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LARCHEOLGIA CON GLI OCCHI DI SILVIA


Atti dellA giornAtA di studi per ricordAre VAleriA silViA MellAce
Palazzo Massimo alle Terme, 7 marzo 2009, Roma

AnnA GAllone e SAbrinA ZottiS

a cura di

Edizioni Prampolini
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PREFAZIONE

Questo volume raccoglie gli interventi presentati durante la giornata di studi Larcheologia con gli occhi di Silvia, tenuta il 7 marzo del 2009 a Palazzo Massimo alle Terme (Roma) per ricordare larcheologa Valeria Silvia Mellace, nostra amica e collega, prematuramente scomparsa nel dicembre del 2008. In quelloccrsione abbiamo voluto ricordare Silvia attraverso il suo percorso formativo e lavorativo, e attraverso le parole di amici e colleghi che lavevano incontrata e avevano condiviso con lei gioie e dolori della professione di archeologo. La giornata di studi scaturita da uno spunto di Renato Sebastiani, che ha trovato anche la sede in cui svolgerla, ed stata organizzata dal DAT. Il DAT nato da unidea buttata l in un caldo pomeriggio estivo romano, sorseggiando una birra ristoratrice dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro sullo scavo del Nuovo Mercato di Testaccio. Tutti noi archeologi (pi di venti!) impegnati su quello scavo eravamo pian piano passati dallessere semplici colleghi allessere veri amici, e per questo avevamo bisogno di trovare un modo per non perderci di vista alla fine di quel lavoro, che come tutti i cantieri di emergenza era destinato a finire. E cos tra una risata, una nocciolina e un sorso di birra abbiamo deciso che saremmo diventati una associazione culturale che si sarebbe occupata in primis della divulgazione della storia del rione Testaccio, che tutti noi avevamo imparato a conoscere e che era stata in qualche modo il collante della coesione del nostro gruppo. La prima ad essere entusiasta di questidea fu proprio Silvia, nella quale oltre tutto noi vedevamo lanima del gruppo dato che era la decana del5

lo scavo del Nuovo Mercato di Testaccio, avendolo iniziato insieme a Silvia Festuccia quattro anni prima. A quel punto per cera il problema di trovare un nome alla nascitura associazione; ma dopo pochi minuti ci rendemmo tutti conto che lo avevamo gi: D[opolavoro] A[rcheologi] T[estaccio]. Cos avevamo battezzato, da qualche mese, le nostre numerose attivit extra lavoro che prevedevano cene in pizzerie e ristoranti, gite fuori porta, e anche un famoso weekend in campeggio in Toscana. Per suggellare la nascita ufficiale del DAT datammo e firmammo una banconota da 5 , il comune e indivisibile resto del conto delle ristoratrici birre. Silvia purtroppo non ha mai visto latto costitutivo con il timbro dallAgenzia delle Entrate che trasformava il dopolavoro archeologi Testaccio nellAssociazione Culturale DAT. Lei non cera pi, ma proprio per questo noi decidemmo che avremmo aggiunto un nuovo scopo alle originarie intenzioni del DAT: non dimenticare Silvia e non farla dimenticare. Nel breve termine lAssociazione si sarebbe dunque fatta carico di organizzare la giornata di studi Larcheologia con gli occhi di Silvia, e nel lungo termine, accogliendo un desiderio della famiglia, avrebbe istituito e gestito il Premio di studio Silvia Mellace. La giornata a Palazzo Massimo stata organizzata in perfetto stile DAT: tutti i membri dellassociazione si sono autotassati in modo da poter offrire un rinfresco a tutti i partecipanti. Abbiamo lavorato tutti insieme, ognuno si occupato di qualcosa: dalla preparazione e distribuzione delle locandine per promuovere la giornata, alla ricerca di tutto il necessario per il catering, allacquisto dei fiori per abbellire il tavolo. Tutto il personale del museo ci ha assistito, aiutandoci sempre con un sorriso, malgrado la confusione creata con la nostra organizzazione un po casalinga dellevento. Ma la cosa pi bella per noi stata vedere quanti familiari, amici e colleghi hanno costantemente gremito la grande sala conferenza di Palazzo Massimo. Nel 2010 il Premio di Studio Silvia Mellace diventato una realt. Il DAT ha istituito una commissione di professori univer6

sitari, che con infinita sensibilit hanno accettato lincarico, e che hanno assegnato la prima, speriamo di molte, borse di studio a un giovane laureato in archeologia per il compimento di una ricerca scientifica. Vorremmo ora ringraziare coloro che hanno reso possibile tutto ci: il marito di Silvia, Maurizio Vitale che per questo volume ha anche scritto una biografia di Silvia, la famiglia Mellace, tutto il personale del Museo di Palazzo Massimo alle Terme, Renato Sebastiani e Mirella Serlorenzi che non ci hanno mai fatto mancare il loro supporto, Gianfranco Caporlingua della Geim s.p.a. che ha finanziato questa pubblicazione, tutti gli amici che ci hanno sostenuto (tra i quali ci piace in particolare ricordare Barbara Rossi e Fabio Zonetti), tutti coloro che sono intervenuti alla giornata di studi. E naturalmente tutto il DAT: Federica Andreacchio, Maria Laura Cafini, Alba Casaramona, Sara Colantonio, Alessia Contino, Lucilla DAlessandro, Silvia Festuccia, Anna Gallone, Claudio La Rocca, Elena Lorenzetti, Federica Luccerini, Emanuela Mariani, Valentina Mastrodonato, Donatella Mastrosilvestri, Fabio Pagano, Daniele Putort, Maria Cristina Romano, Calliope Schistocheili, Simona Sclocchi, Roberta Tanganelli, Claudia Tempesta, Roberta Tozzo, Giovanna Verde, Chiara Vergari, Gloria Zanchetta, Sabrina Zottis. Grazie a tutti per aver reso possibile Larcheologia con gli occhi di Silvia. Il volume dedicato a Silvia e a tutte le persone sopracitate.

STORIA DI UNARCHEOLOGA
MAuriZio VitAle

Proprio nel periodo nel quale Silvia venuta a mancare allaffetto di tutti, a fine 2008, al raggiungimento del suo 38esimo anno det, si compiva una divisione quasi perfetta della sua vita. La prima met di essa, infatti, laveva trascorsa in Calabria, e la seconda a Roma, dove arriv nel 1989 per frequentare lUniversit, Lettere Classiche. Era stata la radice magno greca della sua terra, che amava molto, uno degli stimoli principali che la condussero alla scelta degli studi antichi. Sulle prime era pi orientata verso il mondo greco, verso il mondo che sentiva suo, se non altro per nascita. Fu col proseguire degli studi che si interess sempre maggiormente alluniverso latino e fu solo ad un certo punto che scopr larcheologia e se ne innamor. Dapprima, in virt dellautentica venerazione che tributava a tutto ci che vi di antico, spinta dal desiderio di immergersi, anche fisicamente, in quel mondo classico che da sempre aveva amato. Successivamente, a ci si aggiunse una serie di esperienze lavorative e di studio che la portarono a sviluppare una visione molto moderna del mestiere dellarcheologo: un professionista che, mai dimentico del rispetto per lantico, ci nonostante vive e opera nellodierna realt lavorativa stretta tra emergenze archeologiche ed emergenze economiche, tra la necessit di salvaguardare il mondo della cultura e quello di rispondere alle esigenze dei committenti, spesso imprenditori privati. Questa, appena descritta, la parabola culturale di Silvia, comune a tantissimi archeologi dellattuale generazione. Da un ini9

ziale e mai rinnegato amore per Tucidide, al project financing e allanalisi stratigrafica mediante carotaggi. Non lo si legga come un tralignamento o come un aver tradito, magari per necessit, le giovanili ambizioni: tuttaltro. E stata, piuttosto, la naturale evoluzione del mestiere dellarcheologo degli ultimi decenni. Nelle pagine che seguono mi propongo proprio questo scopo: mostrare come il percorso di Silvia non sia stato casuale, ma piuttosto possa considerarsi lemblema di come sia, culturalmente e forse, in parte, anche antropologicamente diversa la sua, lattuale, generazione di archeologi rispetto alle precedenti. Il percorso di Silvia, salvo piccole variazioni, stato comune a quello di tante sue colleghe e tanti colleghi. Parlare di Silvia parlare dellarcheologo del duemila. Come detto, Silvia nacque a Catanzaro, il 12 dicembre del 1970, da Ivo e Vittoria. Una famiglia solida, con Pap impiegato e Mamma insegnante di Religione, che vollero investire molto nella cultura dei tre figli (Silvia, infatti, era preceduta da Mimmo e seguita da Stefania) i quali hanno tutti frequentato, a differenza dei genitori, il Liceo. Lo scientifico per il fratello e il classico per le sorelle. Silvia, inutile dirlo, era unottima studentessa, ed era studentessa molto diligente, e con ci si intende che passava molte e molte ore alla scrivania. Ebbe voti lusinghieri alla maturit, grazie, appunto, allintenso impegno che vi profuse. Non fu fatto di secondaria importanza, e si pu dire che alcuni aspetti del carattere di Silvia, forgiati in quegli anni, si mantennero anche dopo. Innanzitutto Silvia si rese conto che con limpegno e la dedizione si potevano raggiungere risultati ritenuti al di fuori della propria portata. Inoltre Silvia matur, in quegli anni, quella profonda umilt intellettuale che fu il vero punto di forza negli anni seguenti. Riteneva infatti di dover sempre apprendere, studiare, informarsi. Mai manifest una, seppur giustificabile, prosopopea intellettuale. Era sempre convinta di essere inadeguata, e ci era sprone perch lei continuamente fosse spinta a leggere e approfondire. Non si sent mai arrivata, si sentiva, invece, sempre
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come la novizia che dovesse colmare profonde, e spesso inesistenti, lacune, investendo sempre maggior tempo nello studio. La scelta di prendere Lettere Classiche, e di frequentare a Roma, avvenne in maniera meno ponderata di quanto la sua evoluzione culturale successiva possa lasciar supporre. In realt Silvia aveva a lungo coltivato, negli anni del Liceo, la passione per la musica, e per la chitarra classica in particolare. Era quindi incerta se abbandonare questo interesse andando a frequentare cos lontano o, piuttosto, rimanere in Calabria e proseguire con studi universitari, compiuti probabilmente a Cosenza, abbinati allapprofondimento della musica. Fu una delusione musicale, per cos dire, che la convinse a dedicarsi a tempo pieno allUniversit. Scelse quindi, per conseguenza, Roma, in quanto considerata la migliore per le Lettere Classiche. Questa risoluzione fu presa nel corso dellestate del 1989, quella della maturit e non a giugno, ma a settembre. La scoperta dellarcheologia, per lei appassionata di lettere, avvenne gradualmente. Silvia non era stata ladolescente cresciuta nel mito di Indiana Jones, era, come detto, unottima studentessa che amava il mondo classico. Nel corso dei primi anni universitari simbatt in Epigrafia, un ponte tra le Lettere e lArcheologia. Lessere a Roma, il poter avere a disposizione uninfinit di materiali la spinse a spostarsi, lei Magnogreca di nascita, sul versante latino. I suoi studi cominciarono allora ad assumere una connotazione propriamente archeologica e partecip ai primi scavi, in ambito universitario, nellodierna Pratica di Mare. Si trattava di periodi di tempo limitati a poche settimane, concentrate nella bella stagione, un po come si usava nella remota antichit per i conflitti bellici ai quali, peraltro, il termine campagna rimanda. Erano scavi che massimizzavano la conoscenza e la didattica, durante i quali si adoperava, insieme allonnipresente trowel, il pennello e la vanga. Scavi condotti secondo modalit e tempi consolidati nei decenni, per i quali non era fondamentale la conclusione dei lavori e la chiusura definitiva del cantiere che, di anno in anno, veniva riaperto per nuove leve di studenti. Una pa11

lestra, insomma, non un campo di gara. Sempre in quel periodo, nei mesi estivi, per qualche settimana partecipava anche a scavi in Calabria, a Roccelletta, non lontano da casa sua e dal suo mare: esperienze formative, che integravano lo studio dei testi e la preparazione degli esami. In ogni caso, linteresse per lepigrafia, in quegli anni universitari, rimase il prevalente. Partecip a numerosi seminari e iniziative del Dipartimento e fu nellambito di questa disciplina che svilupp la sua tesi di Laurea che discusse nel dicembre del 1996. Il periodo immediatamente successivo, il 1997, trascorse in approfondimenti di Epigrafia, nella frequentazione di un corso di Biblioteconomia presso il Vaticano e, soprattutto, nella preparazione dellesame per la scuola di specializzazione in Archeologia che tenne, e super, alla fine dello stesso anno. Ebbe anche la possibilit di partecipare, per qualche settimana in autunno, ad uno scavo nella sua terra, a Capo Colonna. Fu lultima esperienza nella sua Magna Grecia, anche se, ovviamente, non poteva saperlo. Ritornare a scavare in Calabria (e, magari, anche allestero, in una provincia romana) fu un desiderio che laccompagn sempre e la cui realizzazione fu sempre rimandata a causa dellurgenza dei lavori romani. La svolta lavorativa e professionale di Silvia, quella che condizion il lavoro nei dieci anni successivi avvenne, come spesso capita, per caso. Un passa parola tra colleghe, alla fine dellestate del 1998, laveva portata a conoscenza del fatto che ai Fori, e nel Foro della Pace in particolare, si ricercavano giovani archeologi per uno dei cantieri che, in previsione anche del 2000, avrebbe portato alla parziale liberazione dellarea archeologica ricoperta da Via dei Fori Imperiali e dagli adiacenti giardini. Laccettazione di quel lavoro caus una qualche titubanza, superata peraltro in poche ore, in quanto avrebbe significato un totale sconvolgimento della sua vita e dei suoi ritmi. Pur con qualche incertezza accett e fu assunta e inquadrata, in mancanza di particolari specifiche contrattuali, con il ruolo di manovale. Con stipendio, ovviamente, correlato ed adeguato.
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In un saggio che segue descritta lenorme valenza scientifica di quello scavo a cui Silvia partecip, prima come apprendista e poi, mano a mano che i mesi passavano, con sempre maggiore consapevolezza e sicurezza. Ci che, piuttosto, mi preme raccontare in queste righe introduttive come limpatto con il mondo lavorativo dei cantieri mut la percezione di Silvia nei riguardi del mestiere dellarcheologo. Percezione che negli anni successivi sub molti approfondimenti ma non stravolgimenti essenziali. Ho usato il termine impatto, perch in esso contenuto un significato che rimanda a scontro, a opposizione. Infatti, sulle prime fu cos. Abituata ai cantieri universitari, agli studi approfonditi, alle vanghe e ai pennelli, Silvia non riusc a concepire, sulle prime, la logica dei metri cubi da spalare giornalmente con ausilio di mezzi meccanici. Misurare larcheologia a metri cubi (giornalieri) era per lei poco meno che un sacrilegio e, nei primi giorni, non si capacitava del fatto che un lavoro da lei inteso in maniera essenzialmente qualitativa, quasi unarte, potesse essere soggetto a condizioni cos quantitative. Ma, col passare dei giorni e delle settimane questa nuova esperienza la port a maturare alcune considerazioni sulle quali costru la successiva vita professionale. Innanzitutto Silvia rimase affascinata dal mondo dei cantieri. Sino ad allora aveva lavorato prevalentemente in ambito accademico, con colleghi studenti come lei. Ora si trovava di fronte a realt come inquadramenti professionali, contratti di lavoro, maestranze, gerarchie determinate non solo e non tanto dai titoli accademici maturati. Silvia cominci a sentirsi parte integrante del cantiere, lavoratrice tra lavoratori, e non studentessa tra studenti e professori. Un episodio apparentemente minore pu forse spiegare il suo stato danimo. A quellepoca (e immagino anche ora) si discuteva di quale forma contrattuale fosse pi adeguata per gli archeologi. Silvia si iscrisse, anche sulla base delle sue idee politiche, alla CGIL e, proprio nellambito di quel sindacato, una larga parte di suoi colleghi, insieme a restauratori e altre figure fortemente professionalizzate, ma non adeguatamente collocate, si iscrisse al Nidil, la Federazione della CGIL che si propone di
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inquadrare i lavoratori atipici. Silvia non segu la maggioranza dei suoi colleghi e si iscrisse invece alla FILLEA, la Federazione dellEdilizia e delle Costruzioni. Questo perch lei si sentiva una lavoratrice del settore. Desiderava che nel contratto futuro fosse creata una figura professionale nella quale includere gli archeologi, ma voleva che questo avvenisse nellambito dello stesso contratto che comprendesse anche i manovali e gli operai, i tecnici e i geometri e, in generale, tutte le figure professionali operanti allinterno di un cantiere. Fascino del mondo dei cantieri e di quello del lavoro in generale, quindi. Ma quellesperienza fece riflettere Silvia su una questione che di l a qualche anno sarebbe diventata ancora pi centrale. Si rese conto, infatti, che nella penuria cronica di finanziamenti pubblici, lunica maniera di scavare era quella di farlo nellambito di un rapporto di tipo privato, con capitali privati e committenze private. E vero che lo scavo ai Fori era ancora uno scavo commissionato dal Pubblico, ma veniva portato avanti, con le ovvie supervisioni, da imprese private vincitrici di gare dappalto. Si rese conto, insomma, che stavano terminando i tempi degli scavi finanziati dalle Belle Arti o, in generale, dal Pubblico. Per il futuro, o si cessava di scavare in attesa di un concorso che mai sarebbe giunto, di un posto in Soprintendenza che mai si sarebbe creato (per non parlare di una collocazione in ambito accademico), oppure ci si orientava a lavorare per conto di privati con la supervisione delle varie Sovrintendenze. E questo non in cantieri di tipo archeologico, cantieri, cio, nei quali larcheologia rappresenta lo scopo e il fine dello scavo, ma in cantieri normali, fossero essi destinati alla costruzione di un palazzo o di un parcheggio, nei quali la figura dellarcheologo appare nella fase preventiva, per scongiurare che le erigende costruzioni possano compromettere o danneggiare vestigia non ancora documentate. Larcheologo, quindi, da essere il dominus del cantiere diviene, in questottica, un tecnico specializzato, inserito in un programma la cui finalit prescinde completamente dallarcheologia stessa.
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In nuce (e non solo l) cera e c un conflitto di interessi di enormi dimensioni. Basti pensare che interesse del pubblico e degli archeologi, allorquando si inizia lo scavo preliminare per la costruzione di un qualunque edificio, quello di scoprire il maggior numero di tesori possibile, tesori che possano illuminare un frammento della nostra conoscenza dellAntico. Viceversa, interesse del privato che il palazzo vuole costruire (e che paga gli archeologi) quello di non trovare proprio nulla: solo strati di anonima sabbia o terra che possano spianare la strada alle ruspe e alle gru per accelerare la vendita degli appartamenti. In una situazione in s conflittuale necessario barcamenarsi con grande buon senso e Silvia, che di qualit certo non difettava, di buon senso abbondava. Si rese conto che lunico modo per prevenire eventuali conflitti tra committente privato e Soprintendenze era quello di riuscire a svolgere il lavoro di sondaggio preliminare nel modo pi efficiente possibile. Come? La risposta arriv qualche tempo dopo la chiusura dei cantieri del Foro della Pace, che avvenne verso la fine del 1999. Nel corso del 2000, durante il quale fu impegnata prevalentemente in incarichi di poco conto, essenzialmente per il controllo di lavori di Societ di Servizi che dovevano porre cavi o riparare condutture, fu chiamata per una sorveglianza presso il cantiere di un costruendo parcheggio sotterraneo in Via Ricci Curbastro, nei pressi di Piazzale della Radio, a Roma. Nel corso di quegli scavi fu rinvenuto un fronte di cava e, nella roccia era ancora possibile vedere con chiarezza i segni degli strumenti di lavoro usati da antichi cavatori. Reperti certamente interessanti, ma non memorabili. Ma quello scavo ebbe unimportanza enorme per Silvia perch fu in quelloccasione che entr in contatto col mondo della geologia, ovviamente per lei declinata come geoarcheologia. Si apriva, per lei intrisa di studi umanistici, un mondo completamente nuovo, fatto di stratificazioni geologiche e non storiche, di et della Terra e non solo dellUomo, di composizioni chimiche. Prese gusto a riconoscere le rocce, lei che era abituata
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a distinguere cocci e manufatti. Gusto che, sia lecita una parentesi personale, fu causa non certo di litigi, ma di sarcastici appunti da parte mia in quanto prese labitudine di tornare da ogni viaggio con un certo numero di campioni di rocce assortite. Fossero scogliere bretoni o irlandesi, calcaree coste pugliesi o croate, monti valdostani o provenzali, ogni occasione era buona per infilarsi in tasca un ciottolo a futura memoria. Persino dallEgitto, nonostante il draconiano limite sui chili di bagaglio da imbarcare, fu in grado di tornarsene con qualche pietruzza. Purtroppo, dati i limiti di cui sopra, di dimensioni troppo modeste rispetto a quanto auspicato. Il passo successivo e obbligato fu quindi la frequentazione del master di geoarcheologia presso lUniversit di Roma Tre. Naturalmente la frequentazione e lo studio avveniva in parallelo allattivit lavorativa che la vide impegnata per diverso tempo in unarea periferica, alla Muratella. Nel corso di questi scavi ebbe ancora pi materiale per proseguire, sul campo, le sue riflessioni geoarcheologiche. Era, infatti, unarea priva di importanti insediamenti antichi (furono trovate solo delle sepolture arcaiche) ma era unarea che si prestava moltissimo, per la sua vastit a quellesame comparato dei suoli che le permetteva di verificare sul campo (meglio: nella terra) ci che andava approfondendo negli studi geoarcheologici. Fu in questo periodo che il cerchio, in un certo senso si chiuse, quando cominci a impratichirsi, e poi a padroneggiare, le tecniche di carotaggio. Questo tipo di indagine rispondeva a molte questioni che Silvia si era nel frattempo posta. Innanzitutto, nellesame dei vari strati, poteva mettere a frutto le acquisite conoscenze geologiche e riconoscere, con buona approssimazione, il tipo di sedimentazione sottostante. Ma, soprattutto, vedeva nel carotaggio lo strumento ispirato dal buon senso a cui si accennava. Nel corso di uno scavo preventivo, infatti, il metodo classico delle trincee era per lei troppo dispendioso. Si rischiava di sacrificare preziosi fondi per unoperazione che, forse, con molta minor
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spesa e minor tempo, si sarebbe potuta affrontare con un certo numero di carotaggi ben fatti. Il risparmio cos ottenuto sarebbe stato certo gradito al committente e avrebbe permesso, nel caso di ritrovamenti, o sospetti di ritrovamenti, una maggior disponibilit per lapprofondimento. In quel periodo, accanto agli interessi di tipo geoarcheologico, ebbe per loccasione di partecipare ad un importante scavo di tipo classico, la necropoli di Vigna Pia. Riprese in mano, trovandosi dinnanzi a reperti classici per un archeologo, come lapidi, mosaici, tombe, una serie di competenze passate, dallepigrafia alliconografia. Negli interventi seguenti tra laltro vengono descritti i risultati di quella campagna di scavi per la quale cur numerose pubblicazioni. Fu nello stesso anno, nel 2002, nellarea dei Mercati Generali, che mise a frutto le sue nuove conoscenze, con una campagna di sondaggi archeologici condotta con la tecnica dei carotaggi. Ne era molto soddisfatta, direi quasi entusiasta, e si proponeva di approfondire ancora di pi la sua padronanza di questa materia quando, nellestate del 2002, le fu diagnosticata la malattia, il morbo di Hodgkin, le cui complicazioni furono in seguito fatali. Seguirono due anni di grandi sofferenze psicologiche e fisiche che mi sia lecito evitare di rammentare, ma che non difficile immaginare. Nel corso di questi due anni, comunque, anche se era ovviamente bandita una sua presenza negli amati cantieri, non stette mai con le mani in mano. Termin la scuola di specializzazione e il master, discutendo tesi su argomenti lievemente eccentrici rispetto alla sua precedente formazione. Per il Master discusse una tesi collettiva incentrata sugli antichi insediamenti preistorici nella piana del Fucino. Per la scuola di specializzazione present invece una tesi di museologia focalizzata sul progetto di un costituendo Museo di Celano. Purtroppo il tempo non le consent di sviluppare come avrebbe desiderato questi interessi, ma lipotizzare un Museo del territorio, un Museo, quindi, che raccogliesse testimonianze della storia del luogo e della sua conformazione
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naturale, e che delineasse il percorso degli insediamenti passati in rapporto allambiente circostante, fu un ulteriore passo verso nuovi orizzonti culturali e di conoscenza. In quello stesso anno, inoltre, approfond le sue letture recuperando, via internet, testi di geoarcheologia americani o inglesi e non abbandon mai la speranza, anche nei momenti peggiori, di tornare a svolgere il lavoro che amava e che considerava la sua vita piena, contrapposta a quella monca che la malattia la costringeva a vivere. Finalmente, nella primavera del 2004, pot ritornare, emozionata come una scolaretta al primo giorno di scuola, alle ruspe, alle paline, ai flessometri e alla trowel. Da allora sino alla fine della sua vita, lavor nellarea del Testaccio, un quadrante di Roma che non ignoto a nessuno studente di Archeologia ma che lei aveva molto frequentato in quanto le sue attivit principali si erano prevalentemente concentrate nellarea ovest sud-ovest di Roma, lungo quelle direttrici (Portuense, Ostiense) che dallUrbe portavano al mare. Il Testaccio lultimo baluardo intramoenia prima dellinizio di questi tragitti verso il litorale. Si parler diffusamente del Testaccio nel seguito del volume dal punto di vista scientifico e non , questo capitolo introduttivo, la sede pi idonea per accennarvi. Dal punto di vista di Silvia, per, il Testaccio rappresent il cantiere della maturit raggiunta e acquisita. Il suo percorso culturale era ormai ben delineato. Certo, avrebbe potuto approfondire sempre maggiormente le sue competenze, avrebbe potuto sempre essere pi informata. Ma non credo, anche se manca la controprova, che la sua formazione si sarebbe, qualora avesse potuto vivere pi a lungo, modificata in maniera radicale. Ormai Silvia aveva compiuto il suo apprendistato, aveva individuato nuove aree di studio e aveva allargato i propri orizzonti culturali. Era diventata una figura intellettuale che sapeva coniugare il rigore dello studio accademico con la necessaria capacit di coordinare maestranze, rispettare tempi di lavoro, minimizzare i costi e proporre soluzioni.
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Il Testaccio era infatti la summa di tutto ci per cui Silvia aveva studiato e lavorato. Era infatti unopera finanziata mediante la finanza di progetto, vale a dire unopera pubblica (nella fattispecie il mercato rionale) realizzata da un privato che, in cambio, otteneva la facolt di realizzare strutture generatrici di reddito (parcheggi, per esempio). Gli scavi archeologici, propedeutici alla realizzazione del progetto, erano parte integrante della spesa sostenuta dallimpresa costruttrice. Vi era quindi, nella fase iniziale, una parte di sondaggi per i quali furono messe a frutto le conoscenze sui carotaggi e sulla geoarcheologia in genere. Successivamente, nella fase di scavo, allorquando vennero alla luce gli ambienti in seguito descritti, si ritorn ad unanalisi classica di tecniche di costruzione, datazione, attribuzione storica. Il tutto nel rispetto di tempi e costi imposti da budget e piani finanziari, nel colloquio costante con i committenti e supervisori di Soprintendenza. Insomma, il Testaccio fu lo scavo della sua maturit perch era ormai attrezzata per unesperienza cos complessa. La sua formazione era terminata. Sarebbe iniziata, se il destino fosse stato con lei, e con noi tutti che la conoscemmo, maggiormente benigno, la fase della sua realizzazione. Nel corso degli anni vissuti con Silvia ho conosciuto decine di sue colleghe e di suoi colleghi. Ciascuno ha la sua storia, le sue peculiarit, i suoi percorsi, ma io credo che nella vicenda professionale di Silvia si possano rinvenire alcuni tratti caratteristici di unintera generazione di archeologi che, come lei, hanno ormai terminato la fase di preparazione e formazione e sono ormai pronti e maturi per scrivere il futuro di questa disciplina. Riannodando i fili di questo discorso, credo si possa dire che il decennio appena trascorso abbia modificato profondamente la figura dellarcheologo. Salvo casi particolari, oggi larcheologo lavora prevalentemente per un soggetto privato. E stipendiato dal privato ma svol19

ge, con la supervisione delle varie Soprintendenze, un incarico pubblico. Ci comporta che oggi il giovane archeologo debba misurarsi molto precocemente con tutta una serie di problemi (e termini: quale archeologo degli anni 80 sapeva cosera un project financing?) che non appartengono al classico bagaglio formativo. Si trover sovente ad essere tra incudine e martello, tra Soprintendenza e Privato e dovr presto imparare a trovare le soluzioni che possano permettere la necessaria e indispensabile armonia tra i due soggetti, entrambi portatori di interessi leciti, ma non sempre intonati. Le soluzioni, infatti, andranno trovate perch un costo sociale sia il non mettere in giusta luce un aspetto culturale della nostra eredit sia il non realizzare unopera infrastrutturale, e questa necessaria opera di problem solving (come si usa dire) spetter, in casi sorprendentemente numerosi, proprio allarcheologo. Per quanto riguarda la formazione di base, un tempo si diceva che chi non amava la matematica poteva prendere Legge o Lettere (forse anche qualcosaltro). Questo luogo comune, se mai ha risposto a verit, di certo non vale oggi. E certamente vero che larcheologo assai difficilmente si trover a risolvere equazioni differenziali, ma ormai una conoscenza di materie scientifiche richiesta quasi quanto quella di Seneca. Ci vero senzaltro per le discipline preistoriche che, ormai, senza conoscenze di tipo naturalistico, siano esse climatiche, dendrologiche, geologiche, sarebbero molto impoverite. Ma vale ormai anche per il pi familiare e vicino mondo classico, come si visto in certi episodi riguardanti la vita di Silvia. Il tracciare il percorso di un rigagnolo partendo dai sedimenti rinvenuti, per esempio, mediante carotaggio; il dedurne, in conseguenza, le aree di pi probabile insediamento, lipotizzare uno sviluppo urbanistico locale, sono esercizi che Silvia s trovata ad affrontare in pratica (nella fattispecie il rigagnolo era lAlmone, che un tempo scorreva nellarea dei Mercati Generali) e non avrebbe potuto farlo se non avesse, nel frattempo, esteso i suoi orizzonti culturali. Per non parlare delluso ormai abituale dellinformatica. Silvia aveva seguito corsi CAD, sia 2D che 3D, e le tecniche di rilevamento non possono ormai
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prescindere dalluso di strumenti informatici pi o meno complessi. Tavole e lucidi sono ancora l, ma i punti CAD avanzano inesorabili e sono ormai compagni fedeli e abituali. Tutto ci non sono equazioni differenziali, ma presuppongono una mente se non matematica, quanto meno non refrattaria alla stessa. Tutti questi saperi non annullano i precedenti: sar sempre necessario conoscere (per il mondo classico) il greco e il latino e padroneggiare storia e fonti. Ma si aggiungono ad essi, e sar ottimo archeologo colui che sapr armonizzarli in una sintesi. Larcheologo di oggi non ha nellAccademia il punto di riferimento esclusivo. Nascono nuovi riferimenti culturali, nuove personalit che non hanno cattedre o incarichi in qualche Soprintendenza. Sono figure rispettate, con allattivo numerose pubblicazioni e collaborazioni, citate sovente in bibliografie internazionali. Intellettuali liberi, potremmo dire. Accademici senza cattedra, luminari free lance. Il giovane archeologo potr essere uno di questi: oggi non indispensabile, per affermarsi nel campo, essere investiti di un incarico. E una condizione nuova, forse transitoria, forse il mondo accademico riuscir a sanare questa frattura, ma oggi la realt. Il giovane archeologo, infine, scaver. Pu essere, detta cos, una tautologia, ma non lo se si interrogano archeologi di altre generazioni e si domanda loro quanti mesi della loro vita hanno passato con elmetto e scarponcini su uno scavo, magari nel corso delle campagne estive delle quali si parlava allinizio. Dalle risposte che otterr, il giovane archeologo presto scoprir che dopo nemmeno dieci anni (ma forse ne basteranno cinque) di lavoro continuato qua e l per pozzi e trincee, cavi e cave, parcheggi e ferrovie, si sar trovato in cantiere pi tempo di qualunque archeologo delle passate generazioni. Ci conferir unesperienza pratica, diretta, che sar un bagaglio culturale importante e un motivo di orgoglio professionale e umano. Chiudo quindi questa nota introduttiva. Non sono certo io, che sono stato suo marito, colui che pu tracciare un quadro obiettivo
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della donna Silvia: evidente che il mio giudizio sconfinerebbe rapidamente nellagiografia e nel rimpianto. Ci che mi proponevo era per mostrare come, nel percorso individuale dellarcheologa Silvia, si possano rinvenire alcuni tratti comuni ad una generazione intera di archeologi: il contatto col mondo del lavoro, lesistenza di unarcheologia non accademica, lirrompere di nuovi paradigmi scientifici di interpretazione. Ciascun archeologo della sua generazione s imbattuto in questi problemi e ciascuno ha elaborato la sua soluzione, pi prossima o meno a quella data da Silvia. Di certo quello che mi pare di poter affermare che, nel corso del decennio lavorativo di Silvia, il mondo dellarcheologia mutato profondamente, perch sono mutate le condizioni esterne. E mutata la societ e leconomia, infatti, (i rapporti tra impresa privata e Soprintendenza di cui ho parlato) e sono mutati, o si sono arricchiti, con la globalizzazione, i contesti culturali (lirrompere di scienze e informatica). Ci che per non mutata la passione per questo mestiere. E vorrei concludere con laugurio che ogni giovane archeologo possa nutrire solo una parte della passione che animava Silvia. Una sola parte, nemmeno la totalit, sar pi che sufficiente per amare larcheologia per tutta la vita.

