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Carlo I e il parlamento
Dopo l'ascesa al trono di Carlo I (1625-1649), si aggiunsero alle tensioni religiose i
conflitti tra il re e il parlamento; questi conflitti furono causati dal fatto che il
parlamento negò varie volte al re il diritto di imporre tasse senza il suo consenso.
Carlo, che necessitava di finanziare la guerra contro la Spagna, impose allora un
prestito e fece arrestare i magistrati che si rifiutavano di applicare i suoi editti. Nel
1628 i parlamentari presentarono al re una petizione, con la quale gli ricordarono che,
per mezzo delle leggi, i suoi sudditi avevano ereditato la sicurezza di non poter essere
obbligati a pagare tasse senza il consenso del parlamento. Carlo I sciolse allora il
parlamento e, per undici anni, non ne convocò altri, facendo fronte ai propri problemi
finanziari aumentando i monopoli commerciali e la loro vendita, riscuotendo dazi
doganali non autorizzati dal parlamento, estendendo a tutte le città la tassa per il
mantenimento della flotta che prima veniva pagata soltanto dalle città costiere. Nel
1638, il periodo di governo personale di Carlo si interruppe: al tentativo di imporre la
chiesa dello stato in Scozia, la popolazione si sollevò e costrinse Carlo I a convocare le
Camere per per ottenere i sussidi per riuscire a sottomettere gli scozzesi; questa
assemblea durò solo per tre settimane e, per tale motivo, fu denominata “breve
parlamento”. Il “breve parlamento” si riunì nuovamente nel 1640 e, dopo aver
presentato una lista di abusi da cancellare, indusse il re a scioglierla meno di un mese
dopo. Tuttavia, quando gli scozzesi attraversarono la frontiera inglese, Carlo I dovette
convocare un nuovo parlamento e da novembre si trovò davanti a un'ostilità generale.
Il re dovette accettare che il suo primo ministro fosse condannato a morte e che
l'arcivescovo di Canterbury venisse arrestato; inoltre, le Camere approvarono una
legge che disponeva la convocazione del parlamento ogni tre anni anche in mancanza
di approvazione del re e vietava il suo scioglimento fino alla fine dei lavori.
Contemporaneamente al parlamento, Carlo I si ritrovò a fronteggiare la rivolta
dell'Irlanda (1641).
La restaurazione di Carlo II
Alla morte di Cromwell, l'Inghilterra si trovò in una situazione di instabilità politica.
L'esercito nominò come successore di Cromwell suo figlio; tuttavia, questi abbandonò
l'incarico dopo pochi mesi. Per paura di una ripresa del movimento livellatore, nel
1660 la parte più conservatrice dell'esercito rimise in carica il parlamento eletto nel
1640, ormai ridotto a poche decine di membri. Questo parlamento preparò la
restaurazione della monarchia e richiamò dall'esilio Carlo II. Il ritorno del re comportò
la restaurazione della chiesa anglicana e della camera dei Lord, e il proseguimento
della politica mercantilista attuata da Cromwell. Ciò portò ad un secondo scontro con
l'Olanda che, nel 1677, fu costretta a cedere all'Inghilterra le sue colonie
nordamericane; in particolare, l'Inghilterra acquisì l'isola di Manhattan, ribattezzata
New York.
La politica fiscale
Per quanto riguarda il sistema fiscale, Colbert cercò di eliminare, o per lo meno ridurre,
la corruzione e gli sprechi nella riscossione delle imposte; per fare ciò, egli ridusse il
debito pubblico e riordinò le finanze. Tuttavia, Colbert non fu in grado di eliminare le
sanzioni e le disparità sociali e regionali nella distribuzione del carico fiscale;
quest'ultimo, infatti, era fondato su criteri differenti tra il nord e il sud. La taglia (ossia
l'imposta diretta) aveva come fondamento il valore delle proprietà; a nord, invece, gli
uffici centrali decidevano l'ammontare totale dell'imposta che, poi, andava divisa fra i
gruppi familiari. Per le imposte indirette che colpivano i consumi (il sale in maniera
particolare),restava in funzione il sistema dell'appalto: i finanzieri privati anticipavano
allo stato l'ammontare dell'imposta e poi provvedevano a riscuoterla per mezzo di loro
impiegati; ciò dava luogo a corruzione e soprusi. Tuttavia lo stato non poteva fare a
meno dei finanzieri, dai quali otteneva spesso il pagamento anticipato di imposte e
prestiti di cui aveva bisogno in caso di guerra. Nel 1695 fu istituita una nuova imposta
diretta senza sanzioni e privilegi: la “capitazione”; tuttavia questa, dopo varie vicende,
procurò un guadagno sempre minore. A questo punto, il ricorso al debito pubblico
divenne sempre più massiccio e una quota crescente delle entrate fu assorbita dal
pagamento degli interessi mentre il bilancio restava continuamente in deficit. In
conclusione, il carico fiscale continuò a gravare sui contadini e l'assolutismo si fece
sentire relativamente poco sulle classi privilegiate.
La politica religiosa
L'assolutismo ottene risultati clamorosi nel settore religioso. Luigi XIV, sebbene nel
1598 riconfermò l'editto di Nantes, cominciò a consentire persecuzioni contro i
calvinisti, per spingerli a farli convertire alla religione cattolica; in particolare, i
calvinisti erano obbligati a dare alloggio ai militari e a sostenerli. Nel 1685, Luigi XIV
rievocò l'editto di Nantes affermando che in Francia non erano più presenti calvinisti:
questi emigrarono verso altri paesi portando con sé le loro competenze di artigiani
tessili e dando, quindi, un duro colpo all'economia francese. Il programma assolutista
di Luigi XIV lo portò anche a reprimere il diffuso movimento dei giansenisti. Sebbene
da questo punto di vista Luigi XIV affiancava il papa, non accettava il suo primato della
chiesa di Roma sulla chiesa francese; fu proprio contro il papa che Luigi XIV combatté
la sua terza battaglia religiosa (1682).