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Poesie e Racconti

Daniele Marton

Poesie

CUORE A META
Ho un cuore diviso a met
una parte nelle tenebre
laltra nella luce.
La mia Anima come un respiro
Ora sale e ridiscende,
dallestasi alloblio,
dalla dannazzione al cielo.
Persa la mia natura d' individuo
vivo per compiacere i miei Demoni.
In me due immortali in battaglia
lottano senza poter morire
ferendosi in eterno
in eterno lacerandosi le carni.
Non mi seguire,
perch ogni volta che scendo
ho solo dolore da dare
ed il sacrificio non vale
gli attimi di beatitudine della risalita.
Come i flutti sulla riva
incessantemente mi formo e mi disfo,
come neve ricopro tutto
e con i primi tepori scompaio.

Quando sono luce


mi espando e dono vita,
quando sono tenebra
ogni cosa divoro.

Non c posto sulla terra


dove le due met del mio cuore
possano convivere in pace,
inutile cercarlo.
Non vi armonia
se non nellalternanza.
Sono nel contmpo sole
e luna che lo eclissa,
totale ma mai completo,
incontenibile e vuoto.

Non posseggo la chiave del tempio dei misteri,


io sono i misteri,
e se busser alla mia porta
non mi verr aperto,
e se riuscir ad entrare
sar scacciato,
e se penetrer quei segreti

essi mi annulleranno
ricreandomi a loro immagine,
immagine sempre cangiante
di volta in volta differente
sempre imperscrutabile.
Esisto in questo ritmo tra polarit opposte
sempre immobile nel frenetico oscillare.
Esisto senza un senso
senza uno scopo
che continuamente cambia
appeso a testa in gi
con punti di vista che non puoi comprendere.

Sono il fango melmoso che t' insozza


che soffoca la pelle seccandosi.
Sono lacqua pura di sorgente
che ripulisce e disseta
quando di lei non hai bisogno.

Come ogni creazione segue ad una distruzione,


ogni rinascita ad una morte,
cos, costantemente muoio e rinasco,
sempre mi distruggo per poter ridarmi forma.

Questo sono
Inalterabile mutevolezza
Inconprensibile cumulo di desideri e rinunce.

LA DIFESA DEL TRICKSTER


Come potete avercela con me?
Perch vi arrabbiate se talvolta uso il sarcasmo
e metto in tavola i vostri difetti,
per sbilanciarvi e farvi vacillare?
Perch divenite irosi
se vi inganno con la sincerit e la spontaneit
in un mondo falso ed aprofittatore?
Io, che non ho nulla da guadagnarci...
Come potete pensare di allontanarmi
quando vi metto di fronte al vostro lato oscuro
che non riuscite, o non volete esternare
neppure con chi vi intimo, per sfiducia,
al punto che forse avete dimenticato di averlo?
Perch ve la prendete?
Siete veramente cos insicuri
riguardo a ci che siete o pensate di essere?
Mi dite: "Il tuo atteggiamento quello di chi
si sente superiore agli altri!"
Vi rispondo: "Non ho nulla da insegnare agli altri,

in verit posso solo imparare qualcosa,


tuttavia, quando vi propongo
e vi pongo innanzi ai vostri difetti,
veri o da me presunti che siano,
vi do due sole strade da poter imboccare:
la prima la rabbia, ed il mio allontanamento da voi,
la seconda la calma e la riflessione su quanto insinuato.
Se qualcheduno vorr avere la cortesia di farlo con me
posso garantire che scieglier la seconda strada,
ma colui che non pu evitare di sentirsi superiore
non potra per nessun motivo evitare la prima.

CAMMINO
Temo la delicatezza
Del palmo del mio piede
Da troppo tempo avvezzo
A futili calzari,
Poich esso divenuto
Limitazione per il mio passo.
Cos, nel tempo,
Al mio arto nudo insegner
a camminare sui rovi e sullortica
Perch ne divenga immune,
Lo pogger sul ghiaccio
E nel fuoco ardente
Affinch pi non li tema,
Cos egli diverr
Larma della mia conoscenza
E soddisfer il desiderio mio
Di intraprendere con serenit
I sentieri pi tortuosi

IL CORVO

Il nero corvo
su di un ramo solo
ma per volont d'esserlo;
contepla il vento implacabile
che gi gli rub
il suo riparo di foglie.

