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Riccardo D'Angelo Firmino e la megera

Firmino e la megera

Ci che ci circonda entra dentro di noi, ci divora l'anima, lentamente senza far
rumore.
Una mattina come tante Firmino si ricord di questo passaggio letto tempo addietro e
decise di farla finita con la propria vicina di casa.
Erano in guerra da oltre trent'anni, trent'anni di colpi bassi e provocazioni pi o meno
esplicite, di una tenace e logorroica guerra fredda.
L'averla intorno l'aveva stremato, ed era convinto che lei fosse riuscita a insinuare il seme
della pazzia nella sua stessa mente; ma era giunto il momento di dire basta.
Firmino elabor un piano per porre fine al conflitto: avrebbe derubato la propria
arcinemica della cosa pi preziosa in assoluto che possedeva e poi sarebbe fuggito, come
un tutt'uno con l'oscurit della notte. Come un ladro in un film.
Il giorno prescelto chiam alle otto precise in ufficio e si diede malato per la prima volta
in vita sua. Il capo gli disse scherzoso Oh, oggi nevicher di sicuro allora! e lui gli
rispose, completamente perso nel piano diabolico: Spero proprio di no. Il capo riattacc
sconcertato.
Subito dopo Firmino si ritir nel suo studio ed estrasse trionfale la planimetria completa
del proprio palazzo che aveva ottenuto in modi poco ortodossi all'ufficio del catasto.
Un ghigno malefico si dipinse sul suo volto quando vide il punto debole della difesa
nemica, l, nero su bianco, sottomesso al suo sguardo napoleonico: si trattava della finestra
della cucina, proprio quella attraverso cui la megera gli riempiva la casa di fumi
nauseabondi. Un'altra cosa a cui avrebbe detto addio!
La missione era semplice ed efficace: si trattava di uscire dalla finestra della propria
cucina, saltellare agilmente sul cornicione del settimo piano e raggiungere cos quella
dell'avversaria; una volta all'interno, con passo felpato Firmino avrebbe attuato i suoi
malvagi scopi.
Non che ci fosse realmente bisogno di essere tanto accorti, sia perch la vittima era
praticamente sorda, ma sopratutto per il fatto che, nel proprio visibilio di genialit, Firmino
aveva scoperto che a mezzogiorno si sarebbe recata dalla figlia (una racchia brutta e vecchia
al suo pari) per restarci fino all'indomani.
Arrotol la mappa del tesoro e dispieg un foglio di carta da giornale, poi ci infil dentro
la migliore miscela che avesse in casa (una roba da veri intenditori, gli avevano detto) e si
un cannone apocalittico per assaporare a pieno i momenti precedenti alla grande vittoria.
Fum a lungo, nel buio del suo salotto. Le sue membra vecchie palpitavano tutte
d'eccitazione mentre i suoi occhi non vedevano pi la miseria e la rabbia di una vita umile e
solitaria, ma un futuro di successo, di donne giovani e di facoltose compagnie.
Quando si riebbe erano le sei di sera e il telefono aveva squillato tutto il giorno senza che
lui lo sapesse. Non ricordava cosa avesse fatto in tutto quel tempo, se ballato nudo per casa
oppure rimasto semplicemente seduto sulla poltrona relax. Tuttavia era tardi.
Corse in camera da letto, svuot in un secondo il cassetto della biancheria intima e ne
scoperchi il fondo, rivelando un costume degno di Diabolik nascosto al di sotto.
Se lo infil con cautela e calma, poi si guard allo specchio.

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Riccardo D'Angelo Firmino e la megera

Per un attimo, il pallore di morte del suo volto lo spavent, ma subito dopo diede la colpa
alla luce della lampada che faceva riflesso e distolse lo sguardo da quell'individuo
cadaverico dall'altra parte del vetro.
Attese febbrilmente che la notte invernale scendesse ad ammantargli la via di fuga, come
se la natura stessa fosse al suo servizio.
Infine si caric lo zaino in spalla e apr la finestra. Un vento gelido gli sferz gli occhi,
unica parte scoperta del suo essere. Ma non demorse.
Si iss con tutto il peso dei suoi lunghi e faticosi anni e la scavalc. Si ritrov cos a
camminare su una striscia di pietra interposta tra lui e il baratro.
Le sfolgoranti luci della citt gli sembrarono proiettori puntati sulla sua impresa.
Con questo pensiero in mente si fece coraggio, affront il vuoto e la paura in nome di
un'esistenza migliore.
Mise il piede in fallo solo quattordici volte, ma nessuna gli fu fatale; prima della
quindicesima aveva percorso tutti e due i metri che separavano le due finestre antagoniste.
Si apprest quindi a irrompere nella casa. La testa per gli girava per la fatica e lo
sguardo si stava annebbiando, sicch il suo ingresso di soppiatto si tramut in un
rocambolesco trambusto che pure una sorda avrebbe udito con tutta chiarezza: una fortuna
che l'arcinemica non fosse in casa... o forse si?
*Click* un interruttore della luce scatt in un'altra stanza.
Firmino fu colto dal panico pi totale. Si guard intorno, a destra e a manca, in cerca
disperata di un nascondiglio sicuro. Ma niente da fare.
Firmino? Caro cosa...! tuon la megera, che per quanto potesse non sentirci, ci vedeva
invece benissimo.
Firmino era disperato e infuriato allo stesso tempo. Nel puntare gli occhi su di lei vide
anche l'obbiettivo della sua impresa folle. La cosa pi preziosa che quella vecchia avesse ce
l'aveva indosso proprio in quel momento, ai piedi: le sue pantofole rosa!
Si rese conto di essere a un passo, a un passo dalla vittoria e a uno dalla disfatta totale.
Cosa scegliere? Le sue labbra si contorsero in un accenno minaccioso e beffardo.
In un delirio di onnipotenza che voleva spazzare via tutta la miseria di cui era stata
contraddistinto ogni attimo della sua esistenza, Firmino si gett contro la donna. La butt a
terra e le strapp le pantofole. Poi se le tenne ben strette al petto e fiss la finestra,
ignorando del tutto le urla dell'avversaria.
Crebbe dentro di lui l'orgoglio del ladro, il percepirsi diverso e mai davvero conosciuto
da alcuno. Si sent unico, speciale.
Comprese che ce l'avrebbe fatta a fuggire: prese allora la ricorsa, inciamp due volte e
infine scavalc nuovamente la finestra. Salt gi, mirando al cornicione, mentre dietro di lui
la megera aveva gi afferrato il suo maledetto mattarello.
Tuttavia, l'innata agilit che Firmino sapeva di possedere lo trad proprio in quel
momento e i suoi piedi non toccarono nulla che non fosse il vuoto del baratro.
Sette piani si stendevano sotto di lui e lui ascese come un re all'apice di una gloria
raggiunta troppo presto e troppo in fretta.
Fu cos che decise di voler dire addio al mondo, come un re: non vers nemmeno una
lacrima e si tenne stretto il suo ultimo trofeo di battaglia.
Le luci della citt, quiete e sonnolente, gli ricordarono un episodio di giovent.

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Riccardo D'Angelo Firmino e la megera

FINE.

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