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PUBBLICAZIONI DI VALERIA SILVIA MELLACE

V. S. Mellace, Schede, in Miscellanea greca e romana XFTII, 1994, pp. 195-196 n. 14; p. 237 n. 57; pp. 268-269 n. 90. V. S. Mellace, Schede, in G.L. Gregori (a cura di), La collezione epigrajca dellAntiquarium comunale del Celio. Inventario generale - Inediti - Revisioni - Contributi al riordino (Tituli, 8), Roma 2001, p.157 n. 60; p. 295 n. 253; p. 304 n. 270; pp. 318-319 n. 301; pp. 320-321 n. 305. M. C. Grossi, V.S. Mellace, Larea necropolare di Vigna Pia in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma CIII, 2002, pp. 349-353. V. S. Mellace et al., Poster Geoarchaeological Study of the Fucino basin (Abruzzo, Italy) presentato nella 6th Conferente of Italian Archaeology, Grningen, April, 13-17, 2003. M. C. Grossi, V.S. Mellace, Via Portuense. La necropoli di Vigna Pia: strutture e rituali funerari in Histria Antiqua 13, 2005, pp. 397-406. V. S. Mellace, S. Festuccia, Nuovo Mercato Testaccio, scavi e ricerche, in www.fastionline.com 2005 V. S. Mellace, Vigna Pia (Municipio XV). Area necropolare in M.A. Tomei (a cura di) Roma. Memorie dal sottosuolo. Ritrovamenti archeologici 1980-2006, Roma 2006, pp. 505-508.
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V. S. Mellace, G. Verde, Rapporto preliminare sulle indagini archeologiche condotte nellarea del Nuovo Mercato Testaccio, in Analecta Romana Instituti Danici 32, 2007, pp.43-50. V. S Mellace et al.,I1 pi grande scavo aperto a Roma in Forma Urbis, anno XII, n.3, Marzo 2007, pp. 28-37. M. C. Grossi, V.S. Mellace, Roma, via Portuense: la necropoli di Vigna Pia, in Krpergrber des 1. - 3. Jahrhunderts in der Rmischen Welt (Internationales Colloquium Frankfurt am Main 19. - 20. November 2004), in Schriften des Archologischen Museums Frankfurt, 21, Francoforte 2007, pp. 185-200.

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ATTI DELLA GIORNATA DI STUDI

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INTRODUZIONE: LARCHEOLOGIA CON GLI OCCHI DI SILVIA


renAto SebAStiAni

Larcheologia con gli occhi di Silvia un omaggio collettivo a Valeria Silvia Mellace, nostra amica. Omaggio a unamica e ad una studiosa che ci ha lasciato troppo presto e al suo lavoro cos precocemente interrotto. Omaggio che si concretizzato in una giornata di studi in suo onore tenutasi nella sala conferenze del Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo a Roma. Una sede dellarcheologia istituzionale, un riconoscimento che larcheologa Silvia meritava; una sala conferenze piena, la testimonianza concreta dellaffetto che la circondava e del valore del suo lavoro. Il sentimento, lo studio, il lavoro, si sono espressi attraverso il racconto della nostra comune professione, dellincontro di ciascuno di noi con Silvia e con il modo con cui ha reso viva la sua archeologia. Un giorno che ha ripercorso tramite voci e volti diversi la storia di Silvia archeologa. Tanti pezzi per un insieme, per un unico sguardo, quello di Silvia. I passaggi chiave della sua formazione universitaria: lepigrafia, primo e mai abbandonato interesse come strumento di studio della storia del territorio, la specializzazione in museologia e il rapporto fecondo con Giovanni Scichilone, lo studio della geoarcheologia e la ricerca interdisciplinare sul Fucino. Le prime esperienze a Roma di archeologa sul campo al Foro della Pace, la lunga e ricca attivit di collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Roma nel territorio del XV Municipio dove la sua professionalit si arricchita ed espressa
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in molti settori della disciplina archeologica. I lavori di geoarcheologia alla Magliana e lungo il primo tratto della via Ostiense, in cui lesperienza del master e dello studio del Fucino sono diventati ricerca applicata, elaborazione di nuovi strumenti di lavoro. Infine Testaccio, lo scavo del Nuovo Mercato che stato parte cos importante del suo percorso di archeologa. Silvia amava larcheologia, la praticava con grande passione; era una studiosa rigorosa e consapevole dellimportanza di unire lanalisi puntuale del dato archeologico allo sforzo di immaginare e raccontare esseri umani vivi e la loro esistenza in comunit, per capire qualcosa di pi del nostro presente e aiutare un po il futuro di tutti. Rigore e sforzo dimmaginazione che si possono leggere attraverso le parole di chi con Silvia ha studiato e lavorato, di chi a Silvia ha insegnato e che, come ogni bravo insegnante, nel rapporto con lei ha imparato. Il lettore trover anche limmagine di una realt oggi molto diffusa nel nostro paese, una realt che accomuna Silvia con una generazione, ormai due, di donne e di uomini: la pratica dellarcheologia come libera professione, fuori dallamministrazione statale dei beni culturali, dagli enti territoriali, dalluniversit, fuori cio dai luoghi istituzionali che erano, ancora trentanni fa, quelli in cui si praticava larcheologia in modo pressoch esclusivo. Silvia appartiene allinsieme di persone che sono etichettate in modo ormai un po surreale come collaboratori esterni pur costituendo una parte fondamentale della struttura di ricerca e tutela dei beni archeologici del nostro paese. Noi europei apparteniamo a una cultura che ha bisogno di nominare, di attribuire nomi. Leggendo i diari di viaggio di Cristoforo Colombo vi si ritrova lansia di assegnare subito un nome a ogni luogo, pianta, animale, gruppo umano. Senza un nome semplicemente non si esiste. Abbiamo tutti cucita addosso una definizione: collaboratore esterno, appunto, ma anche funzionario, ispettore, professore, ricercatore, tecnico, esperto In questo caso la definizione collaboratore esterno quanto mai povera, incapace di svolgere la sua funzione, appunto, di de28

finire. Silvia testimone di una generazione che ha fatto il mestiere dellarcheologo fuori delle istituzioni tradizionali ma con una coscienza profondamente istituzionale. Archeologhe e archeologi nella posizione difficile e scomoda di chi affronta quotidianamente sul terreno interessi spesso contrapposti pur avendo ciascuno legittimit: la tutela dei resti archeologici, ovvero di una parte della nostra storia, e le opere di urbanizzazione, lo sviluppo, cercando di farli dialogare positivamente. Un modo di vivere la professione che nella pratica concreta ricerca, azione di tutela, sperimentazione di comunicazione, confronto continuo con la complessit della nostra societ. Silvia e con lei tanti altri, lha fatto con le mani nella terra, con una fortissima coscienza istituzionale del proprio lavoro, del valore collettivo della cultura e di ci che lei, anche senza unetichetta istituzionale, era chiamata a fare in nome e per la collettivit. E il terreno su cui Silvia ha applicato le sue conoscenze, si confrontata con i suoi limiti, ha sperimentato la sua capacit umana, la sua curiosit, la sua propensione a continuare a imparare. Silvia praticando la sua professione ha, infatti, portato avanti la sua formazione di archeologa. Anche in questo lei rappresentativa del percorso di tante e di tanti. Lepigrafista che dentro una cava si affaccia alla geoarcheologia e si dice: Minteressa, mi aiuta a capire qualcosa di pi che io non conoscevo. Larcheologa da campo che si domanda: Come si comunica quello che faccio? e si rivolge alla museologia e alla museografia. Ho conosciuto Silvia tanti anni fa, la nostra conoscenza diventata amicizia proprio dentro una cava antica riemersa in mezzo ad una strada di Roma. Fu in quelloccasione che lei sinteress alla geoarcheologia, venne nel laboratorio che con Renato Matteucci avevamo organizzato nella Soprintendenza Archeologica di Roma, e con noi cominci un percorso di studio e di ricerca. Fu una cosa che mi colp molto. Allora si trovavano con molta fatica archeologi classici disposti a considerare la geoarcheologia come uno strumento dellindagine archeologica. Per una parte consistente dellarcheologia classica italiana eravamo ancora nel tempo
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delle scienze sussidiarie dellarcheologia, termine che metteva insieme le discipline pi diverse (dalla paleobotanica allarcheozoologia, dallarcheometria alla geoarcheologia, ecc.) accomunandole appunto nel loro valore sussidiario rispetto alla ricerca archeologica. I loro risultati finivano in genere come appendice nelle pubblicazioni di scavo. Silvia al contrario comprese subito limportanza dellindagine geoarcheologica, dei suoi metodi, in particolare nello spazio urbano, lambito in cui lei si trovava a operare quotidianamente. Silvia speriment lutilit di strumenti dindagine flessibili, le carote come li sintetizzava, poco invasivi e relativamente economici, in contesti urbani dove lo scavo tradizionale era praticamente impossibile, e impar a leggere i risultati dei carotaggi, dellanalisi aerofotografica comparata, delle indagini geofisiche, come dati archeologicamente significativi. Fu un percorso che dieci anni fa ci port insieme a frequentare il primo corso di master in geoarcheologia allUniversit Roma Tre. Eravamo cinque geologi e cinque archeologi e abbiamo studiato gomito a gomito per mesi. Tutti i pomeriggi, le escursioni il sabato, il campo in Abruzzo, le amicizie che nascevano, quelle che si rafforzavano. Unesperienza importante, unoccasione di confronto unica, che diede vita ad uno studio geoarcheologico del Fucino e ad un GIS quando questo non era ancora uno strumento molto diffuso. Un lavoro che nacque multidisciplinare e si svilupp in un confronto interdisciplinare. Silvia partecip con entusiasmo, arrivava spesso a lezione trafelata con le scarpe da cantiere infangate, e tante volte ci siamo incontrati nella salita, affannosa di ritardo, delle scale di Geologia a Valco S. Paolo. Un lavoro che si svilupp nelle discussioni durante lo scavo alle Paludi di Celano e nei pomeriggi a casa di Silvia a Roma, su quella grande carta intorno a cui ci trovava Maurizio quando tornava dal lavoro. La carta, il foglione con le tavolette del Fucino montate, su cui intrecciavamo linee di livello del lago, vici, superfici di ablazione, conoidi, grotte e depositi paleolitici e viabilit romana; cercavamo un bandolo, ci scontravamo e faticosamente uscivamo dai limiti, che capivamo angusti, delle nostre
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rispettive discipline. Silvia, credo, non dimentic pi quellesperienza, e volle continuare. Le carote erano diventate per lei uno strumento dindagine archeologica cui non rinunciare. E insieme continuammo, con Renato Matteucci e Carlo Rosa, sullOstiense, ai Mercati Generali. La scheda dei carotaggi che Silvia costru con Carlo, rivista e unita a quella elaborata dal Laboratorio di geoarcheologia della Soprintendenza per il GIS del Progetto Urbano Marconi - Ostiense realizzato con il Comune di Roma, ha dato vita al database dei sondaggi che usiamo al Servizio di geoarcheologia della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. Infine Testaccio. Il saggio di scavo sulle pendici del Monte dei Cocci fu la prima esperienza che facemmo insieme su quel territorio. Poi nella primavera del 2005 iniziammo con Silvia Festuccia lo scavo del Nuovo Mercato, quello che Silvia sentiva come il suo scavo. Il primo indimenticabile anno e mezzo in cui, quattro gatti, ci aggiravamo su quellettaro da indagare che appariva ed era immenso. Le discussioni intorno ai carotaggi, la prima sezione che schizzai su un pezzo di carta in mezzo alle auto ancora parcheggiate, con lei che commentava, valutava, suggeriva ad ogni tratto di matita. Il muro toccato dal primo carotaggio, il successivo saggio di controllo, i primi ambienti dellhorreum (pensavamo potesse essere il secondo piano e invece erano le fondazioni!), i primi accumuli di frammenti di anfore, le prime tracce delle coltivazioni moderne. Larrivo nellestate di Lucilla e Alessia e la prima organizzazione del magazzino e della schedatura dei materiali e larrivo sulla scavo di Giovanna. Mi ricordo gli stati di avanzamento del lavoro che mi consegnava con le Silvie (a Giovanna toccato questo soprannome di gruppo), le riflessioni che facevamo insieme su quei dati iniziali, confluite nel primo articolo per ARID scritto da Silvia e Giovanna. Insieme facevamo i programmi su come andare avanti. Silvia pi volte venuta agli incontri iniziali al Gabinetto del Sindaco, non solo come supporto tecnico ma perch le interessava, voleva entrare, capire la dimensione politica e amministrativa che stava die31

tro lo scavo, che ne condizionava non solo gli aspetti pratici ma la stessa esistenza. In quelle riunioni, fra laltro, credo comprese come il progetto di valorizzazione che la Soprintendenza mise sul tavolo del confronto con il Comune, fece pendere il piatto della bilancia e rese possibile realizzare lo scavo. E difficile far capire quanta gratitudine ho provato nei suoi confronti in quei pomeriggi in cui venuta al Campidoglio. Quanto era importante quellinteresse per una parte del lavoro istituzionale che il pi delle volte resta ignorata e che chi ne caricato vive in solitudine. Anche per questo Silvia mi rester dentro. Ricordo infine la preoccupazione per quel lavoro cos grande che mi toglieva il sonno, e un incontro al bar, a largo di S. Susanna, con Silvia Festuccia, in cui Silvia mi disse sicura: Non preoccuparti, ce la faremo. Cos stato. Grazie allarrivo dei nuovi, come lei li chiamava nellestate del 2006 in cui li aspettavamo. I nuovi giunti a ottobre, sono diventati subito i colleghi e molto presto gli amici, sul cantiere e oltre il lavoro. Questa nuova realt quotidiana ha preso vita mese dopo mese. Un insieme formato, per scelta di chi scrive, da tanti soggetti diversi, la SAF con le sue ragazze come allinizio venivano chiamate, singoli archeologi con formazioni differenti, studenti in tirocinio di varie universit, alcuni dei quali sono rimasti a lavorare sullo scavo. Un gruppo di lavoro di cui, non retorica, hanno fatto parte integrante gli operai come protagonisti in prima persona di quello che stato definito, non so se con esattezza ma significativamente, il pi grande scavo urbano degli ultimi anni. In questo microcosmo nata lidea e si concretizzato anche il DAT. Altri ne scrivono in questo libro, vorrei solo dire che d soddisfazione che lo scavo del Nuovo Mercato di Testaccio abbia contribuito alla nascita di questassociazione, segno dellaffiatamento creatosi fra gli archeologi che vi hanno operato e delle idee e potenzialit che ha suscitato. Silvia ha contribuito anche a questo. La giornata in onore di Silvia stata anche altro. Gli oratori hanno parlato ad archeologi e non archeologi, un uditorio misto, e hanno dovuto sperimentare su quel campo come farsi capire.
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Per chi ascoltava e archeologo non era, spero che le lunghe ore a Palazzo Massimo abbiano restituito lo spaccato di una parte importante della vita di Silvia, la professione che amava e che, come spesso avviene nella vita di tutti noi, sovente poco conosciuta da chi ci vicino nellamore familiare, nellamicizia, negli affetti profondi. E un piccolo regalo, se si pu dire cos, che abbiamo voluto fare tutti in primo luogo ai suoi familiari, a Maurizio che pure il lavoro di Silvia ha sempre seguito con amore partecipe della sua passione, ai suoi amici. Vorrei ringraziare senza una gerarchia che non saprei dove trovare, coloro che hanno reso possibile la realizzazione del convegno e di queste pagine. I relatori, amici di Silvia, che hanno saputo impastare insieme emozioni e dato scientifico, il gruppo del DAT che ha aderito subito allidea del convegno e le ha dato le gambe, Rita Paris per laffetto con cui, insieme ai suoi collaboratori e ai tecnici, ci ha messo a disposizione le strutture di Palazzo Massimo. A Gianfranco Caporlingua e alla PMT, con Marta, Mimmo, Giuseppe, per aver affrontato positivamente un percorso difficile; ci siamo confrontati, insieme abbiamo compreso le ragioni dellaltro, cercato e trovato le soluzioni. A loro il grazie anche per aver permesso materialmente la pubblicazione di questo volume. Un ringraziamento tutto particolare va agli operai che insieme a Silvia e a tutti noi hanno lavorato al Nuovo Mercato di Testaccio, collaborando in modo attivo e fondamentale alla riuscita della ricerca. Con Silvia avevano un rapporto particolare e per lei hanno riempito la sala di Palazzo Massimo. Un grazie tuttaltro che formale va alleditore Pamprolini che ha ignorato a sue spese la nostra povert di mezzi. Infine Anna e Sabrina che hanno curato questo volume con immensa pazienza. Senza di loro semplicemente non sarebbe stato mai pubblicato.

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LA TESI DI LAUREA: SCHIAVI E LIBERTI IMPERIALI NELLA DOCUMENTAZIONE EPIGRAFICA DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO
MichelA nocitA

Ho parlato con Silvia per la prima volta nellestate del 1996. Eravamo studentesse alluniversit, entrambe impegnate nella stesura della tesi, e solo un lungo corridoio divideva le nostre fatiche dal momento che lei frequentava la biblioteca di Storia Romana ed io quella di Epigrafia e Storia Greca, situate alle estremit opposte del medesimo piano. I problemi comuni che si dovevano affrontare per la composizione dei nostri primi lavori, lamore insano per le iscrizioni, che solo chi decide di studiare epigrafia pu comprendere, resero subito le nostre conversazioni piacevoli e sistematiche pause dei lunghi pomeriggi trascorsi in Dipartimento. Non era facile resistere al fascino di Silvia: impegnata in mille progetti ma sempre disponibile, vivace ma discreta, dolce nel sorriso e nei modi, intelligente nelle sue osservazioni. Ceravamo incontrate per caso, ma la nostra frequentazione successiva alla laurea non fu casuale: abbiamo studiato molto insieme per la preparazione allesame dammissione alla Scuola di Specializzazione e le intense giornate e serate di studio che abbiamo condiviso con fatica ma piacevolmente, rimangono un momento fondamentale per la mia formazione umana e professionale. La nostra collaborazione, che si estendeva anche alle numerose visite guidate (ad una delle quali Silvia mi fece la sorpresa dinvitare lallora neofidanzato Maurizio) e la frequentazione praticamen35

te quotidiana allUniversit e non solo, sono proseguite fino agli inizi del 2001 quando, finita la Specializzazione, il Dottorato mi port a Padova. Quando ho rincontrato Silvia nel 2004 il suo corpo portava evidenti i segni della malattia contro la quale ancora lottava; mi volle raccontare tutta la sua esperienza, io laggiornai sulle novit della mia vita e da allora riprendemmo a sentirci e a frequentarci. Davvero si pu dire che questi ultimi anni per Silvia siano stati felici, sia per la solidit degli affetti familiari, sia per i successi nel lavoro al quale si dedicava con la capacit, lentusiasmo e la tenacia necessari per quella sfida continua che la ricerca. Rifiorita fisicamente, lultimo giorno trascorso con lei stato su una spiaggia dello Ionio un anno e mezzo fa, non lontano dallantica citt di Scolacium presso la quale avevamo entrambe scavato: alla giornata di mare facemmo seguire una serata piacevolmente fresca in un pub, chiacchierando su esperienze fatte e progetti futuri. Non avrei immaginato che largomento delle nostre prime conversazioni, la tesi in Epigrafia Latina, fosse anche la materia del mio ultimo, lungo dialogo con Silvia, perch pi che leggere un lavoro scientificamente ineccepibile, con lei in questi giorni mi sono confrontata su una materia di studio continuando non solo spiritualmente ma effettivamente uninteressante riflessione storica dalla quale ho imparato molto. Nella breve presentazione del suo lavoro Silvia evidenzia il fine della ricerca ed i criteri di cernita adottati per le iscrizioni: la tesi, intitolata Schiavi e liberti imperiali nella documentazione epigrafica del Museo Nazionale Romano, uno studio sociologico, come spesso accade alle tesi epigrafiche grazie alla ricchezza dinformazioni storico/sociali desumibili da questo tipo di testimonianze. Lobiettivo quello di evidenziare il livello di mobilit sociale raggiunto dagli schiavi e dai liberti nellampio orizzonte cronologico del Principato; la documentazione, scelta dalla ricchissima collezione del Museo Nazionale Romano, quella che a detta di Silvia
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consente dindividuare gli spostamenti orizzontali e verticali che portano allascesa sociale di singole persone, e alla genesi di una nuova aristocrazia talora non meno ricca della classe senatoriale ed equestre e di loro non meno influente nella gestione degli affari pubblici; sono le testimonianze, cio, nelle quali sempre evidenziata lappartenenza alla domus imperiale, seppure in varie forme. Il rapporto con limperatore, infatti, subisce un mutamento nel tempo come evidente nellonomastica: si passa dalla menzione dettagliata dellimperatore ricordato come dominus patronus del subalterno, a forme sempre pi impersonali come Augusti libertus o Caesaris servus fino alla scomparsa della qualifica di schiavo e liberto in circa tre secoli. Le testimonianze epigrafiche, lette spesso alla luce di quelle giuridiche, svelano anche aspetti inconsueti delle strategie familiari per lascesa sociale: sarebbe paradossale che numerose donne destrazione libera accettassero di divenire liberte o schiave attraverso il matrimonio, se questo declassamento non avesse costituito lunico modo certo per entrare nellentourage dellimperatore, la familia Caesaris. Questultima era quindi formata da una classe subalterna molto spesso altamente specializzata, competente e devota allimperatore pi di quanto non fossero gli aristocratici, una classe dindividui per la quale il servizio nel Palatium era lo scopo di tutta la vita. Le iscrizioni, come ci si attende, rivelano che i rapporti consueti tra servo e padrone assumono in questo contesto forme particolari: latto di manomissione, ad esempio, varia in funzione delle diverse attivit del liberto e dellanzianit di servizio. Il raggiungimento delle posizioni della pi alta burocrazia imperiale, tuttavia non cancellano le origini servili dellindividuo. Adottando queste considerazioni come linee guida della ricerca, la tesi viene suddivisa in quattro capitoli: il primo relativo alla nomenclatura degli schiavi e dei liberti imperiali; il secondo tratta delle unioni coniugali e dei figli degli schiavi e dei liberti;
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il terzo indaga sul legame individuale dello schiavo e del liberto con limperatore; nel quarto capitolo, infine, sono considerate le iscrizioni che registrano la mobilit sociale dei subalterni e conservano i motivi dei loro avanzamenti. I capitoli, comprensivi delle schede epigrafiche, sono corredati da undici tabelle; chiudono la tesi le conclusioni, seguite dagli indici dei nomi e delle fonti e da undici tavole di foto ed apografi. Chi ha necessit di basare la propria ricerca principalmente sullonomastica, come spesso accade allepigrafista, incorre in tutti i rischi dincertezza legati ad una materia cos dinamica, originale ed in evoluzione nel tempo: gli schiavi e i liberti imperiali non omettono mai lindicazione del loro status di dipendenti dallimperatore per motivi di prestigio, ma raramente rispettato il criterio di uniformit e regolarit nelle loro espressioni. Gli elementi onomastici variamente combinati vengono utilizzati in maniera differente nelle attestazioni epigrafiche tanto che in numerose iscrizioni di liberti insufficiente lesame del nome per lidentificazione dellimperatore di appartenenza. Altrettante difficolt sorgono per lidentificazione e la collocazione cronologica degli schiavi. Inoltre, dallet flavia in poi, luso di nominare il principe in modo individuale ceder il posto alladozione di una denominazione impersonale molto spesso costruita sugli appellativi di Caesar e Augustus: sullimpiego non casuale di questi due termini si molto discusso. La tesi sostiene la lettura di Boulvert secondo il quale il termine Caesar, nel suo significato originale, caratterizza la posizione del padrone, del pater familias in riferimento al rapporto patrimoniale inteso come cassa privata dellimperatore; Augustus, invece, indica limperatore regnante nella sua grandezza divina, capo dello Stato e del fiscus. Questo spiegherebbe luso frequente delle distinte espressioni Caesaris servus e Augusti libertus: il rapporto che unisce lo schiavo allimperatore di tipo patrimoniale, cio un suo possedimento privato, mentre per il liberto limperatore uno straordinario cittadino che guida lo Stato (Augustus). Sebbene le iscrizioni esplicitamente relative a schiavi e liberti
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siano numerosissime, evidente come dallet severiana in poi esse diminuiscano drasticamente. Sulla scomparsa delle iscrizioni inerenti a schiavi e liberti dopo il III secolo il lavoro insiste in particolar modo: il fenomeno potrebbe dipendere dal fatto che cambia il modo di nominare questi individui, tanto da diventare il loro riconoscimento molto difficile, o potrebbe essere conseguenza di un cambiamento allinterno della familia Caesaris. Nella tesi viene accolta questultima ipotesi: a partire dal III secolo il ruolo di classe dirigente verr assunto dallordine equestre, preferito ai liberti e agli schiavi, e sarebbe proprio il duro colpo subito dalla classe subalterna a determinare levidente silenzio epigrafico. Eloquenti per levoluzione della nomenclatura, come si detto sintomatica delle sorti politiche di schiavi e liberti, sono liscrizione sepolcrale di Gaio Iulio Delpho Mecenatiano rinvenuta sulla via Latina, collocabile dopo il 14 d.C. (inv. 983), e liscrizione su mensa podiale sempre dalla Via Latina per la quale proposta in via ipotetica la datazione di fine II secolo (inv. 15589). Nella prima iscrizione (Gaio Iulio Delpho Mecenatiano, liberto del divo Augusto, Iulia Chronia Liberta di Gaio, Iulia Secunda figlia di Gaio. Gaio Trophimas restaur per s, per i suoi liberti e liberte e per i suoi posteri) la nomenclatura dettagliata e corrisponde a quella di uno schiavo di Mecenate (Maecenatianus) ereditato come liberto dal defunto imperatore (Divus) secondo la disposizione testamentaria del celeberrimo braccio destro dAugusto, come dimostrano prenome e gentilizio. Nellaltra iscrizione (Agli Dei Mani. Ulpia Priscilla fece per s, per il coniuge carissimo e benemerente Apheto, invitator, liberto imperiale e per i suoi discendenti) lunico elemento di datazione, a parte quella generica della fine del I/II sec. d.C. desumibile dal Dis Manibus, il nomen imperiale usato dalla moglie, Ulpia, che porta il gentilizio dellimperatore Traiano. Tuttavia, in assenza di pi precisi elementi interni, non si pu attribuire con certezza allimperatore Traiano il liberto Aphetus, che in qualit di invitator aveva la funzione di redigere le liste degli ospiti, perch, come viene ricordato
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la manomissione del liberto imperiale coniugato di solito posteriore di almeno un regno rispetto alla sposa che ha un gentilizio imperiale. Proprio i rapporti tra coniugi e figli costituiscono un interessante campo dindagine per comprendere le relazioni tra i membri della familia Caesaris. Sono diverse le combinazioni matrimoniali presenti nellentourage imperiale e comportano diverse ripercussioni sullo status dei figli: le unioni tra gli schiavi, ad esempio, sono caratterizzate dalleventuale concessione della manomissione post eventum, cautela con la quale limperatore poteva arrogare a s dei diritti sui figli nati dallunione. Nei matrimoni tra liberti, come gi ricordato, non infrequente che la donna porti il gentilizio di un imperatore precedente a quello che ha concesso la libert al marito, oppure che si tratti di uningenua i genitori erano liberti imperiali. Se durante la prima met del I secolo i matrimoni sono contratti in modo quasi esclusivo tra pari grado, dallet di Claudio in poi si assiste ad unimportante novit: in virt del raggiungimento di una posizione ufficiale di prestigio, le donne libere si uniscono spesso in nozze con i servi publici; anche per questo lonomastica det imperiale tende ulteriormente a complicarsi. Sono cinque le possibilit onomastiche messe in evidenza nella tesi come esito di questi matrimoni misti: 1. I figli aventi lo stesso gentilizio di uno dei due genitori portano il nomen del padre se lunione legittima, della madre se illegittima; 2. se il figlio ha un nomen differente rispetto ai due genitori possibile che esso sia derivato o da un precedente matrimonio del padre o della madre o da un nome imperiale; 3. pu accadere che il figlio nato da un genitore che ha il gentilizio, non ne conservi uno proprio perch nato schiavo da una donna schiava; 4. il figlio nato da ununione illegittima prende il gentilizio del padre e non della madre se nato dopo la manomissione del genitore;
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5. una precipua tipologia onomastica pu essere ricondotta al Senatusconsultum Claudianum del 52 d.C. che permetteva le unioni tra libere e schiavi, ma rendeva il figlio della donna libera schiavo a sua volta, un Verna Caesaris. Nellottica utilitaristica della familia imperiale, un giovane nato da madre libera ma padre schiavo sar inserito pi facilmente, se da subito riconosciuto come servus, nel meccanismo delle attivit del palazzo per il quale sempre necessario un rinnovamento. Alla luce di questo senatoconsulto, nella tesi viene data una nuova lettura delliscrizione sepolcrale di Claudia Danae (inv. 52615). Si tratta di unara parallelepipeda di marmo rinvenuta a Veio, presso lodierna Formello (Agli Dei Mani. Claudia Danae, fece per s, per il coniuge benemerente T. Flavio Demostene, liberto imperiale e per i figli piissimi, Tiberio Claudio Mucrone e Marco Ulpio Romano, liberto imperiale e per i suoi liberti e liberte ed i suoi posteri). Claudia, una liberta manomessa da Claudio o uningenua figlia di un liberto di Claudio o di Nerone, pone una dedica al marito Tito Flavio Demostene, liberto imperiale. Complicata la situazione dei figli: Boulvert, dando per scontato che Claudia sia liberta imperiale, suppone che Marco Ulpio Romano sia il primo figlio nato quando la madre era schiava e che successivamente venne liberato, al contrario di Tiberio Claudio Mucrone il quale, libero dalla nascita, potrebbe essere venuto al mondo dopo laffrancamento della madre. Prendendo le distanze da questa lettura, nella scheda relativa alliscrizione viene proposta una nuova esegesi del testo: Claudia vittima del senatoconsulto di Claudio avrebbe avuto il suo figlio minore schiavo, perch figlio di un padre schiavo; il primo figlio Mucrone, che non conobbe la stessa sorte di schiavo prima e liberto poi, potrebbe essere il frutto di una precedente relazione della donna. Affermata in modo evidente la necessit per limperatore di reclutare personale schiavile tramite unoculata politica familiare, nella ricerca di Silvia a questo punto viene dato un particolare rilievo alla tipologia dei rapporti individuali tra il princeps e i suoi dipendenti. La posizione giuridica di base degli schiavi imperiali
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identica in linea di principio a quella degli schiavi dei privati, ma di fatto di gran lunga migliore. Naturalmente questi privilegi sono pagati in termini di scarsa indipendenza dallimperatore anche dopo latto della manomissione: rispetto ai semplici cittadini privati, limperatore tende a conservare tutti i vantaggi del padrone tanto da pretendere dai liberti lobsequium, i bona, e le operae cio il rispetto, i beni e alcune prestazioni. Tuttavia, quanto queste pretese fossero ben ripagate evidente da alcune possibili concessioni elargite agli ex-schiavi, quella dello ius aureorum anulorum, ovvero il diritto di portare lanello doro altrimenti distintivo dellordine equestre. Lanello conferiva una ingenuitas fittizia, cio una fittizia promozione a cittadino libero, e veniva attribuito su base censitaria a coloro che possedevano almeno 400000 sesterzi e vantavano antenati liberi da almeno due generazioni. Il prestigioso riconoscimento ebbe lunga vita, dallet augustea fino al II sec. d.C.: tra i liberti famosi detentori dellanello vi furono Menodoros, liberto di Augusto; Pallas, linvidiatissimo liberto di Claudio; Icelus, il preferito di Galba; Asiaticus, braccio destro di Vitellio. Vi sono poi liberti imperiali come Nicomedes, liberto di Antonino Pio, che pur non essendo insignito dellanello doro entr addirittura a far parte dellordine equestre. Una storia a parte quella del celeberrimo Epafrodito, liberto a libellis di Nerone. Liscrizione incisa su un blocco pertinente allarchitrave del suo monumento sepolcrale, conserva parzialmente la menzione delle numerose funzioni svolte in vita (inv. 10860): alla r.1 Epafrodito si qualifica a libellis, cio referente per le petizioni e le lagnanze ed esaminatore dei casi che riguardano le controversie giuridiche tra privati e Stato; alla r.2 si ricorda che egli aveva il compito di convocare il senato e il popolo, cio svolgeva le attivit apparitorie di viator tribunicius e di apparitor Caesarum; alla r.3, nella lacuna a sinistra, viene proposta nella tesi lintegrazione di un riconoscimento militare, il vexillum che precederebbe la menzione della corona aurea e della hasta pura, simbolo di ricchezza e potere. La sequela di onori potrebbe avere un significato che va ben oltre la vanteria, essendo questi onori una prova tangibi42

le della fedelt allimperatore. E davvero Epafrodito fu legato a Nerone fino allultimo: non solo fu lui ad accompagnare Nerone fuori Roma nel suo ultimo tentativo di fuga verso la libert, ma addirittura si assunse il compito di conficcargli il pugnale in gola, al fine di evitare allamato patrono la morte per mano dei nemici. Singolarmente proprio questatto di estrema devozione sar utilizzato come capo daccusa nei suoi confronti da Domiziano: come ricorda lo storico Cassio Dione (LXVII 14, 4), limperatore Flavio mise a morte il liberto per dimostrare alla sua familia che nessun servo pu uccidere il proprio padrone, neppure se ha ricevuto unesplicita richiesta dal diretto interessato. Non c dubbio che tra le informazioni emergenti dalle fonti antiche quelle relative alla tipologia dei servizi prestati dagli schiavi e dai liberti a corte siano quelle che pi rendono la dinamicit, la variet, la frammentazione e levoluzione di un mondo ricco e parcellizzato, congestionato e organizzato a un tempo. Questuniverso eterogeneo e sempre in trasformazione, viene letteralmente imbrigliato da Silvia in una serie di tabelle che, redatte a scopo semplificativo, si rivelano molto utili per la comprensione dei documenti: lapparato burocratico imperiale distinto tra servizi e amministrazione domestica, servizi di cancelleria, amministrazione centrale e provinciale divisi a loro volta in servizi che concernono le tasse (spese ed entrate), dipartimenti di generale utilit e gestione del territorio. Nella tesi pure ipotizzata la possibile carriera di un liberto imperiale: nel primo livello (infimus) possibile riconoscere tra gli altri i custodes (guardiani dufficio e darchivio), i tabellarii (i fattorini imperiali); il secondo livello (inferior) costituito dagli adiutores (aiutanti con diverse mansioni), dai notarii e dai librarii (cio gli scribi); il terzo (medius) quello inclusivo degli a commentariis, dei proximi tabulariorum e dei proximi commentariorum cio degli impiegati della contabilit. Nel livello pi alto (superior) rientrano i proximi ovvero gli aiutanti del procurator impiegati nella cancelleria come dipendenti dellamministrazione centrale di Roma; il livello supremus naturalmente quello del procurator. Per quanto concerne gli
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schiavi ricostruire la gerarchia quasi impossibile, tanto numerose e diverse sono le attivit svolte: c un livello infimus costituito da personale tecnico o domestico come gli actores, i vilici (amministratori di fondi), gli exactores (controllori dellesazione del tributo); il livello medio quello dei conscriptores (controllori del portorium) e quello superiore impersonificato dai dispensatores e dagli arcarii, i cassieri. Tradizionalmente relegate alle attivit domestiche e di piccolo artigianato sono le serve, le quali nella societ romana non hanno speranza di avanzamento sociale ed occupano soltanto il livello infimus: sono le numerose ornatrices, unctrices, pedsequae che spesso facevano abbellire le proprie stele sepolcrali con semplici rappresentazioni dei loro strumenti di lavoro; proprio in virt delle attivit di queste donne reiterate nei secoli in modo immutevole, le raffigurazioni funerarie ricordate sono tra quelle che offrono maggiormente unimmagine vivida del lontano mondo romano. A pi di dieci anni dalla compilazione e dalla discussione di questa tesi, rimangono molti i punti stimolanti che sarebbe necessario aggiornare e approfondire (non ultimo dei quali quello relativo a una riflessione sulla inattesa mobilit di una societ considerata invece stratificata e immobilista); particolarmente persuasivo rimane il quadro generale che si delinea dallo studio diacronico dei fenomeni sociali attraverso le iscrizioni. Lascio le conclusioni alle parole dellautrice: I moralisti e gli storici raccontano spesso della corte imperiale come di una zona dombra, dove la progressiva decadenza dei costumi ed il dilagare della corruzione e del malaffare spesso sfociano nelle cospirazioni pi violente, in un gioco delle parti nel quale, fatalmente, appena si affievolisce il carisma dellimperatore, di contro acquisisce forza e splendore la figura dei consiglieri pi vicini, sovente liberti di fiducia. Sottraendo lintento moralistico e i pregiudizi che si avvertono nelle pagine degli storici antichi,
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spesso ostili in quanto essi stessi aristocratici, possibile rilevare dai documenti letterari una relazione sufficientemente verosimile tra lautorevolezza della figura imperiale e il potere dei liberti [---]. Le carriere di alcuni liberti, cos come si evince dalle iscrizioni, mostrano un percorso di acquisizione di competenze che via via giunge al vertice e alla massima capacit di influenza nel settore amministrativo di competenza. Ci che suscita sdegno e riprovazione nella classe aristocratica non la ricchezza che schiavi e liberti possono accumulare [---] larricchimento associato al poter politico che preoccupa [---]. Nel III secolo linfluenza dei liberti imperiali simpoverisce gradualmente della sua sostanza politica, cio non pi diretta emanazione della carica che ricoprono ma semplice risultato della relazione di vicinanza con limperatore [---]. Tra il II e il III secolo, dunque, lassetto istituzionale di un Impero indebolito nella sua integrit geografica, risente dellintensa militarizzazione e viene ridisegnato consegnando il potere alla classe equestre. La macchina burocratica diventa un ingranaggio della macchina militare e il ceto dei dignitari di origine servile che prima ne guidava le sorti cancellato. Grazie, Silvia.