Resiste il corvo
alle raffiche violente
ancorato saldamente ai forti artigli,
sostenuto da gracili zampe,
grande la fatica,
ma non vengono scaricate colpe,
non si rifugia
in progetti di future mete oniriche;
il corvo si ripete
" cos basta!"
ma il sostar su quel ramo,
ormai,
inutile quanto il vivere degli uomini,

cos viene l'ora di riposare le zampe,


spiegare le ali nere,
rompere i legami,
e lasciarsi andare,
lasciarsi catturare dal vento degli eventi;
diviene ora,
nella falsit dell'attimo presente,
moto di vita e rassegnazione,
alla speranza sconosciuta.

Lascia decidere al vento


il corvo
ma di quando in quando,
prendendo posizione,
diviene solo corpo, anima,
muscolatura e mente,
ed ognuno di questi aspetti
vivo in lui
e nella sublime sinfonia di vita
s'impone violentemente
di contrastare la brutalit del vento,
divenendo cos
padrone del propio volo.

HUMAN GUN
Prendi una pistola,
caricala,
puntala alla testa del tuo nemico,
premi il grilletto.

Ora chiediti:
chi il mio nemico?

Trova un'altro
ipotetico nemico,
prendi la pistola,
caricala,
puntagliela alla testa,
premi il grilletto.

Ora chiediti:
chi il mio nemico?

Trovane un'altro,
prendi la pistola,
caricala,

puntagliela alla testa,


premi il grilletto.

Ora chiediti:
chi il mio nemico?

Fallo 10, 100,1000 volte,


e continua a chiederti:
chi il mio nemico?

Ora prendi la pistola,


caricala,
puntatela alla testa,
premi il grilletto.

IL SATIRO
Eccomi! Vengo danzando.
Eccomi! Porto irrazionale sconquasso.
Eccomi! Salto seguendo il suono del mio tamburo.
Eccomi, una quarta volta, a ribadir chi sono...

Due corna sulla mia testa


un sol corno tra le mie labbra
Suono le note impazienti
che son grido selvaggio
proprio della Madre che mi gener.

Eccomi!
Il mio seme dispenso
dal vigore del mio sesso
temuto e bramato,
estasi e punizione,
purezza e tormento.

Eccomi!
Nella borraccia porto
il sangue della Dea

ch'essa stessa mi diede


per inebriare le menti degli uomini.

Eccomi!
Non vi in me l'amore
come dall'unione tra uomo e donna,
non Eros il mio nome,
io sono animalesca passione
pulsante di immenso desiderio
confluito nelle vene
di fallica volont.

Eccomi!
Non son spirito Io
ma carne e sangue
poich il mio spirito invero
quello della terra stessa,
da cui come pianta spuntai
a cui, seppur privo di radici,
da sempre legato restai.

Eccomi!
Esplosione irragionevole di vita

impensabile da smorzare,
forza ribelle indomita
incontenibile d'euforia.

Nella luce della luna mi rifletto,


medesima luce che radiosa s'impone
su corpi nudi
di donne e uomini...
Che s'uniscano dunque
ed io con loro indiscriminatamente
affinch il mio primordiale impulso
per breve tempo si senta sazio...
Abbandonino le inibizioni questi stolti,
seppur benedetti,
cos lontani abitualmente
dalla fragorosa natura
che Io sono.

Gioiscano dunque costoro


perch con la notte ch'io vengo
e nella luce dell'alba
colpevole svanisco...

Domattina nemmeno sapranno


il perch di cotanta passione,
solo l'ombra mia balzante vedranno
se gliene verr data percezione...

