Dal 1993, il giornale di strada di Bologna fondato dalle persone senza dimora

LASCIATECI
LAVORARE
Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 ( conv. in L27/02/2004 N.46) ART. comma 2 DCB - Bo (Num. 2) per Poste Spa

04/2010
PRODURRE QUESTO GIORNALE COSTA 0,75 EURO • QUELLO CHE DATE IN PIù è IL GUADAGNO DEL DIFFUSORE
QUALSIASI RICHIESTA AL DI Là DELL’OFFERTA LIBERA NON è AUTORIZZATA
I NOSTRI STRILLONI
Catilin
Ho 24 anni e vengo da Brasov, dove
ho una moglie e una bimba di 2 anni.
Sono in Italia dal 2005, ma torno
spesso per stare vicino alla famiglia.
Per farmi bastare 400 euro mensili
che riesco a mettere da parte vivo in
tenda con altri compaesani.
Come diffusore sono itinerante, ma
potete trovarmi principalmente in
via Castiglione.
Editoriale/
La realtà, a colori
p leonardo tancredi
In copertina
Il volto in prima pagina è
quello di Luigi, passato da un
lavoro a 3 mila euro al mese
in una ditta di facchinaggio
al dormitorio per senza fissa
dimora. Storie come la sua
sono al centro dell’inchiesta
di questo numero. Le foto
di copertina sono curate dal
gruppo fotografico di Bandie-
ra Gialla e ritraggono persone
che hanno accettato di farsi
fotografare in studio.
Per informazioni: www.bandieragialla.it
fffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffff
Piazza Grande
Giornale di strada di Bologna
fondato dalle persone senza dimora
“Tendere un giornale è meglio che tendere una mano”
proprietà Associazione Amici di Piazza Grande
Direttore editoriale Leonardo Tancredi
Direttore responsabile Bruno Pizzica
Caporedattori Jacopo Fiorentino, Pietro Scarnera
Fiorella ci ha lasciato.
04 10
Ciao Fiorella
Era approdata dalla strada a Piazza Grande nel 2002 e molto
presto era diventata protagonista della vita associativa. Anche
grazie al suo impegno abbiamo inaugurato la sartoria, una
nuova attività importante per il reinserimento socio-lavorativo
delle donne. Da quell’esperienza è nata l’idea de “Il vestito
di Piazza Grande” (oggi si chiama La Leonarda), il negozio di
abiti usati di via San Leonardo.
Fiorella non stava bene negli ultimi tempi ed è morta in
completa solitudine. Questo ci ha reso la sua scomparsa
ancora più dolorosa. Mandiamo un abbraccio ai suoi cari e a
lei vogliamo dedicare questo numero.
Attilio
Ho 52 anni, vengo dalla provincia di
Roma. Vendo il giornale da 5 anni,
prima ho lavorato con Piazza Gran-
de nel Servizio mobile di sostegno.
Vivo nel dormitorio Beltrame, adesso
spostato a Villa Aldini. Vendo il gior-
nale per pagarmi le cure mediche di
cui ho bisogno. Mi trovate davanti
all’Arena del Sole, al Teatro Manzoni,
al cinema Capitol e in via Saragozza.
È
proprio così come appare, Piazza Grande è a colori. Come avevamo annunciato un
mese fa, abbiamo cambiato i connotati a questo giornale, speriamo in meglio, e spe-
riamo soprattutto che sia ancora riconoscibile. Ogni volta che ne abbiamo l’oc-
casione ripetiamo un’espressione un po’ retorica ma efficace perché autentica: Piazza
Grande è nato per dare voce alle persone senza dimora, a quelle costrette all’invisibilità,
all’esclusione sociale. Questo è il suo mandato e non abbiamo intenzione di disattender-
lo, neanche in questa versione colorata. Non è il primo cambio di pelle che vive questo
giornale in 16 anni di vita. Già da qualche anno ci siamo posti l’obbiettivo di estendere
il campo di azione a temi che via via andavano incrociando quello della povertà estre-
ma; in parallelo variava anche lo stile, si passava dalle storie raccontate in prima perso-
na, a un lavoro più giornalistico di inchiesta. Questi cambiamenti non sono stati casua-
li ma dovuti soprattutto a un fattore. Il panorama dell’esclusione sociale è mutato e
con esso le persone che lo compongono. Uomini e donne migranti, persone di mezza età
espulse dal mercato del lavoro, giovani disoccupati, pensionati sono tutte categorie che
oggi rischiano o già vivono in condizione di povertà estrema. Persone diverse, almeno
parzialmente, da quelle che hanno dato vita al progetto originario di Piazza Grande nel
’93; storie e situazioni nuove che è importante raccontare facendo uno sforzo di indagi-
ne e di analisi maggiore. Un impegno in questo senso non viene solo daL giornale, ma da
tutta l’Associazione. Solo pochi giorni fa il Servizio mobile di sostegno, l’unità di stra-
da di Piazza Grande, ha diramato i dati dell’attività del 2009: solo il 57% degli utenti del
servizio è italiano, quasi il 70% ha un’età compresa tra i 35 e i 64 anni, un terzo, in forte
aumento rispetto all’anno precedente, dichiara di aver perso il lavoro o comunque di
avere serie difficoltà economiche. Inauguriamo la nuova edizione con un’inchiesta sul
lavoro, e non è un caso. La linea dell’esclusione si è spostata più avanti e ha inglobato
anche i lavoratori. Anche a Bologna. La novità dei colori, di un’impaginazione più curata
e dinamica, l’arricchimento dei temi e delle rubriche è una delle risposte che vogliamo
dare all’attuale complessità del fenomeno. Abbiamo nuove voci da amplificare, ma vor-
remmo raggiungere anche nuove orecchie.
Buona lettura
Redazione Hanno collaborato a questo numero Stampa Tipografia Moderna
Via Corazza 7/8 40128 Bologna, tel. 051 4171790 / 051 342328 Associazione interculturale Eks&tra, Paolo Billi, gruppo fotografico Progetto grafico Fabio Bolognini
www.piazzagrande.it | redazione@piazzagrande.it Bandiera Gialla, Marco Guidi, Paolo Lambertini, Sabrina Lanotte, Impaginazione Exploit Bologna
Consulenza editoriale Agenda (www.agendanet.it) Raoul Lolli, Carlo Lucarelli, Laura Marongiu, Gianluca Morozzi, Distribuzione
In redazione Nancy Poltronieri, Biljana Prijic, redazione Bandiera Gialla, reda- Redazione Piazza Grande
Eva Brugnettini, Erika Casali, Giulio Centamore, Ilaria Giupponi, zione Sottobosco.info, Carmine Roccia, Simone Sabattini, Donato Registrato presso il Tribunale di Bologna il 15/09/1995 n°6474
Chiara Gregoris, Simone Jacca, Giuseppe Mele, Salvatore Pio, Ungaro, Simona Vinci, Sonia Zucchini 8000 copie - chiuso in tipografia il 2/4/2010
Mauro Sarti Bologna, aprile 2010, anno XVII, numero 163 Stampato su carta riciclata
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La luce del sole mi Un racconto dal dormitorio
colpisce in pieno
viso, spezzando il
sonno che poco
prima ero riuscito a
conciliare p Carmine roccia
Mi
guardo intorno sbattendo
le palpebre, il panora-
ma che mi si presenta
non è dei migliori: un camerone stracol-
mo di letti, occupati da gente che russa
con accanimento. La presa di coscienza
trafigge come una lama… Ora ricordo!
Sono in un dormitorio. Mi alzo come
fossi un automa, ho bisogno di bere un
caffè e mi viene in mente che nell’atrio
c’è una macchinetta per le bevande cal-
de. L’avevo notata la sera prima, durante
il colloquio per l’assegnazione del posto
letto. Mi avvio con lentezza strascinando
gli infradito, cercando di orientarmi come
posso. I visi che incrocio non mi tirano su
il morale, facce vuote ed assonnate, che
probabilmente in un altro contesto mi fa-
rebbero paura, ma ora no! Cerco solo di
schivarle, ho fretta di raggiungere il mio
obiettivo… il tanto desiderato caffè caldo!
I pensieri, come conati di vomito, affiora-
no nella testa, io li ricaccio con forza, non
voglio e non devo pensare. Ho deciso di
cambiare vita, quindi devo adattarmi ad
una situazione nuova ed assolutamente
sconosciuta. Il caldo è soffocante anche
a quest’ora del mattino, il tanfo di su-
dore e la puzza dei piedi che aleggiano
nell’ambiente mettono a dura prova il
mio stomaco, ma nonostante tutto prose-
guo il mio cammino! Un rumore di colpi
dati sul metallo attira la mia attenzione,
L’emergenza freddo
ha accolto 100
senzatetto, ma il
31 marzo fine della
pacchia.
C ercare il “tedesco” un lunedì sera
uggioso per le strade di Bologna
non porta a niente. Il tedesco è scom-
parso, per quale meta chissà. Un sen-
zatetto come un altro, che per un po’ si
è installato in città. Anche al Meloncel-
lo non c’è nessuno. Ma dentro le mura
ecco una faccia nota: Andrea. Se ne
sta tranquillo nel sacco a pelo e salu-
ta gioviale, come se le colonne di via
Saragozza fossero il salotto di casa sua.
giornalismo d’asfalto
Il giorno X
scorgo un signore non più giovane che
impreca e colpisce col palmo della mano
la macchina del caffè. Assalito dall’ansia,
intuisco che quella maledetta macchina
non funziona! Il mio primo giorno e la
mia prima delusione! Mi avvicino con un
senso di amarezza.
- Buongiorno. Non funziona, vero? - dico
con un filo di voce.
- No… mi ha rubato le monete, non c’è
verso che mi dia il caffè, maledetta! -
- Peccato! -
È l’unica parola che riesco a dire. Tiro fuo-
ri il pacchetto di sigarette, invito l’uomo
a prenderne una, lui non si fa pregare e
rapidamente allunga la mano. Ha un viso
simpatico, anche se in quel momento è
deturpato dal sonno e forse anche dalla
rabbia. Aspiro con calma una boccata.
- Pazienza, un caffè ci voleva proprio! -
dico rassegnato - È la prima notte che
dormo qui e non è stata delle migliori! Mi
chiamo C. -
Accompagno la frase con un triste e forza-
to sorriso. Quel viso apre un lieve spira-
glio sul buio che regna nel mio cuore.
- Io sono T.… È stata la prima notte anche
per me! -
Ora la luce di quell’uomo è meno dura,
un accenno di sorriso distende i linea-
menti, fino ad un attimo prima duri ed
impenetrabili.
- Mi ci vuole una doccia! - dico con calma.
fffffffffffffffffffffffffffffff
Servizio Mobile Piazza Grande/
Le notti
dei senza casa
p eva brugnettini
Legge qualche Tex prima di dormire, e
gli manca solo l’abat-jour. Ex tossicodi-
pendente, ex alcolizzato, Andrea è una
via di mezzo tra quelle che Alessandro
Tortelli, responsabile dell’Unità mobile
di Piazza Grande, definisce le due cate-
gorie di senzatetto: i cronici, quelli che
“si sono arresi definitivamente”, tossi-
ci, alcolizzati o malati di mente, e quel-
li che si sono trovati senza niente e cer-
cano di tirarsene fuori. Piero e Antonio
Con la confusione nella mente e la paura
nel cuore abbandono il dormitorio (biso-
gna uscire alle 8 del mattino e non si può
rientrare fino alle 19 di sera). Cammino
lentamente verso la fermata dell’auto-
bus, non so esattamente dove andare,
non ho la minima idea di cosa farò in
questa mia prima giornata da senzatetto.
Dove mangerò quando avrò fame. Come
passerò il mio tempo. Pensandoci sono
preso dal panico e dallo scoramento, ma
la voglia di prendere un caffè mi fa di-
menticare il resto! Cammino senza meta
tra la folla frettolosa, senza guardare i
visi della gente, con il pensiero vacuo.
Sento fra il brusio una voce che chiama
il mio nome, stupito mi chiedo chi possa
essere, ho rotto i contatti con tutti quelli
che conoscevo prima. Alzo lo sguardo e
sono a pieno titolo nella sezione croni-
ci. Piero è un gigante buono sui 35/40
anni, con qualche disturbo mentale.
Antonio ha 28 anni ed è un tossico:
dorme a faccia in giù sulla rientranza
di una vetrina.
Alla stazione “pernottano” quelli da
poco caduti in disgrazia, che ancora
non si sono arresi. Tanti sono stranieri.
G. è filippino, in Italia dall’89 ma sen-
za documenti dal 2002. È seduto nella
Q| Illustrazione di Sonia Zucchini
vedo T. che mi sta davanti, lo saluto con
un sorriso.
- Ciao, sei riuscito alla fine a prendere il
caffè? - gli dico con allegria. Il viso di T. si
rattrista.
- No! Purtroppo non ho più soldi! -
- Vieni, ti invito io! - dico senza smettere
di sorridere.
Le mie riserve economiche non sono
granché, ma non mi importa. Ho la sen-
sazione di aver trovato un amico, e que-
sto mi scalda l’animo. Camminiamo uno
accanto all’altro fra la folla, con lo sguar-
do alto e lontano sulla strada che bolle
di caldo, un tremulo vapore si solleva
dall’asfalto, dando forma ad un miraggio
che è solo nei nostri occhi. (questo rac-
conto di Carmine Roccia è stato presenta-
to al Festival “Naufragi”).
sala d’attesa, dove la polizia ferrovia-
ria ha una sorpresa: dalle 18 alle 22
entra solo chi ha un biglietto. D., ita-
liano di mezza età, se ne frega: “Tan-
to il biglietto ce l’ho”. Destinazione?
“Lo-sa-Dio”. S. è marocchino, ha perso
il lavoro e vorrebbe entrare in dormito-
rio. Meglio non dirgli che gli stranieri
hanno speranze prossime allo zero. Gli
unici a poter entrare sono i residenti,
sempre aspettando “una quarantina di
giorni - dice Alessandro - prima di ave-
re un appuntamento e quindi forse un
letto”. L’emergenza freddo ha accolto
100 persone anche non residenti, ma
dal 31 marzo fine della pacchia. Non
che avesse dato un letto a tutti: 60-70
sono rimasti fuori. Per loro la risposta è
una sola: “Arrangiarsi”.
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inchiesta
Nei dormitori per i senza dimora sono sempre di più le persone che con la
crisi hanno perso tutto. Per questo il lavoro, anzi il lavoro che non si trova,
è diventato argomento di conversazione anche fra gli homeless.
Fra agenzie interinali e fabbriche chiuse, c’è chi non si arrende

