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Metodi di ricerca
L’esperimento: il ricercatore interviene attivamente, non osserva solo il fenomeno ma lo modifica o addirittura lo
produce. Il ricercatore predispone una situazione di cui sono note le variabili. Alcune di esse le modifica lui stesso (v.
indipendenti)per vedere se esse influenzano in qualche modo il comportamento indagato (v. dipendente). Per essere
certi che il cambiamento della v. dipendente dipende in effetti dalla v. indipendente il ricercatore predispone una
condizione di controllo (gruppo di controllo che non subisce il trattamento eseguito sul gruppo sperimentale).
L’esperimento può essere condotto in laboratorio ma anche nell’ambiente naturale. Vantaggi: replicabilità e capacità di
stabilire relazioni di causa – effetto tra v. dip. e v. indip. Svantaggi: i sogg. Controllati potrebbero non comportarsi in
modo naturale, scarsa validità esterna (ossia non è possibile generalizzare a contesti esterni dalla sperimentazione i
risultati). La validità interna invece è solitamente alta (ossia la relazione causa – effetto tra v. indip. e v. dip. è
solitamente evidente).
Il disegno quasi sperimentale: quando non è possibile manipolare la v. indipendente oppure assegnare casualmente i
soggetti ai gruppi sperimentali e di controllo. Si confrontano tra loro gruppi la cui composizione non è casuale: si cerca
un gruppo in cui la v. che vogliamo studiare sia presente naturalmente e lo si confronta con un altro gruppo il più
possibile simile al primo tranne che per l’assenza della v.
Il disegno correlazionale: quando non è possibile individuare gruppi che differiscono per l’aspetto che interessa il
ricercatore oppure si è interessati a descrivere il rapporto tra due variabili. Questo metodo permette di misurare il
grado di associazione tra v. senza manipolarle sperimentalmente e quindi senza distinguere tra gruppo sperimentale e
gruppo di controllo. L’uso di questo disegno ha scopi esclusivamente descrittivi e non di ricavare conclusioni circa il
rapporto causa – effetto tra le v.
L’osservazione: implica la selezione di un fenomeno che ci interessa e la raccolta del maggior numero di informazioni
possibile su di esso. Si predilige l’osservazione del comportamento quando si verifica spontaneamente.
OSSERVAZIONE ESPERIMENTO
Indagare le relazioni che esistono tra le v. verificare se effettivamente esistono relazioni tra le v.
Non controlla le v. indip. perché il comportamento Controlla la v. indip.
indagato potrebbe alterarsi o non verificarsi
Obiettivi prevalentemente descrittivi. Obiettivi esplicativi.
Non è in grado di verificare relazioni tra causa – effetto. È in grado di rilevare relazioni tra causa – effetto.
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Validità dell’osservazione:
Interviste e questionari:
con i bambini: devono avere almeno 3 anni per le interviste e almeno 7 – 8 per i questionari perché devono possedere
una buona capacità di comprensione e produzione del linguaggio. Potrebbero essere restii ad accettare perciò bisogna
stimolare la curiosità, l’interesse e instaurare un clima di fiducia. Bisogna infine assicurarsi che anche il livello cognitivo
sia adeguato alla comprensione delle domande.
con gli adulti: tendenza a conformarsi alle aspettative dell’intervistatore. Tendenza a fare i cosiddetti errori sistematici
(sottovalutare le capacità dei b. in età prescolare e sopravvalutare le capacità dei b. in età scolare). Importanza anche
qui della padronanza linguistica a livello sia orale che scritto.
Nel questionario le domande possono essere:
Chiuse: possibilità di risposte predefinite dal ricercatore, interviste e questionari strutturati.
Aperte: quando l’argomento è più complesso. Vantaggi: utile nelle indagini preliminari. Svantaggi: codifica laboriosa,
raccolta di informazioni potenzialmente irrilevanti e inutili.
Il periodo embrionale
Va dall’inizio della terza alla fine dell’ottava settimana di gestazione (1 – 2 mesi). In questo periodo l’embrione diventa
un feto e cioè un organismo con caratteristiche umane riconoscibili. Iniziano a differenziarsi le cellule che danno luogo
alle diverse regioni corporee e ai diversi tessuti. La testa è grande quanto il resto del corpo. Periodo di più rapida
crescita dell’intera vita umana, infatti alla fine del secondo mese l’embrione è lungo circa 2,5 cm.
Il periodo fetale
Inizia nella nona settimana e si conclude al termine della gestazione. La testa diventa un quarto del corpo. Dal terzo
mese i diversi sistemi dell’organismo cominciano a funzionare. Fin dal quarto mese la madre può avvertire i movimenti
del feto. Fra il quarto e il quinto mese anche se completamente formato il feto non sarebbe in grado di sopravvivere
se la connessione con la placenta venisse interrotta. Negli ultimi mesi si completano la maturazione e l’accrescimento
degli organi. Il feto sembra meno attivo che nei mesi precedenti poiché crescendo ha a disposizione uno spazio minore
all’interno dell’utero. Per sfruttare al max. lo spazio disponibile si pone con la testa verso il basso (posizione in cui la
maggior parte dei b. si presentano alla nascita). Tra la ventiseiesima e la ventottesima settimana il feto oltrepassa la
linea di demarcazione che separa la sopravvivenza dalla morte, in caso di nascita prematura.
LA NASCITA E IL NEONATO
Il b. viene al mondo con le competenze necessarie per sopravvivere nell’ambiente extrauterino. Il passaggio
dall’ambiente intrauterino a quello extrauterino non è comunque facile infatti il neonato si trova ad affrontare una
serie di compiti nuovi facilitati però da alcuni riflessi quali: il riflesso respiratorio, il riflesso di suzione , la
termoregolazione autonoma (che però presenta ancora qualche difficoltà per via dell’assenza di tessuti adiposi).
Durante la gravidanza il feto si prepara allo stress della nascita, in particolare al rischio di ipossia (carenza di
ossigeno). Importanza del latte materno non solo per la nutrizione ma anche per i fattori di difesa contro le infezioni
che contiene.
LO SVILUPPO MOTORIO
Modello maturativo
La teoria classica ipotizza una relazione causale tra lo sviluppo di nuove strutture neuroanatomiche e la comparsa di
nuove abilità motorie. Lo sviluppo viene visto come una sequenza si tappe universali, l’esperienza è chiamata in gioco
solo per spiegare le differenze individuali nelle età di comparsa delle nuove abilità. Modello oggi criticato.
Approccio HIP (dell’elaborazione dell’informazione)
Vede la mente simile a un computer. Lo sviluppo delle diverse funzioni corrisponde alla costruzione di un sistema
gerarchico di routine, schemi, rappresentazioni, che diviene sempre più complesso in funzione delle continue
interazioni con gli stimoli esterni.
Teoria dei sistemi dinamici
Lo sviluppo motorio del b. è dovuto all’interazione di diversi sistemi tra i quali: i fattori intrinseci al sistema nervoso, i
fattori ambientali, le caratteristiche biomeccaniche del b.. L’acquisizione di una nuova condotta dipende dalla continua
cooperazione tra i diversi sottosistemi che contribuiscono a quella specifica condotta. Vedi es. pag. 46.
Nel corso dei primi due anni di vita il b. conquista le principali abilità motorie. Due linee di sviluppo:
tendenza del b. a raggiungere una sempre maggiore mobilità per raggiungere qualsiasi oggetto e ampliare il proprio
raggio d’azione.
Tendenza a conquistare la posizione eretta, in modo da avere le mani libere per fare cose interessanti piuttosto che
usarle come appoggio.
Postura e deambulazione
Le principali tappe nello sviluppo della postura:
Sostenimento della testa: solleva il mento nel 1° mese, la testa e le spalle nel 2° mese, si appoggia sugli avambracci
nel 3° mese.
Si siede nel secondo trimestre di vita. La posizione seduto senza appoggio è raggiunta solo verso i 9 mesi.
La posizione eretta rappresenta una nuova tappa che il b. comincia ad acquistare mentre ancora perfeziona la
posizione seduta.
Le principali tappe nello sviluppo della deambulazione:
Procede parallelamente a quello posturale ma inizia più tardi.
