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un

nuovo
bestiario
Dal fenomeno dei character,
un’analisi retroattiva
del rapporto uomo/animale.

Elisa Calore Università IUAV, Venezia


267249 Facoltà di Design e Arti
a.a. 2009/10 ClasVEM
un nuovo
bestiario
un nuovo bestiario
dal fenomeno dei character, un’analisi
retroattiva del rapporto uomo/animale

iuav - fda
corso di laurea specialistica in comunicazioni
visive e multimediali
a.a. 2009/10

progetto di tesi
di elisa calore
relatore: giovanni anceschi
correlatrice: valeria burgio
un nuovo bestiario. dal fenomeno dei character, un’analisi retroattiva del
rapporto uomo/animale
calore elisa

267249

2009/10
introduzione 1
parte prima

1. animale, da culturalizzato a industrializzato 9


1.1 culturalizzazione dell’animale e l’animale in noi
1.2 industrializzazione dell’animale

2 il simulacro 35
2.1 il souvenir
2.2 liveness
2.3 natura disney e tutti gli ordini dei simulacri

3. l’animale antropomorfo 51
3.1 dalla letteratura al cinema
3.2 l’antropomorfo al cinema
3.2.1 Mickey Mouse
3.2.1 Bugs Bunny

parte seconda
1. Topolino e il merchandising 71

2. la mascotte 75
2.1 percezione e composizione dell’immagine

3. una parentesi tutta italiana 87

4. tre storie di animali antropomorfi 89


4.1 Calimero
4.2 Tony the Tiger
4.3 Foxy

5. il valore dei nomi 105

6. il caso del Giappone. Cuties 109


6.1 Cuties. Sono dappertutto

7. uomini con la pelliccia 119

conclusioni 125
bibliografia 132
fonti iconografiche 134
der panther (im jardin des plantes, paris)

Sein Blick ist vom Vorübergehn der Stäbe 



so müd geworden, dass er nichts mehr hält. 

Ihm ist, als ob es tausend Stäbe gäbe 

und hinter tausend Stäben keine Welt. 



Der weiche Gang geschmeidig starker Schritte, 



der sich im allerkleinsten Kreise dreht, 

ist wie ein Tanz von Kraft um eine Mitte, 

in der betäubt ein großer Wille steht. 



Nur manchmal schiebt der Vorhang der Pupille 



sich lautlos auf. - Dann geht ein Bild hinein, 

geht durch der Glieder angespannte Stille - 

und hört im Herzen auf zu sein.

reiner maria rilke, 1902


Durante il laboratorio dei processi culturali e comunicativi
tenuto da Paul Elliman nell’inverno tra il 2009/2010, siamo stati
invitati a ragionare sul fenomeno contemporaneo del supermercato
a partire dal parallelo storico del commercio nella città lagunare
descritto da Fernand Braudel, ne la mediterranée .
Nel libro sono descritte le conquiste dell’uomo sulla natura, indispen-
sabili per creare l’ambiente ideale adatto ai propri scopi commerciali.
Conquistare, addomesticare, e, successivamente, reinventare la natu-
ra; il processo rivolto agli animali è l’oggetto di studio della mia tesi.
introduzione
Gli scaffali espositivi del supermercato appaiono oggi come
un nuovo bestiario: gatti, tigri, orsi, scimmie, cani, elefanti,
mucche, ippopotami, castori, marmotte, formiche, api, poli-
pi... si affollano sul packaging dei prodotti, disegnati come
cuccioli che sperano di essere scelti al canile, con gli occhi
grandi e sbarrati.
Nell’universo dei marchi, l’animale riveste un ruolo im-
portante rappresentando, simbolicamente, certe specifiche
qualità dell’azienda produttrice, ma sono le mascotte spesso
a fare la differenza sulla vendita, mettendo il prodotto in
relazione diretta con il consumatore. La mascotte precede il
marchio, s’interpone tra la grande azienda e il singolo consu-
matore, creando quell’intimità che motiva l’acquisto.
Il meccanismo è quello della sostituzione, la concretezza
della merce viene nascosta dalla simpatia con cui questi
personaggi attirano l’attenzione, e che allontana dai nostri
occhi gli aspetti negativi del sistema. Sono edulcorati per far
breccia direttamente sul cuore dei consumatori; strappati dal
genere del cartone comico e brillante, teneri e infantili mira-
no a donne e a bambini, primi veri canalizzatori della spesa.
In piedi su due zampe, allegri ed educati questi animali
antropomorfi hanno perso l’origine selvatica, avvicinandosi
sempre di più all’uomo, che, dal canto suo, può finalmente
sentirsi vicino ad una “natura” ritrovata, perfettamente do-
mata e civilizzata.
Gli uomini hanno sempre ammirato le bestie selvagge e
il bisogno di disegnarle si è manifestato sin dalla preistoria:
i bisonti rupestri di Lascaux rappresentavano momenti di
caccia, ma, allo stesso tempo, assumevano un valore simbo-
lico totemico, erano una sorta di portafortuna. E’ probabile
che il nuovo bestiario inventato voglia essere di buon auspi-
cio all’azienda che gli dà vita o che lo prende in prestito dal
mondo dei cartoni o del fumetto. In questo senso, il cliente
diventa un bersaglio a cui dare la caccia, come il bisonte per
gli uomini primitivi, e la benevolenza si ottiene con l’acqui-
sto della merce, per intercessione del personaggio.
Nella raccolta di saggi intitolata miti d’oggi, Roland
Barthes parla della nostra società come mossa da una cultura
dell’ornamento: da un lato si fugge dalla natura, dall’altro la
si ricostruisce, se ne fornisce un surrogato, mansueto e gesti-
bile. I personaggi che ci sorridono, stampati sulle confezioni
in esposizione al supermercato, sono quindi animali, ma non

1
bestie e sono esseri umani, ma non completamente.
Questa tesi nasce quindi dall’esigenza di ricostruire il
percorso attraverso cui gli animali sono arrivati dallo stato di
natura al tempio di glorificazione della merce, il supermerca-
to. Come gli animali sono stati addomesticati, resi umani fino
al punto di diventare mediatori tra il mondo degli oggetti e il
mondo degli uomini, come testimonial o mascotte. L’osserva-
zione eseguita spazia tra diversi campi e, pur sapendo di non
poter raggiungere conclusioni definitive e unilaterali, vuole
provare a mettere in luce quali passaggi hanno condotto l’uo-
mo all’uso di animali antropomorfi per vendere, partendo da
momenti in cui la relazione uomo-animale non aveva ancora
nulla a che fare con la cultura del consumo.
Le forme più diffuse della rappresentazione animale oscil-
lano ciclicamente tra l’animale in quanto referente simbolico
alto, e l’animale inteso come bestia, bruto e basso. La relazio-
ne uomo/natura, tema classico della filosofia, ha attraversato
tutte le scienze umane, determinando il rapporto che s’in-
staura tra gli uomini e gli animali. La teoria levistraussiana
evidenzia come l’uomo costruisca l’immagine di se stesso e
del mondo partendo dal passaggio che va dalla natura alla
cultura e dalla cultura alla natura.
La tesi è introdotta da una visione retrospettiva che mira
ad evidenziare il simbolismo dei primi pensieri sugli anima-
li e, quindi, alle prime loro rappresentazioni, attraverso il
rimando ad elementi totemici e a riti sacrificali, ritenuti ne-
cessari per raggiungere il divino. Si passa, poi, all’analisi della
personificazione di vizi e virtù umane, alle estremizzazioni
satiriche e caricaturali, e si conclude, raggiungendo i tempi
contemporanei, con l’osservazione dell’animale come feticcio,
puramente asservito al commercio.
Per l’avvaloramento della mia tesi, è stata necessaria un’os-
servazione in campo letterario: a partire dalle favole esopiane
ha preso inizio, infatti, un lungo processo d’antropomorfiz-
zazione e, conseguentemente, di tipizzazione. La stessa storia
semantica della parola animale si scontra e si intreccia, poi,
con la storia del cinema, nel momento in cui il cartone anima-
to fa la sua prima apparizione. I primi protagonisti, guardaca-
so, sono degli animali antropomorfi. Sono gli stessi animali
che verranno adottati dalle merci per sedurre ignari clienti,
in primis Mickey Mouse.
Dopo aver raccolto una cospicua collezione d’animali
antropomorfi presenti sul packaging di diversi prodotti, lo
spunto per la lettura personale del fenomeno qui teorizzata
è nato in seguito ad una visita alle gallerie della Fondazione
Querini Stampalia, in Venezia. Nella collezione custodita nel
palazzo cinquecentesco è conservato il casotto del leone,
opera dell’artista Pietro Longhi, del 1762. La tela rappresen-
ta una scena tipica per l’epoca: in un casotto di legno, un
domatore diverte il suo pubblico facendo camminare dei
piccoli cani sulle due zampe posteriori, vestiti come uomini
dell’epoca, mentre una scimmietta siede in disparte legata

2
il casotto
del leone
Pietro Longhi,
olio su tela,
1762

3
ad una trave e un leone al centro della scena cerca l’osserva-
tore lanciando il suo sguardo fuori dal quadro. Il leone e la
scimmia non appartenendo alla fauna autoctona della città
lagunare, ma rimandano ai viaggi in terre straniere condotti
dai mercanti in cerca di nuove merci da importare. Si era
soliti prendere dalle terre visitate prodotti diversi, pregiati ed
originali, per poter guadagnare una volta rientrati a Venezia.
Agli animali toccava spesso la sorte di souvenir. I piccoli cani
al centro del quadro, vestiti e su due zampe, sono caricatura
della vita sociale dell’epoca. Scimmia e leone sono rappresen-
tazione di una natura lontana, geograficamente quando tem-
poralmente, diventano ricordo di uno stato di natura perduto
per il quale si prova nostalgia; i cani, invece, fanno parte di
una natura addomesticata e antropomorfizzata, asservita ai
desiderata dell’uomo, in questo caso, di entertainment.
Sono due forme di culturalizzazione della natura che
saranno analizzate in questa tesi: la natura selvaggia resa
iper-reale per offrire al cittadino occidentale vie di fuga e la
natura antropomorfizzata attraverso cui il cittadino occiden-
tale vede se stesso. Entrambi i fenomeni, la nostalgia per uno
stato di natura perduto e la proiezione delle proprie qualità
sull’animale, sono all’origine del successo degli animali nel
mondo del brand.

4
parte prima

hochigan
Descartes ci dice che le scimmie saprebbero parlare se volessero, ma hanno
deciso di mantenere il silenzio per non essere obbligate a lavorare.
I boscimani dell’Africa del Sud credono che ci sia stato un tempo in cui
tutti gli animali sapevano parlare. Hochigan detestava gli animali; un
giorno scomparve portando via con sé tale dono.

jorge luis borges, Il libro degli esseri immaginari, 1967


1. animale, La definizione de il dizionario della lingua italiana, di
da culturalizzato Giacomo Devoto e Gian Franco Oli, esplica la parola animale in
a industrializzato questi termini: “[…] spec. con riferimento ad una classificazione:
a. domestici, selvatici, da cortile, ecc; animali da macello, destina-
ti alla macellazione, per uso alimentare; animali da laboratorio,
usati per esperimenti scientifici; animali ammaestrati, indotti a
muoversi in modi a loro inconsueti e presentati al pubblico per
divertimento.”
A partire dalla fine del xviii secolo, ma soprattutto du-
rante il xix secolo, assistiamo a massicce urbanizzazioni del
territorio in seguito all’industrializzazione. Il paesaggio si
adatta a nuove esigenze economiche: le città si espandono
e vengono collegate tra loro attraverso reti stradali che si
srotolano limitando gli ambienti naturali. Relegati in territo-
ri sempre più sparuti e fragili, gli animali con cui entriamo
quotidianamente in contatto oggi, sono pets, tester di labora-
torio, prodotto di consumo per gli allevamenti industriali e
rappresentazione simbolica di loro stessi all’interno di parchi,
zoo o attraverso i media.
Ancora prima dell’invenzione della scrittura e del pitto-
gramma, l’uomo si è espresso tramite immagini di animali.
Davanti alla forma animale delle pitture rupestri, delle terre-
cotte, delle incisioni su pietra, osso o metallo, bisogna tenere
a mente le difficoltà che la scelta di tale supporto comporta,
e la possibilità che una visione diretta dell’animale, possa
essere stata arricchita o sostituita con elementi immaginari,
ricordi, stilizzazioni di copie, che implicano sempre forme
nuove e diverse interpretazioni.

L’animale, rappresentato in forma realistica, fantastica o mostruosa,


è presente solo per offrire un’immagine dell’uomo, per illustrare un
mito, rendere più efficace una morale, una regola o un’interpretazione.
(delort, 1987)

Le prime rappresentazioni dell’animale sono state espressione


di una relazione basata sullo scambio e sulla metafora che un
tempo diedero vita alla mitologia.
Nell’antico Egitto erano diffusi culti zoolatrici che considera-
vano gli animali come manifestazioni divine. Le divinità era-
no raffigurate con sembianze animali o come ibridi di figure
umane dalle teste animali. Il bue Apis ne è un esempio; esso
veniva venerato come forza fecondatrice e, quando moriva il

9
bue considerato incarnazione della divinità rurale,

minotauro
Gustave
Dorè,
incisione per
il xxii canto
della Divina
Commedia,
1857

10
alcuni sacerdoti cercavano tra le campagne la nuova bestia
sostitutiva, mentre per il defunto si procedeva con un rituale
di mummificazione e sepoltura in specifiche necropoli.
Nella mitologia greca le divinità vennero antropomorfizzate,
ma la presenza dell’animale e di creature ibride fu ancora
molto forte. Il Minotauro nacque dall’unione tra la moglie di
Minosse, Pasifae, con un bellissimo toro bianco dallo sguar-
do ammaliante, il cavallo di legno utilizzato dai greci per
assediare la città di Troia dimostra quanto i greci lo conside-
rassero un animale ammirabile e divino, simbolo di libertà
ed armonia.
Ne il politico di Platone leggiamo che, in origine, uomini
e divinità vivevano assieme in armonia: nel cosiddetto regno
di Cronos gli uomini condividevano la terra con gli dei e gli
animali, si nutrivano di frutti e non erano sottoposti ad alcu-
na pena o fatica. A questo periodo felice successe l’età di Zeus
durante la quale gli dei abbandonarono gli uomini e se ne
dipartirono, gli animali smisero di parlare e l’uomo si trovò
costretto ad ucciderli con fatica e sofferenza, per mangiarli e
sopravvivere, ma anche per sacrificarli.

Allora il dio [Cronos] guidava innanzitutto la stessa rotazione,


prendendosene totalmente cura, e - cosa che avviene allo stesso modo
anche adesso in alcuni luoghi - tutte le parti del cosmo venivano ri-
partite dagli dèi che le governavano: e dei demoni divini come fossero
pastori avevano ripartito anche gli animali viventi secondo i generi
e i gruppi, e ciascuno bastava in tutto a ciascun gruppo essendo esso
stesso pastore, sicché non vi era nessun essere selvatico e nessuno
procurava cibo all’altro, e non esisteva affatto guerra né rivolta. Ma
vi sarebbe molto altro da dire riguardo a quel che segue a tale assetto
dell’universo. Quanto si dice degli uomini e della loro vita in cui tutto
si generava spontaneamente, si è detto per questo motivo. Il dio li
guidava ed era loro capo, come adesso gli uomini, che sono animali
più vicini alla natura divina, portano al pascolo le altre specie a loro
inferiori: quando il dio li portava al pascolo non vi erano forme di
governo, né acquisti di donne e di figli. Tutti ritornavano in vita dalla
terra, e non vi era alcun ricordo della situazione precedente: questi
beni allora mancavano, però avevano abbondanza di frutti dagli
alberi e da molta altra vegetazione, senza esser generati mediante
l’agricoltura, ma offerti spontaneamente dalla terra. Nudi e senza
coperte vivevano trascorrendo la maggior parte del tempo all’aria
aperta: le stagioni erano temperate perché non provassero dolore, e
avevano confortevoli letti costituiti dall’erba abbondante che cresce-
va di continuo dalla terra. La vita di cui stai ascoltando il racconto,
Socrate, è quella di coloro che vissero al tempo di Cronos: questa di
adesso, invece, che il discorso indica come del tempo di Zeus, tu stesso
la stai sperimentando di persona [...].
Privati della cura di quel dio
che ci possedeva e che ci guidava al pascolo, tutti gli altri numerosi
animali che avevano natura feroce diventarono selvatici, mentre gli
uomini stessi, deboli e senza protezione, venivano sbranati da quelli,
e in quei tempi primitivi erano ancora senza mezzi né risorse, poiché
era mancata l’alimentazione spontanea, e non sapevano procurarsela,

11
per il fatto che in precedenza non erano stati costretti da necessità al- 1.
cuna. Per tutti questi motivi erano venuti a trovarsi in difficoltà enor- Cogito ergo sum è l’entime-
mi. Di qui provengono i doni, come anticamente si narra, donati a noi ma dimostrativo su cui si
dagli dèi insieme al necessario insegnamento ed educazione: il fuoco basa la teoria di Descar-
da Prometeo, e le arti da Efesto e dalla sua compagna d’arte, i semi e tes, esso sottointende
le piante da altri. E tutto quanto è servito a stabilire la vita umana è l’esistenza di un agente:
provenuto da questi doni, dal momento che, come si è appena finito nel momento in cui si
di dire, gli dèi smisero di occuparsi degli uomini, e questi dovevano da prende per vera l’azione
soli guidare se stessi e aver cura di sé, come tutto il cosmo, a imitazio- del pensare, significa
ne del quale e nella cui compagnia viviamo e siamo per tutto il tempo che c’è un soggetto che
generati, ora in questo modo, un tempo in quell’altro. Abbia così sta agendo. Siccome sto
termine il mito, e noi lo useremo per vedere quanto abbiamo sbagliato pensando = azione
mostrando nel discorso precedente l’uomo regale e quello politico. verificata , allora io =
platone, 358 aC soggetto esisto.

Nel sacrificio l’animale media tra l’uomo e dio: la sua


sacralità assicura la benevolenza della divinità, con la quale
ristabilisce il contatto tra sacro e profano. La sua vita è consi-
derata degna di essere offerta agli dei.
Durante la Tysìa, cerimonia sacrificale della religione
greca, si uccideva cruentemente un animale, perlopiù dome-
stico, che veniva offerto in dono. Il rituale era molto lungo e
prevedeva la “vestizione” della bestia, che, incoronata d’allo-
ro, veniva sgozzata, in parte mangiata ed in parte bruciata.
Qualora si trattasse di un’offerta primiziale, che garantiva
agli uomini la libertà di poter consumare cibo considerato
altrimenti delle divinità, si producevano oggetti di forma
animale, senza la necessità di ucciderne alcuno.
L’etimo del termine auspicio, che deriva dalla parola avis,
uccello in latino, ci dice che il popolo romano traduceva il
volo degli uccelli in messaggi divini e ci suggerisce di presta-
re attenzione anche a come erano visti gli animali nella so-
cietà romana. Sono le parole dell’imperatore Adriano, messe
su carta da Marguerite Yourcenar, a così descrivere l’incontro
con un leone durante una battuta di caccia.

Improvvisamente tra un fruscio di canne calpestate, apparve la belva


regale, volse verso di noi il suo terribile, magnifico muso, uno degli aspetti
più divini che possa assumere il pericolo. […] Una volta colpito a morte,
il grosso gatto color del deserto, del miele e del sole spirò con una maestà
più che umana (yourcenair, 1951).

Per Jean Baudrillard il rapporto tra noi e gli animali sareb-


be cambiato con l’umanasimo in cui si attuò la prima separa-
zione tra la Ragione Umana e il Bestiale.
John Berger addita come decisivo Descartes1 che ripropone
la scissione prendendo coscienza della propria capacità di
pensare e, quindi, di essere.
Da quel momento in poi l’uomo si è posto sopra all’anima-
le, distinguendo tra res cogitans, sé, e res extensas, il resto del
mondo animale, vegetale ed animale.
L’uomo ha distinto sé stesso dall’animale, relegato ad uno

12
2. statuto di non umanità (baudrillard, 1980), per l’incapacità di
Libro che raccoglie storie quest’ultimo di usare il linguaggio umano. Ha quindi tratto
di animali raccontate da vantaggio da questo declassamento trovando modi alternativi
De Balzac, L. Baude, E. de per farlo “parlare”. Con la favola si è fatto fornire una morale
la Bedollierre, P. Bernard, e interrogandone il corpo ha fatto luce su questioni biologi-
P. J. Sthal. Il testo è arric- che e scientifiche.
chito dalle illustrazioni di La scienza ha esorcizzato l’indecifrabilità del muso, che trionfa,
Grandville, caricaturista oramai docile nelle pagine patinate di divulgazione ecologica. Si
francese di cui si riporta tenta di vincerne il mutismo: ne spia i segni e tenta di trapiantarvi
un incisione in questa la parola. Nella messa a morte sentimentale (la vivisezione) mette
pagina. a distanza definitiva l’intimità del sacrificio, che ci legava alla
bestia, pur conservandone l’alterità (fabbri, 1995).
Gli animali stessi, riunitisi in assemblea generale nel libro
vita privata e pubblica degli animali 2, sostengono che i
naturalisti credono di avere fatto tutto una volta che hanno
pesato il sangue […], che hanno contato le loro vertebre ed hanno
chiesto alla loro struttura fisica la ragione delle loro più nobili
inclinazioni.

le loup et le
Essi si sono convinti di essere coinvolti in un dialogo con un chien
essere capace di sostenerlo, senza ammettere di essere gli Grandville,
unici a porre domande e a trovarne le risposte. incisione,
L’uomo non sopporta l’imperscrutabilità dello sguardo 1847
animale, superbamente descritta dal poeta svizzero Rainer
Maria Rilke.

13
Tra i versi della poesia gatto nero leggiamo che i nostri 3.
occhi, incontrando quelli del suo gatto, finiscono come un rainer maria rilke,
povero insetto prigioniero nell’ambra. Lo sguardo del suo Neue Gedichte (“Nuove
piccolo felino diventa ossessionante, quasi un buco nero che poesie”). 
Traduzione dal
inghiotte qualsiasi altro sguardo provi ad incontrarlo. tedesco a cura di Adriana
Silvestro
gatto nero 3
Un fantasma è ancora come un luogo
 schwarze katze. 

dove il tuo sguardo urta contro un suono,
 Ein Gespenst ist noch wie
ma contro questo pelo nero
 eine Stelle,/
dran dein Blick
anche il tuo sguardo più duro si scioglie: mit einem Klange stößt;
/
aber da, an diesem sch-
come il grido di un demente che in pieno delirio
 warzen Felle,
/ wird dein
cammini nell’oscurità,
 stärkstes Schauen aufgelöst:
e d’improvviso, nell’imbottitura ovattata

di una cellula, cessa e si dissolve. wie ein Tobender, wenn
er in vollster
/ Raserei ins
Tutti gli sguardi che poté incontrare
 Schwarze stampft,
/ jählings
sembra che lui ormai li celi,
 am benehmenden Gepol-
per rabbrividirne, ostile e pigro,
 ster
/ einer Zelle auf hört
e poi dormire con loro. und verdampft.

Ma d’improvviso si risveglia, e ti proietta
 Alle Blicke, die sie jemals


il suo muso in pieno volto,
 trafen,
/ scheint sie also
e tu ritrovi inaspettatamente, in quell’ambra gialla
 an sich zu verhehlen,
/um
dei suoi occhi rotondi, il tuo stesso sguardo: 
 darüber drohend und ver-
chiuso, come un insetto morto. drossen
/ zuzuschauern und
rainer maria rilke, 1908 damit zu schlafen.


La lettura dello zoo esposta da John Berger nel primo capitolo Doch auf einmal kehrt sie,
del libro sul guardare, racconta l’esperienza di contatto tra wie geweckt,
/ ihr Gesicht
l’uomo e l’animale selvaggio rinchiuso. L’uomo si reca davanti und mitten in das deine
/
alle gabbie per vedere l’animale e comprenderne i comporta- und da triffst du deinen
menti, ma l’incontro risulta sempre deludente: gli esemplari Blick im gelben
/ Amber
catturati e allontanati dal loro habitat perdono ogni atteggia- ihrer runden Augensterne
mento naturale. Diventano apatici, pigri e totalmente dipen- unerwartet wieder: /
einge-
denti dall’uomo. schlossen wie ein ausgestor-
Visitando uno zoo non ci troviamo davanti ad un animale benes Insekt.
libero che si comporta come farebbe seguendo il suo stato
di natura, ma siamo di fronte ad una nostra ricostruzione.
Recandoci ad uno zoo o ad un museo notiamo una similitu-
dine: l’oggetto della nostra visione è decontestualizzato. Che
si tratti di un quadro o di una tigre, il concetto cambia poco,
ambedue provengono da ambienti diversi da quello in cui si
trovano ora; l’artificialità del nuovo, però, si palesa all’oppo-
sto: per le opere d’arte si prediligono ambienti silenti, bian-
chi, puri e privi di ombre, secondo l’ideologia dello spazio
galleristico descritta da Brian O’Doherty, per gli animali
viene invece ricreato un ambiente a loro familiare, attraverso
lo studio di quello naturale e la conseguente costruzione di
un set che ne imiti le caratteristiche.
Non è un caso che i parchi zoologici nascano contempora-

14
tête-à-tête
Disegno di
A. B. Frost.
incisione di E.
Clement.,
1885

15
da sinistra in
senso orario

head of
grizzly bear,
incisione di S.
P. Davis,
1885

Head of
black tail
buck,
incisione di S.
P. Davis,
1884

head of big-
horn ram,
incisione di S.
P. Davis,
1884

head of
buffalo bull,
incisione di S.
P. Davis,
1883

16
neamente alle grandi esposizioni universali e che vengano
abitati grazie a battute di caccia che proprio nel xix secolo
trovano il momento di massima diffusione. Così scrive W.A.
Baille-Grohman a proposito della caccia praticata da esplora-
tori, avventurieri e ricchi europei nelle terre americane:

Negli anni passati, è ben noto, i miliardari americani hanno depreda-


to le gallerie d’arte d’Europa, dove hanno trovato molti dei capolavori
che un tempo ornavano le pareti delle grandi residenze inglesi o le
gallerie rivestite di marmo dei palazzi europei. L’Europa si è vendica-
ta inviando i suoi cacciatori nei terreni di caccia dell’Occidente, dove
sono riusciti a catturare una quantità equiparabile, e probabilmente
altrettanto insostituibile di capolavori, non creati dall’uomo, ma
dalla miglior opera della Natura.