lasciateci
lavorare

La
p Leonardo Tancredi catena dei sub-appalti nei lavori pubblici, i cantieri dell’Alta velocità, gli infortuni sul lavoro,
foto di Paolo Lambertini le pensioni di inabilità: tutte questioni che da qualche tempo si discutono anche nelle stanze
dei dormitori per senza dimora. Si parla di lavoro perso, di licenziamenti e fabbriche chiuse,
ma ancora più spesso di lavoro che non si trova, di agenzie interinali e capi cantiere che non
richiamano mai. Dai dormitori comunali di Bologna si esce la mattina presto non solo per andare a oziare in Sala
Borsa o a bighellonare in città ma anche per cercare lavoro. “Ho visto una gru qua vicino, fuori al dormitorio, e
sono andato a chiedere… ma niente. Io non pretendo chissà che, quello che mi danno al mese e una stanza dove
stare. L’importante è arrivare a 65 anni per andare in pensione”.
Parla Biagio, 59 anni, muratore e carpentiere qualificato, in dormitorio da un anno circa. La sua storia parte dal-
la Puglia, dove è nato e ha lavorato nella propria ditta edile. E da dove è dovuto andarsene per sfuggire al pizzo
della Sacra Corona Unita. Verso nord, per cercare lavoro a Milano, proprio come 50 anni fa. Grazie a suo fratello,
trova lavoro in un cantiere, ma non regge il cambio da padrone a dipendente e passa un periodo di alcolismo. Da
Milano si sposta in un cantiere a Piacenza insieme ad altri colleghi carpentieri. Il titolare della ditta piacentina a
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Biagio arriva a Bologna con un
mezzo accordo verbale con un capo
cantiere, ma si ammala prima di
cominciare a lavorare e quando si
ripresenta il suo posto non c’è più.
Gli dicono di aspettare e sta ancora
aspettando.
metà lavorazione scappa con la cassa, Biagio e gli altri aspettano ancora sei mesi di
stipendio, intanto gli hanno fatto causa. “Avevo dei soldi da parte, ma li mandavo giù
in Puglia, sono finiti presto. Sapevo che a Bologna c’era il cantiere dell’Alta velocità,
sono andato a vedere. Allora per risparmiare ho disdetto la casa a Piacenza e sono
partito”. Biagio arriva a Bologna con un mezzo accordo verbale con un capo cantiere,
ma si ammala prima di cominciare a lavorare e quando si ripresenta il suo posto non
c’è più. Gli dicono di aspettare e sta ancora aspettando. Disoccupato, può permetter-
si solo un posto in dormitorio, in attesa che qualcuno risponda ai suoi annunci e ai
suoi colloqui. A 59 anni è dura, ma secondo Biagio non è solo questo il problema. “Le
ditte non prendono uno come me, prendono una mezza cazzuola. Ti spiego perché:
mettiamo che il Comune fa la gara d’appalto per costruire appartamenti, la ditta che
vince dà il lavoro a un artigiano e poi non fattura più. Ma come fa una ditta a fare
120 appartamenti con un solo artigiano capo-muratore? Vuol dire che ci sono altri 20
inchiesta
operai non qualificati che o li paghi la metà o li paghi in nero, e il manovale extraco-
munitario lavora anche per 4-5 euro al giorno”.
Alexander non è extracomunitario ma romeno, e rientra comunque nella categoria
dei sotto pagati e potenziali concorrenti dei lavoratori italiani. Eppure condivide con
Biagio lo stesso dormitorio. Come tanti è arrivato in Italia in cerca di fortuna e nel
2008 è riuscito a farsi assumere in un cantiere, anche questa volta, della Tav. Dopo
un anno il lavoro finisce e Alexander ha il benservito dalla ditta: per un po’ riesce a
mantenere la casa, ma dopo tre mesi finisce in strada. Entra in dormitorio ma non si
dà per vinto, ritrova lavoro come frigorista. Intanto il Comune di Bologna riorganizza
i servizi su base territoriale, Alexander deve rivolgersi a un assistente sociale di quar-
tiere per tenere il posto in dormitorio, il buono mensa, eccetera… “Avevo bisogno
della mensa perché non riuscivo a mangiare con gli orari di lavoro, ma ho avuto solo
150 euro e un abbonamento Atc. Poi c’è stato un incidente sul lavoro e il padrone se
l’è presa con me. Ero così stressato che ho sbagliato l’esame di guida necessario per
avere il contratto definitivo”. Ad agosto 2009 Alexander è di nuovo disoccupato e i
servizi sociali non credono alle sue difficoltà economiche, rischia di perdere anche
il posto in dormitorio e allora prende qualche pillola in più per attirare l’attenzione
sul suo caso.
Un sonnifero di troppo l’ha preso anche Luigi, 61 anni, per farsi ricoverare e restare
un mese al caldo in ospedale. Ha passato un anno così, tra ospedale e parcheggio di
un autogrill in macchina, quando ha perso il suo lavoro da responsabile in una ditta
di facchinaggio. “Mi sono messo in malattia nel 2009 per una malattia che mi aveva
tolto le forze – racconta Biagio –, ho lasciato casa e famiglia per stare da solo. Quando
è finita la malattia sono rimasto disoccupato. Ho fatto domanda al Centro per l’im-
piego, come disabile perché ho il 67% di invalidità, ma niente. Anche se mi presento
per un impiego si vede che sono vecchio… che devo fare, mi tingo i capelli? Ma se
restano fuori anche quelli di 30 anni…”. Luigi ha avuto anche un infarto e lo scorso
dicembre gli è stata riconosciuta una pensione di inabilità sul lavoro, prenderà circa
600 euro al mese. In attesa della casa popolare Luigi vive sotto lo stesso tetto di Bia-
gio e Alexander, quello di un dormitorio. Per quanto diverse le loro storie parlano di
lavoro e di Bologna, con o senza la crisi.
f
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Intervista a Don Nicolini

