri, dei figli, dei genitori, dei bambini,
degli anziani. Si tratta di costruire una civilt dell'amore nella quale l'amore coniugale e la
trasmissione della vita possano recuperare, davanti alla cultura, l'unit che hanno nella realt
naturale, che sussiste nel bene del matrimonio, l'istituzione dell'amore coniugale.[19].. In questo
compito storico la famiglia ha una missione imprescindibile. Si tratta di acquistare chiara
coscienza della famiglia come luogo di donazione e di accoglienza, santuario della vita e dimora
dell'amore. Nella misura nella in cui l'esempio della famiglia fondata sul matrimonio, sia
testimonianza dell'amore fedele e fecondo, immagine con cui risplende in mezzo al mondo
l'amore ineffabile tra Cristo e la Chiesa, essa sar il vero motore di trasformazione di una societ
veramente orientata verso il bene comune.

[1] Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium vitae, n. 78.
[2] Giovanni Paolo II, Lettera Gratissimam sane (Lettera alle Famiglie), n. 2.
[3] Concilio Vaticano II, Const. past. Gaudium et spes, n. 48.
[4] Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, n. 3.
[5] Gil Helln, F., I luoghi dell'educazione nei valori: la famiglia, en Dolentium hominum. Chiesa e
salute nel mondo 44 (2000) n 22, p. 38.
[6] Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium vitae, n. 92.
[7] Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium vitae, n. 92. Cfr. Concilio Vaticano II, Const. past. Gaudium
et spes, n. 50.
[8] Gil Helln, F., Il matrimonio e la vita coniugale, Libr. Editrice Vaticana, Vaticano 1996, p. 235s.
[9] Ratzinger J., Prologo, in Schooyans M., El Evangelio frente al desorden mundial, Diana, Mxico
D.F., p. XVIII.
[10] Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium vitae, n. 21.
[11] Gil Helln F., La familia, al servicio de la vida, in AAVV (a cura di R. Lucas Lucas), Comentario
interdisciplinar a la "Evangelum vitae", BAC, Madrid 1996, p. 655-668.
[12] Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium vitae, n. 78.
[13] Giovanni Paolo II, Lettera Gratissimam sane (Lettera alle Famgilie), n. 13.
[14] Concilio Vaticano II, Const. Past. Gaudium et spes, n. 24.
[15] Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium vitae, n. 43.
[16] Giovanni Paolo II, Enc. Redemptor hominis, n. 10.
[17] Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium vitae, n. 11.
[18] Gil Helln F., La familia, al servicio de la vida, in AAVV (a cura di R. Lucas Lucas), Comentario
interdisciplinar a la "Evangelum vitae", BAC, Madrid 1996, p. 657.
[19] Gil Helln, F., Il matrimonio e la vita coniugale, Libr. Editrice Vaticana, Vaticano 1996, p. 235s.

183

CARLO CASINI
AMBITI E FORME NUOVE DI SOSTEGNO ALLA VITA NASCENTE

Vita nascente: una finestra su tutta la vita umana

Sono convinto che quando oggi si parla del valore e del sostegno alla vita nascente si parla di
tutta la vita in ogni et e condizione. Infatti la caratteristica dell'uomo nell'et pi giovane della
sua esistenza di possedere soltanto la vita. Non ha n ricchezza, n intelligenza, n coscienza,
n visibilit. Ha solo la vita. In atto non nulla di pi che un essere umano vivente, in potenza pu
divenire uno scienziato del livello di Einstein o un Leonardo da Vinci. Quantomeno in potenza
uno dei miliardi di uomini qualsiasi con un qualche possesso di intelligenza, di ricchezza, di
relazioni. Ma all'inizio, come realt gi realizzata, soltanto un individuo umano vivente. Niente
di pi. Eppure il suo valore straordinariamente grande, perch cos pu essere definito
qualsiasi altro uomo. Egli esprime il comune denominatore di tutti e solo questo. Per indicarne la
specificit si pu dire che il non ancora nato l'unico essere umano che possiede solo la vita. Nel
corso della sua esistenza posseder molte altre cose. Forse vi saranno momenti in cui, misurato
con il metro dell'avere, torner simile all'embrione che era all'origine, ma qualcosa continuer
inevitabilmente a possedere oltre alla vita almeno la visibilit. Invece nel suo inizio l'uomo
possiede solo la vita. Si pu dire che vita. Meglio: che solo uomo, perch cos insuperabilmente
piccolo e povero da non possedere altra ricchezza che la sua umanit. Ci che di lui pensiamo e
diciamo riguarda ogni uomo.

Aspetti inediti nella scienza medica e nel diritto

Il mio compito descrivere la novit nell'impegno a servizio della vita nascente all'aprirsi del
terzo millennio. La novit riguarda la risposta possibile alla situazione nuova (Giovanni Paolo II
direbbe "inedita": cfr. Evangelium Vitae n. 95) nella quale ci troviamo. Per non invadere il campo
di altri relatori non mi introdurr nell'ambito della cultura in generale. Mi limiter a ricordare
soltanto due novit straordinarie che riguardano il diritto e la scienza medica.
Il diritto sembra aver trovato la risposta alle sue angosciose domande, formulate fin dai primordi
della riflessione umana sull'esperienza giuridica : " che cosa distingue la legge dal comando del
pi forte?" e "che cosa distingue lo Stato da una associazione ben organizzata?". La risposta
moderna : l'elemento distintivo la dignit umana e la conseguente uguaglianza nei diritti
umani, prima di tutto nel diritto alla vita. Ma tale risposta vanificata dallo smarrimento del
soggetto. Chi il titolare dei diritti umani? Lo smarrimento non la conseguenza di una fatica
intellettuale che non riesce a trovare la conclusione. , piuttosto, la conseguenza pratica di scelte
pratiche decise prima dei principi che dovrebbero condizionarle. Sullo sfondo, naturalmente, c'
l'aborto legale, in molti Paesi divenuto fenomeno di massa concepito e attuato come un servizio
sociale. L'Evangelium Vitae dice che "l'aspetto pi conturbante e sovversivo" dell'attuale
"congiura contro la vita" si colloca "proprio sul piano sociale e politico" e si manifesta nella
"trasformazione del delitto in diritto". Dunque investe il diritto. Per consentire l'aborto legale di
massa concepito come servizio sociale bisogna dimenticare il soggetto dei diritti umani. Ho detto
"dimenticare" e non "negare", perch in materia di aborto la linea prevalente dei giuristi stata
non lo scontro frontale, ma la elusione, la esclusione del problema della soggettivit come
problema squisitamente civile e giuridico.
Il comparire del pi giovane essere umano in una provetta sta cambiando le cose. Per poter
consentire e finanziare la produzione soprannumeraria di embrioni mediante fecondazione

184

extracorporea, il loro congelamento, la loro utilizzazione per scopi sperimentali, la loro


distruzione ad una data scadenza, la loro utilizzazione allo scopo di costruire tessuti di ricambio
per i gi nati, non basta pi chiudere gli occhi. Bisogna positivamente dire e sancire che
l'embrione non un essere umano ma solo una "masserella genetica". Magari basta affermarlo
finch utile disporre dell'embrione, cio fino a 14 giorni dalla fecondazione. Il termine non
solo arbitrario, anche ipocrita perch quelli che lo sostengono si guardano bene dall'impegnarsi
affinch almeno dopo che la "masserella genetica " non pi "masserella genetica " vi sia una
disciplina dell'aborto che tratti l'embrione come un individuo vivente della specie umana, ossia
come una persona. La novit nel campo del diritto dunque questa: proprio mentre si afferma
una concezione alta del diritto che pone a basamento dell'ordinamento giuridico il soggetto
uomo, proprio allora il soggetto uomo si vanifica o negato.
Nel campo medico - scientifico si verifica un'altra analoga contraddizione. La scienza pervenuta
oggi a "vedere" il concepito, la cui natura era in precedenza soltanto intuita. La scoperta del
DNA e dei meccanismi della fecondazione e dello sviluppo embrionale; l'uso generalizzato
dell'ecografia consentono di constatare la presenza del nuovo essere umano. Eppure la
professione medica si pone a servizio della sua uccisione. Bisogna riconoscere, peraltro, che nel
caso dell'aborto la resistenza dei medici stata significativa. La formazione ippocratica dei
medici meno giovani ha fatto schierare complessivamente la classe medica a favore della vita,
almeno dal punto di vista culturale. Ma ora il diffondersi della fecondazione artificiale cambia le
cose. La disponibilit di embrioni in provetta costituisce una forte tentazione per la classe medica
le cui intenzioni terapeutiche possono cancellare l'embrione umano dal novero dei destinatari
del servizio medico e trasformarlo in strumento di intervento terapeutico in favore degli adulti. Il
dibattito attuale sulla clonazione embrionale e la distinzione che viene proposta tra clonazione
embrionale riproduttiva e (considerata inaccettabile) e clonazione embrionale terapeutica
(giudicata lecita ed auspicabile) manifesta una tendenza assai pericolosa. Sto cercando di dire che
mentre riguardo all'aborto la cultura medica ha prevalentemente svolto una funzione di
freno, riguardo alla tutela dell'embrione generato artificialmente ho il forte timore che la stessa
cultura possa svolgere un ruolo di spinta negativa. Come nel campo del diritto, cos anche
nell'ambito medico il fine pratico tende a cancellare le evidenze scientifiche.

Il "cuore" della risposta

Le azioni di sostegno alla vita umana devono tenere conto della novit e delle contraddizioni ora
segnalate, soprattutto perch bisogna tenere conto di un dato di esperienza comune: la decisiva
importanza del riconoscimento del figlio come figlio e cio della umanit del concepito come
condizione della efficacia delle azioni per la vita. Per conoscere le cause dell'aborto e combatterle
non basta interrogare le donne che vi hanno fatto ricorso. necessario interpellare anche le
madri che hanno rifiutato di interrompere la gravidanza nonostante le pi gravi difficolt. Per
quale motivo, a parit di condizioni economiche e sociali qualcuna considera l'aborto una
necessit insuperabile e ad altre madri neppure viene in mente la tentazione di ricorrervi? Ci
sono ancora donne che preferiscono addirittura rischiare la propria vita piuttosto che
interrompere la gravidanza. Evidentemente l'ambiente e l'educazione precedente giocano un
ruolo di primaria importanza. Una cosa sentirsi totalmente sola di fronte ad un figlio che
costituisce una difficolt, con tutte le voci attorno che direttamente o indirettamente negano il
valore e l'esistenza di un nuovo essere, e altra cosa sentirsi confortata e sostenuta nel
riconoscimento come essere umano e come figlio di ci che sta crescendo dentro di lei. Questo
l'elemento decisivo nella prevenzione dell'aborto: il riconoscimento o il disconoscimento del
concepito come "altro", come un essere umano che ha una dignit uguale a quella di ogni altro

185

vivente della specie umana. Per questo ho indicato le due contraddizioni: quella presente oggi nel
diritto e quella presente nella cultura medica. Le due discipline che pi dovrebbero confortare e
sostenere il riconoscimento non solitario dell'"altro" come valore. Il diritto non diritto se non
riconosce i soggetti come soggetti, se non distingue pi le cose dalle persone. La medicina non
pi medicina se non si pone a servizio della vita di tutti e di ciascuno. Lo smarrimento della
funzione propria del diritto e della medicina determina un rischio reale e concreto per la vita di
una grande moltitudine di esseri umani. Perci ogni azione a sostegno della vita deve puntare a
una supplenza. Il primo servizio alla vita consiste nel mantenere egualmente nella coscienza
sociale, nonostante l'abdicazione del diritto e della medicina, il riconoscimento del concepito
come essere umano.
In definitiva la contrapposizione in tutto il mondo della mentalit "per la scelta" alla mentalit
"per la vita" esprime bene il tipo di novit che deve caratterizzare le azioni a sostegno della vita.
Un conto aiutare una donna a proseguire la gravidanza perch lei lo desidera e nei limiti in cui
ella lo desidera, una conto condividerne le difficolt perch c' di mezzo un essere umano con il
suo diritto alla vita. Nessuno nega l'opportunit e il valore delle iniziative che aiutano una donna
a realizzare il proprio desiderio di avere un figlio. Ma se questa la sola ragione della solidariet
viene negato il valore del figlio. esattamente questa la mentalit che conduce ai nuovi attentati
contro la vita nella provetta. Il figlio ad ogni costo esattamente la stessa cosa del rifiuto del figlio
ad ogni costo.
Da queste considerazioni derivano conseguenze importanti. Prima di tutto quella che l'ambito
delle azioni a sostegno della vita si estende enormemente. Non c' solo l'azione concreta di
rimozione delle difficolt che possono spingere a sopprimere una vita. Voglio dire che non c'
solo il campo della assistenza per offrire alternative all'aborto o alla fecondazione artificiale. Vi
anche il campo dell'educazione e della politica. L'ambito della parola che annuncia e dimostra il
diritto alla vita, quello della solidariet nei casi concreti e quello dove si elaborano le norme che
guidano la societ non sono diversi. Sono in continuit fra loro perch tutti mirano alla difesa
concreta e reale della vita umana consentendo quel riconoscimento della pari dignit di ogni
essere umano che condizione preliminare della salvezza degli esseri umani nella fase pi
giovane della loro esistenza.

Educare al rispetto della vita

Tutti gli educatori dovrebbero perci sentirsi operatori della vita. Gli educatori non sono soltanto
i maestri e i professori nelle scuole e nelle universit. Sono anche i giornalisti, gli scrittori, i registi
cinematografici e, naturalmente i sacerdoti. Vi un dato fondamentale nell'esperienza del
servizio alla vita nascente: la parola, anche da sola pu salvare. Anzi salva concretamente. Ha
salvato realmente in un grande numero di casi la vita del figlio e il coraggio (io dico "la
giovinezza") della madre. Il messaggio non complicato. essenzialmente semplice. Riguarda il
dato biologico e la dignit umana. Perci tanto pi doloroso il diffuso silenzio sul diritto alla vita
persino nell'ambito delle stesse istituzioni ecclesiali. Tanto pi ammirevole, invece, la scelta di
Giovanni Paolo II di essere il "Papa della vita". Ma nella catechesi ordinaria cos come nella
esplicazione quotidiana dell'insegnamento che dovrebbe manifestarsi il servizio alla vita.
Seminari di bioetica per insegnanti, premi per tesi di laurea, concorsi nell'ambito scolastico,
promozioni di premi nel campo letterario, artistico, giornalistico, musicale, si rivelano utili al
livello di azioni civili e laicali per stimolare e moltiplicare consapevolezze e servizi nell'area
educativa. A proposito dell'azione educativa non possibile ignorare il collegamento stretto tra la
dimenticanza del valore della vita nascente e la banalizzazione della sessualit. Ho detto che" il
messaggio non complicato" ed vero. Ma vi da considerare che l'espressione "dignit umana",

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propria - come abbiamo osservato - non solo dell'antropologia cristiana, ma anche della
modernit laica, di una straordinaria densit. Essa indica un mistero, una trascendenza
dell'uomo sulla materia che vanno penetrati: la conoscenza del dato biologico non sufficiente se
non si percepisce il senso della vita umana. Inoltre occorre comprendere il perch delle indicate
contraddizioni nel campo del diritto e della medicina. Alla radice dello smarrimento non vi una
difficolt di comporre in modo ordinato i dati conosciuti. Vi , invece, il premere urgente di
esigenze pratiche, derivate da una concezione e da una pratica banale della sessualit. Per vivere
la sessualit come esclusivo strumento di piacere o di evasione bisogna liberarla da ogni
responsabilit, cio da qualsiasi legame con realt pi ampie e profonde del piacere e della
evasione. La cultura della scissione rompe il rapporto tra sessualit e amore, tra amore e famiglia,
tra famiglia e senso della vita umana. La contraccezione lo strumento tecnico di una tale cultura
della scissione. Per questo io preferisco parlare pi che di "mentalit contraccettiva" di
"concezione banale della sessualit". Ma, nonostante tutto, resta il figlio, come ragione estrema di
responsabilit e principio di ricomposizione. Nonostante tutto innegabile che l'incontro
sessuale in grado di far scoccare il vero "big bang" della creazione, la novit assoluta del figlio,
che realizza l'esistenza creata nella sua pienezza. L'uomo non pu esistere se non come figlio e
l'uomo l'esito finale e causale della creazione. Perci la concezione banale della sessualit deve
inevitabilmente cancellare il figlio. Nella mente prima che nei fatti. Il tradimento della medicina e
del diritto riguardo alla vita nascente non deriva da oscurit proprie della medicina e del diritto.
Deriva, invece, da addensamenti di nebbia provenienti dall'esterno, appunto dal degrado della
sessualit.
Perci l'educazione al rispetto della vita deve trovare linguaggi e metodi nuovi anche nel campo
dell'educazione sessuale. Alla banalizzazione non si risponde con divieti le cui ragioni vengono
date per scontate. Si risponde, invece, con l'offerta di una visione alta e affascinante della
sessualit, il che non possibile senza parlare anche di amore, di famiglia, di significato del
vivere. A questo riguardo si pu sottolineare un aspetto che forse pu rendere meno pessimista
la valutazione del nostro tempo. Non c' alcun dubbio che oggi le aggressioni contro la vita
nascente abbiano raggiunto un livello di gravit inedita sia per quantit che per qualit. Esse si
accompagnano allo sfascio del matrimonio e della famiglia e alla perdita di valore della fedelt
definitiva e del dono di s. Ma se guardiamo al passato possiamo constatare che il maggior
rispetto della vita concepita e la pi diffusa stabilit familiare erano sostenuti da puntelli di
ordine economico-sociale che nulla avevano a che fare con le convinzioni profonde dell'uomo. In
una societ contadine i figli erano ricchezza, perch braccia per lavorare la terra e bastone per la
vecchiaia; la fedelt e la perpetuit del matrimonio erano garantite soprattutto dalla dipendenza
economica della donna e dalla sostanziale immobilit fisica. Oggi tutti i puntelli sono caduti. I
valori devono essere percepiti nella loro intrinseca forza e bellezza. potrebbe dunque essere il
nostro tempo di autenticit, in cui le difficolt esteriori chiedono una forza interiore pi grande e
pi vera. Il sostegno alla vita nascente esige perci anche una educazione alla sessualit,
all'amore e alla famiglia che sia espressione di una grande luminosa cultura, non pavida, non
arroccata sul passato, non marginale. L'insegnamento dei metodi naturali non pu che essere
inserito in questo contesto. L'opposizione della Chiesa Cattolica alla contraccezione
incomprensibile all'uomo moderno se non percepita come lo sforzo di comprensione e adesione
al mistero profondissimo che inerisce alla sessualit e quindi ultimamente al mistero della vita
umana. Anzi: se esposta senza tali profonde motivazioni la contiguit del tema della
contraccezione con quello dell'aborto diviene argomento capovolto dagli avversari per negare il
diritto alla vita. Far scivolare l'aborto nell'ambito della contraccezione significa, infatti, negare
l'esistenza di un figlio, confondere il quinto con il sesto comandamento. Penso perci che occorre

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partire da uno sguardo contemplativo sullo splendore della vita umana per illuminare il
significato dei gesti che la generano e coglierne le esigenze di autenticit e verit.