I cacciatori acquistano visibilità esponendo palchi, corna,


zanne e pelli in forma privata, nelle proprie residenze o du-
rante esposizioni internazionali specializzate. Spesso i trofei
vengono donati a musei di scienze naturali, mentre gli esem-
plari catturati, ma lasciati vivi, vengono ingabbiati negli zoo.
Una volta marginalizzato fisicamente e culturalmente,
l’animale diventa uno strumento utile e redditizio, è il caso
dell’allevamento intensivo, largamente praticato in America
nord-orientale, in Europa e in Asia, le aree più ricche e popo-
late del nostro pianeta, in cui, quindi, la richiesta di carne è
molto alta. In seguito ad una crescente domanda di prodotti
alimentari, infatti, dal xx secolo si è diffusa la pratica di que-
sto tipo di allevamento, detto anche senza terra, che ricorre a
tecniche industriali e scientifiche per la produzione di generi
alimentari quali carne, uova e latte.
L’argomento rientra in un dibattito acceso d’ordine etico,
ambientalista e salutistico poiché, come all’interno di una
qualsiasi industria, si deve raggiungere la massima produt-
tività con la minima spesa. Gli animali sono tenuti negli
stabilimenti secondo il metodo della stabulazione fissa, che
prevede che ogni singolo animale sia legato ed obbligato ad
uno spazio ridotto, i cuccioli vengono separati dalle madri e
nutriti artificialmente, le luci sono accese tutto il giorno per
far perdere al bestiame il naturale ciclo naturale di vita. Le
condizioni di forte stress portano gli animali a reagire in ma-
niera atipica, i conigli diventano coprofagi, i maiali si attacca-
no tra loro e tendono a strapparsi la coda – ecco perché viene
tagliata preventivamente – mentre i polli perdono la pratica
del pick order, sistema con cui gerarchicamente in condizioni
normali avrebbero accesso al cibo. Come si legge già in un
documento del 1973, apparso su sciente at avenir, e ripor-
tato da Baudrillard, i veterinari europei, riuniti in congresso
a Lione, hanno manifestato preoccupazione per le malattie e
i disturbi psichici che si sviluppano negli allevamenti indu-
striali. Per ridurre questi disturbi, vengono somministrati
psicofarmaci. Sebbene dagli anni novanta siano state intro-
dotte delle norme che regolano i punti più infelici in questo

17
tipo d’allevamento, le condizioni degli animali risultano
ancora programmate in base alla produttività delle aziende.
Gli animali hanno valore commerciale, alcuni, risultando
utili da vivi, fornendo latte, uova e lana, gli altri, di cui utiliz-
ziamo solo la carne, vengono allevati per il macello.
L’allevamento industriale è la traduzione capitalistica e
distopica dei primi allevamenti che hanno assicurato all’uo-
mo l’astensione da rischiosi scontri con grandi predatori, ma
anche con animali erbivori, pericolosi perché di grossa taglia
o velenosi. Come ben scrive Robert Delort, dalla caccia indi-
scriminata si è passati alla caccia selettiva, quindi alla scelta
delle specie più utili e facilmente catturabili, le si è recintate,
sorvegliate e allevate. Una volta uccise, l’uomo ha imparato a
servirsi non solo della carne, ma anche di denti, artigli, ossa,
budella, pellicce…
Risalgono al xvi e xvii secolo le prime selezioni di conigli
in base a frivole mode, il fenomeno avviene inizialmente in
Inghilterra, ma si diffonde ben presto al resto del mondo.
Coprirsi non è necessariamente lo scopo ricercato, più valore
assume, in questo senso, lo status che determinati manti evo-
cano e sottolineano, appartenendo ad animali esotici o giova-
ni. La pratica induce ben presto l’uomo alla domesticazione
di diverse specie, molte selvagge, allo scopo di utilizzarne la
pelliccia. Il lusso che simboleggia la pelliccia ancora oggi por-
ta con se il valore dello sfarzo, della ricchezza, ci restituisce
l’immaginario dell’uomo che vince sulla natura, ancor più
ammirata, quando posseduta, smontata e ricomposta sotto
nostre sembianze, a nostro piacimento.

1.1 culturalizzazione dell’animale e l’animale in noi

Tracciare una zoostoria è cosa complessa: i materiali anti-


chi puramente didattici che illustrano conoscenze acquisite
attraverso osservazioni dirette e condotte secondo rigore
scientifico sono rari, mentre ben più diffuse sono le raffigu-
razioni dell’animale caricato di significati umani e religiosi,
i quali hanno spesso, però, inciso sulla fedeltà della rappre-
sentazione, consegnandoci, di volta in volta, ritratti realistici,
fantastici o mostruosi.

L’animale può essere descritto fedelmente o in modo da evocare, per


traslato, l’uomo, oppure le qualità e i comportamenti umani. In
alcuni casi l’intenzione è così mirata da divenire preponderante, ed
eclissare parzialmente o totalmente, la descrizione realistica dell’ani-
male, così rappresentato (robert delort, 1987).

L’animale diventa una chiave di lettura del mondo, della so-


cietà, dell’uomo, acquisendo via via valori simbolici differen-
ti. Da il dizionario della lingua italiana, leggiamo:

animale: dal latino animalis -e, che dà vita, animato. […]

18
Ogni essere animato, cioé dotato di moto e di sensi.

Bestia: dal latino bestia -ae, animale feroce.


Qualsiasi animale, spesso in quanto simbolo della violen-
za, dell’ignoranza, della stupidità contrapposto all’uomo:
le bestie sono mosse dall’istinto, l’uomo dalla ragione
(devoto e oli, 1990).

Attraverso il linguaggio verbale e visivo, gli uomini creano da


sempre figure retoriche che raccontano e spiegano il mondo,
attingendo abitualmente dall’universo animale i termini che
ritengono più significativi. Non c’è pericolo di mala interpre-
tazione quando si dice stupido come un asino, o fedele come
un cane. La convivenza con l’animale ha permesso all’uomo
di figurare con immediatezza concetti complessi con il riman-
do sicuro ad un concreto digerito nel corso dei secoli.

Nella Biblioteca Ambrosiana di Milano si conserva una Bibbia ebraica


del XIII secolo che contiene delle preziose miniature. […] La pagina
135v raffigura la visione di Ezechiele, senza la rappresentazione del
carro: al centro stanno i sette cieli, la luna, il sole e le stelle e, negli an-
goli, campeggianti su un fondo azzurro i quattro animali escatoligici:
il gallo, l’aquila, il bue e il leone. L’ultima pagina è divisa in due metà:
quella superiore rappresenta i tre animali delle origini: l’uccello Ziz
(in forma di grifone alato), il bue Behemot e il grande pesce Leviatano,
immerso nel mare e attorcigliato si se stesso. La scena che ci interessa,
qui in modo particolare è l’ultima in ogni senso, poiché conclude tanto
il codice quanto la storia dell’umanità. Essa rappresenta il banchetto
messicano dei giusti nell’ultimo giorno. All’ombra di alberi paradisia-
ci e allietati dalla musica di due suonatori, i giusti, con il capo incoro-
nato, siedono a una tavola riccamente imbandita. […] Sorprendente
è, però, un particolare che non abbiamo finora menzionato: sotto le
corone, il miniaturista ha rappresentato i giusti non con sembianze
umane, ma con una testa inconfondibilmente animale.
(agamben, 2002)

Sebbene non si sia ancora trovata un’interpretazione


univoca al motivo che ha portato il miniaturista a rappresen-
tare i giusti con sembianze animali, si riporta in questa sede
quella avanzata dallo stesso Agamben, autore del testo, che
prevede, nell’ultimo giorno, un’ipotetica riconciliazione tra
l’uomo e l’animale. L’uomo stesso si riconcilierà con la sua natura
animale. Nelle religioni l’animale non solo rivela in quanto
simbolo, ma funge anche da tramite per avvicinare il divino;
esso discende dal creatore e non si è macchiato d’alcun pecca-
to. I suoi atteggiamenti derivano da una natura conferitagli
direttamente dall’alto.
Quando, nel 1974, Joseph Beuys indossa un mantello di
feltro e convive alcuni giorni con un coyote, l’artista tedesco
sta mettendo in scena l’incanto sciamanico, secondo il quale i
rituali devono essere eseguiti indossando capi che trasforma-
no l’uomo in animale. L’uomo e la natura, assieme, possono

19
creare un nuovo mondo, tornando alla sinto-
nia originaria del tempo di Cronos descritta da
Platone. Nel caso di questa performance, Beuys
copre il suo corpo umano, lo annulla per avvici-
narsi al coyote. E’ la figurazione di un processo
di animalizzazione dell’uomo che, solo così, può
staccarsi dal mondo reale, contemporaneo, eco-
nomico, rappresentato dal wall street journal,
unico possesso dell’artista durante l’esperienza.
L’animale ha valore positivo. Permette il cambia-
mento. Nelle società animiste, dove sono diffuse
le pratiche sciamaniche, gli animali sono visti
come animati da proprietà spirituali, così come
lo possono essere tutti gli elementi naturali. Gli
i like america
& america animali hanno un’anima. In Africa, in Oceania
likes me. e in Asia sono diffusi complessi sistemi di idee,
Joseph Beuys, simboli e pratiche che rientrano nel totemismo
performance (il termine totem deriva da ototeman, che nella
1974 lingua di un gruppo di indiani della regione
dei Grandi Laghi, in America settentrionale, gli
Ojibwa, indica un rapporto di parentela).
Claude Lévi-Strauss vede alla base del fenomeno una visio-
ne del mondo che individua una relazione specifica tra esseri
umani e forze della natura, questa a sua volta viene impiega-
ta dalle tribù come strumento concettuale per classificare la
realtà e la società. Questo motiverebbe anche la nominazione
delle stesse società, derivata da nomi di piante e animali to-
tem, simboleggianti, una superiore unità sociale. Dai capitoli
de il crudo e il cotto si comprende lo strettissimo legame
che le popolazioni intrattengono con gli animali, per la cre-
denza diffusa che, negli stessi, si incarnino di volta in volta
anime diverse, salvifiche o avverse.
Essi vengono investiti, quindi, da significati tra loro opposti,
assicurandosi l’eventualità di essere protetti o uccisi, cacciati
o sacrificati. Durante i riti, lo sciamano che si traveste da
animale è l’animale ed è anche l’anima, lo spirito che questo
rappresenta. I riti iniziatori permettono ai ragazzi primitivi
di diventare uomini, il passaggio avviene attraverso il contat-
to con il proprio animale, che uccide il fanciullo e permette
la rinascita adulta.
Restiamo in ambito religioso, ma guardiamo ora all’aspet-
to simbolico dell’animale assunto in passato, in un contesto
che dovrebbe risultarci più familiare; le immagini medievali,
che rappresentano e diffondono la lezione cristiana, ricorro-
no spesso alla figura animale, sono d’immediata lettura per
il popolo analfabeta e ignorante, che però ha contatto diretto
con le bestie e ne conosce caratteristiche fisiche e comporta-
mentali, acquisite tramite un’antica tradizione orale. La cul-
tura cristiana delle origini non ha simboli, ma si appropria
di quelli pagani, operando una precisa selezione volta alla
semplificazione. Rimangono quelli che ancora oggi conoscia-
mo: l’agnello, considerato puro e salvifico, il leone, simbolo

20
del potere divino, la regalità dell’aquila (branzaglia, 2003).
L’allegoria dei bestiari medievali trae origine da un libro
anonimo, con ogni probabilità proveniente dalla città di
Alessandria d’Egitto e risalente al ii, iii secolo dopo Cristo, il
fisiologo. Il testo originale é composto da un lapidario, un
erbario e un bestiario, ma nelle varie traduzioni, riveduto e
rielaborato, é stato epurato dagli elementi che descrivevano
piante e minerali. Sono rimasti protagonisti gli animali reali
e fantastici, descritti prima nelle loro fattezze e abitudini,
quindi interpretati secondo una precisa dottrina morale.
L’osservazione diretta scientifica s’insinua gradualmente nei
bestiari, andando ad incrociare ed ampliare le credenze reli-
giose, ma le interpretazioni più singolari affiorano in seguito
all’introduzione di argomenti estranei alla morale cristiana,
l’animale va a rappresentare, così, anche questioni di caratte-
re amoroso secondo un gusto tipicamente provenzale.
Come emerge dalla simbologia provenzale, l’animale si carica
di nuovi significati e, attraverso il corpo dell’amata, in sosti-
tuzione dell’alto, dell’irraggiungibile, e del divino, la figura-
zione scende ad un livello più terreno, raggiunge gli uomini.
La metafora si fa introspettiva e permette all’uomo di guar-
darsi allo specchio, di rivolgere lo sguardo verso i suoi simili
e verso il proprio io. I sentimenti, i moti dell’animo diventano
il nuovo messaggio.
Gli studi psicanalitici si soffermano sull’interpretazione
della significazione delle figure animali che ci restituiscono
l’inconscio. È con Freud che s’indaga sulla repressione degli
istinti e sulla continua fuga dall’altro nascosto dentro di noi.
L’uomo scopre l’inconscio, l’unica parte del sé che sfugge al
controllo della volontà. La pulsione emerge da un radicamen-
to animale e si palesa nella sessualità, che ci rimanda costan-
temente al nostro passato di animali. L’artista surrealista Max
Ernst palesa l’inconscio attraverso la raffigurazione dell’ani-
male, mettendo su tela uomini-uccello in cui trasferisce
l’identificazione dell’eterna dualità, mentre Matthew Barney,
l’artista statunitense di cremaster, ci restituisce un racconto
delirato del processo di differenziazione sessuale del corpo umano
(lea vergine e giorgio verzotti, 2004) attraverso un imma-
ginario totalizzante che fagocita materiale sotto forma di
qualsiasi modello visivo, dall’arte, alla fotografia, al cinema
contemporaneo, recuperando contenuti di ordine mitologico,
biologico e biografico per raccontare, anche attraverso forme
ibride tra l’uomo e l’animale, la storia di quella che in fondo è
la ghiandola pineale dell’intero universo.
Considerando il continuo iato tra natura angelica e natura
animale, all’uomo corretto, da intendersi secondo accezione
cristiana quanto civile, non resta che sfuggire dalla pro-
pria bestialità. Viene attuata un’assoluta desacralizzazione
dell’animale attraverso un rifiuto di qualsiasi carattere totemico,
di tabù intrinseco: essa è diabolica (delort, 1987).
Nella rappresentazione che figura la bestia, l’animale si fa
mostruoso, orrido, spaventoso, bruto; dinnanzi a questa visio-

21
in senso orario:
elefante
bestiario
realizzato
nell’abbazia
benedettina di
Rochester,
inchiostro e
pigmento su
pergamena,
1230

come
catturare un
unicorno
bestiario
realizzato a
Salisbury,
inchiostro e
pigmento su
pergamena,
1235

capre
bestiario
realizzato a
Salisbury,
inchiostro e
pigmento su
pergamena,
1235

22
4. ne, l’uomo prova un sentimento di paura. La bestia é defor-
Manual de zoologia fan- me, un ibrido iperbolico in cui vengono enfatizzati i caratteri
tastica pubblica, compila- negativi. L’ignoto, il pericoloso, il terrificante, l’insolito contri-
to da Borges con Margari- buiscono al tempo stesso a stimolare l’immaginario e a falsare la
ta Guerrero e pubblicato visione, e a maggior ragione la rappresentazione. (Delort, 1987)
nel 57 a Città del Messico. Fanno, allora, la loro comparsa, tutti quegli animali che mescolano
La seconda versione, El li- elementi faunistici ad altri umani attraverso il racconto, la descri-
bro de los seres imaginarios zione fantastica e la sovrapposizione di particolari scaturiti da un
è una ripresa del prece- fertile immaginario; esso può partire da un’osservazione deforma-
dente e aggiunge agli 82 ta di una realtà insolita, notevole (mirabilia), perfino mostruosa
animali già conosciuti, 34 (monstra), costantemente riscritta, interpretata da generazioni
nuovi esseri fantastici successive di miniatori, dottori, chierici, che, attribuendole qualità
fittizie, pervengono a renderla più verosimile e a porla in sintonia
con la mentalità del tempo ( delort, 1987).
Se leggiamo il manual de zoologia fantastica 4 o la versione
più recente el libro de los seres imaginarios di Jorge Luis
Borges, scopriamo una zoologia fantastica che attinge dal
sogno degli uomini, raccontato nel corso dei secoli da lettera-
ture, mitologie, racconti di viaggi veri ed immaginari, dalla
tradizione antica cinese o da racconti di origi ne mistico-re-
ligiosi, da bestiari più scientifici… La continua cupidigia let-
teraria dello scrittore, lo porta a scoprire esseri fantastici che
saltano da una storia all’altra, trasformandosi, reinventando-
si, ma di volta in volta, ripresentandosi in modo tale da poter
essere sempre riconosciuti. La raccolta attraversa i secoli e
mette in piedi uno zoo magico, fantastico, ma al contempo fa-
miliare, che stupisce ogni qual volta si rivela mutato, perché,
come si legge nel prologo, ignoriamo il senso del drago, come
ignoriamo il senso dell’universo, ma c’è qualcosa che si accorda con
l’immaginazione degli uomini, e così il drago appare in epoche e a
latitudini diverse (borges e guerrero, 1967).
Convivono animali sognati da grandi scrittori, draghi
che il tempo ha intaccato privandoli di credibilità, angeli,
animali biblici, mitologici, elfi, fate, lemuri, gnomi, sirene,
unicorni, una lepre lunare, ittiocentauri, monocoli, il pesce
centoteste, incroci e molti altri esemplari, alcuni nati esclu-
sivamente nella mente dello scrittore, come nel caso degli
animali degli specchi. La passeggiata allo zoo letterario cui ci
invita Luis Borges (assieme alla collega, e per un certo tempo
compagna, Marguarita Guerrero), è in realtà una passeggiata
tra i sogni dell’uomo, tra gli universi altri che nella testa col-
lettiva prendono continuamente nuova forma, restituendoci
altre nature, rivedute o inventate, sotto il sogno dell’infinito
immaginario umano. Il testo, che non ha alcun intento didat-
tico, trova linfa nel piacere della raccolta, della collezione che
dà lo spunto a nuove tassonomie altrettanto immaginarie.
Gli animali possono così essere simbolici, allegorici, privi di
senso, inventati, spaventosi, ma anche reali, bestie terrene da
cui l’uomo deve guardarsi bene.
Secondo un diffuso senso comune, infatti, attribuire all’es-
sere umano i tratti di un animale, con le parole o le immagini,
equivale, di solito ad insultarlo, comunque ad abbassarlo alla pura

23
da sinistra
the order, da
cremaster3,
Matthew
Barney
1994

La Toilette
de la mariée,
Max Ernst,
Olio su tela,
1940

24
istintualità che l’animale ci rappresenta (lea vergine e giorgio
verzotti, 2004). Si attua un declassamento.
L’animale, secondo questa visione, è inteso come bestia,
termine in grado di rimandare ad un’accezione legata agli
istinti, al corpo, in poche parole, ad un livello più basso
rispetto a quello in cui noi ci posizioniamo. L’antropologia, ci
insegna Paolo Fabbri, è sempre stata segnata dalla necessità
dell’uomo di differenziarsi dall’altro, inteso come uomo, ma
inteso anche come animale. Per esempio con il termine pri-
mitivo indichiamo un popolo lontano dalla cultura così come
noi oggi la intendiamo. Più vicino, se vogliamo, ad una vita
condotta naturalmente. Tanto più ci si allontana dall’animale,
infatti, tanto più si è degni del termine umano. Altrimenti si
risulta primitivi. È interessante osservare come il primitivo, e
la sua concezione animista che lo riporta costantemente alle
sue origini animali, sia vicino, sotto questa ottica, al bambino
e all’uomo delle origini: in questi tre casi l’uomo e l’animale
non hanno necessità di essere disposti su piani differenti, al
contrario, totemismo, miti, favole e giochi tessono un raccon-
to diverso, senza macchia.
Nel mezzo tra la visione dell’animale in quanto animale e
quella dell’animale in quanto bestia, inserisco la motivazione
che spinge gli uomini ad un certo tipo di caccia. La bestia è
ingorda per antonomasia, si impelaga divorando con cupidi-
gia, cibo e sesso. Agisce con disumanità ed avidità. Lotta con
ardore e con grande spargimento di sangue. E’ forte, potente,
senza paure. Ma l’animale feroce è anche imponente e gran-
dioso perché porta l’uomo a confrontarsi con le sue angosce.
È la bestia che, quando cacciata e vinta, viene esposta come
trofeo. La forza e, quindi, la virilità del cacciatore di turno
sono celebrate da teste mozzate, palchi o interi corpi inermi
che devono evocare la ferocia dell’animale e la grandezza
dell’impresa compiuta dall’uomo. Animali grandi, aggressivi e
pericolosi richiedono uomini abili, intrepidi, capaci di sconfiggerli
nella lotta: le specie animali rappresentate [nelle illustrazioni di
caccia] sono avversari degni dello scontro per dimensioni, forza
e agilità. Anche le condizioni disagevoli e selvagge dell’habitat
dell’animale sono importanti, perché a esse corrispondono l’agilità,
la perseveranza e la forza del cacciatore (lea vergine e giorgio
verzotti, 2004).

1.2 industrializzazione dell’animale

iperrealismo naturale
Per far fronte al senso di perdita della natura, l’uomo,
oggi, mette in scena una riproduzione iper-reale della stes-
sa, alimentata da una costante smania di rappresentazione
corretta. La waltdisneyzzazione della natura è parte di un
processo più ampio che Franco La Cecla definisce con il ter-
mine pornoecologia, una sorta di playboyzzazione della natura.
Pornoecologia significa riempire l’abisso con la fotografia del

25
natura e
animali
dal sito di
National
Geographic

26
27
national geographic in cui il tramonto diventa più rosso e
la savana appare perfetta e ordinata, significa ridurre e bam-
bolizzare gli animali per evitare che lascino aperto un abisso
dentro al quale le cose potrebbero non essere tutte dette.
Abbiamo bisogno di sapere che sappiamo, di non avere
dubbi. L’iperrealismo elimina il sorgere del dubbio; limitando
lo stupore e la fantasia ricadiamo nell’incapacità di costruirci
sopra storie, favole e metafore. (…) Viene eliminata qualunque
componente simbolica, ignorando che l’animale è il prototipo della
maschera, che ha un cerimoniale di comportamento (la cecla,
1990). Se gli antichi traevano godimento dalla mimesis, giac-
ché ritenevano la bellezza custodita in latenza nella natura,
oggi le cose sono in larga parte mutate: ci siamo convinti che
l’imitazione abbia raggiunto il culmine e che di qui in avanti
la realtà sarà sempre inferiore (eco, 1977).
Come scrive Paolo Fabbri, la natura fragile, indebolita davan-
ti all’artificio che oramai la pervade fino in profondità, non può
che reagire in un modo: essere salvata. Ecco l’ideologia del parco.
Questa natura che ha bisogno di essere protetta, è una natura
della nostalgia, della conservazione (fabbri, 1990).
Parchi naturali, zoo ed acquari si fanno allora depositari
di un mondo che non esiste se non come rappresentazione di
qualcosa che sta scomparendo e noi ci sentiamo di doverlo
mettere dietro ad una teca. In tutto il mondo sorgono, allo-
ra, marine e giungle artificiali dove è possibile vedere ogni
specie di animale, che, ai nostri occhi, appare a proprio agio,
sereno, protetto.
Consideriamo, però, che ogni vasca e ogni recinto sono
ricostruzioni in scala di un ambiente originale, probabilmen-
te inquinato e mutato anche a causa delle nostre attività. La
preservazione della specie in via d’estinzione è in parte credi-
bile, ma solo dopo l’ammissione che gli animali in cattività,
si trovano in una condizione di contratto, protetti per intrat-
tenere i visitatori dei parchi, sono esimati da caccia e fatiche.

animali ingabbiati.
Il più famoso zoo del xix secolo, il London Zoo, nasce come
collezione di animali, che, molto lontana dall’esprimere un
carattere puramente scientifico, tende piuttosto a “interest
and amuse the public”, come enumera tra i suoi personali propo-
siti lo stesso Sir Thomas Stamfor Raffles, fondatore dello zoo.
Uno spazio pubblico di intrattenimento per la borghesia,
all’interno del quale si può passeggiare, ascoltare concerti,
vedere scenette di saltimbanchi e anche animali.
Lo zoo mette in scena un paesaggio naturale idillico, in
cui fuggire dalla città industriale, come si legge in un guida
del 1860:

From the rustic lodge at the north. Or main entrance, runs a broad
terrace walk, in a straight line onwards, bordered by flowers, shrubs
and trees on each side, and continued at the same level for some
distance, over the lower round, by a handsome viaduct [the Carnivo-

28
ra Terrace], which covers a long range of roomy cages beneath, and
in its forms one of the most striking objects in the Gardens. On this
platform, which is balustrated at the sides, the visitor may pause for
a moment, to contemplate the extensive view presented of Regent’s
Park, and the mighty metropolis beyond. Save its some, however, and
the mist, or dense air, perpetually hanging over it but little of the lat-
chimp and cat ter is visibile. Still it is not less present to the imagination’s eye, and
fotografia the contrast is the stronger when compared with the tranquil scene
amatoriale around (rothfels, 2002).
scattata al
London Zoo, Lo zoo è costruito per offrire piacere al borghese, per dargli
1940s un diversivo alla vita cittadina, per avvicinarlo alla natura in
maniera idealizzata, non per proteggere gli animali; le gabbie
prevedono sbarre d’acciaio e, all’interno, piccoli elementi
evocativi dell’habitat naturale da cui provengono le varie be-
stie. Il modello sembra funzionare finché Carl Hagenbeck, un
venditore di animali esotici, non sente l’esigenza di costruire
qualcosa di nuovo, che restituisca un’esperienza totalizzante
durante la visita; il Carl Hagenbeck’s Animal Park, ad Ambur-
go, dal 1907, mette in scena un’immersion exhibit.
Il primo passo è l’eliminazione delle sbarre per far sentire
al visitatore la sensazione di condivisione dello spazio con le
bestie. Da qui l’esigenza di ricreare perfettamente l’habitat in
scala, attraverso la piantumazione di specie arboricole pro-
venienti dallo stesso contesto naturale, in modo da garantire
l’illusione di libertà per gli animali. Nigel Rothfels sostiene
che l’Hagenbeck’s Zoo ha permesso all’uomo di dimenticare
il vecchio concetto di cattività, offrendo lo spettacolo di un
luogo in cui gli animali possono condurre un’esistenza idea-
lizzata, perfetta e sicura, anche più di quella che riuscirebbe-
ro a vivere se liberi. Le specie, infatti, sono disposte in modo
che gli esemplari carnivori non incontrino mai quelli erbivo-
ri: non c’è alcun pericolo di spargimento di sangue, il ciclo
vitale è interrotto e l’alimentazione è controllata artificial-
mente. Hagenbeck replaced the bars with narratives of freedom
and peace amon the animals (rothfeld, 2002).
Il concetto che sostiene il nuovo zoo è stato ben assimila-
to e oggi la maggior parte delle persone che si recano ad un
parco costruito su modello dell’Hagenbeck, vede gli animali
sereni e non sembra preoccuparsi per la loro deterritorializ-
zazione, né del fatto che, per realizzare questa pace naturale
occorrono molte fatiche: l’educazione degli animali, la costruzione
di un ambiente artificiale che sembri naturale, [gli operatori] che edu-
cano il pubblico. Così che l’essenza finale di questo apologo sulla bontà
della natura è l’Ammaestramento Universale (eco, 1977).
Siamo di fronte all’industria del divertimento, della messa
in scena, del falso, poiché seppure sembra non esserci segno,
esso è sempre presente e qualora sembri non esserci, il segno
è sempre lì, dietro l’angolo.
La promessa della vera natura si perde nelle didascalie che ac-
compagnano la nostra visita, dove via via apprendiamo che ci
troviamo di fronte all’erbivoro avvicinabile perché mansueto,