La fragilità l’inchiesta
ha due facce
p mauro sarti

“A Bologna non abbiamo mai provato a mettere

attorno ad un tavolo tutte le istituzioni per cercare
di affrontare in modo concreto il tema del lavoro”
aveva lanciato in collaborazione con
BandieraGialla un appello per il lavoro
in città – ma anche e soprattutto
psicologico. E i maschi italiani sono i
più colpiti, ancora più di tante donne
che hanno dalla loro parte la creatività
e più forti energie… Per gli stranieri il
cercare di affrontare in modo concreto
il tema del lavoro. Dobbiamo invece
fare in modo che venga ricucita quella
separazione che ancora oggi esiste tra
istituzioni e città. Per questo dobbiamo
solo sperare che il futuro sindaco
di Bologna abbia almeno due o tre

Un
prete in prima linea sul
lavoro. Un uomo che
vede lontano e tiene
ben ferma la Costituzione tra le mani:
“La nostra è una Repubblica fondata
sul lavoro, e senza lavoro si rischia di
smarrire la cittadinanza, di restare al di
fuori della società… Questo è il rischio
più grande” . Don Giovanni Nicolini,
parroco della Dozza, già direttore della
Caritas di Bologna, è preoccupato.
Vede ogni giorno decine di giovani che
cercano un’occupazione, e si accorge
che tra i più fragili – al contrario di
quello che molti potrebbero pensare –
non sono solo stranieri e senzacasa. Per
loro la scommessa è chiara, talvolta
cercata. I più fragili, i ragazzi che
rimangono più spesso intrappolati nei
labirinti delle agenzie interinali, degli
ormai obsoleti uffici di collocamento,
sono quelli che hanno studiato, che
hanno fatto gli apprendisti e provato ad
avere un datore di lavoro, quei “nostri
ragazzi” che un impiego lo potrebbero
avere e invece non ce l’hanno. “Il
problema non è solo economico –
spiega Nicolini, che già due anni fa
problema è ancora diverso, sono ragazzi
che si buttano nelle cose con coraggio,
che sono concreti, che non si abbattono
per i mille problemi che incontrano.
Hanno insomma la volontà di affrontare
le difficoltà”.
Certo i problemi, oggi, ci sono per
tutti. Stranieri e residenti, giovani
e meno giovani. E Bologna, molto
probabilmente, mantiene una sua
specificità anche in questo campo:
“Sono tentato di dire che a Bologna non
abbiamo mai provato a mettere attorno
ad un tavolo tutte le istituzioni per
importanti riunioni alla settimana per
affrontare questi temi. Anche perché
le istituzioni, senza contatto con la
realtà sociale, rischiano di invecchiare
rapidamente. Ecco, ho buoni sintomi
per dire che l’attuale Commissario
Anna Maria Cancellieri sia una persona
attenta e propositiva anche in tema di
lavoro. E sarebbe davvero una bella
cosa riuscire a non perdere questo anno
prima delle prossime amministrative.
Lei non subisce condizionamenti
politici, ha il potere e gli strumenti per
intervenire. Staremo a vedere”.

Parla il Segretario dello Spi-Cgil di Bologna

Chi governa la crisi?

Un
p Bruno Pizzica aumento delle ore di cassa integra-
zione che ha sfiorato, nell’ultimo
anno, il 1.000%; 30 mila lavoratori e
Licenziamenti e cassa lavoratrici coinvolti; migliaia di aziende piccole, me-
die, grandi che chiudono, ridimensionano, utilizzano
integrazione si fanno gli ammortizzatori sociali. La crisi economica, che se-
condo il capo del governo è già passata, fa sentire
sentire anche fra i proprio ora i suoi effetti drammatici sull’occupazione.
Ad essere colpiti non sono più solo i precari, i giova-
lavoratori “protetti”, ni, le donne, ora la situazione si fa dura anche per i
lavoratori “protetti”. Perché la durata degli ammor-
mentre Palazzo Chigi tizzatori non regge la longevità della crisi e perché
tante, troppe aziende, ne stanno approfittando per
rimane inerte. liberarsi dal personale. Occorrerebbero misure ade-
guate: proroga della durata degli strumenti di tutela,
E intanto aumentano una riforma che li estenda a tutti i comparti di lavoro
e a tutte le tipologie contrattuali, una politica indu-
i nuovi poveri striale che dia futuro al Paese, un sostegno ai redditi
da lavoro dipendente e da pensione per ridare fiato ai
consumi. La Cgil ha scioperato di nuovo, il 12 marzo
scorso, per chiedere tutto questo. Risposte, nessuna.
Solo un altro bonus per motorini, lavastoviglie e altre
amenità, tanto per ribadire che non c’è un’idea vera
per uscire dalla crisi.
Anche a Bologna si avverte la crescita di nuove po-
vertà. Il servizio mobile di Piazza Grande è un osser-
vatorio privilegiato, e ci dice che stanno crescendo
i casi di persone italiane che si ritrovano in strada:
sono lavoratori in cassa o licenziati, ma anche pen-
sionati al minimo. E il Sunia, il Sindacato degli in-
quilini, ha denunciato una vera e propria emergenza
sfratti, causata da morosità: mancano i soli per pa-
gare l’affitto. Appostatevi, sul far della sera, dietro al
Mercato delle Erbe o ad un qualsiasi supermercato:
troverete gli anziani che aspettano gli scarti di frutta,
verdura, pane, magari formaggio e carne invenduta e
a tiro di scadenza.
Aspettano la loro cena.
Anche a loro è dedicato il nuovo Piazza Grande, che
da oggi comincia il suo tragitto.
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La stazione
dei lavori inventati
p Leonardo Tancredi
C’è chi si improvvisa
facchino, chi dà una mano
alle biglietterie e chi aiuta
a pulire: così gli homeless
“fanno giornata”
La
stazione ferroviaria è un crocevia di
opportunità. Invece di guardare i treni
passare, chi è senza casa e senza lavo-
ro va lì a impegnare la sua giornata. Nella maggior
parte dei casi senza commettere reati, solo colmando
dei vuoti di assistenza al cliente lasciati dall’azienda
competente, mettiamola così. Tra binari, sottopassag-
gi e biglietteria c’è molto da fare. Ce lo insegna Luigi,
facchino e accompagnatore “informale”. “Sto in sta-
zione, sempre vestito bene, mai come un barbone. Mi
avvicino a una signora, le chiedo se vuole una mano e
poi, camminando, racconto che ho 5 figli e che quello
è il mio secondo lavoro. C’è chi mi dà 2, chi 5, chi 10
l’inchiesta
euro e raccolgo quei 20 euro per affrontare la giorna- Danno lavoro anche i distributori di bevande e tramezzi-
ta”. Un lavoro discreto e cortese, interventi mirati, solo ni. Si possono bloccare con la gomma da masticare, per
5-6 persone al giorno, puntando bene su quelle più poi prendere le monete inceppate, ma Biagio ci lavora
in difficoltà. “Solo una volta la polizia mi ha multato, onestamente. “Dò una mano a quelli che sistemano le
15 euro e 20, esattamente quello che avevo in tasca”.
Ma anche incontri fortunati, come la studentessa che
macchinette, svuoto i secchi, cambio i bicchieri, io li aiu-
to e loro mi danno qualche panino e qualche euro. Non
lascia 20 euro di mancia, oppure vip come Lucio Dalla
(10 euro) e Romano Prodi (solo 5). “E poi la signora
mi assumono perché ho 60 anni e prendono solo per-
sone sotto i 40”. Inventarsi un lavoro, non dicono così i
che non mi ha voluto dare i soldi, diceva ‘è impossi-
bile che lo fai per lavoro,
sostenitori della libera impresa? Michele avrebbe un’idea
sei troppo distinto’”.
Michele invece è una
biglietteria automatica
vivente. Per fare giornata
si è impratichito alle mac-
chinette, fino a diventare
rapidissimo. “Mi piazzo
là davanti, quando vedo
una persona in difficoltà
mi faccio dire dove va e
faccio il biglietto davanti a
lei. Mi lasciano 3-5 euro.
La gente mi chiama anche
per i biglietti per l’estero,
conosco tutte le offerte”.
L’exploit di Michele è stato
un giorno di luglio di un anno fa, quando le bigliette- anche meno informale. “Potremmo organizzare la raccol-
rie erano chiuse per sciopero e l’automatico era l’unica ta differenziata di plastica o di cartoni, basterebbe una
chance. “Lavoravo a due mani, contemporaneamente su piccola pressa, un furgoncino, un capannone e poi met-
due macchinette, chi andava a Milano, chi a Roma, chi in tersi d’accordo con Hera. Io non ce la faccio a stare con le
Germania, solo quel giorno ho fatto 500 euro”. mani in mano in dormitorio”.
i numeri della crisi
p ilaria giupponi
Secondo il rapporto sul mercato del lavoro dell’anno 2009 pubblicato dal-
la Regione Emilia-Romagna, il tasso di disoccupazione in Italia alla fine
dell’anno è stato dell’8,5%. Nella nostra regione è del 4,9%, e dei 102.000
lavoratori senza occupazione, il 7,4% appartiene ai “disoccupati scoraggia-
ti”: quelle persone che hanno smesso di cercare lavoro e quindi sfuggono
alle statistiche. A Bologna in particolare la disoccupazione è del 2,2%.
Ma questi dati colgono per intero tutta la popolazione inoccupata?
Bisogna considerare una discrepanza tra i dati Istat e i dati reali, che emer-
gono soprattutto dai numeri degli iscritti ai centri per l’impiego.
Il saldo tra assunzioni e cessazioni del rapporto di lavoro si è chiuso in
negativo, con un calo delle assunzioni nel 2009 del 15%, con il 33% in
meno per contratti a tempo indeterminato. Aumenta la cessazione di con-
tratti dei lavoratori con alta anzianità di servizio.
Nella Provincia di Bologna su una popolazione di quasi un milione di abitan-
ti, l’8,9% è di origine straniera. Il 40.1% degli immigrati svolge in regione
professioni non qualificate. I lavoratori in cassa integrazione straordinaria
sono 22.844 in Emilia Romagna (dopo Lombardia, Piemonte e Veneto) con
17.581.569 ore di cassa integrazione. Il totale italiano è di 179.617.307
ore. Un’idea del paese reale viene dalla mensa della Caritas: cassaintegrati e
disoccupati che possiedono ancora una casa, frequentano con irregolarità le
mense, ma fanno sentire la loro presenza attraverso le richieste di sostegno
per il pagamento di bollette o affitti. Le “sportine” sono la soluzione adottata
per queste nuove categorie di poveri: sacchi della spesa distribuiti settima-
nalmente (100-110 unità per diocesi) ai richiedenti.
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La Bolognina La città che cambia