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IL PROGETTO PER IL MUSEO DELLA PREISTORIA DABRUZZO A CELANO


GioVAnni Scichilone

Nel raccogliere le riflessioni che divider oggi con voi, ho sempre sentita la responsabilit di essere depositario quasi esclusivo di una parte dellesperienza formativa di Silvia: il suo rapporto con la Museologia. E stato inizialmente un rapporto occasionale, visto che in Italia (a parte gli ottimismi di maniera) il museo non riceve attenzioni approfondite nei percorsi professionali di Archeologi e Storici dellArte. Dopo lincontro nellambito del corso da me tenuto per la Scuola di Specializzazione di Roma-La Sapienza, una crescente curiosit culturale la spinse a mostrarmi una delle tante sue qualit che noi tutti abbiamo testimoniato: la capacit di andare facilmente al di l dellalveo di una formazione monoculturale. Questa dote, arricchita da una rara onest intellettuale e da pari intransigenza, ha fatto di Silvia ai miei occhi un esempio perfetto del ricercatore che sa come navigare senza rotta, capace di superare quella linea che i geografi antichi segnavano sulle loro mappe con hic sunt leones. Lei stata capace di esplorare molte di queste linee di confine che, di fatto, imprigionano per molti la nostra disciplina. Come molti degli interventi di oggi dimostrano chiaramente, Silvia ha superato con straordinario successo sia il confine tra Archeologia e Geologia sia quelli con altre Scienze. Nello stesso modo, ha sentito poi il bisogno di misurarsi attraverso la Museologia con la dimensione pi alta del museo, intendendolo subito come ben pi che semplice contenitore. Attraverso letture
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specialistiche e contatti con la realt internazionale, lei ha visto sempre pi chiaramente nel museo la natura di linguaggio, il ruolo sociale di servizio e la dimensione professionale di creazione di gruppo; in nessun momento ha approvata lidea del museo ridotto a fabbrica o contenitore di non precisati eventi. In questa chiave, la sua predilezione per il museo di Celano comprensibile: esso il frutto di unutopia che non si sarebbe realizzata se altri studiosi, allora giovani come Silvia, non avessero condiviso il sogno di lavorare insieme, al di l delle loro specifiche professioni, ad una comune idea di museo, parte di un comune progetto di Societ. Con Silvia io ho lavorato dal 2001 alla fine di marzo del 2004. Abbiamo condiviso la stessa utopia e gli stessi libri da quando lei ha deciso, con mia grande gioia, di coronare il suo interesse per la Museologia diplomandosi in questa disciplina. Come riportare in sintesi a voi questo suo sforzo? Il lavoro che Silvia ha fatto molto pi importante e pi complesso di un progetto: esso consistito in un approfondimento che parte dalla teoria del museo in generale per applicarsi poi a un territorio specifico, prendendone in esame tutte le possibili variabili degne di presentazione. In ogni momento le stata presente la necessit che il visitatore, attraverso la forma visibile del museo, percepisca questultimo come linguaggio e non come contenitore. Detto ci, lultima cosa che avrei voluto fare per questo incontro di oggi, sarebbe stato il tradurre lo sforzo di Silvia in una mia recensione di un contributo di Museologia. Se lo avessi fatto avrei chiuso gli occhi di fronte al fatto che il suo contributo migliore sarebbe arrivato nel momento in cui -a tesi compiuta e licenziata- lo straordinario sforzo fatto per produrre questo lavoro si fosse potuto tradurre in una realt tangibile nellambito dellallestimento. Cos, essendo il depositario non solo di questa responsabilit, ma anche di una delle tre o quattro copie esistenti del suo lavoro, ho deciso che la cosa pi giusta, la pi intransigente (Silvia era una donna di straordinaria intransigenza) sarebbe stata il presentarvi proprio la traccia di Silvia, leggendone le parole, sempre usandole con amorevole rispetto. Sostanzialmente io legger le cose scritte da
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lei, o citazioni che lei ha fatto, cercando fra le tante, per nostra comune consolazione, quelle che mi sembravano meglio conservare unimpressione, unorma del suo percorso intellettuale e delle sue straordinarie qualit umane. Silvia apre il suo lavoro ripercorrendo i metodi ed i risultati nellevoluzione degli studi archeologici, avendo giustamente scelto di mostrare come il museo oggi, ben al di l del gelido deposito di frammenti e di cose, sia innanzitutto e soprattutto un luogo di sinergia tra conoscenze. Quindi il museo non come sede di oggetti, ma anche sede di sforzi intellettuali, in modo che dal museo non vengano esclusi i risultati del lavoro di chi al museo, come Silvia ha fatto, finisce per dedicare, o la parte pi bella o quasi tutta la propria vita. Nel capitolo Metodi e risultati dellevoluzione degli studi, Silvia espone un percorso di avvicinamento che serve a presentare quanto lArcheologia negli ultimi decenni si sia fortunatamente allontanata, soprattutto per merito dei giovani, dallimmagine scomoda e mortificante, che talvolta vedo purtroppo ancora viva, dellarcheologo come cane da tartufi che usa i sensi pi che lintelligenza: immagine esattamente opposta rispetto a ci che Silvia stata per tutti quelli che lhanno conosciuta ed amata. Anche grazie alle sue esperienze in Geologia, Silvia stata sin dallinizio del suo lavoro particolarmente attenta a considerare obbligo primario del museo la presentazione di un patrimonio complesso. Ecco cosa scrive. La formula che pi si adatta al recupero del patrimonio territoriale senzaltro leco-museo, che ha come oggetto lambiente storico di un dato territorio. Esso un museo che si occupa dellecologia totale, ambientale, naturale ed umana di una data localit. George Henri Rivire, parlando delleco-museo, lo descrive quale specchio nel quale la popolazione si guarda per riconoscersi, nel quale cerca i valori fondanti del territorio al quale legata, unitamente alle
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popolazioni che lhanno preceduta, nella discontinuit o continuit delle generazioni; uno specchio che questa popolazione porge ai suoi ospiti per farsi meglio comprendere, nel rispetto del suo lavoro, dei suoi comportamenti, della sua intimit. Nello svolgimento del lavoro, ho sempre considerato mio dovere il non mediare le sue letture; era infatti mia responsabilit deontologica levitare che lei mi restituisse idee mie. Le ho prestato o suggerito cos decine di libri ma mai ne ho segnalate parti pi o meno significative: volevo infatti che lei lasciasse la sua orma in ci che leggeva. E accaduto cos che io, leggendo le sue citazioni da questi libri, nei vari passi di elaborazione del lavoro, abbia avuto decine di occasioni per verificare la sua capacit di cogliere sempre gli elementi essenziali del pensiero altrui, anche in un campo meno vicino al suo percorso precedente. Alla citazione da Rivire lei poi aggiunge: il museo quindi rappresenta almeno potenzialmente il punto dincontro fra persone e luoghi e tempi diversi. Questa tipologia museale, leco-museo, consiste di due sistemi correlati: un museo spaziale, rappresentativo di una porzione di mondo, una unit ecologica significativa di un ambiente regionale, paesaggi reali di natura selvatica e umanizzata, ed un museo temporale, rappresentativo dellevoluzione di una data regione, ordinata per periodi dai tempi geologici e scandita secondo le tappe preistoriche e storiche, per sfociare nella modernit. Il museo, visto in questottica, diventa espressione delluomo e della natura: da una parte vi luomo interpretato entro il suo ambiente naturale, dallaltra la natura nella sua primordialit, ma anche il modo in cui i gruppi umani di sono avvicendati nel tempo lhanno plasmata a propria immagine.
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Quando lavoravo con Silvia, io ero vicino a concludere la mia esperienza di lavoro nel Ministero per i Beni Culturali, che ho lasciato nel 2004. Allora rimasi piacevolmente sorpreso del fatto che Silvia mi chiedesse qualera lassetto che questa Europa (che continua a nascere e a crescere) stava dando a problematiche quali, ad esempio, la tutela dellambiente. Le passai allora tutti i documenti relativi a quella che poi divenne la Convenzione Europea per il Paesaggio, aperta alla firma nel 2002 a Firenze. Lei lesse pazientemente centinaia di pagine scritte in burocratese, pur se di altissimo livello, e colse pienamente lessenza di ci che i padri fondatori volevano dare con questo documento. A tal proposito Silvia dice infatti, lucidamente: due idee profondamente congiunte muovono questo proposito: il paesaggio appartiene alla vita di ogni giorno, come parte della cultura, del patrimonio, dellambiente di ogni cittadino e deve subire un processo di democratizzazione sia in termini di identificazione sia decidendo come esso va usato. Il paesaggio un costrutto culturale caratterizzato da molti modi di comprensione e di apprezzamento, non tutti questi modi sono scientifici, obiettivi o materiali. Molti sono personali, individuali e soggettivi o riflettono aspetti intangibili dellambiente. Entrambe queste idee lanciano una sfida agli archeologi che intendano valorizzare il patrimonio culturale. Esprimere il significato archeologico di un paesaggio culturale significa scoprire e spiegare i cambiamenti di lungo termine, la continuit e la profondit del tempo. I tre concetti che la maggior parte degli archeologi posso valutare nellanalisi del paesaggio sono: comprendere i cambiamenti accaduti nel tempo per un arco cronologico piuttosto esteso, riconoscere il ruolo dellazione umana nella creazione del territorio, interpretandolo
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attraverso processi sociali a livello collettivo piuttosto che individuale. Formulare modelli e relazioni spaziali, vale a dire la totale connessione spesso in modi inattesi di ogni evidenza presente allinterno del paesaggio, includendovi la connessione tra naturale e culturale. Larcheologia diventa scienza diretta che interpreta e ricostruisce la vita delluomo nella sua globalit dando uno spaccato delle molteplici realt che sono state espressione delluomo e dellambiente nel quale esso vissuto. Da qui lesigenza di valorizzare non solo gli oggetti, che indipendentemente dal loro valore intrinseco possono riflettere, se collegati in modo puntuale alla loro originari collocazione, la realt allinterno della quale e per la quale sono stati creati, ma anche le relazioni tra gli elementi immateriali presenti nel sistema. Ecco un altro passaggio che in relazione e strettamente correlato alle idee appena esposte. La percezione del paesaggio archeologico interpretabile attraverso una mappa mentale. Dal canto loro gli elementi connettivi simbolici, naturali, sociali ed antropici del territorio costruiscono la visione del paesaggio ed il nostro orizzonte cognitivo. La comprensione del passato pu essere incrementata significativamente attraverso tutte le forme della percezione: tatto, gusto, olfatto, visione, udito. La topologia di un paesaggio antico si deve integrare con altri fattori percettivi per arrivare ad una ricostruzione delle mappe mentali e cognitive del passato. La percezione organizzata in mappe cognitive significa esplorazione, ricerca, scoperta, comunicazione, che oltre a mettere in rilievo le principali caratteristiche e le relazioni formali tra le parti che costituiscono il
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paesaggio antico, evidenziano le ragioni funzionali, simboliche, architettoniche e culturali, cos come si sono definite e trasformate nel corso del tempo. Ricapitolando dunque, (e questa una parte bellissima del suo lavoro perch, come chiunque ami il museo, lei perfino nello scrivere fa un continuo sforzo di ricapitolare, dato che non si mai sufficientemente certi che coloro che leggono il tuo linguaggio nel museo possano veramente aver compreso in pieno quello che vuoi dire) un paesaggio antico pu essere analizzato secondo cinque filoni: scienze della terra, biodiversit, realt visibile e sensibile, storia e archeologia, culture. Spazio e tempo sono stati per Silvia lo scoglio filosoficamente pi alto contro il quale ha dovuto misurare la sua ricerca. Sappiamo benissimo che nellinevitabile routine della professione dellarcheologo il tempo una astrazione lineare, che viene affettata, con fette tutte uguali (come quelle che si ottengono da quelle mostruose macchine che distruggono il piacere di mangiare il pane proprio perch danno tante fette tutte tra loro uguali): questo il tempo nella accezione quotidiana e rassicurante della nostra pratica professionale. Lei ha capito che spazio e tempo sono delle convenzioni e ha ampliato le sue letture dalla filosofia della Gestalt a vari aspetti della Museologia come linguaggio, da Einstein a Koffka a una variet di altre letture. Questo capitolo sullo spazio e sul tempo, le deve essere costato uno sforzo non lieve, anche in termini di lettura di opere che, vi assicuro, sono gi difficilmente reperibili e, una volta reperite, sono di difficile digestione. Il tempo percepito solamente attraverso losservazione dei processi che possono servire come misure approssimative del tempo trascorso. Nella nostra vita possiamo accorgerci del tempo attraverso lalternanza del giorno e della notte e attraverso il succedersi
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delle stagioni durante lanno. Come il linguaggio e la musica, il tempo percepito lineare, ma sperimentabile solamente momento per momento, mai in modo globale o unitario. Il nostro senso del tempo spesso viene definito attraverso metafore come la distanza, tornare indietro nel tempo, e movimento, il tempo vola. Ma raramente riflettiamo che tali metafore sono reciprocamente contraddittorie: il concetto della linearit del tempo supportato dalla teoria del caos e della contingenza, cos come dal decadimento radioattivo, nel senso che ci che anteriore non pu essere invertito e i contesti degli eventi non possono essere cambiati senza cambiare gli eventi stessi. Tutte le espressioni di tempo, passato, presente, futuro, sono percepite e utilizzate da noi, entro una griglia comprensionale socialmente accettata. Per costruire una cronologia occorre stabilire ununit di misura del tempo: la maggior parte dei sistemi di misurazione usa lanno, per questo motivo le unit di misura che sono indipendenti dai cicli annuali, come il conteggio delle barbe e degli anelli di accrescimento degli alberi, come quelle ottenute con metodi radioattivi, debbono essere convertiti per larcheologia. La preferenza degli archeologi per le date e le et sembra derivare dalla generale familiarit con gli anni siderali come sono riportati dai calendari, contrariamente ad una terminologia frequentemente accettata nei manuali di archeologia, a proposito della distinzione tra tempo assoluto e tempo relativo, oggi gli scienziati tendono ad escludere che vi siano misurazioni assolute: ogni tempo relativo. La stessa teoria della relativit ha mostrato che anche orologi e calendari sono convenzioni e concetti culturali, il tempo esiste solamente come durata che noi possiamo misurare grazie ad alcuni processi. E poi inserita nel tempo e nello
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spazio lesperienza cognitiva che nel museo altrove e che noi iniziamo attraverso il vedere. A livello cognitivo, vedere un oggetto significa crearsene unimmagine, una mappa interna a noi che non invece loggetto che rimane esterno. Per comunicare usiamo dei segni che indicano qualcosaltro, sono astrazioni, finzioni. I fatti, i fenomeni sono apparenze, in quanto elaborazioni cognitive che nella comunicazione subiscono unulteriore elaborazione. Un museo di nuova generazione dovrebbe riuscire a decodificare le mappe, sottolineando ad esempio labitabilit sociale, culturale e storica di un determinato territorio. Vi un ampio dibattito museologico sullo sviluppo di adeguate mappe cognitive che riescano ad oggettivare la rappresentazione spaziale e temporale, cercando di spezzare quellinterpretazione lineare del progresso che rende statica la narrativa in una esposizione museale tradizionale. Nel museo tradizionale troppo spesso troviamo infatti una rigida rete nella quale spazio e tempo sono considerati come lesposizione di un testo scritto, una sorta di trattato disciplinare, o troppo enciclopedico o concentrato sullo sviluppo delle singole discipline, dei singoli manufatti, delle singole scoperte o ricerche. La tendenza, finora, sempre stata quella di rappresentare gli oggetti in contesti ordinati, quindi a congelare il tempo come una struttura di referenze monolineari. Il quarto capitolo il risultato della elaborazione che Silvia ha compiuto dentro di s nel corso di quel fruttuosissimo master nel quale ha messo insieme Geologia ed Archeologia della piana del Fucino. Qui Silvia ci mostra ancora una volta con quale e quanto rigore lei avesse concepito il disegno di questa ricerca (si veda il contributo di M. Civitillo, B.M. Greco, V.S. Mallace in questo volume) che poi si conclusa nellelaborazione della magnifica
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mappa, che - ulteriormente revisionata - fu poi allegata alle tavole della sua tesi diploma. Arriviamo ora al quinto ed ultimo capitolo del lavoro di Silvia, Il Museo di Preistoria Paludi di Celano. Io non ho voluto che Silvia si impegnasse in una semplice definizione grafica di cosa dire, dove e come dirlo, e con quali strumenti di comunicazione. Mi sembrava straordinariamente importante che Silvia avesse capito fino allultimo, e al tempo stesso nel modo pi alto e profondo, come e, soprattutto, perch si fa un museo, come va strutturato il linguaggio del museo stesso e come, attraverso questo linguaggio il museo pu fuggire alla condanna di essere un luogo nel quale invano si cerca di intrappolare il tempo e lo spazio. Lei ha dedicato grande attenzione tuttavia, a descrivere il Museo di Celano, perch esso, gi nato da unutopia, era e sarebbe ancora particolarmente pronto a diventare sede elettiva per questo tipo di presentazione multidisciplinare (non semplicemente interdisciplinare) della quale abbiamo sognato insieme. In questo ultimo capitolo del suo lavoro, alcuni passaggi sono fortemente significativi. Catturare, trasportare segmenti di natura allinterno di un museo significa utilizzare degli elementi interattivi alternativi per facilitare e rendere pi fruttuosa e meno pesante la visita. Nello stesso tempo vi il vantaggio di far capire immediatamente ai visitatori il funzionamento di un ecosistema lacustre al quale si correlano i cicli della vita umana. Si possono cos spiegare anche pi facilmente i cambiamenti realizzati dalle popolazioni antiche che vivevano intorno alla piana, descrivendo il loro adattamento, le risorse e le strategie di sussistenza adottate nei secoli, dalla caccia, alla pesca, allagricoltura. Si cerca cos di offrire una dimostrazione di cosa accade quando in un ecosistema bilanciato luomo interviene, interrompendo e distruggendo alcuni cicli naturali, creando un
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effetto domino per cui egli stesso diventa vittima di questi squilibri. Occorre far trapelare quel messaggio fortemente educativo, perch si promuova unetica ambientale. Le civilt che hanno distrutto il paesaggio, superandone la soglia di tollerabilit ecologica, hanno distrutto se stesse. Io vedo una continuit tra questa frase e un passaggio che prendo dalle sue conclusioni. Il museo rappresenta una Gestalt, vale a dire una struttura nella quale si realizza uno studio percettivo dei luoghi, che sappia cogliere attraverso la dimensione temporale i cambiamenti di lungo termine, la continuit e la profondit del tempo, mentre attraverso la rappresentazione e limmagine di una specifica realt territoriale, riesca ad esprimere il significato archeoecologico di un paesaggio culturale. Il museo quindi listituzione in grado di ricomporre la relazione sensibile tra luomo, la natura, lo spazio e il tempo. La ricostruzione di un paleo-ambiente, attraverso il museo, non unaddizione di singoli elementi giustapposti, ma un sistema che soprattutto proiezione di singoli valori, significati, sentimenti. Si tratta di quelle mappe mentali che costituiscono il nostro orizzonte cognitivo, che distingue il paesaggio reale da ci che il paesaggio descritto, ossia la sua rappresentazione, la sua mappa. Per non cancellare il senso irripetibile e singolare del contesto, ogni processo culturale deve essere sempre specificamente connesso ad un dato territorio, che diventa incomprensibile se analizzato al di fuori di un determinato paesaggio simbolico, rappresentato da uno specifico ambiente. I processi che compongono un paleo-ambiente sono insomma il risultato di una serie di eventi concatenati, ognuno
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unico nel tempo e nello spazio. Ma il museo inoltre un eterotopo, un luogo altro ove si possa realizzare (e qui Silvia cita da Foucault un passo che lha enormemente impressionata) lidea di accumulare tutto, lidea di costituire una sorta di archivio generale, la volont di racchiudere in un luogo tutti i tempi, tutte le epoche, tutte le forme, tutti i gusti; lidea di costituire un luogo di tutti i tempi che sia a sua volta fuori dal tempo. Secondo questa affermazione di Michel Foucault anche la storia nellallestimento museale, non deve essere rappresentata necessariamente per successioni di periodi, ma tempo altro, eterocrono. Secondo questa visione non vi pi lesigenza di rintracciare una tradizione compatta e lineare, una unitariet che descriva la molteplicit degli eventi, piuttosto di grande interesse sar la comprensione di quelle trasformazioni negli avvenimenti dei quali riusciamo a definire di volta in volta gli elementi e le relazioni significative che chiariscono i cambiamenti. Il passato ha un proprio tempo che trasversale, ci che noi ereditiamo invece frammentario. Il museo pu elaborare quindi una conoscenza del passato nella rappresentazione di vari mondi possibili, offrendo al visitatore non una ma una serie di traiettorie o scelte interpretative. Il tempo museale evidentemente non la progressione lineare che rispecchia lordine in cui si succedono gli eventi, ma pu essere un tempo frammentario e asimmetrico, rivolto sia al passato, sia al presente, sia proiettato verso il futuro. Il museo preistorico Le Paludi di Celano un felice esempio che racchiude molti degli elementi fino ad ora annoverati; in questo lavoro stato spesso designato con il neologismo di museo archeo-ecologico. Il termine sembrato appropriato proprio per le caratteristiche che questa struttura presenta dal punto di vista architetto58

nico e per la storia che esporr allinterno. Nellambito del territorio abruzzese esso riveste un ruolo di primo piano in quanto dedicato ad una delle aree, il lago del Fucino, che pi hanno concorso a caratterizzare la storia e la geografia dellintera regione. Potrei a questo punto aver concluso, ma lo far citando un ultimo brano che ci mostra ancora unaltra Silvia: una persona di raffinato umorismo, con un senso della misura istintivo e difficilmente avvicinabile. E un passaggio che lei dedica ad uno dei tanti sforzi, tra confessionali e pseudo-scientifici, compiuti in varie occasioni per utilizzare le Scritture come base cronologica per leggere lorigine del mondo. Il compito di fissare la data (scilicet la data della creazione) con assoluta precisione, fu lasciato a James Ussher, vissuto a met del XVII secolo, erudito di chiara fama ed esponente della chiesa Anglicana di Inghilterra e di Irlanda. Egli calcol lesatta et della terra e stabil che essa era stata creata nel 4004 a.C. Tale conclusione era frutto di uno studio accurato e dellinterpretazione puntuale delle genealogie dei patriarchi riportate nella Bibbia. Secondo i risultati delle sue ricerche, Dio aveva creato il mondo e tutti gli esseri viventi grazie ad un unico, rapido ed ininterrotto procedimento tecnico divino, iniziato alle nove in punto di luned 23 ottobre 4004 a.C. Non si ponevano discussioni: per lintero procedimento della creazione Dio aveva impiegato i canonici sei giorni. Al principio di quella settimana di fine ottobre, nellanno che un calendario cristiano moderno designerebbe come il 4004 a.C., il Signore stabil i concetti fondamentali di luce ed ombra, sole e luna, bagnato e asciutto. Poi cre tutti gli oceani, le insenature, i fiumi, le spiagge, le praterie, i deserti, le montagne, le
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calotte polari ed i fiordi: la struttura della terra, la sua topografia e la geologia del globo che costituisce il nucleo di questa storia vennero cos completate. Entro la mattinata di gioved 26, Dio aveva provveduto a dare inizio alla vita e prima di sera ogni capostipite delle future stirpi di microbi, tritoni, ragni, serpenti, aquile, gatti, cavalli e scimmie, si trovava nel proprio habitat, intento a strisciare, brulicare, nuotare, volare, saltare, balzare ed impiegare i pollici opponibili per arrampicarsi. Il giorno successivo le specie vegetali erano gi diffuse ovunque, foreste pluviali, pascoli, savane, peonie, orchidee, rose, palme, meli, margherite e pini, avevano tutti trovato la loro sede sulla terra dove prosperavano soddisfatti. Caverne, rocce, laghi, paludi, stagni, grotte citati da Milton nel Paradiso Perduto erano stati realizzati: il paradiso terrestre stava al proprio posto, pronto per essere perduto. E sabato si verific levento pi importante: nacquero le creature che lavrebbero perduto. I primi due esemplari del primigenio genere umano, nelle sembianze bipedi ed erette, ma leggermente diverse una dallaltra, di Adamo ed Eva furono collocati nel giardino dellEden. In quella situazione vivevano serenamente inconsapevoli della caduta che si sarebbe verificata pi avanti, grazie allintervento del serpente e della mela, entrambe gi parte della creazione.

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LA GEOARCHEOLOGIA: IL FUCINO*
MAtilde ciVitillo, biAncAMAriA Greco, VAleriA SilViA MellAce

Silvia Questo nostro ricordare Silvia vuole essere un portarla al cuore, se re-cordor, letteralmente, significa portare al cuore -ai sentimenti, alle emozioni- pi che alla mente che, sola, potrebbe con fatica elaborare un didascalico elenco di giorni, di studi, di viaggi, di lezioni. Di occasioni ormai perse, diversamente da Silvia, della cui vita e del cui affetto siamo i privilegiati depositari: per motivi

I risultati presentati in questo contributo, di cui daremo un sommario e corsivo resoconto, derivano dagli studi condotti in quipe da Matilde Civitillo, Biancamaria Greco, Valeria Silvia Mellace, Annamaria Paiella, Renato Sebastiani, Marta Sereni e Gloria Sgrigna. Questi, confluiti nella redazione della Tesi (Il Fucino. Proposta di analisi geoarcheologica) per il conseguimento del Diploma di Master in Tecniche geoarcheologiche per la gestione del territorio e la tutela del patrimonio culturale erogato dallUniversit degli Studi di Roma Tre (Dipartimento di Scienze Geologiche), sono stati presentati in forma di Poster (Geoarchaeological study of the Fucino basin (Abruzzo, Italy)) alla 6th Conference of Italian Archaeology (Communities and Settlements from the Neolithic Age to the Early Medieval Period), University of Grningen (the Netherlands), 1517 Aprile 2003. Una parte importate del lavoro si basa sulla bibliografia esistente che, per la scelta di rendere la lettura di queste pagine pi corsiva, indicata alla fine del contributo.
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diversi, in stagioni diverse, sotto alterne fortune, ma tali da poter instaurare quella celeste corrispondenza di amorosi sensi per la quale si vive con lamico estinto e lamico con noi. Il luogo della memoria di Silvia - della sua grazia, dei suoi sorrisi, della sua gioia di vivere - ciascuno di noi che, insieme, possiamo rappresentare nel ricordo lorma che ha impresso nei nostri cuori. Ci siamo chieste per giorni cosa avremmo potuto scrivere per ricordare Silvia, per ricomporre alcuni momenti della sua vita. Abbiamo cercato di ricostruire avvenimenti, di ricordare aneddoti, di trovare qualche traccia di una data, di un giorno condiviso per un appuntamento o riunione a Largo Leonardo Murialdo con i colleghi del Master o a casa sua, dopo che la condivisione di un percorso di studi aveva assunto solo la forma delloccasione fortuita del nostro esserci incontrate. Abbiamo aperto files e faldoni per cercare traccia dei periodi in cui seguimmo i corsi di geoarcheologia insieme, per ricostruire il suo percorso in quegli anni; abbiamo ritrovato appunti nostri e suoi, articoli sui quali studiammo insieme, fitti dei suoi commenti in margine, ben ordinati in raccoglitori trasparenti ad evocare ricordi, a costruirne la trama. In una vertigine, abbiamo visto riemergere come dalle profondit di un lago contributi su Scurcola Marsicana, Ortucchio, Celano Paludi e Cerchio, per imbatterci nei depliant del Museo di Preistoria di Celano Paludi e del Museo Archeologico Nazionale dAbruzzo. Abbiamo cos cercato di individuare quale fosse stata la data precisa in cui Silvia entrata nella nostra vita; quale fosse il giorno esatto di quel gennaio del 2001 in cui, mentre eravamo gi tutti seduti, guardandoci intorno per scrutare con discrezione i nuovi colleghi di corso, entr un po trafelata una bella ragazza con i capelli scurissimi, un sorriso disarmante e gli scarponi anti-infortunistica sedimentati di polveri e terra di numerosi scavi archeologici. A questa ricerca febbrile poi subentrata, dun tratto, la consapevolezza, netta e precisa, che Silvia entrata, congiunta alla certezza che dentro di noi rimasta, eleggendoci, come tutti coloro ai quali ha lasciato il suo discreto e generoso affetto, a sua urna,
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luogo ubiquo e vivo dentro il quale rimane teneramente accolto, come cullato, il suo luminoso ricordo. Lunicit di qualcuno che stato cos importante da essere rimpianto non pu essere annullata dalla morte; limpronta cava che lascia nel cuore ha la sua forma e nessun altro pu colmarla del tutto. Nessuno, se non il suo stesso ricordo, che pu rendere meno tormentoso il vuoto e far subentrare, accanto al dolore e alla confusione, la folgore della riconoscenza. Cos, seguendo metaforicamente le tracce di terriccio che Silvia si lasciava dietro nei corridoi del Dipartimento di Geologia dellUniversit di Roma Tre e che formava piccoli tell sotto il suo banco, abbiamo cercato di riportare il calendario del nostro cuore a quel periodo, sentendo riesplodere confidenze, aspettative, timori, gioie, sorrisi e risate che rappresentano un po dellhumus che Silvia ha donato alla nostra anima, fertile delle foglie del suo albero, dai colori vividi e schietti, che ci si sono sedimentate dentro cadendo durante il sommesso autunno seguito allo splendore di una, seppur brevissima, lussureggiante stagione primaverile. Da quella sua prima apparizione in aula e da quando ci si present, sorridente, la prima volta, ci hanno subito legate non solo la condivisione di un obiettivo, di un interesse e di una formazione, ma anche lintuizione di una possibile comprensione ed accoglienza profonde. Accoglienza che Silvia ha sempre donato generosamente a tutti coloro che aveva intorno, rassicurandoli con la sua consapevolezza, la sua saggezza, lintegrit danimo di chi non mai stato evasivo nei confronti della sua anima; la sua ospitalit intesa nel senso pi pieno del termine; il suo affetto, la sua dedizione. In ci che Silvia ha voluto donarci (e che noi, quasi archeologhe dellurna che gelosamente conserviamo dentro noi stesse, scendiamo a rivelare), ci sono momenti di condivisione perfetta, che galleggiano ancora sospesi nel suo studio. Nella sua stanza edificata di libri lavoravamo un po angustiate ad un compito che ci accomunava e cementava i nostri reciproci giorni, assumendo quasi un aspetto eccitante per quanta forza stesse liberando nellaccomunare i nostri animi. Ne uscivamo a tratti
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liete, quando lo lasciavamo per una pausa densa di ben altre confidenze, profonde pi di quanto possa esserlo mai stato il bacino di nessun lago. Quei giorni -e quelle sere- hanno ora per noi una limpidezza cristallina; riflettono una luce intensa, che ci illumina dellamore di Silvia. Oltre alla grazia, allaccoglienza, alla saggezza e alla generosit, ci che contraddistingueva maggiormente Silvia era la determinazione e lentusiasmo nel perseguire la sua vocazione e nello svolgere il suo lavoro, la passione per il quale cresciuta progressivamente da quando, approdata nella citt eterna, ha intrapreso gli studi di Archeologia allUniversit La Sapienza discutendo una tesi di laurea in Epigrafia Romana. stata Silvia ad insegnarci cosa vuol dire amare veramente larcheologia, il lavoro sul campo, il contatto con la terra e con le storie che essa sa raccontare a chi pronto ad ascoltarle; ci ha insegnato che fare archeologia sul campo significa reggere a ritmi di lavoro usuranti, resistere a qualsiasi condizione atmosferica, accontentarsi talvolta di una retribuzione modesta e spesso procrastinata a tal punto da dover fare un altro mestiere per potersi permettere il lusso di fare gli archeologi. Eppure, la sua passione per larcheologia era tale da indurla a continuare anche quando sapeva che il contatto con la terra poteva essere estremamente pericoloso, anche quando avrebbe potuto trovare strade alternative. Silvia, per, non voleva lalternativa: tutte le volte che il suo stato precario di salute non le permetteva di fare larcheologa a tempo pieno e la costringeva in casa, a lavorare esclusivamente alla documentazione, lei si sentiva in gabbia; le mancava la sua trowel, le mancavano le sue scarpe antinfortunistica, la sua squadra di operai, la sua terra. La scelta del Corso di Master in Geoarcheologia si iscriveva in maniera del tutto coerente nel suo percorso di formazione ed era motivata dalla volont e dal bisogno di integrare le competenze propriamente storico-archeologiche con conoscenze scientifiche e tecnologiche di ampio respiro, che le permettessero di interagire e di interloquire in maniera consapevole e costruttiva con gli specialisti delle numerose discipline affini allarcheo64