LA MAGIA NATURALE
C una magia che non puoi capire
Non riposa in vecchi libri, non cercarla!
Ovunque volgi lo sguardo Lei .
C una magia che non puoi capire
Senza passare la notte nel bosco
Con la fiamma dun fuoco a danzarti vicino;
Non potrai capirla
Se non passando a piedi nudi
Sulle pietre dun sentiero antico
Che la volont dellUomo e della Natura
Hanno congiuntamente segnato,
Poggiando il piede su scalinate di radici
Tu la capisci;
Nel tronco spontaneamente caduto
A ponte da sponda a sponda,
Nella potenza della cascata
Che dal ghiacciaio discende,
Nella maestosit della Montagna,
In tutti questi giganti,
Tu vedi gli Dei;
Ma a chi necessita tentar
Di dar loro un volto ed un nome
Se non a colui che non li conosce?
Poich chi li conosce sa

Che essi son ben altra cosa,


Cos lontani dalle passioni dellUomo
Cos vicini alla sua intelligenza;
Non ne siamo Noi come sottoposti
N come padroni,
Non vi dominatore
Ne dominato,
Ma di tutte le cose
Impariamoci fratelli
Nellincessante coesistere,
Figli del Padre e della Madre
Che sono uno
Cosa ingenerata ed immensa
Che ogni cosa genera
A sua somigliante pienezza.
Riconosciti Uomo,
Nel lento passare delle nuvole
Che in loro tu sei,
Nel fuoco che dal fulmine divampa
Che in lui tu esisti,
Nellacqua impetuosa che scorre
Che con lei tu ti trasformi,
Nella terra che tutto alimenta
Che con lei sei cosa sola.
Rimani dove il tempo

Non necessit desser calcolato


Lasciato libero
Nelleternit del divenire;
Rimani dove lo spazio
Non pu esser vincolato in misure
Che lunica misura sua
E la tua capacit di percorrerlo.

Carisolo Val Genova

25/06/2012

LA STRADA

Orrido stato scuro


che nasconde la terra agli occhi,
enorme reticolo nero
che divide i continenti
in sezioni infinitesimali...
cos la strada
quando la si vede;
ma tra incroci di storie
nasce un mondo nascosto,
cos vicino
ma sempre pi lontano...
nero, sporco,
ma cos limpido
che sincerit diventa
chiave di lettura...
E resta li, sempre,
a ricordarti che
la vita altro,
che oggi sei,
domani non pi,
poi forse
ritorni,

ma se te ne vai
sei fortunato...
Segui la strada
su cui "viaggio" una realt,
anche nell'immobilit
di tempo e spazio,
e dovunque conduca,
pensa che ci sar sempre
una strada per andarsene...
Cos la strada
quando la si vive.

LALBA DI SAN GIOVANNI


Nacqui figlio dincesto
Dal matrimonio tra Sole e Luna
Fratello e Sorella,
Conoscenza e passione;
Fui cullato sul seno di Venere,
Quali amabili braccia
Compagno di giochi fu per me Mercurio,
Mio mentore, maestro e protettore.
Vidi quella notte tre croci,
Una, la centrale, caduta,
Spezzata dalla volont,
Schiacciata dalla potenza.
Fu da quella rupe
Che Lucifero scorsi
E tutto in lui risplendeva,
Ed Io con ogni cosa.
Gli chiesi: Padre,
Quali miracoli vuoi rivelarmi?
Disse Lui: Non v miracolo
Cui Tu non sia partecipe.
Allorch non temetti
La visione della Morte scarnificata

Affacciarsi sul corpo mio


Che il suo tempo ha da venire.
Ma piansi quando vidi
Il volto della Madre mia
Affacciarsi e rispecchiarsi
Sulla Terra tutta,
Chessa fu magnanima
Regolatrice di Vita
E luomo che non comprese
In Lei fece violenza.
Cos la Morte fedele
Invocai sul mio essere,
Ma Ella si neg:
Non ora tempo mio! disse.
Dissi: Padre, ors,
Brucia gli empi con la folgore tua!
Egli rispose:
In Me non v che Vita!

L'UOMO CHE SA FARE TUTTO

L'uomo che sa fare tutto


imprescindibile,
eletto tra i miseri.

L'uomo che sa fare tutto


non ha limiti ne padroni,
sapientemente sa
modellare la sua mano
ad ogni evenienza,
poich la sua mano
il suo strumento,
il suo attrezzo,
la sua volont
ed il suo unico lavoro.
L'uomo che sa fare tutto
non ha rivali
e nemmeno ne cerca,
egli gode
della completezza
che gli appartiene

in quanto esempio
d'ogni qualit umana.