Fino ai 6 mesi il b. non sa muoversi da solo.
Verso i 7 – 8 mesi striscia.
Verso i 10 mesi va a carponi.
Inizia a camminare da solo verso i 13 – 14 mesi.
Vedi disegni a pag. 48.
I primi passi sono ancora incerti ed esitanti: il piede viene sollevato più in alto del necessario, il corpo è piegato in
avanti, le braccia sono tenute lontane dal corpo per bilanciarlo, il b. cammina a scatti e spesso cade.
Manipolazione
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LO SVILUPPO SESSUALE
Vita prenatale: alla fecondazione si stabilisce il sesso cromosomico dell’embrione. Nelle prime fasi dello sviluppo
embrionale non vi sono differenze, all’ottava settimana di gestazione diventano riconoscibili i testicoli e alla nona
comincia la differenziazione del testosterone. La gonade femminile per differenziarsi è sufficiente che non venga
prodotto testosterone.
Vita postnatale: nel corso dell’infanzia e dell’età scolare lo sviluppo continua senza però cambiamenti fisici importanti.
La pubertà è il momento di massima differenziazione sessuale nella vita postnatale: conquista della maturità sessuale.
L’ordine con cui si succedono gli eventi della pubertà è di norma lo stesso per tutti, cambia l’età nella quale questi
cambiamenti hanno inizio. Lo sviluppo puberale si caratterizza non solo per l’aumento delle dimensioni del corpo ma
anche per i cambiamenti nella sua forma. Le modificazioni che completano la differenza fra i sessi (dimorfismo
sessuale) riguarda tutti gli organi.
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SVILUPPO DELLE COMPETENZE PERCETTIVE DEL NEONATO E NEL PRIMO ANNO DI VITA
La produzione psicologica ha prodotto un ribaltamento nella concezione del b., non più mero recettore di stimoli, ma
attivo nell’elaborazione delle informazioni e dotato di competenze che hanno bisogno dell’interazione con l’ambiente
per potersi interamente dispiegare ed evolvere. Lo stesso Spitz descriveva il neonato fino al terzo mese come immerso
in un universo indifferenziato, capace di rispondere agli stimoli esterni solo in funzione di una percezione introcettiva,
di una pulsione insoddisfatta e caratterizzato da una unica tonalità affettiva, quella spiacevole alla quale si
contrapponeva non il piacere ma solo uno stato di quiete. Immagine largamente superata.
Percezione uditiva
Nel neonato la conformazione anatomica dell’organo recettore non presenta sostanziali differenze rispetto a quello
dell’adulto, anche se le dimensioni del condotto uditivo esterno, la membrana del timpano e la cavità dell’orecchio
medio non hanno ancora dimensioni tali da consentire la trasmissione efficace delle vibrazioni sonore.
La percezione uditiva precoce: le ricerche hanno dimostrato che sebbene i neonati abbiano una soglia uditiva molto
alta che li porta a percepire i suoni in modo attutito, essi sono reattivi ai suoni fin dalla nascita e si orientano verso di
essi. Molti studi hanno testato il suo maggiore interesse verso i suoni ritmici, verso la voce umana e in particolare
verso la voce materna.
Preferenze verso la voce materna: DeCasper e Fifer predisposero una situazione sperimentale nella quale, subito dopo
la nascita, alcuni lattanti muniti di auricolare ascoltavano la voce della madre registrata per 12 ore. Successivamente,
agli stessi lattanti venivano fatti ascoltare sia la voce della madre che quella di un estraneo. Le reazioni dei piccoli
venivano misurate attraverso il metodo della “suzione non alimentare”. Entro i primi tre giorni di vita i neonati erano in
grado non solo di riconoscere la voce della madre ma anche di preferirla. Gli autori ipotizzano un “apprendimento
prenatale”, altri autori invece preferiscono parlare di una sorta di apprendimento legato all’ascolto di 12 ore…Oggi
sappiamo che effettivamente i suoni possono raggiungere il feto provocando risposte motorie e modificazioni del ritmo
cardiaco già dalla ventesima settimana di gestazione.
Un’altra ricerca si è occupata di dimostrare se il b. fosse in grado di distinguere fra voce materna e voce estranea
anche nel periodo fetale, ossia se oltre al riconoscimento ci fosse anche la discriminazione nel periodo fetale. La
ricerca, effettuata esponendo il feto alla voce registrata sia della madre sia di una donna estranea, non ha offerto
conferme in tal senso.
Una sensibilità precoce si può rilevare anche nella percezione del suono ritmico e nella capacità di distinguere tra suoni
verbali e non.
Caratteristiche fonologiche della lingua: per poter affrontare efficacemente l’apprendimento del linguaggio è necessario
differenziare le singole unità in cui si compongono le parole, ossia differenziare fra i singoli fonemi poiché il significato
di una parola può cambiare cambiando un solo fonema. I b. sono in grado di discriminare i fonemi della propria lingua
e di tutte le altre e percepiscono la lingua parlata secondo le stesse informazioni degli adulti! Questo ci dice che questa
abilità deriva da una dotazione innata. Ma questa sensibilità su base innata molto spiccata nei primi mesi di vita,
regredisce con lo sviluppo e b. di 4 anni non sono già quasi più in grado di riconoscere i fonemi appartenenti ad
un’altra lingua (come l’adulto). Questo perché nel corso del primo anno di vita si assiste ad uno spostamento peculiare
da una capacità di percezione fonetica universale, ad una competenza più specifica e funzionale all’apprendimento
della propria lingua.
Percezione visiva
Il neonato ha una capacità visiva molto più spiccata di quello che si riteneva in passato. La capacità di percepire i
dettagli però non è completamente sviluppata, a causa della modesta differenziazione strutturale della retina. Intorno
al primo mese la visione centrale migliora e si stabilizza intorno ai 4 mesi. L’immaturità del sistema nervoso, comporta
l’imperfetta mielinizzazione delle fibre che impedisce sia una rapida trasmissione di informazioni al cervello, sia
un’adeguata motilità oculare. Alla nascita il b. può compiere i cosiddetti movimenti coniugati che consentono un’ampia
esplorazione del campo visivo in orizzontale più che in verticale; può compiere anche i movimenti di inseguimento che
gli permettono di inseguire uno stimolo visivo che si sposta lentamente dal centro del suo campo visivo verso la
periferia. Il riflesso pupillare, anch’esso presente da subito, rivela che il neonato è sensibile alle diverse intensità degli
stimoli visivi. La coordinazione e la convergenza (che servono per la messa a fuoco e per la percezione della
profondità) compaiono in forma rudimentale dopo qualche ora dalla nascita. La capacità attentiva del neonato gli
permette di seguire con lo sguardo uno stimolo visivo che si muove nel suo campo per qualche istante ma non a
lungo.
Entro i 3 mesi si sviluppa la visione binoculare che permette al b. di mettere a fuoco gli oggetti con entrambi gli occhi.
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L’attenzione focalizzata
Le capacità visive del neonato gli permettono di esplorare gli stimoli visivi. I neonati tendono ad interrompere per un
attimo la suzione se vedono qualcosa che li incuriosisce, segno che percepiscono i cambiamenti dell’ambiente
circostante. Gli oggetti che lo attirano sono in genere quelli grandi e in movimento, che provocano risposte oculari che
indicano un’attenzione selettiva e un’esplorazione non casuale.
Mentre a un mese il b. si concentra su una caratteristica (o poche) dello stimolo alla volta, a 3 mesi il b. comincia ad
usare strategie di ispezione degli oggetti che consentono un’attività di fissazione stabile e continua.
capacità attentive + capacità di fissazione = attenzione focalizzata. Questa rappresenta già un segno di attività
cognitiva.
I b. concentrano la propria attenzione sui contorni (curvilinei), sugli stimoli strutturati, complessi e nuovi. Importante è
anche l’età del b. oltre alle caratteristiche dell’oggetto. La velocità di elaborazione degli stimoli aumenta all’aumentare
dell’età poiché i b. diventano più abili nel cogliere le singole unità di informazione e nell’elaborarle. Con l’età il b.
impara a elaborare strategie individuali di elaborazione dello stimolo. Una ricerca italiana a messo in evidenza, a
questo proposito, due diverse modalità di elaborazione dello stimolo:
Short- lookers: hanno tempi di reazione brevi, poiché analizzano gli stimoli passando dagli aspetti generali a quelli
particolari.