Condividere le difficolt della vita

Nell'ambito della solidariet concreta sbaglierebbe chi indicasse l'azione dei vari centri e servizi
per la vita come la novit in s. La comunit cristiana ha sempre difeso la vita nascente e la
maternit. Alludo ad una enorme ricchezza di opere, rispetto alla quale i vari centri e servizi alla
vita, promossi da vari movimenti per la vita, hanno una importanza modesta. La rete intera della
presenza cristiana costituisce un sostegno non solo nella globalit dell'esistenza, ma anche in
specifico riferimento alla vita nascente. Tuttavia mi pare interessante riflettere su un fatto nuovo.
In tutti i Paesi, non appena comincia la discussione sulla legalizzazione dell'aborto nascono entit
associative caratterizzate dallo specifico scopo di aiutare concretamente le madri a non abortire.
Tali centri, pur non avendo una origine comune, hanno spontanee caratteristiche comuni: si
fondano sul volontariato, offrono un aiuto materiale e morale, per lo pi si presentano come
strutture laicali nel senso che in esse sono chiamati a collaborare non solo i credenti o gli
appartenenti al cattolicesimo, ma ogni uomo di buona volont. Lo slogan usato nei centri di aiuto
alla vita italiani probabilmente valido per ogni centro nel mondo: "le difficolt della vita non si
superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficolt".
Mi sono interrogato molte volte sul significato profondo di questo fatto: la protezione "sociale"
della vita nascente non una novit, ma una novit il sorgere di strutture specifiche ed degno
di meditazione il fatto che esse abbiano ovunque caratteristiche simili nonostante che nessuno le
abbia programmate con un disegno organico. Ci deve essere una esigenza unitaria impellente.
Fino a quando l'aborto non era legalizzato o non se ne chiedeva la legalizzazione, la razionalit
collettiva riguardo alla vita umana si esprimeva soprattutto con la legge: il divieto di aborto
schierava la comunit tutta insieme dalla parte della vita. Anche se le motivazioni potevano
essere pi o meno limpide, la testimonianza dell'intera comunit degli uomini a favore della vita
era evidente. Quando la legge rinuncia a tale testimonianza, la comunit cerca di sostituirla con
una sua testimonianza diretta. Ecco perch i centri di aiuto alla vita, nonstante la frequente
modestia delle loro forze, pretendono di essere l'espressione di un'intera comunit che accoglie
la vita. Si caratterizzano per la specificit gelosa del loro scopo affinch la loro azione non sia
percepita esclusivamente come sostegno alla libera scelta della donna. Si dichiarano organismi
laici per manifestare che il sostegno alla vita nascente non la difesa di una opinione e tento
meno di una idea religiosa, ma l'impegno ineludibile della societ come tale. Insomma vi l'idea
di una assistenza che testimonianza e di una testimonianza che di per s stessa assistenza,
cio sostegno concreto.
Ma vorrebbero esprimere, questi centri, anche un'altro pensiero che mi pare abbastanza
profondo. Naturalmente facile osservare che la parola che annuncia il valore della vita non
credibile se non si accompagna alle opere. Se in una citt avviene una catastrofe naturale non
basta proclamare il valore della vita. Occorre agire per salvare il maggior numero possibile di
persone. Altrimenti le sole parole di indignazione divengono persino urtanti. Ma nella
testimonianza che questi centri vorrebbero rendere vi qualcosa di pi profondo. Vi
l'intuizione di un legame tanto forte quanto misterioso fra la vita umana e l'amore. Questa
affermazione vera a livello metafisico. La Rivelazione cristiana, che indica in "Amore" il nome
del Creatore, che l'essere, cio la vita per essenza, esprime in modo rigoroso questo legame. Ma
questa affermazione vera anche a livello sociologico e psicologico. Di regola la donna che si
sente amata non abortisce. Per dimostrare la vita, per testimoniare la vita, per persuadere alla
vita, occorre usare un linguaggio ed una metodologia impregnati di amore. Per questo i centri

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dovrebbero usare la metodologia della condivisione delle difficolt. Al fondo vi l'idea, espressa
da Giovanni Paolo II nel visitare, il 19 ottobre 1986, il primo centro di aiuto alla vita d'Italia. Egli
disse che questi centri sono "testimonianza in favore del primato della vita umana di fronte a
tutti gli altri valori materiali; un appello a tutti affinch comprendano che una societ giusta non
si costruisce con la eliminazione degli innocenti [...] Desidero vivamente - concluse il Papa - che i
cristiani, i credenti, gli uomini di buona volont collaborino con impegno sincero e costante in
un'opera cos evangelica, favorendone un adeguato sviluppo".
Naturalmente non c' da meravigliarsi se il progetto lontano dalla realt, soprattutto per quanto
riguarda la capacit dei centri di essere espressione di un'intera comunit che accoglie. L'ideale
che ogni cristiano, anzi, ogni cittadino si senta e sia concretamente membro del centro della sua
citt. Cos come la legge esprime tutti, analogamente il centro dovrebbe esprimere tutti. Se la
legge esprimeva tutti con la minaccia di un castigo per chi offende il diritto alla vita e con tale
minaccia intendeva prevenire la lesione, cos la promessa di condivisione delle difficolt
dovrebbe esprimere in modo nuovo la "razionalit collettiva" e cos prevenire l'aborto
sostituendo l'amore alla paura.
In questa logica di somma importanza non solo l'ampiezza delle partecipazioni e delle
collaborazioni con i centri di servizio alla vita, ma anche lo stretto collegamento, prima mentale e
poi pratico, con tutte le strutture di solidariet religiose e civili esistenti sul territorio. Non si
assiste la vita proteggendola solo nel momento delle delle origini. D'altra parte se il concepito
un essere umano, allora egli un bambino e un povero. Anzi: il pi bambino dei bambini, il pi
povero dei poveri. Perci tutti coloro che si occupano dei poveri e dei bambini dovrebbero
testimoniare anche a favore del non ancora nato e tutti sentirsi parti collegate sulla vasta
frontiera in cui si difende la vita umana. In tale contesto penso che le annuali celebrazioni civili in
cui si ricordano la Dichiarazione dei diritti dell'uomo (10. 12. 1948) e la Convenzione dell'ONU
sui diritti del bambino (20. 11. 1989) dovrebbero diventare occasioni privilegiate per
testimoniare in favore della vita nascente.

Nuovi servizi: qualche esempio

Naturalmente le promesse devono essere mantenute. In particolare se una gravidanza incontra la
difficolt di un alloggio mancante, bisogna poter offrire la casa di famiglie accoglienti o comunque
case di accoglienza. Se ci sono difficolt economiche, occorre tentare una risposta, per quanto
parziale. A questo riguardo mi piace segnalare un servizio particolare attuato in Italia da alcuni
anni denominato "Progetto Gemma". Esso prende lo spunto da una esperienza assai diffusa,
quella della adozione a distanza, attuata soprattutto in favore di bambini abbandonati o bisognosi
di paesi in via di sviluppo. Se anche il concepito non ancora nato un bambino, allora quando egli
rischia di essere ucciso il pi abbandonato e bisognoso di tutti. Ma non si trova lontano. Non a
distanza. vicino. tra noi. Inoltre si trova in una situazione particolarissima. Vive nel corpo di
sua madre. Se chiamassimo "adozione" l'aiuto economico ritmato e durevole offerto da una
famiglia, un gruppo, una parrocchia a un bambino lontano perch viva e cresca allora bisogna
parlare di "adozione a distanza ravvicinata" non solo di un bambino, ma anche della sua mamma
quando, attraverso la rete dei centri per la vita, l'aiuto mensile per un certo tempo offerto per
condividere le difficolt economiche che potrebbero condurre all'aborto. Questo "progetto
Gemma".
L'altra grande spinta a sopprimere la vita la solitudine. Esigenza fondamentale dunque quella
di far sapere che nella societ ci sono persone e strutture pronte a rompere la solitudine. In una
societ che censura la vita nascente non facile "far sapere". Eppure il "far sapere" fa parte delle
"forme nuove" di servizio alla vita, con le forme "nuove" della pubblicit in specie nelle farmacie,

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negli studi medici, sui mezzi di comunicazione sociale. Il telefono e forse Internet diventano
strumenti potenti di servizio alla vita. In Italia da qualche anno funziona un servizio telefonico
nazionale, gratuito per il chiamante, funzionante 24 ore su 24, che ha gi salvato il coraggio delle
madri insieme alla vita dei figli. Si chiama S. O. S. Vita. Ma ha bisogno di essere conosciuto.
Altra causa di uccisione la paura. Intendo dire la paura di malformazioni del figlio.
Naturalmente il figlio va accolto in ogni caso, ma tutte le volte che possibile - e l'esperienza
dimostra che i casi sono numerosi - bisogna dissolvere o ridurre la paura. Ci esige studio
rigoroso, approfondimento a livello internazionale, risposte vere, ma capaci egualmente di
suscitare coraggio. merito di alcuni medici della Facolt di Medicina e Chirurgia dell'Universit
Cattolica di Roma aver avviato un servizio chiamato "Telefono Rosso". una esperienza nuova
che andrebbe moltiplicata e fatta crescere. Uno degli aspetti pi inquietanti della "cultura della
morte" si manifesta nel modo in cui si proclama il "diritto a nascere sano". Poich tale posizione
implica una evidente discriminazione sull'uomo e, ultimamente un atteggiamento "razzista", la
legalizzazione dell'aborto in caso di malformazioni del feto stata mascherata spesso con il
pericolo della salute psichica della madre. Ci evidente nella legge italiana sulla interruzione
della gravidanza . Ma la maschera cade nel campo della procreazione artificiale in vitro, quando
addirittura si celebra come trionfo della medicina e come vittoria sulla malattia l'uccisione di
molti embrioni osservati in provetta prima ancora di essere impiantati nel corpo della madre, in
modo da selezionare e tentare di far vivere solo quelli che non sembrano presentare rischi di
malattie genetiche. Di qui all'eugenismo e alla selezione dei figli in base alle loro caratteristiche il
passo breve. Sempre pi frequenti sono poi le cause per danni promosse contro medici e
strutture sanitarie nel caso di nascite di bambini handicappati, non perch la malformazione sia
stata cagionata da imperizia o negligenza dal medico (nel qual caso sarebbe ovvio il dovere di
risarcire il danno), ma perch il personale sanitario, non essendosi accorto durante la gravidanza
della malformazione e/o non avendo consigliato o eseguito l'aborto, ha lasciato vivere il figlio. Gi
in Francia una recente sentenza (novembre 2000) ha riconosciuto un tale diritto al risarcimento
del danno verso il medico per aborto non effettuato non solo ai genitori, ma anche al figlio. Il
"danno da nascita" l'esatta antitesi dell'idea che la vita un dono e la nascita un lieto evento. Lo
sbocco finale sar il diritto al risarcimento per essere venuto al mondo non solo verso i medici,
ma anche verso le eroiche madri, che, pur conoscendo la malformazione del figlio non hanno
voluto divenire omicide. E poich la malformazione non che una possibile causa di "sofferenza
del vivere" si capisce bene come la "cultura della morte" possa immaginare scorrerie terribili
attraverso la breccia del "diritto a nascere sani". A questo proposito la risposta urgente della
"cultura della vita" , naturalmente, l'accoglienza premurosa del disabile e del malato, ma anche
la messa in opera degli strumenti pi raffinati della scienza e dell'amore per contrastare la facile
propensione all'aborto quando vi soltanto un sospetto, magari remoto, di anomalia o
malformazione (propensione favorita e spesso indotta da una categoria di medici timorosa di
essere chiamata a risarcire i danni) e comunque di favorire sempre, nel rispetto della verit
scientifica, l'accoglienza del figlio. Affinch le esortazioni siano anche condivisione efficace urge
conoscere e proporre terapie e rimedi sia durante che prima e dopo la gravidanza.
Fortunatamente - questa una delle molte contraddizioni - l'embrione considerato un paziente
nell'ambito di una scienza medica che giunta a poterlo curare e persino operare all'interno
dell'utero materno. "Telefono Rosso" un servizio di rassicurazione nei molti casi in cui il timore
infondato o affrontabile e tende comunque ad essere il sostegno del medico autorevolmente
amico della vita a bilanciare il potere medico che spesso orienta verso la morte.

190

La legge a servizio della vita



L'adozione, quella vera, quella giuridica, si trasformata nel nostro tempo. Non pi lo
strumento per dare un figlio a chi non ce l'ha, ma lo strumento per dare dei genitori a chi non ne
ha. Questa nuova visione dovrebbe spingere a utilizzare l'adozione anche come forma di
prevenzione dell'aborto. Il presupposto - al solito - quello di riconoscere il figlio come figlio e la
madre come colei che d la vita e la d, quando indispensabile, separandosi dal figlio. Questo
avviene nel parto. Questo avviene nel corso dell'intera vita quando il figlio diviene pienamente
autonomo con l'adolescenza e con l'et adulta. Perci una madre che, certa di non poter svolgere
la sua maternit dopo la nascita, accetta, liberamente e come ipotesi estrema, di separarsi dal
figlio, doppiamente madre.
La cultura dell'adozione , dunque, un ambito nuovo di impegno per la vita. Le nostre sono
spesso societ malate di schizofrenia, dissociate. In Italia vi sono ogni anno 140.000 bambini
uccisi con l'aborto legale, ma i tribunali per i minorenni possono soddisfare le domande di
adozione soltanto di una coppia su 20 e per questo molte famiglie sono scoraggiate persino dal
proporne la domanda.
Intanto il desiderio del figlio si esprime attraverso la forma nuova della fecondazione artificiale in
vitro che deliberatamente aggiunge figli uccisi a figli uccisi. Urge pertanto un coerente sviluppo
della cultura dell'adozione, anche a livello internazionale, come alternativa alla domanda di Fivet.
Ma la Fivet ha aperto un campo di battaglia smisurato e nuovo. Chi vuole difendere la vita
nascente non pu evitarlo. Non qui il caso di ricordare a quali rischi sia esposto l'embrione in
provetta. Mi preme, per, sottolineare una diversit tra la situazione del figlio quando concepito
nel corpo di una donna e quella del figlio generato in provetta. Nessuna donna concepisce per
abortire. "Generare per la morte" qualcosa di estraneo all'atto sessuale anche quando avviene
nelle forme e nelle circostanze pi contrarie al suo significato vero. La gravidanza indesiderata
una gravidanza che si preferirebbe non aver iniziato, non una gravidanza voluta per poter
poi abortire. La "generazione per la morte" sembra essere, invece, una caratteristica della Fivet.
Non solo nel caso evidente in cui gli embrioni vengono "prodotti" al fine di sottoporli a
sperimentazione, ma anche quando lo scopo di superare la sterilit di una donna ricorre a
tecniche cheab inizio accettano la distruzione di una grande quantit di embrioni, sottoposti a
selezione, oppure congelati e destinati ad essere gettati via come cose inutili o addirittura
pericolose ad una data scadenza. La differenza si coglie anche nei rimedi possibili che
l'antropologia cristiana pu inventare in una tale inedita situazione. Di fronte all'aborto di massa
culturalmente accettato la risposta che abbiamo individuato l'educazione e la solidariet.
Naturalmente urgente anche conservare o ottenere leggi rispettose del diritto alla vita, ma
anche in presenza di normative inique l'educazione e la solidariet possono ottenere positivi
risultati. Invece di fronte all'embrione in provetta a rischio di morte se lo strumento educativo
pu ancora svolgere un qualche ruolo, la solidariet inesplicabile, o meglio, pu esplicarsi solo
con la legge. Verrebbe fatto di dire che il parallelo ai centri di aiuto alla vita nel campo dell'aborto
soltanto inevitabilmente la legge nel campo della fecondazione artificiale. Nessuna struttura di
volontariato pu impedire l'uso della clonazione embrionale a una industria. Solo la forza della
legge pu impedirlo. La stessa asserzione pu essere fatta riguardo agli embrioni congelati,
sottoposti a sperimentazione o selezionati.
Torna, dunque, in primo piano la funzione propria del diritto a difesa della vita umana. Il
carattere inedito dei problemi concernenti il sostegno della vita nascente esige il ripensamento
serio e profondo della funzione propria della legalit, del diritto e della legge. Dopo tanti anni di
impegno mi sono convinto che il cuore della difesa della vita sta nella introduzione del concepito
nel campo del diritto come un soggetto. Il diritto positivo, in adesione a quanto il presupposto

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della moderna teoria dei diritti umani, deve sottrarre l'uomo, tutto l'uomo ed ogni uomo, al
mondo delle cose e collocarlo sul piano misterioso di una trascendenza rispetto alla materia. Ci
compito del diritto la cui funzione quella di separare gli oggetti dai soggetti. Riconoscere il
concepito come soggetto, affermarne l'eguaglianza e la dignit il massimo strumento di
prevenzione dell'aborto, il gesto di solidariet concreta verso gli individui che la Fivet condanna a
morte prima ancora della loro esistenza, la risposta giusta all'idea della "nascita come danno", la
base solida e il sigillo finale della teoria dei diritti umani. Non si pu dispiegare un completo
sostegno della vita nascente senza la "novit" del riconoscimento di un vero e proprio diritto
soggettivo alla vita dell'uomo fin dal concepimento, cio senza la dichiarazione della soggettivit
(capacit) giuridica dell'embrione fin dalla fecondazione. Ci significa anche rivendicare la
nobilt del diritto e della legalit come strumento di giustizia e non di forza.