LUSSO E MISERIA

Ci sono uomini
fieri di essere tali,
uomini apparentemente
privi di dubbi,
apparentemente sicuri...
Ma non vi
vera sicurezza
in ci che si pu toccare
o afferare,
poich la materia pu essere distrutta
disgregata.

Ci sono uomini che accumulano beni


effimeri,
e in essi si perdono,
e con essi
perdono di vista il reale,
ci che rende vivi...

Ci sono uomini spavaldi,


che prendono il potere,
dato che da esso dipendono,
ma la loro dipendenza
li rende peggiori di coloro
su cui prendono
libert di giudizio,
visto che il potere per loro
diviene eroina dell'anima...

Ci sono uomini
che vivono come bestie,
tra le bestie,
che pure paragonati ai primi
meritano l'appellativo
di dei sulla terra.

NOI...

Noi...
generazione di perdenti convinti,
figli di falsit ed orgoglio,
viziati dalla famiglia
e dal benessere,
al prezzo della nostra libert;
nati per la strada,
eppure non l'abbiamo mai vista;
cos come sciacalli,
ci nutriamo dei resti
della carcassa putrida
che fu a suo tempo
illusione di democrazia.
Ribelli senza causa,
guerrieri privi d'azione,
vivremo il nostro ciclo vitale
per rinascere poi mutati
ma sempre noi...

Noi siamo espressione artistica,


che cammina sulla strada a due metri d'altezza;
sia concesso di capire
a chi si dimostra meno bifolco della massa
che ci che sta vedendo camminare
l'mmagine pura
dell'artista insieme alla sua arte.

ODE ALLA DECADENZA


Riposi in crepe su muri scrostati,
lebbrosi per cui malta carne,
tra impolverate ragnetele
che i costruttori abbandonarono
per nuove architetture e geometrie.
Dov celata la stanchezza degli anni
Ogni cosa logorata, irrimediabile.
Dolce appare la ruggine agli occhi
mentre cavalca onde di ferro battuto
e picche spuntate e curve
in questo mare dumidit e polvere.
Duna canna fumaria
cui croll il camino dal tetto
rimane un solitario foro
su di un muro che fu bianco
oggi nero di fumo e di tempo.

Ascende ledera rampicante


come nuova struttura nervosa,
mentre la Falce si specchia
nei vetri rotti duna finestra

sparsi in terra, scomposti,


a imitazione del caos
da cui tutto proviene.

Nel roseto lasciato a se stesso


tra rose aride e secche
sol tre risaltano, bianche
libere, perfette.
Ovunque la vegetazione prospera
ribelle ai vincoli che le furono imposti
concimata da Geni impazziti
con macerazione di visioni oggettive.

In travi ed assi divorate dai tarli,


tra odori di stantio e di muffa,
l Tu riposi, serena, esausta,
testimone dellimprescindibile mutamento
mai passiva, sempre colpevole e complice;
cos, come graffi su un disco di Waits
che risuona folle su un vecchio grammofono.

Cos larte delluomo


di fronte alleffettivo?

contro ci che devessere


nulla pu la passione dei sensi.
Marciscono carni sottoterra,
volano ovunque ceneri disperse dal vento,
ma non vi morte, osserva,
tutto brulicar di vita,
qui umida,
l secca

Infinito ciclico ruotare


nellessenza dellessere
si concretizza trasmutatorio
Il puro divenire.

Cosa sono il bello e lordine


di fronte alla conseguenza?
Parole pi stupide e vuote
non ci fu dato di creare.
Cos tutto, armoniosamente deperisce,
ogni singola cosa trasformata,
ogni impero della Mente
inevitabilmente decade.

PARANOIA

Odio...
Il presente mi disgusta,
il futuro mi dona ansie stragiste,
il passato mi affascina,
ma mi fa rabbrividire...
Odio...
Odio il pensiero,
la parola,
la ragione...
Odio il triste concretizzarsi
di paranoiche visioni masochiste.
Odio voi, me,
mentre navigo solo
nella mia follia
chiuso come le orecchie di un sordo,
violentando la mia mente;
germe,
come acido che brucia le cellule,
che fa del mio cervello spugna
per assorbire

reazioni incontrollate
di pulsazioni nervose.
Odio il pianto,
la miseria;
odio il "pre" ed il "post" di ogni cosa;
odio le mie braccia,
odio i miei occhi,
odio l'incoerenza dell'essere
e dell'agire,
odio l'odore nauseabondo dell'arte...