Long-lookers: hanno tempi più lunghi, poiché analizzano gli stimoli passando dai dettagli all’aspetto generale. Essi,
però, a partire dagli 8 mesi, sono essere in grado di cambiare strategia di elaborazione dello stimolo se lo stimolo ha
caratteristiche tali da permetterlo. Sono quindi in grado di diventare short-lookers, comportandosi quindi come gli
adulti.
L’attenzione obbligatoria: ci si riferisce al fatto che nei primi mesi il b. ha difficoltà a variare il focus attentivo. Sembra
che fissino qualcosa per interesse in realtà è solo perché non riescono a distogliere lo sguardo, perché?
Prospettiva classica: l’attenzione obbligatoria sarebbe l’espressione di un controllo assente o carente, sul sistema
oculomotorio da parte dei meccanismi centrali ancora immaturi.
Prospettiva più recente: si fonda sullo studio delle basi neurali e sull’ipotesi che esista una maturazione progressiva di
4 circuiti neurali nei primi 6 mesi di vita. L’attenzione obbligatoria deriverebbe dalla comparsa del secondo circuito,
questo, avrebbe lo scopo di inibire l’orientamento verso stimoli periferici, ma per farlo inibisce temporaneamente
anche il controllo oculomotorio.
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Sensomotorio 0 – 2 anni Comprende il mondo in base a ciò che può fare con gli oggetti e le
informazioni sensoriali. Un cubo è il gusto che ha, come lo si sente
al tatto e come lo si vede.
I stadio (0 – 1 mese) Esercizio dei riflessi.
II stadio (1 – 4 mesi) Le reazioni circolari primarie e i primi adattamenti acquisiti.
III stadio (4 – 8 mesi) Le reazioni circolari secondarie.
IV stadio (8 – 12 mesi) La coordinazione degli schemi secondari e la loro applicazione alle
situazioni nuove. Differenziazione tra mezzi e fini.
V stadio (12 – 18 mesi) Le reazioni circolari terziarie e la scoperta di mezzi nuovi mediante
sperimentazione attiva.
VI stadio (18 – 24 L’invenzione di mezzi nuovi mediante combinazione mentale.
mesi)
Preoperatorio 2 – 6 anni Si rappresenta mentalmente gli oggetti e comincia a comprendere la
loro classificazione in gruppi. Comincia a capire che esistono i punti
di vista altrui. Compaiono i primi giochi di fantasia e una logica
primitiva.
Operatorio concreto 6 – 12 anni La capacità logica progredisce grazie allo sviluppo di nuove
operazioni mentali (addizione, sottrazione, inclusione…). Il b. è
ancora legato a esperienze specifiche ma è in grado di compiere
manipolazioni mentali e fisiche.
Operatorio formale Dai 12 anni È in grado sia le idee che gli eventi o gli oggetti. Può immaginare
cose che non ha mai visto o che non sono ancora successe. È
capace di organizzare le informazioni in modo sistematico e
completo e pensare in termini ipotetico – deduttivi. Intelligenza
astratta, intelligenza del pensiero scientifico (applicato al
quotidiano).
Esecutiva 1 anno La realtà è codificata attraverso l’azione. L’azione che compie il b. diventa la sua
rappresentazione interna dell’oggetto. Funziona anche dopo il primo anno di vita per tutte
quelle attività che impariamo facendo (imparare a nuotare, ad andare in bicicletta…)
Iconica 6 – 7 anni La realtà è codificata attraverso immagini. L’immagine consente di evocare mentalmente una
realtà assente ma non di descriverla verbalmente.
Simbolica 7 anni… La realtà è codificata attraverso il linguaggio e altri sistemi simbolici come i numeri e la
musica. Il linguaggio consente di ragionare in termini astratti. La rappresentazione iconica
induce il b. a formulare giudizi basati sull’apparenza percettiva.
Nello spiegare lo sviluppo B. riprende il punto di vista di V. sostenendo che la cultura forma la mente degli individui, è
intrinseca agli individui e non qualcosa che si sovrappone alla natura umana. In questa prospettiva l’adulto assume il
ruolo di impalcatura dello sviluppo (scaffolding).
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Le strategie di elaborazione dell’informazione (memorizzare): è interessante notare che all’inizio i b. o non usano
alcuna strategia oppure se ne servono solo quando qualcuno gliela insegna; in seguito la usano spontaneamente e
infine se ne servono in modo flessibile estendendola ad un numero sempre più ampio di situazioni.
Lo stesso sistema si nota nella risoluzione di problemi: bilancia di Siegler: la bilancia ha una serie di pioli su entrambi i
bracci, ai quali possono essere attaccati dei pesi. Si chiede al b. di prevedere da quale lato la bilancia si abbasserà a
seconda del numero e della collocazione dei pesi.
Emergono 4 regole:
Il b. tiene conto solo della dimensione del numero di pesi senza tener conto della loro posizione (più o meno vicina al
fulcro).
Se il numero di pesi è pari allora tiene conto anche della distanza dal fulcro.
Cerca di tener conto sia di distanza che di peso ma se le informazioni sono contraddittorie, tira a indovinare.
Il ragazzo coglie la regola esatta: distanza x il peso di ciascun braccio.
L’uso di una determinata regola dipende non solo dall’età del b. ma anche dalla sua esperienza nel risolvere certi
problemi, dalle opportunità che ha avuto di esercitarsi sul compito.
Metaconoscenza e metamemoria sono termini che si riferiscono alla consapevolezza circa i processi del pensiero e della
propria memoria rispettivamente.
In sintesi, in base alle ricerche di Siegler e di altri sulla soluzione di problemi e sugli studi sulla memoria, possiamo
concludere che alcuni dei cambiamenti descritti ed analizzati da P. sembrano il risultato di una maggiore esperienza
acquisita nell’eseguire i problemi e i compiti. Si tratta dunque di cambiamenti quantitativi. Rimane un cambiamento di
natura qualitativa quando consideriamo la crescente complessità, flessibilità e generalizzabilità delle strategie utilizzate
dal b.
Lui vuole una mela Lui pensa che questa sia una mela
I b.di 2 anni possiedono una psicologia del desiderio che interpreta le azioni sulla base dei desideri e spiega le
reazioni emotive congruentemente al fatto che i desideri siano stati o meno soddisfatti.
Verso i 3 anni i b. padroneggiano una psicologia della credenza – desiderio, grazie alla quale sono in grado di
prevedere che le azioni di una persona saranno guidate non solo dai suoi desideri ma anche dalle sue credenze, e
anche che queste credenze possono essere sia vere che false. Compito della falsa credenza di Sally e Anna. (Wimmer
e Perner).
I precursori della teoria della mente:
Gioco simbolico (far finta di…)
Intenzione comunicativa dichiarativa (compare alla fine del primo anno e consiste nel richiamare l’attenzione
dell’adulto su un oggetto solo per condividere con lui l’interesse per quell’oggetto)
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LA VALUTAZIONE DELL’INTELLIGENZA
Interesse per le differenze individuali. Come e perché sono nati i test d’intelligenza?
Nascono tra la fine dell’’800 e i primi del ‘900 in relazione ai progressi della scolarizzazione che caratterizza le società
occidentali avanzate.
Nel 1904 il ministero della Pubblica istruzione francese istituì una commissione con il compito di studiare il problema
dell’educazione speciale. La commissione allora era presieduta da Binet, il quale ideò il primo test d’intelligenza che gli
alunni delle scuole elementari avrebbero dovuto eseguire proprio per identificare gli alunni che avrebbero dovuto
beneficiare di un’educazione speciale. La scala Binet nacque nel 1905, essa distingueva tra intelligenza normale e
ritardo e differenziava inoltre tre gradi di ritardo mentale. Questa scala chiamata scala Binet – Simon e le successive
revisioni consentono di misurare il Quoziente d’Intelligenza (Q.I) di b. in età scolare. Il Q.I. è il rapporto tra l’età
cronologica del b. e la sua età mentale. Questo sistema non è più usato ed è stato sostituito dal confronto tra la
prestazione del b. e quella di un ampio gruppo di b. della stessa età. I test d’intelligenza oggi maggiormente usati sono
la versione aggiornata della scala Stanford – Binet e la Wechsler Intelligence Scale for Children (WISC – R), che
comprende 10 sottoscale divise in due gruppi: uno valuta le capacità verbali e l’altro, detto di adattamento
(performance), valuta le capacità percettive e la logica non verbale.