Dal biodiritto alla biopolitica

Da quanto ora detto deriva che non si pu difendere concretamente la vita senza attingere alla
politica. la politica che fa le leggi ed una legge che non protegge la vita umana non una legge in
senso moderno. Ho gi concentrato l'attenzione sull'essenziale trascurando i dettagli. Ci che
essenziale il riconoscimento giuridico, cio detto, scritto nelle leggi e perci insegnato nelle
Universit e reso noto, che ogni essere umano un soggetto e che perci anche il concepito fin
dalla fecondazione dotato di capacit giuridica. Questo il massimo elemento di prevenzione.
Ormai il pensiero giuridico costituzionale europeo, in mezzo a tante incertezze, sembra
condizionata da questa riflessione.
Ma l'azione politica deve dare grande rilevanza anche alle strutture amministrative locali. Esse,
se vogliono, possono sostenere e finanziare progetti di sostegno alla vita. Possono proclamare nei
loro statuti il diritto alla vita. Nonostante tutto assai pi difficile scrivere in atti giuridici che
l'embrione una cosa. Perci il livello politico locale, alla lunga, pu cambiare la mentalit anche
laddove le leggi nazionali sono inique.
Infine urgente riflettere sulla esigenza che il diritto alla vita entri nella politica nel ruolo che gli
spetta, un ruolo cos centrale da rendere insostenibile la neutralit sulla vita dei governi, delle
alleanze, dei partiti e dei voti popolari. Discorso difficile e complesso, questo, nel quale ancora si
balbetta. per impossibile non affrontarlo se rileggiamo il paragrafo n. 5 dell'Enciclica
Evangelium Vitae: Come un secolo fa ad essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la
classe operaia, e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese, proclamando i sacrosanti diritti
della persona del lavoratore, cos ora, quando un'altra categoria di persone oppressa nel diritto
fondamentale alla vita, la Chiesa sente di dover dare voce con immutato coraggio, a chi non ha
voce. Il suo sempre il grido evangelico in difesa dei poveri del mondo, di quanti sono minacciati,
disprezzati e oppressi nei loro diritti umani.
Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita oggi una grande moltitudine di esseri
umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i bambini non ancora nati. Se alla Chiesa, sul
finire del secolo scorso, non era consentito tacere davanti alle ingiustizie allora operanti, meno
ancora essa pu tacere oggi, quando alle ingiustizie sociali del passato, purtroppo non ancora
superate, in tante parti del mondo si aggiungono ingiustizie ed oppressioni anche pi gravi,
magari scambiate per elementi di progresso in vista dell'organizzazione di un nuovo ordine
mondiale.
Queste parole di Giovanni Paolo II dovrebbero essere, secondo me, lo stimolo fondamentale per
un nuovo manifesto di presenza politica dei cattolici nel mondo. Tanto pi gravi mi appaiono
pertanto le reticenze, la prudenza, le diplomazie, i rinvii e le evasioni con cui anche da parte di
molti che vogliono sostenere la vita nascente si cerca di separare il diritto alla vita dalla politica.

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Della politica conosco bene la complessit, le difficolt, le insidie, le condizioni. Accetto la logica
della gradualit (se non rinuncia all'obiettivo finale), della mediazione (se non compromesso,
ma conoscenza della realt), del risultato concreto (se non rifiuto della testimonianza). Tuttavia
mi pare che anche la politica debba sentire a s rivolta l'esortazione pressante del paragrafo 95
della Evangelium Vitae: Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo
etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo
costruire una nuova culture della vita: nuova, perch in grado di affrontare e risolvere gli inediti
problemi di oggi circa la vita dell'uomo; nuova perch fatta propria con pi salda e operosa
convinzione da parte di tutti; nuova, perch capace di suscitare un serio e coraggioso confronto
culturale con tutti.

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GIAMPIERO GAMALERI
I MEDIA E LA CULTURA DELLA VITA

Il "fiume del cambiamento" della galassia dei media continua a non arrestarsi. Anzi, esso riguarda
non pi soltanto lo sviluppo dei supporti digitali ai quali si ancora il fenomeno della
comunicazione oramai costantemente spostata sulle tradizionali "autostrade dell'informazione",
ma anche gli aspetti qualitativi e quantitativi della comunicazione stessa.

In pratica, sono venuti trasformandosi completamente la forma e la sostanza della comunicazione
tradizionale. I nuovi media raggiungono tutti, per cui la globalizzazione sta oggi vivendo, forse, il
suo punto di maggiore vivacit. Ma accanto alle grandi e molteplici possibilit che ci attendono, e
che sempre pi spesso sono gi presenti, si affiancano anche una serie di rischi - di natura etica e
morale - per la comune utenza.
Ebbene, da questi richiami non dovremo n potremo prescindere, se il fine ultimo
dell'affermazione delle nuove tecnologie nell'universo della comunicazione dovr essere
considerato un evento pienamente positivo per la crescita e lo sviluppo della persona umana, sia
dal punto di vista meramente individuale che da quello della vita sociale e collettiva.

LA TRASFORMAZIONE DELLA GALASSIA DEI MEDIA

Gli ultimi cinque anni, oltre ad aver suggellato la chiusura del Secondo Millennio, hanno rivelato
una mutazione nei consumi culturali italiani e pi in generale dei cittadini europei. L'ultimo
Rapporto Censis, al solito fedele specchio delle abitudini del nostro Paese, ci aiuta dati alla mano
a capire questi cambiamenti e a confrontarci con i medesimi[1].
In generale, si potr osservare come l'evoluzione del consumo di contenuti diffusi mediante
strumenti legati alle nuove tecnologie abbia raggiunto uno sviluppo di altissimo valore
percentuale. Inoltre, sar facile constatare come - in conseguenza di ci - la quantit di
consumatori culturali multimediali abbia raggiunto, oggi, delle percentuali simili in tutti i Paesi
europei. Vale a dire, anche Italia e Spagna (per fare un esempio) hanno raggiunto i loro partner
continentali nella diffusione e nell'uso quotidiano delle nuove tecnologie e nel loro utilizzo a
favore della fruizione di contenuti formativi ed informativi.
Come si potr notare, ad una tenuta dei media tradizionali (radio e televisione) si affianca un calo
dell'informazione su supporto cartaceo (giornali e riviste), mentre CD-Rom e televisione digitale
continuano a riscuotere un sempre pi ampio consenso verso i consumatori.
Ma il dato che risalta certamente la diffusione dinamica e generalizzata di Internet. In questo
senso, evidente come la fruizione della Rete non sia sottrattiva ma aggiuntiva. Vale a dire che
l'uso sempre pi frequente di Internet dovuto anche alla sua possibilit di fornire pi contenuti:
assume dunque una funzione integrativa e complementare rispetto agli altri media, soprattutto a
quelli di natura audiovisiva.
Il dato che segue ci aiuta a comprendere ancora pi nel dettaglio questo discorso, spostando
l'analisi dell'evoluzione dei consumi dei media verso la definizione della tipologia del
consumatore.
Questi dati mostrano chiaramente come - stando alla lettura dei grandi numeri - circa la met
della popolazione europea sia oramai orientata ad un consumo culturale di tipo multimediale,
grazie alle notevoli e numerose applicazione che anche un semplice personal computer
mediamente accessoriato oggi consente.

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Ad ulteriore conferma di quanto precedentemente affermato, si potr inoltre notare come la


televisione continui conservi - anzi accresca - un target numericamente forte di pubblico, mentre
il popolo dei lettori sta vivendo una stagione di rilevante declino.
Le considerazioni sin qui esposte sono essenzialmente dettate da un motivo: la televisione
sopravvive alla diffusione delle nuove tecnologie soprattutto a causa della ancora difficile
integrazione tra tv e computer, e tra tv ed Internet. Laddove questo problema non si pone, ovvero
nei casi in cui il flusso di contenuti formativi ed informativi sufficientemente ampio (ad esempio
nella Rete), il supporto cartaceo perde fruitori.
Questa analisi complessiva non pu che rimandarci alla convergenza dei media, e al suo sviluppo
direttamente proporzionale all'utilizzo dei supporti creati con lo sviluppo delle nuove tecnologie.

LA TELEVISIONE E LA CONVERGENZA MULTIMEDIALE

La convergenza multimediale, argomento di dibattiti e discussioni sempre pi aperte ed accese
(si pensi alle analisi in materia di globalizzazione), in questo periodo il fenomeno economico-
sociale maggiormente all'attenzione dell'opinione pubblica, e non pi soltanto degli esperti e
degli addetti ai lavori.
Uno dei casi maggiormente eclatanti di questo tema stato indubbiamente la fusione AOL/Time
Warner, un affare da 650mila miliardi di lire, che ha creato un soggetto commerciale la cui
nascita avvenuta "in una modesta palazzina di uffici, seminascosta sull'autostrada che da
Washington conduce all'aeroporto, nella sede di una societ Internet chiamata America On Line
che dieci anni or sono appena esisteva e che oggi ha inghiottito Time Warner, mostro sacro del
cinema, della tv, dell'informazione al prezzo stratosferico e inaudito di 346mila miliardi di
lire"[2].
Molte analisi sono state costruite a tale proposito. Antonio Pilati ha rintracciato in questa fusione
due aspetti fondamentali, rispettivamente di natura finanziaria ed industriale[3]. Nel primo caso,
"la fusione fa risaltare lo straordinario potere strategico che i nuovi criteri adottati dal mercato
per valutare le societ specializzate in attivit Internet (stimare il potenziale di sviluppo futuro
senza pesare i risultati presenti) conferiscono alle pi credibili tra esse". Sotto il secondo aspetto,
"la fusione premia l'idea di una integrazione verticale che coordina, su un unico asse, le
infrastrutture di trasmissione, gli strumenti per la gestione di operazioni su Internet e la
ricchezza di contenuti generati fuori rete ma riorganizzabili in rete".
In sintesi, tale procedimento consente di formare "un complesso di capacit che in condizione
di cogliere, sulla rete, un ventaglio di opportunit quasi completo, dal commercio elettronico alla
pubblicit fino al consumo di contenuti mediali (tv, musica, film, notizie)".
Inversamente, c' chi si soffermato sulla difficolt ad avviare una pratica di convergenza
mediante la concorrenza tv-computer, come Dom Serafini[4], il quale asserisce che "si parla tanto
di convergenza multimediale, ma si ignorano le divergenze. Ci troviamo in una situazione dove i
tecnici di Internet non capiscono il broadcast televisivo e i broadcaster non comprendono
Internet. L'industria dei PC ha i suoi piani e non sono in armonia con quelli dei fabbricanti di
televisori. Il settore della produzione e distribuzione, poi, si vede minacciato da Internet". In
definitiva, secondo Serafini, mancano una mentalit convergente e, conseguentemente, un reale
desiderio di giungere anche a tecnologie convergenti, ovvero a medesimi standard tecnologici,
che pure dovrebbe essere realizzabile.
Stando all'universo delle telecomunicazioni, sul quale intendiamo soffermarci in questa sede,
questa integrazione multimediale ha fatto s che anche il nostro PC domestico sia in grado di
fornirci la fruizione di contenuti solitamente - anzi esclusivamente - erogati, una volta, da radio e
televisione.

195

Dal canto suo, ipotizzabile che nel lungo periodo il computer andr ad assolvere la funzione
della televisione, malgrado le attuali difficolt di integrazione dei due medium. Inoltre,
nonostante alcune difficolt, l'Italia si segnala in netta crescita per quanto concerne il consumo
della televisione a pagamento.
Possiamo, in tal senso, fare tesoro dell'indicazione fornitaci dalla newsletter britannica "Screen
Digest", secondo la quale l'Italia costituir "il mercato europeo che avr il pi alto tasso di
crescita della spesa nella pay tv nei prossimi quattro anni, superando la quota di Spagna e
Germania, che oggi ci precedono"[5].
C' infine l'ultima frontiera della convergenza multimediale: la telefonia cellulare. Gi approdata
alla tecnologia WAP, essa centrer appieno l'obiettivo dell'integrazione multimediale con l'arrivo
dei telefonini UMTS, cosiddetti di terza generazione, con i quali Internet e telefono, coesisteranno
in un solo supporto operativo, un apparecchio operante in audio e video per dialogare "faccia a
faccia" oppure per controllare on line i listini della Borsa.
Il sistema UMTS, operativo in Italia dal 2002, trover un Paese oramai preparato su larga scala
all'uso del telefono cellulare: oltre il 65% degli italiani usa il telefonino, con una punta di quasi
l'84% tra i giovani fino ai 35 anni, mentre oltre il 52% fa comunemente uso dei messaggi SMS e
circa un italiano su cinque abile nella navigazione di Internet.

NUOVE OPPORTUNIT, NUOVI RISCHI

Questo inedito contesto operativo ci avvicina a possibilit fino a pochi anni fa impensabili, ma in
ultimo deve anche impedirci un precoce allontanamento dalla "realt pi bassa", quella di tutti i
giorni. In sintesi, agli enormi vantaggi che il futuro ci offre dobbiamo sempre contrapporre i
rischi che potrebbero derivare dal seguire in maniera frettolosa il "flusso del futuro".
Al giorno d'oggi, siamo abituati alla possibilit di essere costantemente in contatto con tutto e
tutti: siamo cio in grado di vivere nel "nodo" della comunicazione, ed essere
contemporaneamente - e in qualsiasi momento - soggetto ed oggetto della comunicazione.
Non solo: in ogni momento della nostra vita siamo potenzialmente multimediali, nel senso che
possiamo usufruire simultaneamente di pi mezzi e di diversi linguaggi di comunicazione.
Inoltre, possiamo convogliare i messaggi su uno o pi canali, con la massima libert di scelta
nell'articolazione di questi "movimenti comunicativi".
Questi fattori, novit straordinarie e sempre pi in via di affermazione, ci permettono
conseguentemente di ampliare la nostra capacit di soggetti recettori, spostando il raggio di
attenzione da ci che gi sappiamo esserci utile a ci che "imprevedibilmente" ci sar utile.
In pratica, possiamo affermare che i cambiamenti in atto, prodotti dalla circolarit della
comunicazione, in cui il destinatario dell'informazione pu essere anche mittente, sono gi
notevoli. L'utente non si rivolge pi soltanto al classico contenitore domestico, dal quale
abitualmente doveva ricevere indifferentemente ci che esso trasmetteva, adeguando se stesso al
ritmo dell'apparecchio, ad esempio ai palinsesti propri di ciascuna emittente televisiva. Il
consumatore di Internet non dovr far altro che cercare ci di cui ha bisogno, e sintonizzarsi sul
"fornitore" ideale. La Rete sar cos esplorata e selezionata - navigata - da ogni soggetto recettore.
Concludendo, tale processo ci consente oggi di partecipare ad un allargamento orizzontale
dell'informazione, ad una sorta di globalizzazione e democratizzazione del sapere, con facilit e
libert di accesso alle fonti. Affinch questa dinamica non cessi di offrirci nuove opportunit, per
trasformarsi in una dispersione della conoscenza o peggio ancora in una diffusione di notizie e
nozioni errate e fuorvianti, sar per opportuno attrezzarsi al meglio per non essere posti in una
condizione di difficolt quando ci dobbiamo orientare nel surplus informativo della Rete,
soprattutto quando si tratta di verificare le informazioni e le fonti originarie.