29
lion
fotografia
amatoriale
scattata al
London Zoo,
1940s

30
Hagenbeck’s
Animal Park
fotografie
amatoriali,
1940s

31
piuttosto che trovarci di fronte al recinto dei temibili carni- 1.
vori, che possiamo ammirare, prestando molta attenzione. per una lettura appro-
fondita di quanto si sta
animali mediatizzati. per accennare, si legga
Attraverso l’analisi del medium televisivo possiamo, ora, di andrea semprini,
aggiungere alcune questioni interessanti rispetto alla costru- Analizzare la comunica-
zione della natura come oggetto-valore1. zione. Come analizzare la
Tra i modi possibili di parlarne, possiamo individuare il pubblicità, le immagini, i
metodo pedagogico, in cui un esperto informa il pubblico media. Nell’ultimo capi-
ricevente, considerato impreparato in materia, il metodo tolo del libro si analizza
oggettivo-referenziale, in cui l’enunciante cerca di scomparire dettagliatamente il feno-
attraverso una strategia della trasparenza e della mediazione meno dell’enunciazione
veicolata, […], da metafore della visione (viene ripreso nell’atto della natura attraverso la
di mostrarci, funziona da cono visivo, è un segno indicatore comunicazione televisiva.
vivente) e, infine, il metodo complice, che lega enuncianti ed
enunciatari in una condizione di condivisione empatica.
In tutti e tre i casi, la natura diventa un oggetto da cui noi
prendiamo le distanze, per poterlo meglio osservare. L’ana-
cronismo che distingue il nostro tempo civilizzato, quindi
progressivo e rapido, da quello della natura, ciclico e sempre
rinnovabile, permette il distacco e in taluni casi, motiva sotto
sguardo fatalista, l’inevitabile devastazione.
La natura è sempre tenuta distante, in termini di tempo, ma
anche di spazio, se si pensa che nella maggior parte dei casi,
le trasmissioni televisive s’interessano di luoghi lontani, che,
attraverso lo schermo, assumono un carattere immaginifico,
diventano immaginari. Questo allontanamento geografico
e temporale induce un effetto di spaesamento concettuale e
culturale che investe la natura come ambiente, ma allo stesso
tempo assorbe anche gli animali, come diretti soggetti di tale
discorso (semprini, 1997).
Quando guardiamo i documentari inseguiamo gli animali
per studiarne le abitudini quotidiane, la vita del branco, la
sessualità, l’aggressività - come ci ricorda l’etologo Giorgio
Celli - cerchiamo di intravedere nei loro comportamenti cu-
riosi qualcosa che li avvicini a noi.
La rappresentazione dell’animale però, spesso, è spettacola-
rizzata. Quello selvaggio, raggiunto e braccato da telecamere
in hd, diventa protagonista di documentari televisivi, presen-
tati dalle guide tv in maniera simile a questa:

protagonisti di questa serie di filmati monografici, saranno i pre-


datori più feroci del mondo animale, come i leoni, gli squali, gli orsi
polari, i serpenti, i caimani e gli orsi grigi: le telecamere del National
Geographic con inquadrature mozzafiato, immagini esclusive, primi
piani al centro dell’azione racconteranno le tecniche predatorie, la
vita in gruppo e l’habitat dei predatori. (guida tv online)

Per molti documentari è bene che i carnivori appaiano feroci,


anche più di quanto lo siano nella realtà, lo spettatore ne
deve percepire la pericolosità e l’invincibilità, mentre s’im-
medesima con la preda e rimane incollato al video come lo

32
sarebbe davanti ad un thriller.
Molto spesso i processi di cambiamento dell’habitat in cui
gli animali vivono, vengono ricostruiti in studio per ottenere
in un tempo ridotto ciò che accadrebbe altrimenti in anni di
riprese. La natura appare magica perché incredibile e artifi-
ciosa. È una natura iper-naturale, iper-reale, estrapolata dal
suo contesto per esere normalizzata, condizionata e ricostrui-
ta ai fini del consumo culturale (semprini, 1997).
Cosa accade, poi, se gli animali escono dal genere docu-
mentario per divenire degli operatori di intrattenimento?
Esistono programmi come ciao darwin (presentato da Paolo
Bonolis e trasmesso su Canale 5) che si servono della bestia-
lità e della mostruosità di determinate specie, per mettere in
scena delle prove di coraggio, in cui gli animali sono veri e
propri ostacoli da superare; le prove includono incontri ravvi-
cinati con animali spaventosi, spesso insetti, rettili e roditori
resi innocui da pasti abbondanti o da sedativi. L’animale, in
questo caso, rappresenta il pericolo, l’eventualità di perdita
del gioco, e metaforicamente della vita, rimandando alla
prova dell’eroe. Dietro a programmi di questo tipo si nascon-
de la consapevolezza dell’alterità dell’animale, la sua diver-
sità, quindi, il nostro pericolo in latenza. Quando Marina
Abramovic fa strisciare sopra di sé cinque pitoni affamati,
l’artista mette in scena una lotta tra sé e l’altro, minaccioso,
il programma televisivo ciao darwin si basa sulla traduzione
in chiave pop della stessa narrazione che soggiace a questa
performance artistica.
La messa in scena dell’animalità attraverso la bidimen-
sionalità del cartaceo e del video, piuttosto che mediante la
tridimensionalità dei parchi zoologici esorcizzano il turba-
mento che proviamo dinnanzi a questo essere silente, di cui
non siamo in grado di interpretare nemmeno lo sguardo.
La rappresentazione dell’animale che passa attraverso l’illu-
strazione, avviene previo addomesticamento e, quindi, rico-
struzione dell’espressione facciale proprio per rendere com-
prensibili i sentimenti provati dall’animale.
Una particolare attenzione é prestata al disegno degli
occhi, che devono esprimere sentimenti riconoscibili e ben
distinti, siano essi di personaggi buoni, o cattivi. Esistono
degli accorgimenti precisi e consolidati che permettono a
cartonisti e vignettisti di palesare il carattere del personaggio
tramite la rappresentazione dello sguardo. Siamo nel campo
della fisiognomica, che si rifà ad un serbatoio visivo assorbi-
to nei secoli e che ci ha insegnato a tradurre diversi patemi
attraverso la mimica facciale.

33
da sinistra
dragon
heads
Marina
Abramovic,
performance,
video still,
1993

show dei
record
uomo con
scarafaggi,
2009

34
2. il simulacro 2.1 il souvenir

Siamo testimoni di un cambiamento nella relazione tradizionale tra la


realtà e la rappresentazione. Già non evolviamo dal modello alla realtà,
ma dal modello al modello, e allo stesso tempo riconosciamo che, in real-
tà, tutti i modelli sono reali. In conseguenza, possiamo lavorare in modo
molto produttivo con la realtà sperimentata come conglomerato di model-
li. Più che considerare il modello e la realtà come modalità polarizzate,
oggi funzionano allo stesso livello. I modelli (i simulacri) sono diventati
coproduttori della realtà.
olafur eliasson

La nostra vita è scandita dal ritmo delle merci: ai tem-


pi naturali sostituiamo quelli economici e ci circondiamo
sempre più massivamente di oggetti che non sono né flora, né
fauna, anche quando all’apparenza lo sembrano.
Gli animali con cui quotidianamente entriamo in contat-
to oggi, all’interno delle nostre case, vengono chiamati pets.
Perlopiù si tratta di cani e gatti – ma sono numerosi anche
roditori, rettili, uccelli e altri esemplari più o meno esotici –
spesso vestiti e ridicolizzati dai propri padroni, rimpinguati e
toelettati per perdere ogni traccia di animalità. Questa prati-
ca è un tratto distintivo delle società consumistiche, in cui si
manifesta la tendenza a ritirarsi nel privato della piccola unità
familiare, addobbata ed arredata di souvenir del mondo esterno.
(berger, 2003) L’animale casalingo è souvenir di uno stato di
natura originale, abbandonato, ma di cui proviamo nostalgia.
Accudire un animale, renderlo domestico, significa, come
scrive Geoffroy Saint-Hilaire, abituarlo a vivere e a riprodursi
nelle dimore dell’uomo o nei suoi paraggi, a suggerirlo l’etimo-
logia del termine domestico, che deriva dal latino domus, casa
appunto. Il pet ci distoglie da possibili sensazioni di frustra-
zione e solitudine, ci fa sentire indispensabili e colma vuoti
affettivi; su questo la psicanalisi ha calcato la mano sottoline-
ando i transfert che la mente attua sull’animale, scorgendoci
di volta in volta altre persone della famiglia con cui abbiamo
questioni irrisolte a livello d’inconscio. Mancando dello spa-
zio naturale e totalmente isolato, l’animale domestico perde,
però, l’abitudine all’esercizio fisico, fatica a relazionarsi con
i suoi simili e, impigrito, si nutre di cibi artificiali che noi
compriamo al supermercato. Così trattato, esso diventa il

35
succedaneo di una natura che sta scomparendo.
Nel 2002 Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale
Design Museum di Milano, allestì una mostra dedicata agli
oggetti di design zoomorfi e zoonomi. Nel catalogo si legge
che nella loro evidenza morfologica e/o nominalistica, questi og-
getti, assunti nella dimensione domestica dell’interieur, si offrono
come surrogati di quell’animalità che non ha luogo nell’abitazione
moderna. La Annicchiarico continua definendole protesi affet-
tive che portano con sé il ricordo di una naturalità perduta e
che segnano il ritorno del rimosso. Attraverso queste presenze
metaforiche, la casa si anima come uno zoo virtuale e l’avatar
dell’animalità riaffiora dentro la ratio tecnologica e moderna del
progetto. In sostanza, quando per i motivi più disparati, non
ci è possibile nemmeno avere un animale domestico, certi
oggetti possono venire in aiuto e farne le veci. Baudrillard, a
proposito del design, scrive:

L’estetica industriale - il design - non ha altro scopo che dare agli


oggetti industriali, duramente toccati dalla divisione del lavoro e
marcati dalla loro funzione, [un’]omogeneità “estetica”, [un’]unità for-
male o [un] lato ludico che li relegherà tutti in una specie di funzione
seconda della “situazione”, dell’ambiente.

La mostra animal house mise in scena gli og-


getti basando l’esposizione sulla tassonomia con
cui distinguiamo comunemente gli stessi anima-
li: esemplari terrestri (500 Topolino, Lombrico,
Tartaruga, Gatto, Grillo, Cobra, Boalum, Prima-
te, Hebi, Canguro, Pecorelle, Piggy), acquatici
(Delfino, 16 pesci, Pesciera, Medusa, Pito, Folpo,
Moscardino, All-the-gator), volatili (Mosquito,
vespa, Rondine, Galletto, Cicognino, Pipistrello,
Papillon, Mariposa, Falena, The Fly) e ludico-fan-
ali-the-gator tastici (Meo Romeo, Zizì, Chimera, Snoopy, Moby
Khodi Feiz Dick, Calimero, Fritz the Cat, Notturno Italiano
per Alessi, e Juicy Salif). Quest’ultima categoria che rag-
tagliacarte, gruppava animali provenienti dal design, dalla
2001 mitologia, dal fumetto, dalla letteratura, dalla
pubblicità e dal cartoon, dimostra l’assenza di
piggy
un principio di pertinenza nella tassonomia che
Anna Castelli
fino ad un certo punto distingue nominalistica-
Ferrieri per
mente nomi comuni di animali e poi aggiunge un
Matteograssi,
raggruppamento fatto di nomi propri, inventati
pouff,
da noi e per noi. L’assenza di principio di perti-
1991
nenza strizza l’occhio alla classificazione zoofila
heron di Borges – ripresa a sua volta dall’emporio cele-
Hisao Hosoe, ste di conoscimenti benevoli di una non ben
Alessio Pozzoli definita enciclopedia cinese – secondo la quale
per Luxo gli animali si dividono in: a) appartenenti all’impe-
Italia, ratore, b) imbalsamati, c) addomesticati, d) maialini
lampada, da latte, e) sirene, f) favolosi, g) cani in libertà, h)
1994 inclusi nella presente classificazione, i) che si

36
agitano follemente, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello
finissimo di peli di cammello, l) et caetera, m) che fanno l’amore, n)
che da lontano sembrano mosche.
Gli animali vivi e veri, quelli che lo sono stati, quelli che
abbiamo imbalsamato o addomesticato, ma anche quelli
che abbiamo creato (disegnando sulla carta o plasmando la
materia) fanno parte di un continuum che va da maggiore
o minore costruzione artificiale della natura, senza alcuna
distinzione netta. La cosa, che può apparire anomala a prima
lettura, può essere avvalorata se osserviamo come ci relazio-
niamo con gli animali e con i loro simulacri oggi.
Il termine simulare, per il filosofo francese Baudrillard, si
riferisce ad una assenza: si utilizza quando si finge di ave-
re, mentre in realtà non si ha, con dissimulare ci si riferisce,
invece, ad una presenza, in questo caso, al contrario, si finge
di non avere. Il simulacro non è mai qualcosa che nasconde la
verità - è la verità che nasconde che non ce n’è. Il simulacro è vero
(baudrillard, 1980).
L’inganno ha luogo nel momento in cui si vuol far passare
un simulacro per una verità, quando si dice che esiste ciò che
esiste è la verità, e non il simulacro. Quando pensiamo agli
animali domestici, la nostra convinzione il più delle volte è
alimentata dal fatto che non li consideriamo propriamente
degli animali, ma, più nello specifico, essi diventano i nostri
animali, quelli che la psicanalisi junghiana definisce animali
edipici, familiari, sotto ai quali si cela sempre la figura di una
persona umana, padre, madre, compagno/a o chi per esso.
Nel caso si pensi agli animali protetti all’interno di zoo,
acquari e parchi faunistici, siamo sicuri che si trovino a loro
agio in un qualsiasi luogo riproduca, a nostro avviso, l’habitat
naturale da cui provengono.
Il barone Jacob von Uexkull, considerato fondatore
dell’ecologia, ha messo in luce, a tale proposito, la visione
antropomorfa con cui noi uomini siamo soliti guardare il
mondo. In generale noi crediamo che gli animali si relazioni-
no con ambienti e oggetti come noi ci relazioniamo con essi
in quanto tali. È come se considerassimo il mondo (Umge-
bund, quello oggettivo) da un unico punto di vista; ma per
comprendere come un uomo o un qualsiasi animale lo viva,
è necessario considerare l’ambiente soggettivo, quello che il
dato soggetto vede e interpreta, l’Umwelt, il mondo ambiente
in cui si trovano i bedeutungstrager, gli oggetti portatori di si-
gnificato, che di volta in volta cambiano in base a chi si trova
nello stesso ambiente.
La ricostruzione che noi eseguiamo dell’habitat di un
qualsiasi animale che si trova all’interno di un giardino zoo-
logico, spesso non è in grado di tenere conto della differenza
fondamentale insita nell’interpretazione soggettiva del luogo,
che significa, in altre parole, che dovremmo tenere in mente
che non esistono ambienti oggettivamente determinati.
Per molto tempo la ricostruzione dell’habitat per gli ani-
mali in cattività, si basava sul recupero di qualche oggetto

37
che, posizionato all’interno delle gabbie, fungeva da sceno- 1.
grafia, e aiutava la bestia a sentirsi a casa, come se gli animali da baudrillard,
si rapportassero agli oggetti come noi facciamo con loro. Territorio e metamorfosi
Il discorso economico, invece, ha assorbito la nostra idea di in Simulacri e impostura,
animale e questa, per proprietà transitiva, ne ha ereditato la pg 15
caratteristica principale, l’estraneità al concetto di territorio. "La marginalizzazione cul-
Convincendoci del nomadismo come una peculiarità conna- turale degli animali è, senza
turata degli animali veri, li consideriamo non radicati, in con- dubbio, un processo più
tinua trasformazione e movimento, simili alla struttura del complesso di quello della
sistema capitalistico su cui abbiamo basato la nostra società. loro marginalizzazione fisi-
La nostalgia con cui li guardiamo, oggi, è prova del nostro ca. Gli animali della mente
senso di colpa per averli deterritorializzati a scopi di reddito1, non si lasciano disperdere
il processo ha coinvolto tutti gli animali, quelli veri dell’in- così facilmente. Detti, sogni,
dustria alimentare, della ricerca scientifica, dell’industria del giochi, storie, superstizio-
divertimento e quelli incaricati a farci compagnia, ma abbrac- ni, lo stesso linguaggio, li
cia, allo stesso modo, anche quelli inventati, disegnati. richiamano alla vita. Invece
Ci serviamo, infatti, di animali provenienti dal mondo del di essere dispersi, gli ani-
fumetto e del cartoon, per promuovere prodotti, per procac- mali della mente sono stati
ciarci nuovi consumatori mirando al cuore dei più giovani cooptati in altre categorie,
ricettori di pubblicità, sfruttando la loro rappresentazione così che la categoria anima-
antropomorfizzata, in posa plastica e sempre felice. le ha perso la sua centrale
I bambini, considerati nel loro primo periodo d’infanzia, importanza. Per lo più sono
sono incapaci di esprimersi attraverso un linguaggio com- stati cooptati nella famiglia
prensibile a noi adulti e per questo godono di una condizione e nello spettacolo".
d’innocenza che ci permette di avvicinarli all’idea che abbia-
mo dell’animale, altro oggetto del nostro sentimentalismo.
E’ in questa loro somiglianza che bisogna cercare il
motivo per il quale, spesso, le aziende promuovono i loro
prodotti attraverso il ricorso ad animali antropomorfi dai
tratti inequivocabilmente infantili. Walt Disney è il pioniere
della cultura del merchandising e dell’advertising attraverso
l’impiego di animali antropomorfi, che nasce in America ma
che, ben presto, conosce una diffusione globale.
Nei primi suoi anni di vita, Topolino appare nel packaging
di diversi prodotti industriali grazie al fiuto per gli affari
dei due fratelli Disney, Walt e Roy, che amministra le casse
dell’azienda. All’argomento è dedicato il capitolo topolino e
il merchandising.

2.2 liveness

I will refuse to alter or falsify trophy characteristics.


taxidermists code

Jane Desmond scrive:

I hope to reveal more fully the roles animals and their bodies
play as our defining interlocutors even when they are dead or
created solely by human hands.
(rothfels, 2002)

38
Il saggio racconta la pratica della tassidermia e la realiz-
zazione di pupazzi meccanici animatronici, impiegati nel
cinema o a scopi didattici nei parchi zoologici e nei musei di
storia naturale, che assecondano una passione tutta umana
di produrre liveness, creando, ricreando e animando corpi di
animali tridimensionali. In un caso si uccidono animali per
manipolarne il corpo esanime, nell’altro si realizzano, e si
comandano dal loro interno, modelli totalmente artificiali.
Bring them to life.
La tassidermia è un processo alquanto ironico perché
per raggiungere l’effetto di liveness, è necessaria la morte
dell’animale - nei manuali di settore è consigliato il soffoca-
mento, che non arreca alcun danno visibile al corpo. Il corpo
viene totalmente smontato e riassemblato, svuotato dalle
sue parti molli interne e ristrutturato con uno scheletro di
schiuma poliuretanica. Le tecniche si sono evolute con il tem-
po grazie a ricerche tecnico-scientifiche adeguate che hanno
permesso l’abbandono dell’impagliatura per l’attuale tassider-
mia, realizzata mediante un processo che unisce liofilizzazio-
ne, supporti metallici e scheletri artificiali.
Solo in seguito possono essere riattaccate le appendici,
vale a dire, in base ai casi, artigli, ali, zoccoli, code… Le
cosiddette parti molli visibili, occhi, narici e lingua, vengono
ricostruite rispettivamente in vetro, cera, plastica o plastili-
na. Il risultato finale deve apparire perfettamente autentico.
La posa dell’animale deve mostrarlo mentre vive indistur-
bato, lontano dagli uomini, perfettamente coinvolto dalla
natura – anch’essa fake – circostante. In altri casi, l’animale
esprime il momento di massimo patema, quando si accor-
ge della presenza dell’uomo, in questo caso l’espressione ci
restituisce il terrore nei nostri confronti, le narici sembrano
tremare, è messo in scena l’arrested motion, la consapevolezza
del pericolo, della morte. Occorre sia catturata quella che la
Desmond definisce stasis: attraverso la ricostruzione, si mon-
ta un teatrino scenico, sul quale le differenti specie animali
vengono bloccate in pose classiche, diverse, in base all’anima-
le che si sta trattando e al luogo in cui verrà esposto.

Skinning, tanning and mounting the skin of a mammal makes you


think you’re creating a live animal. Add leaves or a snow base and it is
like putting the animal back in nature.

Riporta un’inserzione pubblicitaria di una scuola di tassi-


dermia del Wisconsis.
In Italia il massimo esperto in materia è Agostino Navone,
tassidermista in un laboratorio a conduzione familiare, sito
in Piemonte, a cui si rivolgono curatori di musei di scienze
naturali, cacciatori e artisti. Dal suo sito, si legge:

Molti non sanno o si chiedono il significato del termine “ Tassider-


mia”: letteralmente prende origine dal latino e significa “posiziona-
mento del derma”. Quello che prima era conosciuto come l’imbalsama-

39
tore di animali, oggi è il Tassidermista (l’iniziale maiuscola è del testo
originale) e questa variazione è dovuta all’evoluzione che c’è stata
negli anni nei metodi di lavorazione necessari a naturalizzare un
animale. Prima l’animale imbalsamato subiva trattamenti di mante-
nimento supportati anche da sostanze nocive come l’arsenico, e veniva
impagliato e trattato con balsami. Oggi dell’animale naturalizzato
viene trattata solamente più la pelle con una concia completamente
naturale a base di sale; successivamente questa riveste un manichino
in resina prestampato nella posizione richiesta. Il procedimento è
simile per tutti gli animali: mammiferi, pesci, anfibi, rettili e uccelli.
La passione che guida il mio lavoro e l’esperienza di anni di lavoro
mi assicurano un buon livello qualitativo manuale, grazie anche ai
materiali di ottima scelta che impiego. Tutte le lavorazioni vengono
svolte nel mio laboratorio, qui a pochi chilometri da Torino, e questo
mi permette di eseguire un trattamento delle pelli adeguato al loro
stato di conservazione e mirato ad ottenere la massima qualità. Il
rinverdimento, la concia, le finizioni, la creazione del modello e le ri-
finiture dell’esemplare mi danno la possibilità di conseguire i risultati
che vedete in queste pagine e che potrete verificare di persona.

Le gallerie fotografiche del sito propongono diverse specie


animali, mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci, quindi
presentano i lavori in cui Navone eccelle, si tratta soprattutto
di allestimenti museali, per i quali vengono realizzati restau-
ri naturalistici, allestimenti di ambientazioni, scenografie e
preparazione di scheletri, costruzioni di modelli in resina,
ma non mancano sculture e oggettistica per privati. Tra le
collaborazioni con artisti spicca il nome di Maurizio Cattelan,
che nel corso del suo percorso artistico ha introdotto diversi
animali tassidermizzati all’interno di mostre e gallerie.
L’opera Untitle del 2007, consta di un cavallo tassidermizza-
to nel laboratorio di Navone; animale che adesso è sospeso da
terra, con il muso conficcato all’interno del muro di mattoni
di una delle sale espositive di Punta della Dogana, a Venezia.
Questo cavallo, di cui si vede solo il corpo, richiama la pra-
tica diffusa nell’alta società di collezionare animali esotici,
ma, contrariamente al classico trofeo di caccia, il cavallo di
Cattelan manca proprio del muso, e ci offre esclusivamente
il suo posteriore. In un articolo della giornalista Mariangela
Maritato, che presenta le opere esposte a Punta della Dogana,
l’animale di Cattelan viene messo in relazione alle cronache
dal vero del pittore Pietro Longhi, che nella metà del sette-
cento ritrasse, assieme a il rinoceronte e l’elefante, anche
il casotto del leone, opera citata nell’introduzione a questa
tesi, in cui si vede la consuetudine a collezionare animali,
non come tali, bensì come forma di intrattenimento o come
dimostrazione di potere e ricchezza.
L’opera bidibibodibiboo è un tenero scoiattolo tassider-
mizzato nell’istante successivo al suicidio, avvenuto all’in-
terno della ricostruzione miniaturizzata della cucina in cui
Cattelan, negli anni cinquanta, ha trascorso la sua infanzia.
Le antine giallo chiaro del mobilio ricordano alcune am-

40
da sinistra
untitle
Maurizio
Cattelan,
cavallo
tassidermizzato
da Navone,
2007

zebra
zebra
tassidermizzata
da Navone
per museo di
scienze naturali.

41
bientazioni domestiche targate Disney, ma il suicidio messo
in atto incupisce e spiazza come, del resto, fa il titolo stesso
dell’opera: bidibibodibibu è la formula magica con cui la fatina
di Cenerentola mette in atto le sue magie, ma su quest’opera
aleggia un’atmosfera di morte e la magia appare oramai inu-
tile. La resa è impeccabile: le sculture retoriche di Cattelan
riescono a beffare l’osservatore perchè gli animali tassider-
mizzati si presentano esattamente come fossero vivi e questo
ha permesso a Navone, come ad altri professionisti di settore,
di esercitare su animali domestici, dei quali non si sopporta
la morte; il ricorso a questa pratica si offre l’alternativa alla
separazione materiale.
Qualora i padroni più nostalgici non accettino lo scempio
oltraggioso del corpo del proprio pet, è possibile ricorrere
a processi d’imbalsamazione o mummificazione. Ci sono
aziende in America che si occupano di quest’attività, peraltro
molto lucrosa, offrendo la possibilità di tenere ancora in casa
l’animale, mummificato a regola d’arte e protetto per sempre
dentro ad un sarcofago. Si è riscontrata anche la presenza
di compagnie in grado di criogenizzare il dna animale, dal
quale in futuro è possibile ricavarne un clone.
Il principio è la ri-creazione: non si tratta di preservare,
ma di dar vita ad esemplari animali artificiali, costruiti, ma
che simulano il vero. Sono tecniche che si offrono per ri-ani-
mare corpi esanimi, eliminando dal racconto la triste presen-
za della morte.
La tecnologia animatronica si occupa della costruzione di
modelli tridimensionali viventi per i quali si vuole raggiunge-
re un elevato effetto di realtà, in modo da ottenere il simula-
cro di un essere vivente.
I ricercatori soppesano e ricercano ogni elemento possa
rendere un modello credibile, in modo da affinare la perfor-
mance di qualsiasi comportamento emotivo non realistico;
i corpi dei modelli devono muoversi e reagire come se si
trattasse di un vero animale. Buona parte di questi modelli
animatronici sono utilizzati nei parchi di divertimento; a
Disney, per esempio, le inserzioni davanti al Jurassic Park River
Adventure sottolinano costantemente la promessa di un T-Rex
pet, che si comporta, vive, respira come un dinosauro, ma
prova emozioni come un gattino.