logia, nellottica di una ricostruzione globale e completa delle dinamiche culturali ed ambientali del passato. Nel suo percorso lidea stessa di geoarcheologia ha acquistato quindi un senso forte e convincente: lattenzione ad ogni aspetto della ricerca sul campo nella ferma convinzione che ogni operazione di scavo al tempo stesso unoperazione di distruzione e che larcheologo sia responsabile della prima e pi difficile lettura del testo della cultura materiale, un testo multidimensionato e multistratificato, che va decodificato attraverso una adeguata contestualizzazione. soltanto attraverso lanalisi del contesto che si pu attribuire un contenuto di significato alla cultura materiale. Di qui la necessit per larcheologo di acquisire, allatto dello scavo, il maggior numero di informazioni possibile e di dotarsi degli strumenti teorici necessari a rivolgere il maggior numero di domande alla documentazione archeologica. Dalla nostra iscrizione al corso di Master, allalba del 2001, Silvia fu immediatamente animata da questo sforzo di perfezionamento ed integrazione delle sue competenze: le sconosciute discipline che le si presentavano e le recenti nozioni apprese erano nuovo humus per la sua passione e nuova linfa per la sua vocazione, costantemente tesa ad arricchirsi per poter svolgere al meglio i propri compiti, per poter dare un contributo sempre pi significativo agli studi ai quali era devota. Cos Silvia ha sempre assorbito con grande passione le nozioni di geologia, palinologia, archeozoologia, archeobotanica, ecologia preistorica, e tante altre, in una costante e proficua dialettica culturale in cui le sue competenze incontravano quelle dei nostri colleghi geologi. Infatti Silvia incanalava la sua passione e la gioia che le dava anche nellinsegnare, nel condividere, nel rendere accessibile ad altri il suo sapere, come quando, durante la settimana di scavo a Cerchio, si prodigava ad illustrare ai colleghi geologi, da archeologa professionista, il modo in cui agire nella nostra trincea, oltre a commentare ed illustrare i reperti archeologici conservati nel Museo di Celano Paludi, nella cui foresteria fummo ospitati. Cos ci riappare Silvia vagante -con quella sua speciale luce
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negli occhi- per il Museo e i magazzini di Celano Paludi, ricolmi del materiale archeologico proveniente dallinsediamento palafitticolo e dalla necropoli l portata alla luce, profondamente attratta dalla mostra allora in corso Amore e Morte nellAbruzzo antico, dal fascino del suo allestimento e dalla sua ricchezza in termini di comprensione storica di quelle antiche fasi di popolamento, letteralmente riemerse dal lago. In quel Museo, dallarchitettura futuristica e dalle modalit espositive e museali molto innovative, Silvia ebbe modo di stabilire contatti con numerosi studiosi, maturando anche ci che, in nuce, avrebbe poi rappresentato loggetto della sua tesi di specializzazione in Archeologia Classica. Durante quella settimana di permanenza cominciammo cos a conoscere quel territorio le cui dinamiche insediamentali avremmo studiato e cercato di ricostruire in un quadro coerente e dettagliato per la nostra tesi di Master, nello svolgere la quale fummo tutti chiamati ad un grosso sforzo di sintesi che ci permettesse di condurre un lavoro genuinamente interdisciplinare. Cos, le diversissime competenze di tutti noi -Silvia, Renato, Marta, Annamaria, Gloria e noi due scriventi- furono massicciamente raccolte nellingaggiare questimpresa, ovvero nello studiare i siti archeologici come archivi per la storia dellambiente e delle comunit antropiche, nellintento di indagare linterazione esistente tra dati ambientali in senso lato e culturali e la loro incidenza reciproca sullo sviluppo delle societ umane. Ricerche geoarcheologiche nellarea Fucense: premesse, finalit e metodologia di indagine La scelta dellarea sulla quale sperimentare il nostro progetto di ricerca geoarcheologica ricadde sulla conca del Fucino per due motivi principali: in primo luogo, la continuit abitativa ininterrotta, a partire dal Paleolitico Superiore fino ad oggi, che lha caratterizzata e, in seconda ma non meno significativa istanza, il suo contesto geomorfologico, prepotentemente determinato dalle vicende di ingressione, regressione e bonifica del lago attorno al
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quale gravitavano e gravitano gli insediamenti umani. La conca del Fucino, infatti, dal punto di vista geomorfologico, formata dalla depressione tettonica costituita dalla piana emersa dalla bonifica (avvenuta nel 1875 ad opera dei Torlonia), bordata da terrazzi e depositi di varia origine, formatisi nel Pleistocene Superiore e nellOlocene, che si estendono fino alle falde dei rilievi montuosi che la circondano. La piana costituita da sedimenti fini, limo-sabbiosi e limo-argillosi ed posta a quote comprese tra 655 e 667 m s.l.m. Essa delimitata sia da forme di accumulo (sedimenti lacustri, conoidi fluviali e fluvioglaciali e fasce detritiche) che da forme di erosione, determinate dallattivit delle acque del lago. Questultima, determinando frequenti e sensibili cambiamenti delle linee di riva, ha condizionato fortemente lubicazione degli insediamenti e le dinamiche di popolamento. Tali prerequisiti facevano quindi di questarea un luogo privilegiato per potervi svolgere uno studio di archeologia ambientale che si proponesse di correlare le dinamiche insediamentali che interessarono le popolazioni che nelle diverse epoche abitarono la piana e i suoi dintorni con lubicazione geomorfologica degli insediamenti stessi, ponendosi come scopo principale quello di dimostrare come lintreccio di cause naturali e antropiche avesse creato un dinamico rapporto uomo-territorio. In una prospettiva di questo tipo, lobiettivo che ci eravamo proposti era cercare di leggere i dati archeologici -che permettono una caratterizzazione culturale degli insediamenti, ne forniscono datazioni e ne chiariscono le attitudini e la funzionalit- sulla base della distribuzione geomorfologica di questi ultimi. Tale prospettiva di analisi interdisciplinare ha infatti dimostrato che loccupazione delle rive lacustri e perilacustri e lo sfruttamento dei versanti e degli altipiani montani sono stati fortemente legati sia alla presenza del lago, con le sue molteplici oscillazioni e la forte influenza esercitata sul microclima della regione, sia a ragioni di tipo socio-economico. Di conseguenza, accanto allanalisi della peculiare situazione climatica ed ambientale del comprensorio fucense, lanalisi culturale, sociale ed economica delle popolazioni che lo abitarono,
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condotta in una prospettiva diacronica, ci ha permesso di individuare anche i fattori umani che, di volta in volta, determinarono la scelta di specifici modelli insediamentali, dimostrando quanto profondamente le dinamiche ambientali e culturali fossero reciprocamente dipendenti. Tale impostazione, dopo pi di un anno di lavoro, ci ha permesso di individuare le specifiche strategie di popolamento adottate nella regione fucense durante le fasi preistoriche, protostoriche e storiche e di tratteggiare modelli insediamentali piuttosto differenziati per ciascuna epoca. La prima, lunga fase del nostro lavoro consistita nellubicare con precisione i siti risalenti ai periodi da noi indagati - dal Paleolitico al Medioevo - sulla carta IGM al 25:000 del Fucino, sulla base di un materiale spesso frammentario e contraddittorio, cui correlammo una serie dettagliata di informazioni aggiuntive che costituirono lo scheletro del nostro GIS di questarea e la premessa per lelaborazione di una completa carta geoarcheologica del bacino fucense. I siti ubicati in carta ammontano a 234 e per ciascuno sono stati specificati i seguenti parametri, resi da codici convenzionali necessari per lelaborazione del GIS: il numero progressivo (NUM), il comune di appartenenza, il toponimo IGM (TOPO_IGM), il toponimo (alcune volte diverso, perch ricavato dalla bibliografia, da quello segnato sullIGM, v. Aielli/Agellum), la quota, lelemento fisiografico (COD_EL_FISIO), la datazione1 e la funzione (COD_FUNZ. ARCHEO)2. In base alle notizie reperibili in letteratura, dalle ricognizioni di scavo effettuate e dai pochissimi lavori gi condotti in mate-

Paleolitico Superiore, Paleolitico Medio, Epipaleolitico/Mesolitico, Neolitico, Eneolitico, Bronzo Antico, Bronzo Medio 1-2, Bronzo Medio 3, Bronzo Recente, Bronzo Finale, Bronzo finale/I et del Ferro, I et del Ferrro 1-2, I et del Ferro 3, I et del Ferro 4, Arcaismo, periodo Italico-Romano, periodo Romano, periodo Medievale. 2 Grotta, sito di superficie, area di frammenti fittili, fossato, abitato, necropoli, colonia, vicus, villa, fundus, residenza comitale, municipium, corte, cella, area cultuale, rocca, castrum, monastero, chiesa, torre, sconosciuto.
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ria, abbiamo acquisito faticosamente il materiale sul quale fu basata la nostra analisi, condotta operando, quindi, una dettagliata classificazione fisiografica della posizione degli insediamenti, raggruppati in sei classi suddivise in sottoclassi rigidamente distinte in base alla loro geomorfologia, seguendo sostanzialmente le pubblicazioni di Irti (1991) e Ialongo (2003, 2005 in collaborazione, 2007). In base agli studi del primo, per ogni sito stata verificata lubicazione: 1) Sulla piana: questa classe comprende genericamente tutta la zona pianeggiante, costituita per lo pi da sedimenti fini limoso-sabbiosi e limoso-argillosi, corrispondente alla depressione del lago storico e ai glacis derosione contigui, che non presentano soluzione di continuit dal punto di vista altimetrico. 1a) Sulla piana a ridosso del versante: una sottoclasse della precedente, in cui viene specificata unulteriore informazione, quella della posizione rispetto ai versanti. 1b) Sulla piana su cordone litorale: anche questa categoria riguarda i siti ubicati nellarea della piana, ma su depositi diversi rispetto a quelli prevalenti; i cordoni litorali infatti sono costituiti da ghiaie o comunque da sedimenti pi grossolani rispetto ai limi lacustri, con migliori capacit drenanti. 2) Sulla fascia compresa tra 670-720 m: questa zona altimetrica corrisponde genericamente a superfici blandamente ondulate sospese sulla piana, di origine lacustre o alluvionale. 2a) Su terrazzo situato nella fascia compresa tra 670-720 m: si tratta di superfici sub orizzontali sospese rispetto alla piana, formate da depositi medio-fini. 2b) Su conoide situato nella fascia compresa tra 670-720 m: questo tipo di deposito caratterizzato da una debole pendenza e da materiali di origine colluviale, prevalentemente ghiaiosi. 3) Su versante acclive: questa classe morfologica riguarda solo il settore meridionale della conca del Fucino, occupato da rilievi carbonatici che danno origine a versanti particolarmente ripidi, su cui si sono impostate diverse grotte. 4) Sulla fascia di rilievi oltre i 720 m: questo settore costituito da rilievi blandamente ondulati, di origine prevalentemente lacustre, da cui si pu avere unampia visibilit sulla piana; riguarda essenzialmente i settori settentrionale ed orientale. 4a)
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Sulla fascia di rilievi oltre i 720 m in posizione dominante: alcuni dei suddetti rilievi presentano delle morfologie particolarmente favorevoli al controllo sulle zone circostanti (sommit di rilievi, spianate a quote pi elevate rispetto alle colline intorno, ecc.) 4b) In prossimit di corso dacqua sulla fascia di rilievi oltre i 720 m: vedi classe 2c. 5) Su falde e coni detritici di versante: questi depositi, con pendenza spesso elevata, sono costituiti da materiale spigoloso situato ai piedi dei versanti. 6) Altro: questa classe comprende le zone situate in posizione periferica o addirittura esterna rispetto alla piana, che non possono pertanto rientrare nella presente classificazione, creata in base alle caratteristiche geomorfologiche proprie di questo particolare settore dellAppennino centrale. I siti censiti (Fig. 1), poi, sono stati a loro volta classificati per datazione e funzione, almeno quando i dati archeologici hanno permesso di fornirne una interpretazione certa, segnalando altres le diverse funzioni assunte nel tempo dagli stessi. Infatti, la conoscenza archeologica dellarea del Fucino ad oggi abbastanza frammentaria. Solo la porzione sud-orientale del bacino stata oggetto di scavi sistematici ed estensivi, che attestano una continuit abitativa ininterrotta a partire almeno dallet del Bronzo. I dati relativi al popolamento del resto della piana e soprattutto dellareale nord-occidentale sono piuttosto scarsi, essendo frutto spesso di sole ricognizioni di superficie ed essendo concentrati sulle fasi pi recenti, segnatamente a partire dallepoca romana in poi. La conoscenza del popolamento di questa zona nelle fasi precedenti si limita, spesso, alle notizie del ritrovamento di frammenti ceramici nei pressi degli abitati delle epoche successive che, essendo spesso in continuit abitativa, hanno obliterato i livelli preistorici. Siti importanti per la comprensione delle dinamiche territoriali ed umane, come Ortucchio, Trasacco, Luco dei Marsi, presentano una stratificazione antropica pressoch continua, in cui ai castelli medievali o ai vici romani corrispondono labili testimonianze delle et precedenti, che consistono per lo pi in acciottolati e in quantit variabili di
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Fig. 1 - Carta di distribuzione dei siti nella Piana del Fucino e nelle aree limitrofe rielaborata da Irti 1991. Legenda: 1. Avezzano-Le Mole 3. 2. Avezzano- Strada 6. 3. Paterno-La Chiusa. 4. Paterno-Strada 10. 5. Venere-Strada 26. 6. Ortucchio-La Madonnella 1. 7. Ortucchio-Strada 28. 8. Ortucchio- Strada 29. 9. Ortucchio-La Punta. 10. Ortucchio-Balzone1. 11. Trasacco-S.Rufino 1. 12. Trasacco1. 13. Trasacco-Il Molino. 14. Luco dei Marsi-Strada 45. 15. Avezzano-Le Mole 2. 16. S. Pelino-Caruscino. 17. S. Pelino-S. Martino. 18. Celano-Paludi. 19. Celano-Cave di ghiaia. 20. Cerchio-La Ripa. 21. S. Benedetto dei Marsi-S. Maria. 22. S. Benedetto dei Marsi-La Moletta. 23. Venere-Restina. 24. Venere- Laghetto Canbise. 25. Venere-Le Coste. 26. Lecce nei Marsi. 27. Ortucchio-Balzone2. 28. Ortucchio-Arciprete. 29. Trasacco-S. Rufino2. 30. Trasacco-Volpare. 31. Luco-Passarano. 32. Luco-Pozzo S. Angelo. 33. Ortucchio-Le Coste. 34. Ortucchio-Satrano di sopra. 35. Trasacco 2. 36. Luco-Angitia. 37. Aielli Alto. 38. Collarmele. 39. Aschi-Piano S. Nicola. 40. Aschi-S. Nicola Valle Fredda 41. Amplero2. 42. Collelongo-Paretella. 43. Collelongo-Fondij. 44. Civitella Roveto. 45. Scurcola Marsicana. 46. Magliano dei Marsi. 47. Alba Fucens. 48. Antrosano. 49. Cesoli. 50. Rivoli. 51. Ortona dei Marsi.

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materiale ceramico. Tra laltro, la stessa estensione territoriale di questi abitati, che dovrebbero essere i meglio conosciuti, non sempre chiara, poich spesso sono stati indagati attraverso una serie di sondaggi puntuali che non permettono di chiarire definitivamente la loro pertinenza ad insediamenti di vaste proporzioni o piuttosto ad insediamenti di dimensioni esigue e posti a poca distanza gli uni dagli altri. A questo proposito esemplare il caso di Ortucchio-Strada 28, che nellet del Bronzo sembrerebbe aver raggiunto unestensione complessiva di ben 30 ha. In realt la stratigrafia di questo sito si presta a svariate interpretazioni, quale quella che prevede un sito migrante a causa delle frequenti e sensibili oscillazioni del livello lacustre, quella che postula la presenza di siti gemini, in cui ad un sito pi prossimo ai terrazzi retrostanti la piana sarebbe corrisposto un sito che invece insisteva su questa contrassegnato da funzioni, morfologia e tempi diversi, e quella per cui questo insediamento doveva essere il pi importante dellareale sud-orientale fin da questa fase protostorica. La mancanza di dati certi, per, rende impossibile scegliere tra le varie ipotesi anche per un sito come questultimo che, come si diceva, ha avuto sempre grande importanza nella storia del popolamento fucense, soprattutto per le sue caratteristiche geologiche. Infatti, linsediamento si trova sulla sommit di un blocco calcareo che lo proteggeva dalle oscillazioni del livello lacustre e lo rendeva unisola in mezzo al lago; ci deve essersi verificato di frequente se, ancora nel 700, si ricorda il castello medievale di Ortucchio come posto su unisola. Quindi si cercato, quando possibile, di isolare solo i dati che presentavano una maggiore verosimiglianza, ma che soprattutto erano stati raccolti secondo procedimenti della cui affidabilit si poteva esser certi. Ci ha significato che sono stati decisamente scartati gli insediamenti ubicati e attribuiti ad una specifica fase storica solo in base al ritrovamento di pochi (meno di una decina) di frammenti ceramici che, seppure danno unindicazione topografica, non permettono di capire quale fosse la tipologia, la vocazione e la funzione degli insediamenti stessi. Tuttavia, pur
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considerando le carenze della documentazione e la mancanza di dati certi per alcune fasi storiche, si riusciti a ricostruire un quadro di massima dello sviluppo delle modalit di adattamento al territorio delle popolazioni fucensi nella storia e ad intrecciare i dati relativi alla loro specifica distribuzione sul territorio con i dati derivanti dallanalisi del clima, dellambiente e dello sfruttamento economico del territorio. Lelemento determinante e catalizzante nellorganizzazione territoriale ed urbanistica stato, come si diceva, il lago, con le sue frequenti e sensibili oscillazioni. Quindi, la fascia perilacustre in senso stretto ed in particolare la piana, ovvero la zona pi critica dellintera area fucense, stata larea indagata pi attentamente, nel tentativo di verificare se e quanto le popolazioni che la abitavano venivano condizionate dalloscillazione del livello lacustre. Tenendo presente lulteriore distinzione tra siti di nuova fondazione e in continuit abitativa, appare evidente, per i primi, un trend evolutivo che percorre tutta la storia delle popolazioni fucensi fino al Medioevo, in cui alla predominanza assoluta di siti sulla piana documentata per let del Bronzo (2300-1020 a.C.) con una percentuale del 72% contro il 28% di insediamenti al di fuori dellarea perilacustre, corrisponde una decisa inversione di tendenza nellet del Ferro (1020-525 a.C.), quando i siti sulla piana si riducono al 27%, contro il 73% di insediamenti al di fuori di essa. Loccupazione della piana riprende, poi, nel periodo romano, con il 32% degli insediamenti contro il 68% dei siti posti in posizioni periferiche. Nel Medioevo, infine, la percentuale degli abitati sulla piana diminuisce di nuovo di qualche punto percentuale (25%), a fronte del 41% degli insediamenti che occupano posizioni alternative (Fig. 2). Sulla base di questi dati propriamente territoriali si potranno indagare le motivazioni delle scelte umane, senza incorrere nellerrore metodologico di lasciarsi influenzare da un puro determinismo ambientale. chiaro che certe scelte insediative sono state dettate anche da motivi genericamente culturali, quali lo sfruttamento economico del territorio o le necessit di difesa. Il brusco cambiamento del modello insediativo tra et del Bronzo
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Fig. 2 - Distribuzione degli insediamenti rispetto alla piana dal Paleolitico al Medioevo.

ed et del Ferro un significativo esempio di questo tipo di interrelazioni di cause. A partire dal Bronzo, infatti, comincia un periodo piuttosto arido e secco che subisce una mitigazione proprio alla fine di questa fase storica. Inoltre, le societ dellet del Ferro erano notevolmente pi strutturate ed organizzate di quelle delle epoche precedenti ed documentata la nascita di comunit culturalmente distinte (quella equa e quella marsa) nei due versanti nord-occidentale e sud-orientale del bacino fucense. Il ritrovamento di armi e lesistenza di rituali funerari tipici di una societ abbastanza gerarchizzata ed in cui un valore imprescindibile della classe dominante era il valore in battaglia, hanno lasciato presagire, per questepoca, il verificarsi di tensioni e conflitti tra i gruppi. Questo stato di cose potrebbe spiegare larroccamento e lincastellamento abbastanza generalizzato al quale si assiste in tutto il bacino fucense, che prevede labbandono di un grandissimo numero di insediamenti in posizione pianeggiante occupati non solo nellet del Bronzo ma, in alcuni casi, a partire dallEneolitico. Evoluzione diacronica del trend di popolamento dellarea fucense dal Paleolitico al Medioevo Ripercorrendo la letteratura esistente sullargomento, si evince che i pi antichi dati archeologici relativi al popolamento del Fucino risalgono al Paleolitico. Come per le successive fasi protostoriche le informazioni derivano prevalentemente dalla scoperta di manufatti sporadici o sono frutto di ricognizioni di superficie che, nella maggioranza dei casi, forniscono indicazioni meramente topografiche, dimostrando una distribuzione degli insediamenti (soprattutto in grotta) sui versanti acclivi o sulla fascia dei rilievi oltre i 720 m. Nel Neolitico e nellEneolitico, poi, il passaggio da uneconomia di caccia e raccolta ad una basata sulla coltivazione dei cereali determina la necessit di ricercare terre leggere e pianeggianti in prossimit di una fonte idrica che potesse consentire lirrigazione dei campi. Queste esigenze furono soddisfatte dalle piccole
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valli fluviali, che confluivano nellalveo del lago. Alla fine del quarto millennio, poi, con lintroduzione di una economia basata anche sullallevamento transumante, furono occupati anche i rilievi montuosi, raggiungibili attraverso le strette vallate fluviali sfocianti direttamente nei pressi del bacino lacustre. evidente, quindi, che la particolare conformazione geomorfologia del Fucino si prestasse in modo eccellente ad uneconomia integrata fra agricoltura di fondovalle e allevamento con la tecnica dellalpeggio. Tra la fine del III e linizio del II millennio si assiste ad un fenomeno di maggiore differenziazione e complessit, quanto a tipologia e a scelta insediamentale, delle comunit fucensi, corrispondente ad un probabile incremento demografico e al passaggio ad entit maggiormente differenziate articolate su pi vasti territori, con insediamenti diversificati in base alla funzione, dimensione, morfologia e con luoghi deputati al seppellimento. I siti dellet del Bronzo sono localizzati in decisa prevalenza sulla piana, laddove tale ubicazione non solo resta preferenziale, ma subisce un progressivo e costante incremento; per il Bronzo Antico (2300-1700 a.C.) i siti indagati ammontano a 10, di cui 8 sono ubicati sulla piana e solo 2 al di fuori di essa, rispettivamente su versante acclive (Trasacco 2) e sulla fascia dei rilievi oltre i 720 m (Massa dAlbe). Solo in tre casi certi sono ubicati in corrispondenza di abitati risalenti alle fasi precedenti (Trasacco-il Molino e Ortucchio-Balzone 1 hanno fornito materiali antecedenti per lEneolitico; Ortucchio-Strada 20 per il Mesolitico e il Neolitico). Il dato che appare interessante che tutti gli altri insediamenti fondati in questa fase siano ubicati sulla piana o sulla piana a ridosso del versante. Tale dato assume una particolare importanza se confrontato con quelli derivanti dallanalisi del modello insediativo documentato per le epoche precedenti, in cui lubicazione preferenziale era su versante acclive e sulla fascia dei rilievi oltre i 720 m. Nella fase seguente (BM 1-2, 1700-1500 a.C.) lammontare degli insediamenti sale a 11, di cui solo due (di datazione affidabile) ubicati in prossimit di abitati preistorici (Celano-Paludi
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aveva avuto una occupazione nel Neolitico, e Venere-Le Coste nellEneolitico). Anche per questo periodo, la pressoch totalit degli abitati si trova sulla piana, continuando ad aumentare progressivamente. Nel BM 3 (1500-1365 a.C.) si raggiungono i 13 insediamenti, di cui 3 nuove fondazioni. Nel BR (1365-1200 a.C.) si conoscono 18 insediamenti (di cui 4 sono nuove fondazioni), mentre nel BF-IFE (1200-1020 a.C.) si raggiunge la massima densit abitativa, con un numero di abitati che ormai raggiunge le 28 unit. Di altri 11 siti non stato possibile specificare la datazione precisa, o perch se ne conosce la sola posizione topografica senza possedere materiale archeologico sufficiente a datarli, o per il cattivo stato di conservazione del materiale stesso. Ci che appare chiaro, dunque, che il modello insediativo non solo preferenziale ma pressoch esclusivo, adottato dalle popolazioni fucensi nellet del Bronzo prevedeva una ubicazione sulla piana (72% degli insediamenti) e in percentuale decisamente inferiore (28%) in posizioni periferiche rispetto ad essa. Se si includono i siti di datazione meno certa o frutto di sole ricognizioni superficiali e, alcune volte, ubicati solo in base al ritrovamento di un numero anche irrisorio di frammenti ceramici, le percentuali relative di distribuzione fisiografica rimangono simili. Alla posizione preferenziale sulla piana segue quella sulla piana ma a ridosso del versante (14%), quella su terrazzo sulla fascia pianeggiante sospesa sulla piana (14%) e quella su versante acclive (7%) ove, tuttavia, sono documentate quasi esclusivamente grotte abitate dalle precedenti fasi preistoriche e riutilizzate, probabilmente, come ripari temporanei. Se tra i siti abitati in questa fase si isolano quelli di nuova fondazione e si escludono quelli riutilizzati e rifrequentati, il ventaglio delle scelte insediative, in parte, si restringe, mantenendo sempre e comunque una marcata preferenza per lambiente immediatamente perilacustre. Inoltre, dallanalisi dei siti di nuova fondazione effettuata in senso diacronico, percorrendo le diverse fasi dellet del Bronzo, appare chiaro che le scelte di posizioni periferiche rispetto alla piana si moltiplichino a partire dal Bronzo Recente. Infatti, se la scelta dei
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versanti acclivi o della fascia lacustre a ridosso dei versanti resta costante, sebbene in progressivo aumento, durante tutto larco dellet del Bronzo, a partire dal Bronzo Medio 3 (periodo appenninico, 1500-1365 a.C.) vengono fondati nuovi insediamenti sulla fascia dei rilievi oltre i 720 m, sui terrazzi ubicati sulla fascia tra i 670 e i 720 m. Ciononostante, gli insediamenti sulla piana continuano ad essere fondati in numero sempre maggiore e con un trend di aumento progressivo pi significativo. Tra laltro, i siti fondati a quote elevate e lontani dalla piana sono ubicati nella loro pressoch totalit presso valli fluviali o conche intramontane che ne permettevano il collegamento diretto con il bacino lacustre. Questa osservazione dimostra che lubicazione degli insediamenti sui terrazzi pedemontani o sui rilievi non fu una risposta alle variazioni del livello lacustre (che, oltre che nel lungo periodo, devono essere avvenute pressoch stagionalmente), ma nacque da nuove esigenze (economiche, strategiche, ecc.), legate probabilmente alla maggiore densit abitativa, allincremento demografico e alla probabile nascita di insiemi territoriali pi vasti con siti differenziati in quanto a vocazione, morfologia e funzione. Inoltre, la vicinanza a valichi che potevano collegare il bacino fucense alle regioni limitrofe (utilizzati anche durante i periodi successivi) pu essere stata una scelta strategica per il controllo di vie di commercio e di scambio con le popolazioni dellItalia centrale. Gli insediamenti dellinterno sono infatti posti lungo percorsi vallivi o di montagna che saranno utilizzati anche in et storica come vie di collegamento con le aree limitrofe (Valle del Salto, Conca Peligna, Alto Sangro, Valle Roveto). Queste direttrici talvolta coincidono con quelle che in et storica saranno le grandi vie pastorali e commerciali. Gli insediamenti di Scurcola Marsicana e di Magliano dei Marsi si trovano nelle vicinanze del fiume Imele, in corrispondenza della diramazione che, sul versante ovest porta alla valle dellAniene e allarea laziale, verso nord alla valle del Salto e quindi nel reatino. Collelongo-Fondj e Collelongo-Paretella sorgono su lieve declivio pedemontano, in prossimit del torrente che solca la Vallelonga e, quindi, sulla
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principale via di penetrazione dal lago verso i monti del Parco Nazionale dAbruzzo. inoltre utile sottolineare che pressoch tutti gli insediamenti sono prossimi a fonti di approvvigionamento idrico (lago, corsi fluviali e torrentizi, sorgive). Tra gli insediamenti perilacustri ubicati nella piana, Avezzano-Le Mole, Venere-Strada 26, OrtucchioStrada 28, Ortucchio-La Punta, Ortucchio-Balzone, Trasacco-S. Rufino, Trasacco 1 e Trasacco-Il Molino si trovano in luoghi ove ancor oggi sono presenti ricche sorgive. Tra quelli ubicati fuori dalla piana, anche molti insediamenti posti sui terrazzi si trovano in corrispondenza dello sbocco di piccoli corsi fluviali o torrentizi che si riversano nel lago; essi sono: S. Pelino-Caruscino, CelanoPaludi, Celano-Cave di ghiaia, Cerchio, Venere-Restina, VenereLaghetto Cambise, Lecce nei Marsi, Luco-Pozzo S. Angelo. Le linee di riva del lago, per let del Bronzo, potrebbero essere individuate, in base allubicazione degli insediamenti, intorno alle quote di 656-663 m s.l.m., ma con possibili temporanee variazioni. In assoluto, verosimile che il lago abbia potuto avere oscillazioni temporanee (v. siti di Ortucchio-Strada 28, OrtucchioBalzone, Trasacco-S. Rufino, Trasacco e Celano e loro dislocazione), ma il fatto che nellet del Bronzo gli insediamenti sulla piana continuino ad essere abitati e, anzi, che ne vengano fondati sempre in maggior numero fino alle soglie della successiva et del Ferro dimostra che le popolazioni umane si erano ben adattate allambiente in cui vivevano. Infatti, il periodo di passaggio tra il Bronzo Antico e il Bronzo Medio corrisponde allinizio di un periodo pi arido e freddo, in cui la vicinanza ai corsi dacqua e al lago doveva essere diventata una necessit imprescindibile. Dal punto di vista culturale ed economico, in particolare, il modello insediativo che emerge dallanalisi della disposizione degli abitati dellet del Bronzo, nonch le analisi condotte su questi ultimi, dimostrano che le popolazioni fucensi di questa fase storica dovevano essere fondate su uneconomia di sussistenza mista, basata sulla coltivazione -in piana e sulla superficie sospesa su di essa, pianeggiante e comunque facile da arare anche con il solo
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aratro leggero-, sullallevamento -che comportava la necessit di pascoli nelle conche intramontane o ad alte quote- e sulla caccia e pesca (sebbene questultima non sia sufficientemente documentata). Accanto alla semplice osservazione del modello insediativo, infatti, le analisi specialistiche (condotte esclusivamente per il sito del BF di Celano/Paludi) sulla flora e sulla fauna risalenti a questo periodo hanno dimostrato lesistenza di coltivazioni miste di cereali sulla piana, tipiche di una societ stanziale e con una economia di sussistenza basata sullagricoltura. Accanto a queste coltivazioni, i diagrammi pollinici ed i macroresti vegetali hanno dimostrato lesistenza, sempre sulla piana, di piante infestanti tipiche delle colture agricole, di erbe e piante tipiche di zone adibite a pascolo e di bacche o semi di piante frutto di raccolta. Quanto allallevamento del bestiame, il ritrovamento di resti di animali quali bue, pecora/capra, pecora, capra e maiale, dimostrano lallevamento di queste specie, anchesse basilari per leconomia di queste popolazioni. Il ritrovamento di resti di cervo, capriolo e cinghiale, infine, testimonia dellattivit di caccia. La pesca, poi, documentata solo dal ritrovamento di alcuni pesi da rete, ma la sua pratica altamente probabile. Let del Ferro comprende un arco cronologico che va dalla fine dellet del Bronzo (Bronzo Finale 3 fine dellXI sec. a.C. 1020 a.C. circa) alla conquista romana dellItalia centrale (IV sec. a.C.). Se non ancora possibile effettuare una distinzione netta tra gli insediamenti del Bronzo Finale e quelli della prima et del Ferro, poich mancano contesti archeologici in cui queste due fasi possano esse individuate con precisione, la fase di passaggio tra la prima et del Ferro ed il Ferro recente, ovvero lOrientalizzante antico, ancora meno documentata sia delle fasi pi antiche che di quelle pi recenti, poich la maggior parte dei dati di cui disponiamo sono frutto di ricerche di superficie, di archivio e di segnalazioni cui solo in pochi casi hanno fatto seguito scavi sistematici. Il tentativo di tracciare una linea di evoluzione nelle dinamiche insediamentali del comprensorio fucense , di conseguenza, fortemente inficiato da questa carenza di dati stratigrafici
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puntuali. Anche per let del Ferro i siti sono stati distinti su base geomorfologica in siti perilacustri ed in siti lontani dalla piana. Sulla base di questo schema stato possibile effettuare una periodizzazione degli abitati in due fasi cronologiche principali: (1) la prima et del Ferro (I FE 1-2) e (2) let del Ferro recente (inquadrabile in un orizzonte culturale orientalizzante ed arcaico). Dal punto di vista della ubicazione geomorfologica degli abitati, appare chiaro come tra Bronzo Finale e prima et del Ferro vi sia una sostanziale continuit: tutte le rive del lago sembrano ancora interessate da una distribuzione relativamente omogenea degli insediamenti con una ubicazione preferenziale sulla piana (il 46%), seguita da una su ampio terrazzo (il 25%). Sembra dunque prevalere linteresse per lo sfruttamento delle risorse perispondali e della piana circostante rispetto a quelle delle zone collinari e montuose poste ai margini della conca stessa. Permane inoltre, in linea con una tendenza gi evidenziata per let del Bronzo, una maggiore concentrazione di siti nellarea di Ortucchio, di Trasacco e di Avezzano. Si tratta di aree a lunga continuit di vita: nel caso di Ortucchio il sito di Strada 28 era gi in uso nel Mesolitico, nel Neolitico e nellEneolitico, il sito di La Punta ha restituito evidenze archeologiche che attestano una frequentazione durante il Paleolitico superiore, il Neolitico e lEneolitico, con una cesura durante le fasi pi antiche del Bronzo ed una rioccupazione nel Bronzo Recente e Finale, nella prima et del Ferro ed infine in et romana, quando cambier la destinazione duso da abitativa a sacrale con linstallazione di unarea dedicata al culto degli antenati. Nellarea di Trasacco, il sito di Trasacco I dimostra una continuit abitativa che copre tutto larco dellet del Bronzo fino alla prima et del Ferro. In localit Madonnella, nelle immediate vicinanze e ad una quota di poco pi alta (670 vs 660 m s.l.m) sar ubicato un vicus in et romana ed unarea cultuale dedicata ad Apollo. Ciononostante, esiste un problema metodologico non trascurabile che costringe alla cautela nella valutazione delle evidenze fornite almeno dalla porzione sud-est del bacino e che non autorizza conclusioni definitive. vero, infatti, che gli insediamenti sorti nella
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porzione perilacustre compresa tra Trasacco ed Ortucchio hanno avuto una continuit di vita molto lunga, ma altrettanto vero che solo in questarea sono state effettuate le indagini pi accurate. Alla continuit insediativa tra Bronzo Finale e prima et del Ferro corrisponde anche una sostanziale continuit culturale. Nellambito delle attivit artigianali, la metallurgia, gi sviluppata nellet del Bronzo -ed in particolare nelle fasi finali di essoconosce un eccezionale incremento nella prima et del Ferro. Dallanalisi dei manufatti metallici, rinvenuti in quantit rilevante nei dintorni del Fucino, sembra che, se in un momento piuttosto antico del Bronzo Finale, databile tra il XII e lXI sec. a.C., larea del Fucino gravitava nella cerchia metallurgica dellEtruria meridionale, importandone oltre che manufatti finiti anche la materia prima che alimentava una produzione locale capace di elaborazioni originali, allinizio dellet del Ferro (XI-X sec. a.C.) la gravitazione tirrenica diviene partecipazione attiva alla nuova koin metallurgica che compare in questo momento sullintero territorio dellEtruria, con unampia circolazione di manufatti e di modelli in molte regioni. Per quanto concerne gli usi funerari della prima et del Ferro e lesistenza o meno di una continuit con il periodo precedente, le uniche informazioni archeologiche provengono dalla necropoli di Celano Paludi, dalla tomba in localit Agguacchiata a Luco dei Marsi e dalle deposizioni pi antiche della necropoli dei Piani Palentini a Scurcola Marsicana. Non si conoscono, fino a questo momento, necropoli dellet del Bronzo e, anzi, limpianto della necropoli di Celano, che si data circa al X secolo, viene ad obliterare proprio labitato preesistente. Si deve evidenziare, in questo caso, un fenomeno di discontinuit rispetto al periodo precedente: solo con linizio dellet del Ferro che la necropoli acquisisce unautonomia topografica rispetto allabitato, divenendo punto di riferimento della comunit stessa cui fa capo. Nel caso di Celano, il numero assai limitato di sepolture (7), la peculiarit e la forte valenza simbolica degli oggetti di corredo funebre, unita alla considerevole forza lavoro necessaria alledificazione dei tumu82