196


LA QUALIT TELEVISIVA

La comunicazione televisiva, in termini di qualit, deve rappresentare quella che a mio avviso
potremmo definire "televisione aperta", perch non inventa la realt ma vi si ispira, la riproduce.
La fiction, ad esempio, svolge un ruolo importante e delicato, essendo un tramite al rivelarsi dei
sentimenti e delle forme di partecipazione del profondo. E' per quanto mai utile una fiction
capace di ispirarsi alla realt, perch la vita stessa pi grande di qualsiasi capacit di
immaginazione dell'uomo.
Questa "televisione aperta" non pu essere tale solo nei contenuti, cio nei programmi che
arrivano al pubblico, che pur sono l'elemento pi importante in termini di visibilit, ma
nell'intera sua architettura tecnologica ed organizzativa. Pensare il contrario sarebbe come
limitare l'esperienza religiosa ai sermoni "unidirezionali" della domenica e non considerare tutta
la dialogicit che pervade l'esperienza cristiana e anche quella di altre confessioni orientate verso
l'altro in dimensione sia orizzontale (il dialogo con i fratelli) che verticale (l'invocazione, la
preghiera).
Inoltre, la televisione di qualit viaggia attraverso l'evoluzione del mezzo stesso. In questo senso
possiamo anche affermare un tentativo di "confronto" tra il messaggio evangelico e la
testimonianza. Nel messaggio c' infatti un'intenzionalit didascalica, mentre nella testimonianza
troviamo l'umilt del porgersi, del mettersi a confronto, del dialogare. E quando la testimonianza
proviene da una certa esperienza e cerca di incarnarla, seppure immeritatamente, ecco che la
televisione, mezzo evidentemente testimoniale, la riproduce e la amplifica.
Riguardo i sistemi di comunicazione, stiamo andando da mezzi consolidati, ancora animati da una
forte vitalit, verso mezzi nuovi. Il mezzo elettronico in cui l'esperienza religiosa ha trovato la
possibilit di presenze efficaci stato senz'altro la radio. Non un caso che la Santa Sede abbia
ritenuto di "compromettersi" fin dall'inizio con questo mezzo, con l'epopea marconiana e la
nascita, appunto, della Radio Vaticana. Oltre a questa esperienza istituzionale, ne abbiamo altre di
diverso tipo in tempi pi recenti: Radio Maria, ad esempio, per quanto riguarda il nostro Paese, e
molte altre all'estero. Sta di fatto, comunque, che la cerniera tra la radiofonia e la presenza,
l'interrogarsi sulle cose profonde, sulla dimensione religiosa, sulla presenza di Dio tra noi, tutto
ci ha senz'altro avuto nella radio esperienze molto significative.
La televisione, d'altra parte, ha quella laicit - che Ettore Bernabei arrivava provocatoriamente a
definire "ateismo" - da cui siamo realisticamente partiti, che effettivamente possono provocare
un senso di estraneit, di ghettizzazione.
Anche un altro punto va a mio avviso sottolineato: non di sole rubriche religiose vive la
testimonianza cristiana in tv. Procederei anzi alla formulazione di un'equazione abbastanza
precisa: tanto diventa globale il mezzo, tanto deve essere totalizzante l'esperienza proposta.
Per nella tv ci sono certamente una tradizione e una resistenza che non vanno sottovalutate. La
strada giusta mi sembra si possa indicare nel recupero della normalit di certi personaggi di
alcune popolari fiction, attraverso cui proporre i valori che li legano a una certa radice, a certe
tradizioni. Ed proprio andando oltre questi modelli che si recupera l'uomo, tramite inevitabile
per quell'interrogativo.
Perch anche per i contemporanei di Ges fu necessario che Ges si incarnasse. Nessuno, infatti,
avrebbe potuto cogliere la radicalit del messaggio, se non ci fosse stato un testimone ultimo ad
incarnarlo e rappresentarlo. Se questo valso per i contemporanei di Ges, a maggior ragione
vale per noi, che dobbiamo evidentemente vedere questa testimonianza attraverso storie umane
che siano portatrici di quella problematicit.

197

Tornando a prendere a pretesto la radio, se dovessimo lanciare uno slogan per dire che essa ha
dimostrato di poter assolvere a tale compito, potremmo anche dire che - perch la televisione
possa camminare su questa strada, che una strada di umanesimo cristiano - bisogna scavare
intorno al concetto di "televisione aperta".
Se noi scavassimo, per usare una provocazione in qualche modo popperiana, attorno a un
concetto di televisione che non ha pregiudizi, che ospita il contraddittorio fino in fondo, che
favorisce il confronto pi radicale tra gli individui pur naturalmente rimanendo nei confini della
tolleranza - se cio cercassimo di definire una televisione che si confronta col mistero, penso che
la definizione che ne potremmo dare proprio quella di una televisione che in tutte le sue
espressioni aperta, esattamente l'opposto di una "televisione dottrinale", poggiata su una
proposta pedagogica che era troppo spesso messa ad etichetta della testimonianza cristiana.
Invece l'humus della proposta cristiana, l'acquario in cui essa si muove, la televisione aperta che
prevale sulla televisione dogmatica. E qui vorrei sottolineare come il cattolicesimo, inteso come
esperienza storica di vita di una comunit, un'esperienza che si impernia appunto sulle
relazioni umane e non esclusivamente su testi scritti, su espressioni chiuse: perch il
cattolicesimo l'esperienza meno dogmatica che esista, di incontro dell'uomo con Dio.
Se questo vero, come io credo, tanto meno la televisione dogmatica, tanto pi aperta, e tanto
pi in grado di ospitare l'esperienza cristiana. Pensiamo a un esempio: nel campo dei
programmi scientifici ci sono due modi radicali, come insegna il mio collega ed amico Dario
Antiseri, di impostare il problema.
C' un modo che ha tutta la sua dignit e che io rispetto profondamente, un procedimento di tipo
descrittivo e quasi manualistico, corredato di bellissime immagini e ottimi testi, in cui si
descrivono le cose e si danno per fatte: le cose stanno cos perch cos ha spiegato la comunit
scientifica.
C' poi un altro modo, chiamiamolo qui ancora una volta "popperiano", in cui l'aspetto scientifico
viene s posto in tutta la sua potenzialit, ma mirando anche all'individuazione dei suoi limiti, nel
confronto con quell'oltre che fa interrogare non solo l'uomo comune ma anche lo scienziato,
facendogli dire "Eureka, eureka" quando viene contraddetto - perch sappiamo tutti, ormai, che
davanti alla contraddizione che la scienza fa un passo in avanti, costringendo l'uomo di scienza ad
escludere una data ipotesi per sposarne un'altra, immaginando e ipotizzando uno scenario
diverso.
Questo un altro punto su cui provvidenzialmente la televisione dovrebbe operare, perch non
farebbe altro che spalancarsi sulla modernit di una concezione scientifica che rinvia ad
interrogativi superiori e diversi, n magici n miracolistici, ma sicuramente atti a far cogliere fino
in fondo al telespettatore questo senso del limite.
Un'altra considerazione ruota intorno alla definizione del ruolo delle nuove tecnologie. Qui pi
che mai verrebbe da dire che "il mezzo il messaggio", nel senso che si tratta di chiedersi se lo
sviluppo della digitalizzazione dei sistemi sia strutturalmente pi idoneo a poter incanalare
quell'elemento testimoniale di cui parlavamo prima.
La risultante di questa analisi la situazione apparentemente paradossale di un mezzo come
Internet, che si differenzia dalla televisione, in cui c' una schiera di provveduti, di abili
professionisti i quali confezionano messaggi per diffonderli ad altri. Nella Rete non c' un vertice,
giusto o sbagliato che sia, che comunque elargisca verso la base, con l'unica speranza che questo
vertice sia rispettoso, aperto, pluralistico.
In Internet abbiamo il "farsi" di un dialogo, l'introdursi di attori. Abbiamo un paradosso: il
massimo della concentrazione tecnologica, perch questo sistema un sistema integrato,
mondiale, planetario, una tela di ragno intricatissima - con il massimo di decentramento

198

comunicativo, perch ciascuno pu penetrare dentro questo sistema da qualsiasi punto, attingere
e dialogare, solo che lo voglia.
Pensando al Giubileo ed oltre, perch ritengo che il Giubileo sia la grande prova generale della
Chiesa del terzo millennio, vorrei aggiungere che la Chiesa non solo benedice questi mezzi, ma se
ne appropria, e per Chiesa intendo non solo quella istituzionale, ma tutte le esperienze dei
cristiani, tutto il fermento di ricerca, di testimonianza cristiana che c' nel mondo.
Considero in tal senso la Chiesa portatrice di una peculiarit formidabile, sociologicamente
parlando, ma sappiamo che non solo un fenomeno ovviamente sociologico, perch ci investe nel
profondo: forse l'unica esperienza diffusa su tutto il pianeta, in alcune zone maggiormente, in
altre in un tono minore. Fondamentalmente, per, il Papa nei suoi viaggi non altro che una sorta
di internettizzazione fisica, che prelude alla internettizzazione elettronica, perch ovviamente
dopo le sue presenze s'immagina che rimanga, come rimane, il dialogo che viene instaurato.
Se ci vero, io vedo una provvidenziale congiunzione tra le caratteristiche di questi mezzi e la
peculiarit dell'esperienza religiosa, tipica del cristianesimo e del cattolicesimo in specie. Le
nuove tecnologie possono permettere la realizzazione anche di quella esperienza profonda,
radicale, per la quale la Chiesa possa sviluppare l'esperienza di vita tipica di una comunit, una
comunit che si riunisce, dialoga, si interroga, si contrasta, si confronta con gli altri, attraverso lo
strumento elettronico.
Ci sarebbe poi da dire circa il coinvolgimento di una realt sensoriale pi ampia, della realt
virtuale, parlandone al di l dell'oggettistica e della produzione "artistica" che la caratterizza per
alcuni aspetti. Certamente, per, possiamo affermare che la comunicazione va costantemente
verso un coinvolgimento pi ampio dei sensi, forse anche in modi pi semplici che non attraverso
quei marchingegni.
La realt virtuale, senza fare salti in avanti, anch'essa un fenomeno che pu consentirci di
vivere questa esperienza - la testimonianza di comunit cristiana - toccando il lembo del mantello
(direi citando il cardinal Martini), vale a dire arrivando forse anche a forme di tattilit.
Il percorso alla televisione di qualit ancora lungo e non mancheranno involuzioni e persino
regressioni. Ma ormai sembra inesorabilmente avviato. Naturalmente deve essere accompagnato
da validi strumenti di regolazione giuridica e sociali a livello nazionale e transnazionale. Ma
altrettanto sicuro che gli scenari ambivalenti dell'era della comunicazione elettronica devono
muoversi in una sola direzione, conciliando le reali antinomie: la direzione dei diritti
fondamentali della persona nella societ virtuale.

PLANETARIZZAZIONE, PERSONALIZZAZIONE, PIATTAFORMA

In ultima istanza, pu essere utile individuare una chiave di lettura ed una capacit di governo
della trasformazione. Nell'era della comunicazione gli slogan si presentano come chiavi di lettura
e di semplificazione che aiutano a dipanare la matassa della complessit. Possiamo quindi
accogliere con curiosit ed interesse la sigla delle "3P" che caratterizzano il nostro tempo:
planetarizzazione, personalizzazione, piattaforma.
Planetarizzazione ci d la dimensione dei processi in atto. Di fatto ogni progetto si giustifica oggi
per il suo obiettivo di essere almeno tendenzialmente orientato a coinvolgere l'intero pianeta.
Per quanto circoscritto, si misura sul tutto.
l'effetto, questo, della globalizzazione per cui un'iniziativa o tende a crescere o non esiste. Ci
vale soprattutto nelle politiche e nell'imprenditoria, ma vale anche nel mondo della professione,
che ormai deve misurarsi su un orizzonte senza confini. Cos anche il giornalista ha come suoi
competitors non solo le grandi firme dell'informazione nazionale, ma anche gli editorialisti del
New York Times o i conduttori della CNN.

199

E questo - a titolo di esempio - particolarmente ed immediatamente chiaro ai giornalisti via


Internet, il cui campo di gioco racchiude non in astratto ma in concreto i cinque continenti. Se
l'informazione proposta non soddisfa l'internauta, egli schizza immediatamente su un altro sito,
che pu essere ovunque. Qui la concorrenza effettivamente globale. Da cui deriva che il
giornalista on line lavora su una frontiera avanzata di confronto planetario su cui ben presto, per
non dire subito, si dovranno cimentare anche i colleghi off line che ancora operano nelle aree
protette dai confini nazionali dell'informazione, difesi ancora per poco dalla "barriera
linguistica". Il discorso quindi si capovolge: non sono gli internetgiornalisti subalterni ai
giornalisti "tradizionali", ma questi ultimi a doversi adeguare agli standard di chi vive la
planetarizzazione nell'esercizio della professione minuto per minuto, item per item.
Personalizzazione significa che sempre pi l'informazione sar raccolta e gestita da ciascun
individuo in modo diretto. Finora siamo stati coinvolti in una fase molto accelerata ma tutto
sommato ancora iniziale: quella, potremmo dire, del decentramento "vocale" dovuto al boom dei
telefonini. Alcune avvisaglie "visive" si stanno per manifestando attraverso la messaggistica
(SMS) e forme grafiche ancora povere, consentite dai sistemi come il WAP abbinati al GSM[6].
Ma di qui a due anni si profila l'avvio dell'UMTS, "la banda larga palmare", vero e proprio avvio
della comunicazione multimediale personalizzata. Non ci vuole la fantasia di Giulio Verne per
immaginare che i passi successivi saranno costituiti dal fatto che ciascuno di noi nel giro di pochi
decenni "indosser", come seconda pelle e come estensione di tutti gli organi di senso - compresi
quelli pi tattili e coinvolgenti come l'olfatto, il gusto, il palato, ecc. - un "esperienzialit" cio una
trasmissione di esperienze compiutamente multimediali, multisensoriali e multipercettive che gli
consentir di "vivere l'altro e l'altrove" attingendolo direttamente da un'offerta esterna, senza
costringerlo alla delocalizzazione fisica di se stesso. Questo sar l'effetto, tra l'altro, dell'intima
combinazione di elementi elettronici ed elementi neurologici, cui si avvertono le avvisaglie in
alcune sperimentazioni in atto, frutto di un mix di fisica e di biologia.
facile prevedere che i problemi della bioetica saranno nulla rispetto a quelli della
bioinformazione, perch quest'ultima avr sterminate e capillari capacit d'incidenza nelle
relazioni umane ed all'interno di ciascuno di noi. Di questo processo, di cui vediamo oggi solo gli
inizi, che pur a noi gi appaiono sbalorditivi, i giornalisti on line sono i pionieri, le pattuglie
avanzate, coloro che possono fin d'ora maneggiare i "bit staminali" mentre ancora la biologia si
interroga sulle possibili architetture ricavabili dalle "cellule staminali".
Mentre in biologia, infatti, bisogna risalire dal differenziato all'indistinto, in informatica si parte
dall'unit elementare per costruire le architetture di sistema. Naturalmente questa straordinaria
combinazione di fisicit e d'informazione, di biologia ed elettronica postula il rilancio di quella
che Neil Postman ha chiamato "ecologia dei media"[7], cio il tema della liceit degli atti
individuali e dello sviluppo sostenibile del pianeta in questa trasformazione.
Piattaforma indica lo snodo tra planetarizzazione e personalizzazione. la forma organizzativa
interstiziale che consente l'osmosi tra l'individuo ed il tutto. l'insieme di tecnologie, di
contenuti informativi, culturali, estetici, etici, di fattori economici, di relazioni umane, ecc. che
consentono la nascita di nuovi sistemi.
In essi ciascuno di noi chiamato a far parte di una rete o meglio di un insieme di reti tendente ad
un'unit nella differenziazione. In questo nuovo assetto reale-virtuale riecheggiano confortanti le
parole piene di speranza e di visione profetica di Marshall McLuhan (1982):
"Nei prossimi decenni spero di vedere il pianeta trasformarsi in una forma d'arte: l'uomo nuovo,
integrato all'armonia cosmica che trascende il tempo e lo spazio accarezzer, plasmer e
modeller ogni sfaccettatura dell'artefatto terrestre come se fosse un'opera d'arte. E l'uomo
stesso diventer un'organica forma d'arte. C' molta strada da percorrere e le stelle non sono
altro che stazioni di cambio lungo la via, ma abbiamo iniziato il viaggio. Essere nati in quest'epoca

200

un dono prezioso e mi rammarico della prospettiva della mia morte solo perch tante pagine
del destino dell'uomo, se mi si permette l'immagine gutenberghiana, non potr leggerle. Ma forse,
come ho cercato di dimostrare nel mio esame della cultura postalfabetica, la storia ha inizio
quando il libro si chiude[8]."

[1] Di qui in avanti, per i dati cfr. 34 Rapporto Censis, Franco Angeli, Roma 2000.
[2] Vittorio Zucconi, Usa, nozze tra Internet e tv, "La Repubblica", 11/01/2000.
[3] Antonio Pilati, Un'integrazione tra media e Internet, "Il Sole 24Ore", 11/01/2000.
[4] Dom Serafini, La concorrenza tv-computer frena la corsa alla convergenza, "Il Sole 24Ore",
11/01/2000.
[5] Per l'analisi, cfr. Marco Mele, Italia, corsa disordinata al digitale, "Il Sole 24Ore", 8/12/1999.
[6] Per una pi approfondita analisi dello sviluppo delle comunicazioni mobili e personali si
rimanda al successivo paragrafo 1.3. e, pi approfonditamente, al capitolo VII.
[7] Postman N., Ecologia dei media - La scuola come contropotere, Armando, Roma 1981.
[8] McLuhan M., Percezioni - Per un dizionario mediologico, a cura di Gianpiero Gamaleri,
Armando, Roma 1998.