2.3 natura disney e tutti gli ordini dei simulacri

Per milioni di visitatori, Disneyland è esattamente come il mondo,


soltanto meglio.
sorkin, 1992

Nel 1948 esce nelle sale cinematografiche Seal Island,


conosciuto in Italia come L’isola delle foche. Il documentario
mette in luce l’interesse che Walt Disney dimostra, alla fine
della seconda guerra mondiale, nei confronti della natura,

42
da sinistra
bidibibodibiboo
Maurizio
Cattelan,
scoiattolo
tassidermizzato,
ceramica,
formica, legno,
pittura, acciao
1996

birra “the end


of history”
bottiglie di birra
scozzese da 55
gradi avvolte
in pelle di
scoiattoli,
2010

43
secondo lui non trattata a dovere dal cinema. In quegli anni 1.
vengono girati dalla Disney diversi documentari naturalistici Da raffaelli luca , Le
che escono raccolti in una serie intitolata true life adventu- anime disegnate. Il pensiero
re (la natura e le sue meraviglie), la quale vale alla casa di nei cartoon da Disney ai
produzione molti apprezzamenti da parte del pubblico e un giapponesi e oltre. Viene
oscar come miglior documentario. riportato un discorso di
Nonostante, accentuati con precise scelte tecniche di Walt Disney che de-
ripresa e di montaggio, di sottofondo musicale e di voiceover, scrive alcuni elementi
l’antropomorfismo e il sentimentalismo disneyano siano stati dell’episodio L’apprendista
criticati, il pubblico apprezza di potersi identificare con gli stregone, realizzato sulle
animali, provandone gioie e paure. L’idea che è da sempre musiche del poema sin-
alla base dell’impero Disney, risulta vincente perché non si è fonico omonimo di Paul
mai proposto di offrire un’interpretazione della realtà, ma se Dukas, ispirato ad una
ne è piuttosto inventata una parallela. ballata di Goethe, ispirato
Nell’episodio del lungometraggio fantasia, uscito nel a sua volta da una favola
1940, intitolato l’apprendista stregone, Topolino incarna la tradizionale.
spontaneità dei bambini contro le imposizioni che provengo-
no quotidianamente dai grandi, rappresentati dal padre-stre-
gone. L’adulto, avendo perso ogni senso del gioco, inibisce ogni
forma di espressione fisica. È vittima della civiltà, che ha eretto
a suoi idoli insopportabili uomini dal volto impassibile e donne
attraenti e impeccabili.
Anche i gesti devono essere misurati. Questo atteggiamento
viene detto “composto”. I bimbi, quando sono ancora piuttosto
piccoli, hanno la stessa spontaneità degli animali, ma la perdono
ben presto a causa dell’educazione che viene loro imposta.1
Le biografie di Walt Disney motivano questa visione
concordando sulla figura del padre, descritto come un violen-
to, frustrato e autoritario. Solo quando Elias Disney doveva
allontanarsi dalla famiglia, le giornate trascorrevano felici e
spensierate. La madre raccontava favole e Walt era libero di
camminare per i boschi con uno zio che sapeva avvicinare gli
animali. I film Disney rispecchiano questi elementi presen-
tando un mondo infantile, avvolgente, protettivo e pieno di
animali parlanti, mentre i protagonisti sono spesso legati da
parentele di tipo zii-nipoti.
Il ricordo sofferto per un’infanzia e per uno stato di na-
tura perduti, è perfettamente messo in scena e celebrato nei
parchi di divertimento inventati dallo stesso Walt Disney.
E’ lui, infatti, con la sua passione per le miniature, la fiducia
nel progresso scientifico-tecnologico e il suo punto di vista da
uomo bianco e conservatore a dar vita ai parchi a tema come
noi oggi li conosciamo. Il primo parco sorge nella periferia
di Los Angeles, nel 1955, ma viene seguito dalla costruzione,
negli anni successivi, di altre strutture, che ne copiano e
ampliano il modello.

Walt Disney World Resort, Florida, inaugurato nel 1971


Tokyo Disney Resort, Giappone, inaugurato nel 1982
Disneyland Paris, Francia, inaugurato nel 1992
Hong Kong Disneyland Resort, Cina, inaugurato nel 2005

44
mascotte
personaggi
disney
Magic King-
dom Park
2007

casa di topo-
lino, Magic
Kingdom Park
2008

45
elefanti veri
e albero
della vita,
(dal film il re
leone)
Magic King-
dom Park -
Walt Disney
World Re-
sort
2007

elefante fin-
to e cascate
Magic King-
dom Park -
Walt Disney
World Re-
sort
2007

46
Dalla Florida, alla Cina, al loro interno possiamo vivere
l’esperienza di un’Arcadia ritrovata, un luogo ricoperto da
una melassa che elimina ogni riferimento ai problemi del
presente. Qui l’inconscio senso di colpa verso la natura lascia
lo spazio ad animali parlanti, edificanti, esilaranti, terrificanti,
poco o molto umanizzati, dove la gerarchia tra specie viventi vacil-
la e ci viene sempre ricordata l’umanità dell’animale e l’animalità
dell’uomo (de fornari, 1995). Pace fatta.
Gli animali Disney portano sentimenti positivi. Negli anni
trenta, quando il primo di questi personaggi, Topolino, fa il
suo debutto, è subito successo poiché esso offre l’evasione alla
crisi economica e ad un diffuso senso d’insicurezza. Sono gli
animali antropomorfi Disney ad ospitarci in una realtà più
che rassicurante, dove assistiamo ad una costante mescolanza
di adulto e infantile; questo perché, anche se i diretti fruitori
sono i più piccoli, Disney in realtà abbisogna del continuo
consenso dei grandi perché l’intera macchina si riveli reddi-
tizia. Entrare nel mondo Disney significa entrare in una città
giocattolo, un ambiente recintato molto grande (Disneyland,
in California) o smisurato (Disneyworld, in Florida) che sia,
dopo aver pagato un biglietto. Varcata la soglia, l’illusione del
reale è ovunque.
Gli edifici sono costruiti in una scala ritoccata: il piano
inferiore, infatti, è accessibile, in scala uno ad uno, mentre
quelli superiori risultano abitabili, ma di fatto non lo sono,
perché costruiti in scala leggermente ridotta; l’effetto ottenu-
to simula il punto di vista di un bambino. Disneyland integra
la realtà del commercio nel gioco della finzione (eco, 1976), per-
ché qui i negozi sono tutti costantemente aperti e siti negli
unici locali praticabili dell’intera ricostruzione.
I parchi a tema sono dunque la concretizzazione dell’ideologia
del consumo di massa. (…) Al loro interno il consumo è presentato
come una componente del divertimento e della fantasia. Per stu-
pire il visitatore e renderlo felice è indispensabile la spettacolariz-
zazione, è necessario dar vita ad una realtà più reale della realtà
stessa, perché è quella che esiste all’interno dell’immaginario
collettivo (codeluppi, 2000).
Ecco che, dopo aver riso e scherzato con degli animali
antropomorfi (vivi, grazie a dipendenti dei parchi che ne
indossano i costumi), a Disneyworld è possibile passeggiare
nella perfetta ricostruzione della giungla, in cui vivono veri
animali, avendo la sensazione di una giungla più reale di
quella che potremmo vedere se ne visitassimo un reale. Gli
spettacoli naturali si offrono al turista nella loro espressione
migliore e, nel loro essere divertissement, sono perfettamente
capaci di entusiasmare e scuotere, offrendo pseudo-avventu-
re, con la giusta miscela di avventura e tranquillità. Qui si re-
alizza la condizione più piacevole per il turista, il quale, pur
non essendo obbligato a partecipare attivamente, non rischia
mai di annoiarsi per un’atmosfera eccessivamente familiare.
Quando c’è un falso […] questo non tanto avviene perché non sa-
rebbe possibile avere l’equivalente vero, ma perché si desidera che

47
walt disney il pubblico ammiri la perfezione del falso […]. Disneyland non solo
and mickey produce illusione, ma – nel confessarla – ne stimola il desiderio: un
mouse coccodrillo vero lo si trova anche al giardino zoologico, e di solito
sonnecchia e si nasconde, mentre Disneyland ci dice che la natura
falsificata risponde molto di più alle nostre esigenze di sogno ad
occhi aperti (eco, 1976).
Questa natura si concede nel luogo e nel momento in cui
noi ci troviamo, ci accontenta. Disneyland è la sublimazione
della passività assoluta: noi non dobbiamo fare altro che muo-
verci tra percorsi definiti da transenne, assumendo il ritmo
della coda, quindi vivendo delle emozioni già previste e per
un tempo determinato.
Il Magic Kingdom mette in scena tutti gli ordini dei simu-
lacri in un luogo in cui si respirano sentimenti di tenerezza
e di calore umano. La felicità diffusa da lavoratori disponibili
e sorridenti permette al visitatore di abbandonarsi ad una
sensazione piacevole, avvolgente e credibile che dissuade
costantemente e rigenera in controcampo la finzione del
reale (baudrillard, 1980). I valori vengono esaltati attraver-
so la miniatura e la caricatura, tutto appare imbalsamato e
pacificato. L’ossessione per il realismo, tipico della cultura
americana ma oggi diffusosi a livello mondiale, richiede una
continua rievocazione credibile, che deve essere assoluta-
mente iconica, copia rassomigliante, illusionisticamente vera,
della realtà rappresentata (eco, 1976).
Il mondo Disney è un modello in scala uno a uno di un

48
altro mondo, perfettamente inserito nel nostro, al quale dob-
biamo credere, possiamo infatti entrarne a far parte, visitar-
lo, viverlo. Questo luogo non si limita a sembrare vero, esso
è vero, nella misura in cui il tutto vero s’identifica con il tutto
falso. Come Eco scrive per il modello dell’ufficio della Casa
Bianca fatto ereggere ad Austin, nel Texas, dal presidente
Johnson, anche qui l’irrealtà assoluta si offre come presenza
reale. I Magic Kingdom hanno l’ambizione di fornire un segno
che si faccia dimenticare come tale: il segno aspira ad essere
la cosa, e ad abolire la differenza del rimando, la meccanica
della sostituzione (eco, 1976).
Si tratta di una simulazione di terzo ordine, come la defi-
nisce Baudrillard, nella misura in cui Disneyland fa credere
che il resto sia reale. Disneyland non è né vero, né falso, è una
macchina di dissuasione per rigenerare in controcampo la
finzione del reale.
Il parco riesce a far credere che gli adulti siano altrove,
nel reale, illudendo gli adulti stessi che lo visitano, sulla loro
infantilità, facendola passare come reale. Siamo nel regno
dell’iperrealtà, tipico dell’America, ma, mi ripeto, il fenome-
no si è diffuso in lungo e in largo anche negli altri continenti
capitalistici. L’iperrealtà elimina ogni minima distinzione
tra mondo reale e mondo altro, inventato, possibile; qui tutto
il confuso, mescolato e rimescolato, viene consumato come
horror vacui. Per Baudrillard, nelle società soggette alla
logica del consumo realtà e verità, sono termini che tendono a
degradarsi, lo spettacolo è consumo.
Questo è il destino e la condizione dell’attuale società del
simulacro, in cui domina una mera apparenza che nasconde
il suo essere apparenza e distoglie l’attenzione dall’unica real-
tà o verità possibile, che è precisamente il simulacro.
Nelle società burocraticamente organizzate, dove la massa
è prodotta e riprodotta, al pari di quanto lo è il pensiero
popolare, non è possibile immaginare un mondo diverso da
quello in cui si vive, poiché la pressione sociale produce con-
formità. Ecco, allora, che noi crediamo a Disney e alla natura
che ci propone nei suoi mondi.

49
50
3. l’animale 3.1 dalla letteratura al cinema
antropomorfo
Nella tradizione favolistica gli animali ricoprono il ruolo
di protagonisti fin dall’antica Grecia. Uno dei primi esempi in
questo senso è il corpus di 358 favole scritte da Esopo, scritto-
re greco vissuto nel v secolo a.C..
I suoi racconti possono essere considerati semplificazioni
di situazioni quotidiane in cui gli animali si comportano in
modo esemplificativo: a scopo didascalico incarnano vizi e
virtù umane fornendo una morale. Le favole sono state tra-
mandate fino ai giorni nostri e ritroviamo l’utilizzo dei topoi
della favola esopiana nel corso dei secoli, riveduti e corretti
secondo tradizioni e necessità.
Il caso più conosciuto in cui si può percepire un legame
con la tradizione esopiana, mescolata a narrazioni mora-
leggianti di origine orientale e risalenti all’alto medioevo, è
rintracciabile nel roman de renart, fortunata parodia delle
chansons de geste. Si tratta di una raccolta di poco meno di
una trentina di poemi più o meno slegati tra loro che raccon-
tano le gesta della volpe Renart e del suo perenne nemico
lupo Ysengrin. Nella società animale, costruita ad immagine
e somiglianza di quella umana, trova il giusto spazio la satira
sociale che schernisce la società feudale e le sue usanze.
Renart è una volpe furba e priva di scrupoli che trova nella
tradizione dei bestiari medievali e nei racconti zoomorfi cri-
stiani l’origine della sua immagine. Contraddistinta dal pelo
rossiccio che ricorda i capelli di Giuda e dal suo zampettare
a zig zag, malizioso e mai diretto, la volpe agisce facendo del
male solo per il piacere provato nel farlo. La narrazione lascia
spazio a curiose situazioni inverosimili in cui è possibile
trovare cinghiali a cavallo di lumache e galli che ammazzano
tori; questo perché seppure i personaggi conservano preroga-
tive animali, essi si comportano e parlano come esseri umani.
E’ Jean de La Fontaine, dalla seconda metà del 1600, a
recuperare e rimescolare elementi delle favole di Esopo con
punte fortemente satiriche della tradizione medievale. Alle
critiche avverse sulle novità introdotte dalla sua scrittura, La
Fontaine controbatte evidenziandone l’assoluta valenza po-
etica e, contenutisticamente, la continua ricerca della verità
sulla natura, ma soprattutto sull’uomo, che lui traveste da
animale. Ha fatto parlare gli animali e le piante nella lingua degli
Dei – la poesia -; ha dipinto i vizi umani, suscitando l’inesauribile

51
roman de commedia, con incontro per scena l’universo. Un’opera d’incanto…
renart C’è una segreta virtù nella favola, per cui gli animali rivelano la
pagine del loro anima fraterna alla nostra, e La Fontaine ha sentito quel-
manoscritto, la magia, l’ha rinnovata, le ha dato il respiro del verso, scrive
1290-1300 Vittorio Lugli, nella prefazione all’edizione delle favole, di La
Fontaine. I protagonisti sono, ancora una volta, animali che
assumono comportamenti umani, o, meglio sarebbe ammet-
tere, uomini che si presentano animali nelle loro sembianze
fisiche. Senza azzardare ad animali particolari, La Fontaine
si rifà ad un bestiario più letterario che naturale: il lettore
ritrova così animali familiari provenienti dalla tradizione più
antica, da Esopo, da Fedro, dai favolisti rinascimentali, non-
ché dalla tradizione orale popolare, che conservano atteggia-
menti e caratteristiche consolidate.
Ogni animale è introdotto attraverso l’uso dell’articolo de-
terminativo, elemento grammaticale che sottolinea con forza
il carattere araldico delle figure animali, ricorrenti da una
favola all’altra e trasforma ogni animale nell’archetipo della
propria specie. I tratti distintivi – fisici, sociali, morali o psi-
cologici – che lo caratterizzano non sono particolarità indivi-
duali, ma generalità della specie che rappresenta in rapporto
alle tradizioni culturali e non in relazione alla storia naturale
(pastoureau, 2010).
Gli animali lafontainiani sono specchio degli uomini,
della società, della politica che arreca continue sofferenze e
opprime. I brevi componimenti prendono dalle precedenti
opere somme i temi e i protagonisti più adatti a muovere una
lucida e sottile critica sociale.

52
iv. la virtù delle favole roman de
E può dunque alle mie povere fiabe renart
abbassarsi d’un alto ambasciatore pagine del
lo sguardo e il favor? e tanto ardito manoscritto,
sarò di dedicar queste sottili 1290-1300
e care inezie a un Uom affacendato
in tutt’altre faccende, a cui non piace
Il perder tempo alle buffe contese
di cani e gatti e donnole e leoni,
che invan talvolta assumono l’aspetto
di grandi eroi?...[…]

Tutti siamo anche noi popol d’Atene,


ed io stesso, che predico, pel primo.
Se tu mi vieni a raccontar l’istoria
Dell’Augellin bel verde, oh ch’io divento
Matto dal gusto. Il mondo forse è vecchio,
ma si diverte ancora e bamboleggia
alle belle storielle d’una volta.

(la fontaine, libro ottavo, in Favole )

Spostandoci verso l’Inghilterra, incontriamo gli animali


di Kenneth Grahame. Il suo romanzo wind in the willows
fa parte di quella letteratura pastorale in cui è percepibile la
passione per la campagna e per lo stile di vita che in essa si
conduceva prima dell’industrializzazione. I protagonisti - una
talpa, un topo d’acqua, un rospo e un tasso - vivono assieme

53
mr jack
illustrazione,
James
Swinnerton,
1902

54
1. in amicizia, pur mantenendo ognuno inalterate le caratteri-
Biagini Enza e Nozzo- stiche della propria specie che lo stesso Grahame ebbe modo
li Anna, a cura di, La di osservare in prima persona. Questo romanzo s’inserisce
maschera di Esopo. Animali nella letteratura specifica per ragazzi che prende vita proprio
in favola da Pirandello a nell’ottocento e all’interno della quale si inizia a caratterizza-
Sciascia, in Bestiari del re il genere fantasy, popolato da animali con comportamenti
Novecento. e vite tra l’umano e l’animale.
Nel corso della storia l’animale è stato rappresentato in
diversi modi, anche opposti: da simbolo di una natura forte
e temibile, è passato ad essere protagonista di favole con fini
moralistici e, impersonando vizi e virtù umani, ha intrapreso
un percorso d’inarrestabile antropomorfizzazione, divenendo
un alter-ego umano.
Analizzando il contesto letterario contemporaneo, il libro
bestiari del novecento 1 mette in luce che l’invadenza delle
bestie nella letteratura novecentesca è riscontrabile soprattutto
nella ripresa della tradizionale figurazione dell’animale parlante,
vuoi nella sintetica e fulminea invenzione favolistica dell’apologo di
matrice esopiana, vuoi nella più distesa narrazione della fiaba o
del romanzo allegorico. Gli animali antropomorfi continuano a
presenziare nella letteratura più tradizionale e, con lo svilup-
po di nuovi generi e l’avvento di nuovi media comunicativi, il
fenomeno si espande esponenzialmente, incontrando nuovi
target e diverse modalità di impiego.
Sebbene si tenda a far iniziare la storia del fumetto, così
come noi lo conosciamo, nel 1895, con the yellow kid, ap-
parso sulle pagine di the new york world, in realtà già nel
1982 James Swinnerton anima il san francisco examiner,
guardacaso, con degli animali antropomorfi. Protagonisti del
fumetto sono, infatti, degli animali umanizzati, orsi prima,
poi anche tigri, che parlano, si atteggiano e si vestono come
uomini dell’epoca. Nei primi del novecento è lo stesso Swin-
nerton a creare delle nuove strisce nella sezione per ragazzi
dello stesso quotidiano. Il personaggio di Mr Jack, una tigre
antropomorfa e sciupafemmine, è uno dei primi esempi di
funny animal, animale umanizzato protagonista di un omo-
nimo filone di fumetti di cui Mickey Mouse è da quasi un
secolo il più famoso e amato.
Gli animali che conosciamo e a cui ci siamo affezionati
negli ultimi anni provengono dal mondo del fumetto e del
cinema, che spesso nasce proprio dal precedente cartaceo,
salvo il caso inverso di Mickey Mouse, che appare dapprima
al cinema e, dopo una quindicina di cortometraggi, esordisce
anche sulle daily strips.
Walt Disney motiva il massiccio ricorso ad animali con
l’espressività: attraverso la loro rappresentazione, le emozio-
ni appaiono più significative e, di conseguenza, il fumetto
più efficace. Una volta liberati dal compito di rappresentare
simbolicamente valori morali, gli animali antropomorfi,
attraverso un processo di elevata identificazione, vanno a
riflettere caratteri tipicamente umani, di natura sia individuale e
psicologica, che relazionale e sociale (codeluppi, 2000).

55
Ogni personaggio diventa così un carattere peculiare che lo
rende indipendente dalla tradizione e lo configura come tipologia
di senso totalmente nuova (brancato, 1994).

3.2 l’antropomorfo al cinema


3.2.1 mickey mouse

I hope that we never lose site of one thing: that it was all started
by a Mouse.
walt disney

Mickey Mouse, in Italia conosciuto come Topolino grazie


a Lorenzo Gigli, direttore del primo omonimo periodico sul
personaggio, fa la sua comparsa nel 1928 nel cortometraggio
steamboat willie (in realtà il primo cortometraggio in cui
appare è planet crazy, ma viene sonorizzato e diffuso solo
qualche settimana dopo).
Nel corto si vede un topolino impertinente che s’improvvi-
sa comandante della barca del capitano Gambadilegno, il qua-
le, da buon cattivo, ostacola i piani del topo. La presenza di
Minnie, fidanzata storica di Topolino fin dalla prima appari-
zione, lo porta ad inventarsi simpatiche gag per attirarne l’at-
tenzione e farla divertire. Alcuni animali non antropomorfi
incontrati durante la discesa del fiume vengono caricati sulla
barca e usati come strumenti musicali dal fantasioso Mickey.
Il cortometraggio viene proiettato nell’inverno del 1928 al
Colony Theater di Manhattan, a New York assieme al lungo-
metraggio gang war e grazie alla novità del sonoro incontra
subito il consenso del pubblico, tanto che, nel giro di pochi
giorni, steamboat willie viene proiettato al prestigioso Roxy
Theater, dal quale Disney guadagna un accordo di distribuzio-
ne con Pat Powers, un ricco imprenditore americano.
La nascita di Topolino è circondata da un alone di miste-
ro; la versione diffusa dice che l’idea sia scattata durante un
viaggio in treno verso la California, mentre Walt pensa ad
alcuni topi che realmente scorrazzavano sulla sua scrivania
negli anni precedenti. Walt Disney sta tornando con la mo-
glie Lillian Bounds da uno sfortunato incontro con Charles
Mintz, della Universal Pictures, con cui aveva firmato prece-
dentemente un contratto annuale e dal quale ne usciva, per
così dire, sconfitto. Mintz proponeva un abbassamento dei
compensi e dimostrava di avere tutti i diritti sul personaggio
a cui Walt aveva lavorato, tale Oswald il coniglio. Molti dei
suoi colleghi avevano accettato di firmare nonostante la pro-
posta apparisse sfavorevole e Walt è costretto a tornare a casa
deluso e a mani vuote. Testardo, però, e convinto delle sue
capacità, Disney pensa ad un nuovo personaggio su cui punta-
re, deve piacere al pubblico e superare la fama del coniglio. Il
nome Mickey viene scelto dalla moglie Lillian, poco convinta
di Mortimer, proposto dal marito. Assieme all’amico e collega
Ub Iwerks, Disney dà vita ad un topo che, somigliando ai suoi

56
steamboat
willie
screenshoot,
1928

57
precedenti Felix e Oswald, sembra inizialmente avere poche
pretese di originalità. Iwerks si preoccupa di disegnarlo e
muoverlo, mentre è lo stesso Disney a doppiarlo per oltre un
ventennio e a determinarne la personalità.
All’epoca di Steamboat Willie i personaggi dell’animazione
seriale sono l’assemblaggio di tubi di gomma disegnati: due per
le gambe, due per le braccia, un tubo per il tronco (raffaelli,
1988). La testa viene rappresentata con tanti cerchi e, nel caso
di Topolino, i cerchi delle orecchie sono visibili da ogni an-
golazione, in modo che la sagoma resti sempre riconoscibile,
anche a scapito di una corretta rappresentazione prospettica.
I personaggi sono neri per spiccare su uno sfondo bianco,
spoglio, ma ben caratterizzato mediante la presenza di pochi
elementi essenziali al riconoscimento della scena.
Christopher Finch, a proposito degli esordi, scrive:

Nei primi cortometraggi Mickey e Minnie [debuttano] come due crea-


ture investite di poteri speciali – non [sono] topi comuni – in ruoli che
[parodiano] le manie di uomini e donne, richiamando una tradizione
che risale ad Esopo e Aristofane (finch, 2001).

Il primo Mickey è un topo vivace e allegro, quanto imper-


tinente e dispettoso che indossa pantaloncini corti e chiari,
come il suo predecessore Oswald. Abbigliamento e atteggia-
mento lo avvicinano ad un bambino: come tale, infatti, gioca
e si diverte nel farlo, mentre i suoi antagonisti rappresentano
l’adulto; in steamboat willie Gambadilegno, disegnato più
grosso del piccolo topo, è cattivo, costantemente arrabbiato e
pronto a punirlo proprio come farebbe un qualsiasi genitore
severo. Sebbene antropomorfo, Topolino nelle prime appa-
rizioni non parla, ma mugugna, fischietta, ride e borbotta.
Dobbiamo aspettare la serialità, e quindi la diffusione at-
traverso la televisione, perché la parola sostituisca i suoni e
acquisti più peso delle immagini.
Inversamente a quanto avviene agli uomini e nonostante
la sua età cronologica rimanga immutata, con il passare del
tempo Topolino assume sembianze sempre più infantili: la
testa cresce di dimensioni mentre il muso si accorcia, gli arti
si ingrossano e gli occhi occupano uno spazio sempre mag-
giore della superficie facciale. Tutto ciò lo avvicina all’aspetto
di un bambino e gli permette di far breccia nel cuore di tutti:
nel 1929 negli Stati Uniti Topolino è già un fenomeno, tanto
che Sorkin arriva a dire che sono più numerose le persone che
conoscono Topolino di quelle che conoscono Gesù o Mao Tse Tung
e, perchè il successo rimanga tale, Disney lo tramuta in un
perfetto cittadino americano. Con when the cat’s away, nel
1929 (sua sesta apparizione), il personaggio inizia ad indossa-
re i guanti, segno di un percorso d’imborghesimento che lo
condurrà ad apprezzare tutte le comodità della vita.
Abbandonata, infatti, la campagna per la città, come
leggiamo in un’attenta analisi di Luca Raffaelli, Topolino si fa
portare il giornale dal suo fedele cane Pluto, mentre indossa

58
vestaglia e pantofole, seduto su una soffice poltrona. mickey mouse,
Mickey Mouse è una star e diventa simbolo nazionale; il evoluzione
suo successo è sottolineato da numerosi riconoscimenti inter- dal 1929 ai
nazionali di cui i primi, già nel 1930, sono l’omaggio in cera giorni nostri
nel museo di Madame Tussaud e l’articolo che la rivista time
gli dedica, come accade per le celebrità in carne ed ossa.
Siamo nel campo dell’iperrealtà di Topolino, che é ricono-
sciuto come reale, nonostante la sua realtà sia di fantasia. La
cera è là rappresentazione di una rappresentazione, quindi
una rappresentazione di secondo livello, doppiamente media-
ta. Questo passaggio è interessante perché allontana total-
mente la natura dalla nostra percezione: Mickey Mouse nasce
come rappresentazione rielaborata della natura, un animale
riveduto e corretto, bidimensionale. Ora, il nuovo modello,
custodito al museo di Madame Tussaud riproduce in cera, a
tre dimensioni, e a grandezza naturale il personaggio. Perché
prenda forma, è necessario un calco, dietro all’idea del model-
lo in cera, c’è, quindi, l’idea che Mickey abbia già una forma,
che sia materico, fisico, quindi esistente.
Cito, a questo punto, un’interessante Eco, che parla del
Palace of Living Arts di Buena Park, in Los Angeles:

La filosofia del Palace non è noi vi diamo la riproduzione affinché vi


venga voglia dell’originale, bensì noi vi diamo la riproduzione affin-
ché non sentiate più il bisogno dell’originale. Ma perché la riproduzio-
ne sia desiderata, occorre che l’originale sia idoleggiato (eco, 2003).