alla svolta
urbanistica
p Simone Sabattini Il nuovo Comune,

Non la stazione futura e

c’è dubbio: la
città che cam-
bia passa so-
prattutto dalla Bolognina. E’ oltre la fer-
un megacomplesso
rovia che Bologna tenta lentamente di
rinnovarsi, seguendo il suo corso oltre
residenziale. Il tutto
l’avvicendamento di sindaci, scandali,
dimissioni e commissariamenti. Nella
mescolato con le
zona compresa tra le discutibili rivolu-
zioni urbanistiche di Porta Europa e la
case popolari e una
nuova sede del Comune si va formando
e sperimentando l’unico abbozzo del fu-
piccola Chinatown:
turo petroniano. Cogliere i mutamenti
è esercizio complesso, in una città che
così nasce un “centro
talvolta pare immobile, paralizzata tra il
perenne piagnisteo del declino e l’ormai
oltre il centro”
stanca ambizione a capitale europea. Ep-
pure, oltre il ponte di Matteotti, dove Bo-
logna perde i portici ma guadagna nuovi
cittadini di mezzo mondo, le cose acca- re la Trilogia Navile, un mega complesso di affrontare la sfida di un’integrazione in città (La Pillola, in via Algardi 3), con
dono. Da tempo. L’arrivo di piazza Liber residenziale sulle ceneri dell’ex mercato vera. La Bolognina lo sa. Conosce i cam- giovani trentenni a condividere un ca-
Paradisus (piaccia o no il nuovo muni- ortofrutticolo. Il mix è quantomeno inte- biamenti e gli esperimenti. Qui, è noto a pannone invece che starsene a lavorare
cipio dell’architetto Mario Cucinella) ha ressante: la Bolognina è anche il melting tutta Italia, la svolta di Occhetto cambiò ognuno a casa propria. Qui, nello stesso
innescato una reazione urbanistica a ca- pot in salsa bolognese, poco più lontano il Pci. Qui, saltando ad avvenimenti ben ex mercato ortofrutticolo, è nato il primo
tena, gettando le basi per un nuovo cen- c’è la Chinatown cittadina, ristoranti e meno epocali, lo stesso comparto dell’ex farmer’s market (ogni giovedì in via Fio-
tro oltre il centro. Nelle strade antistanti minishop africani popolano tutta l’area. mercato è stato riprogettato in un labo- ravanti al 24), poi replicato in altri quar-
il palazzo di vetro è tutto un fiorire di Che accadrà quando gli appartamen- ratorio di urbanistica partecipata (il pri- tieri. E in questo quartiere si “accederà”
ristrutturazioni di vecchie case popolari, ti chic della Trilogia attireranno giovani mo a Bologna) che ha portato cittadini dalla nuova stazione di Arata Isozaki. Se
e chi cerca un alloggio ora – dopo che la professionisti e famiglie agiate? Forse i del quartiere e le associazioni a disegna- mai la faranno. Gli elementi ci sono tutti,
crisi ha sgonfiato l’aumento continuo dei prezzi saliranno, forse i (nuovi) cittadi- re pezzetti della città che verrà, limitan- ma il cocktail va ben miscelato da poli-
prezzi – è lì che va. Più avanti, lungo via ni più poveri si sposteranno altrove. O do lo strapotere della speculazione. Qui tiche attente. Ma per quelle, forse, biso-
Fioravanti Valdadige comincia a costrui- forse, c’è da augurarselo, la città tenterà è nato il primo tentativo di co-working gnerà attendere ancora un po’.

Uno Che anche quest’anno il tempio bolognese dell’italianità universitaria, alias il dipartimento di Italianistica di via

spettro
Zamboni 32, abbia rappresentato uno spazio meticcio significa che non tutto è perduto. Il laboratorio di scrit-
tura creativa interculturale, organizzato dall’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, dal dipartimento di Italianistica e

colorato
dall’associazione Eks&tra, ha permesso a quaranta cittadini di ambo i sessi, di età e culture diverse di scoprire nuove map-
pe per dialogare insieme attraverso la creatività. Come luce polare al nastro di partenza, e arbitro di un continuo fair play,

s’aggira
s’è presentato da subito un libretto di tre colori, rosso bianco e verde: lo Statuto della Regione Emilia Romagna. Il rispetto
della persona, della sua libertà, della sua integrità fisica e mentale e del suo sviluppo; il rispetto delle diverse culture, etnie

per via
e religioni; sono alcuni dei principi presenti nel Preambolo e nei settantatrè articoli che lo compongono. Daniele Barbieri,
giornalista, e Christiana de Caldas Brito, scrittrice di origine brasiliana, sono stati tutor del laboratorio, ma anche spirito-