201

ADRIANO PESSINA
CULTURA DELLA VITA E MENTALIT TECNOLOGICA

Introduzione
L'intento che guida queste pagine quello di individuare alcune delle componenti teoriche che,
nell'epoca contemporanea, influiscono sulle modalit di comprensione e di rappresentazione
della vita. Chiunque voglia promuovere e difendere, oggi, una "cultura della vita" deve cercare di
capire quali siano i modelli culturali che costituiscono l'ethoscontemporaneo. Lo sforzo di
interpretazione del presente richiesto sia dall'esigenza di istituire un dialogo con interlocutori
reali, con coloro, cio, che vivono e pensano secondo le strutture culturali oggi diffuse, sia,
intrinsecamente, dalla necessit di ritrovare le ragioni ultime in grado di formulare il senso della
nostra responsabilit di fronte agli aspetti specifici della nostra epoca. Pensare la storia, dentro la
storia, un compito anch'esso storico, di confronto con le categorie con le quali siamo chiamati a
pensare e ad esprimere la verit sull'uomo, sulla sua esistenza e sulla sua collocazione nel cosmo.
L'annuncio evangelico non ha bisogno, di per s, di una filosofia, ma ha sempre bisogno di una
ragione credente, perch la " fede e la ragione sono come due ali con le quale lo spirito umano
s'innalza verso la contemplazione della verit"[1]. Ma la legittimit di un apporto della filosofia,
condotta secondo i metodi, ed anche i limiti, che le sono propri, alla comprensione della vita, le
riconosciuta dalla stessa fede: infatti, tra le molteplici risorse "che l'uomo possiede per
promuovere il progresso nella conoscenza della verit, cos da rendere la propria esistenza
sempre pi umana (...) emerge la filosofia, che contribuisce direttamente a porre la domanda
circa il senso della vita e ad abbozzarne la risposta"[2].
Le annotazioni che intendiamo svolgere si pongono sul piano della ricerca filosofica e intendono
chiarire le condizioni che permettono oggi di riformulare questa domanda radicale sul senso
della vita all'interno di un contesto che, per quanto esteso, determinato, e precisamente il
contesto tecnologico occidentale.
Quella che definiremo "mentalit tecnologica" tende, tramite i fenomeni della globalizzazione
economica, ad estendersi e ad interagire anche con tradizioni culturali strutturalmente pre-
tecnologiche, come quelle, per esempio, che caratterizzano i paesi orientali. Ma non dobbiamo
dimenticare che la questione tecnologica dipende dallo sviluppo della scienza moderna e, in
questo, indubbiamente uno degli apporti pi cospicui del pensiero occidentale.
La capacit di penetrazione della "mentalit tecnologica" in contesti culturali differenti,
testimonia il fatto che la tecnologia qualcosa di pi di un semplice insieme di utensili "neutri".
Essa, infatti, influisce sui comportamenti e sulla stessa rappresentazione della realt, rafforzando
tutte quelle categorie culturali che le sono funzionali. La questione indubbiamente complessa.
L'intreccio di diversi fattori non permette, quindi, un'analisi che possa superare il semplice piano
della riflessione. In questo senso, possiamo definire questo nostro contributo come un tentativo
di chiarificazione e di orientamento nella complessa situazione contemporanea.

La cultura tecnologica

Prima di tutto opportuno chiarire che cosa si intende per "cultura tecnologica". Essa
corrisponde all'immagine che la tecnologia fornisce di s. Possiamo identificarla con il processo
di legittimazione della complessa impresa, data dall'intreccio tra scienza, tecnica ed economia,
con la quale l'uomo occidentale intende governare e razionalizzare i vari aspetti della propria
esistenza. Questo processo produce e diffonde alcune persuasioni che finiscono con il costituire
una larga parte della civilt occidentale. Per comprendere adeguatamente questa "cultura"

202

necessario fuggire la tentazione di costruire dei modelli ideali che istituiscano una mitica
contrapposizione tra il presente e il passato.
Una delle costanti dell'analisi dei processi culturali rappresentata dalla confusione tra la
polarit dei modelli teorici e la polarit dei contesti storici. Mentre ha senso rilevare
l'opposizione tra impianti teorici differenti, che a volte hanno avuto maggiore diffusione in
particolari periodi storici, errato contrapporre, idealizzandoli, il passato e il presente. Ogni
periodo storico manifesta caratteri propri e l'irreversibilit del tempo richiede che si governino
gli elementi specifici della propria condizione storica, senza costruire "miti", pi o meno
consolatori. Si deve inoltre aggiungere che l'opposizione dei modelli teorici non comporta che
essi siano contraddittori, cio che l'uno escluda l'altro[3]. Finch i modelli restano contrari ma
non contraddittori possibile ed auspicabile una sintesi che conservi ci che di positivo essi
esprimono: ma una sintesi richiede innanzi tutto un punto di vista in grado di formulare una
gerarchia sia di beni sia di strutture teoretiche. Non difficile constatare come questa impresa sia
tanto urgente quanto ardua. Una consapevole ed articolata "cultura della vita" potrebbe
realmente contribuire a questa impresa, ridando spessore e significato all'antropocentrismo
occidentale, che resta un punto di riferimento non rinunciabile alla costruzione della civilt, ma
che oggi conosce diverse forme di "crisi". Crisi che strettamente connessa sia con le forme della
secolarizzazione proprie dell'Occidente, sia con la perdita della consapevolezza della condizione
"finita" della persona umana.
Per una chiarificazione dei problemi che oggi siamo chiamati ad affrontare, al fine di rispondere a
questa "crisi", o, meglio ancora, al fine di evidenziare l'esistenza di questa situazione critica,
necessario comprendere che cosa introduca la "mentalit tecnologica" nella struttura
dell'ethos contemporaneo.
Un principio che ci pu servire da guida quello formulato da Hans Jonas[4], quando ha scritto
che "si comprende ci che in gioco soltanto quando si sa che in gioco". Dobbiamo perci
chiederci "che cosa in gioco" nella scommessa esistenziale che oggi viene promossa dalla
cultura tecnologica. Una cultura della vita formulata nel contesto occidentale non deve rinunciare
a quanto c' di buono nello sviluppo tecnoscientifico, ma, nemmeno deve chiudere gli occhi di
fronte ad impostazioni unilaterali e a forme di violenza e di ingiustizia che questo stesso sviluppo
introduce.
Il riferimento al passato ha, perci, una valenza metodologica: esso ci permette di individuare le
trasformazioni e di comprendere come ogni epoca viva e percepisca con modalit proprie le
questioni pi radicali dell'esistenza. E la comparazione ci permette di sfuggire ad un implicito e
vissuto storicismo che ci porterebbe facilmente a pensare l'identit tra lo sviluppo e il progresso,
tra la novit e la bont. Se riusciremo a comprendere le profonde trasformazioni delle categorie
culturali e delle esperienze umane mediate dalla tecnologia, riusciremo, forse, a meglio
individuare quali siano gli argomenti che oggi dovremo porre a servizio di una cultura della vita
capace di coniugare verit e storicit.

Le trasformazioni culturali

Come ha osservato Francesco Barone, "Parlare di et "tecnologica" implica il riconoscimento di
altre "et" che tecnologiche non sono state"[5]. Ma questo non pu farci scordare che esistono
delle continuit nei processi storici e che la determinazione dell'inizio dell'et tecnologica
dipende in larga misura da come si interpreta il fenomeno della tecnica in relazione all'agire
umano. In questa sede non certo possibile sviluppare questo argomento. Tanto meno possiamo
prendere in considerazione la vasta letteratura che si occupata del fenomeno della tecnica

203

nell'epoca contemporanea[6]. Per semplificare, ci limiteremo a ricordare come la tecnologia sia


strettamente connessa con la formazione della scienza moderna.
A differenza della tecnica, intesa come semplice arte del costruire utensili, la tecnologia partecipa
a pieno titolo anche dei processi scientifici e ne costituisce, di volta in volta, il mezzo e l'esito.
Cos, per esempio, il microscopio elettronico uno strumento conoscitivo e l'esito delle
conoscenze acquisite nell'ambito dell'ottica e dell'elettronica. Fatte queste precisazioni, qui
cercheremo di mostrare alcune delle trasformazioni che sono connesse allo sviluppo tecnologico.
Inizieremo con il determinare i modi con cui l'uomo ha posto in relazione la prassi e la verit. In
termini alquanto sintetici, possiamo distinguere tre impostazioni che di fatto si sono affermate, a
livello culturale, in differenti periodi storici.
La prima impostazione pone l'equivalenza tra la verit e l'essere della realt ("verum est ens"); la
seconda, pone nell'opera dell'uomo la fonte della verit ("verum quia factum"); la terza, che
corrisponde all'avvento della cultura tecnologica, pone nel fattibile la verit e il senso della realt
("verum quia faciendum").
Questi diversi approcci alla realt, che di fatto possono legittimamente coesistere quando
vengono definiti i rispettivi confini epistemologici che li contraddistinguono, possono essere letti,
in chiave storica, come i modelli predominanti nella cultura medioevale, in quella moderna e in
quella contemporanea. Sul piano teoretico, queste impostazioni possono essere descritte in
questi termini:
a) la prima impostazione propria della tradizione metafisica occidentale ed appartiene alla
cultura ebraico-cristiana. In essa si afferma che l'intelligibilit del reale trova il suo fondamento
nel creazionismo. La prassi umana, pertanto, si orienta a riconoscere la verit delle cose[7] e
ritiene che il senso della realt non possa venire istituito dall'attivit conoscitiva dell'uomo, dai
suoi progetti o dalle sue esigenze. La realt, certo, "a portata di mano", a disposizione
dell'opera plasmatrice dell'uomo, ma l'uomo sa che il compito di umanizzare la natura-ambiente
pu individuare criteri non arbitrari per stabilire ci che bene fare e ci che, invece, male.
b) Nella seconda impostazione, che ha origine nella scienza moderna, si pone l'intelligibilit
nell'opera dell'uomo: la prassi umana, pertanto, costruendo la storia ed edificando la scienza
attraverso l'esperimento, in grado di rendereintelligibile una natura-ambiente che considerata
come materia bruta, opaca e insignificante fuori dalla progettualit dell'uomo. Questa
impostazione, che comporta, dapprima metodologicamente, poi contenutisticamente, una
"neutralizzazione" assiologica della realt, trova eco ed ampia diffusione attraverso alcune
impostazioni filosofiche "moderne". Come dir Kant, "la ragione vede solo ci che lei stesso
produce secondo il proprio disegno"[8].
c) Nella terza impostazione, che si costruisce sul depotenziamento pratico della natura-
ambiente, cio sull'effettiva capacit di trasformare gli elementi costitutivi della natura-ambiente,
frutto del connubio tra scienza e tecnica, la verit spostata nel futuro, come luogo della verifica
del progetto dell'uomo. La trasformazione concettuale dello sviluppo (cio del semplice
incremento di un'attivit) in progresso (cio in un incremento riconosciuto come "buono"), trova
qui il suo radicamento.
Queste tre impostazioni, in s, possono vantare una loro legittimit teorica soltanto se evitano di
escludersi a vicenda e si sottraggono all'autoreferenzialit. Questi tre modelli teorici, infatti,
rispondono a differente esigenze conoscitive. Sebbene qui possiamo soltanto abbozzare la
questione teorica inclusa nella relazione tra le differenti forme del conoscere (e quindi del
significato analogo della nozione di verit), risulta facile comprendere il processo storico che ha
portato alla marginalizzazione teorica del problema della verit sull'uomo e sulla sua
"collocazione nel cosmo". Queste impostazioni, infatti, determinano in modo differente il
significato e il compito della razionalit umana.

204

Il successo della ragione tecnoscientifica non soltanto sul piano dell'estensione del sapere umano
in ordine ad alcuni fenomeni empirici, ma a livello della trasformazione della qualit della vita, ha
condotto all'indebita conclusione che l'unico ambito entro cui ancora possibile stabilire la
differenza tra la verit e la falsit sia quello governato dal modello delle scienze sperimentali.
Da questo punto di vista, la contemporaneit ha portato, per cos dire, a compimento un processo
di capovolgimento delle prospettive, relegando forme di sapere come la filosofia e la teologia
nell'ambito delle opinioni (della doxa), cio di quelle impostazioni che non hanno pi a che fare
con la verit e la falsit, ma soltanto con le teorizzazioni delle scelte individuali, delle opzioni
esistenziali. Opzioni che, come tali, sfuggono alle categorie della ragione.
Jonas ha colto in questa situazione uno degli aspetti della cosiddetta crisi dell'uomo moderno. In
un saggio intitolatoProblemi attuali nell'etica in una prospettiva ebraica, Jonas scrive: "La ragione,
vittoriosa grazie alla scienza, ha distrutto la fede nella rivelazione senza tuttavia sostituire
quest'ultima nella sua funzione di punto di riferimento per le nostre scelte fondamentali. La
ragione ha reso se stessa incapace di svolgere tale funzione, nella quale un tempo era in
competizione con la religione, precisamente quando si poneva, in forma di scienza, quale unica
autorit riguardo alla verit. La sua abdicazione nella sfera d'azione originaria la conseguenza
del suo trionfo in altre sfere: qui il suo successo si basa sulla ridefinizione dei possibili oggetti e
metodi della conoscenza che esclude interi ambiti di altri oggetti. Tale situazione si riflette
nell'incapacit della filosofia contemporanea di fornire una teoria etica, cio di attribuire un
valore a delle norme etiche in quanto parti del nostro universo conoscitivo".[9]
Detto altrimenti, l'uomo contemporaneo continua ad avere la domanda sul "come vivere" ma non
ritiene che una risposta possa essere data dalla filosofia o dalla fede. Egli pensa che filosofia e
fede non abbiano pi a che fare con la verit e con la ragione, ma possano al pi compiere
un'opera di supplenza esistenziale per coloro che non hanno raggiunto la piena emancipazione
razionale, che solo la scienza pu dare. Le scelte fondamentali, quindi, dovrebbero trovare nelle
promesse della tecnologia il loro criterio. Questo, perci, significa pensare che anche i problemi
che pure si intravedono debbono trovare la loro soluzione nello sviluppo tecnologico: la
conoscenza dell'uomo e la costruzione della sua esistenza attendono dalle tecnoscienze una
risposta.
Questa convinzione dipende, in larga misura, dalla progressiva familiarizzazione della cultura
contemporanea con il modello cibernetico, che la grande invenzione metodologica della
modernit. Pensare l'uomo nei termini di una "macchina" vivente significa tentare di
comprenderne il "funzionamento" e quindi di individuare ci che serve alla sua vita. La
"macchina" risponde pienamente all'esigenza di razionalizzazione della realt. In essa non c'
niente di "misterioso" e il suo valore dipende direttamente dalle finalit che l'uomo stesso ha
stabilito.
Pensare l'uomo e la vita attraverso il modello cibernetico significa esporre la vita ad una
comprensione puramente funzionalistica e meccanicistica, sempre pi prossima alla definizione
del "come" avvengono i fenomeni, ma anche sempre pi lontana dalla individuazione del
"perch" della vita e della realt. Questa visione funzionalistica (che ha i suoi "vantaggi" teorici
nel campo della biomedicina) rischia per di produrre una concezione unilaterale dell'esistenza e
di eliminare la questione decisiva della "finalit" dell'esistenza.
Questa trasformazione culturale induce a pensare tutti i "limiti" dell'esistenza come dei "puri
ostacoli" da superare: il fattibile non diventa soltanto lecito, ma persino "doveroso". Se, infatti, la
"verit" dell'esistenza si radica soltanto nella progettualit, soltanto portando a compimento il
processo tecnologico e sperimentale che si potr rispondere all'ansia di verit che pure sotteso
all'impresa tecnoscientifica. In questa impostazione si radica il carattere antientropico della