li, inducono ad ipotizzare che tali sepolture fossero appannaggio esclusivo delle classi sociali emergenti. Ma, se la vita della necropoli di Celano sembra essere circoscritta ad un periodo di tempo molto limitato, la necropoli dei piani Palentini, abbastanza lontana dal lago, mostra una continuit duso cos ampia (dal IX fino al V sec. a.C.) da assurgere al ruolo di vero e proprio indicatore territoriale, punto centrale di aggregazione collettiva in cui ogni specifica comunit potesse riconoscersi. La vera cesura nella dinamica insediamentale nel bacino del Fucino si verifica con il passaggio alla fase recente dellet del Ferro. Gli insediamenti sulla piana vengono nella stragrande maggioranza dei casi abbandonati, mentre la maggior parte degli insediamenti di nuovo impianto sorgono lontani dalle rive del lago, prediligendo lubicazione su rilievo isolato (76%) a quote comprese tra gli 800 e i 1400 m s.l.m. Si registra, quindi, nel comprensorio del Fucino, con notevole ritardo rispetto alle situazioni dellItalia centromeridionale, un aumento di importanza delle potenzialit tattico strategiche degli abitati, con la chiara tendenza a localizzare gli insediamenti in posizione naturalmente fortificata e dominante sul territorio circostante e a rafforzare tale posizione con opere difensive artificiali, quali muraglioni di pietra e fossati, talvolta anche plurimi. Lindividuazione dei valori della quota minima e massima dei siti dellet del Ferro ci consente altres di proporre qualche considerazione sulla variazione del livello lacustre nel corso di questa fase storica. Per quanto concerne la prima et del Ferro, la constatazione che la piana sia stata abitata in maniera omogenea e continua dalla fine dellXI a tutto il IX secolo potrebbe indurre a pensare che la linea di riva del lago, in questo periodo come durante il Bronzo, si sia mantenuta piuttosto stabile. In particolare, linsediamento a quota inferiore abitato continuativamente quello di Ortucchio-Strada 28, ubicato a 656-659 m s.l.m. Ci verrebbe ad avvalorare lipotesi gi avanzata per let del Bronzo e cio che, dal 2300 all 800 a.C. ca., il livello del lago sia stato inferiore a 656-659 m s.l.m., perfezionando le linee di riva ricostruite su
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base geologica (Cordone litorale di Trasacco, < 667, e spianata di Luco, Trasacco e Ruscella, < 662); bisogna tener conto, per, che la situazione stratigrafica dello scavo abbastanza confusa e che, comunque, il sito ubicato in una fascia tettonicamente ribassata del bacino, il che potrebbe averne falsato laltitudine. Per quanto riguarda il Ferro recente, la situazione si complica in quanto non stata ricostruita su base idrogeologica nessuna linea di riva e in pi non abbiamo insediamenti sulla piana, ossia nelle immediate vicinanze del lago. Il valore della quota minima di 670 m s.l.m. si riferisce al sito di La Petogna presso Luco dei Marsi che sorge su terrazzo pedemontano. Nellarea di Ortucchio lunico sito pi vicino, in linea daria, alla sponda del lago, quello di Colle di S. Orante che si trova per ad una quota elevata (681 m s.l.m.). Per quanto concerne poi le necropoli, solo una delle 25 topograficamente individuate ubicata sulla piana perilacustre: si tratta di S. Antonio Abate nella zona di Luco dei Marsi, ad una quota di 670 m s.l.m. Risulta evidente come le aree cimiteriali si dispongano, a quote abbastanza elevate nelle zone interne, lungo le tre principali valli fluviali del comprensorio del Fucino, quella del Giovenco, del Rio Tana e del Fossato di Rosa. Ci chiaramente visibile nella Vallelonga, ai bordi della valle di Ortucchio ma soprattutto nella piana fra il Giovenco e il torrente la Foce. Lubicazione preferenziale quella su ampio terrazzo (28%), seguita da quella alle pendici dei rilievi (22%) e poi da quella a mezzacosta (16%). Anche per le necropoli si tratta, purtroppo, nella maggior parte dei casi, di dati frutto di ricognizioni di superficie, poich i contesti archeologici indagati relativamente alle fasi orientalizzante ed arcaica sono solo tre: oltre alla gi citata necropoli dei Piani Palentini di Scurcola Marsicana, a lunga continuit di vita (IXVIII- VII sec. a.C.), i corredi funerari scientificamente acquisiti sono quello di Pescina-Le Pergole, riferibile allVIII sec. a.C. e i due recuperati dalla Soprintendenza Archeologica dellAbruzzo in localit Camerino a Lecce dei Marsi, databili allVIII-VII secolo. La distribuzione geomorfologica delle necropoli, quindi,
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poco pu dirci sulla eventuale linea di riva dellet del Ferro recente. Sembra invece eloquente, oltre al fenomeno generalizzato dellabbandono dei siti collocati in posizione pianeggiante intorno al lago, proprio la totale mancanza di insediamenti come di necropoli nellarea in questione e la preferenziale ubicazione dei primi in posizione arroccata su alto rilievo e delle seconde a quote inferiori ma in stretta connessione con gli abitati daltura. Ci potrebbe essere spiegato con un aumento del livello lacustre (da 655 a 662-663 m s.l.m.) in coincidenza di un cambiamento climatico globale corrispondente al passaggio tra i periodi sub-boreale e sub-atlantico nel nord Europa. Il clima freddo ed umido e le abbondanti precipitazioni locali avrebbero potuto rendere impraticabili le pianure perispondali, almeno in certi periodi dellanno, rendendo necessaria lubicazione dei nuovi insediamenti e delle necropoli in aree non direttamente prospicienti il lago. Purtroppo questa ipotesi non , allo stato attuale delle ricerche, suffragata da precisi dati paleoclimatici, idrogeologici o palinologici, n di conseguenza in alcun modo verificabile. Oltre allipotesi dellimpaludamento dei piani a seguito dellinnalzamento del livello lacustre, il fenomeno di una cos consistente diffusione della struttura insediamentale incastellata stato spiegato anche chiamando in causa un secondo fattore concomitante al primo, vale a dire uno sconvolgimento economico-sociale che port al moltiplicarsi di piccole realt sociopolitiche non confluenti in un potere centrale. Ci avrebbe determinato un alto livello di conflittualit interna e reso prioritari nella scelta della ubicazione dellinsediamento fattori quali la difendibilit, lampia visibilit ed il controllo sul territorio circostante. Inoltre, sulla base delle dinamiche insediative e degli usi funerari, Roberta Cairoli e Vincenzo dErcole hanno messo in evidenza nel 1998 due modi differenti di occupazione ed utilizzazione del territorio che gravita attorno allalveo del Fucino, avanzando la suggestiva ipotesi che possano riferirsi a due diversi ambiti culturali distinti: il primo, riferibile ad un ambito culturale protoequo, si colloca nellarea nord-occidentale del bacino lacustre ed caratterizzato dalla totale assenza di in85

sediamenti perilacustri, a fronte di un articolato sistema di siti daltura gravitanti intorno ad un central place individuabile nel sito di Alba Fucens (1020 m s.l.m.). Nellambito dei rituali funerari questarea sembra essere caratterizzata dalluso di tombe a tumulo, di stele funerarie e dallassenza di vasellame ceramico nelle sepolture. Il secondo, attribuibile ad una matrice culturale protomarsa, riguarda la maggior parte del comprensorio fucense ed contraddistinto dalla presenza di plausibili siti egemoni (ad es. il sito di Colle SantOrante ad Ortucchio e quello di Colle Penna a Luco dei Marsi) che sorgono in posizione arroccata ed elevata e sono inseriti in un sistema di insediamenti in interazione con il lago stesso. Per quanto riguarda le costumanze funerarie, questarea si discosta dalla precedente per lassenza dei tumuli inscritti in circoli di pietre. Concludendo, il modello insediativo emerso dallanalisi degli insediamenti dellet del Ferro dimostra un cambiamento radicale rispetto alla fase protostorica precedente, delle strategie e delle esigenze delle popolazioni, dovuto al probabile cambiamento delle strategie di sussistenza e a nuove esigenze difensive, in concomitanza con ladattamento ad una nuova situazione climatica. La complessit del rapporto tra le comunit antropiche e lambiente apparsa evidente altres per i periodi romano e medievale, che hanno costituito loggetto degli studi di Silvia. Di seguito si riportano le pagine scritte da lei su questo argomento. I periodi seguenti, Italico-Romano, Romano e Medievale, sono stati analizzati in relazione a due macro-fasi: quella compresa tra il III sec. a.C. (prime attestazioni dei vici) e il VI sec. d.C. (tarda et imperiale) e quella che va dallVIII sec. d.C. fino allXI sec. d.C. per il periodo Medievale. A partire dalla met del IV sec. a.C. i Romani, volendo ottenere il possesso territoriale della Valle del Liri e della Campania, scatenarono una serie di guerre contro i Sanni86

ti e le varie etnie di origine sabellica loro alleati. La vittoria romana diede inizio allannessione dellarea sabellica settentrionale, che si comp per mezzo di campagne di sterminio (ad esempio contro gli Equi), le fondazioni delle colonie latine di Alba Fucens e di Carsioli, annessioni dirette oppure trattati di alleanza con le popolazioni dei Vestini, Marsi, Peligni e Marrucini. Il bacino fucense diventa, in questa fase, un punto di passaggio obbligatorio della dorsale appenninica. A partire dal IV sec. a.C. la distribuzione geopolitica intorno al lago cos divisa: la popolazione degli Equi era stanziata lungo la riva nord, mentre quella dei Marsi si attestava sulla riva meridionale. Lemergere di nuove aristocrazie italiche decise ad ottenere la cittadinanza romana per poter ottenere gli stessi diritti dei cittadini appartenenti al governo centrale provoc la guerra sociale (91-89 a.C.), dagli storici antichi definita bellum Marsicum dato il ruolo di primo piano avuto dalla popolazione dei Marsi. Nonostante la dura sconfitta della popolazione locale, gli Italici ebbero la concessione della cittadinanza; tutto il territorio venne riorganizzato per municipi ai quali si correla la struttura dei vici, piccoli abitati sparsi. Il processo di urbanizzazione e di monumentalizzazione dei centri pi importanti, lampliamento della rete stradale e quindi dei traffici commerciali, innescano un veloce processo di latinizzazione e di inserimento della regione nel pi ampio tessuto della conquista romana. Lepoca imperiale poi segnata dal prosciugamento del lago, iniziato dallimperatore Claudio e completato definitivamente tra Traiano e Adriano. Lacquisizione e la distribuzione di nuove terre a discapito del lago aggiunse un cambiamento nel quadro insediativo dellarea con lintroduzione di villae
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e fundi. La disponibilit di terreni abbastanza pianeggianti attraversati da una fitta rete stradale consent uno sfruttamento intensivo del territorio. Durante il III sec. d.C., tuttavia, larea fucense non usc indenne dalla crisi che invest tutto lImpero. Alla crisi economica e sociale si aggiunsero anche elementi locali di origine naturale come ad esempio il terremoto del 346 d.C. o linnalzamento del livello lacustre determinato sia dalla mancata manutenzione dellemissario sia dalla dislocazione del canale collettore causata da ripetuti fenomeni sismici. Questi fattori, associati alle invasioni barbariche, produrranno una contrazione degli abitati e il riemergere dellinsediamento sparso dei vici e dei pagi. Tale sistema durer fino allVIII sec. d.C., quando le grandi abbazie di Montecassino, Farfa e S. Vincenzo al Volturno, inglobando lintero patrimonio fondiario del comprensorio fucense, sottoporranno il territorio ad un nuovo tipo di organizzazione insediamentale. Anche per i siti fondati o abitati in questo periodo storico sono state eseguite le analisi di distribuzione condotte per i periodi precedenti. La suddivisione degli insediamenti stata effettuata principalmente per tipologia, mentre per quanto riguarda la cronologia stata considerata quella massima del periodo oggetto di studio, come si detto dal III sec. a.C. fino al VI sec. d.C. La ragione di una scansione cronologica cos ampia giustificata sia dalla mancanza di dati puntuali sulle datazioni dei singoli siti sia dalla continuit nelloccupazione territoriale di essi tra un periodo e laltro. Essendo documentata una grande variet tipologica e funzionale degli insediamenti datati a questo periodo, parso utile analizzare la disposizione fisiografica relativa delle diverse categorie di siti. Da questa analisi tipologica si desunto che lubicazione
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sui rilievi, o comunque in zone periferiche rispetto a quella perilacustre, rimasta sostanzialmente preferenziale. Solo le villae e i fundi, a confronto con i vici, le aree cultuali, i municipi e le colonie, sembrano seguire una tendenza leggermente diversa. La spiegazione a questo fenomeno data dallosservazione che questi insediamenti sorgono nella maggior parte dopo la bonifica del lago, effettuata tra il I e il II sec. d.C. La struttura dei vici, invece, rappresentata da piccoli abitati sparsi collegati in entit amministrative di tipo federale, non accorpati in nuclei urbani consistenti. In una prima fase di transizione i centri fortificati di altura (gli oppida o castella o ocres) convivono con questo nuovo modello insediamentale, ma lentamente i vici sostituiranno gli oppida. Un forte impulso al cambiamento viene sicuramente determinato dalla presenza dei Romani che, non diversamente da ci che accade in altre zone dellImpero, cercarono di stabilire con le popolazioni locali un rapporto pacifico, concedendo una certa autonomia interna, agevolando forme urbane di diversa entit e di diverso significato politico. Molto interessante come punto di passaggio tra let del Ferro, col suo modello insediativo prevalentemente orientato ai siti daltura e let romana, in cui il ventaglio delle scelte insediamentali si moltiplica e la piana viene, sebbene in piccola parte, rioccupata, il periodo cosiddetto italico-romano, che mostra una situazione molto simile a quella dellultima fase del Ferro (Arcaismo). Mentre i siti fondati nellArcaismo erano al 74% sui rilievi oltre i 720 m s.l.m. e solo al 13% sulla piana, quelli fondati in questo momento sono ubicati nel 56% dei casi sulla fascia dei rilievi oltre i 720 m s.l.m. e nel 31% sulla piana. Oltre a quelli di nuova fondazione, i siti posti sulla fascia dei
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rilievi oltre i 720 m s.l.m. in parte riutilizzarono alcuni ocres impiantandovi le aree cultuali sullacropoli e situando il centro dellabitato alla base (cfr. vicus di Cerchio in loc. S. Monica-Li Cantoni) ed in parte destinarono i vecchi abitati ad uso funerario, come documentato dai ritrovamenti di sepolture nei centri fortificati di Aielli, di Mesula e Arciprete ad Ortucchio, Colle S. Angelo di Lecce dei Marsi o lungo la valle Solegara e la conca di Amplero presso Collelongo. Dal punto di vista strategico, la scelta di rilievi ha il vantaggio di offrire unottima visibilit della piana e il controllo delle colline circostanti. Dal punto di vista economico, si mantiene la vocazione spiccatamente agro-pastorale di queste popolazioni che si basava su unagricoltura di sussistenza e sullallevamento del bestiame. I Romani incentivarono questo tipo di economia anche per ragioni di stabilit sociale e culturale, poich legava saldamente al proprio territorio e alle tradizioni il ceto di piccoli e medi produttori. La posizione fisiografica dei vici stata correlata con quella delle aree cultuali in quanto strettamente legate agli abitati inglobati nelle strutture degli antichi ocres (come summenzionato) o, in alcuni casi, situati al di fuori degli abitati, costituendo un punto di riferimento per pi vici posti nelle vicinanze. In mancanza di centri urbani ben definiti da infrastrutture politiche e amministrative, i santuari rappresentavano il punto centrale di aggregazione non solo religiosa ma anche economico-sociale. Nonostante la dispersione insediativa, la fitta rete di strade documentata per questepoca non si limitava a porre in comunicazione tra loro gli insediamenti dispersi nella conca fucense, ma li collegava anche alla Campania e allEtruria. Il ritrovamento, nella maggior parte delle aree cultuali, di depositi votivi con monete appartenenti a zecche
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campane e magno-greche con emissioni a partire dal IV sec. a.C. testimonia la vivacit di contatti tra il territorio in questione e altre aree anche geograficamente lontane. La deduzione della colonia di Alba Fucens nel 303 a.C. e la creazione dei municipia di Marruvium e di Anxa comport una poderosa riorganizzazione del territorio fucense. I siti menzionati non vengono creati ex novo: Alba Fucens risulta frequentata sin dallet eneolitica; Anxa esisteva gi dallet del Ferro e in epoca italico-romana; Marruvium, che era occupato da un insediamento dellet del bronzo, viene considerato dagli studiosi uno spostamento in pianura del villaggio fortificato di Rocca Vecchia di Pescina. Nella pianificazione urbanistica voluta dai Romani questi centri vengono scelti innanzitutto come avamposti militari lungo le pi importanti traiettorie di comunicazione extraregionale: Alba Fucens era situata tra il tratto terminale della Valle del Liri e la Valle del Salto e Marruvium divent il nodo obbligato di transito per i centri posti ad oriente del Fucino. Anxa-Angitia, gi importante punto di riferimento cultuale per le popolazioni locali, vide consolidato questo ruolo e fu elevato al rango di citt. Il sito si distinse anche per essere un luogo produttivo, come testimonia il ritrovamento di fornaci gi attive sin dalla fine del IV sec. a.C., e di traffico lacustre, come attestato dalla presenza di strutture portuali databili allet repubblicana. Per il periodo che va dal III sec. a.C. fino allepoca adrianea (II sec. d.C., periodo della perfetta funzionalit dellemissario) difficile stabilire quanto le oscillazioni del livello del lago abbiano condizionato la disposizione fisiografica dei siti perilacustri. Certamente lesistenza di tre porti, rispettivamente nel territorio di Angitia, di Marruvio e di Ortucchio, in
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uso prima della bonifica parziale del lago avvenuta tra il I ed il II sec. d.C., indica che il lago in quel punto fosse sufficientemente profondo da essere navigabile. Inoltre, soffermandosi sulla disposizione degli abitati e delle aree cultuali situate a ridosso della piana, ragionevole pensare che vi fosse unoriginaria via di collegamento circumlacustre, poi sistemata definitivamente dai Romani con il distaccamento della Via Valeria circonfucense. La presenza della strada pu essere un indizio che le oscillazioni del lago in quel periodo non influenzavano la disposizione degli abitati e delle aree cultuali disposte in prossimit della piana. In base alle evidenze archeologiche, per il periodo italico-romano si ipotizzato che la linea di riva si attestasse intorno alla quota di 660 m s.l.m., come sembrerebbero dimostrare i siti disposti sulla piana compresi tra le quote 661 e 725 m s.l.m. e le strutture portuali di Angitia, comprese tra le quote 658-659 m s.l.m. Inoltre, in epoca repubblicana il lago deve aver avuto delle oscillazioni in positivo, come ha dimostrato il recente ritrovamento di alcuni canali antichi di cui uno pre-romano, alloggiato su sedimenti sabbiosi misti a ceramica appenninica e colmato da limi misti a ceramica di epoca repubblicana. Tuttavia, per lintero periodo romano non sembra che vi siano state forti oscillazioni del livello lacustre, data lassenza di sedimenti lacustri sulla base dei versanti e la presenza di depositi detritico-colluviali databili tra il II ed il III sec. d.C. Per quanto concerne lo studio del polline fossile del lago del Fucino emerge che, a partire dallet del Ferro fino allepoca Romana, il cambio climatico in senso umido ebbe come conseguenza lespansione della copertura vegetale. Si registra, inoltre, la coltivazione di varie specie di frumento che attesta una tendenza alla diversificazione dei coltivi.
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Al sistema italico costituito dalla successione oppidum - vicus - santuario si affianca limpianto di villae e fundi, senza che vi sia lobliterazione della tipologia insediativa precedente, a partire dalla prima et repubblicana. Questi nuovi insediamenti vengono impiantati prevalentemente sulla piana e in zone semipianeggianti. Le villae rappresentano un nuovo elemento di sfruttamento del territorio, determinando il passaggio da unagricoltura di sussistenza ad una destinata a colture intensive quali cereali, vite e olivo. La bonifica del lago e la divisione agraria che ne segu, a giudicare dalle fonti storiche, ebbe una forte ricaduta economica, laddove lacquisizione di ampi terreni di fondovalle a spese del lago rappresent per le popolazioni locali una preziosa risorsa. La distribuzione in classi fisiografiche degli insediamenti risalenti alla fase storica ora in esame pi o meno omogenea ovunque; senzaltro per la prima volta, in questo periodo, il ventaglio delle scelte insediative si fa molto pi vario ed articolato, per ragioni prevalentemente culturali in senso lato. Oltre al 37% di insediamenti posti sulla piana, quelli ubicati in posizione periferica rispetto ad essa risultano per il 17% in posizione dominante sulla fascia dei rilievi oltre i 720 m s.l.m., per il 16% su questa stessa fascia montana -ma non in posizioni particolarmente adatte al controllo del territorio- e per il 5% in prossimit di corso dacqua. Su conoide nella fascia altimetrica tra i 670 e i 720 m s.l.m. ubicato l11% degli insediamenti e su versante acclive il 5%. I siti compresi in questultima classe fisiografica sono per lo pi, come in tutte le fasi storiche precedenti, grotte, che venivano riutilizzate a scopo culturale o come ripari durante la transumanza. Le villae rusticae diventano delle grandi aziende a colture specializzate arboree (uliveti, frutteti e vi93

gneti) e cerealicole (grano). Contemporaneamente si intensifica anche luso di terra a pascolo, vista anche la disponibilit di una fitta rete tratturale adatta alla transumanza. Le nuove terre recuperate vengono suddivise tra i tre centri pi importanti: i territori di Alba Fucens, Marruvium e Lucus Angitiae. Dal Liber Coloniarum (I, p. 244, 13 L; Nomina agri mensorum; II, p. 253,5 L) noto che la centuriazione di Alba fu realizzata nel 149 d.C. come diretta conseguenza della bonifica del lago ad opera di Adriano, anche se gli studiosi sono concordi nel ritenere che doveva esistere gi una partizione del territorio risalente allepoca del primo impianto della colonia. La suddivisione per assi paralleli (i decumani), tagliati saltuariamente da alcuni limites (i cardini) disposti perpendicolarmente, che dividono il territorio in particelle rettangolari per strigatio e scamnatio. Questo sistema sembra ascrivibile alla fase pi antica della colonia. Tuttavia, la sopravvivenza nella topografia attuale degli antichi limites della centuriazione si pone in modo problematico. Da una parte, infatti, lanalisi autoptica effettuata sulle fotografie aeree (volo del 1954) non permette la ricostruzione di un quadro attendibile e, dallaltra, stato verificato che alcune tracce ritenute dagli studiosi residui degli antichi limiti centuriali in realt sono resti delle faglie del terremoto del 1915. Infine, bisogna considerare che le forti oscillazioni del lago documentate dopo il periodo medievale hanno provocato un grande accumulo di limi e di detriti che hanno sicuramente obliterato gran parte delle tracce della divisione agraria. Se si escludono i siti in continuit abitativa con le epoche precedenti e si analizza la distribuzione dei soli siti di nuova fondazione si evince con maggiore
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chiarezza la scelta per un modello preferenzialmente incentrato sui rilievi (36% degli insediamenti), oltre che sulla fascia pianeggiante tra i 670 e i 720 m s.l.m. (27%) e sulla piana (25%). Caratteristico dellarea del Fucino, rispetto al territorio abruzzese, lutilizzo massiccio di strutture in opera poligonale quali sostruzioni di pendii, di declivi e di rilievi in prossimit di corsi dacqua; questi terrazzi si sovrapponevano ad elementi geomorfologici naturali ed erano utilizzati sia per evitare che fenomeni di erosione dei pendii pi scoscesi potessero danneggiare gli abitati, le aree cultuali o le colture, sia allinterno dei siti per opere di urbanizzazione come cinte murarie, edifici pubblici, strade. Queste opere costruttive interessano anche alcuni siti posti sulla piana come risulta per Angitia (quota 850), per il vicus a Luco dei Marsi in loc. Agguacchiata (quota 670), per il santuario di S. Manno/ Fonte del Paradiso (quota 661) e per il vicus di Arciprete (quota 669) ad Ortucchio. Si pu ipotizzare che gli abitati avessero bisogno di sostruzioni oltre che per evitare imprevedibili cedimenti del terreno anche per consolidare il terreno paludoso su cui erano collocati. Significativa, a tal proposito, la presenza di siti terrazzati posti in prossimit di corso dacqua sulla fascia dei rilievi oltre i 720 m s.l.m. Si gi messo in evidenza che la fitta rete di tratturi costruiti in epoca pre-romana collegata al movimento di uomini e di animali ed ai contatti con le popolazioni limitrofe. Tra le vie di comunicazione, nel periodo repubblicano vi sono da menzionare quelle acquatiche che si dipartivano dai porti di Angitia, Marruvium e Ortucchio. I tre porti mettevano in contatto la sponda sud-occidentale, quella nord-orientale e quella sud-orientale. Si conosce, inoltre, anche il tipo di imbarcazioni utilizzato, grazie ad unanalisi
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dettagliata effettuata sul rilievo storico dei Torlonia che ritrae la citt e i dintorni di Marruvio. In piena et imperiale, larteria pi importante era costituita dalla via Tiburtina Valeria, che inizialmente metteva in comunicazione la madrepatria con le colonie di Carseoli e di Alba Fucens, giungendo sin dalla prima et repubblicana fino a Corfinio. Probabilmente parte del tracciato originario ricalcava un percorso pi antico che, seguendo le direttrici naturali attraverso la Valle del Salto, giungeva sulla collina di Alba Fucens per poi discendere in direzione SE verso lattuale SS Tiburtina Valeria. La via, immediatamente dopo il Rio S. Potito, presso Fonte della Battaglia, si biforcava in un secondo tracciato, definito via Valeria Circonfucense, che raggiungeva Marruvio e da l proseguiva circondando il lago (in quel periodo non ancora prosciugato). Da Alba Fucens partiva unaltra importante arteria che, passando da Lucus Angitiae, sulla sponda occidentale e meridionale del lago, raggiungeva la Valle del Sangro. Anche il municipio di Marruvium ebbe un ruolo di primo piano per i traffici commerciali, possedendo una rete viaria che la collegava con tutti i centri del Fucino. La crisi generalizzata che investe tutto lImpero, a partire dal III sec. d.C., in parte si riflette anche nellarea del Fucino. In epoca tardo-antica si assiste ad alcuni interventi sul territorio sia per quanto riguarda le infrastrutture, sia per quanto concerne larredo urbano. Durante il IV sec. d.C., infatti, sono documentati restauri alla via Valeria ad opera dellimperatore Magnenzio. La via Tiburtina Valeria, insieme con la via Claudia Valeria, sua prosecuzione, era considerata uno dei principali sbocchi sullAdriatico e quindi verso lIlliria, sede della nuova corte imperiale. La mancata manutenzione dellemissario ro96

mano, irrimediabilmente danneggiato dal terremoto del 346 d.C. e linstaurarsi di un clima freddo e piovoso causarono la risalita del lago. Nonostante tutto ci una continuit di vita testimoniata per gli insediamenti del Fucino. I restauri di alcune strutture di Alba Fucens danneggiate dal terremoto, la presenza di commerci testimoniati dalla circolazione monetale e dalle ceramiche evidenziano che non vi sia stato un abbandono totale dellarea, dove probabilmente per alcuni centri urbani si svuotano favorendo la ripresa del sistema oppido-vicanico. Quanto alla fase storica collocabile tra la fine dellImpero e gli inizi dellepoca medievale, la mancanza di fonti documentarie e di scavi archeologici sistematici per il periodo che va dal VI fino allVIII sec. d.C. ne rende difficile la comprensione delle dinamiche insediative. Notizie frammentarie informano che nella seconda met del VI sec. d.C. la Marsica, conquistata dai Longobardi, diviene gastaldato dipendente dal duca di Spoleto. Marruvium, nei documenti altomedievali, viene denominata Civitas Marsicana, diventa centro fiscale e sede vescovile. Alba Fucens, dopo i restauri del terremoto del 346 d.C, ritorna ad essere un centro urbano importante, grazie alla sua posizione strategica. Gli unici dati certi per lubicazione e lidentificazione degli insediamenti sono quelli riferibili allimpianto delle residenze comitali e alle aree di culto, delle quali si tramandano in linea di massima le date di fondazione. Per gli abitati, invece, non possedendo datazioni precise, si preferita la scansione di massimo periodo (VIII-XI sec. d.C.). Per comodit di esposizione, il periodo medievale stato suddiviso in altri sottoperiodi: (1) Medioevo (genericamente), dallVIII allXI sec. d.C.; (2) Altomedioevo 1, dallVIII al IX sec. d.C.; (3) Altomedio97

evo 2, dal IX al X sec. d.C.; (4) Altomedioevo 3, dal X allXI sec. d.C. Nel periodo Medievale il modello insediamentale individuato per let romana rimane pressoch stabile, poich a fronte del 32% dei siti sulla piana det romana risulta in questa posizione il 25% degli insediamenti medievali e al 68% dei siti romani al di fuori di questarea corrisponde, per lepoca successiva, il 75%. Gran parte dei siti di questa fase sorge in corrispondenza di insediamenti abitati nella precedente fase storica. Tale sovrapposizione si pu spiegare sia per lesigenza di rimanere in posizioni prossimali alle principali vie di comunicazione, sia per ragioni ambientali derivate dallinnalzamento del livello del lago. Infatti, dopo il IV e fino ad oltre il IX sec. d.C, il lago risale rispetto allepoca romana, pur se con oscillazioni negative intermedie (ad esempio, nel X secolo). Dalla seconda met dellVIII sec. d.C. il territorio del Fucino viene inglobato nei possedimenti dei tre grandi monasteri benedittini dellItalia centromeridionale: Farfa, Montecassino e S. Vincenzo al Volturno. La Tiburtina Valeria, la via Circonfucense e tutti gli altri assi viari anche secondari di epoca romana sopravvivono per tutto il periodo Medievale. evidente una grande continuit tra gli insediamenti di epoca romana e le strutture ecclesiastiche, cos suddivise in base alla loro funzione ed importanza: il monastero, la cella -che il piccolo insediamento a carattere rurale allinterno di un podere con funzione di gestione del patrimonio fondiario dei monasteri-, lecclesia, che rappresenta il luogo di culto vero e proprio e la curtis, che lazienda agricola di propriet esclusiva dei monasteri. A partire dal X sec. d.C. il potere ecclesiastico viene ridimensionato a favore del potere laico: lafferma98

zione di importanti famiglie comitali cambia lassetto insediativo intorno al lago, dove vengono scelti siti in posizione strategica in prossimit dei principali nodi viari. Dallesame dei dati in nostro possesso, infatti, appare chiaro come nel X-XI si verific un picco nella distribuzione degli insediamenti sulla piana, decisamente in controtendenza rispetto ad unubicazione preferenziale sulla superficie sospesa sulla piana tra 670 e 720 m s.l.m. e sui rilievi oltre i 720 m s.l.m. documentata per i secoli VIII-IX d.C. Nella scansione di massimo periodo, comunque, la distribuzione fisiografica degli insediamenti sembra piuttosto varia ed omogenea. Il 46% di questi ubicato sulla fascia dei rilievi oltre i 720 m s.l.m., in gran parte in posizione dominante secondo la tendenza generale di questa fase storica, e il 26% ubicato sulla piana. Questultimo dato, tuttavia, non particolarmente significativo, poich non solo quasi tutti gli insediamenti posti in questa fascia sono stati fondati contemporaneamente tra X e XI secolo, ma le notizie sui siti frequentati tra VI e VIII secolo sono pressoch completamente assenti. Infine, l8% degli insediamenti medievali si colloca su falde e coni detritici di versante. Dal punto di vista climatico, la presenza del lago sembra aver mitigato notevolmente il clima, poich nelle fonti frequente la menzione di vigneti e di uliveti coltivati nei monasteri. Le fasce montuose dovevano essere fittamente coperte da boschi, sfruttati per il legname, la raccolta di frutti stagionali e la possibilit di allevare suini. Importante per lepoca lo sfruttamento delle risorse ittiche, attestato anche dalle fonti storiche. Dopo la conquista normanna, avvenuta nel XII sec. d.C., aumenta il numero di castra sul territorio, che viene suddiviso tra le contee di Alba e Celano. I centri fortificati sulle alture divennero luoghi di pote99

re militare e civile mentre gli abitati si concentrarono in borghi fortificati sparsi intorno al lago. Tale tipologia insediativa sopravvive ancora oggi, nonostante il definitivo prosciugamento del lago avvenuta alla fine dell800 ad opera dei Torlonia. Concludendo, lanalisi geoarcheologica che stata condotta ha dimostrato quanto profondamente le dinamiche ambientali in senso lato e culturali ed umane siano intrecciate. Quanto peculiarit culturali delle societ possano esser state condizionate e, a volte, provocate dai fattori ambientali e quanto le scelte e le necessit umane abbiano, in altri casi, modificato, in parte, lambiente circostante. Il caso del Fucino ne stato un esempio molto efficace, essendo unarea decisamente varia e complessa dal punto di vista geomorfologico, climatico ed ambientale, occupata dalluomo a partire dalla preistoria senza soluzione di continuit. Conclusioni Figlia dello sforzo di sintesi tanto ingloriosamente qui riassunto, oltre al suo risultato confluito nella tesi, stata una sorta di oggetto-feticcio che accompagn, per tutta la sua durata, il nostro lavoro. Infatti nel regno di Silvia, dove ogni fotocopia, ogni articolo, ogni pianta e ogni bustina di cocci degli scavi in corso o in fase di studio trovava larmonia perfetta della disposizione che lei aveva dato loro, per molti mesi tra il 2001 e il 2002 ha trovato posto, tra cataste di ogni materiale cartaceo immaginabile, una sorta di lenzuolo bianco sul quale ci affannavamo ad inserire variopinti pallocchi -come li chiamava lei-, necessari a ricostruire la mappatura geomorfologica del bacino del Fucino e dedurre trend di popolamento antichi. Quella carta, pi volte lacerata e ripetutamente riassemblata con lo scotch, macchiata in pi punti da mezzelune scure, ricordo dellavvicendamento delle innume100

revoli tazzine di caff che vi furono appoggiate, resa ancor pi colta dalle osservazioni e dalle note in calce che ne istoriavano la cornice, racconta di sere e giorni, e notti, in cui il nostro studio si alternava al racconto delle nostre aspirazioni, gioie, paure, inquietudini, per gelarsi per lo sbigottimento della scoperta della malattia e, dopo il silenzio, lasciare spazio alla battaglia contro di essa. Nella sua pi grande battaglia Silvia non si mai arresa: ha combattuto silenziosamente e pudicamente ogni giorno, mentre continuava a nutrire e a seguire la passione per il suo lavoro, a visitare i luoghi principali dellarcheologia mondiale con gioia e soddisfazione, a lavorare alla pubblicazione dei suoi scavi e ad avere un animo accogliente. Ora come sospesa nel luogo della memoria, nel suono ovattato di un acquario, sospeso nel tempo e incessantemente in fluire. Da l, attutita dalla massa acquea, risuona la sua voce dolce, il suo sguardo accogliente, le sue risate schiette; senza fare troppo rumore, senza suscitare clamori, ma col contegno pudico di sempre sta, accoccolata in quella notte dai suoni ottusi, rischiarata, finch saremo in vita a fare da segnacolo del suo passaggio, dal bagliore del nostro ricordo e dal fulgore della nostra riconoscenza verso di lei.
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VALERIA SILVIA MELLACE NEGLI SCAVI DEL TEMPLUM PACIS