Critiche ai test d’intelligenza
Riguarda la concezione di intelligenza su cui si basano: capacità unitaria e stabile, potenziale finito con cui l’individuo
nasce e che rimane stabile nel corso del suo sviluppo. Le ricerche hanno dimostrato il contrario.
Riguarda il fatto che essi possono essere usati per discriminare, ed eventualmente, emarginare, i b. meno dotati o
quelli che appartengono a culture minoritarie.
Gardner propone l’esistenza di sei tipi distinti di intelligenza (linguistica, musicale, logico – matematica, spaziale,
corporeo – cinestesica), due soltanto dei quali sono misurabili con i tradizionali test.
Sternberg propone una teoria triarchica secondo la quale esistono tre aspetti dell’intelligenza:
Intelligenza componenziale: ciò che si misura con i test (pensiero analitico)
Intelligenza esperienziale: intuitiva e originale
Intelligenza contestuale: scaltrezza. Implica la capacità di comprendere e sfruttare le situazioni a proprio vantaggio.
Rende possibile un buon adattamento sociale.
Negli anni ’30 ci aspettava che questi test avessero una validità predittiva: i punteggi ottenuti dal b. dovevano predire
il suo Q.I da adulto. Quest’aspettativa fu smentita. Si idearono altri test in seguito ma senza risultati dal punto di vista
predittivo. I fallimenti sono dovuti alla nozione di intelligenza che va invece considerata come: un insieme di capacità
che cambiano qualitativamente nel corso dello sviluppo. Ad ogni stadio evolutivo l’intelligenza consiste in una serie di
capacità che sono specifiche di quella fase. Di conseguenza, i comportamenti che misurano l’intelligenza in un dato
stadio o età possono essere molto diversi dai comportamenti adatti a misurarla in uno stadio successivo.
Partendo da queste considerazioni si è affermato un nuovo approccio detto ordinale alternativo all’approccio
psicometrico precedente. Mentre i test tradizionali vedono lo sviluppo come accrescimento, le scale ordinali
concepiscono lo sviluppo come trasformazione di capacità verso livelli progressivamente più alti. Le acquisizioni del
livello più alto sono derivate da quelle del livello precedente. Per quanto riguarda le cause dello sviluppo, i test
tradizionali adottano la posizione secondo cui esso è il prodotto di una programmazione genetica oppure la posizione
secondo cui l’ambiente modella il comportamento. Per l’approccio ordinale, la causa del cambiamento non risiede né
nell’organismo né nelle condizioni ambientali presi separatamente ma da un’interazione dei due.
Vedi esperimenti pag. 115 – 116.
La spiegazione interazionista
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LA FASE PRELINGUISTICA
I primi suoni
I primi suoni che il b. produce sono di natura vegetativa (sbadigli, ruttini…) o compaiono legati al pianto. Wolff, parla
di tre tipi di pianto: dolore, fame, irritazione (verso la 3° sett. Di vita).
Tra i 2 e i 6 mesi: prime vocalizzazioni, si osservano delle “protoconversazioni”, i suoni del b. si inseriscono nei
discorsi degli adulti come se il b. rispondesse all’adulto.
Verso i 6 – 7 mesi: compare la lallazione canonica (da da da…la la la…). Compaiono alcune caratteristiche della
lingua materna e si riduce l’iniziale ampiezza fonetica (la capacità di produrre tutti i contrasti fonetici possibili),
limitandosi a quella della propria lingua.
Verso i 10 – 12 mesi: compare la lallazione variata, sequenze sillabiche complesse (dadu, lalu…). Compaiono anche i
primi suoni simili a parole (proto – parole) che pian piano assumono un significato contestuale con l’utilizzo ripetuto in
determinati contesti.
I b. differiscono tra loro non solo nei suoni che preferiscono produrre (preferenze fonetiche) ma anche nella stabilità di
queste preferenze e nell’organizzazione del proprio sistema fonologico.
Gesti comunicativi
Tra i 9 e i 12 mesi il b. comincia ad utilizzare gesti come indicare, mostrare, offrire, dare e richieste ritualizzate che
vengono chiamati performativi o deittici. Di solito vengono prodotti a distanza (distali) e spesso sono accompagnati
dallo sguardo (verso l’oggetto e verso il destinatario). Bates ha osservato b. tra i 9 e i 13 mesi italiani e americani e ha
evidenziato le seguenti 3 caratteristiche dei gesti comunicativi:
sono usati con un’intenzione comunicativa
sono convenzionali
si riferiscono ad un oggetto o evento esterno
i gesti deittici sono usati sia per chiedere l’intervento dell’adulto (richiesta) sia per attirarne l’attenzione e ondividere
con lui l’interesse per un evento esterno.
A partire dagli 11 – 12 mesi compaiono i gesti referenziali o rappresentativi. Questi oltre ad avere un’intenzione
comunicativa hanno anche un referente specifico, il loro significato cioè, non varia sulla base del contesto. Questi gesti
nascono all’interno di giochi o routines sociali con l’adulto (es. scuotere la testa per dire no, aprire e chiudere la mano
per salutare ecc…) e vengono appresi per imitazione. Successivamente questi gesti vengono usati anche fuori dal
contesto scatenante (se prima il b. ballava solo con una certa canzone, poi balla per chiedere alla madre di mettere
quella canzone). Contemporaneamente compaiono le prime parole anch’esse inizialmente strettamente legate ai
contesti. In uno studio su 23 b. Volterra ha individuato il seguente profilo evolutivo: a 12 mesi la modalità prevalente è
quella gestuale, intorno ai 16 mesi aumenta la produzione vocale così che il numero di gesti e parole prodotte è lo
stesso. Dopo il numero di gesti decresce notevolmente e la modalità vocale prevale su quella gestuale, ciò dipende
anche dal fatto che l’ambiente offre al b. più modelli vocali che gestuali.
LE PRIME PAROLE
Compaiono in generale verso gli 11 e i 13 mesi e stanno a indicare persone, oggetti e azioni familiari. Gli oggetti
soprattutto piccoli (manipolabili) e in movimento (veicoli). L’uso iniziale delle prime parole non è referenziale ma lo
diventa in seguito quando la parola non è più legata all’evento specifico ma a diverse situazioni. La comprensione
precede la produzione linguistica, nel senso che il b. è in grado di produrre parole spontaneamente solo quando ne
avrà capito il significato. In ogni caso la comprensione è sempre maggiore della produzione.
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Lo sviluppo morfosintattico
Nella lingua italiana per comprendere una frase ci si affida prima di tutto all’accordo tra soggetto e verbo, nel caso in
cui questo non sia sufficiente si guarda il significato per interpretare la frase, se ancora questo non fosse possibile si
guarda l’ordine delle parole nella frase.
La morfologia verbale: entro i 3 anni i b. italiani sanno utilizzare l’accordo soggetto – verbo. Le forme plurali
compaiono dopo. Per quanto riguarda la comprensione del linguaggio i b. guardano all’accordo tra soggetto e verbo
solo verso i 7 anni e si uniformano completamente alla strategia degli adulti solo a 9 anni. I b. più piccoli utilizzano
l’informazione relativa al significato e solo tra i 5 e i 7 anni scoprono l’importanza dell’ordine delle parole nella frase.
La morfologia nominale: le forme del genere e del numero sono padroneggiate intorno ai 3 anni di età mentre il
sistema degli articoli risulta ancora incompleto.