59
l’apprendista
stregone
screenshoot,
1940

60
Successivamente Charlie Chaplin chiede che siano proprio
i corti di Topolino ad accompagnare le proiezioni del suo film
luci della città e l’onu lo nomina simbolo internazionale di
buona volontà. Quando, con gli anni, alcuni amici di Mickey
cominciano ad accattivarsi le simpatie del pubblico e gli
spin-off di Pippo e Paperino si dimostrano più redditizi, Walt
decide di rilanciare Mickey con il lungometraggio fantasia,
siamo nel 1940.
Il film consta di vari episodi musicati su brani eseguiti
dalla Philadelphia Orchestra diretta da Leopold Stokowski, al
quale Topolino è l’unico a potersi rivolgere strattonandolo per
il frac. L’episodio the sorcerer’s apprentice (tradotto l’ap-
prendista stregone in Italia) vede Topolino destreggiarsi tra
scope impazzite in un crescendo di guai cui solo il mago Yen
Sid, l’adulto, riuscirà a mettere fine.
Come avvenuto nella sua prima apparizione, Mickey viene
avvicinato al comportamento di un bambino: ruba il cappello
magico per imitare il grande mago e tenta di dar vita a delle
scope perché siano loro a portare dei pesanti secchi d’acqua
al posto suo. Il trucco sembra riuscire e Topolino nella parte
centrale del corto si addormenta sereno e sogna di salire su
un’altura da cui può comandare il cielo. Per qualche secon-
do lo vediamo stagliarsi su uno sfondo blu notte e, al centro
dell’inquadratura, è star tra stelle, flutti d’acqua e fuochi
d’artificio. Basta poco però perché l’incantesimo si trasformi-
in un incubo: al risveglio Topolino rischia di annegare per
l’enorme quantità d’acqua che le scope continuano a versare
nella stanza. Yen Syd torna e, con una gestualità che ricorda
la scena biblica di Mosè, alza le braccia al cielo, fa sparire
l’acqua e risolve la situazione. Percepiamo l’amarezza di Topo-
lino da diverse espressioni che lo colgono nei pochi secondi
a seguire: guarda in basso facendo dondolare un piede, poi
cerca lo sguardo dello stregone avanzando un timido sorriso
e porgendogli il magico cappello ma, come avviene nella vita
reale quando un bambino combina un grosso guaio, Mickey
non riceve il perdono sperato e viene letteralmente scopato
fuori dalla stanza dall’arrabbiatissimo mago.
Topolino ha provato a fare il grande, ma si è dimostrato
ancora bambino e, secondo la formula della semplicità disne-
yana che prevede che il buono sia spesso timido ed impacciato
(raffaelli, 1988) ci fa provare tenerezza, tornando a piacerci.
L’escamotage per risollevare il personaggio sembra tal-
mente riuscito che si è realizzato uno spettacolo simile a
Disneyland, a Los Angeles, con Mickey Mouse in carne e ossa;
in realtà il pupazzo è animato da un poveretto che, con il gran
caldo estivo, ci deve stare dentro (raffaelli, 1988).
fantasmic! Prevede un Topolino in preda a brutti sogni:
sugli schermi allestiti attorno a lui, appaiono Ursula, la
strega-piovra della sirenetta, la Regina cattiva di Biancaneve,
il diavolo Chernobog di Fantasia, Capitan Uncino…
Tra spruzzi d’acqua e giochi di luci il pubblico vive l’ansia
con Mickey finché lui stesso riesce a domare la situazione e,

61
frame iniziale trionfante, accoglie una nave gremita di personaggi buoni
mickey mouse della produzione Disney. Lo spettacolo commuove, rallegra,
dà speranza: Mickey è maturo, riesce a domare i problemi e
il pubblico vive attraverso questo animale antropomorfo la
filosofia Disney.
Topolino esiste, vive in questo mondo. Non è solo un topo
parlante intrappolato nel cinema e nei fumetti: tutti sanno
che la sua casa sta a Magic Kingdom, ci possiamo entrare e lui
stesso ci accoglie trecentosessantacinque giorni l’anno.
Walt Disney non si è limitato a creare un eroe cartaceo,
ma attraverso i cartoni animati – si presti attenzione all’eti-
mo della parola animati – ha dato vita ad un essere vivente,
gli ha fornito uno spirito, un anima e, successivamente, gli ha
costruito un mondo, all’interno del nostro, in cui il topo può
vivere come noi, da uomo. Il cinema disneyano è così, animista
ed egocentrico, come un bambino. E infatti punta tutto sui per-
sonaggi principali, che tutto il mondo è pronto a festeggiare al
termine delle loro disavventure e nell’inequivocabile felice finale
(raffaelli, 1988).
Il mondo Disney è un mondo bambino, che si emoziona
facilmente e non se ne vergogna, come leggiamo ne il mondo
incantato, di Bruno Bettelheim:

per la volontà animistica del bambino, il sasso è vivo perché può muo
versi, quando rotola giù dal pendio di un colle. […] Egli crede che il
sole, il sasso e l’acqua siano abitati da spiriti assai simili alle persone,
e che quindi sentano ed agiscano come persone. […]
Per il bambino che cerca di capire il mondo sembra ragionevole at-
tendersi delle risposte da quegli oggetti che suscitano in lui curiosità.
E, dato che il bambino è egocentrico, si aspetta che l’animale parli

62
delle cose che sono realmente importanti per lui, come gli animali frame iniziale
fanno nelle fiabe, e come il bambino stesso fa con i suoi animali veri o bugs bunny
animali giocattolo.

3.2.1 bugs bunny

Forse è un caso, ma l’antagonista del topo nato in casa Di-


sney in seguito alla perdita di Oswald il coniglio, può essere
considerato proprio un coniglio, Bugs Bunny della Warner
Bross. La prima apparizione del personaggio avviene con il
corto porky’s hare hunt, per mano di Ben “Bugs” Hardaway
nel 1938. I successivi lavori di perfezionamento della persona-
lità e dell’aspetto grafico per raggiungere il risultato definiti-
vo, li dobbiamo a Bob Clampett, Tex Avery, Robert McKimson,
Chuck Jones e Friz Freleng.
Le differenze con Mickey sono palesi già alla prima osser-
vazione: Bugs è un coniglio dagli arti allungati, umanizzato
nei comportamenti e nei pensieri, che gironzola svestito.
Inseparabile e unico elemento che lo accompagna in ogni
episodio, una semplicissima carota. Bugs, infatti, come tutti i
conigli, è vegetariano e questo ne determina il carattere.
Sembra che l’ispirazione per il personaggio provenga dal
comico Groucho Marx, fratello di Karl. Simili, infatti, nella
camminata, entrambi si presentano al pubblico nullatenenti,
ma nonostante questo sereni; Groucho è solito sorridere sulla
sua povertà con frasi del tipo «Non eravamo poveri. È solo che
non avevamo un soldo», Bugs, masticando il suo unico avere,
passeggia incurante di qualsiasi problema e chiede costante-
mente “che succede, amico?”, perché sembra proprio che siano

63
solo gli altri ad averne. Se uno dei punti su cui Disney non
transige è la credibilità dei personaggi, che devono dimostra-
re di possedere un corpo che risponde alle leggi fisiche pro-
prio come il nostro, Bugs Bunny, e tutti gli altri personaggi
sfornati dalla Warner Bross, sembrano non preoccuparsene.
È tipico infatti di questi corti portare i protagonisti a supera-
re i limiti di credibilità, sfidando la forza gravitazionale e la
morte, facendoli così entrare nel campo della metafisica.
Il furbo e il fesso sostituiscono il buono e il cattivo disneyano,
i toni sono più leggeri e il pubblico non è invitato a sentire le
emozioni dei personaggi, bensì è avvisato, attraverso inter-
venti metalinguistici, a prendere coscienza che ciò che si sta
guardando è un cartone, un episodio inventato e divertente,
uno scherzo.
La costruzione di Bugs Bunny & C. fa sempre pensare alla doppiez-
za dei loro comportamenti: un po’ sono e un po’ ci fanno (raffa-
elli, 1988), sono divi nei limiti, conoscono la loro natura di
disegni animati.
Possiamo comprendere il personaggio di Bugs dai suoi com-
portamenti, perché i corti ne offrono un ritratto psicologico
preciso. Bugs è un coniglio molto furbo, anzi si può afferma-
re senza il rischio di incorrere in un’esagerazione che lui è
il furbo per eccellenza, dal momento che qualunque altro
personaggio si scontri con lui, passa per fesso. Bugs fa e noi
capiamo chi è. La sincerità con cui il regista ricorda al pub-
blico di essere davanti ad un cartone, si riflette anche nella
sincerità con cui i personaggi si mostrano per quello che
sono, palesando ogni emozione, positiva o negativa che sia,
anzi, il più delle volte la stessa viene esagerata proprio al fine
di dimostrare l’irrealtà di tutto ciò che si sta guardando.
Le gag e le situazioni in cui gli animali vengono coinvolti
son un numero limitato, si ripetono continuamente in un
meccanismo narrativo che fa della semplicità il suo punto di
forza e si realizza al meglio nella formula del cortometrag-
gio. Umberto Eco definisce questo schema iterativo poiché,
proprio come in campo matematico, la sequenza necessita di
iterazioni, rispondendo a una continua condizione di ripe-
tizione. Si inizia con una situazione tranquilla, interrotta
dall’emergere di un ostacolo contro il quale il protagonista
riesce sempre ad avere la meglio.
La semplicità della struttura narrativa concede spunti
d’originalità durante lo svolgimento del corto, in modo che il
pubblico trovi sempre piacere nel guardare l’episodio.
Bugs è furbo già in partenza; questa sua condizione lo fa
apparire sereno, gli dà fiducia e lo porta a ridere dei suoi
avversari con chi si trova di fronte allo schermo: una volta
attaccato, Bugs, che non agisce mai per primo, trova il modo
di farli passare per sucker, babbei, per l’appunto, cretini che di
volta in volta cadono nella beffa del coniglio.
I personaggi Warner sono bambini a tutti gli effetti, non
bambini visti con tenerezza attraverso l’occhio di un osser-
vatore adulto. Come i bambini, essi sono sinceri, selvaggi e

64
bugs bunny
con porky
pig,
illustrazione
digitale
2009

65
rispondono esclusivamente ai loro impulsi. Se Topolino agisce
costantemente dovendo fare i conti con il bene, agendo da
esempio e distinguendo le azioni corrette da quelle che non
lo sono, il coniglio di Casa Warner semplicemente non se ne
cura: per lui non esiste alcun castigo. L’unica sicurezza è lo
scontro da cui deve uscirne vincitore.
I cartoni Disney son intrisi di sapore cristiano, mentre i
cortometraggi Warner possono essere considerati atei; come
ben fa notare Luca Raffaelli, in essi non esiste alcun paradiso
da conquistare e i personaggi, così liberi, possono agire se-
condo istinto per la propria sopravvivenza, ignorando qual-
siasi felicità che non sia quella più immediata.
Per questo motivo ai personaggi della Warner non serve
nulla, non possiedono alcun oggetto al di fuori di piccoli ele-
menti che aiutano a definirne il ruolo.
Bugs vive in un buco sotto terra che appare là dove neces-
sario, in base ai cambi di set dei vari episodi. La carota che
lo accompagna è unica e onnipresente, con lei il coniglio si
mostra sereno in ogni situazione, non gli occorre altro. Il
personaggio è quello che fa, senza avere nulla, secondo la vi-
sione escatologica disneyana invece i personaggi si realizzano
anche attraverso quello che hanno o che ottengono, mostran-
doci quali siano i comportamenti da condurre o evitare per il
raggiungimento dei propri desideri.

66
Lepus
Animatus,
Hyungkoo
Lee,
Resina,
bastoncini
di alluminio,
reticolato
d’acciaio, pit-
tura ad olio.
2005–2006

bozzetto
per lepus
animatus,
Hyungkoo
Lee,
inchiostro
acquarello su
carta
2005

67
parte seconda
1. topolino e il Topolino è una divinità panteistica che si incarna in tutti gli oggetti di
merchandising consumo possibili e immaginabili.
rita cirio

prima osservazione
Il cinema ci ha dato, nei visi bianchi dei divi, il solo mito con-
temporaneo di un’intensa seduzione. All’incrocio dei giochi delle
masse e dell’immagine riproducibile troviamo questi artifici freddi
che sono però grandi effigi seduttrici e iniziatiche e che pratichia-
mo come riti. (fabbri, 1995)

seconda osservazione
Seguela scrive che la star nacque attorno al 1910 come
arma della guerra tra le case cinematografiche.
Queste le sue caratteristiche, potremmo dire ontologiche.
1) La star convince. La sua funzione naturale risiede nel far
comprare. E’ la sua ragione di essere. La star è la sola merce
vendibile. Tutto di lei è calcolato in denaro. E’ vendibile, no-
nostante essa venda sogni, materia impagabile.
2) La star dura. Durare significa essere padroni del tempo.
3) La star seduce. Seduzione significa comunicazione. Piacere.

terza osservazione
Mickey Mouse è nato con le star. Mickey Mouse è una star.

Topolino ha raggiunto il successo perchè è entrato in


scena al momento giusto: la crisi economica del ‘29 attanaglia
gli americani, che chiedono di sopravvivere, di distrarsi e di
tornare a sorridere. Gli americani hanno bisogno di Mickey
Mouse, di un topo simpatico, che riesce sempre a cavarsela al
meglio, nonostante qualche piccolo, ma risolvibile, incidente
di percorso. È agile, capace e balza con facilità dallo schermo
ai fumetti, quindi al packaging per i prodotti in commercio.
La mancanza di definizioni precise […] ha consentito al bestiario
disneyano di raggiungere un elevato livello di “intermedialità”,
cioé di passare facilmente tra media e firme di consumo differenti
senza dover subire radicali trasformazioni. (fossati, 1986)
Faeti sottolinea che la caratteristica principale che con-
traddistingue il topo è la flessibilità: nonostante il suo carattere
di saggio “uomo roosveltiano”, [Topolino] è capace di rimanere se
stesso e di rimandare costantemente ad altro, adattandosi a qual-

71
siasi situazione. […] È un personaggio, una maschera, un aggregato di motivi
mitici e fiabeschi, più che un mito in sé definito, una metafora a cui affidare
messaggi controversi, un’etichetta valida per prodotti che si oppongono netta-
mente tra loro (faeti, 1986).
Fossati aggiunge che lo si può considerare una sorta di significante puro
che può significare qualsiasi cosa, una forma espressiva cui ognuno può attribui-
re un differente significato. Walt Disney fiuta l’affare, grazie a diverse richie-
ste di prestito per finanziare i suoi primi progetti nei quali lui, a ragione,
crede, ma soprattutto grazie alla lucidità con cui gestisce le produzioni e i
proventi che se ne possono ricavare.
Marc Davis, capo animatore della Walt Disney Picture, scrive:

[Walt Disney] non temeva di rischiare tutto, di indebitarsi, assumere 150 persone e
chiedersi come avrebbe fatto a pagarle. Si comportò in questo modo durante tutta la
vita intera. Credeva che il denaro avesse valore solo per quanto ci si poteva realizza-
re. Senza di lui non riesco ad immaginare come l’animazione avrebbe potuto diventa-
re un business (finch, 2001).

Walt Disney rispetta perfettamente tutti i sette punti con cui Segue-
la descrive il perfetto regista delle star, incarnazione stessa del perfetto
pubblicitario; ecco allora brevemente elencate le sue caratteristiche, a
sottolineare, ancora una volta, di riflesso la celebrità di Topolino e ciò che
ne consegue.

- (W.D) è abile a mixare marketing e creatività


- è responsabile (multiresponsabilità, nonsi deve essere padroni, ma cata-
lizzatori / multiproprietà)
- è impegnato (si impara facendo)
- è rigoroso (metodo, volontà, sforzo). Insistere troppo su un problema produce
oscurantismo, ma è un passaggio obbligato. Ogni uomo crea a sua immagine e
somiglianza. Un produttore di beni può dunque inventare soltanto un prodotto
che lo rifletta. All’estremo opposto della catena dei consumi, ogni acquirente è
attratto solo dai prodotti in cui si rispecchia. In poche parole, il consumatore
non compra affatto un prodotto, ma un produttore.
- è ingenuo. La creatività è una continua ricaduta nell’infanzia. (...) Si perdona
tutto ad un bambino, a condizione che ci stupisca e ci diverta.
- è appassionato
- è innamorato

Fin dalla sua collaborazione con Charles Mintz, nel 1926, Disney stipula
un contratto che gli garantisce la metà dei proventi fruttati da alice
comedies, una serie che vedeva la giovanissima attrice Virginia Davis re-
citare al fianco di alcuni personaggi animati, ma è solo con Mickey Mouse
che riesce ad avere un controllo totale e fruttuoso dalla concessione dei
suoi personaggi.
Con il fratello Roy assume un pubblicitario di Kansas City, Herman
“Kay” Kamen, che controllerà la qualità dei prodotti cui vendere l’immagi-
ne di Topolino fino al 1949, anno della sua morte.
Questo perché il merchandising garantisce utili derivanti dalla cessio-
ne dei diritti, ma genera anche pubblicità di rimando verso la stessa Walt
Disney Picture ed è bene, quindi, che ogni prodotto accompagnato da
Mickey non leda l’immagine dell’azienda.

72
walt disney
and mickey
mouse’s pro-
ducts,
1940s

mickey mouse
adidas shoes
2010

73
Già dalle prime collaborazioni, il lavoro di Kamen si rivela
un successo non solo per la Disney, ma anche per tutte le
aziende che si pubblicizzano dietro l’immagine del topo;
la Lionel Corporation, produttrice di trenini elettrici, e la
Ingersol-Waterbury Company, produttrice di orologi, sono le
prime società a firmare un contratto e a riceverne ingenti ed
immediati benefici.
Il ricorso all’impiego dell’immagine di Topolino riguarda
in un primo momento l’America, ma si espande velocemente
raggiungendo un’espansione globale. Dopo il primo passo del
topo, tutti i personaggi Disney sono usciti dalle pellicole per
andare a addobbare elettrodomestici, oggetti di cancelleria,
abbigliamento, biancheria intima e per la casa, giocattoli,
bigiotteria, prodotti alimentari… aumentando le vendite e
arricchendo la casa madre, pare infatti che durante una con-
ferenza stampa tenuta da Roy Disney a Milano il 24 gennaio del
1985 fu distribuito ai giornalisti un rapporto sulle attività della
Walt Disney Productions dal quale risultava che il settore mer-
chandising aveva un fatturato superiore ai cento milioni di dollari
l’anno (fossati, 1986).
Mickey Mouse è il perfetto animale economico, e come
primo esempio di questa nuova categoria, modifica l’imma-
gine e il ruolo che gli animali ricoprono nella società dei
consumi.

74
2. la mascotte Perduta la forza passionale e l’allegoria etica, il mostro può frequentare,
senza ossessionarla, la cultura di massa.
paolo fabbri, 1995

La pubblicità è immortale. […] Qui il simbolo attinge al sacro.


Il mito è una star salita al cielo, canonizzata dalle nostre memorie,
indistruttibile, eterna.
jacques seguela, 1985

Come sostiene Jacques Seguela, la pubblicità non deve dare


dati-di-fatto poiché non importano a nessuno, non garantisco-
no alcuna certezza di riuscita; il prodotto, in una condizione
d’ovvietà, rischia di non attrarre e, di conseguenza, di non
essere acquistato.
L’approccio che deve essere ricercato nel promuovere un
qualsiasi articolo è, quindi, qualitativo: si basa su un rappor-
to affettivo che deve instaurarsi tra il cliente e il brand che
marchia quello stesso prodotto.
Ottenuto il sentimento, riuscita e durata del successo sono
assicurati. Sequela parla di una religione del piacere, in cui
si attua la realizzazione del Sé. “Tocca alla comunicazione, (...),
attribuire ai prodotti quel valore onirico senza il quale la nostra
pasta, il nostro olio, il nostro detersivo sarebbero solo pasta, olio,
detersivo...[...] Dubitare del potere del sogno è stupido come dubi-
tare del potere dell’atomo” (seguela, 1985).
È importante capire il pubblico, toccarne il cuore, per met-
tere in moto un piacere simultaneo, misto, complice. Ma qual
è il modo migliore per procedere? Consideriamo che ovunque
[oggi] si assiste alla disgregazione storica di certe strutture che
festeggiano in qualche modo sotto il segno del consumo, sia la
loro reale scomparsa che la loro scomparsa caricaturale. Detto in
altri termini, la famiglia si dissolve? La si esalta. I bambini non
sono più bambini? Si sacralizza l’infanzia. I vecchi son soli? Ci si
commuove sulla vecchiaia. E ancora più chiaramente si magnifica
il corpo nella misura stessa in cui le sue reali possibilità si artrofiz-
zano e in cui è sempre più braccato dal sistema di controllo e dalle
costrizioni urbane, professionali e burocratiche. (baudrillard,
1992). Ecco che, nella promozione di un prodotto, vanno
esaltati proprio quei determinati segni che risentono di un
processo di negazione delle cose e del reale.
L’allontanamento dalla natura e il conseguente rappor-

75
to disequilibrato tra uomo e natura è palese, fare perno su 1.
questo dato di fatto permette di coinvolgere in modo emotivo Per approfondire si
e sicuro il pubblico, vuoi perché si stimola la nostalgia, vuoi veda baietti e soscia ,
perché, dall’altro lato, si offre la redenzione a colui che si L’utilizzo del testimonial in
sente colpevole di questa attuale negativa situazione. comunicazione: relazioni
Come messo in luce nel catalogo della mostra il bello e le bi-direzionali tra celebrità e
bestie del Mart, esiste un forte parallelismo tra i comporta- categorie di prodotto.
menti degli animali nei confronti dell’ambiente naturale in Nel testo vengono presen-
cui vivono e i comportamenti umani nei confronti delle di- tate le categorie di testi-
vinità: in modo simile entrambi ricercano la propria soprav- monial a cui si fa ricorso
vivenza. Sciamani e streghe sono usi ad indossare pellicce nella campagna promo-
e piume durante i loro riti: la vestizione fa da tramite con il zionale di un prodotto.
divino, attraverso la mimesi si garantiscono l’ascolto. In questo senso si defi-
Nel sistema capitalistico, perduta la valenza magico-reli- niscono il professionista
giosa, la forma animale offre un avvicinamento al consuma- (o esperto), il consumatore
tore, e induce quest’ultimo all’acquisto. tipo e la celebrità. La prima
L’utilizzo dell’animale antropomorfo rende efficace il mes- tipologia comprende per-
saggio pubblicitario, facendo leva sull’esperienza maturata sone che hanno specifiche
nel corso della nostra vita. Nel cliente viene attivato l’effetto conoscenze e competenze
del ricordo; fin dall’infanzia, infatti, siamo stati circondati sulla categoria di prodotto
da peluche con sembianze animali, abbiamo ascoltato storie a cui appartiene il bene
di animali parlanti, li abbiamo visti in televisione e illustrati pubblicizzato; la seconda
nei libri. Crescendo abbiamo imparato a conoscere il mondo fa riferimento a normali
attraverso analogie e metafore di animali, parabole e favole utilizzatori presentati nello
sono state strumenti indispensabili per formulare opinioni e spot; con il termine celebri-
per raggiungere capacità decisionali. Inoltre, come sostenuto tà (o personaggio famoso)
da Walt Disney, l’animale antropomorfo, capace di maggiore ci si riferisce infine ad una
espressività, crea empatia. persona [conosciuta al
Diversi brand, allora, procedono con il trasferimento della pubblico]. Topolino, a mio
propria rappresentazione su un personaggio esterno, un testi- avviso, riesce a ricoprire
monial in grado di avanzare la propria offerta merceologica. i tre ruoli non perdendo
Essendo il personaggio animale un’incarnazione di valori mai di credibilità perché
costruiti attraverso una narrazione precedente, questi valori è nelle sue caratteristi-
vengono trasferiti dal personaggio al brand e dal brand al che principali quello
prodotto. Per umanizzare la merce la si animalizza. di rimanere sempre sé
Viene messa in atto una circolazione di valori: le caratte- stesso in ogni avventura
ristiche del personaggio si trasformano in marca o prodotto. si trovi coinvolto. Nessu-
Abbiamo detto che Mickey Mouse riesce a risollevare le casse no si stupisce vedendolo
della Lionel Corporation, produttrice di trenini elettrici; la divertirsi mentre suona
fama del topo si è rivelata una mossa vincente perché i valori una mucca per Minnie,
del personaggio si sono trasferiti sul prodotto. o mentre si improvvisa
Topolino sembra non temere alcun rischio di sovrautiliz- stregone, mentre è vestito
zo, né di conseguente minore efficacia in termini di comuni- da alpinista o da tennista.
cazione. Mickey, come già sottolineato, è intermediale, riesce Per noi Topolino è sempre
cioè a saltare tra vari media rimanendo sé stesso e adattando- Topolino.
si costantemente ad ogni situazione.
La sua natura di cartoon, sempre credibile, ma mai reale,
gli assicura la possibilità di essere identificato positivamente
in ognuna delle tre categorie principali avanzate dalla lettera-
tura di settore: riesce a passare per professionista, per consu-
matore tipo e per celebrità1.
Familiarità con il pubblico, fascino, empatia e natura del

76
mascotte
prodotti
alimentari,
fotografie
scattate al su-
permercato,
2010

77
panda party
gadget Kinder
Sorpresa
1994

78
personaggio esercitano un appeal talmente forte e vincente,
che non sembrano esistere casi in cui il prodotto sia stato
offuscato dalla sua immagine. Riportando ancora una volta
Fossati, Topolino è un significante puro in grado di significare
qualsiasi cosa.
Baietti e Soscia, a proposito dell’utilizzo di testimonial
nella comunicazione commerciale, scrivono:

Un interessante spunto, ai fini delle riflessioni riguardanti lo scambio


bidirezionale di caratteristiche e valori tra personaggio e categorie di
prodotti, e quindi per il presente studio, proviene da Rossiter e Percy
(1987) che indicano tra i fattori in grado di migliorare la familiarità
del personaggio all’interno di un messaggio pubblicitario quello che
viene definito “visibility hook”. Gli autori ipotizzano che il messaggio
sia particolarmente efficace, in termini cognitivi del consumatore,
quando il personaggio incorpora dei tratti fisici in grado di suscitare
un legame logico con la categoria di prodotto (Kovet, 1981), vale a dire
quando esiste una somiglianza anche fisica tra celebrità e categoria di
prodotto pubblicizzato o marca (baietti e soscia, 2000).