(23 OTTOBRE 1998 31 DICEMBRE 2000) MArGheritA cApponi

Ho conosciuto Silvia durante la campagna di scavo nel Templum Pacis o Foro della Pace, a Roma. Esattamente in occasione della campagna di scavo iniziata il 21 aprile 1998 e conclusasi ufficialmente il 31 dicembre del 2000. Dalle fonti antiche il monumento noto come Aedes, ma soprattutto come Templum Pacis, e solo in et tardo-antica Forum e tali denominazioni ne riflettono, non a caso, la diversit planimetrica, tipologica e funzionale rispetto agli altri Fori e ne sottolineano il carattere sacro. Il Templum Pacis stato inaugurato da Vespasiano nel 75 d.C. in seguito alla vittoria sui Giudei riportata nel 71 d.C. e dedicato alla Pax, personificazione della Pace che limperatore si augurava regnasse in tutto limpero. Pur riproducendo nelle grandi linee le architetture delle piazze forensi, si distingue per un serie di particolarit che vedremo in seguito, alla definizione delle quali anche Silvia, con il suo lavoro, ha contribuito non poco. Lo scavo del Templum Pacis stato condotto nellambito del grande progetto di scavo, di studio e di musealizzazione dei Fori Imperiali, resosi indispensabile in quanto mancava unedizione complessiva degli scavi, delle demolizioni e dei ritrovamenti operati tra il 1929 e il 1932, in occasione dellapertura di quella che allora veniva chiamata via dellImpero e che adesso via dei Fori Imperiali. Il progetto stato inserito dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma nel piano di interventi previsti per
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il Giubileo del 2000 ed era articolato per fasi successive di scavo, musealizzazione e creazione di nuovi percorsi allinterno dei Fori stessi. Il progetto stato coordinato da Silvana Rizzo sotto la direzione scientifica di Eugenio La Rocca, mentre lo scavo stato diretto da Roberto Meneghini e da Riccardo Santangeli Valenzani. Silvana Rizzo ha definito il nostro Il pi importante ed impegnativo scavo urbano mai realizzato in Italia per il quale sono stati in totale spesi 19 miliardi di lire. Per la porzione del Templum Pacis il progetto prevedeva lo scavo di 5550 mq, del quale allepoca erano in luce solo 800 mq, rispetto ad unestensione totale di 24000 mq. Il progetto prevedeva anche la nuova musealizzazione dei Mercati Traianei. La planimetria del Templum Pacis fino al momento degli scavi era nota solo attraverso quattro frammenti della Forma Urbis Severiana e da pochi resti murari visibili nella Torre dei Conti e nellarea della chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Si riteneva che la piazza, circondata su tre lati da portici e sul quarto lato, al confine con il Foro di Nerva, da un ordine di colonne aggettanti, fosse occupata da sei strutture parallele interpretate tradizionalmente come aiuole. Gli scavi giubilari hanno in parte confermato la planimetria nota della piazza, ma hanno anche rivelato diversi dati importanti. Prima di tutto emerso che le sei strutture in realt erano euripi, cio canali su cui scorreva lacqua che veniva raccolta da canalette marmoree che fiancheggiavano le strutture. Inoltre si scoperto che la piazza era sistemata a giardino e che lunica parte pavimentata in lastre di marmo bianco era una fascia a ridosso del muro di confine con il Foro di Nerva. Questo giardino monumentale era adornato da rose galliche piantate lungo i lati delle vasche allinterno di vasetti posti a circa un metro luno dallaltro. Lintero complesso, come era noto dalle fonti confortate anche dai nuovi dati archeologici, ospitava unimportantissima collezione di opere darte greca, e rappresentava uno straordinario esempio di museo allaperto, caratteristica che lo distingueva dagli altri Fori, luoghi deputati soprattutto allamministrazione della giustizia e allattivit politica e religiosa.
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Con Silvia ed un folto gruppo di amici e di colleghi abbiamo lavorato alle dipendenze della Societ Arkaia di Torino che si aggiudicata la gara dappalto per lesecuzione dei lavori di scavo. Gli archeologi sono stati affiancati nelle operazioni di rimozione della terra di risulta delle scavo e nei lavori propriamente edili che uno scavo urbano della portata del nostro comporta, dallimpresa Edilatellana di Caserta. Silvia ha cominciato a lavorare nel cantiere del Templum Pacis il 23 ottobre 1998 ed ha continuato fino al 31 dicembre del 2000. La sua esperienza nel Templum Pacis stata la sua prima esperienza lavorativa dopo il periodo di formazione. Allinizio limpatto stato difficile, perch il nostro lavoro era molto concitato e a volte faticoso, soprattutto per le condizioni atmosferiche. I lavori sono durati pi di un anno, perci siamo passati dal freddo pi intenso (addirittura un giorno anche nevicato, e ricordo la reazione di sorpresa di Silvia) al caldo torrido dellestate. Silvia affrontava il lavoro sempre con gioia e con passione. Il cantiere di scavo era diviso in due aree e Silvia ha lavorato in tutte e due, sempre curiosa, attenta e disponibile. Come ho ricordato prima, nello scavo siamo stati affiancati dal personale dellEdilatellana che svolgeva le attivit pi faticose. Ed in questa sede vorrei ricordare anche uno degli operai, Michele Santillo, ottimo amico di Silvia che ci ha lasciato anche lui, nel 2001. Spesso lavoravano insieme, con grande costanza ed impegno, infaticabili, sempre sorridenti. Per superare la fatica Silvia talvolta faceva qualche commento scherzoso perch tra le altre doti aveva anche un formidabile senso dellumorismo. Silvia ha partecipato alla scoperta di molte evidenze archeologiche importanti contribuendo alla definizione dellantico assetto dellarea oggetto delle indagini e alla ricostruzione delle vicende subite dal monumento nel tempo. Ricordo alcuni frammenti della Forma Urbis, la grande pianta marmorea di Roma, trovati riutilizzati in parte in strutture medievali, in parte in strati di accumulo. Mi sovviene la sorpresa di Silvia e nostra, quando pulendo i resti della gradinata del portico emersa nellarea sud-occidentale, ha
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cominciato ad intravedere la figura di un auriga incisa rozzamente da un qualche antico bighellone su uno dei gradini, con tanto di berretto e corpetto con le stringhe. Ricordo la pazienza con la quale Silvia ha scavato i resti degli scheletri pertinenti alla necropoli che si insediata nel VI sec. d.C. nella zona del Templum Pacis pi vicina alla chiesa dei SS. Cosma e Damiano, ritrovamento di grande importanza perch la prima testimonianza dellestensione delle sepolture in uno spazio pubblico urbano quale larea dei Fori Imperiali. Silvia ha contribuito inoltre al ritrovamento di pregevoli opere darte quali sono quelle pertinenti al Templum Pacis che tutti possiamo ammirare nel Museo dei Fori Imperiali, inaugurato il mese di ottobre 2008, a compimento dellambizioso progetto cui ho fatto cenno sopra e brillantemente portato a termine dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma. In uno degli ambienti che si affacciano sulla Grande Aula dei Mercati di Traiano si pu ammirare il busto-ritratto in bronzo del filosofo Crisippo, vissuto tra il 281 e il 208 o 204 a.C., datato tra il 75 e l80 d.C. che Silvia ha contribuito a trovare in uno strato di et medievale sul pavimento del portico che circondava la piazza. Nello stresso ambiente si trovano i resti di un labrum, una grande vasca di porfido rosso dal diametro di 3,5 m, in parte ricostruita da 52 frammenti, individuati tra gli altri anche da Silvia pulendo un muretto altomedievale ancora in situ. Scavando nella zona di confine tra il Templum Pacis e il Foro di Nerva, Silvia ha portato alla luce i frammenti marmorei ora visibili in un altro ambiente adiacente alla Grande Aula dei Mercati di Traiano, appartenenti ad un rilievo che rappresentava una provincia sottomessa e che originariamente adornava il lato anteriore dellattico del Foro di Nerva, in corrispondenza degli intercolumni, in una posizione analoga a quella della figura tradizionalmente interpretata come Minerva, visibile presso le cosiddette Colonnacce. Grazie alla sua esperienza di epigrafista Silvia, insieme alla collega e amica Marzia Piccininno, ha compilato un elenco delle iscrizioni e dei bolli rilevanti rinvenuti nellaera di scavo, contribuendo ad una rapida e precisa datazione di alcune delle strutture
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e degli strati ad esse correlati. Tra le altre ha schedato le iscrizioni rinvenute su alcuni frammenti di basi che dovevano sostenere le statue relative allopera di tre artisti greci di nota fama, come Partenocle, Prassitele e Cefisodoto, attualmente anchesse esposte nel Museo dei Fori Imperiali. La loro schedatura e stata e sar un punto di partenza per ledizione generale degli scavi in corso di preparazione in un volume curato dallUfficio Fori Imperiali della Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma. La campagna di scavo a cui noi abbiamo partecipato non stata lultima, perch le indagini archeologiche sono proseguite fino agli anni 2004-2008 ed in corso di elaborazione la definitiva sistemazione dellintera aera dei Fori Imperiali per unadeguata fruizione da parte del pubblico.

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RICERCHE NEL XV MUNICIPIO, ROMA


lAurA ciAnfriGliA

La mia collaborazione con Silvia cominciata nel 1999 con lapertura del cantiere di via Ricci Curbastro, quartiere portuense, dove sono stati eseguiti sondaggi archeologici preventivi per la realizzazione di box interrati. Il lavoro in quella occasione era stato affidato alla cooperativa Gea, alla quale Silvia faceva riferimento. La professionalit ma anche la simpatia, e possiamo dire il feeling che sono nati da questo primo incontro hanno portato a proseguire questa collaborazione anche su altri cantieri; collaborazione che andata oltre il semplice rapporto di lavoro. E stato in questa occasione che Silvia entrata a far parte della micro comunit archeologica che si occupa del XV municipio. A via Ricci Curbastro gli sbancamenti erano estesi ed interessavano quasi tutta la strada; vi era un gran movimento di mezzi, ruspe e camion, ma Silvia sembrava essere perfettamente a suo agio (Fig. 1). Quando io e Marina Clementini passavamo per i nostri sopralluoghi, la vedevamo puntualmente emergere in mezzo al caos con il sorriso sulle labbra ed era sempre un piacere incontrarla non solo per sentire come andava lo scavo ma anche per scambiare quattro chiacchiere. Durante gli sterri non sono emerse strutture archeologiche ma solo i resti delle antiche cave di tufo di Monteverde, con il quale i Romani hanno costruito gran parte della citt. A contatto con le stratificazione geologiche, spinta dal desiderio di nuove conoscenze iniziata la passione di Silvia per la geologia, cosa che le ha fatto intraprendere il cammino della formazione geoarcheologica. Ai geologi che facevano con me i
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Fig. 1 - Via Ricci Curbastro, resti di cave di tufo.

sopralluoghi domandava, guardando i vari colori degli strati di tufo: Ma qual il tufo di Monteverde?. Nel 2001-2002 nel corso dei sondaggi preventivi realizzati in localit Vigna Pia, dove si conserva un lembo residuo della grande necropoli di via Portuense (Figg. 2 e 3), i rapporti di stima e simpatia con Silvia si sono rinsaldati; in pi sul cantiere era arrivata Maria Cristina Grossi. Da quel momento abbiamo comincia-

Fig. 2 - Vigna Pia, colombario.

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Fig. 3 - Vigna Pia, sepolcro degli Atilii.

to a vederle sempre insieme, dove cera Silvia cera sempre anche Maria Cristina. Anche a Vigna Pia era in ballo la costruzione di box interrati, ma a differenza di Via Ricci Curbastro i resti archeologici erano gi stati individuati. Lo scavo qui andato avanti in diverse campagne (per una diffusa descrizione dello scavo si rimanda allintervento di M.C. Grossi in questo volume), ma quello che voglio qui aggiungere che grazie allo sforzo del nostro gruppo di lavoro e al coinvolgimento di vari enti, siamo riusciti a restaurare e a musealizzare il sepolcreto. Una prima notizia dello scavo stata pubblicata nel Bollettino Comunale e sul catalogo della mostra Memorie dal Sottosuolo1, in cui sono stati presentati alcuni dei materiali rinvenuti ed in particolare alcune epigrafi delle quali Silvia si era occupata2.

Roma. Memorie dal sottosuolo. Ritrovamenti archeologici 1980 /2006, a cura di M. A. Tomei, Roma 2006. 2 Attualmente in corso di pubblicazione un libro sulla necropoli di Vigna Pia, nel quale stanno confluendo tutti gli studi relativi allarea, dalla topografia alla geologia, dallantropologia ai restauri, oltre a quelli pi strettamente archeologici.
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Ma la nostra collaborazione sul territorio nel frattempo continuava. Nel 2001 si aperto il cantiere della Muratella, tra via della Magliana e il GRA, dove sono venute alla luce una tomba di et eneolitica e un sepolcreto di et arcaica (Fig. 4). Lo studio dei ritrovamenti archeologici stato completato con lanalisi dei livelli geologici. Questo ha portato ad acquisire una visione pi ampia e una migliore comprensione di tutto linsediamento; i risultati di questo lavoro sono stati presentati in un poster al convegno di Preistoria e Protostoria del novembre 2008. Nel 2005, nel cantiere di Via Idrovore della Magliana (a tal proposito si rimanda allintervento di R. Matteucci, V.S. Mellace, C. Rosa in questo stesso volume), dove era prevista la realizzazione di un grande centro commerciale, stato portato avanti un sistema diverso di analisi preventive non pi basato esclusivamente sulle consuete trincee. Queste ultime, infatti, sono state precedute da una campagna di carotaggi geognostici la cui lettura andava effettuata da una figura esperta in geoarcheologia. Tale lavoro, eseguito con estrema perizia da Silvia, anche poi in collaborazione con Carlo Rosa, ha permesso di programmare i sondaggi nel terreno tramite trincee solo nei punti a pi alta criticit. Proprio in questi punti sono venuti poi alla luce, infatti, alcune strutture romane: la prima probabilmente appartenuta a una villa di et

Fig. 4 - Loc. Muratella, fianco della collina con tombe di et eneolitica e arcaica.

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repubblicana ed unaltra di et imperiale, ambedue non ancora studiate in maniera compiuta. Come spesso accade nel nostro lavoro, i rapporti con i costruttori sono molto problematici: molto difficile infatti far capire loro che devono spendere per larcheologia. Silvia ha assistito spesso alle riunioni che ci sono state per discutere dei lavori da eseguirsi su questo cantiere, riunioni non sempre troppo tranquille, ma la sua competenza mi sempre stata di grande conforto e soprattutto la sua onest intellettuale e professionale mi ha aiutato a raggiungere i risultati che qui possiamo presentare. Grazie Silvia.

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GLI SCAVI DI VIGNA PIA E MURATELLA (2001-2002)


MAriA criStinA GroSSi

Lopportunit offerta in questa sede di parlare di Silvia in un ambito ben circoscritto quale quello dellarcheologia, consente di soffermarmi su contenuti ben precisi da esprimere, che riguardano un aspetto cos peculiare della sua formazione e della sua persona. Del resto, per me che non amo esternare le sensazioni pi profonde e le reazioni pi autentiche davanti agli eventi dolorosi della vita, non facile spiegare cosa comporta affrontare quotidianamente la mancanza di Silvia, dei suoi gesti, delle sue frasi e degli oggetti che erano il suo io di contorno, di speciale definizione. E ci soprattutto considerato che alcuni lavori iniziati con lei anche parecchi anni or sono hanno ancora un prosieguo, continuano la loro gestazione, necessitano di ritorni e revisioni, come spesso succede nel nostro campo, e mi ritrovo ad affrontarli, con difficolt soprattutto emotiva, da sola. Devo ammettere che non ho raccolto negli anni molte fotografie che ci ritraggono insieme nel lavoro di cantiere, e questo imputabile al fatto che le mie immagini con Silvia sono riferibili pi che altro agli ambiti pi vari della vita, dai nostri matrimoni e compleanni, alla vacanza a Capo Vaticano in Calabria, alla marcia della pace Perugia-Assisi, ai concerti serali in giro per la capitale. Per me, che ho condiviso con Silvia la quotidianit e la concretezza di tutti i giorni, cosa che avviene con gli amici veri e non con gli occasionali compagni di viaggio, non si pu prescindere
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dallaccarezzare con la mente senza riuscire ad esternare con facilit tutta una serie di episodi, di istantanee mai sbiadite che hanno tessuto ed arricchito per anni la nostra frequentazione. Il rischio quello di perdersi in mille rivoli di frammenti disparati, ma il compianto conclamato non appartiene n a me n a Silvia, lamica con la quale le confidenze non si esaurivano, i piccoli dissapori si chiarivano, le gioie si condividevano. Ho conosciuto Silvia allinizio del 2001, durante la seconda campagna di scavo vero e proprio nellarea di Vigna Pia, fascia di necropoli lungo la via Portuense, individuata precedentemente nel corso di una serie di trincee e poi indagata a pi tranche. Non posso considerare vero incontro la fugace visione per i corridoi di Epigrafia Latina allUniversit, quando ci limitavamo a scambi di brevi appunti e di informazioni. Lincontro vero, che ci ha messe luna accanto allaltra a condividere larcheologia da campo, quella che tutte e due abbiamo sempre amato, lei forse anche pi di me, stato laver a che fare con Vigna Pia e con i suoi dati da raccordare, avendoci lavorato in tre anni, dal 1998 al 2000, tre gruppi diversi. Lei sul campo confidava molto in me, archeologa carandiniana, che si fatta le ossa al Palatino, ma io ho imparato molto, a mia volta, dalla sua pazienza certosina di studiosa di scritti lacunosi, da integrare, nel raccogliere dati e spunti da testi e tomi. Era, inoltre, il periodo del patentino da guida turistica con il famigerato difficile orale da preparare in materie pi disparate e con Silvia abbiamo iniziato a trascorrere le giornate a Vigna Pia a lavorare e i pomeriggi a studiare sugli appunti raccolti, in particolare sulla legislazione turistica, che ci spaventava per il ricorso ad una memoria non molto ferrea per entrambe. Condividere aiuta, le difficolt sembrano meno accentuate se c qualcuno accanto che riesce a farcele vedere superabili e in questo Silvia sempre riuscita a trasmettere una tranquillit a me estranea davanti a troppe cose da fare. Cos, in questa prima fase del nostro lavorare insieme a Vigna Pia, tra chiacchiere e studio, ci siamo concentrate nello scavo dellarea posta tra i due settori principali, denominati
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A e B, e il risultato principale stato quello di raccordare ledificio denominato successivamente di Atilia e il colombario utilizzato dalla fine del I fino al IV sec. d.C. con unarea di sepolture cosiddette pi povere in fosse terragne, recinti semplici e tombe alla cappuccina con scheletri piuttosto ben conservati (Fig. 1).

Fig. 1 - Veduta generale del colombario.

A partire da qui ho percepito che lo scavo, inteso come attivit di paziente ricerca e analisi, stato sempre conforme alla personalit di Silvia, volta in ogni caso allinquadratura migliore per una foto, alla posizione migliore della lavagnetta e della freccia del nord o del metro nel disegno delle evidenze. Incurante del passare del tempo, non esistevano pause se non si terminava la scheda US, non si puliva una superficie completamente per la foto o non si rappresentava al meglio la posizione di un reperto in un disegno al dettaglio.
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Per questo, pur nascendo come epigrafista, Silvia non poteva che approdare nei vari cantieri, perch in questo per lei consisteva il vero mestiere dellarcheologo. E Vigna Pia e Muratella sono stati due veri campi di apprendimento e costante miglioramento. Nel primo caso, tornando a scavare gli edifici di Vigna Pia nel 2002, il lavoro, con tempi ristretti e risorse limitate dalla committenza, stato finalizzato a mettere a punto una serie di informazioni, suffragate da dati epigrafici, dati stratigrafici e materiali, che hanno portato a pubblicare la necropoli sul Bollettino della Commissione Archeologica Comunale nel 2002 e a presentare lintervento nel Convegno a Pola e sulla rivista Histria Antiqua nel 2004. Nel Bollettino stata resa nota la pianta dellintera area di scavo con la caratterizzazione delle creste murarie, i piani pavimentali a mosaico bianco e nero, le fosse in arcosolii e le nicchie con ollette per incinerati. Nel secondo intervento, il cui tema era la presenza di rituali nella necropoli, ci si concentrate sullidentificazione di costumi funerari, partendo dai dati materiali raccolti. Il compito di Silvia stato principalmente quello di mettere in luce, attraverso le relazioni fornite dalle epigrafi, linsieme dei riti riconoscibili nella necropoli. Sono emerse pertanto informazioni di rilievo riguardo i destinatari, i dedicanti, gli associati, e hanno preso forma e spessore strati e strutture, una volta capito che i principali fruitori della necropoli furono modesti schiavi e liberti. In particolare, il cosiddetto edificio Alfa stato denominato il sepolcro degli Atilii, visto che ben tre iscrizioni attestano la presenza di questa famiglia. Uniscrizione su mosaico pavimentale: entro una cornice a tessere nere, su fondo bianco, vi la dedica di un Cn(eus) Atilius Agathio per Atilia, che ritratta anche in un busto stilizzato, nel tentativo di riproporre un ritratto realistico, una rappresentazione soggettiva e familiare voluta dal marito in qualit di dedicante. La seconda iscrizione studiata una lastra marmorea alloggiata sempre nello stesso mosaico; si tratta della dedica di un Atilius Abascantus per la coniuge Atilia Romana, appellata come sanctissima e virginia.
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Un formulario altrettanto convenzionale presente nella terza iscrizione: Atilia, nel rispetto delle norme, compra a proprie spese il locus religiosus al suo coniuge e conliberto. Il coinvolgimento emotivo della donna viene espresso dalla diffusissima formula de se benemerenti e dallorgoglio di sottolineare nellepigrafe che essa riuscita anche a dedicare il titulus in aggiunta allacquisto del terreno. Un elemento senzaltro interessante la divisione programmatica degli spazi definita dalla formula in fronte pedes, in agro pedes, in questo contesto esplicitata non solo nelliscrizione di Atilia, che ha comprato una modesta area lunga sette piedi e larga cinque, ma anche definito da altri cippi, posti sui lati esterni delle strutture che circondavano lintero edificio sepolcrale appartenente agli Atilii. Questa consacrazione ribadita nelle iscrizioni, garantiva linviolabilit del locus religiosus, ossia della porzione di terreno direttamente a contatto con il defunto. La realt, tuttavia, dimostra che lunit originaria del sepolcro poteva essere stravolta da varie cause, non tutte imputabili a violazioni, ma alla natura del luogo, sfruttato in origine come cava di tufo e quindi oggetto di scavi di grotte e cunicoli. Buona parte delle tombe di Vigna Pia appare, infatti, rimaneggiata in antico, probabilmente con lintento da parte dei successori dei defunti di perpetuarne lutilizzo, sia nel caso di sepulchra familiaria (discendenti diretti) sia di sepulchra hereditaria (discendenti non necessariamente appartenenti alla famiglia titolare del sepolcro originario). Daltra parte, la formula sibi et suis libertis libertabusque posterisque eorum, una generica indicazione delle persone che il titolare del sepolcro intendeva ammettere al suo monumento funerario, soprattutto perch garantissero la sopravvivenza del culto familiare (Fig. 2). In un altro ambiente della necropoli stato ritrovato il titulus maior di una camera sepolcrale destinata alla famiglia degli Hosidii. Liscrizione commemora Hosidius Paramythianus, sua
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moglie Tryphaena e i figli Paramythius e Quinta, con dedica effettuata dalle due sorelle Hosidia Domnina e Hosidia Tertulla e dal fratello Mindius Rufus. Questa dedica collettiva induce a pensare che i membri si erano costituiti in unassociazione funeraria probabilmente per poter affrontare adeguatamente le spese per i riti e mantenere il pi a lungo possibile il culto del numen familiae. Fig. 2 - Iscrizione di Valeria Primigenia. Completano il quadro del sito di Vigna Pia le raffigurazioni su affresco delle pareti e i numerosi oggetti che, grazie allestrema cortesia e disponibilit di Laura Cianfriglia, sono stati studiati con una schedatura di materiali RA e TMA, portata avanti da me e Silvia un anno fa, e presentati alla mostra Memorie dal sottosuolo, con relativo catalogo. Nel caso di Muratella, invece, lindagine ha portato ad indagare estensivamente una porzione di collina con depositi sabbiosi e alluvionali stratificati, in una fascia adiacente al Fosso della Lupara. Quello che oggi un poggio edificato con vista sul Raccordo Anulare, come scherzosamente chiosava Silvia del luogo, stato un sito frequentato, in cui si collocano tombe di diversa cronologia e piani di frequentazione. Lindagine ha restituito otto tombe ascrivibili a tipologie attestate tra let del Bronzo e let arcaica, come testimoniano i piccoli corredi rinvenuti accanto alle deposizioni. La pubblicazione di questo sito si concretizzata nella stesura del poster al recente convegno Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria della fine del 2008, in cui si presentata la tomba di
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epoca eneolitica con i suoi oggetti1. Pur essendo un ambito cronologico distante da noi archeologhe classiche, Silvia, studiando con impegno i contesti culturali del periodo, riuscita a seguire in prima persona il problema dellattribuzione delle sepolture, piuttosto complesse per la mancanza di puntuali elementi di datazione, quali corredi per ogni sepoltura. Personalmente, riuscita a farmi trovare interessante la sequenza geologico-stratigrafica delle sabbie di diversa matrice, lei neo geo-archeologa, mentre nel contempo avevamo a che fare con grandi immobiliaristi e facoltosi imprenditori, ai quali far accettare che le indagini archeologiche, anche se non danno soldi anzi li fanno spendere, possono arricchire la comunit con la conoscenza di un territorio che perde le sue originarie caratteristiche nel momento in cui diviene oggetto di massicce edificazioni. Silvia ha sempre creduto in questo aspetto non monetizzabile dellarcheologia e, pur amando stare a contatto con la terra da leggere, riuscita ad andare oltre il semplice lavoro materiale e si impegnata in approfondimenti coscienziosi e personali, in coinvolgimenti non didattici, ma complici nelle operazioni di scavo con gli operai pi semplici, in contatti mai scontati e sottovalutati che la potessero arricchire e completare. Con coraggioso ottimismo, ha sempre continuato ad avere fiducia nel riconoscimento della nostra professione e si concretamente impegnata nel non demordere, credendo nella passione vera e non nella pacificante visione dellarcheologo riverso sui suoi testi in biblioteca, perch questo aspetto non pu che affiancare lo stare sul cantiere e arricchire di storicit il rinvenimento sul campo. Una volta un ingegnere, parlando del lavoro degli archeologi, ci disse Voi siete gli ultimi dei puri, alludendo al fatto che siamo un po fuori dal mondo per come guardiamo il presente, ancorati al passato, e per i valori nei quali crediamo, ignari di un
Uno studio preliminare di tale contesto in corso di stampa sul Bollettino della Commissione Archeologica Comunale del 2008. 127

abbigliamento approssimativo e spesso alquanto originale. Silvia, nel suo buttarsi a capo fitto in ogni nuovo scavo, nel suo procurarsi repertori per approfondire, articoli per non tralasciare particolari, stata veramente una degli ultimi dei puri. Riordinare le sue cose ha avuto il significato di scavare nel suo percorso formativo e nel suo strutturarsi sempre pi consapevolmente come archeologa competente, ma ha consentito anche di cogliere la sua integrit di guardare ogni nuovo lavoro senza farsi trovare sprovvista di supporti per affrontare la poliedricit degli argomenti. Ogni archeologo si specializza solo in pochi degli infiniti aspetti che si incontrano nel guardare ai resti del passato e Silvia, con grande onest intellettuale e modestia, sempre stata pronta a partire da ci che non conosceva per aggiungere contenuti al suo sapere. Le altre emozioni, silenziose, raccolte, che non riesco ad esternare, sono quelle personali, mie e di Silvia, perch lei riguardano, dal giorno in cui ho scoperto della sua malattia fino al giorno in cui ho saputo che non cera pi. Non riesco ancora a gestirle interamente, perch mi sento ancora sospesa, senza poter fare a meno di rivivere gli aspetti peculiari della nostra amicizia. Limpegno che si potr continuare a riversare nel progetto Vigna Pia, con nuove visite guidate dellarea ormai musealizzata, pannelli, percorsi, restauri sempre pi puntuali e pubblicazioni aggiornate, rester tessuto del ricordo di Silvia. Mi spiace immensamente che il raccoglierne i risultati pi completi non potr essere condiviso con lei, ma la concretizzazione del programma a lungo caldeggiato mi aiuta a credere, come Silvia ha sempre creduto, che le cose belle, nonostante tutto, si realizzano, avendo fiducia nelle risorse del lavoro autentico dellarcheologia, perch cos che la comunit si arricchisce di contenuti non economici, ma culturali, che solo possono rendere luomo pi saldo e veramente cosciente di ci che merita di essere tramandato.
Bibliografia essenziale
M.C. Grossi, V.S. Mellace, Localit Vigna Pia. Area necropolare (municipio 128

XV), in Bollettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma CIII, 2002, pp. 349-353. M.C. Grossi, V.S. Mellace, Roma, Via Portuense: la necropoli di Vigna Pia, strutture e rituali, in Histria Antiqua 13, 2005, pp. 397-406. M.A. Tomei (a cura di), Memorie dal sottosuolo. Ritrovamenti archeologici 1980-2006, Roma 2006.

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SCAVI ARCHEOLOGICI IN VIA IDROVORE DELLA MAGLIANA


lAurA ciAnfriGliA

Si presentano qui brevemente i risultati degli scavi archeologi condotti in Via Idrovore della Magliana, ex area degli impianti sportivi Italgas, ai quali Silvia non ha partecipato direttamente, ma che non sarebbero stati possibili senza il suo grande lavoro di preparazione1. Nel corso del 2006, visti i risultati delle precedenti indagini geognostiche, sono stati eseguiti sondaggi archeologici mirati, a mezzo trincea, che hanno portato al rinvenimento di alcune strutture di epoche diverse. Le prime (Fig. 1), in scapoli di tufo rosso messi in opera a secco, sono orientate grossomodo secondo i punti cardinali e proseguono oltre i limiti di scavo sia a sud che a est, dove probabile che si trovi una pi ampia porzione delledificio che al momento non si ancora terminato di scavare. Il settore occidentale del saggio ha restituito, inoltre, un allestimento costituito da quattro blocchi lapidei (Fig. 2), a forma approssimativamente di parallelepipedo, disposti con le facce lisciate a delimitare uno spazio di forma quadrata: tale spazio era forse originariamente occupato da una trave in legno, non pi esistente, del quale i blocchi potevano costituire la base ed il sostegno. La cresta di questa sistemazione in quota con quella, rasata, delle

Gli scavi sono stati condotti, sotto la direzione scientifica della scrivente, da Stella Falzone e Alessia Scordia. 131

strutture e la superficie dei blocchi erosa e dilavata; la faccia superiore del blocco meridionale presenta un incasso irregolare intagliato a scalpello. Il dato induce a ritenere che lincasso fosse destinato ad accogliere una parte mobile dellallestimento e che questa producesse una sollecitazione a leva tale da determinare il cedimento strutturale del blocco stesso. Potrebbe dunque trattarsi di una sistemazione di carattere produttivo o estrattivo che lapprofondimento delle indagini contribuir a chiarire. A nord di

Fig. 1 - Via Idrovore della Magliana, ambienti con murature in scapoli di tufo a secco.