Zamboni
se guide e bastian contrari per evitare una scrittura che, attraverso gli stereotipi linguistici, perpetui i luoghi comuni della
mente, delle storie e della realtà. Grazie alla loro animazione, tra una nevicata e l’altra, dal 18 dicembre 2009 al 13 febbraio
2010, intrepidi studenti-cittadini di vitalità migrante si sono miscelati col tepore di bevande e vivande, calde e dolci, offerte
p Raoul Lolli (Eks&tra) da mani ospitali e hijab colorati. Semplici, ma insoliti ingredienti del laboratorio di scrittura creativa interculturale, “fucina
ricomponibile” in cui ci si è esercitati attraverso strambe presentazioni, concise in dieci righe, racconti visionari incentra-
ti sulla contemplazione di una scatola vuota, improbabili articoli di giornale con venature umoristiche, vite condensate in
una sola riga, un brano di Kafka riscritto in testa e in coda, innumerevoli libri, reciprocamente amati e consigliati. Tanti
affluenti di un fiume in piena, sfociato in un “cabaret mistico” di racconti, pubblicato on line su www.eksetra.net e sul sito
dell’Assemblea legislativa. Quando si dice che la cultura non ha frontiere, si può ancora pensare allo “spettro” colorato che
s’aggira per via Zamboni. E coi tempi che corrono, non è lecito averne paura. Se ne deve andare fieri.
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Arrivata in città a
Le idee sulla città del commissario Anna Maria Cancellieri
febbraio, dopo una
lunga esperienza
prefettizia, ecco il
suo punto di vista
sullo stato di salute
del capoluogo p Simone Jacca
Quale eredità riceve dall’ammini-
strazione Delbono?
Personalmente ho massimo rispetto per
quello che è stato fatto nei mesi che mi
hanno preceduto. Per questo motivo
credo che il mio lavoro sarà basato sul
principio di continuità e non di rottura.
È importante portare avanti i progetti e
i lavori che hanno coinvolto questa città
nel modo più efficiente ed efficace possi-
bile. Ovviamente mi impegnerò al mas-
simo perché ciò avvenga, ma sarà neces-
sario il contributo della cittadinanza.
Bologna è ancora la città “grassa”
di qualche decennio fa?
Bologna è una città che ha tanti motivi
per considerarsi unica. Ma il valore che
la rende un caso eccezionale in Italia è
la solidità. La struttura sociale, il forte
senso civico dei propri abitanti, l’ele-
Il welfare l’intervista
bolognese?
“È ancora un modello”
vatissima coscienza popolare sono le Al contrario vi sono numerosi spunti di
caratteristiche che più di tutte mi hanno riflessione per migliorare il nostro wel-
impressionato fin da subito. Partendo
da questo la città deve trovare la forza
di reagire a qualsiasi difficoltà, politi-
ca, sociale, economica. Non posso dire
se Bologna si sia impoverita, o se sia
“ingrassata”, non ho avuto il tempo di
fotografare il suo benessere effettivo.
Posso dire, però, che questa città ha
una struttura morale sufficientemente
valida per poter reggere anche le situa-
zioni più complicate. Questa è la risorsa
più grossa che ho trovato ed è da qui
che i bolognesi devono attingere.
Dal punto di vista sociale, quali
sono le carenze più evidenti?
L’organizzazione del welfare, volendo
usare un termine molto in voga, è in
assoluto una delle più avanzate d’Ita-
lia. Lo era nei decenni passati, e non
ci sono motivi per pensare che non lo
sia ancora. Anzi, molte città, non solo
italiane, utilizzano il modello bolognese
per gestire e programmare i loro servizi
sociali. Tuttavia è evidente che attual-
mente non tutti i bisogni sono effettiva-
mente coperti.
fare. L’emarginazione rimane una ferita
grave, i senza dimora che dormono in
stazione sono la fotografia più nitida
di alcune falle che presenta la città in
termini di protezione sociale. Il mio
giudizio complessivo rimane comunque
positivo, soprattutto per quanto riguar-
da l’organizzazione in settori-chiave
come l’infanzia, l’assistenza agli anziani
e la scuola.
Per quanto riguarda i senza dimo-
ra è possibile pensare di passare
dalle riflessioni agli interventi?
Non so, non posso dirlo. Si tratta di un
fenomeno molto complesso che vorrei
cercare di capire meglio, fino in fondo,
nella sua completezza. Non è affatto
semplice. A volte sono loro stessi a ri-
fiutare assistenza, o per lo meno un cer-
to tipo di assistenza. Per questo motivo
lo sforzo maggiore consiste nel cercare
di capire come venire incontro alle loro
esigenze. Non basta trovare delle solu-
zioni, offrire dei servizi; è importante
farlo, ma rispettando la loro sensibilità.
Questo sarà il mio impegno.

Un colpo
ai diritti M eno diritti per i
minori stranieri Sempreverdi
dei giovani non accompagnati. È la Il festival
Festival che
che misura
misura
conseguenza della nuo-
il nostro impatto sul pianeta
stranieri va normativa sulla con-
versione del permesso
p Sabrina Lanotte p Biljana Prijic (Sottobosco.info)
di soggiorno, in vigore
(Bandieragialla.it) Un evento-laboratorio con idee, prodotti e soluzioni per limitare l’impatto
dall’agosto del 2009,
dell’uomo sul nostro pianeta. Il festival “Impronta ecologica”, a Casalecchio
che peggiora una situa-
dal 16 al 18 aprile, è dedicato agli ambientalisti ma anche agli scettici, quelli
zione già precaria ed incerta. La maggior parte dei minori non accompagnati arri-
che magari dicono: “Ma quale riscaldamento globale? E tutta la neve che ha
va in Italia a 16-17 anni, e al compimento della maggiore età non ha il requisito
fatto quest’inverno?”. La strategia migliore per persuaderli è mostrare quanto
della permanenza da almeno tre anni rischiesto dalla normativa. Il loro permesso
sia “profonda” l’impronta ecologica di ciascuno, ossia misurare quanto terri-
di soggiorno, in altre parole, non può essere convertito e loro rischiano di diventa-
torio viene utilizzato da un individuo, una famiglia, una città, una regione, un
re clandestini. A Bologna è il Ceis (Centro di solidarietà), insieme alla cooperativa
Paese o dall’intera umanità. Dal 2000 il Wwf usa il metodo di calcolo dell’im-
Elios, a occuparsi della presa in carico dei minori. “A 18 anni - spiega Giovanni
pronta ecologica nel suo rapporto biennale Living Planet Report, commissio-
Mengoli, presidente di Elios - i ragazzi passano dallo status di minore, altamen-
nando il calcolo delle impronte ecologiche di tutti i Paesi del mondo. L’appun-
te tutelato dalla legislazione italiana, alla condizione di immigrato, soggetta ad
tamento di Casalecchio sarà l’occasione per scoprire la nostra impronta per
una legislazione fortemente restrittiva. Entro qualche settimana devono lasciare
quel che riguarda casa, alimentazione, cosmesi e persino il modo di viaggiare.
il luogo dove gli è stato offerto vitto, alloggio, sostegno. E se durante il percorso in
La sfida è alleggerire il nostro peso sul mondo: al festival si troveranno consigli
comunità non sono riusciti a trovare un lavoro si ritrovano ad essere clandestini”.
e idee per mettere il proposito in pratica. Le aree tematiche sono infatti quelle
Nelle comunità sono spesso presenti ragazzi con precedenti penali (di solito per
più “sensibili” per le questioni ambientali, ossia quelle in cui le singole scelte
spaccio): per loro è ancora più difficile ottenere una conversione del permesso. C’è
di sostenibilità, moltiplicate per il numero delle persone che le fanno proprie,
maggior riguardo invece per le ragazze (presenti in numero molto inferiore), dato
possono fare la differenza: bioedilizia, efficienza e risparmio energetico, mo-
che spesso sono vittime di violenza e sfruttamento. Il rischio che il lavoro di acco-
bilità ecosostenibile, alimenti e vini biologici, erbe e piante officinali, cosmesi
glienza e formazione abbia un esito negativo, tuttavia, è altissimo.
bioecologica, biohotel e altri modi per visitare il mondo senza inquinarlo.
Per informazioni:
Info su www.improntaecologica.it.
Ceis, via Scipione dal Ferro 4, tel. 051 266706, http://62.149.204.119/gruppoceis
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Non parlate al conducente

Da profughi Cipputi
ha cambiato nome
a clandestini
p Marco Guidi p Donato Ungaro (autista Atc)

P Gli
rofughi. Ne ho visti tanti durante
gli anni in cui mi sono occupato di
guerre in giro per mezzo mondo, dal
Medio Oriente ai Balcani. Erano palestinesi
o curdi in fuga dall’esercito israeliano o dai
gas di Saddam Hussein. Erano afghani di
tutte le etnie durante la guerra contro i so-
vietici. E poi croati, bosniaci, kosovari, tibe-
tani, karen… erano tutti uguali e tutti diver-
si. Uguali nella loro precarietà, nella loro
miseria, nel loro dipendere dagli aiuti inter-
nazionali (quando ci sono). Diversi, perché
un profugo è un essere umano, come me,
come voi. Gente cui è stato tolto quasi tut-
to. Gente che vive in campi pieni di fango e
di umidità d’inverno e di polvere soffocan-
te d’estate. Gente che spesso diventa clan-
destina in troppi Paesi. Clandestino, ma di
che? Non ha documenti, risponderebbe un
La redazione di Piazza Grande risponde alle lettere pubblicate sui quotidiani bolognesi
burocrate, non ha visti d’ingresso, non ha
un lavoro, perché ha varcato i confini in
modo irregolare, clandestino appunto. Ep-
pure l’Europa, negli anni in cui sono nato e
cresciuto, era piena di profughi, di clande-
stini, di sopravvissuti, di sinistrati, di bom-
bardati, di disperati. Proprio come l’Italia di
oggi, come l’Europa di oggi, come l’Ameri-
ca di oggi. E mi fanno ridere (in realtà mi
fanno qualcosa di molto peggio) quei no-
stri politicanti (non
politici, politicanti)
che dicono: “Non
li vogliamo qui,
aiutiamoli a casa
loro”. Ma lo sanno
che a casa loro si
muore (di fame, di
bombe, di malat-
tie, di sete)? Lo san-
no che l’Italia è il
Paese europeo che
destina meno fon-
di agli aiuti inter-
nazionali? Mi è ca-
pitato, qui in Italia,
di incontrare profu-
ghi. Come il came-
riere di etnia haza-
rà (la più umiliata
delle popolazioni
afghane) a Roma,
il pittore di strada bosniaco, l’intellettuale
palestinese. Gente cui non ho potuto mai
dare molto, se non un sorriso, una mancia,
qualche parola scambiata nella loro lingua.
Ma, almeno, ho cercato di farli sentire, per
un attimo magari, non clandestini, non fug-
giaschi ma gente comune, come me, come
tanti. Che è poi quello che chiedono anche
loro, prima di tutto il resto.
autobus escono dai depositi alla mattina presto, in-
torno alle quattro, e i primi a salirci non sono più gli
operai italiani con la schiscetta nel tascapane, ma gli immigrati
con le casacche delle cooperative di facchinaggio e pulizia. Co-
noscono gli orari degli autobus notturni, della linea 61 e 62 ad
esempio, di cui molti bolognesi non sanno neppure l’esisten-
za. Salgono sull’autobus sbucando dal buio e materializzandosi
alla fermata del 13, a Borgo Panigale, senza lasciare intendere
dove hanno vissuto fino a un attimo prima. Indossano giacche
a vento, felpe, casacche gialle e arancioni con loghi di aziende,
nomi di ditte bolognesi, ma anche palermitane e romane. Cip-
puti, il mitico ope-
raio in tuta blu di
Altan, non abita
più qui. O meglio,
non si chiama più
Cipputi, ma Ha-
kim oppure Mu-
hammad o Sahid.
Il moderno Cippu-
ti sale sull’autobus per andare a lavorare, quando l’alba è an-
cora cosa di là da venire, e trova i figli del vecchio Cipputi che
tornano a casa. Si incontrano sull’autobus, quasi senza vedersi,
due mondi: uno, semi-appisolato sul sedile dopo una notte di
bisboccia, l’altro ben sveglio e con il coraggio di “osare la spe-
ranza”, perché ha solo quella. Non ha le scarpe di marca, ma
gli scarponi antinfortunistici dell’azienda, non indossa guanti di
lana, ha le mani infilate in cuoio giallo non foderato, di quello
che ti spacca la pelle. Il nostro futuro è quindi in quelle mani?
Non posso saperlo, sono solo un tranviere. Però c’è una frase,
la leggo tutte le volte che guido il 36, scritta su un muro in via
Po, angolo via Friuli, che credo sia più adatta al nuovo Cipputi
piuttosto che ai nipotini del vecchio: “Cerca di ottenere ciò che
ami altrimenti sarai costretto ad amare ciò che hai”. Lo disse
il medico argentino Ernesto Guevara de la Serna, meglio noto
come Che. Guarda caso un sudamericano, che oggi chiamerem-
mo extracomunitario, proprio come quell’altro... non mi viene
in mente il nome, ma sì, quello famoso... Ah, ecco: Gesù di Na-
zaret. Chissà, forse un giorno mi è salito sull’autobus anche lui,
ma io non ho avuto il coraggio di riconoscerlo.
la posta degli altri