Nei prodotti che riportano l’immagine di Topolino, indi-


rizzati soprattutto ad un pubblico infantile, il meccanismo si
attua perfettamente ed immediatamente. L’ipotesi avanzata
dagli stessi Soscia e Baietti, mette in luce un rapporto bidire-
zionale tra le categorie logiche evocate dalla classe merceolo-
gica e le categorie logiche evocate dalla celebrità in questione.
La vendita di merce per bambini riesce laddove vengono
evocati il loro mondo, il loro immaginario, le loro passioni e
i loro amici animati; allo stesso modo il bambino che va ad
acquistare, partecipa al mondo raccontato dai cartoni perché
questi vengono ideati e realizzati proprio per coinvolgerli.
I personaggi sono disegnati come caricature dello stesso
giovane pubblico, la struttura corporea è volutamente pue-
rile: testone sproporzionato rispetto al corpo, corpo tozzo,
arti paffutelli e corti servono a mettere in moto il processo
d’immedesimazione.
Ancora Soscia e Baietti sintetizzano che quanto maggiore
risulta essere l’assonanza tra il vissuto del consumatore con riferi-
mento ad una particolare categoria di prodotti e il vissuto associa-
to al testimonial celebre che presenta il prodotto, tanto maggiore è
l’efficacia della campagna in termini d’incremento della likeability
e della propensione all’acquisto.
Quando si sceglie di promuovere un articolo utilizzando
l’immagine di Micky Mouse, il duplice rimando riesce non
solo per le doti d’intermedialità dello stesso topo, ma anche
perché i bambini si lasciano andare all’immaginazione.
A tale proposito, pensiamo, per esempio, al momento del
gioco; dobbiamo ammettere subito che per noi adulti una sedia
– apparentemente – è una sedia: ma per il bambino è anche molte
altre cose […].
L’adulto si sforza di rimuovere e nascondere il simbolismo, ma il
bambino vede immediatamente i simboli. (groddeck, 2005)

79
L’infanzia – ha scritto Giorgio Agamben – è il luogo per eccellenza
del possibile e del potenziale. Ciò che caratterizza il bambino è che
egli stesso è la sua potenza e vive la sua possibilità. Vi è qualcosa
nell’infanzia che non distingue più tra possibilità e realtà ma fa del
possibile la vita stessa. I bambini dispongono di una vita irreale e
misteriosa, fatta di fantasia e di giochi, estranea ai comandamenti
degli adulti. È in questa vita che la pubblicità cerca di entrare.
Anzi, entra. E il bambino si adegua, conformandosi sempre di più
verso la perfezione della sua immagine così come schermi e pagine
di riviste patinate gliela restituiscono. Il possibile – categoria così
evocativa – e il reale si uniscono nel principio uniformante della
pubblicità, nella sua essenza ultima, che è quella di strumento con
cui è possibile esercitare un’opera di persuasione sugli individui. Il
bambino si dispone con innocenza a essere persuaso, predisponen-
dosi anche a diventare lui stesso persuasore (landi, 2006).
Riflettiamo ora sull’attaccamento che i neonati manife-
stano nei confronti di un oggetto, poniamo il caso sia una
coperta, in maniera del tutto incomprensibile agli occhi
degli adulti. L’oggetto transizionale (winnicott, 1951) è il
primo possesso extrapersonale sentito dall’infante e riveste
una funzione rassicurante ed emotiva. Non si tratta di quella
semplice coperta che noi adulti vediamo, bensì rappresenta
un senso d’esistenza e di prima consapevolezza di sé, è il
primo interesse verso un oggetto esterno. Essa accompagna
il bambino a superare quella fase di curiosità riflessiva nei
confronti del proprio corpo e lo spinge verso l’esterno, verso
la conoscenza e l’interazione con il mondo. Fa nascere il gioco
e questo trova fondamento nella continua risemantizzazione
degli oggetti con cui il bambino si trova a giocare. I bambini
vedono Mickey Mouse impresso su una confezione e pensano
a lui, non al prodotto contenuto, il packaging propone una
dimensione di gioco.
Anche nel caso in cui la promozione non fa ricorso ad un
personaggio celebre esistente, ma preferisce un personaggio
inventato ad hoc, è bene esista un legame visivo con la marca o il
packaging (ad es. il Gigante Verde, Mastro Lindo, Tony la tigre per i
cereali Kellog’s) (baietti e soscia, 2000).
Se la mascotte creata per affiancare il marchio appare vin-
cente, il potere comunicativo della stessa supera il ricorso al
testimonial celebre reale, perché la sua vita è esclusivamente
dedicata alla promozione del marchio, essa nasce e vive per
promuoverlo. Infatti, nonostante i messaggi presentati da per-
sonaggi famosi siano più efficaci degli altri nel sostenere il ricordo
dell’annuncio e della marca, indipendentemente dalla tipologia
specifica di prodotto (baietti e soscia, 2000), il personaggio,
durante il corso della sua vita, può cadere in atteggiamenti
o comportamenti che macchiano l’immagine del brand a cui
sono legati, possono essere sovrautilizzati da più aziende o
essere percepiti negativamente dai clienti. A questo propo-
sito è interessante accennare al recente caso dell’azienda di
telefonia mobile italiana tim. Gli spot della serie mettono
in scena una coppia formata da due personaggi molto cono-

80
sciuti, l’attore comico Christian De Sica e la soubrette Belen
Rodriguez. La figura maschile sembra funzionale, ma non è
possibile affermare lo stesso per quella femminile: “Sceglie-
re Belen Rodriguez è stato un errore” dichiarano fonti interne
alla tim. […] “Molti dei clienti storici di Telecom, in particolare le
famiglie, non hanno gradito la scelta della showgirl in qualità di
testimonial. E ciò si è tradotto in fuoriuscite di clienti verso ope-
ratori concorrenti”. (http://it.tv.yahoo.com/blog/article/56915/
italiani-stanchi-delle-nudit-di-belen-la-tim-perde-clienti.html,
consultato il 09/02/11).
La pubblicità punta sulle doti fisiche della ragazza, senza
contare che solo una parte dei clienti apprezza, molti, invece,
all’opposto, si dimostrano contrariati dai gossip che costante-
mente minano l’immagine della Rodriguez, altri non apprez-
zano la mercificazione del corpo femminile, fenomeno infla-
zionato in ambito televisivo e, nello specifico, pubblicitario.
Il piano di marketing per la campagna pubblicitaria di un
qualsiasi prodotto deve riuscire a mettere in comunicazio-
ne il testimonial, il prodotto e il consumatore in un triplice
rapporto di rimandi in modo da garantire il trasferimento
dei valori circoscritti ai relativi contesti in tutte le direzioni
possibili. La creazione di una mascotte, quindi, può essere la
migliore soluzione. Essendo un personaggio costruito ad hoc
difficilmente può ricorrere in comportamenti deviati che
provochino disaffezione o scandalo.
Usare una mascotte come testimonial è una mossa sicura,
anche se potenzialmente non efficace quanto un personaggio
umano, nel quale il pubblico adulto si identifica con maggio-
re facilità. Il personaggio, suscitando affezione, incoraggia
la lealtà, vuoi dal cliente verso il marchio, vuoi dal marchio
verso il cliente. Sorrisi e aspetto amorevole si fanno desidera-
re, attivano sentimenti esclusivamente positivi.
Una mascotte di successo genera pubblicità e interesse ver-
so l’azienda produttrice, conquista la benevolenza dei clienti
e ispira sentimenti duraturi, fa parlare il marchio attraverso
la sua voce e si mostra costantemente nel medesimo modo,
dando quindi sicurezza. Una mascotte permette più intera-
zione, coinvolge e offre la possibilità di confezionare costumi
che la raffigurano, partecipando attivamente alla vita sociale
reale (schneider, 2009).
Gli eroi dei bambini escono dalle favole, entrano nella tele-
visione e vengono trasformati in prodotto. Da un personaggio
illustrato si possono ricavare giocattoli tridimensionali che
vengono regalati come gadget all’interno delle confezioni,
i bambini si divertono e li collezionano. Con l’immagine
di un character si personalizzano moltissimi articoli e ci si
addentra nella vita quotidiana dei clienti, adulti e bambini, si
diventa parte della famiglia.
Per Abram Moles il gadget rientra nella tradizione del
kitsch. Ne parla nel suo il kitsch e l’arte della felicità,
dove, partendo dalla derivazione etimologica del vocabolo
(gachette in francese significa grilletto), il gadget è presentato

81
come un articolo ingegnoso, che significa dotato d’ingegno,
artificioso. L’alienazione consumistica, cui siamo soggetti,
distrae, appassiona, rappresenta il gioco sottile fra l’uomo, la
sua ragione e la natura tecnica. Il gadget è un oggetto acces-
sorio che provoca soddisfazione immediata, è una sorpresa
decorativa, con funzione secondaria. Appaga,senza neces-
sariamente essere utile ad altro; nella sua natura di oggetto
artificioso e seducente, provoca coinvolgimento emotivo e psi-
cologico, come i suoi precedenti bidimensionali. Gli animali
antropomorfi in plastica, nelle loro modeste fattezze, aprono
le porte all’immaginario ludico e giocoso, perché si caricano
di evocazioni che toccano la coscienza, la memoria, il pensie-
ro e l’affettività.
Come sostiene Baudrillard, infatti, ne il sogno della
merce, nell’universo ludico tutto è soggetto all’effetto della
simulazione possibile, tutto può giocare. Ne deriva che il desi-
derio di appagamento scaturito dal ritrovamento del gadget,
vince sull’eventuale funzionalità dello stesso. Il principio di
piacere è tutto racchiuso ontologicamente in sè. E se si consi-
dera, poi, la funzione vitale e pedagogica del gioco, si capisce
quanto valore – e potere - possa assorbire il gadget-gocattolo e
di riflesso, il prodotto che esso rappresenta.
Le mascotte non hanno necessariamente fattezze animali,
possono essere diverse e prendere spunto dalla realtà, ma
possono essere anche totalmente inventate: il volto di Har-
land David Sanders, per esempio, fondatore della Kentucky
Fried Chicken Company parla per la sua azienda, Aunt Bettie,
rappresentante dell’omonimo marchio inglese di prodotti
alimentari, è invece un personaggio inventato appositamente
per incarnare la perfetta donna dei fornelli: porta i capelli
raccolti, è paffutella, e il sorriso le dona un aria materna.
Aldilà dei casi umanoidi, sembra che il trend più diffuso
sia il ricorso all’animale antropomorfo, perché in grado di
entrare in maggiore sintonia con i bambini. Accade, infatti,
che, nonostante non siano loro a compiere l’acquisto, sono
loro ad avere il controllo sullo stesso: lamentandosi di volere
un determinato prodotto, il più delle volte riescono a incidere
sulla scelta del genitore. Come sostiene Schneider, Win the he-
arts and minds of children and the adult consumer is yours. Ecco
allora che tigri parlanti, conigli batteristi e api facinorose
conquistano un numero sempre maggiore di clienti.
Se è vero che gli animali ammaestrati piacciono a tutti
(guarda, 1962), questo avviene perché non suscitano alcun
timore, né risvegliano irrisolvibili incapacità di comunicazio-
ne uomo/animale; bene, considerato che la carica metafisica
del teleschermo tende a non fare troppa distinzione tra bestiola
e pupazzo, si capisce il motivo per cui i personaggi più conosciuti
sembrano essere tutti animali antropomorfi (guarda, 1962).
Il tipico bambino italiano è immerso nel mondo del consumo,
esattamente come tutti i bambini delle società occidentali avanza-
te. Juliet B. Schor, autrice del recente nati per comprare (2005),

82
dice che già a un anno i bambini guardano i Teletubbies in TV,
già a 18 mesi riconoscono i marchi dei diversi prodotti e, prima
del secondo compleanno, chiedono le cose chiamandole con il loro
nome commerciale (non una bambola ma una “Bratz”, non un
panino ma un “Burger King”). Varie ricerche condotte in Italia
hanno stabilito che su 100 spot pubblicitari, 30 in media finiscono
per avere come protagonisti i bambini. La loro presenza nel mondo
del consumo non è più marginale: il loro potere d’acquisto limitato
risulta compensato dalla competenza e preparazione sui prodot-
ti da acquistare, tanto da diventare indicatore importante per
l’orientamento all’acquisto degli adulti che li circondano (genitori,
nonni) (landi, 2006).
I bambini che guardano la televisione provano gratifica-
zione poiché i contenuti dei programmi televisivi si mescola-
no a quelli della pubblicità, viene meno il confine tra finzione
e vita vera, tra storie di fantasia e brevi storie commerciali, tra
personaggi che nutrono l’immaginario e merendine che nutrono il
corpo. Lo spot diventa spettacolo e viceversa. Le pubblicità ripro-
pongono gadget, scenari e eroi delle fiction, si riduce al minimo la
percezione, nello spettatore bambino, dell’interruzione pubblicita-
ria. In fondo la prima funzione di questa forma di comunicazione
risiede nel veicolare un sapere concretizzabile subito in un “avere”,
o in un “essere”, o in un “fare”. Il bambino introietta senza fatica
le tre componenti che ossessionano gli esperti di marketing: cogni-
tiva (come fare per fornire informazioni indelebili su un prodotto o
un servizio), affettiva (come far reagire emotivamente il consuma-
tore), comportamentale (come farlo muovere verso l’acquisto). Da
questo punto di vista il bambino è l’utente ideale, il consumatore
cui si può vendere qualunque cosa (landi, 2006).

2.1 percezione e composizione dell’immagine

Pensiamo ai primi cortometraggi in bianco e nero, in cui i


personaggi animati erano delle macchie ben distinte nere su
sfondo chiaro, leggermente sfumato.
L’effetto era voluto, il personaggio doveva staccarsi dal-
lo sfondo, essere sempre perfettamente visibile al pubblico
perchè potesse goderne. La teoria della gestalt dice che ogni
configurazione della stimolazione luminosa che colpisce la retina
dell’occhio produce uno specifico processo nel cervello, questi pro-
cessi variano col variare dello stimolo.
Quando percepiamo, noi segmentiamo automaticamente
l’insieme degli stimoli in unità complesse e uno dei primi
processi che entra in gioco nell’organizzazione del flusso
degli stimoli, consiste nell’articolazione figura-sfondo.
Ogni forma ed oggetto percepiti si distinguono rispetto ad
uno sfondo, grazie ad un margine. La forma diventa figura e
assume un carattere oggettuale, viene riconosciuta di fronte
allo sfondo che rimane, invece, percepito come indistinto. Le
immagini informano e scatenano emozioni, rispondendo alla
loro naturale funzione espressiva, ma, soprattutto, seguendo

83
oswald il
coniglio
Sky Skrap-
pers, 1928
screenshot

84
regole e convenzioni d’uso tradizionali (branzaglia, 2003).
La composizione di un’immagine pubblicitaria può far
ricorso a diversi immaginari, in base alle chiavi d’affezione -
e conseguenti acquisti - che vuole far scattare; nel calderone
troviamo rimandi all’iconologia classica, per esempio legata
alla tradizione pittorica, ma anche alle più recenti forme
comunicative, quali il cinema, la fotografia, il cartoon.
Le illustrazioni che compaiono sul packaging vedono mol-
to spesso il nostro personaggio cartoon fluttuare su uno sfon-
do indistinto, dove il colore è spesso sfumato. Questo perché
tutta la vita conscia dell’uomo è data dall’emergere di figure (per-
cettive, emotive, cognitive) rispetto ad un territorio indistinto di
sfondo. (branzaglia, 2003). Il che significa che noi percepiamo
perché riconosciamo tutti questi elementi e comprendiamo la rela-
zione che li lega. E soprattutto, per quanto sia importantissimo il
ruolo della memoria nel riconoscimento degli elementi provenienti
dal mondo circostante, è pur vero che senza adeguate basi ottiche
il riconoscimento stesso non si attua (branzaglia, 2003).
Ora, sapendo che il nostro occhio registra tutto allo stesso
modo, va ricordato che non esistono differenze tra il modo di
percepire il reale e il modo di percepire il virtuale, sicché le
azioni intraprese nelle campagne promozionali che mirano
a far scattare la molla affettiva e dell’acquisto, devono essere
condotte tenendo bene a mente l’attività percettiva dell’oc-
chio. Fatto emergere il protagonista della comunicazione
sullo sfondo che lo accoglie, colorato, ma indistinto, vanno
tenute a mente anche altre questioni legate all’aspetto dello
stesso personaggio.
L’animale si presenta allungato e bipede, il che significa
che, contro natura, esso si alza e cammina come noi. Volendo
indicare una linea immaginaria principale rispetto ad altre
nella costruzione dell’immagine del personaggio, tracceremo
quella verticale, l’asse della gravità. Su di [essa] si scaricano i
pesi, dotati in alto di un valore potenziale elevato, e in basso di
uno nullo.[…] Ciò che sta in alto dunque ha maggiore energia po-
tenziale e viene individuato prima dall’occhio.(branzaglia, 2003)
Ecco il testone; l’aspetto puerile di questi personaggi è
esaltato dalla testa sproporzionatamente grande rispetto al
resto del corpo, su di essa, poi, gli occhi si spalancano per
chiamarci senza proferire parola, muti, come ci appaiono
muti gli animali reali, con cui non condividiamo alcun lin-
guaggio verbale, ma, lungi dall’apparire come imperscrutabi-
li sguardi, essi sono banalizzati e congelati in una espressione
artificiale, immediatamente e univocamente interpretabile.
Rispettando le più elementari leggi fisiche, il personaggio si
forma per rispondere a delle necessità commerciali, giocando
sulla sua natura verisimile e quindi sempre credibile.
Detto più volte che questi animali antropomorfi risultano
fortemente espressivi, analizziamo ora proprio la questione
dell’espressione, vera miccia che accende l’empatia. Gli ani-
mali antropomorfi contemporanei ritrovano i loro antenati
nelle caricature satiriche molto popolari tra il 700 e l’800;

85
usi e costumi politici e sociali vengono canzonati attraverso
la realizzazione di illustrazioni che mettono in luce l’aspetto
animalesco nascosto dietro ad ogni atteggiamento umano. Sa-
pendo che la caricatura si concretizza in un’esagerazione dei
tratti somatici ed espressivi, risulta ovvio che, per esprimere
gioia e suscitare sentimenti amorevoli, nei nuovi animali i
sorrisi devono essere esasperati. Ad una condizione: che il
risultato, perfettamente inserito in un contesto economico,
si dimostri utile. La semplificazione con cui vengono ripuliti
allora gli antichi animali, si traduce in una funzionalità eco-
nomica per i nuovi esemplari.
La tradizione del teatro greco ci insegna che la maschera
della tragedia si distingue dalla maschera della commedia
per un solo importantissimo dettaglio: la bocca. Se la linea
curva labiale è concava, infatti, tutti riconosciamo un’espres-
sione di gioia (per la vittoria sulla forza di gravità, ci dice
ancora Branzaglia), al contrario, la curva convessa si traduce
in una sensazione di dolore e tristezza. Tolta ogni complessità
e, di conseguenza, ogni ambiguità, i nuovi animali vengono
rappresentati con musi umanizzati e obbligati ad un sorriso
imperituro, perché un volto sorridente segnala una caratteri-
stica psicologica stabile in colui che lo porta (branzaglia, 2003)
e, di conseguenza, nel prodotto che presenta.

86
3. una parentesi il carosello
tutta italiana
La pubblicità è spettacolo.
Noi siamo i saltimbanchi dei consumi.
jacques seguela, 1985

Dal 1957 la televisione italiana trasmette un nuovo pro-


gramma televisivo in cui si succedono una serie di consigli
per gli acquisti. Il palinsesto, trasmesso 10 minuti prima delle
21.00, è sicuro di ricevere il maggior numero di sguardi pos-
sibili: la famiglia ha finito di cenare ed è riunita con molta
probabilità attorno al tavolo della cucina. Carosello si apre
con un siparietto, come una sorta di teatro, una mise en abyme
dello spettacolo televisivo.
Per circa un ventennio dalla prima trasmissione televisiva,
le aziende promuovono i loro prodotti attraverso l’animazio-
ne. Il format funziona perché il bambino vede un cartone,
una storia divertente, che si chiude, al momento del codino,
con un “innocuo” consiglio publicitario.
“E dopo il Carosello, tutti a nanna” recita un motivetto
che invita i bambini ad andare a dormire, con l’immagine
del personaggio appena apparso in televisione in testa e, di
conseguenza, il prodotto da acquistare ben impresso nella
memoria. Le brevi storielle hanno una funzione evasiva,
dilettano prima della conclusione della giornata, quindi le
si aspetta per potersi coricare senza cattivi pensieri, felici.
Soprattutto per il pubblico di più giovane età il cartone animato
offre, nella sua struttura e nella dinamica delle forze, la doppia
possibilità di un continuo gioco di identificazione e proiezione di
sfogo di aggressività su oggetti “transizionali” (i pupazzi) e quindi
meno colpevolizzanti (sigurtà, 1968).
La storia, segue, come deve essere, una formula ben pre-
cisa, basata sulla ripetizione. L’iterazione è indispensabile in
ogni messaggio pubblicitario perché permette di raggiungere
anche coloro che non cercherebbero spontaneamente l’informazio-
ne in essa contenuta, o ritengono di conoscerla già (volli, 2003),
offre la rassicurazione del già conoscito e rientra esattamente
nella formula delle serie dei cartoni animati, che a loro volta
si rifanno a quella letteraria, teorizzata un secolo prima da
Vladimir Propp. Il piacere sta nel già noto, in quello che vo-
gliamo e ci aspettiamo accada, fin dal primo momento in cui

87
immagine cominciamo a guardare queste brevi storie sponsorizzate. La
apertura di rivoluzione sociale parte in questo preciso momento, quando
carosello, per la prima volta il pubblico [viene] sollecitato massicciamente – e
anni ‘60. con il peso e l’autorità della televisione – una televisione unica, mono-
screenshoot polistica, monocanale – ad abbandonare la filosofia della rinuncia e del
sacrificio per abbracciare quella del benessere materiale, del consumo, del
piacere, della comodità (ballio e zanacchi, 2008).
Va ricordato che siamo in un periodo storico molto parti-
colare, tra la ricostruzione post-bellica e il boom economico.
Gli italiani hanno voglia di sognare, perché non farlo con dei
cartoni? È indicativo che l’evasione proposta dal Carosello
miri ad un target particolare, le donne e i bambini, coloro
che riescono ad abbandonarsi con più slancio all’immagina-
zione, senza alcuna remora o vergogna. La donna vive nella
dimensione domestica dove sono consumati e utilizzati i
prodotti consigliati, mentre i bambini che guardano la televi-
sione riescono a convincere i genitori a comprare loro ciò che
si presenta sotto le spoglie di un pupazzo.
Il parallelo con i motivi che stanno dietro al successo di
Topolino è lapalissiano: nel 1929 gli americani necessitano di
poter evadere dai problemi che li attanagliano; i cartoni del
simpatico topo sono epurati da qualsiasi grave difficoltà e per
i protagonisti tutto scorre verso un lieto fine garantito. Il for-
mat stimola un attaccamento emotivo al protagonista della
storia e i pubblicitari ne sono perfettamente a conoscenza; la
formula vincente viene presa e applicata all’ambito economi-
co per indurre al consumo.

88
4. tre storie di 4.1 calimero
animali antropomorfi
Il 14 luglio 1963 nasce Calimero. La serata è una di quelle
calde ed estive, tipicamente italiane, in cui la gente si riuni-
sce e si attarda davanti alla televisione. D’improvviso entra
in scena un nuovo personaggio: con uno stacchetto musicale,
una voce maschile introduce Calimero, il pulcino tutto nero.

gallina cesira: co-co-co… Son proprio contenta!


Uno, due tre, quattro…
Quattro? E el quinto dove xeo?
Mah… par mi sto ovo el xe un fià indrio
de covatura…
Ehiiiii!!! Dove and’è così de corsa?
Speteme!

calimero: Eh... mamma mia, che buio!


Mamma, mamma… Dove sei?
Mammaaaa, mamminaaaa…

Il pulcino si mette in cerca della mamma, ma con mezzo


guscio ancora in testa che gli occlude la vista, cade in una
pozzanghera e, da bianco candido, esce completamente
nero, sporco.

calimero: Eh ma che roba!?!


Mammaaaa, mamminaaaa…
Ehi, ciao, sei tu la mia mammina?

cane: Mmmm. Come?

calimero: Oh… Cara la mia mamma!

cane: Mmmm. Ma piccolo, io non sono la tua mamma.

calimero: Oh… Scusa! Mamma, mamminaaaa…


Oh… Sei tu la mia mamma?
Ehi, dico… Com’è difficile farsi una mamma
per noi piccoli! Tu, sei la mia mamma?

gallina cesira: No! Guarda che ti sbagli, sa!


Mi no go pulcini neri!

89
frame spot
detersivo ava
screenshoot
1963

90
calimero: Ma se io fossi bianco, mi vorresti?

gallina cesira: Certamente piccolo!

olandesina: Cosa c’è?

calimero: Non trovo la mia mamma perché sono nero…

olandesina: Tu non sei nero, sei solo sporco!

calimero: Uh!!! Ava, come lava!

Dai dialoghi si evinge che i fratelli Pagot, creatori del for-


tunato personaggio, mirano ad intenerire le mamme di tutta
Italia, le richiamano al loro istinto materno perchè Ava, il
detersivo, le aiuta a ritrovare i propri cuccioli smarriti. Ovvia-
mente Calimero funziona e per i detersivi prodotti dall’azien-
da veneta Miralanza il successo arriva subito.
Nino Pagot spiega come si è arrivati all’invenzione del pul-
cino tra le pagine de domenica del corriere, nel 1965.

Tempo fa ci dissero: “che fareste per questo detersivo?”


Ragionammo così. Per vendere bisogna interessare le donne: che cosa
attira l’attenzione di una donna? I bambini e gli animali. Bene, il
prototipo del bambino indifeso è il pulcino. Se lo facciamo triste e
disgraziato, suscita maggiori simpatie. Se lo facciamo nero, comin-
ciamo subito a introdurre l’idea che bisogna pulirlo. Se lo facciamo
protestare, assecondiamo uno dei più antichi vezzi degli italiani. Se gli
facciamo combinare un sacco di guai, gli togliamo il carattere troppo
patetico e dolciastro che finirebbe per urtare. C’è, caso mai, il lieto
fine pubblicitario che accomoda tutto.

Analizziamo, ora, lo spot secondo lo schema della favola


avanzato da Propp.
Dei sette personaggi che Propp individua, troviamo:

l’eroe: Calimero
l’antagonista: lo sporco
l’oggetto del desiderio: la mamma e il suo riconoscimento
l’aiutante: Olandesina
il mezzo magico: il detersivo

Schema strutturale generale:

equilibrio iniziale: la gallina cova felice


rottura equilibrio iniziale: uovo di Calimero si schiude
dopo gli altri, lui resta solo.
Il piccolo parte, ma scivola
nella pozzanghera.
peripezie dell’eroe: Calimero vaga con il guscio in testa e
tutto sporco

91
ristabilimento dell’equilibrio: Olandesina lava Calimero.