Odio ci che sono e ci che siete,


perch odiare ora la mia unica alternativa.

PAZZIA
Pazzia,
Dolce nettare di cerebro maturo
Fermentante nelle botti del tempio dellesperienza;
Abito bianco del saggio, strada sterrata che svolta a manca;
Oh, riuscissi io ad inpaltanarmi su quel sentiero,
Dimentico di carne e polvere, di pascoli per greggi.
Quanto fummo stolti ad adorar la luce
Scordando che essa esiste solo in relazione alla tenebra;
Se potesi io, ora, perdermi in quel nulla,
Felice diverrei per il non discernere,
Che non esiste bene n male, stolti!
Seppur su dessi vadagiate
Come condannati su vergini di ferro.
Quale Dio fu sacrificato per il gioco perverso?
Quale uomo per primo concep la prpria colpa?
Chi, colpevole, impar a frapporre la spada della logica
Per difendere propriet effimere,
Come effimero fu il desiderio di loro.
Ah, sapessi trasmutar Io la materia grezza in pazzia
Diverrebbe subito palese leffetto dellumana causa,
Dissolta la creazione del Demiurgo
Degenererebbe meravigliosa lanima del cosmo.

STUPIDO PROLETARIATO
Stupido proletariato...
siamo stati derisi,
sfruttati...
relegati a non essere pi
uomini e donne,
meno di cani alla catena,
meno di porci da macello.

Un esercito disarmato
della volont di combattere,
comprati e venduti,
nemmeno,
passati di pappone in pappone
come puttane infette
di favela.

non pi arte,
non pi parte,
avvicinati al pensiero
(politico)
con paura,

per paura...
con la paura dominati...

una babele ipocrita


inghiottita dalle sue stesse macerie.

Pronti ad additare,
avvezzi al futile giudizio
sterile.

Perso anche l'ultimo barlume


di logica coscienza,
riversi su di un mercato
ostile,
nemmeno la nostra fine
per darci conforto...

mantenuti in vita artificialmente,


pi utili che necessari,
divorati dai tempi e modi dell'industria.

Arriver un altro domani,


odioso ed odiato,

per permetterci imperterriti


di continuare a costruire le nostre prigioni,
mattone su mattone,
acquisto dopo acquisto.
Vile desiderio continuo...

Prigionieri che non vogliono essere liberi,


stolti che si pesano
sulla base dell'infimit
della propia schiavit...

Massa da riproduzione
che costantemente genera
nuova manodopera.

Giustizia solo a chi pu permettersela...

Filastrocche

LA TILDE DEI FAGOTTI*


La Tilde dei Fagotti
Svegliata la mattina
Di sotto al porticato
Dorm la notte prima,
Dal letto suo di stracci
Chiedea della cantina
Un bicchierin di vino
E un pugno di farina,
In cambio i suoi servigi
Forniva per sua parte
Di leggere il Destino
Nei segni delle carte,
Cos dai suoi Tarocchi
facea Lei vaticini,
Da tutti i suoi pidocchi
Scappavano i bambini;
Non f per scortese
Nel dire la tua sorte
Augurando Fortuna
In vita come in morte.
Di dove Ella venisse
Non era risaputo,

Di dove poi andasse


Affare del Cornuto,
Che proteggeva i passi
Fea luce sulla via
Dove la Tilde andava
Lui sempre benedia.
Chi fosse Lei davvero
Qual fosse la sua storia
Nel suo girovagare
F persa la memoria,
Sol resta la figura
Della vecchia Veggente
Che possedeva tutto
Pur non avendo niente;
E chi se l' scordata
Rilegga queste righe
L'Anima della Tilde
Nei secoli rivive!
Che sia di nuovo esempio
Del viver come un cane
Per chi non s'accontenta
E brama pi del pane,
Poich non v saggezza

Di senno pi profondo
Di chi non vuole nulla
Oltre abitare il Mondo.