Fig. 2 - Via Idrovore della Magliana, struttura con blocchi a forma parallelepipeda di tufo.

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questa evidenza si trova unarea caratterizzata da una notevole concentrazioni di reperti ceramici (frammenti di dolia, ceramica di impasto, ceramica depurata da mensa e ceramica a vernice nera) disposti in piano: si tratta probabilmente di uno strato di abbandono e la tipologia dei frammenti denuncia una cronologia di et medio repubblicana. La parzialit dellindagine allo stato attuale non permette di esprimere una valutazione attendibile riguardo alla originaria estensione ed imponenza del complesso residenziale o produttivo cui le evidenze descritte sono pertinenti. Accanto a questo edifico stata messa in luce unaltra struttura, sempre in scapoli di tufo rosso e frammenti di rivestimento in cocciopesto messi in opera a secco, o comunque attualmente privi di legante e compattati dalla terra limosa di obliterazione che si infiltrata nel nucleo. Si tratta di un muro messo in luce per una lunghezza di quasi un centinaio di metri. Lungo i due lati, per tutta lestensione verificata, si trovano due serie alternate di contrafforti ciascuno di essi a pianta rettangolare (Fig. 3), realizzati con il medesimo materiale utilizzato per la struttura principale, e disposti in senso ortogonale alle sue pareti: soltanto tre dei contrafforti rinvenuti conservano resti di rivestimento in cocciopesto fine sulle pareti lunghe. La presenza del sistema di contrafforti e la rasatura irregolare di tutte le strutture, certamente dovuta ad un crollo, rivelano le notevoli sollecitazioni alle quali la lunga struttura principale deve essere stata sottoposta. Considerata la natura alluvionale della stratigrafia connessa, non vi dubbio che lallestimento dovesse resistere sui due fianchi a potenti e frequenti spinte provenienti sia dal Tevere, che scorre a est, sia dai fossati e dagli alvei presenti nel territorio circostante. Si rileva tuttavia che nel momento della demolizione, certamente da attribuirsi a un evento di carattere alluvionale, la spinta decisiva deve essere arrivata da est perch gli strati di crollo e di scivolamento dei materiali si trovano quasi esclusivamente sul versante occidentale. I materiali rinvenuti negli strati di obliterazione sono quantitativamente scarsi rispetto al volume di terra scavata, e sono costituiti prevalentemente da frammenti ceramici (anfore, ceramica
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Fig. 3 - Via Idrovore della Magliana, struttura con contrafforti (a sinistra) e particolare dei contrafforti (a destra).

comune, ceramica africana da cucina, sigillata italica, ceramica da mensa a pareti sottili, lucerne), associati ad alcune monete bronzee, frammenti vitrei, frammenti metallici, frammenti ossei, alcuni rarissimi frammenti di laterizi, tra i quali una tegola con bollo semilunato. Ad una prima analisi superficiale larco cronologico delineato sembra compreso tra il I sec. d.C. e la met del II sec. d.C., dal che si deduce che in questa epoca la struttura doveva essere gi in disuso. Quanto alla funzione svolta da una struttura con una estensione tanto rilevante, purtroppo la conservazione limitata non offre molti elementi di valutazione. La presenza dei rivestimenti in cocciopesto fine induce comunque a ritenere che si tratti di un allestimento finalizzato in qualche modo alla presenza di acqua, ma non stato rinvenuto alcun dispositivo che ne dia certezza. Non si pu comunque escludere che le prosecuzioni della struttura oltre i limiti di scavo conservino qualche elemento in pi; si ricorda infatti che stato possibile verificare soltanto un segmento dellintera struttura della quale non si conosce tuttora n lorigine n la destinazione. Va segnalato inoltre che i cementa utilizzati per la realizzazione delle strutture sono in gran parte frammenti di un potente rivestimento in malta grigia friabile, fini134

to con uno strato di ottimo cocciopesto, e devono essere pertinenti a una sistemazione idraulica precedente della quale purtroppo non rimasta traccia. Una fase pi recente, la cui cronologia relativa si colloca dopo la totale obliterazione della struttura descritta e della stratigrafia ad essa connessa, si caratterizza come utilizzo agricolo del territorio. Sono stati infatti rinvenuti in tutta larea indagata numerosi tagli operati nello strato argilloso di obliterazione e spesso anche nelle strutture sottostanti (Fig. 4). Si tratta di tagli simili a canalette, a sezione rettangolare, paralleli e distanti tra loro circa 0,9 m, orientati in senso nord-est sud-ovest, coerentemente in tutta larea edificata. I tagli sono riempiti di terra di colore rosso mattone scuro, con schegge di tufo rosso, nonch con rari frammenti di laterizi e anfore. Essi sono da interpretare con ogni probabilit come intagli nella terra argillosa destinati alla coltivazione della vite. Il materiale rinvenuto nei riempimenti non tale da suggerire una chiara collocazione cronologica dellattivit agricola, si segnala soltanto lassenza di reperti di et tardo antica, medievale e moderna dal che si deduce il probabile abbandono del territorio in questi periodi, certamente anche a causa delle frequenti alluvioni testimoniate dallo spesso strato di terra limosa che ha obliterato questa fase.

Fig. 4 - Via Idrovore della Magliana, fosse di coltivazione.

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COMPRENSORIO ITALGAS VIA DELLE IDROVORE DELLA MAGLIANA, N. 121 XV MUNICIPIO: INDAGINE GEOARCHEOLOGICA
renAto MAtteucci, VAleriA SilViA MellAce, cArlo roSA

Larea ubicata tra via delle Idrovore della Magliana in corrispondenza del civico n. 121 (Comprensorio Italgas) e la riva destra del Tevere. Il toponimo di riferimento dellarea Casale Gauttieri (Fig. 1). La zona pianeggiante situata lungo la valle alluvionale del Tevere, circondata a nord dai rilievi collinari dellInfernaccio e dei Monti del Trullo e a sud da quelli di Spinaceto; larea, inoltre, in prossimit del fondovalle del fosso di Affoga lAsino e del fosso della Magliana (Contrada dellInfernaccio) e si attesta su quote comprese tra gli 11 e i 9 m s.l.m. Dalle fonti darchivio e da alcuni articoli pubblicati sui ritrovamenti della zona, risultano numerose evidenze archeologiche, che possono essere cos sintetizzate: 1. A poche decine di metri dal Ponte della Magliana stato localizzato un pilone antico costituito da blocchi squadrati di tufo di Grotta Oscura disposti in filari. 2. Nellarea golenale della riva destra ritrovati muri in opera reticolata semi-interrati e resti dellantica via Campana in lastricato di selce, parallela al corso del fiume, demolita dalle draghe. Nelle vicinanze un sepolcro. 3. Resti del Tetrastylum, posto vicino alla riva del fiume da mettere in relazione con il tempio rotondo della Dea Dia sul monte delle Piche.
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4. Ponte a tre arcate, localizzato allimbocco del fosso di Vallerano, emissario del lago Albano. 5. Grosso ammasso di blocchi in marmo e tufo (carico sommerso?). 6. Serie di murature in fondazione pertinenti ad una struttura portuale. 7. In localit Magliana Vecchia, ritrovamento di unarea basolata e serie di ambienti, alcuni adibiti alla lavorazione del vino e dellolio. Possibile funzione di scalo o deposito fluviale. 8. Chiusa di epoca romana che si trova circa 1000 m a sudovest dello sbocco del fosso della Magliana nel fiume Tevere, lungo la cosiddetta ansa di Spinaceto la quale venne eliminata dopo la costruzione del drizzagno nella valle. 9. A circa 300 m a sud della chiusa, resti di due ponti affiancati di epoca romana che scavalcavano il fosso della Magliana. Questi ultimi ritrovamenti hanno permesso di ricostruire landamento del paleo fosso della Magliana, che correndo per circa 1500 m parallelo al Tevere, sfociava in esso pi a sud dellattuale, passando sotto la chiusa ed il ponte. Allinizio del 2005 nellarea furono eseguiti sondaggi archeologici che evidenziarono una geostratigrafia abbastanza uniforme fino a 4-6 m dal p.d.c. (costituita, dopo circa 2 m di terreno di riporto moderno, da limi argillosi, debolmente sabbiosi di colore dal verdastro allavana talora tendenti al marrone, abbastanza compatti) e la mancanza di reperti archeologici significativi. La difficolt di individuare con precisione la quota del livello di frequentazione archeologica, poich inoltre la profondit delle trincee creava problemi di movimenti di terra e di messa in sicurezza dellarea, si programm lesecuzione dei 6 sondaggi geognostici, preventivati dalla Propriet per la valutazione delle specifiche geotecniche, prescrivendone le specifiche tecniche di esecuzione, per una analisi del materiale carotato finalizzata allindagine geoarcheologica. Questa indagine risult troppo parziale
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e puntiforme per offrire uninterpretazione di merito: considerata lestensione dellarea, i dati risultarono insufficienti sia per escludere la presenza di piani di frequentazione antichi, soprattutto in considerazione dei numerosi ritrovamenti archeologici segnalati nella zona, che per definirne in maniera puntuale la quota. Venne quindi programmata, ad integrazione di questa Fig. 1 Foto satellitare (da Google) con lubicazione analisi geoarcheolodellarea di indagine (limite a tratteggio bianco); a nord gica, una successiva (in alto) visibile la superstrada per Fiumicino, a sud (in campagna di carobasso) il Fiume Tevere. taggi statisticamente sufficienti per individuare il livello di frequentazione dellarea e per definire aree a potenziale rischio archeologico, consentendo quindi una programmazione mirata nellesecuzione di saggi archeologici, da effettuarsi allinterno delle aree interessate da costruzioni (Fig. 2). Lanalisi sul campo si svolta tra luglio ed agosto 2005. Durante lesecuzione dei lavori stata effettuata la lettura speditiva e di dettaglio della stratigrafia geoarcheologica di 77 carotaggi, perforazioni a carotaggio continuo, che raggiungono la profondit di 10-15 m.
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Al di sotto dellattuale piano di calpestio stato individuato un riporto moderno con uno spessore che va dai 3 m dei sondaggi pi a nord fino a ridursi a 1,50 - 1,60 m a sud, verso il Tevere, per poi scomparire del tutto. Nellarea dei sondaggi il materiale edilizio moderno talora misto a numerosi frammenti antichi (laterizi, malta, ceramica). Questi ultimi non sono in situ, ma lasciano supporre che la porzione di Fig. 2 Ubicazione dei carotaggi effettuati ed indiviterreno indagata sia duazione delle aree a rischio archeologico. stata utilizzata come discarica di materiali provenienti da altre zone di Roma. Nei sondaggi al limite meridionale dellarea il riporto moderno scompare ed sostituito da semplice terreno vegetale. Sotto lo strato di accumulo dei riporti moderni inizia la sequenza dei sedimenti limo-argillosi e sabbiosi di chiara natura alluvionale. Lanalisi complessiva dei dati, valutando la concentrazione e la quantit (in alcuni casi esigua) e qualit dei frammenti pi macroscopici presenti allinterno degli strati naturali alluvionali, ha individuato due aree a potenziale rischio archeologico, denominate rispettivamente e .
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Per la fascia , orientata N-S, si evidenzia che una buona percentuale dei carotaggi oltre a materiale archeologico ha anche un esiguo livello di materiale piroclastico eterogeneo formato da tufi centimetrici dispersi nella matrice limosa avana marroncina (LST), forse residuo di erosione della formazione SI (tufo stratificato di Sacrofano) presente lungo i rilievi collinari circostanti e trasportati lungo il fosso Affoga lAsino. La fascia , orientamento E-W e pi vicina allattuale corso del Tevere, con una sensibile concentrazione verso ovest, si caratterizza per una discreta omogeneit nei sedimenti che contengono il materiale archeologico. La maggior parte si trova nel terreno a matrice limo-argillosa di colore avana o verdastro; le uniche anomalie sono costituite dallS13 ove il livello archeologico nella sabbia giallastra e alla profondit di -1,05 / -0,75 s.l.m. La profondit del materiale archeologico presente nei sondaggi si attesta tra i gli 8 e i 6 m s.l.m.; fanno eccezione lS13, gi menzionato e lS33 che alla quota pi bassa tra i 4,88 e i 4 m s.l.m. Dallanalisi autoptica risulta che i materiali che sono stati prelevati e analizzati (i pi macroscopici) sono per la maggior parte costituiti da frammenti ceramici e laterizi a spigoli vivi. Tali materiali potrebbero essere stati soggetti a deposizione in seguito a breve trasporto in ambiente fluviale e successiva sedimentazione o potrebbero essere legati ad una frequentazione non meglio precisabile dellarea in et antica. Nel sondaggio S50 labbondante presenza di frustoli di carbone e la loro estensione verticale nel livello archeologico, che supera il metro e cinquanta, fa propendere per una frequentazione. Utilizzando i dati dei sondaggi effettuati stato possibile ricostruire due sezioni stratigrafiche che evidenziano lo spostamento dellalveo del Tevere in epoca pre-protostorica da nord verso sud-sudovest (Fig. 3). Le presenze archeologiche sono localizzate prevalentemente nei sedimenti limoso argillosi avana-verdastri, successivi allo spostamento dellalveo fluviale. Le modalit deposizionali di questi sono probabilmente connesse a fasi di piena nelle quali sedimenti pi grossolani del fosso di Affoga lAsino si
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depongono lungo la linea di corrente N-S (area ) per poi mescolarsi in parte con i sedimenti del Tevere che hanno una direzione E-W (area ).

Fig. 3 Sezioni geologiche con evidenziati i progressivi spostamenti del Tevere verso sud.

Tale indagine geoarcheologica ha consentito una programmazione mirata per lesecuzione dei saggi archeologici, che sono stati eseguiti nellambito delle due aree definite a rischio archeologico, interessando nello specifico le zone dei carotaggi che avevano individuato i livelli archeologici. Ne ha inoltre definito quantit, ubicazione e dimensioni della larghezza e della profondit da raggiungere, e la conseguente valutazione delle problematiche di cantiere e di sicurezza in fase di esecuzione.

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LE INDAGINI GEOARCHEOLOGICHE NEL QUADRANTE SUD-OVEST DI ROMA: LITALGAS E GLI EX MERCATI GENARALI
VAleriA SilViA MellAce, cArlo roSA, renAto MAtteucci, renAto SebAStiAni

Inquadramento dellarea in esame Le aree dellItalgas e dei Mercati Generali sono localizzate nel quartiere Ostiense, nel settore sud di Roma, poco a sud delle Mura Aureliane e comprese tra il Tevere ad ovest e il corso dellAlmone a sud. Il percorso della via Ostiense divide le due aree che si fronteggiano ai due lati della strada (Fig. 1). I progetti di riconversione delle aree dellItalgas e dei Mercati Generali, nellambito della riqualificazione del quartiere Ostiense, e linserimento nei Programmi di riqualificazione urbana dellarea Italgas di via delle Idrovore della Magliana, hanno permesso un dettagliato studio geoarcheologico, preliminare ai successivi scavi archeologici preventivi. Silvia Mellace stata subito interessata a questo nuovo modo di fare archeologia, diventando nel tempo con la costanza, la dedizione e la passione che le erano propri, la figura trainante e di stimolo per questi studi. Studi che oltre ai significativi risultati ottenuti che qui si espongono sinteticamente, hanno trovato la loro concretizzazione ed organizzazione nella formulazione della Scheda Geoarcheologica, ostinatamente voluta da Silvia e molto spesso altrettanto ostinatamente discussa con lei.
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Il complesso dei mercati generali Il lavoro stato svolto dalla Dott.ssa V.S.Mellace, e dalla cooperativa Archeologia su incarico di Risorse per Roma S.p.A., e dal Dott. C. Rosa, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologica di Roma: Dott.ssa R. Paris, Dott. R. Sebastiani e Dott. R. Matteucci. Larea oggetto dindagine ha unestensione di circa 72900 mq ed stata sondata con 50 carotaggi (25 archeologici e 25 geognostici) spinti ad una profondit variabile dai 10 ai 60 m. La maglia dei carotaggi era relativamente irregolare e prevedeva una distanza tra i punti di perforazione dai 20 ai 50 m (Fig. 2).

Fig. 1 - Foto satellitare con lubicazione delle due aree in esame (limiti evidenziati da linee in bianco; da Google, 2009).

Lo studio aveva come scopo quello di fornire uninterpretazione dei livelli archeologici presenti al fine di contribuire agli studi di fattibilit dellarea. Lesame di una griglia di carotaggi pu consentire importanti inferenze sulla natura e sulla profondit dei depositi archeologici; tali carotaggi si rivelano di grande utilit
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per un inquadramento preliminare ed in particolare per verificare la presenza di eventuali piani di frequentazione antica. In primo luogo va segnalata la presenza nellarea, al di sotto dellattuale piano di calpestio, di un riporto moderno abbastanza omogeneo con uno spessore di circa 4 m messo in posto per il livellamento dellarea in esame, probabilmente di poco precedente alledificazione dei Mercati Generali (1914-1924). Al di sotto della coltre dei riporti moderni sono state individuate tre fasce rappresentative delle quote del livello di frequentazione archeologica: una prima fascia tra 13,80 e12,98 m s.l.m.; una seconda tra 11,65 e 10,11m s.l.m.; infine una terza tra 10,94 e 9,00 m s.l.m. (Fig. 3). La ceramica comune, le anfore e la ceramica comune da fuoco costituiscono il 65,8% del totale; globalmente sono le pi frequenti come in quasi tutti i contesti archeologici di et romana. Le classi di ceramica di importazione, ossia la terra sigillata africana e la ceramica africana da cucina, insieme rappresentano il 3,8 % del totale. La terra sigillata di produzione italica rappresenta il 5,8 %. Le lucerne sia in ceramica comune acroma sia dipinta sono il 4,7 %. La ceramica a pareti sottili il 6,8 %. Residuale, invece, la ceramica a vernice nera che rappresenta soltanto lo 0,2 %. Trascurabile, vista la percentuale dello 0,2 % la ceramica a vetrina sparsa. La maggior parte dei frammenti di interesse archeologico significativi stata trovata in giacitura primaria. Tutti i frammenti si presentano a spigoli vivi e solo in un paio di carotaggi alcuni reperti sono stati trovati fluitati. Tra i ritrovamenti si segnalano un piccolo chiodo in ferro, un vago di collana in pasta vitrea e un osso lavorato. Indicativamente lanalisi dei materiali ci offre un arco cronologico che va dalla piena et imperiale fino al basso impero, con una concentrazione significativa tra la prima e la media et imperiale. Lassenza quasi totale di frammenti di epoca medievale e la scarsa rappresentativit di quelli di et successive, induce a ipotizzare una scarsa frequentazione dellarea per questi periodi.
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Larea dellItalgas La realizzazione di una serie di perforazioni a carotaggio continuo, finalizzate al progetto di bonifica ambientale dellarea, condotte dalla societ Ambiente per conto dellItalgas, ha consentito di accedere direttamente ad una notevole quantit di dati stratigrafici del sottosuolo dellarea, che hanno permesso di ricostruire levoluzione morfologica dellarea ostiense in corrispondenza del corso del Tevere a partire dallet romana imperiale (Fig. 2).

Fig. 2 - Pianta dellarea ostiense con lubicazione dei carotaggi e delle aree di interesse archeologico.

Larea indagata si trova localizzata in corrispondenza della attuale sponda di sinistra del Tevere, circa 200 m pi a nord dei resti di edifici romani di et imperiale rinvenuti negli anni 1915 (Fornari, 1916) e 1939-43 (Jacopi, 1939, 1940, 1943) sulla sponda destra. Accanto ad essi venne in quegli anni rinvenuto largine di et imperiale in opus mixtum, con scale di accesso in travertino,
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che testimoniava una posizione del corso del fiume leggermente spostata verso ovest rispetto allattuale. Nel 1976 Moccheggiani sottolineava come lattuale tratto del Tevere dagli scavi di Pietra Papa al Ponte Marconi fosse spostato verso est rispetto allet romana imperiale, con una evidente sedimentazione di depositi sabbiosi nella sponda destra che avevano ricoperto gli antichi argini romani presenti. La dinamica dei processi fluviali del Tevere, con le frequenti alluvioni che spesso, prima della costruzione degli argini, arrivavano ad allagare lintera valle, si concretizzava fino alla fine del XIX secolo nei seguenti fenomeni: 1. aggradazione dellalveo, con conseguente crescita in quota assoluta del letto del fiume; 2. sedimentazione, con cicli stagionali annuali o pluriannuali, sulla piana alluvionale in seguito ad episodi alluvionali normali od eccezionali; tale fenomeno favoriva un continuo aumento di quota assoluta della pianura alluvionale, con quote di 6-8 m s.l.m. per let romana repubblicana fino ad arrivare ai 10-11 m della pianura alluvionale a sud di Roma prima della sua trasformazione in area industriale o abitativa (vedi Piano Topografico di Roma e Suburbio, 1908-1924); 3. evoluzione delle sponde del fiume nellambito dei processi dinamici dei meandri, con spostamento sia repentino (come nel caso delle rotte di meandro) che graduale dellalveo del fiume. Ovviamente tali processi si manifestavano con maggiore evidenza l dove ad una urbanizzazione di et romana imperiale era succeduta una trasformazione in aree di campagna non direttamente soggette a regimazione spinta delle sponde, come nella zona ostiense in esame. I dati altimetrici presenti nella carta di progetto dellimpianto industriale dellarea Italgas, databile intorno al 1908-1910, permettono di evidenziare come larea in esame avesse allora quote intorno ai 10,50 11,50 m s.l.m. Unnomalia morfologica evidente in basso a destra, con una direzione allungata circa NE-SW
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e quote che raggiungono e superano i 12 m s.l.m. Ricordando la segnalazione di una strada romana rinvenuta allinterno dellarea Italgas con medesimo andamento, si potrebbe ipotizzare per questa anomalia unorigine legata a strutture sepolte che potrebbero essere connesse con il suaccennato tratto stradale (ad esempio sepolcri), ma la cosa interessante che tale anomalia si trova localizzata in corrispondenza dellarea che doveva contenere il Santuario della dea Cibele, posto in vicinanza con la foce del fiume Almone.

Fig. 3 - Sezione geologica circa N-S attraverso larea degli Ex Mercati Generali.

Dati di sondaggio Nel periodo che va dal 2 al 30 novembre 2001 sono state realizzate, a cura della societ Ambiente, 28 perforazioni meccaniche a carotaggio continuo, delle quali 13 realizzate appositamente fino alla profondit di 25 m per venire incontro a specifiche richieste della Soprintendenza, ed indicate con la sigla SA. Le altre, indicate rispettivamente con le sigle S e Pz sono state condotte fino alla profondit di 15 m tranne le prime 5 (S1, S2, S3, S4, S5) che arri148

vano ad 8 m di profondit dal piano campagna. A queste si devono aggiungere 6 perforazioni, eseguite dalla societ Ambiente nel marzo del 2001, che raggiungono profondit di 15 m (Pz1, Pz2, Pz3, Pz4, Pz5, Pz6) e 8 perforazioni archeologiche preliminari, concordate con la Soprintendenza, eseguite dalla societ Golden Associates Geoanalysis per conto dellItalgas nel Settembre del 1998, indicate con la sigla SG, che raggiungono profondit variabili tra i 9 ed i 23 m dal piano campagna. Sono inoltre disponibili le stratigrafie di perforazione di tre dei quattro pozzi per acqua realizzati dallItalgas allinterno della stabilimento rispettivamente a 63, 65, e 70 m di profondit. Lanalisi delle carote prelevate nei sondaggi ha consentito di suddividere larea indagata in due settori (Figg. 2 e 4): 1. un settore ad est, nel quale sono frequenti i ritrovamenti di resti archeologici fino ad una profondit di circa 7-8 m; si tratta di evidenze di frequentazione dellarea, con sovraimposta una sedimentazione alluvionale periodica. Questo settore ha rappresentato la piana alluvionale inondabile del Tevere dallet romana imperiale fino allinizio del secolo scorso. 2. un settore ad ovest, nel quale sono presenti depositi alluvionali recenti, che scandiscono uno spostamento del corso del Tevere da est ad ovest sino alla sua attuale posizione; sedimenti ghiaiosi e sabbiosi grossolani ricchi in frammenti di malta, tufi, laterizi e ceramica evidenziano una aggradazione del letto del Tevere che da quote di -2 -7 m s.l.m. passa a quote di -5 0 e poi di -2 4 m s.l.m. Questo settore stato coinvolto nella dinamica fluviale di spostamento del corso del Tevere ed i resti rinvenuti in sondaggio sono non in situ ma sono stati trasportati dal fiume in unepoca posteriore alla loro produzione. Alcuni frammenti ceramici presenti nei sedimenti di alveo, possono suggerire una datazione che va dallet romana imperiale al medioevo e al rinascimento via via che ci si sposta da destra verso sinistra. Le ipotizzabili presenze archeologiche sulla sponda destra sono state quindi
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in questo settore del Tevere completamente o in parte erose. Alcuni resti sono visibili tuttoggi nelle fasi di magra nelle acque del fiume poco a sud del ponte di ferro, e testimoniano anchesse lo spostamento del suo corso.

Fig. 4 - Sezione litologica SW-NE attraverso larea dellItalgas con evidenziato lo spostamento del corso del fiume Tevere verso SW.

Una fascia al confine tra questi due settori, larga alcuni metri, rappresenta il settore che allepoca romana imperiale doveva costituire la sponda sinistra del fiume, con probabile presenza di strutture di arginatura o altra natura.
Bibliografia essenziale
F. Fornari, Scoperte di Antichit nel Suburbio. La via Portuense, Notizie degli Scavi di Antichit XIII, 1916, pp. 311-320. 150

G. Jacopi, Antichi frammenti scoperti al porto fluviale di Roma, Le Arti I, 1939, p. 513 e ss. G. Jacopi, Scavi e scoperte presso il porto fluviale di S. Paolo, in Bullettino Commissione Archeologica Comunale di Roma LXVIII, 1940, p. 97 e ss. G. Jacopi, Scavi in prossimit del porto fluviale di S. Paolo. Localit Pietra Papa in Rendiconti dellAccademia dei Lincei. Monumenti Antichi XXXIX,1, 1943, pp. 1-178. C. Moccheggiani Carpano, Rapporto preliminare delle indagini nel tratto urbano del Tevere, in Rendiconti Pontificia Accademia di Archeologia 48, 1975-76, pp. 239-262. V.S. Mellace, C. Rosa, Scheda geoarcheologica in Jolivet et al., Suburbium II: il suburbio di Roma dalla fine dellet monarchica alla nascita del sistema delle ville, V-II secolo a.C., Roma 2009, pp. 118-119.

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NUOVO MERCATO DI TESTACCIO: STORIE DA UN CANTIERE


SilViA feStucciA, GioVAnnA Verde1

La ricerca archeologica nellarea individuata dal Comune di Roma per il nuovo mercato destinato a servire il Rione Testaccio ha inizio nel 2004. Il rione si presenta come unarea pianeggiante, in cui emerge visibilmente il Monte Testaccio da cui prende il nome, delimitata dal tracciato delle Mura Aureliane, dalla sponda sinistra del Tevere e dalle pendici sud-occidentali dellAventino. Lo studio preliminare, che ha preceduto i sondaggi archeologici e ha riguardato in primo luogo lesame dei dati di archivio, era volto principalmente a ricercare notizie e segnalazioni riferibili alle possibili preesistenze rinvenute nel corso dei pregressi interventi urbanistici e di indagine scientifica mirata. Inquadramento topografico Le ricerche sul Monte Testaccio ebbero inizio nel 1872 con A. Dressel che in seguito ai numerosi dati ottenuti grazie alle iscrizioni dipinte sulle anfore (tituli picti) diede vita ad un vero e proprio archivio, suggerendo la provenienza delle anfore dalla Spagna e raggruppandole tipologicamente. Importanti indagini hanno poi avuto luogo dal 1989, sotto legida delle Universit di

Il paragrafo riguardante linquadramento topografico dellarea stato redatto da S. Festuccia, quello relativo al cantiere archeologico stato scritto da G. Verde. 153

Madrid e Barcellona, condotte da J. M. Blsquez Martinez e da J. Remesal. Nel 1877 L. Bruzza segnalava invece la presenza di un porto situato sulla riva sinistra del Tevere poi, in seguito ad un lungo periodo di stasi, ad eccezione di alcuni sterri avvenuti sul Lungotevere Testaccio seguiti da G. Cressedi, larea venne nuovamente indagata tra il 1970 e il 1990 da C. Mocchegiani Carpano. Di sostanziale supporto alla contestualizzazione dellarea di indagine stata lanalisi della cartografia storica. Il progetto edilizio del Nuovo Mercato stato pertanto sovrapposto alla Forma Urbis del Lanciani, alla pianta del Nolli del 1748 (Fig. 1) e ai frammenti della pianta marmorea severiana riferibili a questa zona. E risultato, inoltre, essere di particolare interesse un dettagliato plastico della citt di Roma (realizzato nel 1849 dal comando delle truppe francesi e conservato nel Muse des plans-reliefs di Parigi) in cui presente un monumento denominato piccolo Testaccio, simile al Monte Testaccio ma di minori dimensioni (lungo ca. 65 m e largo 45 m con una altezza stimabile attorno ai 10 m) di cui Dressel non trov traccia 25 anni dopo la realizzazione del plastico.

Fig. 1 - Particolare della Forma Urbis del Lanciani (a sinistra) e particolare pianta del Nolli (a destra) con in evidenza larea occupata dal Nuovo Mercato di Testaccio.

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Dalla documentazione raccolta in fase di studio dellarea si evidenziava la presenza dallepoca tardo-repubblicana, di un complesso portuale e commerciale costituito da molteplici magazzini privati tra i quali gli Horrea Sulpicia o Galbana, gli Horrea Lolliana, e gli Horrea Seiana. I primi erano destinati allo stoccaggio di olio, vino e di altri prodotti, costruiti probabilmente da Sergio Sulpicio Galba alla fine del II sec. a.C. e utilizzati fino alla fine dellepoca imperiale, sono citati da Orazio durante lepoca di Augusto quando entrano a far parte del patrimonio imperiale. Alcuni restauri sono attribuiti a Galba e successivamente allimperatore Adriano. Il complesso settentrionale era organizzato intorno a tre grandi cortili rettangolari porticati, sui quali si aprivano lunghi ambienti (tabernae) probabilmente destinati ad abitazione (ergastula) dei membri delle cohortes III horriorum Galbanorum, unit in cui si suddivideva il personale che lavorava nei magazzini. I magazzini veri e propri erano pi ad E, tra gli ergastula e la collina del Testaccio, formatasi appunto con gli scarichi dei vicini horrea. Il monumento era gi stato identificato nel XVIII secolo dai Vedutisti nei resti ancora visibili in via Ribattino ma venne poi dimenticato e confuso nel corso del tempo. Gli Horrea Lolliana, probabilmente edificati da M. Lollius o dallomonimo figlio o da M. Lollius Palicanus nella met del I sec. a.C., sono citati in tre iscrizioni dellet di Claudio, periodo durante il quale vengono inclusi nelle propriet imperiali e subirono delle parziali ricostruzioni e restauri. Il complesso di forma rettangolare di ca. 77,5 per 120 m, comprendeva una superficie calcolabile in 9300 mq. Larea era divisa in due parti uguali da un muro orientato nord-sud, nel quale si apriva, a nord, un corridoio di comunicazione di grandi dimensioni. I due nuclei degli horrea veri e propri erano costituiti da due cortili porticati delimitati da ambienti sui quattro lati, di minori dimensioni quello orientale (6 per 7 colonne), visibilmente di pi ampia metratura quello occidentale (8 per 11 colonne). Sulla facciata settentrionale si individuano alcune differenze: il cortile pi ridotto presentava su questo lato una serie di ambienti molto allungati, aperti alle
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due estremit, mentre il cortile pi ampio era chiuso da una doppia fila di tabernae, aperte sia allesterno che allinterno con gli ingressi in corrispondenza degli angoli ma non comunicanti fra loro. Nella parte occidentale adiacente al Tevere si trovava una banchina con due scale, della stessa larghezza delledificio: con ogni probabilit era unarea di attracco e di scarico per gli horrea. Da una scala, visibile a sinistra, si deduce che potesse esservi un altro piano. La fase originaria di questo edificio probabilmente da attribuirsi al periodo repubblicano per la planimetria delledificio, ma i muri in reticolato e laterizio mostrano restauri e ricostruzioni durante il periodo imperiale. Gli Horrea Seiana edificati dalla gens Seia e la cui documentazione epigrafica di riferimento databile alla fine del I sec. d.C. Le fonti storiche di Cicerone e Plinio riportano il nome di M. Seius edile curule del 74 a.C.; noti sono anche i nomi di L. Seius Strabo, prefetto dEgitto tra limperatore Augusto e Tiberio e Seiano alla cui morte vennero confiscati i beni. Gli Horrea Seiana sono stati localizzati tra la Porticus Aemilia, gli Horrea Galbana e gli Horrea Lolliana. Non stato rinvenuto alcun frammento della Forma Urbis che permetta di capire la planimetria o lestensione del complesso ma i ritrovamenti attinenti ad alcune strutture murarie in opera mista su via Franklin sono stati ad esso collegati. Questi ultimi magazzini erano localizzati tra le maggiori strutture individuabili nel Rione Testaccio: - la Porticus Aemilia, complesso perfettamente individuabile nella Forma Urbis, posta tra Piazza dellEmporio e Via B. Franklin. Edificio monumentale che si estendeva per ca. 467 x 60 m, era suddiviso da 294 pilastri in 7 navate parallele digradanti verso la riva del fiume e in 50 navate perpendicolari al fiume costruita a seguito delle nuove esigenze di ampliamento dellarea portuale lungo il Tevere (Emporium); - lEmporium, scoperto lungo il Tevere negli anni 1868-1870, nel corso dei lavori sugli argini del fiume, e riesplorato nel 1952; alcuni tratti, restaurati recentemente, sono ancora visibili, inseriti nel muraglione di Lungotevere Testaccio. Si trattava di una ban156

china lunga circa 500 m, per una profondit di 90, con gradinate e rampe che scendevano al fiume. Sul fronte della banchina erano murati grandi blocchi di travertino sporgenti, muniti di fori per ormeggiare le navi. Le strutture, per lo pi in opera mista, appartengono al rifacimento di periodo Traianeo; - la collina artificiale detta Testaccio (Monte Testaccio), alta ca. 54 m s.l.m. (ca. 30 m al di sopra della zona circostante), con una circonferenza di 1 km e una superficie di ca. 22000 mq. E di forma grosso modo triangolare e occupa parte dellangolo compreso tra le Mura Aureliane e il fiume Tevere. Essa si and formando tra il I e il III sec. d.C. con gli scarichi delle anfore, che contenevano i prodotti importati nel porto di Roma, gli ultimi frammenti ceramici risalgono allepoca di Gallieno. La parte superficiale dei depositi, lunica sufficientemente nota, composta quasi esclusivamente da anfore olearie di provenienza betica e in minore quantit, africana. Il Monte Testaccio costituito da due piattaforme sovrapposte con le pareti esterne costituite da anfore disposte a formare una scarpata, la pi bassa datata tra let di Augusto e la met del II sec. d.C., quella pi alta tra la seconda met del II sec. d.C. e lepoca di Alessandro Severo. Il Rione Testaccio era parte della XIII regione augustea, che includeva oltre allAventinus la pianura sud-occidentale che si estendeva dalle pendici del colle fino al fiume Tevere; larea risulta essere esterna al pomerio durante il periodo repubblicano per due chiare evidenze archeologiche: il monumento funebre della gens rusticelia localizzato a sud delle pendici del Monte Testaccio e il sepolcro di Sergio Sulpicio Galba a sud della Porticus Aemilia. Larea, compresa tra lAventino, il Tevere e il perimetro esterno del Monte Testaccio, venne sicuramente inclusa nel pomerio dallet di Claudio (ne d testimonianza il rinvenimento di un cippo, con la dedica allimperatore del 49 d.C., rinvenuto a via di Monte Testaccio) fino alla fine dellepoca imperiale quando era stata delimitata dalle Mura Aureliane costruite nel 271 d.C.
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Fig. 2 - Localizzazione dellarea di indagine (rilievo Studio Gabrielli).