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Imparare a conversare
Il b. è precocemente in grado di conversare utilizzando il grado giusto di intonazione e un limitato numero di frasi
fatte. Questo anche grazie alle madri che nel conversare con i propri b. tendono più a fare richieste implicite piuttosto
che a dare ordini espliciti. Già a 4 anni di età i b. sanno adattare il proprio stile conversazionale in funzione
dell’interlocutore, a seconda che si tratti di un adulto, un coetaneo o un b. più piccolo. Con un b. più piccolo tendono a
dare ordini, con gli adulti mitigano le loro richieste mentre con i coetanei usano forme più cortesi di richiesta. Nei b. di
3 anni è ancora assente la capacità di conversare su temi lontani dall’attività in corso, mentre i b. di 5 anni cominciano
a dialogare facendo riferimento a eventi passati o a progetti futuri.
LA CONSAPEVOLEZZA METALINGUISTICA
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La coscienza di sé
La consapevolezza emotiva e cognitiva di sé e degli altri nascono nelle interazioni e nelle relazioni affettive, si tratta di
concetti dinamici che evolvono nel tempo.
Lewis riprende la classica distinzione effettuata da James tra ME e IO, parlando di Sé esistenziale (componente
implicita del sé che organizza l’esperienza; ipotizza che si sviluppi nel corso del primo anno di vita, quando il b. inizia a
distinguere Sé dagli altri) e di Sé categorico (componente esplicita del Sé che deriva dall’autoconsapevolezza;
ipotizza che si sviluppi intorno ai due anni con l’autoriconoscimento e con la capacità di utilizzare alcune categorie
esteriori semplici quali sesso, età, aspetto fisico…per descriversi).
Neisser successivamente, distingue tra consapevolezza primaria (fisica e interpersonale; di fonda su una percezione
immediata che deriva dalle informazioni sensoriali e dalla comunicazione verbale e non soprattutto nelle relazioni
diadiche. Coincide con il Sé esistenziale) e consapevolezza secondaria (richiede capacità riflessive e
rappresentative; si basa appunto su queste capacità e coincide con il Sé categorico di Lewis).
Autoconsapevolezza e riconoscimento allo specchio: quando avviene il passaggio da Se esistenziale a Sé categorico
che rende coscienti della propria identità come separata da quella altrui? Non si può escludere che il b. inizi ad essere
consapevole nella fase preverbale ma di sicuro si può ritenere che egli abbia acquisito questa capacità di distinzione
quando inizia ad usare termini quali io, tu, noi, il proprio nome o quello altrui. Un altro segnale è il riconoscimento
della propria immagine allo specchio, il b. deve capire che l’immagine allo specchio non è un estraneo ma
l’oggettivazione di se stesso. Il b. fino si 4 – 5 mesi è attratto fortemente dall’immagine della madre riflessa allo
specchio ma non dalla propria, nei mesi successivi comincia a capire che esiste un rapporto tra sé e ciò che vedono
riflesso. La capacità di riconoscersi sarà raggiunta tra i 12 e i 18 mesi.
Lewis e Brooks – Gunn hanno usato un paradigma di ricerca per verificare il momento dell’autoriconoscimento. Esso
consisteva nell’applicare al b. (a sua insaputa) una macchia rossa sul suo naso. Poi lo facevano specchiare: se egli
cercava di togliersi la macchia dal proprio naso era segno che non solo aveva capito che l’immagine allo specchio era
la sua oggettivazione ma anche che quell’immagine violava l’immagine mentale che egli si era costruito del proprio
viso.
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Le relazioni amicali
La relazione amicale è selettiva, reciproca e stabile. Si è a lungo pensato che questo tipo di legame preferenziale fosse
assente nei b. più piccoli mentre, in realtà, diverse ricerche hanno dimostrato che anche b. di 8 – 10 mesi sviluppano
dei legami preferenziali con b. che conoscevano già. Sin dalla prima infanzia l’amicizia si manifesta come una relazione
reciproca e stabile nel tempo, caratterizzata dalla difesa dell’esclusività del legame, dal chiedere e ricambiare
l’attenzione, manifestare interesse per gli stati affettivi dell’altro, in sostanza dalla creazione di un mondo comune
condiviso. Cosa spinge i b. a stringere relazioni preferenziali? Secondo Howes, mentre i più piccoli cercano un legame
amicale per bisogno di vicinanza e di rassicurazione e motiva in assenza di figure adulte significative, per i b. di 3 – 4
anni è la curiosità e l’interesse negli altri che li spinge a stringere un elevato numero di relazioni. Durante l’età
prescolare, il legame si basa anche sullo scambio verbale. Questi b. iniziano a distinguere più maracatamente quelli
che sono gli amici dai semplici compagni di scuola.
Vantaggi dell’amicizia:
favorisce i comportamenti prosociali
facilita la cooperazione
in caso di conflitto, aiuta ad appianare le divergenze. Essa aiuta a superare emozioni negative di ira o di paura.
I comportamenti prosociali vanno dal regalare qualcosa all’aiutare qualcuno in difficoltà. Mentre il primo tipo di
comportamento viene attuato più verso b. amici, il secondo viene rivolto a chi ha bisogno indipendentemente dl
rapporto amicale.
Il concetto di amicizia
Selman ha utilizzato dilemmi e domande semistrutturate per intervistare un alto numero di soggetti di età compresa
tra i 3 e 34 anni e ha individuato 4 stadi di consapevolezza dell’amicizia, che differiscono qualitativamente l’uno
dall’altro e si presentano in una sequenza invariante.
LO SVILUPPO MORALE
L’acquisizione di una norma è un processo che comprende almeno 3 dimensioni fondamentali:
La norma assume un significato affettivo – emotivo, ossia contiene una qualche indicazione sul come ci si dovrebbe
sentire nel caso in cui la si rispetti o la si vìoli. Si parla di sensazione morale. Es. Colpa, vergogna, imbarazzo oppure
orgoglio, soddisfazione, autostima…
La norma rappresenta anche una guida per la condotta, nel senso che prescrive comportamenti socialmente
desiderabili e ne sanziona altri. Ruolo del rinforzo sociale con cui le regole vengono trasmesse e fatte rispettare (teoria
dell’apprendimento sociale, Bandura).
Conoscenza delle norme che rende possibile la comprensione dei significati espliciti ed impliciti. Tema approfondito
dagli studi cognitivisti.
Il ragionamento morale
Piaget e Kohlberg si sono occupati principalmente della moralità nei termini di acquisizione dei criteri di ragionamento,
indipendentemente dal contenuto delle norme stesse o delle azioni ad esse collegate. La moralità non risiede solo nella
bontà o nella giustezza di un’azione ma nel significato che ad essa l’individuo assegna. Il fatto che giudicare un’azione
dipenda dallo sviluppo cognitivo non implica, però, un necessario e stretto rapporto con il comportamento in situazione
reale. Il livello cognitivo è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’agire reale. (dilemma tra pensiero e
azione, posso ritenere una cosa sbagliata ma farla lo stesso). Piaget si chiede se pensiero e azione siano, in questo
senso, legati; mentre K. Ribadisce il loro legame dando addirittura al pensiero un valore predittivo del comportamento
(azione).
Lo sviluppo della morale secondo Piaget, presenta due diversi aspetti riguardanti: la pratica della regola, la coscienza
e il significato della regola stessa.
Secondo Turiel la distinzione tra regole morali e convenzionali comincia ad essere appresa in età prescolare. I b. sono
già in grado di comprendere che alcune regole sono tipiche della propria famiglia e altre no e ancora che trasgredire ad
una regola morale è più grave che trasgredire ad un convenzione.
Circuiti di retroazione
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L’approccio funzionalista
Campos pone in evidenza il ruolo delle emozioni nella regolazione dei rapporti tra l’organismo e l’ambiente. Questa
prospettiva afferma che tutte le emozioni fondamentali sono presenti fino dalla nascita e relativamente autonome dalle
conquiste cognitive. Le caratteristiche espressive delle emozioni sono intrinseche, ma non invarianti e la loro e la loro
associazione cambia in base all’interazione tra individuo e ambiente.
Funzione e caratteristiche delle emozioni:
Regolare i processi psicologici interni e i comportamenti sociali e interpersonali. Orientano nella selezione delle
informazioni, predisponendo l’organismo all’azione.
Hanno un carattere distintivo rispetto alle altre forme istintuali.
Utilizzano un processo comunicativo non codificato culturalmente.