205

tecnoscienza contemporanea e la difficolt di far emergere i problemi etici che sono connessi a
questa nuova estensione del potere umano.
Non difficile notare come l'autorevolezza della fede e, qualche volta, della filosofia, sembrano
essere accettate soltanto sul piano della soggettivit e di fronte agli scacchi esistenziali ed emotivi
introdotti dall'esperienza del dolore e della morte.
Questa funzione "consolatrice" per marginale a fronte di una scienza che promette
un'estensione sempre pi indeterminata della vita e propone rimedi al dolore e, persino, la
sconfitta della morte. Non importa che queste promesse siano o no mantenibili: l'autorevolezza
della tecnoscienza strettamente connessa, in un certo immaginario collettivo, con la sua
capacit di razionalizzare la vita, di sottrarla alla causalit degli eventi. In questa prospettiva, si
capisce come l'idea dell'eutanasia, quale ultimo atto di autodominio "razionale" nei confronti
della propria esistenza, si diffonda. In concomitanza potremmo leggere anche il motivo del
consenso che accompagna le tecniche di procreazione extracorporea: esse promettono un nuovo
controllo sulla vita e sulla salute, rappresentano una potente assicurazione in ordine alla
costitutiva paura del dolore e della morte.
I due "limiti" dell'esistenza, quelli che ne indicano la passivit, e cio il nascere e il morire,
sembrano non avere un "senso proprio" laddove non corrispondano ad un progetto umano. Il
"valore" della vita, umana e no, sono cos strettamente connessi al piano dei "desideri".
Gi nella prima met del secolo scorso, Guardini aveva compreso che cosa comportava un
processo di razionalizzazione compiuto escludendo gli aspetti della vita che non sono alla portata
del potere umano: "l'insieme degli avvenimenti di cui consta la vita -scrive Guardini- non appare
pi come la Provvidenza di cui Cristo ha parlato, e neppure come quel mistero del destino, quale
lo sentivano gli antichi, ma come una semplice catena di cause e di effetti empirici, che possono
essere compresi e guidati. (...) Tutte le eventualit della vita vengono "previste", calcolate
secondo la frequenza e l'importanza e rese inoffensive. Gli eventi capitali della vita umana:
concepimento, nascita, malattia, morte, perdono il loro carattere di mistero. Divengono fenomeni
biologici e sociali di cui si occupa una scienza e una tecnica medica sempre pi sicura di s. E
quando rappresentano dei fatti che non possono essere domati, allora si "anestetizzano", si
sopprime la loro importanza; e qui, ai margini, della cultura, appare una tecnica complementare a
quella che mira a trionfare razionalmente della malattia e della morte, e cio l'eliminazione di
quella vita che non appare pi degna di essere vissuta allo stesso vivente, o non appare pi
corrispondente ai fini che lo Stato si propone"[10].
Possiamo trarre una prima conclusione: nella cultura tecnologica la prassi umana non guidata
da alcuna "verit" oggettiva. I concetti di "limite", di "rinuncia", di "sacrificio" non hanno pi
"senso", cio non sono capaci di indicare dei "beni" da preservare, non sono pi pensati come la
condizione per realizzare beni non immediati e superiori. Essi diventano soltanto i segni
"provvisori" di un'emancipazione umana non ancora compiuta.
Da questo punto di vista, come dicevamo, il possibile non soltanto si presenta come lecito, ma
persino come doveroso. La strutturale ambiguit del possibile cela il problema di ci che
"compossibile". Infatti, la struttura finita della condizione umana impone che, a fronte di un
radicato desiderio di ottenere tutti i beni, e tutto il bene possibile, si debba scegliere: e ogni scelta
comporta una rinuncia. Ma la rinuncia deve essere guidata da un criterio. Questo criterio pu
essere colto in modo non arbitrario soltanto se ci si impegna a stabilire la "verit" dell'esistenza
umana e a costruire, quindi, una gerarchia di beni.
Cos, per esempio, se possibile risolvere il problema della malattia, della sofferenza, della morte,
allora doveroso tentare, purch questa impresa non vada a discapito di altri beni e non finisca
con l'offuscare la "verit" sull'uomo, proiettando nel desiderio il fondamento della verit stessa.
Alla dinamica della cultura tecnoscientifica sfuggono la comprensione di alcuni, decisivi, elementi

206

dell'esistenza. Essa legittima ogni mezzo in grado di realizzare i desideri umani (in s,
astrattamente considerati, buoni) e rischia di non far percepire la questione morale (del bene e
del male) del "mezzo" usato, valutato solo in termini di maggiore o minore efficacia.
La cultura tecnologica si propone come una larvata e latente metafisica, come una sorta di
implicita Weltanschauung.
Dal punto di vista teorico, abbastanza semplice denunciare il fatto che il primato della ragione
strumentale promosso dalle tecnoscienze non in grado di assicurare questa autoreferenzialit:
essa, infatti, non in grado di stabilire "quali" fini, quali "desideri" siano o no legittimi, ma pu
soltanto indicare i mezzi pi adeguati. Non a caso, infatti, la cultura tecnologica continua a fare
riferimento, per legittimarsi, al bene dell'uomo e ad alcuni "beni" (la salute, l'estensione della
libert, l'emancipazione dal dolore e dalla fatica), ma non sa dire perch questi siano beni da
perseguire e quale sia ilsenso (significato e direzione) di questa tensione esistenziale. Lo scacco
teorico per celato agli occhi di molti da due fattori. Da una parte il successo pratico dello
sviluppo tecnologico; dall'altra l'eliminazione di ogni dibattito serio intorno al senso della vita,
relegato nell'ambito della pura opzione e privato del suo originario e costitutivo riferimento alla
questione della verit.

Trasformazioni dell'esperienza: la tecnologia come forma di liberazione

Non potremo mai comprendere adeguatamente la cultura tecnologica se non prenderemo
seriamente in considerazione quali profonde trasformazioni essa ha introdotto e sta
introducendo nell'esperienza umana. In s considerata, la tecnologia costituisce uno dei pi
potenti elementi di emancipazione dell'uomo dai vincoli fisici in cui si trovato a costruire, nei
secoli, la propria identit.
L'invenzione delle "macchine" ha progressivamente liberato l'uomo da molti limiti, ha
trasformato il modo della produzione dei beni, ha ridotto la fatica fisica, gli ha permesso di
superare molte barriere spazio-temporali. Ha anche modificato la percezione della natura-
ambiente, sempre pi letta attraverso formule biochimiche, relazioni matematiche e
rappresentazioni di stampo strumentale. Qui non possiamo approfondire questo tema. Ci
limitiamo a ricordare che una lettura a senso unico della realt vivente offusca progressivamente
la stessa immagine dell'uomo, che condivide con la natura-ambiente non soltanto uno spazio
vitale ma le stesse componenti di base. La neutralizzazione assiologica di tutto il biologico
attraverso un'interpretazione puramente tecnoscientifica ha una pesante ricaduta sulla stessa
percezione dell'umano: basterebbe pensare alle attuali discussioni che riguardano zigoti,
embrioni, blastocisti e feti umani, termini scientifici che celano il fatto che queste sono fasi di
sviluppo di un figlio. Le trasformazioni linguistiche sono anche trasformazioni culturali e hanno
un'immediata ricaduta sul piano della comprensione dei fenomeni etici e di quelli esistenziali.
Chi nato nell'et della tecnologia fatica a comprendere la portata pratica e teorica propria anche
dei nuovi mezzi di telecomunicazione: strumenti di uso quotidiano, come il telefono, la
televisione o internet, permettono relazioni interpersonali prima assolutamente impensabili.
Senza voler essere irriverenti, possiamo fare questa annotazione: se prima dell'avvento della
tecnologia era necessario un "miracolo" per poter comparire di fronte ad una persona che
risiedeva a migliaia di chilometri di distanza, oggi basta internet ed una web-cam e noi possiamo
apparire al nostro interlocutore d'oltre-oceano. Risulta "banale" compiere atti che, grazie alla
mediazione della tecnologia, un tempo sarebbero stati straordinari e "miracolosi". Altrettanto
"banale" percorrere distanze notevoli, grazie agli aerei, in poche ore. La percezione stessa della
temporalit risulta mutata: l'uomo che vive i risultati della tecnologia pu godere di tempi liberi

207

dalla fatica, dal lavoro, che prima erano impensabili: non a caso la nostra societ ad avere come
problema quello del "tempo libero".
Una menzione meriterebbe anche la percezione estetica. L'esperienza musicale, teatrale, oggi pu
essere attuata, banale ricordarlo, senza bisogno di andare ad ascoltare orchestre o di recarsi a
teatro a vedere attori: bastano dischi e videocassette e ognuno pu, praticamente in qualsiasi
luogo, grazie a strumenti portatili, godere di ci che stato fatto una volta ed ora a portata di
mano.
Certamente, si possono dire e scrivere molte cose contro la cultura di massa, l'appiattimento del
gusto e l'assenza dell'originalit: ma non si pu negare che ci che prima era esclusivo possesso
di pochi oggi diventa bene fruibile di molti[11].
Prima di condannare o di esaltare questa situazione, necessario comprendere. Infatti, non
possiamo dimenticare che questa situazione frutto dell'ingegno umano ed uno sei segni della
reale differenza dell'uomo dal resto dei viventi. Proprio perch il fenomeno tecnologico un
fenomeno complesso, esso interagisce con le modalit di rappresentazione proprie dell'uomo
contemporaneo. La tecnologia modifica il nostro modo di vivere e induce comportamenti e
dipendenze nuove. Proprio per la sua complessit, la tecnologia , al tempo stesso, uno strumento
di emancipazione e un fattore di dipendenza. La tecnologia, infatti, crea nuove e differenti forme
di " esposizione" esistenziale dell'uomo. A differenza dei puri utensili, che creano abitudini
facilmente correggibili e sono facilmente dominabili, la tecnologia influisce in modo radicale nelle
costruzione delle proprie abitudini. Essa, inoltre, introduce una netta separazione tra coloro che
fruiscono dei prodotti tecnologici e coloro che sanno quali sono gli elementi teorici e pratici che
la rendono possibile. Molti sanno usare un computer ma quanti sanno dire in base a quali principi
fisici avviene la trasformazione di una pressione su un tasto in un'immagine su uno schermo?
Le "macchine" non fanno soltanto parte del nostro ambiente familiare, al punto che naturale ed
artificiale si integrano e compenetrano, ma diventano parte costitutiva della nostra
rappresentazione della vita e della realt: il modello cibernetico rappresenta cos lo strumento
con in quale si descrive la corporeit, il macroscopico e il microscopico.
Come ebbe ad osservare, gi nel 1956, Anders, la "macchina" diventa il nostro modello di
perfezione: "Credo di essere capitato sulle tracce di un nuovo pudendum; di un motivo di
vergogna che non esisteva in passato. Lo chiamo, per il momento, per mio uso, vergogna
prometeica, e intendo con ci vergogna che si prova di fronte all'umiliante altezza di qualit degli
oggetti fatti da noi stessi".
Che cosa si pu guadagnare da queste osservazioni in merito al tema della "cultura della vita"?
Prima di tutto un'osservazione: la tecnologia dilata le possibilit. E il possibile mostra, ed un
fatto positivo, gli autentici caratteri dell'esperienza morale, cio la dimensione della
responsabilit. Nella prospettiva morale il divieto non indica una impossibilit fisica, un limite
estrinseco, ma il richiamo ad una scelta, ad un vincolo intrinseco. Da questo punto di vista, non ci
sono azioni che non si devono fare perch impossibile compierle, ma perch male compierle,
cio contraddicono la dinamica propria della possibilit come vocazione alla pienezza del bene.Il
rapporto tra essere e dover essere si manifesta pienamente di fronte alla dilatazione dei possibili.
In questo senso la tecnologia fonte di liberazione ma anche appello al significato morale e non
soltanto fattuale della libert.
Di fronte ai molti beni l'uomo chiamato a porre una gerarchia e a riscoprire il bene che gli
necessario perch il suo potere non diventi fonte della sua dissoluzione esistenziale e vitale. Se,
quindi, la tecnologia ha un merito radicale, questo quello di condurci di fronte alla domanda
del senso del potere umano. Da una parte, infatti, la tecnologia sembra insegnarci che
basti volere per potere: dall'altra ci interroga sullo scopo di questo potere che ci caratterizza.

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Il potere dell'uomo non diventa violenza soltanto quando se ne trova la fonte e la destinazione. E
il potere dell'uomo si comprende solo riscoprendo la vocazione dell'umano.
Si pone qui, come gi dicevamo, un il punto di frattura con la pretesa della mentalit tecnologica
ad essere autoreferenziale. Il potere umano, infatti, va compreso in ordine al problema del senso
dell'esistenza umana e questo problema non trova risposta se non si riapre, anche nella nostra
civilt, la questione di Dio. Se, infatti, la tecnologiapotenzia il potere dell'uomo e quindi ne esalta
la libert, essa risulta incapace di definire l'orizzonte nel quale questopotere va esercitato,
questa libert attuata.
Ci che, senza fatica, possiamo definire come il disagio della nostra epoca, infatti, deriva da
questa assenza del sensoultimo del potere umano. Ci che Weber definiva come il
"disincantamento" del mondo, porta con s nuove forme di angoscia e di stanchezza esistenziale.
Di fronte ad un progresso che mitologicamente pensato come "infinito", l'uomo contemporaneo
rischia di essere "stanco" della vita e non "sazio". Da qui nascono nuove forme di paura nei
confronti della morte, nuove forme di "nausea" nei confronti di una vita che sembra priva di
"scopo", nuove forme di discriminazione nei confronti di coloro che non soddisfano i nostri
desideri, i nostri bisogni, le nostre rappresentazioni della qualit del vivere.
Le relazioni umane, che la tecnologia permette di ampliare e persino di approfondire, si
trasformano rapidamente in una esaltazione dell'impersonale e dell'individuale. I legami
interpersonali, che passano attraverso la nozione di rispetto, di giustizia, di dedizione, rischiano
continuamente di precipitare nell'anonimato di una vita che ha perso il senso della temporalit e
che non sa pi apprezzare il valore della finitezza. La stessa comunit, che si costituisce attorno
ad uno scopo, si dissolve nelle funzioni impersonali che garantiscono soltanto l'utile.
La "crisi" dell'uomo che assume come unico orizzonte di senso il potere della civilt tecnologica
legata a questa nuova forma di "ansia" dell'assoluto, che lo porta continuamente a spostare i
confini della propria opera, ad "investire" nel futuro la sua scommessa sull'esistenza. La
tecnologia promuove forme impersonali per soddisfare bisogni personali, come quelli della
comunicazione, della salute, della conoscenza. Ma la cultura tecnologica (che va distinta dalla
tecnologia) funziona proprio perch fa sparire la soggettivit e trasforma la verit in un progetto:
nasce qui un'intima contraddizione tra l'origine umanizzante del progetto tecnologico e il suo
esito, allorch questa origine va perduta nel suo significato e nella sua normativit.

Qualche annotazione conclusiva

La cultura della vita innanzitutto "sapere" della verit sull'uomo e sul suo fine ultimo: solo
ritrovando la familiarit con Dio come fondamento della libert umana e come compimento del
suo desiderio di assolutezza, la vita assume significato e pu esprimere pienamente la dinamica
religiosa che pu condurla ad ascoltare il Vangelo della Vita. Oggi, questo annuncio deve fare i
conti con una progressiva riduzione dell'esperienza religiosa umana e con una rappresentazione
di Dio come realt alternativa all'uomo e alla sua libert.
Per quanto possa risultare illusoria l'impresa di una costruzione dell'esistenza che non risponda
alla domanda sul suosenso (significato e finalit), la cultura tecnologica tenta questa via con
un'efficacia ben maggiore delle forme di irreligiosit e di ateismo che si sono storicamente
affermati nei secoli precedenti. Se, giustamente, E. Gilson, ha potuto parlare di "ateismo difficile"
per indicare gli scogli teoretici di qualsiasi impresa che tenti di negare l'esistenza di Dio[12], va
osservato che oggi la negazione di Dio passa attraverso l' "indifferenza" nei confronti
dell'esperienza religiosa. Ma la radice dell'esperienza religiosa non ha a che fare con la
soddisfazione di alcuni bisogni, ma con la domanda sulla "verit" della vita, quella verit che
fonda ed orienta la libert.

209

Da questo punto di vista, forse, il benessere offerto dal progresso tecnoscientifico potrebbe
veramente permettere una purificazione dell'esperienza religiosa ed una essenzialit
dell'annuncio cristiano, ricollocando al centro dell'esperienza di fede la verit di una relazione
costitutiva tra l'uomo e Dio, tra la storia e Dio, tra il mondo e Dio. Se, come scrive Guardini, l'
"esperienza religiosa" indica l'intuizione che "percepisce direttamente un elemento numinoso in
tutte le cose, in tutti gli avvenimenti>>, per cui la realt conserva un significato che trascende ci
che oggi noi chiamiamo realt empirica, allora possiamo dire che questa "intuizione vada
indebolendosi sempre pi"[13].
Per troppo tempo la cultura occidentale ha collegato la dimensione religiosa alla preoccupazione
di soddisfare le angosce e le insoddisfazioni dell'uomo, facendo della fede una risposta
esistenziale sradicata da ogni preoccupazione per la sua veridicit: non difficile comprendere
che quando la tecnologia riesce a soddisfare (o almeno promette di soddisfare) le esigenze
dell'umano, essa finisce con il radicarsi in quella religione del progresso e dell'emancipazione
dell'uomo che oggi si alimenta nel ricorrente mito "salutistico".
Non possiamo infatti ignorare che oggi la promessa tecnologica la promessa della "salute" e
della perpetua "giovinezza": il mito salutista oggi il pi potente surrogato della domanda di
salvezza che ha percorso la complessa storia dell'umanit. Non importa se questo nuovo mito
occidentale o no in grado di assolvere a questa promessa: ci che risulta chiaro che le nuove
forme di discriminazione, di emarginazione e di violazione della vita umana, nascente e morente,
nascono dentro questo mito salutistico e vitalistico. Le prassi eugenetiche che percorrono la
civilt tecnologica, le sacche di disperazione e di solitudine che si manifestano dentro le mura
della nostra civilt, sono il "prezzo" di questo mito.
L'annuncio di Nietzsche della "morte di Dio" sempre stato correlato alla promessa della nascita
dell'"oltre-uomo", di colui che avrebbe potuto ritrovare in s la risposta all'ansia di infinito che
non pu essere cancellata. Una cultura della vita, allora, ha oggi il compito di far scoprire il senso
della finitezza umana, di ridirne la verit. Perch dentro la finitezza che si manifesta la verit
della vita e cio che Dio partecipa della storia dell'uomo sia perch lo costituisce qui ed ora nella
sua libert, sia perch nell'Incarnazione si annuncia la "chiave dell'interpretazione
dell'esistenza"[14].
Di fronte all'ambiguit dello sviluppo tecnologico, e ai pericoli per l'esistenza dell'uomo e del suo
stesso ambiente, bisogna ricordarsi che la crisi richiede sempre una "decisione fra possibilit
negative e positive, e la questione di sapere dove cada questa decisione. Se di fronte a questa
crisi nasce l'impressione che si esasperi il pericolo di ci che negativo, ingiusto, distruttivo, ci
rappresenta qualche cosa di nuovo non in modo essenziale, ma solo nei riguardi dell'intensit.
Quel pericolo sta nell'uomo, in senso assoluto, e non esclusivamente connesso al tempo che
sopraggiunge; la giusta posizione pu essere solo quella di accettare la situazione che ci data e
di dominarla dall'interno, appoggiandosi alle forze pi pure dello spirito e della Grazia. Se
falliamo non significa che la nostra epoca, come tale, sia decadenza e rovina, ma diviene evidente
che in ogni tempo l'uomo soggetto a decadenza e rovina e ha bisogno della Redenzione: ci che
in determinate circostanze pu essere meno evidente che in altre"[15].
Oggi, un contributo alla cultura della vita pu essere dato anche da una ripresa della
problematica metafisica. Sebbene ci siano molti aspetti della riflessione di Jonas che lasciano sia
insoddisfatti sia perplessi, assolutamente condivisibile quanto scrive a proposito del compito
della metafisica: "Noi non sosteniamo quindi che soltanto con la scomparsa della fede la
metafisica ha dovuto assumersi un compito che in precedenza la teologia era gi a modo suo in
grado di assolvere, ma che da sempre questo compito stato suo e soltanto suo -nelle condizioni
della fede come della miscredenza, la cui alternativa non influisce minimamente sulla natura del
compito. Dalla teologia la metafisica pu apprendere soltanto una radicalit, fino ad allora