*La Tilde dei fagotti una filastrocca basata sui racconti di mia nonna, riguardo ad un
personaggio,Matilde, che soggiorn per circa un anno, nel primo dopoguerra, al mio paese natio,
Campodarsego, leggendo le carte e facendo lelemosina. Non si sa da dove venisse, si presume dal
centro Italia, e non si sa dove and quando se ne and.

RISATA DI SCHERNO
Risata di scherno
Che gli altri ferisce
Che d limpressione
Di chi compatisce.
Risata di scherno
Di chi non capisce
Ridendo degli altri
Maschera angosce.
Nel tuo carnevale
Di disillusioni
Tu ridi dei sogni
Di colui che canzoni;
Ma se osservi un altro
Il tuo oggetto di scherno,
La tua castrazione
E tutto il tuo inferno,
Che vivi convinto
Sia lunica strada
Appagamento rabbioso
Che per nulla ti appaga.
Rallegra per finta
Una vita ss triste

Dillusioni perpetue
E di false conquiste.
Ah, povero diavolo
Prosegue ridendo
Di ci che non comprende
E di ci che si st perdendo;
Guarda la vita
Col suo paraocchi
E divora bile
In mezzo agli sciocchi;
Ma crollano metodi
E con loro miti,
Per loro arroganza
Vengon puniti
Per non vi f
Peggior punizione
Di ci che passato
Della tua educazione
Ora non ridi pi?
Batti i pugni per terra?
Eppur tutta la vita
La vivesti in guerra.
Ora muori, sconfitto

Deriso e vessato
Chiss a quale vita
Sarai destinato

Racconti

IL DISCEPOLO RIBELLE
Vi era un tempo un asceta, a detta di molti tanto saggio e sapiente da essere
consideato un guru, e in tanti andavano da lui per diventarne discepoli.
Tra tutti i suoi allievi per ve n'era uno in particolare, non superbo o arrogante,
ma critico, che pareva mettere continuamente in dubbio la parola del maestro
con le sue domande provocatorie, talmente ribelle danon farsi scrupolo a
riferirsi al guru apostrofandolo per nome, invece di chiamarlo "maestro".
Un giorno il guru, stanco delle continue provocazioni del discepolo, perse per
un attimo la pazienza, e con tono adirato gli chiese: " Perch ti trovi qu? Cosa
cerchi da me? Qual' il tuo obbiettivo?"
Al che l'allievo rispose: "Se sono qu per sentirti parlare. Da voi cerco tutto
ci che avete da insegnare, e riguardo al mio obbiettivo, esso
l'illuminazione..."
"E cos' per te l'illuminazione?" chiese dunque il maestro.
"L'illuminazione - rispose il discepolo - mantenere la pace interiore anche
mentre fuori si sta combattendo una guerra."

IL MAESTRO ED IL DIO
Accadde quel giorno, che coloro cheorgogliosi si fan chiamare discepoli, e
che come tali si comportano quando son al cospetto dun maestro, vennero
a me affinch parlassi loro del Dio; e cos essi dissero:
<<Rabbi, parlaci or dunque di Dio, cosicch Noi lo comprendiamo.>>
Risposi loro:
<<Cosa volete? A che vi potr servire conoscere il mio Dio? Non avete forse un
Dio in voi? Cosa sperate di ricevere, ingordi, come premio per la vostra
ingordigia?
Osservate dunque il corpo mio e badate bene, chel Dio che lo abita non ha
nulla da dare al suo seguace che non sia digiuno, piaghe, parassiti e morte, ed
ossa e pelle fragili avvolte in stracci impolverati e logori; e per gli stolti egli
ancor serba la verga, e gioisce nel veder lembi di carne saltar via a frustate!
Cercate dunque altrove il vostro pastore, pecore! Che sempre pecore resterete
fino a che non saprete scavare nel di voi profondo al fine dincontrare e
conoscere il vostro Dio!
Cos come ora siete, belante gregge disperso alla merc dei lupi e delle fiere,
solo uno lappellativo cui siete meritevoli: siate dunque chiamati senza dio,
poich questo cio che siete!>>
Detto ci, essi fuggirono da me, non ricevendo ci che cercavano,alcuni, la
maggioranza, imprecando e maledicendo il mio nome; altri vidi andarsene con
fare assorto, ragionando e meditando sulle parole mie, ma questi erano la
minoranza.