Le emozioni per via di queste caratteristiche, sono raggruppate in “famiglie” omogenee per funzione: la stessa
emozione pur facendo riferimento ad un’esperienza che inevitabilmente differisce per caratteristiche, svolge un’analoga
funzione adattiva ed è questa che assume importanza.
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La teoria dell’attaccamento
Figura d’attaccamento
B. parla di figura di attaccamento, cioè l’adulto, come di una figura che deve prendersi cura del bambino e
trasmettergli sicurezza. Anche il comportamento dell’adulto è importante per lo strutturarsi del legame. Per il bambino
questo è un legame biologico non sociale e non culturale. Risponde all’obiettivo comune a tutte le specie di proteggere.
Per attaccamento si intende la propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie
quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza, malattia. È attiva tutta la vita ma è più
intensa all’inizio dell’esistenza. L’attaccamento entra in azione quando ci sono fattori di stress. L’attaccamento esiste
dalla nascita alla morte, non ha connotazione negativa. La teoria dell’attaccamento serve anche per comprendere le
relazioni con gli altri quando si instaurano delle relazioni affettive quando c’è difficoltà. Nell’infanzia si strutturano le
caratteristiche dell’attaccamento con la mamma che poi sarà il prototipo per le relazioni successive.
Teoria dell’attaccamento
Viene ancora studiata, è stata considearata rivoluzionaria. Nasce nel 1907 in Inghilterra, Bowlby studiò medicina e poi
coltivò interessi psicologici. Formazione medico – psichiatrica, entrò nella società psicologica (A. Freud, M. Klein). Fu
influenzato dal clima degli anni ’40 - ’50 e dagli studi di Lorenz (etologo), Harlow e dall’esperienza come medico a
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L’attaccamento
Bowlby teorizza l’attaccamento come:
Una predisposizione biologica del piccolo (in tutte le specie viventi esiste questa predisposizione, predisposizione alla
sopravvivenza che varia a seconda delle specie, nell’uomo non si tratta solo di sopravvivenza biologica) verso chi si
prende cura di lui, assicurandogli la sopravvivenza. Bowlby sostenne che il modo in cui si organizza la relazione con
l’adulto è determinante. È importante vedere con chi ha a che fare il b., è importante la relazione con il caregiver
(figura di riferimento, che non è necessariamente la madre).
Una motivazione intrinseca e primaria basata sulla ricerca di contatto che si attiva nelle situazioni di pericolo. Bowlby
trae le sue teorie dagli esperimenti di Lorentz (imprinting) e Harlow (manichino e scimmia di gomma piuma).
L’esperienza di Harlow con le scimmie: di metallo e di gomma. Quella di metallo aveva un biberon si notò che le
scimmie dopo aver bevuto il biberon andavano ad accucciarsi accanto a quella di gomma perciò il bisogno fisiologico
non costituisce il legame. Bowlby pensò quindi che il cibo non forma il mediatore primario per il legame. Lorenz:
esperimenti sull’imprinting. Ci sono periodi diversi da specie a specie (12/13 ore di vita). Schemi fissi di azione entrano
in gioco per permettere al piccolo di riconoscere l’adulto prottetivo. Da qui B. ne deduce che ciò che crea
l’attaccamento è la protezione e non solo il nutrimento. Freud sosteneva che il b. instaurasse una relazione primaria
per soddisfare la fame mentre per Bowlby c’è anche il bisogno di protezione. Il legame di attaccamento si instaura in
quello che viene chiamato “periodo critico” (durante il primo anno di vita, di solito verso i 7 – 8 mesi). Se il legame
non si forma in questo periodo ci potranno essere difficoltà in futuro. Nelle situazioni di pericolo entra in gioco la paura.
Si può dire che il comportamento di attaccamento si manifesta più frequentemente nei bambini piccoli. Si manifesta
negli adulti quando si trovano in una situazione in cui di è più vulnerabili (malattie, lutti). Nell’età infantile la spinta
all’attaccamento è dominante, nell’adulto si riduce, si manifesta solo in alcuni momenti. L’attaccamento scatta nelle
relazioni affettive e nella vicinanza e distanza. Nelle relazioni affettive e nelle situazioni di disagio scatta il modello
operativo mentale dell’attaccamento (modello operativo interno, M.O.I.), non è detto che il M.O.I coincida con la
struttura della personalità.
Un sistema di controllo di tipo cibernetico con lo scopo di mantenere un equlibrio omeostatico tra vicinanza ed
esplorazione. Teoria generale dei sistemi: così come avviene nei sistemi di altro tipo, anche in quello madre –
bambino, c’è un continuo scambio di azioni e retroazioni. È qualcosa che si organizza in modo specifico affinchè la
madre possa esercitare un controllo (vicinanza) e il b. possa esplorare. Questo avviene in quello che viene chiamato
attaccamento sicuro: equilibrio tra vicinanza e possibilità di esplorare il mondo, di allontanarsi dalla madre senza
angoscia. Equilibrio ottimale = equilibrio omeostatico (continuo aggiustamento e progressivo adattamento reciproco).
Comportamento orientato ad uno scopo comune: la sopravvivenza e il successo riproduttivo. Aspetto importante:
l’attaccamento non dipende solo dall’adulto ma anche dal bambino. I segnali precoci quali pianto, sorriso, sono
richiami per ottenere attenzione e protezione. Anche la conformazione fisica del piccolo è orientata a questi scopi:
testa grande, occhi tondi, viso e corpo paffuti.
Comportamento di attaccamento
Ogni singola azione che si manifesta nelle persone e che riesce a far in modo che l’altro si avvicini o mantenga la
vicinanza come conseguenza di questo comportamento. Abbiamo comportamenti di attaccamento da parte del
bambino e degli adulti. Nel 1° anno di vita i comportamenti d’attaccamento sono a carico degli adulti che devono
cogliere i segnali di attaccamento (pianto, sorriso, lamento, manifestazione di disagio) e rispondere in modo adeguato,
ma questo non avviene sempre. Questo legame che si compone di segnali e capacità di rispondervi implica la
progressiva ricerca di un adulto preferenziale (attaccamento monotropico, verso una figura preferenziale). Non c’è un
riconoscimento dovuto al legame di sangue, il bambino si attacca a una persona con cui è in relazione. Per il bambino
l’attaccamento deve essere gerarchicamente costruito per un buon sviluppo: effetto base sicura. È l’atmosfera che si
crea tra il bambino e la figura d’attaccamento che implica sicurezza per poter esplorare l’ambiente. Se il bambino è
sicuro che qualcuno può: sostenerlo, rassicurarlo, consolarlo, diventa allora più autonomo.
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Tipologie di attaccamento
PATTERN A: ATTACCAMENTO INSICURO EVITANTE
Madre: insensibile ai segnali del bambino, rifiutante sul piano del contatto fisico. Tratta il bambino come un bambino
che deve imparare a cavarsela da solo.
Bambino: non ha fiducia in una risposta adeguata da parte della madre. Distacco, evitamento del contatto. Eccesso di
autonomia, indifferenza alla separazione. Spostamento di attenzione organizzato: interesse nell’ambiente,
disattivazione o repressione del comportamento d’attaccamento.
Disinteresse apparente del bambino nei confronti della madre. Non è vero che la separazione gli è indifferente, mette
in atto una sorta di difesa. Sul piano fisiologico il b. sente lo stress e il disagio ma sul piano comportamentale non si
vede per niente. Maggior interesse ai giochi, minor interesse alle relazioni, alle figure umane. Si parla di spostamento
di attenzione organizzato: quando la madre torna il b. si irrigidisce, impara che deve cavarsela da solo. Attaccamento
più frequente nelle culture nordiche.
Focus attentivo: mondo degli oggetti (per distanziarsi da ciò che provoca disagio).
PATTERN B: ATTACCAMENTO SICURO
Madre: sensibile alle richieste e ai segnali di disagio del bambino.
Bambino: equilibrio tra vicinanza ed esplorazione, sicurezza interna e fiducia, mostra segni di disagio alla separazione,
ma al ritorno della madre si lascia consolare.