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sconosciuta, nel porre interrogativi, tanto che un quesito quale quello leibniziano (scil. Perch
esiste qualcosa e non nulla) sarebbe stato impossibile nella filosofia antica".[16]
Questa necessit di una riflessione metafisica data dal fatto che la sviluppo tecnologico pone
problemi che non riguardano soltanto l'agire umano ma il suo stesso essere e l'essere della
realt: problemi ontologici che la mentalit tecnologica non in grado di risolvere. Il contributo
della filosofia oggi strettamente legato alla sua capacit di superare alcuni dogmi della
modernit, come quelli che vietano di riaprire il discorso sulla verit nell'ambito della
problematica metafisica o quelli che impediscono di ritrovare i nessi costitutivi tra azione umana
e fine ultimo dell'esistenza, tra essere e dover essere.
Forse un altro segno dell'influsso della mentalit tecnologica riscontrabile nell'alone di sfiducia
che circonda questa impresa, giudicata inefficace. Per l'uomo contemporaneo, abituato a pensare
che soltanto ci che ha statisticamente dei margini di successo ha valore di progetto da
perseguire, sembra che il discorso metafisico, per quanto possa essere vero, sia "inutile". Cedere
a questa ragione strumentale significa abdicare ad un compito che non connota soltanto la
filosofia come disciplina specifica, ma la stessa struttura della ragione umana. A ben vedere, al di
l delle differenze e delle opposizioni, ci che accomuna tutti i progetti umani pur sempre il
terreno della ricerca della verit: spezzare una visione unilaterale ed univoca di questa impresa
in fondo ci che richiesto oggi.
Non necessario rinunciare alla verit delle scienze, alla verit delle tecnologie, se si in grado di
leggerle in quella verit dell'essere che le fonda, le giustifica e le orienta. Solo in questo modo si
potr comprendere perch le inevitabili rinunce che riguarderanno l'azione umana, dispiegata in
un contesto di finitezza, non saranno alternative ma condizioni di possibilit della realizzazione
dell'originaria vocazione dell'uomo all'infinito: tensione che connota la sua ragione e la sua
struttura antropologica. E questo infinito non si presenter pi come il "cattivo infinito" che si
palesa nel prolungamento indefinito della temporalit, ma come quell'Infinito che fonda il reale, e
che ha voluto farsi accogliere nella storia dell'uomo con il volto stesso dell'uomo.
Come ha sottolineato Jonas, il compito della filosofia trova nella fede e nella ragione credente uno
stimolo alla radicalit e alla seriet: soltanto se queste "due ali dello spirito", per usare della
metafora iniziale, non cesseranno di battere, sar possibile innalzarsi ancora verso la verit
dell'essere. La cultura tecnologica la sfida dell'oggi a questa impresa: una sfida analoga a quelle
che in altri tempi si sono sviluppate su altri versanti. Ci che in gioco, ancora una volta, la
nostra libert: la libert di fare della ragione una guida alla verit, e non soltanto uno strumento
della sopravvivenza.
La cultura della vita, infatti, si differenzia dal diffuso vitalismo dei giorni nostri proprio in questo
suo radicamento nella verit, conosciuta tramite l'argomentazione e riconosciuta dentro
l'esperienza della fede. Da qui nasce un reale e permanente interesse del credente anche per il
mondo, perch, come ha scritto Guardini, tramite l'Incarnazione, "Dio "esistenzialmente"
interessato all'essere, al divenire, allo sviluppo e al destino dell'uomo e, attraverso l'uomo, del
mondo"[17]. Ma questa sollecitudine diventa possibile "solo se il mondo viene visto come una
realt e un insieme di valori voluto da Dio e a lui caro, come qualcosa che egli ha affidato
all'uomo. (...) Il cristianesimo storico. Il termine non deve essere inteso nel senso storicistico e
relativistico della teologia liberale, ma nel senso di quella storia che Dio svolge con la sua
creazione. Per mezzo di questa egli offre all'esistenza cristiana, di volta in volta, le condizioni
nelle quali deve attuarsi"[18]. Interpretare i segni del nostro tempo e farsi carico di individuarne
i limiti ed i valori fa parte di questa sollecitudine.

211

[1] Giovanni Paolo II PP, Fides et ratio, in Enchiridion delle Encicliche. Giovanni Paolo I, Giovanni
Paolo II (1978-!998), EDB, Bologna 1999, p. 1809.
[2] Idem, p. 1813.
[3] Su questo tema cfr. Pessina A., Bioetica. L'uomo sperimentale, B. Mondadori, Milano, 1999 e
specificamente il capitolo dedicato a L'alternativa impossibile e il disincantamento del mondo.
[4] Cfr. Jonas H., Il principio responsabilit. Un'etica per la civilt tecnologica, trad.it., Einaudi,
Torino, 1993.
[5] Barone F., Ricossa S., L'et tecnologica, trad.it.,Rizzoli, Milano, 1974, p. 18.
[6] Per un primo orientamento generale si veda Nacci M., Pensare la tecnica. Un secolo di
incomprensioni, Laterza, Roma-Bari 2000.
[7] Cfr. Pieper J., Verit delle cose. Un'indagine sull'antropologia del Medio Evo, trad. it., Massimo,
Milano, 1981.
[8] Kant I., Prefazione alla seconda edizione della Critica della Ragion pura, trad. it., Laterza,
Roma-Bari,1983, p.18.
[9] H. Jonas, Problemi attuali nell'etica in una prospettiva ebraica, in Dalla fede antica all'uomo
tecnologico, trad. it., Il Mulino, Bologna, 1991, pp. 257-274, p. 257.
[10] Guardini R, La fine dell'epoca moderna. Il potere, trad. it., Morcelliana, Brescia, 1984, pp. 95-
96.
[11] Un discorso a parte, che qui non intendiamo sviluppare, riguarda poi le biotecnologie e la
loro capacit di intervenire, modificare e razionalizzare alcuni fenomeni della vita, umana e no.
Rimandiamo al testo Pessina A. L'uomo sperimentale., cit..
[12] Cfr. Gilson E., L'ateismo difficile, trad. it., Vita e Pensiero, Milano, 1983.
[13] Guardini R., Sul limite della vita. Lettere teologiche a un amico, trad. it., Vita e Pensiero,
Milano, 1979, p. 39.
[14] Idem, p. 42
[15] Guardini R., La fine dell'epoca moderna, cit., p. 158.
[16] Jonas H., Il principio responsabilit., cit. p. 60.
[17] Guardini R., Sul limite della vita. cit. p. 35.
[18] Idem, pp. 31 e 32.

212

JUAN DE DIOS VIAL CORREA



GIOVANNI PAOLO II:
IL PONTEFICE DELLA VITA

Il quinto anniversario della pubblicazione dell'Evangelium Vitae porta in primo piano l'intero
Magisterium di Giovanni Paolo II sulla vita umana. Questo insegnamento stato di tale
importanza nella vita della chiesa e dell'intera umanit che sembra opportuno accompagnare gli
studi teologici, filosofici e scientifici, stilati per l'occasione, con queste brevi considerazioni sul
ruolo di Giovanni Paolo II quale difensore della vita umana. Ci potr fornire l'occasione per
gettare uno sguardo su alcune delle radici di questo vasto sforzo magistrale, e di valutare il modo
efficace e tempestivo in cui giunto a fare presa su alcuni dei problemi pi urgenti che l'umanit
ha di fronte all'inizio di questo nuovo millennio. Questo saggio, dunque, non mira a nessuna
analisi scientifica, ma piuttosto tenta di fornire una ampia visione del significato
dell'insegnamento del Papa sulla vita.
Al numero 34 dell'Evangelium Vitae, il Santo Padre ha scritto: "La vita sempre un bene".
Di fronte a questa affermazione, come appare la storia dell'umanit del XX secolo?
Questa stata un'epoca rischiarata da progressi scientifici e materiali senza precedenti. Ma, per
quanto possa essere vera tale considerazione, non si pu guardare a molti eventi della storia
recente senza provare un sentimento di tristezza e di orrore.
Guerre e rivoluzioni hanno richiesto il sacrificio di centinaia di milioni di uomini, molti dei quali
sono stati uccisi con abominevole crudelt. In contrasto col grande benessere che stato creato
ed accumulato, molte forme di oppressione e di sfruttamento affliggono ancora oggi vaste
porzioni dell'umanit. L'accettazione sociale del crimine pericolosamente diffuso. I legislatori
non si rifiutano di redigere leggi che giustificano l'eliminazione di vite umane considerate inutili.
Le nazioni pi povere vengono spietatamente private dell'effettiva possibilit di affermare la
propria necessaria autonomia e di migliorare la loro misera condizione.
La Scienza e la Tecnologia stanno sempre pi ampliando l'orizzonte della conoscenza ed
aumentando il potere dell'uomo. E' paradossale che, proprio nel fare questo, incrementino la
paura di fronte al futuro. La sfiducia per i tempi a venire un ingrediente della vita di tutti i
giorni, anche nelle opere di narrativa. Ieri era il turno dell'energia nucleare. Oggi, la paura per
una catastrofe ambientale sta spingendo molti su una posizione equivalente al disprezzo per
l'umanit. L'uomo viene visto come un animale predatore e dannoso, il cui destino dovrebbe
essere subordinato a quello della Natura intera.
Una grandissima parte degli omicidi e delle azioni efferate che hanno oscurato la nostra storia
stata dovuta al prevalere di dottrine disumane che hanno favorito l'odio razziale e classista come
mezzo per conseguire il dominio sociale. Ma possibile anche avvertire una chiara esaltazione
della morte, che stata proclamata da pensatori molto influenti, specialmente nella prima met
del XX secolo ed intorno alla Grande Guerra del 1914-1918. Questo atteggiamento, che ha
contaminato anche straordinari pensatori ed artisti cristiani, era collegato all'ascesa del nuovo
paganesimo e all'avanzamento di valori politici e sociali avulsi dalle loro radici religiose.
In tempi pi recenti sembra che il colossale trauma delle guerre abbia finito col causare un reale
tedio di fronte alla distruzione fisica della vita umana. Ci viene sostituito da una concezione che
svilisce l'uomo riducendolo ad entit priva di significato: l'uomo transitorio e insignificante
come una traccia sulla sabbia. La reazione naturale, ossia il rigetto dell'omicidio, non ha portato
alla valutazione della vita umana in s come di qualcosa da tenere in pi alta considerazione.
Accade, anzi, che i modi ed i mezzi per uccidere divengano pi nascosti e accorti. Di buon grado la
societ vorrebbe ignorare e rendere meno traumatici i cinquanta milioni di aborti che hanno

213

luogo ogni anno, e contorte motivazioni vengono continuamente fornite per permettere
l'uccisione di pazienti terminali e in coma.
Questa apparente seduzione della morte vanta anche una sorta di legittimazione da parte della
scienza. Sigmund Freud ha scritto "che il principio di piacere svolger una funzione destinata a
privare il sistema animico delle eccitazioni...tale funzione prender parte alla pi generale
aspirazione di ogni essere animato di ritornare alla quiete del mondo inorganico..."[1] Questo
significa che la vita, anche nell'esaltata modalit del piacere, in realt sarebbe mossa da una
brama di morte. Non sembra possibile attribuire a quest'ultima un pi vasto impero.
Questo atteggiamento, nella sua interezza, specularmente opposto alla rivelazione di Dio. Il
Concilio Vaticano insegna che (l'uomo), "... la sola creatura sulla terra che Iddio abbia voluto per
se stesso..."[2].
Questa verit fondamentale stata vigorosamente avanzata dal Papa quando egli ricorda ad ogni
uomo e ad ogni donna che la loro vita sempre un bene.
Il Papa ha sottolineato come la verit circa l'uomo sia un argomento non solo per la dottrina
rivelata, ma anche per la ragione umana. L'insegnamento di Giovanni Paolo II pone l'accento
sull'importanza della ragione, e sulla sua fondamentale capacit di raggiungere la verit. L'uomo
non pu affrontare la vita come se non fosse capace di conoscere la verit, come se non avesse la
libert di agire nell'ambito della verit, come se non avesse dignit. La ragione permette di
percepire, ed apre la strada al desiderio, il bene innegabile che proviene da un giusto uso della
coscienza morale, o dal potere creativo del lavoro, o dalla vita della famiglia o dall'espressione
disciplinata delle funzioni corporee. In breve, possiamo percepire e desiderare il bene della vita.
La rivelazione, da parte sua, arricchisce ed allarga questa visione fino ad aprire orizzonti che non
sono accessibili alla sola ragione, ma che confermano e concedono pi ampi ambiti a quanto
quest'ultima ha raggiunto. In questo modo viene conseguita l'unione menzionata
nell'introduzione a "Fides et Ratio": "La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo
spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verit"[3].
Una verit rivelata che d la piena misura del bene della vita umana, e che ha costituito il nucleo
di buona parte dell'insegnamento di Giovanni Paolo II, la parola del Libro della Genesi dove
scritto che l'uomo fu creato ad immagine di Dio[4]. La riaffermazione di questa verit stata
proclamata di fronte a parecchie correnti e modi di pensare odierni, in base ai quali il bene della
vita messo in discussione e perfino negato. In loro antitesi, dunque, la natura profetica
dell'insegnamento papale diviene particolarmente evidente. Nella presente relazione non intendo
fornire un trattamento esaustivo su tale argomento, ma ho scelto cinque temi in cui la mano che
la Chiesa ha teso al mondo risulta particolarmente utile e tempestiva. Questi sono 1) la coscienza
morale; 2) la famiglia; 3) il lavoro; 4) il corpo umano, e 5) la sofferenza.

LA COSCIENZA MORALE

L'Enciclica "Veritas Splendor" inizia con le seguenti parole: "Lo splendore della verit rifulge in
tutte le opere del Creatore e, in modo particolare, nell'uomo creato a immagine e somiglianza di
Dio (Gen 1, 26): la verit illumina l'intelligenza e informa la libert dell'uomo, che in tal modo
viene guidato a conoscere e ad amare il Signore".[5] La coscienza non solo un dialogo dell'uomo
con se stesso. E' anche "il dialogo dell'uomo con Dio, autore della legge, primo modello e fine
ultimo dell'uomo. San Bonaventura insegna che la coscienza come l'araldo di Dio e il
messaggero. La coscienza testimonianza di Dio stesso. In questo, non in altro, sta tutto il
mistero e la dignit della coscienza morale: nell'essere cio il luogo, lo spazio santo nel quale Dio
parla all'uomo".[6]

214

La sola esistenza di questo spazio in cui Dio Colui che parla, d la misura della grandezza e della
bellezza della vita umana, che viene notevolmente impoverita quando la coscienza ridotta alla
facolt di stabilire una legge puramente umana che dipende pi dalla volont dell'uomo che dalla
verit delle cose. Di fronte a questa reale mutilazione, il Papa erige una incomparabile difesa della
dignit della vita umana, e facendo ci mette a nudo il paradosso secondo cui l'uomo spesso
considera la coscienza un peso, mentre in realt il sigillo della sua dignit.

LA FAMIGLIA

In numerose occasioni il Papa ha insistito sul bene veramente speciale della famiglia in cui la
condizione dell'uomo come immagine di Dio particolarmente espressa. In "Familiaris
Consortio" egli scrive "Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, chiamandolo
all'esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo all'amore"[7]. In questo modo l'uomo
stato posto all'interno di una comunit in cui la vita stessa di Dio si manifesta nel reciproco auto-
donarsi. "Il matrimonio e la verginit o il celibato sono i due modi di esprimere e di vivere l'unico
mistero dell'Alleanza di Dio con il Suo popolo"[8].
La famiglia, che all'origine della vita umana, anche il modo e lo strumento della sua
realizzazione. Pertanto alla famiglia stata affidata una missione specifica, strettamente collegata
all'opera di salvezza: "custodire, rivelare e comunicare l'amore"[9]. La famiglia dunque
sollecitata ad infondere vitalit nell'intera societ umana, essendo prova dell'alto bene che essa
favorisce e promuove: la vita umana.
Gli impietosi colpi che nella nostra epoca sono stati inferti alla famiglia, sono fin troppo noti. Il
Papa li ha fronteggiati con fede e coraggio, ed stato un vigoroso difensore dell'umanit, a
custodia di uno dei suoi beni pi grandi.