IL SASSO NELLA CORRENTE


Il sasso di fiume disprezzava la corrente; non la odiava, poich lodio un
sentimento attivo, nella sua natura passiva si limitava a disprezzarne ci che in
essa vedeva come incessante attivit e frenetico movimento. Sentiva la
corrente infrangersi contro di lui, levigarlo passandole addosso senza alcun
ritegno, e la temeva, dato che il suo corpo nel corso dei secoli era divenuto
sempre pi piccolo e non aveva potuto, per causa sua, mantenere le sue
originali fattezze.
Tuttavia, il sasso restava immobile, considerandosi cos molto superiore alla
corrente; alla frenesia egli rispondeva perpetuando una resistenza passiva.
Un giorno vi fu un grande terremoto, talmente forte da modificare lassetto
del fiume in cui il sasso risiedeva immobile, costringendolo a girarsi,
modificando la sua posa originale. Allora il sasso fu spinto a riflettere riguardo
alla natura mutevole delle cose, al suo stare fermo ed allincessante scorrere
della corrente attorno a lui e su di lui; cap che lo scorrere del fiume, la forza
della corrente, non era in realt un maggior dispendio di energie rispetto a
quello che lui stesso attuava nel suo resisterle, anzi, non era la corrente ad
attaccarlo, essa si limitava a carezzarlo nel suo passaggio, era lui a combatterla
caparbiamente, a non volerle cedere in alcun modo, e si rese conto
dellillusione che aveva rappresentato per lui la concezione della passivit
come propria natura, croll per cos dire in lui lideale della fermezza, poich
egli stesso non era rimasto fermo nei secoli, sul letto di quel fiume. Tutto ci
che la corrente aveva di lui trascinato via con s era divenuto parte di lei, ma
lui, ancorato alle sue convinzioni di stabilit ideale, non aveva potuto far nulla
per trattenerlo a s e cos laveva perduto.
Cos, nella comprensione acquisita, tutto ci che il sasso desider, fu essere
egli stesso corrente, lasciarsi trasportare nel movimento armonioso che allo
stesso tempo forza e passivit; concep il non fare come lo smettere di
creare resistenza, e cos, il suo ultimo desiderio nella forma che aveva abitato
per secoli divenne reale, ed egli, semplicemente, smise di essere sasso e
divenne corrente.

LA PECORELLA
Vi era un tempo una pecora, che non riusciva proprio a stare al pascolo con il
resto del gregge
Era una pecora curiosa, e la sua curiosit la portava sempre a staccarsi dal
gruppo, per andare a brucare da sola, l dove lerba era pi fresca,
ombreggiata dalle chiome degli alberi, e dove i fiori profumavano di pi.
Un giorno, mentre il gregge era a pascolare in un prato, la pecora si allontan,
bench gravida, per andare nel bosco; riusciva sempre a farla ai cani del
pastore, seppur appesantita dalla sua gravidanza giunta ormai quasi al
termine.
Una volta nel bosco, la pecora sent che era giunto il momento del parto, e non
pens nemmeno ad affrettarsi per raggiungere il gregge, tanto amava il senso
di libert che le dava la solitudine, sicch partor l dove si trovava, ai piedi di
una grande quercia.
Lagnellino appena nato fu dapprima un po spaesato, ma mossi i primi passi si
senti subito catturato dalla bellezza e dalle meraviglie che lo circondavano,
tanto che, quando fu ora di tornare al pascolo per unirsi al gregge, non ne volle
sapere, e la madre, spaventata di non poter rientrare, dopo aver molto
insistito fu costretta a rientrare da sola.
La pecorella cos, fu sola nel bosco, e presto allentusiasmo per ci che la
circondava si sostitu il timore dei pericoli che avrebbe potuto incontrare.
Una notte, spaventata dal canto di uninnocua civetta appollaiata su un ramo,
le venne naturale prendere la rincorsa e dare una forte testata allalbero da cui
sent provenire il terrificante rumore, e cos si accorse che sulla sua testa erano
cresciute due piccole corna; si osserv attentamente, e vide che anche il bel
manto lanoso da giovane pecora era sparito, ed al suo posto vi era un pelo
corto ed ispido e sotto il suo mento era cresciuta una buffa barbetta; si era
infatti trasformata in una vigorosa e combattiva capretta.