Tendenza a non farsi consolare da un estraneo. Legame preferenziale con la madre. Manifesta un normale disagio
quando la madre se ne va, disagio che scompare quando la madre torna. Mostra di desiderare la vicinanza della figura
d’attaccamento. La madre è responsiva, è capace di rispondere bene ai bisogni affettivi, di protezione del b.
Attenzione, la madre non dà al b. tutto quello che lui vuole ma tutto quello di cui ha bisogno!! Il b. è capace di
esplorare e di giocare, c’è equilibrio tra attaccamento ed esplorazione grazie al fatto che il b. si sente sicuro: se
dovesse aver bisogno, ci sarà sicuramente qualcuno ad aiutarlo, così è libero di spingersi verso il mondo.
PATTERN C: ATTACCAMENTO INSICURO ANSIOSO AMBIVALENTE
Madre: imprevedibile nelle risposte dettate più dai suoi bisogni che da quelli del bambino.
Bambino: incerto rispetto alla disponibilità materna, non riesce ad utilizzarla come base sicura e ne è assorbito
completamente. Forte disagio alla separazione, inconsolabile al ritorno della madre. Il b. protesta quando la madre se
ne va e quando torna può avere due tipi di reazioni: o si arrabbia, è in collera con lei perché l’ha “abbandonato”(collera
disfunzionale, non serve a nulla) oppure piange ininterrottamente, è inconsolabile. Il b. non esplora l’ambiente. B. che
hanno stabilito un legame con la figura d’attaccamento discontinuo perché la figura d’attaccamento è imprevedibile nel
modo di cogliere, organizzare e rispondere alle richieste del b. La madre è imprevedibile tanto che a volte quando il b.
è lì tranquillo lei va da lui e lo coccola mentre quando lui ha bisogno lei è fredda. Focus attentivo: madre. Sono
assorbiti dalla figura d’attaccamento ma non riescono ad usarla come base sicura, tipici b. sempre appiccicati alla
gonna della madre. B. che vorrebbero una madre capace di essere sempre un punto di riferimento, ambivalenza molto
forte. B. “parentifiati”, assumono il ruolo dell’adulto. Sono quelli che saranno da grandi molto gelosi.
PATTERN D: ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO
Madre: dominata da esperienze traumatiche irrisolte, non risponde alle richieste del bambino.
Bambino: non dispone di strategie stabili. Comportamenti contraddittori, azioni mal dirette, congelamento, immobilità,
azioni stereotipate e asimmetriche, disorientamento.
A partire dagli anni ’80 alcuni ricercatori dopo aver effettuato una serie di registrazioni della strange situation si sono
resi conto che per alcuni b. non era possibile parlare di una delle tre tipologie (a, b, c). si parla di bambini che derivano
da famiglie a rischio o maltrattanti. Si sono allora rianalizzati per cercare ridondanze (ripetizioni), utili per classificarli
in una nuova tipologia.
Due autrici hanno fornito spiegazioni leggermente diverse di questo tipo di attaccamento:
Mary Main: nei b. disorganizzati ci sono svariati comportamenti contraddittori che sono l’espressione di due forze: ad
avvicinarsi e ad evitare. Non c’è quindi un nucleo organizzato. Ipotesi che ha avuto più credito.
Patricia Crittenden: i comportamenti contradditori di questi b. sono comunque comportamenti organizzati, coerenti.
Secondo lei questi b. presentano forme miste di attaccamenti organizzati con in più un costante stato di allerta.
Si tratta comunque di un attaccamento negativo che fa correre il rischio di evoluzioni psicopatologiche, questo tipo di
attaccamento è connesso ad una relazione con una figura d’attaccamento maltrattante, traumatizzata o con
psicopatologie.
Si tratta di adulti spaventati e spaventanti (vedono irrompere nuclei di emozioni che li spaventano e reagiscono
trasmettendo paura, non rassicurando e maltrattando). L’attaccamento è una spinta biologica alla protezione, qui la
protezione non esiste!! Il b. non sa se avvicinarsi o allontanarsi perché non ha la certezza di poter essere protetto.
Pattern comportamentale nella strange sitution descritto da Mary Main:
incoerenza nei b. tra il forte sconforto per la separazione dalla madre e il basso livello di ricerca di contatto alla
riunione.
Attenzione maggiore all’estraneo
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N.B. le forme d’attaccamento non sono mai presenti in modo puro, c’è di solito una tendenza verso una delle tipologie
(A, B, C). se questa tendenza non c’è si parla di tipologia D.
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Continuita dell’attaccamento
I b. osservati nella Strange Situation e classificati sono poi stati riesaminati a distanza di tempo con altri strumenti:
disegno, modo di raccontare, foto.
Bambino a 7 anni (età scolare)
Ricerca di Follow up longitudinale: analisi di storie di bambini che devono affrontare una separazione.
BAMBINI EVITANTI
Hanno la tendenza a evitare i genitori anche se in maniera più sottile rispetto a quando erano più piccoli. Fingono di
cercare qualcosa, fanno finta di disinteressarsi ai genitori. Di fronte a vignette in cui sono rappresentate situazioni di
separazione sottolineano una fine pessimistica (il genitore non torna, incapacità di far fronte alla situazione) anche se
colgono congruamente come i bambini sicuri gli stati emotivi del bambino della vignetta.. Si rileva l’ineluttabilità della
situazione, non vengono proposte soluzioni per stare meglio. Sono b. ancorati alla realtà, non negano che quello che
stanno vedendo è triste ma non hanno risorse per risolverlo. Nel disegno disegnano figure familiari sorridenti ma dai
contorni imprecisi (appaiono distanti l’uno dall’altro e fluttuano nell’aria). Si rifiutano di guardare una fotografia della
famiglia, raccontano in modo meno fluente, con pause, risposte laconiche poco argomentate. I genitori di questi b.
parlano in modo retorico: ponendo domande che presupponevano già una risposta sicura.
BAMBINI SICURI
Sono b. che parlano di più con i genitori, manifestano di più il contatto fisico affettivo. Di fronte alla vignetta,
affrontano la situazione in modo costruttivo (troverà un altro parente con cui andare a stare, chiamerà un amico se
non c’è la mamma…) propongono soluzioni che fanno stare meglio. Risposta a stimoli di separazione cogliendo anche
le emozioni e offrono soluzioni costruttive. B. pieno di risorse, capacità di trovare il modo di stare bene. Raccontano
storie che finiscono bene, hanno aspettative che le cose andranno bene. Nei disegni le componenti della famiglia sono
fatte bene, i piedi sono piantati per terra, non fluttuano. È un disegno pieno di persone e oggetti. Guardano,
raccontano e spiegano la fotografia. Conversazione con i genitori fluida.
BAMBINI AMBIVALENTI
Nel commentare le vignette di separazione tendono ad esagerare, esprimono emozioni negative e tendono a vivere in
modo negativo la separazione. Non molto creativi nel trovare soluzioni, non vogliono allontanarsi dai genitori. I disegni
dei familiari sono o molto grandi o molto piccoli, le persone sono poste vicino in modo insolito. Le collocazioni sono
espresse attraverso le posture. Racconto interrotto, come se perdessero il filo del discorso come se vi fosse un
sovraffollamento emotivo. Parlano dei personaggi nella foto provando emozioni diverse e non sempre coerenti.
Tendono a manifestare le caratteristiche dei bambini piccoli (parlano con la vocina…), prima si avvicinano
esageratamente ai genitori e poi vogliono colpirli, l’ambivalenza è molto forte. Gli adulti sono sempre molto indaffarati.
BAMBINI DISORGANIZZATI
Caratteristiche generali:
atteggiamento di controllo
inversione di ruolo
direttivi e punitivi oppure…
…solleciti e accudenti.
Manifestano incertezza, sono controllanti e manifestano inversione di ruolo (mettersi al posto di…). Manifestano la
tendenza controllante tramite l’inversione di ruolo, cioè facendo ciò che dovrebbe fare l’adulto però lo fanno male.