IL LAVORO

Il significato del lavoro umano diventa chiaro nella prospettiva della dignit della persona umana.
L'idea del lavoro spesso ridotta a mera mercanzia o a mezzo di produzione. In tal modo
l'esistenza umana oscurata e la natura degli sforzi umani svilita. L'insegnamento della Chiesa
altamente vivificante, in quanto mostra quanto il lavoro sia intimamente congiunto all'atto
creativo di Dio, "il lavoro una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla
terra"[10]. "...la vita dell'uomo costruita ogni giorno dal lavoro, dal quale attinge la propria
specifica dignit ...[11]. "Anche se (il lavoro) comporta il segno di un bonum arduum, secondo la
terminologia di San Tommaso, ci non toglie che, come tale, esso sia un bene dell'uomo. Ed non
solo un bene 'utile' o 'da fruire', ma un bene 'degno', cio corrispondente alla dignit dell'uomo,
un bene che esprime questa dignit e la accresce...Il lavoro un bene dell'uomo - un bene della
sua umanit -, perch mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle
proprie necessit, ma anche realizza se stesso come essere umano"[12]. Questa concezione del
lavoro eleva il suo valore soggettivo ben oltre quello strumentale. Perch esso, per essere lavoro
vero, dovrebbe manifestare la natura "divina" della condizione umana.
L'Enciclica Centesimus Annus, che fu pubblicata dopo la caduta dei socialismi reali, ricava
l'insegnamento da quel particolare momento storico. "...l'errore fondamentale del socialismo di
carattere antropologico. Esso, infatti, considera il singolo uomo come un semplice elemento ed
una molecola dell'organismo sociale..."[13]
Fu la radice atea che spinse ad interpretare i frequenti e spesso necessari conflitti sociali come
espressione di una inesorabile lotta di classe, che ha indotto a leggere la storia umana in chiave
conflittuale. Ma la sconfitta di una dottrina iniqua non necessariamente viene seguita in modo

215

automatico dal riconoscimento dei veri valori umani negli eventi storici successivi. Questo di
fondamentale importanza per la missione della Chiesa. L'annuncio della verit alla societ non si
identifica con nessuna tendenza politica o teorie filosofiche o scientifiche. La Chiesa evangelizza e
quel grande strumento di evangelizzazione che la dottrina sociale, alla luce del mistero di Dio si
interessa di tutta la vita sociale e "rivela l'uomo a se stesso".[14]
Il lavoro, in quanto partecipazione alla Creazione, dunque un esempio privilegiato del bene e
della dignit della vita umana: "L'uomo immagine di Dio, in parte, per il mandato ricevuto dal
suo Creatore di dominare la terra..."[15]

IL CORPO UMANO

L'"immagine di Dio" esiste in una struttura corporea, e non come un puro spirito. In questo c' un
mistero: che un essere soggetto alle trasformazioni biologiche e a tutte le limitazioni della
materia possa essere l'immagine di Dio. "...solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera
luce il mistero dell'uomo..."[16]
Il corpo umano stato preda della pi paradossale svalutazione in una cultura che mirava ad
esaltarlo. La riduzione della corporeit a fenomeni fisico-chimici, fa s che il corpo, "la macchina
del corpo" diventi esteriore all'uomo stesso e venga considerato o come lo strumento di una
libert che si definisce da s, come espresso in Veritatis Splendor: "...Ci significa definire la
libert mediante se stessa e farne un'istanza creatrice di s e dei suoi valori..."[17]; o come un
essere soggetto al cieco determinismo. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una negazione
della vera dignit del corpo, come stato affermato dal Papa: "La persona, incluso il corpo,
affidata interamente a se stessa, ed nell'unit dell'anima e del corpo che essa il soggetto dei
propri atti morali..."[18]
Per il fondamentale motivo che la Parola di Dio assunse la carne umana, il corpo ha una
essenziale importanza nel piano di salvazione di Dio, e conseguentemente nell'insegnamento
della Chiesa. La creazione visibile nella persona dell'uomo posta su un piano di dignit che
trascende di molto arbitrarie affermazioni basate su una distorta libert o su una visione
esclusivamente materialista.
La persona espressa nel corpo. La condizione corporea rivela l'unicit e la soggettivit
dell'essere individuale, cos come la struttura sessuata dell'umanit punta verso il bisogno di
complementarit e di comunione. "La teologia del corpo, che sin dall'inizio legata alla creazione
dell'uomo ad immagine di Dio, in un certo senso diviene anche una teologia del sesso, o piuttosto
una teologia dell'essere uomo e dell'essere donna..."[19] Le capacit di esprimere amore e la
capacit e la profonda disponibilit all'affermazione della persona sono i tratti fondamentali del
corpo umano che sono stati sottolineati dal Papa. Nel corso delle Udienze Generali 1979-1980,
Giovanni Paolo II ha presentato una dottrina di fondamentale importanza per i temi morali
sviluppati altrove: "...una dottrina che dissoci l'atto morale dalle dimensioni corporee del suo
esercizio contraria agli insegnamenti della Sacra Scrittura e della Tradizione"[20]. Questa
interpretazione teologica del corpo chiarisce che "... La legge morale naturale esprime e prescrive
le finalit, i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della persona
umana. Pertanto essa non pu essere concepita come normativit semplicemente biologica, ma
deve essere definita come l'ordine razionale secondo il quale l'uomo chiamato dal Creatore a
dirigere e a regolare la sua vita e i suoi atti e, in particolare, a usare e disporre del proprio
corpo"[21].

216

SOFFERENZA

"La vita nel tempo, infatti, condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell'intero e
unitario processo dell'esistenza umana. Un processo che, inaspettatamente e immeritatamente,
viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della vita divina, che raggiunger il suo
pieno compimento nell'eternit. Nello stesso tempo, proprio questa chiamata soprannaturale
sottolinea la relativit della vita terrena dell'uomo e della donna. Essa, in verit, non realt
'ultima', ma 'penultima'; tuttavia rimane una realt sacra"[22].
Nella prospettiva delineata da queste parole, la sofferenza che percepita anche dalla sola
ragione come "... un tema universale che accompagna l'uomo ad ogni grado della longitudine e
della latitudine geografica..."[23], acquisisce un valore speciale, "... poich nella sofferenza
contenuta la grandezza di uno specifico mistero..."[24]. C' qualcosa che Dio attraverso di essa
desidera fortemente rivelare riguardo alla sua vicinanza e circa la presenza del male nel mondo,
ed ogni sofferenza umana pu essere associata all'immensa gioia della Redenzione "... L'amore
anche la fonte pi ricca del senso della sofferenza, che rimane sempre un mistero... L'amore
anche la sorgente pi piena della risposta all'interrogativo sul senso della sofferenza. Questa
risposta stata data da Dio all'uomo nella Croce di Ges Cristo..."[25] Questo il motivo per cui
c' anche un "Vangelo della sofferenza". "...Cristo soffre volontariamente e soffre
innocentemente..."[26]. "Cristo d la risposta all'interrogativo sulla sofferenza e sul senso della
sofferenza non soltanto col suo insegnamento, cio con la Buona Novella, ma prima di tutto con la
propria sofferenza, che con un tale insegnamento della Buona Novella integrata in modo
organico ed indissolubile..."[27] Questo il motivo per cui l'Apostolo Paolo poteva scrivere le
parole riportate dal Papa in Salvifici Doloris: "Completo nella mia carne quello che manca ai
patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che la Chiesa... Perci sono lieto delle sofferenze che
sopporto per voi..."[28]
La lezione che ne trae il Papa che "... Cristo allo stesso tempo ha insegnato all'uomo a far del
bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre...[29]
Queste parole furono scritte nel 1984 in un periodo in cui la Chiesa e il mondo si erano abituati
alla sensibile preferenza manifestata dal Santo Padre nei confronti degli ammalati e dei disabili,
che erano ospiti d'onore in sua presenza. Sedici anni pi tardi vediamo che l'esempio personale
dato dal Papa di fronte ad una societ che valuta il benessere e la salute pi della vita, ha
suscitato una misteriosa attrazione nei confronti del suo insegnamento. Pi di qualunque altra
azione, la sua accettazione della sofferenza e la sua dedizione ad un altruistico servizio a favore
della intera umanit sono un segnale visibile del vero significato della vita umana che "...il
sincero dono di s..."[30].

VANGELO DI VITA E CULTURA DELLA VITA

L'insegnamento del Papa ha messo in moto una diffusa campagna per la proclamazione e la difesa
della vita in cui ai cattolici si sono uniti uomini e donne di buona volont e di convinzioni diverse.
L'appello a soddisfare questo bisogno avvertito da persone di ogni condizione o estrazione
sociale, allo stesso modo da ricchi e poveri, da giovani e anziani, dalle persone istruite e dagli
incolti. E' ovvio che il Papa ha toccato una corda che ha profonda risonanza nell'anima
dell'umanit intera. Anche le numerose reazioni risentite testimoniano l'inequivocabile chiarezza
e l'appassionato richiamo del messaggio del Papa. Nel corso dei suoi viaggi internazionali, come
anche nelle udienze a Roma, di fronte a vaste folle e in ristretti incontri, parlando ai teologi e ai
bambini, il Papa ha presentato il Vangelo, distante ed oltre l'egotistico laissez faire che sta
intrappolando l'umanit.

217

Alla Chiesa stato affidato esattamente questo, l'annuncio del Vangelo. "La Chiesa ha ricevuto il
Vangelo come annuncio e fonte di gioia e di salvezza. [...] Evangelizzare - come scriveva Paolo VI -
la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identit pi profonda. Essa esiste per
evangelizzare..."[31]
Il Vangelo di Ges Cristo ha come sua parte integrante il Vangelo della Vita. L'annuncio di questo
Vangelo di Vita ci trasforma nel "popolo della vita"[32] con la triplice missione di annunciare il
Vangelo, celebrarlo e servirlo. "... il centro di questo Vangelo l'annuncio di un Dio vivo e
vicino..."[33]. Tale annuncio deve attuarsi attraverso il servizio della carit "... che dovrebbe
essere uno specifico atteggiamento che ci deve animare e contraddistinguere: dobbiamo
prenderci cura dell'altro in quanto persona affidata da Dio alla nostra responsabilit..." "...nei
riguardi della vita, il servizio di carit deve essere profondamente unitario: non pu tollerare
unilateralismi e discriminazioni, perch la vita umana sacra e inviolabile in ogni sua fase e
situazione; essa un bene indivisibile. Si tratta dunque di prendersi cura di tutta la vita e della
vita di tutti..."[34]
Il Papa ha compilato, specie in Evangelium Vitae, un imponente lista di servizi: la testimonianza
personale, diverse forme di volontariato, l'attivit sociale e l'impegno politico, il riservare una
speciale attenzione per chi pi povero, solo e bisognoso. Dobbiamo "prenderci cura" di tutta la
vita e della vita di tutti, e tramite ci inserirci nella straordinaria storia della carit, e continuare a
scrivere questa storia attraverso l'attuazione di adeguati ed efficaci programmi di supporto per la
vita nascente, con una speciale vicinanza a quelle mamme che, anche senza il sostegno del padre,
non temono di mettere al mondo il loro bambino e di educarlo. Analoga cura deve essere
riservata alla vita degli emarginati o dei sofferenti, specie nelle loro fasi terminali.
Evangelium Vitae, al numero 88, chiede di sviluppare strumenti per la realizzazione di progetti e
iniziative concrete, a lungo termine ed evangelicamente ispirate. Queste azioni richiedono
"...persone generosamente disponibili e profondamente consapevoli di quanto decisivo sia il
Vangelo della Vita...", un incondizionato coinvolgimento che particolarmente impegnativo per
gli operatori sanitari che sono chiamati anche "...all'esercizio dell'obiezione di coscienza..."[35]
Il Papa richiede tutte le forme di volontariato, ed oltre a ci insiste sul fatto che la carit esige
forme di impegno sociale e politico da parte dei responsabili della cosa pubblica. La legislazione e
le decisioni dei tribunali hanno dimostrato di possedere un tremendo potere malvagio in quanto
inducono le persone ad accettare come giusta qualsiasi cosa abbia ottenuto una ratifica legale.
Nella nostra societ sempre minacciata dall'anomia, le norme legislative hanno un peso rilevante
nell'instillare valori negativi nella coscienza dei cittadini. E' comprensibile che di fronte ad un tale
travolgente attacco, molti siano indotti a sottovalutare le possibilit di successo ed a dubitare
della propria capacit di ristabilire un giusto ordine. Il Papa richiede a queste persone di nutrire
la certezza che qualche frutto sar ottenuto grazie al loro lavoro perch "...la verit morale non
pu non avere un'eco nell'intimo di ogni coscienza..."[36], cosicch un giorno possano essere
ottenute un'accettabile politica per la famiglia ed una sincera ed umana attenzione alla
problematica demografica. Ancora una volta nel suo Pontificato, il Papa rivolge alle famiglie la
richiesta di abbracciare la missione che stata loro affidata di "... custodire, rivelare e comunicare
l'amore..."[37].
Le necessit del momento rendono questo urgente appello veramente molto ampio. In
particolare si estende ai pedagoghi, ed anche agli intellettuali (ricordiamo la menzione speciale
rivolta alla nostra Pontificia Accademia per la Vita)[38], ai comunicatori sociali, alle donne in
genere con una speciale, sensibile e caritatevole menzione per quelle di loro che hanno fatto
ricorso all'aborto.
certamente enorme la sproporzione di forza tra tali iniziative - per quanto varie ed
entusiastiche possano essere - ed il potere organizzato e travolgente delle forze che si oppongono

218

ad una cultura della vita. Ma la fiducia di coloro che promuovono quest'ultima non posta
nell'astuzia dell'uomo, ma nel potere di Dio, di fronte al quale "... urgente una grande preghiera
per la vita..."[39] Coloro che promuovono la fedelt culturale al Dio della Vita stanno infatti
seminando qualcosa che altri raccoglieranno.
Ma il Vangelo della Vita richiede pi di un annuncio, ed anche pi della grande quantit di forme
di servizio caritatevole. Richiede la celebrazione con cui prendiamo coscienza dell'immensa
ricchezza del dono, che condividiamo, e per cui siamo mossi alla lode e al ringraziamento del
Signore della Vita.
Questa celebrazione del Vangelo della Vita si realizza innanzitutto "... nell'esistenza
quotidiana, vissuta nell'amore per gli altri e nella donazione di se stessi..."[40]. "...Noi dobbiamo
celebrare la Vita eterna, dalla quale procede qualsiasi altra vita. Da essa riceve la vita,
proporzionalmente alle sue capacit, ogni essere che partecipa in qualche modo alla vita..."[41]
Si potrebbe pensare che l'unione organica della proclamazione, celebrazione e servizio della Vita
donata da Dio sia una caratteristica distintiva del Magisterium di Giovanni Paolo II, che posto di
fronte ad una situazione carica di oscurit e minacce, ha fatto risuonare una nota di profonda
gioia e ottimismo sul destino dell'umanit non tanto per quello che l'inventiva umana potrebbe
escogitare, quanto per la certezza della salvezza che viene da Dio Che fa muovere la storia.

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[1] Freud, Sigmund, Ms all del Principio del Placer. Opere Complete, vol. 3, pp. 2507-2541,
Traduzione dal tedesco di Luis Lpez-Ballesteros y de orres, Editorial Biblioteca Nueva, Madrid,
1996.
[2] Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel Mondo Contemporaneo Gaudium et Spes, 24.
[3] Lettera Enciclica Fides et Ratio, Introduzione.
[4] Gen. 1,26.
[5] Lettera Enciclica Veritatis Splendor, Introduzione.
[6] Lettera Enciclica Veritatis Splendor, 58.
[7] Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 11.
[8] Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 16.
[9] Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 17.
[10] Enciclica Laborem Exercens, 4.
[11] Enciclica Laborem Exercens, 1.
[12] Enciclica Laborem Exercens, 9.
[13] Enciclica Centesimus Annus, 13.
[14] Enciclica Centesimus Annus, 54.
[15] Enciclica Laborem Exercens, 4.
[16] Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel Mondo Contemporaneo Gaudium et Spes, 22.
[17] Lettera Enciclica Veritatis Splendor, 46.
[18] Lettera Enciclica Veritatis Splendor, 48.
[19] Giovanni Paolo II, Uomo e donna li cre. Catechesi sull'amore umano, Citt Nuova Editrice,
Libreria Editrice Vaticana, 1995, p. 60.
[20] Lettera Enciclica Veitatis Splendor, 49.
[21] Lettera Enciclica Veitatis Splendor, 50, che cita Donum Vitae, Istruzioni sul rispetto della vita
umana dal suo inizio, e sulla dignit della procreazione, 3.
[22] Lettera Enciclica Evangellium Vitae, 2.
[23] Lettera Apostolica Salvifici Doloris, 2.
[24] Lettera Apostolica Salvifici Doloris, 4.
[25] Lettera Apostolica Salvifici Doloris, 13.
[26] Lettera Apostolica Salvifici Doloris, 18.
[27] Lettera Apostolica Salvifici Doloris, 18.
[28] Lettera Apostolica Salvifici Doloris, 1.
[29] Lettera Apostolica Salvifici Doloris, 30.
[30] Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel Mondo Contemporaneo Gaudium et Spes, 24.
[31] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 78.
[32] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 79.
[33] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 81.
[34] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 87.
[35] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 89.
[36] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 90.
[37] Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 17.
[38] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 98.
[39] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 100.
[40] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 86.
[41] Lettera Enciclica Evangelium Viate, 84, che cita Dionysus Areopagite, On Divine Names, 6 1-3;
PG 3, 856-857.

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