Quando un giorno, nel prato vicino, not il gregge di sua madre, si avvicin per
salutarla e mostrarle il suo nuovo aspetto, e mamma pecora vedendola quasi
non la riconobbe; dapprima la pecora fu triste vedendo sua figlia mutata in
una capra testarda, ma poi cap che era stato il suo desiderio di libert a
renderla cos, e fu sollevata dal fatto che almeno ora avrebbe avuto la
possibilit di difendersi dai pericoli che avrebbe potuto incontrare.
Madre e figlia si salutarono, e ognuno torn sulla sua strada, l dove era giusto
che fossero.
La capretta crebbe, prendendo a testate ogni cosa si parasse sul suo cammino,
tanto da incutere timore negli altri abitanti del bosco, che non sapevano mai
cosa avrebbe combinato, o con chi se la sarebbe presa limpulsiva capretta.
Un giorno, mentre si abbeverava al ruscello, la capretta osserv la sua ombra
proiettata dal sole alla sua destra, e not due immense corna ramificate
spuntare dalla sua testa; anche il corpo sembrava pi grande, alto ed
imponente, e cap cos di essersi nuovamente trasformata in un enorme cervo.
Ora il cervo, non temeva pi i pericoli nascosti, e di conseguenza non ebbe pi
motivi per tormentare gli abitanti del bosco, che anzi, cominciarono ad
accettarlo e addirittura a riverirlo per la sua maestosit e saggezza.
Quando il grande cervo, una mattina rivide il gregge della madre al pascolo, vi
si avvicin, e disse alla pecora che fu sua madre: Vedi madre mia, io ero una
pecorella impaurita come lo siete voi, voi che temete labbaiare dei cani da
pastore, e che alla loro autorit vivete sottomesse, ed sarei potuto rimanerlo,
se solo fossi rientrata al gregge per vivere come una pecora, ma le meraviglie
che mi circondavano, allora come adesso, rapirono il mio desiderio, e fecero s
che io restassi con loro; ora io sono diventato una di quelle stesse meraviglie
che colpivano te, madre, quando dal gregge ti allontanavi per goderne, e in
esse sono perfettamente inserito, da esse ho imparato ci che voi non sapete,
e in esse vivo come essere libero nella libert della selvatichezza detto
questo, salut la madre con un gesto di riverenza, e torn nel bosco, dove
ancora vive con la propria famiglia

VOLONTA E DESIDERIO
Un discepolo and un giorno dal suo maestro, pieno dangoscia e
dapprensione, per porgli una perplessit:
Maestro disse Voi mi insegnaste che possedendo una volont forte e
determinata, avrei potuto relizzare qualsiasi cosa e raggiungere ogni
obbiettivo. Ora, la mia volont forte, tuttavia continuo a fallire nei miei
progetti, poich la mia forte volont non basta a contrastare gli ostacoli che mi
si parano innanzi quando tento di realizzarli. Ti prego sommo Maestro, dimmi,
dove sbaglio? Come posso riuscire ?
Innanzitutto rispose il maestro - smetti di confondere la volont con il
desiderio.

IL FIGLIO DI TAT
"Avvenne una domenica pomeriggio, in cui fui preda d'una insolita sonnolenza,
che sognando decisi d'abbandonare la visone onirica in cui mi trovavo, e mi
recai come gi era accaduto, a dialogare con colui che si f chiamare "il Figlio
di Tat"...
fummo in discorsi che alla ragione dei lucidi parrebbero privi di senso, e
attraverso le parole, finimmo a parlare del concetto di "magister", inteso come
guida e maestro delle persone e detentore della comprensione; dissi,
umanamente, che anche a me, come ad altri uomini che ricercano la
conoscenza, sarebbe piaciuto un giorno divenire tale figura; al ch, il Figlio di
Tat mi disse: "... non pu esserci "magister" che non sia Io , poich Io sono Il
Figlio di Tat!"
...mi resi subito conto della straordinaria saggezza delle sue parole, e dovetti
svegliarmi cos da mantenerne memoria..."

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