Hanno paura, sono in continuo stato di allerta. Nel disegno questo viene manifestato con contenuti catastrofici (figure
d’attaccamento ferite, uccise, b. chiuso in una stanza, situazioni di pericolo per sé e per gli altri). Le risposte alle
vignette sono caratterizzate dal fatto di non riuscire a dare delle spiegazioni a quello che accade. Come se non
esistesse il concetto di causa – effetto. Nelle valutazioni e risposte alle vignette di separazione vivono fantasie da
incubo. Il b. non sa attribuire al protagonista della storia la capacità di chiedere aiuto. Disegno: spesso lo straccia, non
gli piace come è venuto. Si tratta di b. che hanno difficoltà a fidarsi, temono che gli possa accadere qualche cosa di
drammatico. È importante non solo il contenuto ma il modo in cui raccontano. Di fronte alla foto della famiglia non
hanno un rifiuto ma sono affascinati da queste immagini del gruppo familiare che non riescono a vivere serenamente
ma di cui avrebbero bisogno, altri b. invece la stracciano La conversazione non è fluente: intoppi, false partenze,
balbuzie. Troppo spesso è quasi esclusivamente focalizzata sulla relazione, nell’interazione perde il controllo e in alcuni
casi si rifiuta di verbalizzare.
Attaccamento adulto
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L’ADOLESCENZA (8)
LA TRANSIZIONE ADOLESCENZIALE: ASPETTI GENERALI
Adolescenza: periodo di transizione tra infanzia e età adulta. In termini strettamente cronologici l’inizio
dell’adolescenza può essere collocato all’incirca tra i 10 e i 12 anni nelle femmine e tra i 11 e 13 anni nei maschi. La
conclusione invece viene fatta coincidere per entrambi ai 18 anni. Studi dei primi del ‘900 in Europa e Stati Uniti.
Hall: considerato il padre della ricerca scientifica sull’adolescenza. Identifica nelle trasformazioni fisiche e biologiche e
nei turbamenti emotivi che ne conseguono il punto di avvio del passaggio dal mondo del b. a quello dell’adolescente.
Differenza tra pubertà e adolescenza. Pubertà: fenomeno universale che segnala il passaggio dalla condizione
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L’IDENTITÀ ADOLESCENZIALE
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Il modello di Erikson
Cerca di coniugare la prospettiva sociologica con quella antropologica e con quella psicoanalitica. Il fulcro della siua
concezione si basa sul concetto di crisi di identità. Importanza dei rapporti tra funzioni dell’Io, relazioni interpersonali,
modalità di allevamento, caratteristiche socioculturali dell’ambiente più ampio. La ricerca dell’identità è un bisogno che
si manifesta maggiormente nell’adolescenza. La crescita è vista come un processo evolutivo contrassegnato da
momenti critici. Schema in 8 stadi. Vedi tab.8.2 pag. 229. Erikson parla di identità dell’Io e delle sue funzioni di
mediatore tra le spinte dell’Es e quelle dell’ambiente. La percezione della propria continuità nel tempo e nello spazio e
il simultaneo riconoscimento di tale continuità da parte degli altri, rappresenta il sentimento cosciente di avere
un’identità personale.
Il periodo adolescenziale è dominato dalla tensione fra identità e dispersione dell’identità ed è caratterizzato dalla
messa in discussione di tutte le conquiste precedenti. Da un lato l’individuo si trova a dover abbandonare alcuni
modelli di identificazione del passato, dall’altro, deve scegliere cosa essere e cosa diventare in base ai suoi valori, alle
opportunità e alle capacità. In questa fase il pericolo è quello di confondere il proprio ruolo, di non riuscire ad integrare
in una sintesi originale le proprie identificazioni e i propri ruoli nelle diverse situazioni. Si parla in questo caso di
identità diffusa (personalità frammentaria che non si fonda su un solido nucleo aggregante).
Si parla anche di identità negativa, ricerca di un’identità fondata su quelle identificazioni e quei ruoli che , sebbene
socialmente indesiderabili e pericolosi, vengono comunque privilegiati.
Se la crisi d’identità si conclude positivamente, il risultato sarà: coerenza e continuità (stabilità interna pur al variare
delle esperienze), accettazione dei propri limiti, senso di reciprocità (coerenza tra immagine di sé auto ed etero
percepita).
Stati di identità
Marcia ha cercato di operazionalizzare il modello di Erikson sottoponendolo al vaglio della ricerca empirica. Ha così
definito 4 principali stati d’identità: diffusione, esclusione, moratoria e raggiungimento dell’identità. Questi stati
derivano dall’intersecarsi di impegno e esperienza: nella vita dell’adolescente si affacciano nuove esperienze che
possono essere affrontate con maggiore p minore impegno e ogni tipo di impegno si concretizza in uno stato di
identità.
identità realizzata: esperienza positiva + valido impegno.
blocchi d’identità: troppa pressione verso impegni seri che impedisce la sperimentazione.
diffusione d’identità: esplorazione incerta + impegno poco soddisfacente. L’individuo non ha scelto.
moratoria dell’identità: situazione di stallo. L’individuo non sa operare una scelta.
Alcuni autori hanno criticato il concetto di crisi d’identità. Le crisi, secondo questi autori, possono essere
contemporanee e non sequenziali. Ogni adolescente può trovarsi a dover affrontare diverse crisi e dall’intrecciarsi dei
risultati di queste crisi deriverà l’identità.
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Relazioni familiari
In questo studio vediamo contrapporsi all’approccio analitico – dualistico, l’approccio sistemico che concettualizza gl
eventi come un insieme organizzato e non come una sequenza lineare di unità separate (analisi) e spesso in
contrapposizione (dualismo).
Nella prospettiva sistemica, la famiglia è concepita come luogo di relazioni reciprocamente influenzantesi e
caratterizzata da processi comunicativi specifici con il compito di adattarsi progressivamente alle esigenze dei suoi
membri e all’ambiente. L’adolescenza rappresenta un passaggio difficile anche per tutta la famiglia, la quale si trova di
fronte al problema di integrare la legittima esigenza di indipendenza e la negoziazione di nuove regole di rapporto e il
tentativo di coesione affettiva. Secondo l’approccio dello sviluppo l’adolescenza rappresenta un’impresa evolutiva
congiunta di genitori e figli ed è caratterizzata dalla trasformazione dei legami precedenti. 2 importanti processi:
individuazione (tipico dell’adolescente che tende a cercare l’autonomia) e la differenziazione (proprio della famiglia,
consentire o meno l’autonomia). Spesso nella prima adolescenza la famiglia tende a stringere il legame attraverso la
non concessione di libertà e autonomia all’adolescente nell’intento di salvaguardarlo da esperienze negative. Un
fenomeno nuovo e tipico dell’Italia è la late adolescence, prolungamento del giovane adulto nella famiglia.
Baumrind, definisce 4 stili educativi dei genitori a cui corrispondono altrattante caratteristiche sia di b. che di
adolescenti. Stili: autorevole (è il migliore, fondato su compresenza di richieste e sostegno), autoritario, permissivo,
rifiutante. Lo stile genitoriale eserita un’importante influenza anche sullo sviluppo dell’identità personale. Ricerca
COSPES su ragazzi tra i 14 e 19 anni.
genitore relazionato: capace di capire i diversi punti di vista e di non imporre le proprie ragioni.
genitore autocentrato: tende a restare fermo sulle proprie opinioni nella convinzione che essendo un genitore possiede
migliori strumenti per comprendere il bene dei figli.
genitore evasivo: psicologicamente assente, appare spesso arrabbiato e deluso.
Un punto importante è il fatto che i genitori assumono un ruolo importante per i figli molto più dei coetanei quando ci
sono problemi. Sandler a questo proposito parla di funzione protettiva dei genitori che si esprime attraverso 3
specifiche funzioni: potenziamento dell’autostima, appoggio diretto e vicinanza in situazioni stressanti, stabilità del
rapporto affettivo al variare delle circostanze. Diverse ricerche hanno poi smentito il “luogo comune” sull’assoluta
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Le relazioni di amicizia
La capacità di instaurare un rapporto amicale è generalmente ritenuta un indice di salute psichica dell’adolescente. Nel
passaggio da fanciullezza ad adolescenza si nota anche una differenza nel concettualizzare l’amicizia: dal piacere di
stare insieme alla ricerca di intimità. La peculiarità del legame d’amicizia nell’adolescenza sta proprio nel concepirlo
come bisogno di vicinanza e intimità.
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