Un tombino è per sempre
Lettera pubblicata su La Repubblica del 19 marzo 2010
Alle ultime amministrative ho votato Delbono a malincuore, perché in
un’assemblea un iscritto disse chiaramente che non era il caso di candi-
darlo perché il suo comportamento non era dei più corretti. Alcuni ami-
ci impiegati in Regione mi avevano riferito che il nostro era un “farfallo-
ne” anche sul lavoro, spessissimo era “in missione”. Poi è venuto fuori lo
scandalo [continua...]
Caro lettore,
capiamo la sua amarezza, tuttavia nella vicenda Delbono c’è anche qual-
cosa da imparare, almeno per noi maschietti. L’ex sindaco ci regala infatti
preziosi consigli su come corteggiare una donna. Ad aprirci gli occhi è
l’intervista rilasciata dalla signora Cinzia su Vanity Fair di marzo. Come ha
fatto Flavio a conquistarla? “Voleva che ci comprassimo la tomba insieme
al cimitero, per stare con me anche nella morte – racconta la Cracchi –.
Cose così non me le aveva mai dette nessuno”. E noi che perdevamo tem-
po con fiori, cioccolatini e anelli di brillanti. Altro che diamanti, un tombino
al cimitero! Quello sì che è davvero per sempre.
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Una
città
da esplorare
p Simona Vinci
Carlo Lucarelli
C
hissà perché ci trasformiamo in
viaggiatori solo quando un ae-
reo, una nave, un treno o un
qualunque altro mezzo di trasporto ci
recapitano (il più velocemente possibi-
le e con il minor sbattimento) a debita
distanza da casa nostra. Possibilmente a
migliaia di chilometri dal nostro Paese
di provenienza. Un posto in cui il pae-
saggio, l’architettura, le facce, gli odori
e i sapori siano abbastanza diversi da
quelli cui siamo assuefatti da riuscire a
rianimare almeno un po’ i nostri sensi
anestetizzati. Abbiamo bisogno di uno
spostamento geografico consistente per
ricominciare ad accorgerci del mondo
che ci si muove attorno. Per constatare,
con un misto di soddisfazione e spaven-
il viaggio
inizia
dai lettori
Un luogo della città
che vi è caro per
qualche motivo,
o semplicemente
che meriti di essere
raccontato. I lettori di
Piazza Grande possono
dare suggerimenti per le
esplorazioni di Simona
Vinci e Carlo Lucarelli
scrivendo all’indirizzo:
ghiaccioblu@gmail.com.
Guardare con occhi vergini, uscire dagli itinerari in cui
ci costringiamo per vedere Bologna come fosse la prima
volta. L’avventura di Simona Vinci e Carlo Lucarelli inizia qui
P| Illustrazione di Nancy Poltronieri
to, di possedere ancora provviso e di accorgersi con orrore che
un paio di gambe, di attorno a noi tutto è radicalmente cam-
occhi e un naso. Im- biato e non abbiamo alcuno strumento
provvisamente, in per interpretare quel cambiamento. For-
quel giorno be- se, avremmo fatto meglio ad esplorare i
nedetto in cui nostri luoghi con maggiore costanza.
ha inizio la va- E’ per questo che abbiamo deciso di
canza, sco- provare ad avventurarci per le strade
priamo che della nostra città, Bologna, come se ci
il mondo, trovassimo dall’altra parte del mondo,
ignorato fino in una città sconosciuta di uno Stato
ad allora in mesi e nel quale mettiamo piede per la prima
mesi di percorsi ob- volta. E d’altra parte, Bologna è cam-
bligati e ore di fla- biata tantissimo, negli ultimi anni. La
nellosi televisiva, ci nostra città rossa, nostra signora di por-
interessa. tici e tortellini, di osterie e sangiovese,
Eppure, si potreb- cubetti di mortadella e sanpietrini, cit-
be essere viag- tà dotta e città grassa, città che cambia
giatori an- ogni secondo e che ci ostiniamo a voler
che solo descrivere con le parole che già l’hanno
attra- descritta centinaia di volte, fino a rende-
ver- re quelle parole astratte e senza suono.
sando Vogliamo quindi provare a guardare e
una stra- raccontare la città nella quale abbiamo
da. Il prota- studiato e ci siamo formati, come esse-
gonista di “Wa- ri umani e come scrittori, la città dalla
kefield”, uno dei qual- quale spesso partiamo per andare lon-
più bei racconti dello cosa di cui ci tano e poi ritorniamo, quasi fossimo le-
scrittore americano serviamo e basta. Se potessimo vede- gati a una catena fantasma che qui ci
Nathaniel Hawthorne, è re una mappa dei nostri movimenti, ci riporta. Ma vogliamo provare a farlo con
esattamente questo che fa: attraversa una accorgeremmo di usare una percentuale occhi vergini. Siamo pronti a trasformar-
strada e va a vivere, di nascosto da tutti, ridicola dello spazio che abbiamo a di- ci in esploratori della nostra città e vo-
in un appartamento della casa di fronte a sposizione. I nostri percorsi sono sempre gliamo andare a vedere tutti quei posti
quella nella quale ha vissuto fino a quel gli stessi, non scantoniamo e non devia- che fino ad ora non abbiamo mai ne-
giorno con la moglie. Perché lo fa? Molti mo quasi mai dalle traiettore abituali, anche considerato, perché erano fuo-
motivi, non ultimo, vedere la sua vita e vuoi per mancanza di tempo, vuoi per ri dalla nostra geografia emozionale o
dunque se stesso, dal di fuori. Per veder- pigrizia mentale. E giorno dopo giorno, pratica. Dieci percorsi. Uno al mese. La
si, insomma. Cosa che è quasi impossi- mese dopo mese, anno dopo anno, la digitale in tasca, una mappa della città,
bile fare se non si cambia prospettiva. nostra attenzione al luogo nel quale vi- un taccuino per gli appunti e un buon
E farlo non è per niente semplice: spes- viamo cala insieme alle diottrie. Può poi paio di scarpe, come raccomandava An-
so il luogo in cui viviamo si trasforma in capitare un giorno di risvegliarsi all’im- ton Cechov. Alla prossima. (© 2010).
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Un impegno che va
oltre i 90 minuti di
Sette giorni
gioco e una scelta su sette spalle alla porta
di socialità fuori dal
p Leonardo Tancredi
comune: ce la rac- maneva fuori alla bocciofila, io entravo Anni fa ti avrei risposto di sì, ma ti par- Ci tolgono tanti dei nostri al momento

conta una donna, e poi durante l’intervallo uscivo, lui mi

comprava il gelato e io raccontavo per
lo di molti anni fa, quando c’erano più
forme aggregative nei quartieri, adesso
della partita, solitamente quelli più in
vista. Una volta avevamo 2 lancia-cori

portavoce anonima filo e per segno com’era andata.