L’uovo si schiude tardi, così il pulcino, rimasto solo, è


indotto al cammino per cercare la mamma, siamo nella fase
di manipolazione del personaggio protagonista. L’Olandesina
che ristabilisce l’equilibrio della storia, incarica Calimero di
competenza, necessaria all’attuazione della performance.
L’happy-end risiede nella sanzione positiva, che riconosce al
pulcino la buona riuscita della performance: Cesira riconosce
Calimero. Il pubblico vede ciò che si attende di vedere, senza
delusioni, è appagato dal lieto fine e dalla soddisfazione di
non essersi illuso, né sbagliato.
Calimero sembra essere sfortunato, ma nella sua triste
avventura incontra chi lo aiuta a sistemare la situazione e
a raggiungere la persona amata. Il personaggio rientra nel
gruppo dei deboli, tra coloro che ricevono le ingiustizie senza
meritarle, ruolo in cui chiunque, almeno una volta nella vita,
si è immedesimato. Una tesi condotta dalla laureanda Ofelia
Ragazzini nel 1965, all’interno di una scuola elementare a
Rho, mette in luce che il termine Calimero è passato ad indi-
care, non solo il pulcino, ma trasfigurato, tutti i deboli. Si può
dire che Calimero è un calimero. Umberto Eco vede in questo
fenomeno linguistico l’ingresso di Calimero nel campo delle
celebrità: quando un personaggio genera un nome comune ha
infranto la barriera dell’immortalità ed è entrato nel mito: si è un
calimero, come si è un dongiovanni, un casanova, un donchisciotte,
una cenerentola, un giuda.
Il marketing definisce la modalità più opportuna da segui-
re per far conoscere una marca e quali sono i procedimenti
più redditizi da intraprendere per emergere sul mercato.
Le strategie attuate per la valorizzazione pubblicitaria stabi-
liscono come deve essere realizzato il discorso pubblicitario
prima che lo stesso abbia luogo, valutando l’ambiente in cui
il prodotto o la marca va ad inserirsi, il target di clientela
cui è rivolto/a, i prodotti/marchi concorrenti. Esaminando la
pubblicità, si può dire che attraversi tutti i quattro tipi di va-
lorizzazione ideati da Floch: la valorizzazione pratica, perché
illustra come il prodotto sia utile per il pulcino, che da nero
torna bianco, la valorizzazione utopica, per il riconoscimento
finale del legame madre-figlio, la valorizzazione ludica, il suo
appeal, inteso come capacità attrattiva, simpatia che diverte
il destinatario, e la valorizzazione critica, la voice-over chiude
lo spot assicurando un bucato garantito.
L’oggetto ambito e fondamentale nella narrazione del-
lo spot è identificabile con la mamma, che Calimero cerca
disperatamente. Per raggiungere tale obiettivo, è necessario
uno strumento, l’oggetto utile, che s’identifica con il valore
d’uso, in questo caso lo strumento è il detersivo Ava.
I valori d’uso danno luogo alla pubblicità pratica, cioé quella
che si incentra razionalmente su ciò che il prodotto sa fare; i valori
di base, invece, si orientano verso la pubblicità utopica o mitica,
cioè verso i desideri fondamentali condizionati dagli stili di vita

92
1.
la retorica classica
distingue due possibili
modalità di persuasione,
una avviene attraverso la
commozione, attivando
un coivolgimento passio-
nale, l’altra mira a rag-
giungere il convincimen-
to valorizzando più gli
aspetti reali dell’oggetto
in sé. Si veda barthes, La
retorica antica, Bompiani,
Milano,1972.

dell’acquirente (volli, 2003). calimero


Nel caso del detersivo Ava, facendo leva sul valore di base, nella sua tipica
lo spot mira a commuovere1 il target specifico cui mira il espressione in
prodotto; le mamme entrano in empatia con la storia, ven- cui dice “è un’
gono richiamate al loro istinto materno, al ritrovamento del ingiustizia!
cucciolo. Il detersivo permette il riconoscimento del pulcino
e, come oggetto magico, si rivela utile, affidabile.
Le proprietà immateriali evocate dal discorso pubblicitario
riguardo alla valorizzazione utopica si traducono, agli occhi
dello spettatore, in proprietà reali del prodotto stesso.

4.2 tony the tiger

“They’re grrrrreat!”
tony the tiger

Negli anni cinquanta è di moda, anche tra le aziende


oltreoceano, promuovere i propri prodotti attraverso l’uso di
animali parlanti, che riescono ad interagire con un pubblico
eterogeneo attraverso diversi media. In fin dei conti proprio
qui qualche anno prima Topolino, ha spianato la strada e ora
il character design diventa un fenomeno importante in ambi-
to pubblicitario.
La Kellogg’s deve introdurre nel mercato un nuovo prodot-
to per i palati dei più piccoli: i Kellogg’s Sugar Frosted Flakes,
poi rinominati Frosted Flakes.
Leo Burnett ingaggia un’agenzia d’advertising perché tro-
vino un personaggio adatto, che porti con sé l’idea di energia
positiva, indispensabile per cominciare bene la giornata.

93
Vengono proposti Katy the Kangaroo, Newt the Gnu, Elmo
the Elephant, e Tony the Tiger. Tony la spunta sugli altri e
riesce ad accaparrarsi tutte le simpatie del pubblico.
Dal 1952 Tony diventa l’indiscussa mascotte della Kellogg’s,
forse una delle mascotte più conosciute a livello mondiale.
L’affabile felino arancione che esce dalle mani dell’illustra-
tore Martin Provensen, inizia la sua carriera con muso che
ricorda una palla da football, porta legata al collo una ban-
dana dal sapore tipicamente americano e con la lingua fuori
cerca di leccarsi i baffi arruffati.
Come spesso accade nelle storie di questi personaggi, nel
corso degli anni anche Tony subisce diverse correzioni: ab-
bandonato l’aspetto dell’energico capriccioso, la tigre cresce
e il suo viso appare più maturo, ammansito, affidabile ed
elegante. Dagli anni ottanta, il mento presenta delle rughe
alla Reagan.

“W hen America started heading for the health clubs, Tony also got a
slimmer, more muscular physique. He’s also risen in stature from a
scrawny, cereal-box size pussycat who ambled on all fours to a 6-foot
figure with a towering, upright stance”

Si legge in un articolo (http://adage.com/century/ad_icons.


html, consultato il 10/01/2011) che presenta le dieci icone
dell’advertising. Tony per parlare all’America deve sentirla,
somatizzarla.
Come accadde a Mickey Mouse, l’animale antropomorfo
deve trasformarsi con la società con cui si relaziona, senza
però mai perdere le sue peculiarità, cui il pubblico si è abi-
tuato ed affezionato. Il percorso di antropomorfizzazione che
Tony subisce, coinvolge negli anni settanta anche la sua vita
personale. Identificata la sua nazionalità come italoamerica-
na, negli anni 70 viene affiancato anche dai componenti della
sua famiglia, due cuccioli, un maschietto, Tony Jr, che avrà
fortuna, e Antoinette, la figlia, che invece scomparirà rapida-
mente come la madre, Mama Tony.
Nella timeline della vita di Tony, tra gli episodi che hanno
contribuito al raggiungimento dello status di celebrità, tro-
viamo nel 1958, l’incontro con altri famosi animali antropo-
morfi della casa di produzione Hanna-Barbera, tra cui Huckle-
berry Hound e Snaggleuss e nel 1974, in occasione dell’anno
della tigre per il calendario cinese, Tony viene eletto tigre tra
le tigri. Degna di attenzione particolare è la comparsa di Tony
su un’intera pagina a colori di life magazine, nel 1953.
Nel suo libro the image: a guid to pseudo-events in
america, Daniel Boorstin descrive i meccanismi della società
mediatizzata attraverso cinque proprietà che un evento deve
rispettare per essere considerato come uno pseudo-evento:

- Dietro allo pseudo-evento c’è sempre un interesse


commerciale
- Lo pseudo-evento è sintetico, il che significa che mette

94
tony the
tiger and
ronald
reagan

tony the
tiger
prima e ultima
versione grafi-
ca della tigre

95
adv kellog’s
in senso orario
1958
1961
1997
1998

96
in scena avvenimenti che vengono considerati reali. Lo
pseudo-evento è un fatto.
- Gli pseudo eventi non sono né falsi né veri, né giusti
né sbagliati. Semplicemente sono. Esistono. Sono realtà
più attraenti e meglio costruite.
- Gli pseudo eventi sono auto generativi, perché generano,
ritualizzandosi, altri pseudo-eventi.
- La tautologia è sempre presente in ogni pseudo evento.

La comparsa di Tony risponde allo schema:

- é mossa da interesse commerciale: Tony è un prodotto


commerciale.
- é sintetica: è metafora di un fatto, è vista come il fatto.
- é attraente (e deve esserlo visto che deve portare all’aqui-
sto) e perfettamente costruita
- è autogenerativa e nasce da un precedente pseudoevento.
È uno dei dispositivi tipici della comunicazione pubblicitaria.
- è ovvia, senza alcun valore informativo

Si tratta della rappresentazione di una rappresentazione,


quindi di una rappresentazione di secondo livello, che viene
recepita come fatto esistente, a sé stante, senza alcun sentore
di doppio passaggio attraverso i media.
In semiotica si parla di débrayage, o distacco: i testi si
manifestano sempre in seguito a procedure di oggettivazione che li
allontanano dall’enunciatore e allo stesso tempo anche dall’enun-
ciatario (volli, 2003).
Ritorna il concetto di simulacro di cui si era discusso nel
capitolo precedente, a proposito di una certa falsa natura,
passata per reale. In questo contesto sono i testi pubblicitari
a creare simulacri di enunciatore e di enunciatario al loro
interno, segni che vi designano gli interlocutori (Volli, 2003).
I testi producono realtà e queste nuove realtà vengono
ricevute come indipendenti dal motivo per cui sono state pro-
dotte, si allontanano da esso, acquisendo vita propria.
Il pubblico presta attenzione a Tony e alla sua vita, sempli-
cemente. Verso la fine degli anni cinquanta il cucciolo, Tony
Jr, appare sulle confezioni di Frosted Rice, mentre il tigrone
ruggisce dalle pagine delle riviste italiane gq e panorama. La
sua fama attualmente è mondiale, se si pensa che sono circa
156 i paesi che mangiano Frosted Flakes.
Analizziamo ora un vecchio spot americano in bianco
e nero degli anni sessanta. Tony presenta i Frosted Flakes
assieme al figlio Tony Jr, che è intento a suonare con difficoltà
una curiosa batteria meccanica. Quando i piatti mal coman-
dati dal piccolo lo colpiscono alle orecchie, Tony ammette che
l’uomo è più indicato per pubblicizzare il prodotto. La scena
cambia: dal set animato ci troviamo dentro ad una vera cuci-
na, in cui un bambino si accinge a fare merenda con i cereali
della tigre; la voice-over assicura che basta aggiungere solo
un po’ di latte, perché, con il segreto di Mr Kellogg’s, questi

97
spot frostred
flakes
screenshot
1960s

98
fiocchi dorati sono ready to eat. Una zoomata sulla scodella
ci mostra i cereali luccicare grazie a delle stelline cartoon. Il
reale si mescola con l’immaginario.
Rientra in scena Tony che chiede se si è pronti a mostrare
le energie accumulate con la merenda. La voice-over risponde
positivamente, mentre vediamo il ragazzo giocare fuori con
un amico; ovviamente sta vincendo il nostro amico, che poco
prima ha mangiato una scodella di energia.
Il bianco e nero spinge i pubblicitari a trovare un esca-
motage per far percepire l’energia ruggente che dalla tigre,
che in qualche modo la impersona, si trasferisca all’ipotetico
consumatore: il bambino scelto per lo spot è alto, biondo e
slanciato, ma, soprattutto, indossa una maglia a righe che
richiama visivamente il pattern del manto di Tony.
Questa strategia metonimica sottolinea ulteriormente
il legame che viene a crearsi tra il ragazzo e Tony, infatti,
accade frequentemente […] che, il segno connotativo del prodotto
non abbia in comune con esso solo un certo significato attribuito
(ad esempio alla potenza della tigre e quella [dei cereali, il testo
originario del Volli parla di un diverso prodotto merceologico, la
benzina, ma l’analisi calza perfettamente con lo spot che qui si sta
analizzando] – secondo una modalità basata sulla somiglianza che
si può considerare metaforica), ma anche elementi tratti dal piano
dell’espressione (colori, forme, abiti, motivi iconologici, rime ecc.)
che si basano su una strategia metonimica della contiguità o della
parte per il tutto.
Questa ridondanza serve a ribadire il legame segnino che
si intende stabilire. Lo schema, volendone tracciare uno, mo-
stra una situazione di questo tipo:

tigre bambino
energico energico
ruggente ruggente
agile agile
atletico atletico
capace capace
sicuro sicuro
forte forte

dove la freccia indica un vero e proprio transfert di signifi-


cati. Attraverso il consumo del prodotto, come sottolinea la
voice-over, maschile e convincente, il bambino acquisisce
l’energia necessaria e, in metafora, le qualità che contraddi-
stinguono la tigre.

4.3 foxy

un animale sognato da kafka


“È un animale con una gran coda, lunga molti metri, simile a quella
d’una volpe. A volte mi piacerebbe tenerla in mano, ma è impossibile:

99
l’animale è sempre in movimento, la coda va sempre di qua e di là. La
bestiola ha qualcosa del canguro, ma la testa piccola e ovale non è carat-
teristica e ha qualcosa di umano; solo i denti hanno forza espressiva, che
li nasconda o che li mostri. Ho l’impressione che l’animale voglia ammae-
strarmi; altrimenti, quale scopo può avere ritirare la coda quando cerco di
afferrarla e poi aspettare tranquillamente che torni ad attrarmi per balzare
di nuovo via?”
franz kafka, Hochzeitsvorbereitungen auf dem Lande, 1953
(borges, 2006)

Sono innumerevoli gli animali antropomorfi creati per


promuovere un determinato prodotto, Foxy è un altro esem-
pio, più recente. La volpina dell’omonima carta assorbente
nel logo dell’azienda dorme accoccolata sulla sua coda, che si
presenta estremamente lunga, vaporosa, soffice ed avvolgen-
te, come una carezza e, metaforicamente, come la carta.
Nel primo spot televisivo della carta igienica, trasmesso
dalla televisione nel 1986, una navicella spaziale si reca in un
fantomatico pianeta-bagno, da cui chiama a gran voce Foxy.
Improvvisamente dal blu scende una scia languida e lumino-
sa come le stelle, che si immobilizza disegnando la sagoma
della famosa volpina. La pubblicità a questo punto recita:

La carta igienica del duemila è Foxy.


Chi può arrivare così in alto?
Foxy, la volpe la sa lunga…
e morbida.

Dal sito della itc, Industrie Cartaie Tronchetti, l’azienda


produttrice, si legge che la volpe, presente in tutti gli spot, […]
ha caratterizzato e reso unica l’immagine della marca, dimo-
strando di possedere, tra i consumatori, un elevatissimo grado di
riconoscibilità, comunicando familiarità, simpatia e naturalità. E,
ovviamente, morbidezza.
Foxy è in grado di rappresentare il prodotto in ogni media,
dalla televisione al grande schermo, dalla carta stampata pe-
riodica e quotidiana ad internet. E’ riconoscibile, ma versati-
le. Il blog italiano furrymania.it ospita una serie di post che
hanno come tema Foxy, riporto quanto scrive Gringo, utente
del blog, il 18 marzo 2010, in merito al difficile reperimento
online di vecchie versioni televisive degli spot con la volpe
come protagonista.

[…]Guarda io ci ho già provato e devo dire che tu sei stato quello più
fortunato perchè, a parte gli spot più recenti, dei vecchi non ce n’è
traccia sul tubo. Uno di cui andavo particolarmente pazzo era quello
di ambientazione spaghetti-western (ovviamente) dove un cowboy
stile Eastwood entra in un saloon e chiede una birra.
Il barista gliela tira, ma il bancone è talmente umido e bagnato che il
boccale scivola fuori rompendosi.
Allora il nostro pistolero estrae (con la tipica manovra) una confezione
da 2 di rotoloni Foxy e con essi asciuga il bancone. Nel finale compa-

100
spot foxy
screenshot
1986

101
re la bellissima volpina, disegnata bene come non mai, con cosce e
fianchi da pin-up, mentre abbraccia la sua foltissima coda ornata da
una stella d’argento da sceriffa che la rende ancora più sexy di quanto
è già. Questa ad esempio non si trova.

L’utente Hypercat risponde:

L’ultima versione di Foxy, quella da te citata, prende il meglio delle


precedenti versioni, il design più arrotondato della prima e la colorazione
più rossiccia della seconda.

[qui viene inserito dallo stesso utente il link all’ultimo


spot online sul canale di Youtube. Foxy appare qui solo verso
la fine dello spot, è muta e non sembra essere coinvolta in
quello che accade al protagonista, un piccolo Mozart intento a
scrivere su un rotolo la sua composizione musicale].

A dirla tutta c’è anche una versione 0 che è stata utilizzata una volta
sola, nella pubblicità dei Voilà, la prima in assoluto di una lunga serie
e in cui aveva un altro design ancora. Oltre a ciò ha anche avuto due
doppiatrici differenti. Forse è stata la difficoltà a trovarne ancora a
spingere la Foxy a restringere la sua volpina a ruoli non parlati, il che
mi suggerisce di dedicarle una fan art in cui solleva un cartello con su
scritto: “Cercasi doppiatrice!”, indossando una museruola con aria
mesta.

La volpina piace ai bambini, ricordando, se me lo si con-


cede, Lady Marian del celebre lungometraggio robin hood,
prodotto dalla Disney, ma seduce anche gli adulti. Inoltre,
nonostante risulti essere sensuale e maliziosa, femminile e
disponibile, non crea con le acquirenti alcuna sensazione di
competizione, anzi, al contrario, ispira complicità.
Analizziamo allora anche questa pubblicità attraverso lo
schema della favola di Propp.

Personaggi: Dei sette personaggi che Propp individua,


troviamo:

protagonista: la navicella spaziale


l’antagonista: lo sporco
cosa ricercata: la carta igienica
l’aiutante: Foxy

Schema strutturale generale:

equilibrio iniziale: la navicella fluttua nello spazio


rottura equilibrio iniziale: emergenza toilette, manca
la carta igienica per pulirsi
ristabilimento dell’equilibrio: Foxy scende dal cielo e
risolve il problema

Come si vede anche in questo spot, la storia si apre con

102
una situazione di equilibrio che deve essere ripristinata. Il foxy
prodotto da pubblicizzare, però, in questo caso, è rappresen- versione
tato dall’oggetto cercato, mentre Foxy, la volpina che incarna recente della
il brand, è chiamata a risolvere il caso. volpina
Ne ricaviamo l’immagine di un’aiutante formidabile, che
viene dall’alto, l’unica all’altezza della situazione e al passo
con tempi. Discende dal cielo e sotto luce stellare, illuminata
da un bagliore bianco e magico -idea di perfetta pulizia-, e lo
scenario futuribile della navicella fa da eco visivo a quanto
detto dalla voice-over -la carta igienica del futuro-.
E’ impeccabile e i prodotti che si presentano marchiati
dalla sagoma della volpe sono tra i più venduti in Italia.
Dal sito dell’azienda si legge che:

Oggi Industrie Cartarie Tronchetti (ICT) è una realtà giovane e


dinamica, divenuta uno dei produttori di riferimento per il mercato
Italiano come per quello Europeo. L’azienda ha incentrato la sua poli-
tica su 3 principi cardine: qualità da leader dei prodotti, efficienza e
servizio. La produzione e la trasformazione si avvalgono in Europa di
6 stabilimenti, di cui 4 in Italia, 1 in Polonia (ICT Poland) e 1 in Spa-
gna (ICT Iberica). […] La capacità produttiva globale del Gruppo ICT
ammonta al momento a circa 400.000 tonnellate annue, ripartite su
8 macchine di cartiera. La più recente di queste è stata avviata nello
stabilimento di Kostrzyn (Polonia) nel Febbraio 2008 ed ha apportato
una capacità addizionale di circa 70.000 tonnellate annue.
Del Gruppo ICT fa parte anche la Pozzani Disposables, azienda spe-
cializzata nella produzione di pannolini per bambini e prodotti per
l’assorbenza femminile in puro cotone.

Inoltre andando a vedere come viene presentata la stessa


marca, si scopre che:

È stata lanciata nel 1982 ed ha acquisito progressivamente un’ele-


vatissima notorietà (oltre il 90%) e una notevole familiarità con i
consumatori. Da diversi anni Foxy è stabilmente una delle marche più
vendute del mercato italiano con una quota a valore prossima al 9,0%.

La strategia che ha consentito questi risultati, poggia su 3 pilastri:

103
- alta qualità dei prodotti, che nell’ambito dei loro segmenti risultano
sempre ai più elevati livelli di gradimento dei consumatori;
- costante innovazione, che ha portato alla creazione di una serie di
prodotti unici e riconoscibili;
- regolare e solido sostegno pubblicitario, che ha consentito alla marca
di svilupparsi anno dopo anno.

Un elemento-chiave della strategia è stata anche l’associazione con


marchi importanti per specifiche operazioni promo-pubblicitarie.
Nella fattispecie è utile ricordare la partnership con UNICEF, che pro-
segue ininterrottamente da oltre 10 anni. Negli ultimi anni la marca
Foxy è stata lanciata anche in Spagna e Polonia, dove sta ripercorren-
do lo stesso cammino già sperimentato nel Pese d’origine.

Il sostegno pubblicitario, ottenuto grazie alla creazione


di una volpina antropomorfa che piace agli uomini, che
suscita l’affetto dei più piccoli e che ben si relaziona con le
donne, ha portato l’azienda a ricoprire un ruolo di leader nel
settore. Tra l’altro, la scelta della volpe trova sostegno in una
lunga tradizione letteraria, che vede questo animale sempre
capace ed intelligente. Non possiamo esimerci dal pensare,
infatti, ad altre volpi che nel corso dei secoli hanno impresso
nel nostro immaginario l’idea che abbiamo in testa del fulvo
mammifero. Branzaglia propone una possibile interessante
lettura della diffusa associazione volpe-furbizia: guardiamo
come vengono rappresentati i tratti aguzzi e spigolosi del suo
muso: la figura geometrica più utilizzata, anche nel caso della
nostra Foxy, è il triangolo. I vertici acuti ed appuntiti rap-
presentano l’acume, che riferito agli esseri umani è sinonimo di
intelligenza (branzaglia, 2003).

104
5. il valore dei nomi “We are many and will take a moment.
Our wisdom will appear to you before we do.”
pensiero sugli animali diffuso tra gli sciamani

Osservando gli animali antropomorfi fin qui presentati


salta agli occhi la costante determinazione del tipo di ani-
male attraverso il nome proprio del personaggio stesso. In
sostanza abbiamo parlato di Mickey Mouse, Bugs Bunny, Foxy,
Tony the Tiger, ma pensiamo anche a Donald Duck, Duffy
Duck, o il nostrano Topo Gigio… Tutti questi animali antro-
pomorfi hanno per cognome o addirittura in alcuni casi per
nome, il termine che specifica il loro essere topo, coniglio,
volpe, tigre…
Nell’identificazione attraverso il nome dell’animale,
andiamo immediatamente a recuperare nella memoria tutta
una serie di caratteristiche che, nel corso dei secoli, hanno
definito l’idea che abbiamo dello stesso animale.
I pubblicitari, rifacendosi ad un bestiario letterario,
offrono al pubblico l’immagine di un animale familiare,
proveniente dalla tradizione più antica, che conserva, quindi,
atteggiamenti e caratteristiche ben consolidate.
Anche qui, come accade nelle favole esopiane, l’animale
è introdotto attraverso l’uso dell’articolo determinativo, che
richiama un’immagine dal forte carattere araldico, traman-
dato da una favola all’altra. Tony the Tiger è l’archetipo della
propria specie e porta con sé, attraverso il nome, tutti i tratti
distintivi che lo caratterizzano nella generalità fisiche, mora-
li e psicologiche della sua specie.
Mickey Mouse è scaltro, vispo e riesce ad ambientarsi ra-
pidamente in ogni situazione, schivando i problemi come un
topo vero farebbe abilmente davanti a degli ostacoli fisici; il
suo personaggio risulta così convincente in ogni contesto.
Nel cercare un fondamento di base del rapporto uomo-
animale, Robert Delort fa riferimento proprio al nome con
cui vengono designati i vari animali; tali nomi, scrive l’auto-
re, sono un commento antropocentrico necessario all’indivi-
duazione e alla distinzione dell’animale. Le origini possono
essere varie, si possono trovare caratteri onomatopeici, vedi
il termine francese minou per il gatto, o i nostrani cuculo e
upupa derivati dal suono dei loro versi, o il termine spagnolo
perro, che deriva dal brrr brrr con cui il pastore chiama il

105
proprio cane, giudizi provenienti dai nostri sensi, vedi il caso
della puzzola, si trovano poi nomi che esprimono un apparen-
za, una funzione alla quale l’uomo assoggetta l’animale, è il
caso del termine latino musilegus (gatto), indicante colui che
prende il mus (topo), o lo spagnolo ternero (vitello), che evoca
la sensazione della sua carne al nostro palato.
Per gli occidentali cattolici, questo fenomeno nasce tra le
pagine della Bibbia, all’interno della quale la creazione degli
animali è avvenuta in due tempi; prima in massa ad opera di Dio,
nel quarto e quinto giorno della Genesi, poi, singolarmente, ad
opera di Adamo, in virtù del nome che questi ha attribuito loro;
nome conforme alla natura dell’animale, in quanto determina le
sue qualità e i suoi difetti, nel mondo unitario ed antropocentrico
tipico della concezione giudaico-cristiana (delort, 1987).
Nelle società animiste, sia primitive che contemporanee,
agli animali vengono riconosciute un’anima e precise qualità
che permettono allo sciamano o all’officiante del rito di inter-
pretare i messaggi naturali.
Questi significati nascono dall’osservazione diretta de-
gli stessi, si diffondono tra le comunità più antiche e con il
tempo s’imprimono nella memoria collettiva umana, poi,
attraverso miti e racconti ci raggiungono oggi, come eco di
un retaggio culturale risalente all’originario stato di natura
in cui l’uomo viveva, lontano dalla consapevolezza di essere
altro, assieme agli animali.
Il topo, per esempio, secondo lo sciamano, rappresenta
delle caratteristiche ben precise:

- sa imparare dalla vita la lezione


- è timido
- è calmo
- è attento ai dettagli
- agisce con cautela, ma furtivo
- sa guidare bene gli altri nelle scelte
- rappresenta la scoperta
- è abile nel passare inosservato

Lo stesso vale per il coniglio.

