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IL “VELO DI MAYA”
• Kant (indirizzo gnoseologico e scientifico):
Il fenomeno è l’unica realtà conoscibile. Il noumeno è un concetto limite che definisce il confine delle possibilità conoscitive umane.
Il mondo dei fenomeni è l’insieme degli oggetti conoscibili, che apprendiamo attraverso forme a priori.
• Schopenhauer (indirizzo orientalistico-metafisico):
Il fenomeno è un velo illusorio, detto “velo di Maya” che nasconde agli uomini l’autentica realtà. Il noumeno è l’autentica realtà.
Il filosofo giunge alla tesi “il mondo è la mia rappresentazione”: “tutto ciò che esiste per la conoscenza, cioè questo mondo intero, è solamente
oggetto in rapporto al soggetto, intuizione di chi intuisce, in una parola: rappresentazione”. Tale rappresentazione consta di due aspetti
essenziali ed inseparabili, come due facce di una stessa medaglia:
• Soggetto rappresentante: Ciò che conosce. L’idealismo nega l’oggetto riducendolo al soggetto [falso].
• Oggetto rappresentato: Ciò che è conosciuto. Il materialismo nega il soggetto riducendolo all’oggetto [falso].
La nostra mente (sistema nervoso e cerebrale), attraverso 3 forme a priori (la cui scoperta è merito di Kant) che sono spazio, tempo e causalità,
distorce la realtà. La causalità è l’unica categoria poiché, oltre al fatto che tutte le altre sono ad essa riconducibili, costituisce l'essenza della
realtà: è reale solo ciò che produce o subisce effetti (wirklichkeit dal verbo wirken agire = realtà).
Essa, a seconda degli ambiti in cui opera, si manifesta in diverse forme:
• Principio del divenire: Regola i rapporti tra i fenomeni.
• Principio del conoscere: Regola i rapporti tra premesse e conseguenze.
• Principio dell’essere: Regola i rapporti spazio-temporali e aritmetico-geometrici.
• Principio dell’agire: Regola i rapporti tra un’azione e le sue cause.
Attraverso le forme a priori abbiamo una visione delle cose distorta, puramente irreale e quindi illusoria: la vita è sogno, tessuto di apparenze.
Al di là di tale sogno esiste però la realtà irraggiungibile dall’uomo e sulla quale non può fare a meno di interrogarsi. Da qui la definizione di
Schopenhauer di uomo come “animale metafisico”, portato, a differenza degli altri animali, ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita.
IL PESSIMISMO
1. Dolore: L’essere è manifestazione di una volontà infinita. Volere significa desiderare. Desiderare significa sentire la mancanza di
qualcosa. La vita è dolore. La volontà nell’uomo è pienamente consapevole. L’uomo è l’essere vivente più bisognoso e sofferente.
2. Piacere: Ciò che chiamiamo “godimento” (fisico) e “gioia” (mentale) non è altro che una momentanea cessazione del dolore. Infatti il
piacere può esserci solo in seguito al dolore, mentre questo non necessita di una precedente situazione di piacere per esistere.
Il dolore è struttura della vita stessa, e quindi costante, mentre il piacere è il soddisfacimento del desiderio, quindi temporaneo.
3. Noia: Oltre al dolore costante e al piacere momentaneo vi è una terza situazione esistenziale: la noia. Dopo il piacere
(soddisfacimento del desiderio) subentra la noia fino al momento in cui si presenta un nuovo desiderio, e si torna al dolore. Da qui la
metafora di Schopenhauer della vita come un pendolo che oscilla tra noia e dolore attraversando brevi momenti di piacere.
La volontà di vivere è una tensione continua e inappagata. Essa, manifestandosi in tutte le cose, da origine ad una Sehnsucht cosmica: il dolore,
oltre l’uomo, investe ogni creatura. L’uomo, che è la creatura più consapevole della propria volontà, è portato a soffrire più di tutte le altre
dell’insoddisfazione continua del proprio desiderio. Il male quindi non è nel mondo, ma nel principio stesso da cui esso dipende. Tale dolore
universale, oltre che dall’anelito frustrato della volontà, dipende anche dalla lotta crudele di tutte le cose. Ogni animale uccide per
sopravvivere, quindi vi è un’autolacerazione dell’unica volontà in una molteplicità conflittuale di parti e di individui reciprocamente ostili. In
questo contesto l’individuo non è altro che uno strumento al servizio della specie (oltre il sogno dell’esistenza individuale, l’unico scopo della
vita è quello della perpetuazione della stessa, e con la vita la perpetuazione del dolore).
• Amore: Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una sua manifestazione emblematica nell’amore.
Esso è per Schopenhauer uno dei più forti stimoli dell’esistenza. Il fine di questo sentimento, dell’amore, è unicamente quello
dell’accoppiamento (tant’è che l’atto sessuale porta ad una situazione di momentaneo piacere, soddisfacimento del desiderio).
Quindi dietro il fascino di qualcosa che ci piace è sempre nascosto un desiderio sessuale, naturale, istintivo, e nel momento in cui noi
lo soddisfiamo siamo in completo potere della natura, mentre invece pensiamo che in quel momento siamo pienamente realizzati.
La sessualità è l’essenza biologica dell’amore, senza di essa l’amore non esiste. L’amore è quindi uno strumento utilizzato dal “genio
della specie” per “sedurre” l’individuo e indurlo a perpetuare la vita (da qui l’amore inteso come peccato); la stessa creazione di altri
individui è male, perché anch’essi soffriranno. L’unico amore da elogiare è quello disinteressato della pietà.
La teoria “orientalistica” dell’ascesi costituisce la parte più debole e contraddittoria del sistema schopenhaueriano. Critiche:
1. Se la volontà è la struttura stessa del reale come si può ipotizzare un suo annullamento da parte dell’asceta?
2. Come può la volontà ad un certo punto non volere più se stessa?
3. La fuga ascetica (interiore ed individuale) non contrasta con l’ideale etico della pietà verso il prossimo sofferente?
4. L’unico sbocco logico del pessimismo è necessariamente il quietismo dell’asceta?
5. Il fatto che Schopenhauer non abbia intrapreso tale ascesi, non priva di fondatezza il suo pensiero?