Come sei diventata ultras?
arrivano ragazzi che non hanno mai fat-
to esperienze di questo tipo. Noi, negli
che sceglievamo tra i migliori, adesso
devi averne tanti perché durano poco.

di un gruppo di ul- Per me è stato normale, erano gli anni

‘70, avevo 15-16 anni e tutte le persone
anni ‘80, al di fuori degli ultras, collabo-
ravamo con i centri sociali di quartiere
Durante la settimana però i diffidati la-
vorano sempre con noi: se pensavano di

tras bolognesi che vedevo la domenica erano negli ul-

Quando hai cominciato ad andare
allo stadio?
A 2 anni, adesso ne ho 43. Seguivo mio
nonno tifoso sfegatato del Bologna. Poi
un inverno gli venne un’emiparesi per il
freddo e il medico gli proibì le partite. La
domenica lui raccontava a mia nonna e
a mia madre che andavamo ai giardini,
in realtà mi caricava in bici e andavamo
allo stadio. Era stupenda questa compli-
cità tra me e lui che è durata per anni.
Quando ci hanno scoperto, il nonno ri-
tras, quindi per un compleanno chiesi
come regalo ai miei genitori di andare a
fare la trasferta. Il gruppo è apertissimo
anche oggi, se vieni allo stadio nel giro
di 2 domeniche conosci tutti. Probabil-
mente adesso ci stupiamo di questo per-
ché non esistono nella società forme di
aggregazione così immediate. Ma quan-
do vedi uno che arriva allo stadio e sta lì
in un angolo a guardarti, è normale dir-
gli dai vieni qua, come ti chiami…
Questo clima di accoglienza e condi-
visione ha a che fare con la città?
come il Fratelli Rosselli o il Casalone. Il
Comune all’epoca dava stabili sfitti ai ra-
gazzi che presentavano un progetto.
C’è maschilismo in curva?
Bologna è una realtà particolare, il grup-
po ragazze è uno dei più numerosi in Ita-
lia. Abbiamo sempre avuto la possibilità
di andare nel direttivo e attualmente chi
è in balaustra da più anni è una donna.
Invece quando mi sono trovata a rappre-
sentare tutta la curva a riunioni naziona-
li hanno telefonato per chiedere confer-
ma. Non è dappertutto come a Bologna.
Come si organizzano gli ultras?
Una volta, proprio perché eravamo in
tantissimi, nel direttivo si accedeva per
elezione. Adesso ci sono molti sottogrup-
pi, ognuno fa riunione 2 volte a settima-
na e poi manda i propri rappresentanti
alla riunione generale della curva, dove
si decidono le coreografie e altre inizia-
tive. Per l’anno del centenario abbiamo
molto da fare: se arrivano 20 mila ban-
dierine devi passare qualche notte a ar-
rotolare e assemblare, perché di giorno
lavoriamo tutti. Adesso, con la repressio-
ne che c’è, spesso siamo impegnati con
gli avvocati.
In che modo le leggi sulla sicurezza
incidono sull’organizzazione della
curva?
allontanare le persone dagli ultras han-
no avuto l’effetto contrario. Allo stadio
i diritti civili sono sospesi, ma la poli-
zia non è mai stata il nostro obiettivo:
loro facevano il loro lavoro, noi le nostre
cose e sapevamo che oltre un certo pun-
to non potevamo andare. Fino a quando
non hanno cominciato a fare negli stadi
l’addestramento anti-guerriglia.
Che pensi della tessera del tifoso?
Temo che a settembre anche il Bologna
la adotterà. Sarà una sorta di carta di
credito, ogni società dovrà stipulare un
accordo con una banca. Il tifoso dovrà
dichiarare di non aver mai preso diffide
e poi acquistare in banca la carta. Dopo
le verifiche della questura puoi carica-
re la tessera per comprare i biglietti, ma
senza nessuno sconto. Inoltre, la legge
prevede che in caso di diffida la carta
venga sequestrata, e tutti i soldi che ci
sono dentro vanno alla banca. La cosa
più grave è che i diffidati non potranno
più avere la carta, quindi saranno esclu-
si dallo stadio a vita. È solo un grande
business che svuoterà gli stadi. Ma è lo
stesso lo stadio senza di noi? Una rispo-
sta è arrivata durante Bologna-Sampdo-
ria, quando dopo la coreografia lo stadio
si è alzato in piedi a applaudirci. (ha col-
laborato Camille Maccali).

Cronaca delle partite precedenti

Illusione di primavera
p Gianluca morozzi
Se posso usare una metafora: pensavamo che l’inverno fosse passato e avevamo messo via i vestiti pesanti. Invece la primavera ci ha illuso, e c’è da portare la
sciarpa ancora un po’. L’illusione di aver buttato via tutte le zavorre ce l’ha data un mese bellissimo in cui il Bologna, in teoria (e forse anche in pratica, via) si è
messo al sicuro. Genoa-Bologna, sotto una pioggia battente. In un’assurda partita, sotto tre a due all’intervallo, con il Livorno che vinceva, il vantaggio sulla ter-
zultima (proprio il Livorno) era di due miserrimi punti. Poi Adailton si è scatenato, il Bologna ha vinto nell’acquazzone con l’inusuale punteggio di quattro a tre, il
Livorno ha perso al novantesimo, e i Nostri rossoblu si sono ritrovati a otto-punti-otto dalla Fossa dei Dannati in cui, nell’ultimo anno e mezzo, si erano abituati a
stare. A quel punto, la domenica dopo, è arrivato il Napoli. Squadra forte, ambiziosa, con l’occhio alle posizioni importanti della classifica. Bene: dopo dieci minuti il
Bologna già vinceva due a zero, un gol dell’ex Zalayeta, un altro gol di Adailton. Due a uno il risultato finale, con qualche miracolo del mitologico portiere Viviano.
E dopo quella domenica, incredibilmente, i punti di vantaggio sulla terzultima sono diventati undici. Non potevamo quasi credere di essere usciti dall’inverno du-
rato un anno e mezzo, un anno e mezzo sempre a barcamenarsi in fondo alla graduatoria, una salvezza allo spasimo conquistata non si sa come, altre sofferenze,
ma era vero: undici punti! Praticamente una salvezza già conquistata a inizio marzo. Poi c’è stata la grande paura contro la Sampdoria: dopo aver sprecato un paio
di occasioni per vincere il Bologna ha rischiato di perdere, prendendo gol a quattro minuti dalla fine sull’unico tiro degli avversari. Per fortuna, al novantaduesi-
mo, il terzino Raggi ha avuto l’intuizione giusta. Si è lanciato in avanti, ha scaraventato in rete un cross di Lanna, l’arbitro non ha visto un fuorigioco di Succi, e ci è
andata bene così. Ma quando ormai già ci eravamo tolti sciarpe e cappotti e pensavamo al prossimo campionato, che tanto ormai questo era archiviato, a Siena
è tornato il freddo. Metaforico. Un grande ritorno al triste passato, a quell’anno e mezzo atroce: una squadra lenta e molle, un gol preso da calcio piazzato dopo
pochi minuti, poca rabbia, poco mordente, un paio di occasioni sprecate. Sconfitta, triste e giusta. I punti di vantaggio ci sono ancora, ma occhio, che di brutte
sorprese ne abbiamo già avute in passato, e non ne vogliamo più. Portiamo i guanti ancora un po’, e quando sarà il momento festeggeremo la primavera.
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A San Lazzaro c’è culturale del Teatro dell’Argine, “un’uto-

pia realizzata”, come la definisce il re-
un’utopia realizzata: gista Nicola Bonazzi. Tutto inizia nel Cultura
2007, all’interno dei laboratori teatrali
una compagnia
multiculturale che
del centro di accoglienza per richieden-
ti asilo politico di via Ceri, a Bologna. Lì
nasce la compagnia dei rifugiati dell’Itc,
La scena
da tre anni sale sul
più “formazione” che teatro, ma alcuni
di quei ragazzi decidono di proseguire
il percorso in maniera stabile fondando
è dei migranti
palco per raccontare una compagnia multiculturale. Oggi il
gruppo è composto da attori dalle pro- p Laura Marongiu
le storie dei paesi venienze più svariate: attualmente ne
fanno parte una polacca, due italiani, compagnia, arrivato in Italia nel 2005 contandole possiamo metterci del no-
d’origine un camerunense, un curdo, due molda- dal Kurdistan come rifugiato politico. stro, mostrando una goccia del mare di
vi, un nigeriano, un’iraniana, un con- “Ho iniziato quest’esperienza al mio problemi dei nostri paesi d’origine.” Gli
arrivo, nel- spettacoli della compagnia sono sem-
la compagnia pre rivisitazioni di testi teatrali celebri,
dei rifugiati scelti per le loro tematiche civili e po-
dell’Itc – rac- litiche. “Tramite questo taglio, civile e
conta Idris a volte satirico, possiamo parlare de-
dietro le quin- gli attori attraverso loro stessi – spiega
te al debut- il regista Nicola Bonazzi – : ognuno in
to dell’ultimo qualche modo mette molto di sé, della
spettacolo, propria cultura, del proprio paese, ma
“Di che paese anche della propria visione del mondo.
è Madre Co- Pur con provenienze così disparate, nel
raggio” –. Do- momento in cui si recita si è tutti ugua-
podiché sono li, si comunica con la lingua del teatro
entrato a far e questo favorisce fortemente l’integra-
parte della zione di persone arrivate qui con situa-
compagnia zioni molto difficili alle spalle”. L’ulti-
multicultura- mo spettacolo messo in scena (a metà
le e ho inizia- marzo), inserito nel cartellone “ufficia-
to a recitare a le” dell’Itc, si chiama “Di che paese è
tutti gli effetti. Madre Coraggio”, rilettura di uno dei la-
Questo mi ha vori più noti di Brecht. E sul palco gli at-
dato modo di tori-migranti hanno dato voce a drammi
conoscere del- di cui loro stessi sono stati protagonisti,

R
iunire in una compagnia tea-
trale rifugiati politici e richie-
denti asilo provenienti da tut-
to il mondo. Usare il teatro come luogo
d’integrazione, e contemporaneamen-
te come megafono per le loro storie di
vita. E’ la storia della compagnia multi-
golese, due cinesi e una brasiliana. Per
loro la compagnia è un luogo di doppia
accoglienza: si accolgono gli attori-mi-
granti, ma anche le loro storie, i disagi e
le emozioni, che entrano a far parte de-
gli spettacoli messi in scena. Lo confer-
ma Idris Hussain, uno degli attori della
le persone più facilmente, ma anche di
migliorare il mio italiano”. Idris va fie-
ro dei vantaggi che la multiculturalità
può regalare al teatro. Nelle opere mes-
se in scena, spiega, “si parla di storie
di paesi in difficoltà, che non sempre
sono conosciute dalle persone. Noi rac-
dalla prostituzione infantile alle guerre
mediorientali, fino alle dittature dell’Est
Europa. Per capire che l’utopia è diven-
tata realtà basta ascoltare le loro voci,
mai così vere come quando cantano un
pezzo popolare polacco, o piangono in
curdo la morte di un figlio.