- astuzia
- paradosso e contraddizione
- vive del proprio ingegno
- è ricettivo agli insegnamenti più nascosti
- pensa rapidamente
- è umile
- è capace di forti intuizioni

Il personaggio di Mickey Mouse è perfettamente ricono-


scibile con lo spirito che viene riconosciuto al topo e lo stesso
vale per Bugs Bunny con lo spirito del coniglio. Il personaggio
coincide con l’idea dell’animale, che la precede e ne deter-
mina la definizione. L’animale che noi prendiamo in consi-

106
derazione, può essere pensato e capito solo attraverso la sua
rappresentazione, che media tra noi e il vero animale.
L’universo in cui viviamo oggi si presenta caratterizzato più
di altri da un’integrazione che collega insieme molti aspetti della
nostra vita e della nostra cultura, inviando a un’analisi condotta
secondo una prospettiva antropologica globale meglio che a una
serie di ricerche che tengano separati aspetti, settori e livelli cultu-
rali (ferraro, 2001).

107
6. il caso del giappone cuties

L’immaginario cuties focalizzato dai teen agers giapponesi invade l’Occi-


dente in lungo e in largo.
carlo branzaglia, 2003

It could be a regression that everybody – adult, children, male and fe-


male, intellectuals and non intellectuals, Westerners and Easterners – is
acting like a child. However, this could be a necessary step to create a new
culture for our future.
amaeno kouzou, 1974

Miki Kato, in un articolo comparso sulla rivista eye


nell’estate del 2002, presenta l’ossessione tutta giapponese per
quelle che lei definisce cute icons, icone che hanno largamen-
te sedotto anche l’occidente e sembrano essere un corposo
leitmotif della cultura contemporanea.
Nonostante lei non faccia alcun cenno al fenomeno
avvenuto in occidente, di cui si è discusso in questa tesi, mi
sento di riportare alcuni importanti passaggi che motivano
e raccontano l’esperienza orientale e che, ad un certo pun-
to, grazie alla globalizzazione mediatica, hanno dato vita a
nuove creature ibride che vivono trasversalmente in tutti i
continenti. Secondo la Kato, l’aspetto delle mascotte, tanto
amate nel suo paese, nasce dalla più tradizionale cultura
estetica giapponese; seppure, di primo acchito, l’affermazio-
ne possa apparire alquanto anomala, si tenterà, adesso, di
riassumere le motivazioni che l’hanno condotta a formulare
questa teoria.
L’estetica giapponese è basata su tre imprescindibili ca-
pisaldi: la semplicità, l’irregolarità e la temporaneità; pecu-
liarità, queste, tipiche della natura alla quale il Giappone è
strettamente legato.
Il termine kirei, significa bello, ma implica al contempo
l’idea di semplice e di perfezionato, rimanda, quindi, ad un
minimalismo di gusto tutto giapponese, ampiamente cono-
sciuto a livello mondiale, ne fa da esempio l’arte dell’ikebana.
Le mascotte sono il risultato di una semplificazione simile:
le facce vengono ridotte a pochi, semplici elementi, punti e
linee per occhi e labbra, e i corpi sono ridotti, attraverso un
processo d’infantilizzazione, a poche elementari forme.

109
afro ken
gadgets
2009/2010

110
L’incompletezza suggerisce la possibilità di una crescita
nel futuro e permette agli oggetti di rientrare nel naturale,
con la loro imperfezione, tipica delle forme organiche. Le
mascotte, allora, nella loro ingenua irregolarità, si oppongo-
no alla fredda tecnologia imperante e ai restrittivi obblighi
sociali giapponesi, in primis all’utilizzo della divisa.
Personaggi come Hello Kitty, Afro Ken e Kyoro-Chan sono
prodotti da consumare continuamente ma temporalmente:
prikura e gadget di ogni tipo vengono prodotti stagionalmen-
te, secondo stili sempre nuovi ed accattivanti poiché il loro
valore ricade proprio nell’essere effimeri. Un determinato
animaletto deve necessariamente essere acquistato nello stes-
so momento in cui esso fa capolino nel mercato, tutti sanno
che la sua durata è limitata e presto verrà sostituito da un
nuovo stile. Carpe diem, si potrebbe aggiungere.
La semplicità è perfettamente rappresentata dagli ideo-
grammi dell’alfabeto giapponese, i kanji. L’origine antica è
sicuramente pittogrammatica, ma l’alfabeto come noi oggi lo
vediamo, è risultato di un processo di astrazione e stilizzazio-
ne. Il termine ideogramma racchiude in sé il concetto di idea.
I giapponesi sanno come trasmettere informazioni attra-
verso l’impiego di forme visuali, le mascotte rientrano perfet-
tamente in questo modo di comunicare ed è per questo che
sono così ampiamente diffuse. Il fenomeno, infatti, non inve-
ste solo bambini ed adolescenti, ma abbraccia l’intera popo-
lazione. In Giappone i cosiddetti character sono ovunque, dai
poster, alle insegne tridimensionali, ma soprattutto non sono
legate alle attività rivolte ai giovani, ma si possono incontrare
per farmacie, negozi, stazioni di polizia, cantieri stradali, ali-
mentari… È buona abitudine, per qualsiasi giapponese, essere
autoironico, lo scherzo e la simpatia sciolgono il ghiaccio e
permettono di relazionarsi in maniera più intima anche con
chi si conosce appena. È importante essere sorridenti, dispo-
nibili. Indossare un abito con impresso il faccione di Afro
Ken o averne un pupazzetto appeso allo zaino significa essere
amichevole, divertente, non pretenzioso.
La Kato continua, introducendo il termine amae con il
quale indica una prerogativa tutta infantile di comportarsi,
apprezzata dall’intera società; quando si vuole dimostrare
rispetto e considerazione nei confronti di qualcuno, l’amae la-
scia che sia questo a scegliere per lui, a condurlo. “not having
an individual voice is considered a traditional virtue in Japan and
this attitude is based on the idea of amae” (kato, 2002).
Questo comportamento infantile si traduce nell’abbigliar-
si, ma anche nel comportarsi come farebbe un bimbo; moltis-
sime donne giapponesi allora si accingono a tradurre questa
idea vestendo come fossero bambine. L’uomo sa e apprezza
questa sorta di subordinazione consapevole. Ecco che, adesso,
possiamo fare riferimento all’essere kawaii, che significa, a
grandi linee, essere innocente e privo di tratti negativi, e evi-
tare al prossimo inutili quanto gratuite emozioni provocate
dalla vista di espressioni tristi.

111
idle idols:
masamu kun

insegne
ristoranti
carne maiale

satolo chan

112
kawaii
maruneko
portachiavi

kawaii cute
bamboline in
gomma

113
Le mascotte con le loro forme arrotondate, danno idea di 1.
mitezza e tenerezza. cito da Wikipedia:
Le ragazze giapponesi si ricoprono di gadget che raffigu- Harajuku (alloggio nel
rano le loro mascotte per essere kawaii, ma soprattutto per prato) è il nome comune
rispondere ad una crescente alienazione che la società di della zona circostante
massa impone loro. Scegliendo il loro animaletto preferito, la stazione di Harajuku,
esse possono, in un certo modo, uscire dall’anonimato cui la sulla linea Yamanote, a
produzione di massa le obbliga, entrando a far parte di un Shibuya, uno dei 23 quar-
gruppo, dando alla propria voce una forza corale. Lo street- tieri speciali di Tokyo.
style diffusosi ad Harajuku1, ma conosciuto in tutto il mondo, L’area è universalmente
fa parte di questo tentativo di realizzazione ed identificazione nota per essere una fuci-
personale mediante la partecipazione ad un gruppo. na di stili di strada e le
I rapporti umani sono tenuti assieme attraverso una fitta tendenze giovanili estre-
rete di contenuti virtuali, che però si presentano come già mamente innovative.
portatori di significati e quindi immediatamente recepibili.
Le mascotte risultano quindi comode, rapide ed efficaci. Ecco
perché tutta la società giapponese comunica attraverso questi
personaggi tridimensionali, come dimostra il libro idle idol,
una raccolta realizzata da Edward e John Harrison. Il titolo fa
riferimento alla loro staticità, because the statues are generally
motionless, sitting or standing still as people go about their lives.
Lo shintoismo, la religione tradizionale giapponese, riconosce
la presenza di un’anima in tutto l’universo, esseri inanimati e
viventi, animali e uomini.
Nei templi, lungo le strade, nei cimiteri è diffusa la
presenza di statue che rappresentano la divinità, le jizo,
che hanno una funzione protettrice; gli Harrison vedono in
questo fenomeno, la storica propensione dei giapponesi alla
figurazione tridimensionale di un concetto, che in tempi con-
temporanei assume anche una valorizzazione atea, ma, non
per questo, di minore rilevanza.

6.1 cuties. sono dappertutto

E’ palese, Hello kitty, la gattina nata originariamente in


Giappone, imperversa, in realtà, oggi, nell’intero pianeta. I
prodotti che la ritraggono ricoprono qualsiasi campo merceo-
logico: dalla cartoleria alla gioielleria, dall’abbigliamento agli
elettrodomestici, dai mezzi di trasporto privati ai prodotti
riservati ai pets.
Seppure moda peculiarmente femminile, essa è riuscita
a trovare i favori tra diverse fasce d’età: molte donne adulte
occidentali, infatti, si addobbano con oggetti che presenta-
no la gattina dal fiocchetto rosa, senza prestare attenzione
all’aspetto infantile che questo atteggiamento evidenzia.
Il personaggio nasce dall’antica tradizione dell’estetica
giapponese, basata, come abbiamo visto, sul principio del
kirei, ma presenta novità interessanti rispetto all’animale
antropomorfo conosciuto in occidente fino ad oggi.
Innanzitutto gli elementi geometrici che la definiscono, in
realtà, non la definiscono.

114
harajuku
ragazze kawaii
in harajuku

115
Gli occhi sono due semplici punti, secondo un estremiz- 1.
zato processo di semplificazione. Il naso è figurato con una cito da Fabbri, Diffor-
circonferenza, un piccolo naso “a patata”, tondeggiante, come mità del viso, 1995. Da
quello dei bambini. La bocca manca. AAVV, identità-Alterità
Hello Kitty non sente, non prova alcuna emozione, quindi figure del corpo, Biennale
non esprime nulla. di Venezia, Esposizione
La sua faccia, ridotta ai minimi termini, è in grado di Internazionale d’arte,
assorbire lo stato d’animo con cui noi la guardiamo, proiet- Marsilio, Venezia, 1995
tandoci di riflesso noi stessi. “Faccia, volto, viso non
Il paradigma fisionomico e la decifrazione patognomica sono sinonimi. Variano in
sono tenuti lontani attraverso l’eliminazione dei segni resti- modo non riducibile alle
tuenti qualsiasi eventuale passione stereotipata. Ogni volta categorie stilistiche che le
che ne sentiamo il bisogno, possiamo scappare dalla realtà dispongono sulla scala di
con lei. Lei non ci obbliga ad essere felici, né ci abbandona un valore: più popolare è
qualora ci sentiamo tristi. la faccia, poi il viso e, più
È una compagna silente, ma sempre presente. L’amica elevato, il volto. [...] Sono
perfetta che non ha pregiudizi e non giudica – non può farlo parole con diverse fisio-
– ma che semplicemente, nel suo aspetto, suscita sentimenti nomie. Il viso è un’ani-
di tenerezza e, immediatamente, ci fa sentire sicuri e culla- mazione della faccia e il
ti, riportandoci metaforicamente direttamente al grembo volto il suo orientamento
materno. Parafrasando Fabbri1 possiamo dire che Hello Kitty di relazione. La faccia, più
si presenta esclusivamente con una faccia, ma è totalmente prossima al portamento,
priva di viso e ancor più di volto, non è orientata. è una superficie d’oscri-
Su di lei non trovano spazio le espressioni che con la zione dei tratti offerti
tradizione mimica si sono immobilizzate in segni iconici ben allo sguardo altrui. Anche
precisi. La mancanza di tratti significanti nella rappresenta- la faccia vede e di dispone
zione del muso di questa gattina, asseconda l’inesistenza di [...], ma il viso - e anco-
narrazione che contraddistingue i nuovi personaggi animati: ra di più il volto - sono
gli stati d’animo, espressi attraverso smorfie di piacere o di- maggiormente orien-
spiacere sono da sempre strettamente connessi all’esistenza, tati: guardano all’altro
alla partecipazione individuale alla vita terrena, il character nell’intensificazione della
design odierno propone, invece, personaggi bidimensionali sinergia o dell’allergia.”
e tridimensionali che, pur derivando dai loro antenati prota-
gonisti di cartoni, fumetti e videogiochi, essi sono trasportati
attraverso la rete del virtuale, […] hanno assunto il ruolo di un lin-
guaggio transculturale privo di sintassi o alfabeto [anche facciale-
espressivo]. [Come] logotipi, i personaggi operano attraverso
l’astrazione e raggiungono indistintamente giovani e adulti. […] I
personaggi sono in qualche modo slegati dalla narrazione: pos-
sono avere un ruolo in una storia, ma esistono di per sé, immersi
o meno in un mondo-scenario graficamente coerente (fornari,
2006). L’invenzione dei nuovi personaggi è un’esteriorizzazio-
ne dell’ornamento cui faceva riferimento Barthes. Rifuggita
la natura, ne abbiamo creato un fake che esiste di per sé, non
necessita d’altro se non di una proiezione.
L’altra faccia dell’iper-reale consiste nell’astrazione della
natura, nella perdita della figurazione. Siamo entrati nel
mondo dell’inorganico.
Ecco che, a poco a poco, i tratti fisici di questi personaggi
si allontanano dall’aspetto animale, come da quello umano e
si presentano come quasi-forme, seppure ancora antropomor-
fe. Forme prime, tra l’organico, e il geometrico.

116
hello kitty
Il passaggio avanza di pari passo col futuro di androidi e
pupazzetto in
di realtà virtuale verso cui ci stiamo muovendo: liberati dalle
gomma
incombenze del reale naturale, ci piace credere di poterci
risolvere in una nuova realtà totalmente artificiale.

117
7. uomini con la furry
pelliccia
Nel 1973, con l’uscita del cartone d’animazione Disney
robin hood si tende a far risalire l’inizio del fenomeno furry,
ma è solo dopo la comparsa di Albedo, un personaggio del
fumetto disegnato dall’artista Steve Gallacci intitolato albedo
anthropomorphics che si definisce meglio il fenomeno.
Da qualche decina d’anni, inizialmente in Nord America
e Canada, ma ora anche in Giappone e in Europa, ha preso
vita un movimento underground che si interessa di tutto ciò
che concerne il mondo dell’animale antropomorfo, definito
come furry.
Il termine furry deriva da fur, con cui in inglese si indica la
pelliccia e rimanda immediatamente agli animali pelosi, ma
per estensione, si è soliti indicare anche quelli ricoperti da
squame o piume. Il furry è un animale che proviene da una
lunga tradizione letteraria e che, con il tempo, ha raggiunto
un elevato grado di antropomorfizzazione. Esso vive in socie-
tà perfettamente organizzate che rispecchiano quelle umane,
parla e ragiona come un uomo. Internet è stato indispensabi-
le per la diffusione del mondo furry, il furry fandom, cioè la
comunità di fans che ruota attorno ai furry.
Da avatar per giochi di ruolo e chat ora questi animali
antropomorfi sono fonte di ispirazione e vengono organizzate
convention in cui si parla di furries, si scambiano esperienze
sul tema e ci si traveste. La convention più famosa si tiene
ogni anno in California ed è chiamata ConFurence.
Colui che riveste i panni di un furry, sentendosi vicino a
un determinato animale, viene definito anch’esso furry e,
seppure non sempre, capitano casi in cui si perda il contatto
con la realtà e si preferisca vivere liberando la propria ani-
malità attraverso il travestimento anche nella vita di tutti i
giorni. In internet si trova diverso materiale a riguardo e non
mancano testimonianze e interviste come quella tenuta da
Amy Coombs a Adam Riggs su www.theregister.co.uk.
Riggs è un programmatore di computer che lavora a Sili-
con Valley, dove risiede la più numerosa comunità di furries.
Dopo essere stato ratto e panda, ora veste i panni di un vapo-
roso procione blu. Secondo Nicodemus – questo il nome con
cui è conosciuto tra i suoi amici furry – ci sono tantissime
persone che non si sentono a proprio agio con il loro corpo,
a volte è questione di genere, altre di corporatura… Essere

119
120
furry significa risolvere la discrepanza tra l’animale che ci
si sente imprigionato dentro e il corpo con cui siamo venuti
al mondo. Significa trovare un modo semplice per entrare in
relazione con altre persone, se normalmente si trovano delle
difficoltà nel farlo. Quando si parla di queste persone, le si
dipinge spesso come affette da problemi di natura sessuale,
è diffusa l’idea che le convention abbiano ragione d’esistere
nella liberazione di istinti sessuali altrimenti repressi; non
tutti, effettivamente, negano.
Ma i costumi, si legge ancora nell’intervista, sono molto
costosi e delicati, sporcarli di sudore o di sperma può rovi-
narli; ecco perché solo alcuni sono disposti a farlo. Durante
questi incontri vengono allestite delle sale apposite in cui chi
sta soffrendo di caldo può per un attimo liberare la propria
testa, togliere la maschera e bere qualcosa con altri amici.
Costruirsi una fursuit richiede molto tempo, ma comprar-
ne una ben realizzata può superare anche i 2.000 €. In alcuni
casi si parte riassemblando travestimenti di mascotte spor-
tive, mentre in altri casi vengono aggiunte sofisticate parti
elettroniche che permettono il movimento di palpebre e
mandibole. Chiude l’intervista un certo Howling che sostiene
che i furries siano persone che normalmente passano molte
ore da soli a giocare online a Word of Worldcraft, secondo la
sua esperienza essere furries è un modo come un altro per
uscire di casa e farsi qualche nuovo amico.
Una volta indossati i panni di un animale, ci si sente
liberi si potersi esprimere con meno remore e non manca
chi palesa le proprie inclinazioni sessuali. Per accontentare i
furries eterosessuali, omosessuali e bisessuali si è sviluppata
una pornografia ad hoc con degenerazioni che toccano anche
la pedofilia: sotto l’acronimo yff, per esempio, su youtube si
riescono a trovare video che nascondono nel mezzo della loro
durata alcuni frame in cui appare una Young Fuckable Furry,
spesso sottomessa e sofferente.
Il termine non va confuso con il più innoquo yiff, con cui
invece si indica, più in generale, il sesso in ambiente furry e
che deriva dal verso emesso dalle volpi quando si accoppiano.

121
conclusioni
Questa tesi è nata dall’esigenza di ricostruire il percorso
attraverso cui gli animali sono stati portati da uno stato di
natura al tempio di glorificazione della merce, il supermerca-
to. L’antropomorfizzazione dell’animale e la sua tipizzazione in
tratti riconoscibili sono modi attraverso cui l’uomo semplifica
l’altro e sé stesso, in un processo di proiezione per cui trasfe-
risce le sue qualità nell’altro da sé, per guardarsi meglio.
Come si è raccontato nelle prime pagine di questa tesi,
Pasifae, moglie del re di Creta Minosse, incapace di resistere
al fascino di un toro, si fa possedere dallo stesso nascosta
dentro una scultura di legno dalla forma di giumenta; una
delle figure più celebri della mitologia classica, il Minotauro,
nasce dall’unione tra uomo e animale e nelle sue fattezze ne
incarna l’aspetto ibrido. L’animale più celebre comparso nella
Bibbia, il serpente, tenta Eva, e induce il primo uomo e la pri-
ma donna a peccare, esso è l’incarnazione stessa del demonio
e di tutte le forze del male.
Racconti mitologici o biblici, letteratura favolistica e
tradizione orale fanno oscillare il rapporto uomo/animale e
quest’ultimo, di volta in volta, viene visto come dotato di ani-
ma, o come bestia, metafora di un’istintualità da cui l’uomo
vuole rifuggire.
Secondo Bronislaw Malinowski, il mito conferma, giustifica
e dà valore agli usi, alle istituzioni e alle credenze della comunità
sociale, in altre parole, il mito racconta agli uomini i perché
della realtà e nella sua narrazione lascia ampio spazio all’ani-
male, con cui l’uomo vive e si racconta da sempre.
Nelle teorie di Levi-Strauss sul totemismo, gli animali
hanno dato sostegno al discorso strutturale. La natura della
conoscenza umana si basa su una griglia formale all’interno
della quale è possibile introdurre nuovi contenuti, che vengo-
no ordinati in modo del tutto convenzionale.
La nostra natura è simbolica.
L’attribuzione di poteri sovrumani all’animale nelle
religioni pagane, si trasferisce, nella contemporaneità, nella
figura del supereroe, forma d’avvicinamento dell’uomo alla
divinità infusa all’animale attraverso l’attribuzione di valore
totemico. È ancora mito, è il nuovo mito. Nel presente, miti e
favole coesistono fianco a fianco, scrive Levi-Strauss in un inter-
vento tra le pagine di morfologia della fiaba, di Vladimir
Ja. Propp, […] mito e favola sfruttano una sostanza comune, ma
ognuno alla sua maniera. La loro relazione non è di anteriore e po-

125
steriore, da primitivo a derivato, ma è piuttosto una relazione di
complementarietà. Le fiabe sono miti in miniatura. […] E ancora,
nelle nostre società contemporanee, la fiaba non è un mito residuo,
ma certo soffre di essere rimasta sola. La scomparsa dei miti ha
rotto l’equilibrio e, come un satellite senza pianeta, la favola tende
ad uscire dall’orbita e a lasciarsi captare da altri poli d’attrazione.
Nel sistema economico capitalistico la fiaba è stata ridotta a
gravare attorno alla comunicazione pubblicitaria, che inventa
nuove realtà autonome, rispetto ai contenuti originali.
I vecchi animali dei miti rinascono come animali econo-
mici, ibridi antropomorfi che perdono ogni connotazione mi-
tologica antica e seducono col sapore di nuovo, alimentando
in noi il desiderio perenne e inappagabile di merce. I nuovi
animali “totemici” hanno in sé l’anima stessa del commercio;
ci attirano e ci inducono a comprare, mostrandoci a specchio,
coi loro sorrisi, uno stato di perenne, gioiosa soddisfazione.
L’uomo prova piacere quando davanti a sé vede un anima-
le umanizzato, risultato culturale finale di un lungo processo
iniziato con l’addomesticamento.
La deterritorializzazione degli animali veri, avvenuta con
le prime esperienze di allevamento e affermatasi in seguito
al fenomeno industriale, ha trasformato l’animale in un pro-
dotto e ha reso mobile lo stesso termine animale, che, oggi, è
entrato nel sistema di comunicazione risemantizzato, come
avviene ad ogni oggetto proveniente dal sistema di produ-
zione di massa. L’animale vero è stato catturato e introdotto
in nuovi ambienti artificiali per rispondere ai desiderata
dell’uomo: lo troviamo nell’industria alimentare, addome-
sticato all’interno delle nostre abitazioni, esposto nei parchi
zoologici (da vivo), nei musei naturali e appeso alle pareti
(tassidermizzato). Quest’ultima pratica è molto interessante,
perché si fa metafora di uno svuotamento di contenuti, per
una risemantizzazione artificiale.
Le mascotte animali che compaiono per promuovere i pro-
dotti del supermercato, colmano il vuoto che ci separa dalla
natura e ne simulano una nuova realtà; esse sfruttano la loro
capacità di alimentare il desiderio d’acquisto nei bambini e
negli adulti - nostalgici della propria infanzia.
Il termine simulacrum, introdotto dal francese Baudrillard,
si riferisce ad una assenza, ma la nasconde, dando per vero il
contrario: [il simulacro] è la verità che nasconde che non ce n’è. Il
simulacro è vero (baudrillard, 1980).
Secondo un principio di spettacolarizzazione, a questo
punto, gli animali antropomorfi impiegati come mascotte,
devono esprimere emozioni immediatamente comprensibili
ed empatiche, inducendo l’uomo all’acquisto.
Nell’animale antropomorfo le emozioni sono, quindi,
facilmente interpretabili: gli occhi di Mickey Mouse, come
abbiamo visto, non danno alcuna vertigine; la sensazione è
esattamente opposta a quella provata dal poeta Rilke davanti
allo sguardo imperscrutabile di un animale vero. Come si è
descritto analizzando la costruzione del volto del character,

126
la realizzazione dell’espressione patemica, si concretizza in
un’esagerazione dei tratti somatici, che, nel caso degli anima-
li che compaiono nel packaging dei prodotti da promuovere-
val supermercato, vanno ad esprimere una gioia esasperata.
L’animale antropomorfo è una generazione artificiale che
porta con sé la storia archetipica dei termini contrari uomo/
animale e, più in generale, cultura/natura. La tesi ha cercato
di raccontare questo percorso di culturalizzazione e industria-
lizzazione dell’animale, cercando conferma nella mitologia,
nella letteratura, nel cinema e nel fumetto.

127
pigs

Big man, pig man, ha ha, charade you are


You well heeled big wheel, ha ha, charade you are
And when your hand is on your heart
You’re nearly a good laugh
Almost a joker
With your head down in the pig bin
Saying ’keep on digging’
Pig stain on your fat chin
W hat do you hope to find?
W hen you’re down in the pig mine
You’re nearly a laugh
You’re nearly a laugh
But you’re really a cry.

Bus stop rat bag, ha ha, charade you are


You fucked up old hag, ha ha, charade you are
You radiate cold shafts of broken glass
You’re nearly a good laugh
Almost worth a quick grin
You like the feel of steel
You’re hot stuff with a hat pin
And good fun with a hand gun
You’re nearly a laugh
You’re nearly a laugh
But you’re really a cry.

Hey you whitehouse, ha ha, charade you are


You house proud town mouse, ha ha, charade you are
You’re trying to keep your feelings off the street
You’re nearly a real treat
All tight lips and cold feet
And do you feel abused?
...!...!...!
You gotta stem the evil tide
And keep it all on the inside
Mary you’re nearly a treat
Mary you’re nearly a treat
But you’re really a cry.

roger waters, david gilmour, 1977


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http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/b/be/PinkFloydPig.JPG

137
la pantera (nel jardin des plantes, parigi)

Davanti allo scorrere delle sbarre, il suo sguardo



è diventato così stanco, che non trattiene più nulla.

Per lei, è come se ci fossero migliaia di sbarre,

e, dietro a migliaia di sbarre, nessun mondo.

Il morbido procedere dei suoi passi, agili e forti,



che si riavvolgono su cerchi sempre minori,

è come una danza di forze intorno ad un centro,

in cui, assopita, sta una grande Volontà.

Solo a volte si solleva, senza rumore, 



il sipario delle pupille. - E allora un’immagine vi entra,

e attraversa il silenzio teso delle membra –

e, nel cuore, muore.

reiner maria rilke, 1902


il carattere usato per il testo è lo swift,
disegnato da Gerard Unger, 1987
La Swift® Font Family fa parte della Linotype Originals.

Le didascalie e le titolazioni sono state composte con il carattere gill sans


disegnato da Eric Gill, 1931
Prodotto dalla Monotype

Finito di stampare in marzo 2011,


presso Papermedia, Treviso.
Alessia,
Enrico,
Federica,
Francesca C.,
Francesca S.,
Giacomo,
Martina,
Matteo,
Paul,
Silvio,
Sergio,
Valeria B.,
Valeria M.,
grazie.

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