diario dal pratello

il teatro/carcere cerca stabilità
p Paolo Billi (regista)
Il lavoro teatrale all’interno del carcere è ascolto e confronto. E’ uno spazio-tempo dedicato alla cura di se stessi. E’ costruzione di una consapevolezza cri-
tica. E’ una palestra delle emozioni. E’ un’esperienza artistica complessa. Il lavoro teatrale in carcere conduce inevitabilmente il teatrante ad interrogarsi sul
senso e sulle necessità del suo fare. E per chi in carcere ci vive, il teatro è un’attività di educazione, di formazione e di possibile futuro reinserimento pro-
fessionale. Ma è fondamentale che quest’attività sia permanente. Per questo il Teatro del Pratello, il Gruppo Elettrogeno e la Città Invisibile, che operano da
diversi anni all’interno della Casa circondariale di Bologna, hanno deciso di costruire un progetto triennale comune, in cui collocare le diverse attività di
laboratorio teatrale, di musica, di danza, e la produzione di spettacoli, da presentarsi all’interno del carcere e fuori dal carcere. Un progetto promosso e con-
diviso dall’Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, che segue la nascita, nel giugno 2009, del Coordina-
mento regionale tra le diverse realtà di teatro/carcere che operano in Emilia Romagna. Oltre alle tre esperienze bolognesi, in regione lavorano il Teatro Nu-
cleo di Ferrara, Appunti di Viaggio di Rimini, l’Associazione culturale S.t.e.d. di Modena, il Teatro dei Venti di Modena e Giolli Cooperativa sociale di Parma.
L’obiettivo del coordinamento, che ha ricevuto il patrocinio non oneroso da parte della Regione, è ambizioso: garantire stabilità, continuità e sviluppo alle
esperienze avviate. Ispirandosi a quello che succede dall’altra parte dell’Apennino, dove da dieci anni esiste un’eccellenza: un analogo coordinamento tra
sedici realtà di teatro/carcere, riconosciuto e finanziato dall’assessorato alla Cultura della Regione Toscana. E’ in Italia la più importante esperienza di riferi-
mento. Ora anche l’Emilia Romagna riconosce la ricchezza delle esperienze presenti in regione: è arrivato il momento di sviluppare il filo che le accomuna.
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on the road
11 aprile
ore 22
Massimo Volume
Locomotiv Club
Via Sebastiano Serlio, 25/2
www.locomotivclub.it
I Massimo Volume sonoriz-
zano live la pellicola di Jean
Epstein “La caduta della
casa Usher”. Il regista vi
fuse due racconti di Edgar
Allan Poe (“La caduta della
casa degli Usher” e “Il ritrat-
to ovale”) con altri spunti
dello scrittore americano,
ma poco interessato al ma-
cabro, li rilesse in chiave
animista. Ad aprire il live
solista di Stefano Pilia.
16 aprile
ore 22.30
Wicked Friday
Tpo
Via Casarini 17/5
Anche quest’ anno il mese
di aprile coincide con la
chiusura della stagione
reggae-dancehall al Tpo di
Bologna. Il dj della scena
bolognese, Mad Kid, per
l’occasione è affiancato da
Mr. Brusco. L’ hosting del-
la serata è affidato come
sempre alla Rude Family,
resident sound al Tpo da
diversi anni.
17 aprile
ore 20
Ska Festival
Laboratorio Crash
Via della Cooperazione 10
Lo Ska Festival è un proget-
to musicale, sociale e cultu-
rale che nasce interno al La-
boratorio Crash di Bologna.
È un’iniziativa antirazzista
ed antifascista. Ore 20 gri-
gliata, ore 22 Dr.Ringding.
18 aprile
ore 22
Joe Lalliy + Sumo
Locomotiv Club
Via Sebastiano Serlio, 25/2
www.locomotivclub.it
biglietto 8 euro
Joe Lally bassista nonchè
una delle menti della stori-
ca band dei Fugazi. Ha lavo-
rato con John Frusciante e
Josh Klinghoffer (la band si
chiamava Ataxia) alla scrit-
tura dell’album “Automatic
Writing”. Negli ultimi 3 anni
ha girato in lungo e in largo
il mondo con il suo proget-
to. Apertura porte ore 21.30,
inizio live ore 22. Tessera
arci 2010 obbligatoria.
23 aprile
ore 22
Africa Unite
Estragon
Via Stalingrado 83
www.estragon.it
biglietto: 10 €
Dopo 4 anni dalla pubbli-
cazione di “Controlli”, il
5 marzo è uscito “Rootz”:
quindicesimo lavoro disco-
grafico per il gruppo più
longevo e rappresentativo
del Reggae Made in Italy.
“Rootz” recupera le sonorità
più ortodosse e calde del
genere, reintroducendo la
sezione fiati e proponendo
un sound che unisce il Dub,
la Poetry e il suono delle
radici del reggae, rileggendo
il tutto attraverso contenuti
musicali attuali.
Fino al
18 aprile
Del bel tempo che fu.
Bologna
nelle illustrazioni
di Giuseppe Bacci
Fondazione Del Monte
Via Donzelle 2
L’opera di Giuseppe Bacci
ha svolto un ruolo impor-
tante di mediazione e di
diffusione di contenuti cul-
turali. Attraverso i manifesti
pubblicitari ha divulgato
non solo le informazioni
sui luoghi e sui prodotti
reclamizzati, sugli eventi e
sui personaggi che ne erano
protagonisti, ma ha reso
appuntamenti del mese
familiari i modi e gli stili
espressivi della contempo-
raneità, contribuendo alla
nascita di quella cultura
visiva che è caratteristica
fondamentale, imprescin-
dibile e dominante in ogni
sfera del quotidiano.
16 Aprile
ore 21.30
Catch imprò
via Gorki 16
biglietto 10 euro
Arriva dalla Francia, dalla
fantasia di Inédit Théâtre, il
nuovo format di improvvisa-
zione teatrale che Improtea-
tropropone al suo pubblico.
Ecco dunque il Caatch Imprò:
due attori contro due, un ma-
ster crudele che propone gio-
chi di improvvisazione oltre
ogni limite, con la complici-
tà del pubblico. Lo scenario
è quello di uno scherzoso
wrestling: scenografia e pre-
sentazioni ad hoc, stacchi
musicali carichi di energia,
sfide esasperate, tensione
altissima. Questo è Catch
Imprò: energia, imprevedibi-
lità, coinvolgimento del pub-
blico per il format che punta
decisamente a diventare il
successo dell’anno.
25 aprile
Festival della Zuppa
Via Stoppato
Arriva alla quinta edizione il
Gran festival internazionale
della zuppa. In attesa della
festa in programma anche
tre incontri per imparare
a cucinare dolci: appun-
tamento il 19 aprile (ore
17-20) per lezioni di pan di
spagna, tenerina, torta alla
frutta. Il 20 aprile (ore 17-20)
lezioni di tiramisù, crostata
e biscotti. Ultima lezione il
24 aprile (ore 15-19). I labo-
ratori si tengono all’Associa-
zione Ca’ Bura in via dell’Ar-
coveggio, Iscrizioni 10 euro
(massimo 15 partecipanti) a
festivalzuppa@gmail.com o
al numero 339 1910989.
Fino a
luglio 2010
Fellini. Dall’Italia
alla luna
Cinema Lumière e Mambo
www.cinetecadibologna.it
Retrospettiva dedicata a Fe-
derico Fellini. Segnaliamo la
proiezione de “La dolce vita”,
martedì 27 aprile, con l’intro-
duzione di Goffredo Fofi. La
mostra Fellini. “Dall’Italia alla
luna” al Mambo è aperta dal
martedì alla domenica (ore
10-18, giovedì ore 10-22), chiu-
sa il lunedì.
21 Aprile
ore 21
Iacchetti rilegge
Gaber
Teatro delle Celebrazioni
via Saragozza 234
www.teatrocelebrazioni.it
biglietti da 25 a 30 euro
Enzo Iacchetti è da sempre
un grandissimo estimato-
re dell’opera “gaberiana”.
Insostituibile padrone di
casa del Festival Gaber di
Viareggio, nel corso degli anni
ha saputo coinvolgere con in-
superabile entusiasmo tutti i
prestigiosi artisti che vi hanno
partecipato. Il ricavato dello
spettacolo andrà in favore del
progetto raccolta fondi che
Fa.Ce realizza per sostenere
le sue attività in difesa delle
persone disabili.
L’agenda “On the Road”, a
cura di Giuseppe Mele, viene
chiusa in redazione il 25 di
ogni mese. Per segnalare
eventi e inviare comunicati
scrivere all’indirizzo:
redazione@piazzagrande.it
UN PATRIMONIO
DI IDEE EDIFICANTI
Abbiamo cominciato a costruire più di 70 anni fa, credendo nel lavoro,
nelle persone e nello sviluppo. Queste sono le fondamenta di tutte le
nostre opere, di allora e di oggi. Soprattutto di oggi, perchè il progresso
ha cambiato il mondo ma non il nostro modo di progettare e fare. Per
questo continuiamo a costruire soprattutto con i valori, per tutelare
l'ambiente e il lavoro. E continuiamo a credere che se dietro una grande
opera c'è sempre un grande genio, il nostro sono le persone.