Il cantiere archeologico A partire dal marzo 2005 sotto la direzione scientifica del dott. R. Sebastiani (Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma), si intraprendono i lavori dindagine archeologica che nella prima fase furono condotti da Silvia Mellace e da chi scrive. Lo scavo diviene poi estensivo dalla primavera del 2006 con la codirezione scientifica della dott.ssa M. Serlorenzi (Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma). Larea, di ca. 8000 mq (Fig. 2) situata sulla sponda sinistra del Tevere, a nord del limitrofo Monte Testaccio e di via A. Galvani, ad est del complesso dellex Mattatoio e di via B. Franklin, a sud di via A. Manuzio e ad ovest di via L. Ghiberti. Divisa da via A. Volta in due lotti occupati dallex Scuola Calcio dellAssociazione Sportiva Testaccio (Lotto A) divenuta poi un parcheggio; dal Teatro dei Cocci, dal teatro Spazio Zero (Lotto B) e da alcuni
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depositi di materiale edilizio ad uso privato che furono progressivamente demoliti (Fig. 3). Considerata fin da subito la rilevanza archeologica dellarea si rese necessario adottare una metodologia di ricerca preventiva, articolata attraverso indagini geoarcheologiche, saggi di verifica sui carotaggi che mostravano chiare evidenze strutturali antiche, prospezioni geoelettriche, scavo stratigrafico in trincee e da ultimo lo scavo estensivo. Le ricerche preliminari avevano mostrato una sicura stratificazione archeologica di 8 m dallattuale piano di calpestio (15-16,50 m s.l.m.). La scelta della geoelettrica come metodologia stata dettata sia dal tipo di terreno limo-argilloso presente nellarea, adatto a questo tipo di metodo perch ottimo conduttore di elettricit, sia dal tipo di rinvenimenti che ci si aspettava fossero perlopi di tipo murario a seguito delle indagini effettuate precedentemente.

Fig. 3 - Panoramica sulle demolizioni nel lotto B; sullo sfondo la facciata dell ex Mattatoio.

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Fig. 4 - Particolare della Trincea I dopo lo scavo dellambiente I.

Le indagini geoarcheologiche consistite in due campagne di carotaggi e varie prospezioni geoelettriche evidenziarono anomalie continue e perpendicolari riferibili alla presenza di strutture modulari, permettendo di definire il quadro dinsieme delle preesistenze antiche e di individuare le aree da indagare mediante lo scavo archeologico. Tali metodi non invasivi furono applicati in entrambi i lotti seguendo i tempi dettati dalle operazioni di cantiere per sgomberi e demolizioni che permisero il progressivo ampliamento del campo di indagine e della quipe degli archeologi. Inizialmente lo scavo fu condotto in due settori limitati, le Trincee I e II. Nel primo settore, prospiciente Via B. Franklin, furono individuate fin da subito alcune strutture che presentavano un paramento in opera mista. In particolare gi nella prima trincea, a ca. 3,20 m dal piano di campagna, erano state riconosciute
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parti delle mura perimetrali dellAmbiente I, delle dimensioni di 8,75 x 4,25 m. LAmbiente I, del cui scavo si era occupata in maniera particolare Silvia portandolo a conclusione (si veda il contributo di C. Tempesta in questo volume) (Fig. 4) inserito sul lato nordoccidentale del vasto complesso horreario trapezoidale databile allet adrianea o alla prima et antonina; delimitato da muri in opera mista, costituita da opera reticolata e opera laterizia, dello spessore di 0,45 m (1,5 piedi romani) tranne per il muro di divisione fra i magazzini a sud e quelli a nord che presenta uno spessore di 0,60 m (2 piedi); i muri risultano fra loro ammorsati con blocchetti di tufo a forma di parallelepipedo. I cubilia, come venne subito osservato da Silvia, sono in tufo di Monteverde e dellAniene, e misurano mediamente 0,11 x 0,10 m, il modulo dei mattoni e delle tegole fratte invece in media di 0,25 x 0,27 x 0,04-0,045 m. Nella fase successiva si effettuato lo scavo estensivo dei primi due metri di riporto antropico che hanno permesso di identificare i livelli appartenenti ai cosiddetti villinetti, gli edifici legati alla prima urbanizzazione, contemporanea allarea del Mattatoio. A seguito dellapprovazione del Piano Regolatore del 1882 e alla seguente legge del 1883, nellarea occupata dalle propriet

Fig. 5 - Planimetria di sintesi degli scavi archeologici aggiornata a Giugno 2006.

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Torlonia, si avvia infatti la costruzione del quartiere Testaccio, destinato a stabilimenti, depositi industriali e abitazioni per gli operai; nei primi anni 20 del Novecento, lIstituto Case Popolari (ex ICP), dopo un iniziale assetto progettuale (ad opera di Giulio Magni e Quadrio Pirani) edific ogni lotto con quattro corpi di fabbrica a tre piani che, dopo essere caduti in disuso, furono demoliti alla fine degli anni 60. Tra le fondazioni moderne emersero fin da subito numerosi materiali ceramici ed edilizi antichi che coprivano un ampio arco cronologico, dallet augustea al XIX secolo. Gli approfondimenti effettuati sulla vasta zona di intervento permisero lindividuazione di tre diverse realt archeologiche (Fig. 5) su diverse quote che si configurarono in tre settori: la gi citata Area A, lArea B e lArea C. LArea A posta a nord-ovest, mancante di frequentazioni medioevali e presenta stratigrafie riferibili al periodo moderno e rinascimentale, a cui si attribuivano i solchi paralleli ad uso agricolo che avevano intaccato le strutture relative ai primi ambienti degli horrea medio-imperiali. La datazione degli horrea risale probabilmente al secondo quarto del II sec. d.C. e si basa sui bolli conservati sui mattoni delle murature, sulla tecnica edilizia e sui materiali ceramici delle colmate e degli strati relativi alla costruzione degli horrea. Gli strati superiori alla met orientale del grande complesso trapezoidale degli horrea, restituirono una grande quantit di pipe moderne (di cui Silvia era stata particolarmente contenta per la grande passione di Maurizio per le pipe) mentre quelli inferiori, specialmente in corrispondenza dellAmbiente I, un consistente lotto di monete di bronzo e dargento, tra cui alcune di Vespasiano, Antonino Pio, Traiano, Caracalla, Giulia Domna, databili tra il I e il III sec. d.C. (Fig. 6). LArea B con i primi resti messi in luce di un casale rinascimentale orientato nord-sud, di forma rettangolare, composto da due vani originariamente pavimentati in mattoni e delimitati da strutture murarie poco spesse (si veda il contributo di F. Pagano, C. Romano in questo volume). Un tracciato stradale coevo (Fig.
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Fig. 6 - Esempi di ritrovamenti: una pipa in terracotta moderna (a sinitra) e monete in bronzo e argento antiche (a destra).

7) orientato in direzione nord-sud datato al XV sec. d.C., con frequentazione fino al XVIII secolo, noto dalle fonti (il Rufini e il Delli) come Vicolo della Serpe, toponimo attribuitogli o perch situato in un luogo disabitato occupato da vigne e orti dove si potevano rinvenire con facilit delle serpi, o perch tortuoso a guisa di serpe, oppure in relazione ad una insegna di osteria o farmacia. Nel terzo settore, denominato Area C, a nord-est, si individuarono resti di impianti agricoli (Fig. 8), mentre gli approfondimenti effettuati fino ad una profondit massima di ca. 9,50 m s.l.m., mostravano lesistenza di una fase di frequentazione precedente al complesso degli horrea. La presenza di una struttura muraria in opera reticolata con orientamento est-ovest relata ad alcuni ambienti delimitati da anfore e pilastrini angolari e iniziali allineamenti di anfore, spesso appartenenti alla stessa tipologia, della fase pi antica di occupazione dellarea, che hanno rivelato una situazione particolarmente complessa risalente agli inizi dellet augustea (si veda il contributo di A. Gallone in questo volume). Poco dopo lo smantellamento sia di un tratto della via A. Volta che tagliava lo scavo da est ad ovest, sia dellufficio di una cooperativa di grafici utilizzato come stanza di lavoro, dallottobre
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Fig. 7 - Particolare del primo tratto del Vicolo della Serpe messo in luce presso il limite nord del lotto A.

Fig. 8 - Area C. Panoramica sugli impianti agricoli.

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del 2006 si amplia lorganico degli archeologi. Infatti la necessit di raccordare i settori di scavo distanti tra loro e quella di delineare lestensione topografica delle diverse fasi di frequentazione dellarea, senza trascurare i tempi di realizzazione del progetto per la costruzione del Nuovo Mercato del Rione Testaccio, portarono al graduale coinvolgimento dellquipe che seguir lo scavo fino alla conclusione delle indagini archeologiche. Lo scavo dellArea B venne affidato a Fabio Pagano, Cristina Romano, Claudio La Rocca e Simone Ruggeri; quello dellArea C a Federica Andreacchio, Emanuela Mariani, Roberta Tozzo e Daniele Putort; Anna Gallone, Sabrina Zottis e Donatella Mastrosilvestri, aprirono un nuovo fronte di scavo mettendo in luce il limite meridionale del complesso degli horrea, mentre noi proseguimmo lo scavo nellarea A (Fig. 9). Per lorganizzazione del magazzino e lo studio dei materiali al

Fig. 9 - Silvia durante uno dei momenti dello scavo dellAmbiente I.

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nucleo iniziale, composto da Alessia Contino e Lucilla DAlessandro, si aggiunsero Fulvio Coletti, Elena Lorenzetti, Claudia Tempesta, Gloria Zanchetti, Sara Della Ricca, Alba Casaramona, Valentina Mastrodonato, Federica Luccerini, Simona Sclocchi e molti altri ancora, senza trascurare i folti gruppi di studenti che si sono alternati anche sullo scavo proseguito fino al 2009. Con Silvia, sempre propositiva ed entusiasta, abbiamo condiviso molte esperienze di carattere scientifico nel confronto costante e nello scambio di opinioni sullo scavo, di tipo progettuale, tra gli altri nella creazione di una associazione culturale (il DAT) che rispecchiasse le nostre idee e ludico in tutti gli indimenticabili momenti divertenti passati insieme.

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NUOVO MERCATO DI TESTACCIO: LO SVILUPPO DI UN QUARTIERE COMMERCIALE TRA LA TARDA REPUBBLICA E LIMPERO*
AnnA GAllone

Lo scavo del Nuovo Mercato di Testaccio ha interessato unarea di circa un ettaro mettendo in luce evidenze archeologiche fondamentali per la nostra conoscenza e comprensione del quartiere commerciale di Roma antica. Come si sa, infatti, la pianura alluvionale del Tevere, compresa tra il fiume stesso e la pendice orientale del colle Aventino, a partire dalla media et repubblicana cominci ad essere occupata da edifici e strutture che potessero soddisfare le necessit commerciali ed economiche della citt, che stava per diventare la potenza maggiore del mondo antico. Le fonti documentarie e i ritrovamenti archeologici del passato hanno permesso una ricostruzione dellintero quartiere commerciale (per un inquadramento generale si rimanda al contributo di S.Festuccia e G. Verde in questo volume), anche se molte rimangono le zone dombra su aspetti specifici e sulla evoluzione topografica, architettonica e gestionale di questarea di Roma. In questo panorama, lo scavo del Nuovo Mercato ha permesso di colmare alcune di queste lacune e soprattutto ha dato la

Questo contributo il frutto del lavoro di tutta lquipe di scavo del Nuovo Mercato di Testaccio ed scaturito da continui confronti avuti con tutti i colleghi, che qui si desidera ringraziare. 169

possibilit di indagare per la prima volta una porzione cos estesa dellantica zona commerciale, portando alla luce evidenze archeologiche delle quali si sconosceva lesistenza, aprendo dunque nuove prospettive per la ricerca storica, archeologica e economica del mondo antico. E stato infatti possibile seguire lo sviluppo diacronico dellarea oggetto dindagine per let tardo repubblicana e imperiale (per le fasi successive si rimanda al contributo di F. Pagano e M.C. Romano in questo volume). Le prime testimonianze che abbiamo portato alla luce si riferiscono ad un periodo inquadrabile nel I sec. a.C. In questo momento larea, ancora marginale rispetto al quartiere commerciale, era occupata da una serie di recinti, pi o meno regolari, realizzati con anfore intere disposte verticalmente nel terreno. Lo spazio disponibile sfruttato estensivamente ed possibile cogliere delle differenze tra la zona orientale e quella occidentale dello scavo. In questultima le anfore (il tipo pi rappresentato la Dressel 2-4), vuotate del loro contenuto hanno i puntali e la parte inferiore delle pance infissi verticalmente nel terreno, in modo da creare spazi abbastanza ampi rifiniti con battuti di terra molto consistenti (Fig. 1). E possibile che le aree cos determinate avessero delle coperture in materiale deperibile e servissero come aree di stoccaggio temporaneo per merci non deteriorabili; purtroppo non stato possibile identificare alcuna evidenza che potesse dare indicazioni determinanti sul tipo di merci qui depositate.
Fig. 1 - Recinti di anfore nella zona occidentale dellarea di scavo.

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Nella zona sud-orientale dello scavo, ritroviamo i recinti realizzati con anfore (tipi pi rappresentati: Dressel 6A, Dressel 7/11, Dressel 2-4) anche se in questo caso la tecnica utilizzata leggermente differente. Qui infatti vengono integrati gli spazi che rimangono vuoti, a causa della forma stessa dei contenitori, tra le spalle delle anfore impilando in modo regolare frammenti di altre anfore: principalmente pance e bocche; il risultato finale e un vero e proprio muretto alto pi o meno un metro (Fig. 2). Lo spazio interno cos definito era usato per scaricare non solo tutto ci che larea commerciale produceva e che era necessario smaltire, ma anche materiale edilizio proveniente da sterri e riorganizzazioni urbanistiche di altre zone della citt. E stato anche possibile distinguere, talvolta, diverse tipologie di scarichi allinterno di spazi diversi (zone per lo scarico di anfore intere, frammenti di anfore, materiale edilizio, stucchi, ecc.). Tra i recinti vengono lasciati appositi spazi utilizzati come veri e propri stradelli dagli addetti allo scarico, per raggiungere con piccoli carretti e con secchi le diverse aree di discarica. Quando le aree suddivise con i recinti venivano colmate con gli scarichi, se ne realizzavano di nuovi a un livello superiore; lo stesso vale per i passaggi tanto vero che sono stati identificati svariati livelli di piani di calpestio. E quindi possibile interpretare positivamente questarea dello scavo come una vera e propria discarica organizzata le cui strutture crescono e si trasformano man mano che si procede allo smaltimento dei rifiuti. Tra i recinti sono degni di nota due ambienti, affiancati luno allaltro, realizzati con veri e propri muri fatti di anfore a loro volta appoggiati ad angoli costruiti in muratura (Fig. 3). In questo caso, vennero probabilmente realizzati prima i sostegni angolari, costruiti con tufelli squadrati e malta e poi le pareti con le anfore (tipo Dresel 1b) sempre infisse nel terreno ma legate con argilla pura. E probabile che almeno in questi casi le anfore fossero impilate luna sullaltra in modo da raggiungere la giusta altezza per il soffitto. Linterno intonacato con registri forse di diverso colore. La copertura era realizzata con tegole e per accedere a queste due stanze si dispongono soglie di riutilizzo in tufo
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e travertino. Questa tipologia di costruzioni e eccezionale sotto molti aspetti e testimonia ancora una volta linventiva romana nelladattamento a forme e modi particolari a seconda delle necessit e del materiale disponibile. Alla luce della notevole organizzazione riscontrata negli scarichi, forse possibile interpretare questi due vani come sorta di uffici nei quali venivano registrati gli ingressi in discarica.

Fig. 2 - Particolare di un recinto di anfore nellarea orientale dello scavo.

Fig. 3 - Ambienti realizzati con muri di anfore.

A nord della discarica appena descritta, stato rinvenuto un lungo muro in reticolato che definisce uno spazio delimitato da pilastrini in laterizi e peperino. Anche questarea doveva essere utilizzata per il deposito di anfore vuote, come testimoniato da
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ben 149 esemplari del tipo Dressel 20 che sono state trovate in situ (Fig. 4). Queste anfore sono sistemate in linee parallele, a partire dal muro in reticolato, e sono tutte in posizione obliqua e adagiate sulla pancia; altamente probabile dunque che fossero gi state vuotate e che attendessero di essere registrate per poi essere smaltite.

Fig. 4 - Deposito di anfore Dressel 20.

Intorno allultimo ventennio del I sec. d.C., tutta larea interessato dallo scavo del Nuovo Mercato di Testaccio, subisce una radicale trasformazione sia funzionale che strutturale. Tutto ci che esisteva prima viene distrutto e ricoperto da potenti colmate di terra di risulta che ne alzano sensibilmente i piani di calpestio. Insomma anche per questa zona marginale del quartiere commerciale era arrivato il momento di essere occupata da nuovi e moderni horrea. Ci avviene quasi contemporaneamente con la creazione poco pi a sud della pi grande discarica di frammenti di anfore, il Monte dei Cocci. Da questo momento in poi larea dello scavo chiaramente suddivisa in due grandi complessi horreari separati da uno stretto
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corridoio percorribile a piedi; una sorta di vicolo che portava verso la viabilit maggiore a nord e sud dei due complessi commerciali (Fig. 5). Il complesso orientale di difficile lettura e ricostruzione in quanto se ne sono conservate solo labili tracce. E stato infatti possibile attribuire a questa Fig. 5 - Planimetria ricostruttiva degli horrea imperiali fase soltanto alcune del Nuovo Mercato di Testacciio divisi dal corridoio. strutture murarie in cementizio, conservate a livello di fondazione, di forma quadrangolare, nonch la fondazione di un lungo muro, sempre in cementizio con andamento N-S. Malgrado lo scarso livello di conservazione forse possibile ricostruire la struttura alla quale pertinevano le evidenze rinvenute come un grande magazzino suddiviso internamente da pilastri ai quali erano appoggiati tramezzi, tipologia ben nota per gli horrea di et imperiale. Il complesso occidentale, ancora una volta un horreum, si conservato molto bene e ci restituisce una immagine nitida e poderosa della originaria struttura trapezoidale, organizzata intorno a una grande corte scoperta, che stata portata alla luce per circa la met delloriginaria estensione (laltra met si trova al di sotto di via B. Franklin e del Mattatoio). La costruzione del magazzino orientale parte direttamente dai livelli utilizzati nella fase precedente, sui quali vengono scavate le fosse per le fondazioni in cementizio del nuovo edificio e del
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porticato della corte. Al di sopra delle fondazioni vengono realizzati muri in reticolato, alti ca. 1,7 m, che hanno ancora una volta funzione portante e disposti i grandi dadi in peperino per i pilastri del cortile. Tutto il materiale di risulta della costruzione viene ammassato al centro dellarea, andando cos a ricoprire i vecchi recinti di anfore. Terminati i muri in reticolato, si procede a colmare tutta larea con poderosi scarichi di materiale eterogeneo fino a raggiungere il colmo dei muri stessi: questa fase di cantiere particolarmente ben leggibile e permette di vedere i singoli momenti di costruzione e scarico e di identificare passaggi, rampe (Fig. 6) e piani di battuto utilizzati durante la costruzione dellhorreum. Raggiunto il nuovo piano di calpestio, viene creato un ulteriore livello di cantiere che serve per la costruzione dei veri alzati realizzati in opera mista (Fig. 7); intorno ai muri perimetrali della corte viene costruito un porticato, del quale si conservano solo le fondazioni dei pilastri. Il magazzino cos completato aveva, come detto, una forma trapezoidale con vani disposti su ununica fila (tranne che nord dove i vani sono giustapposti su due file) che si aprivano sul grande cortile centrale. Uno degli ambienti posto sul lato orientale ha i muri di spessore maggiore (2 piedi) rispetto

Fig. 6 - Colmata con rampa per la costruzione dellhorreum occidentale.

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agli altri (1,5 piedi), caratteristica riscontrata solo nei muri perimetrali che avevano una funzione portante; proprio a causa di ci forse possibile probabile interpretare questo ambiente come un vano scala che portava a un livello superiore del quale nulla si conservato. E stato identificato uno degli ingressi allhorreum sullangolo NE, ma probabile che quello principale si trovasse nella parte delledifico che non Fig. 7 - Particolare di un muro dellAmbiente I stata scavata. Non dellhorreum occidentale. possibile fornire indicazioni sul tipo di merci che venivano immagazzinate in questo complesso a causa della costante non conservazione dei livelli pavimentali, capillarmente spoliati nelle fasi successive (si veda in proposito il contributo di F. Pagano, M. C. Romano in questo volume). I magazzini imperiali rinvenuti nello scavo del Nuovo Mercato di Testaccio costruiti dalla fine del I alla met del II sec. d.C., sono utilizzati fino a III sec. d.C. quando, contemporaneamente alla disgregazione del quartiere commerciale e allabbandono dello scarico del Monte dei Cocci, vengono dismessi e trasformati in cave di materiale da costruzione. Prima della totale distruzione per uno dei muri perimetrali del corridoio crolla a
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causa probabilmente di un terremoto sancendo cos il definitivo abbandono degli edifici (Fig. 8).

Fig. 8 - Muro crollato del corridoio.

Bibliografia essenziale
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NUOVO MERCATO DI TESTACCIO: DALLEMPORIO AL TESTACCIO. LA RURALIZZAZIONE DI UN PAESAGGIO URBANO


f. pAGAno, M.c. roMAno

Le informazioni raccolte durante le indagini archeologiche nel cantiere del Nuovo Mercato Testaccio, hanno consentito di leggere abbastanza attentamente le fasi di costruzione dei complessi architettonici e la loro imponente vitalit durante i decenni ruggenti della prima e media et imperiale. Altre informazioni, pi sfuggenti e nascoste permettono di analizzare il loro abbandono e di tentare di fornire qualche risposta su come, quando e perch tale processo si sia manifestato. In un palinsesto di tracce minime si distingue un indizio particolarmente evidente e lampante che, fin dal principio, ha attirato la nostra attenzione: la sistematica spoliazione delle murature e dei piani pavimentali. Lintero edificio occidentale testimonia la presenza di un rasatura degli alzati murari assolutamente omogenea, tutte le strutture sono state oggetto di un intervento capillare di asportazione di materiale edile che ha prodotto nuove superfici particolarmente regolari. La lettura dei dati raccolti nelle stratigrafie di questa fase ha consentito di appurare lestrema precocit di questo intervento; la grande devastazione del complesso non pu essere imputata, seguendo un modello diffuso, alle generazioni di uomini della Roma medievale, ma sembra dover essere confinata tra la fine del III e la met del IV sec. d.C. Sebbene la lettura delle fasi di transizione (tanto pi quanto
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essa si manifesta come spoliazione e abbandono) sia uno dei compiti pi ardui nel lavoro dellarcheologo, nello scavo del Testaccio le informazioni raccolte hanno permesso di avanzare qualche ipotesi interpretativa. Allinizio fu probabilmente avviata la ruberia dei piani pavimentali e solo in un secondo momento fu dato avvio alla vera e propria caccia al mattone, che ha determinato lo smontaggio quasi integrale del complesso e la captazione capillare del materiale da costruzione. Ad eccezione dei brani di muratura collassati in connessione in momenti successivi, probabilmente per fenomeni naturali (a tal proposito si vede il contributo di A. Gallone in questo volume), non sono stati in nessun caso indagati depositi pertinenti al cedimento delle strutture, evidentemente mai crollate ma completamente smontate pezzo per pezzo. Dietro il capillare smontaggio di un vasto complesso pubblico si nascondono una serie di problematiche importanti, come lovvia necessit di materiale, i procedimenti giuridici attraverso i quali viene condotta loperazione o le motivazioni che hanno portato un edificio o un complesso di edifici ad essere ritenuto non pi utile. Nel dettaglio i magazzini imperiali si denotano come un edificio pubblico, volto a soddisfare le esigenze economiche dellapparato statale. A nostro giudizio linadeguatezza del complesso e la sua riconversione a cava di materiale, non pu che essere stata gestita dal potere pubblico, lunico che tra la fine del III e la met del IV sec. d.C. poteva arrogarsi una simile prerogativa. Parimenti possibile immaginare che anche il risultato materiale del processo (il recupero dei laterizi) sia stato finalizzato a un precipuo interesse pubblico. Si tratta dunque di rintracciare lelemento (o laccadimento) chiave del processo. Alla fine del III secolo lunico intervento verificatosi nella pianura dellEmporio che sia compatibile con queste premesse la costruzione delle mura aureliane. Si tratta di una delle pi importanti imprese costruttive mai portate a termine nel mondo antico. Sotto limpero di Aureliano (270-275) per rispondere alla pressione sempre pi forte delle popolazioni barbariche, che avevano portato la guerra fin nellItalia padana, si decise di dotare Roma di un nuovo
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apparato difensivo. Dal 271 si avvi la costruzione del circuito, lungo circa 19 km, tentando di sfruttare il pi possibile strutture preesistenti che potessero facilitare e velocizzare lopera. Le nuove mura invasero anche la pianura dellEmporium, inglobando la Piramide Cestia, includendo al loro interno la grande discarica, giungendo fino al Tevere che veniva poi risalito fino allaltezza di via Marmorata, dove le mura abbandonavano la riva sinistra per proseguire nel Transtiberim. La piana sub-aventina si ritrovava quindi recintata su tre lati e soprattutto vedeva interrotto il suo simbiotico rapporto con il fiume. Le conseguenze urbanistiche di una tale situazione sono evidenti: gli equilibri urbani dellarea, consolidati in secoli di evoluzione, venivano pesantemente alterati. Si pu dunque immaginare il sorgere di un rapporto doppio: la costruzione delle mura aureliane (la causa) potrebbe aver decretato la perdita di funzionalit dellarea (la conseguenza) determinando labbandono e la spoliazione del complesso per fornire di materiale la stessa fabbrica delle mura; sostanzialmente un fattore iniziale che innesca un processo che si conclude determinando conseguenze per esso stesso. Lanalisi delle fonti archeologiche e documentarie sembra comprovare che qualcosa di importante sia avFig. 1 - Sepoltura (T4).

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venuto a modificare il paesaggio urbano in quei decenni. Lo scavo ha dimostrato che allindomani dellavvenuta demolizione di gran parte del complesso, qualcuno abbia continuato a frequentare larea, e che lungo ed a ridosso del vicus, siano state allestite alcune deposizioni funerarie (Fig. 1). La sequenza stratigrafica indagata permette in maniera chiara di porre questi contesti in una fase successiva alle prime attivit di spoliazione: in dettaglio i piani tagliati dalle sepolture, obliterano i riempimenti delle fosse di spoliazione. Sono state rinvenute 6 sepolture di cui 5 prevedevano una deposizione allinterno di anfore, seguendo una pratica particolarmente perseguita in quegli anni1. Lambiente nel quale si dovettero svolgere queste semplici operazioni funerarie (da collocare tra la met met del IV ed il V sec. d.C.) va probabilmente immaginato come un paesaggio scolpito dalla demolizione e caratterizzato dai resti di qualche rudere fatiscente ancora in piedi. Una conferma di questo processo si pu cogliere in una importante fonte documentaria per la conoscenza della topografia romana: i cataloghi regionari (Codex Urbis Romae Topographicus, ed. C.L. Urlichs, Wirceburgi, 1871, p. 18), una fonte della met del IV secolo nella quale vengono elencati i principali edifici presenti in ogni quartiere romano. Nellelenco relativo alla XIII regio (Adventinus), non compaiono pi i nomi di alcuni magazzini come gli horrea Seiana o i Lolliana; una assenza che non pu essere imputata ad una improbabile distrazione del redattore, ma alla precedente scomparsa dei complessi. Da questo punto in poi, almeno per qualche secolo, la ricostruzione delle vicende diviene decisamente pi complicata, e in assenza di indizi provenienti dallo scavo (che potrebbero testimoniare un scarsa frequentazione dellarea), opportuno allar-

Riguardo la caratterizzazione degli individui deposti, le analisi preliminari, condotte alla dott.ssa L. Carboni, hanno permesso di determinare la presenza di 3 individui maschili e di uno femminile (et 40/49 20/29 16/19 0/3 mesi).

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gare lo sguardo allintero quartiere per tentare di intuire levoluzione dellarea. Si dunque osservato come il mondo antico abbia lasciato in eredit alla nuova Roma medievale, la pianura sub-aventina gravemente destrutturata nelle sue entit materiali e nelle sue funzionalit. Sulla base di un preziosissimo documento epigrafico conservato nella chiesa di Santa Maria in Cosmedin (A. Silvagni, Monumenta Epigraphica Christiana, vol. I, tav. XXXVII, 4,5), possiamo affermare che qualche frammento di questo paesaggio alla met del VIII secolo sia giunto in mano a un importante personaggio della Roma bizantina che per ottenere il perdono dei peccati offre in usu istius sanctae diaconiae pro sustentatione christi pauperum et omnium hic deservientium diaconitarum diversi suoi beni fondiari, tra cui alcune tavole di vigna qui sunt in testacio. Nonostante il documento non consenta di collocare puntualmente lappezzamento agricolo oltre ad una generica posizione testaccina, da esso si possono enucleare due certi assunti: intorno alla met del VIII secolo, larea del Testaccio (almeno in parte) era in mano a proprietari privati, e alcuni spazi dovevano aver assunto un connotato tipicamente rurale. probabile che processi simili abbiano accompagnato anche la nostra area nella fase di transizione tra let tardo-antica e laltomedievo, senza lasciare evidenti tracce archeologiche. Gli ultimi resti del complesso imperiale vennero sommersi dalle loro stesse macerie, e limmagine dellarea inizi ad acquisire una veste diversa, priva degli ingombri degli edifici, che per diversi secoli avevano segnato il suo sviluppo, e protesa verso quella lenta evoluzione che lavrebbe portata ad assumere connotati sempre pi rurali. La gi ricordata epigrafe di Santa Maria in Cosmedin, ci concede anche una ulteriore preziosa informazione (oltre a ricordarci i peccati di cui si dovevano macchiare le elits romane nellaltomedioevo!): lavvio del processo di acquisizione di terreni da parte del potere religioso, una presenza che caratterizzer larea per tutta let medievale. Dal XIII secolo sono numerosi i documenti che descrivono cessioni di terreni tra enfiteuti, permute,
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pagamenti di un canone annuo e che consentono di individuare nellarea del Testaccio la presenza di possedimenti ecclesiastici. Nel 1363, il comune pagava un affitto annuo al monastero di Santa Maria in Cosmedin, per lo sfruttamento di un pascolo comune. La presenza religiosa nellarea assumeva connotati spettacolari durante la processione della settimana santa che partiva dallarea capitolina e che si concludeva sul Monte dei Cocci. Allinterno dei palinsesti stratigrafici dello scavo del Nuovo Mercato, levanescente periodo medievale da cercare negli strati (spesso poco sviluppati in spessore) che separano le fasi di abbandono del complesso imperiale dai livelli pertinenti alle nuove occupazioni. Questi strati sono caratterizzati da una alta presenza di materiale di natura edile (grumi di malta, cubilia e scaglie in tufo) ed hanno restituito un quadro dominato da una forte eterogeneit, con alte incidenze di materiale residuale. Sembra possibile interpretare questi depositi come il prodotto della disgregazione fisiologica di quelle strutture murarie che ancora emergevano in un contesto di totale abbandono: un processo deposizionale naturale di lunga durata che ha determinato la copertura generale delle strutture romane.
Fig. 2 - Il vicolo della Serpe.

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Su questi strati, quasi un anello di congiunzione tra lEmporium ed il Testaccio, si sono impostati altri livelli con tracce di vissuto pi evidente che hanno raccontato egregiamente le storie del quartiere in et moderna. Tra la tarda et medievale e il primo rinascimento, larea assume dunque una veste nuova, o forse meglio, formalizza ci che si era manifestato gi precedentemente. Il paesaggio completamente rurale, viene tagliato da un piccolo percorso viario, che le fonti pi tarde ricorderanno con il suggestivo nome di vicolo della Serpe e che avr una fortuna duratura fino al riassetto urbano di et contemporanea (Fig. 2). Il manto stradale viene realizzato mediante una articolata stratificazione prodotta dallaccumulo di migliaia di frammenti ceramici di piccole dimensioni (ovviamente quasi completamente residui di et romana), garanzia di un buona tenuta drenante del tracciato, e si conclude con una super-

Fig. 3 - Il casale.

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ficie ricca di tracce di esposizione e di usura dovute alla percorrenza di carri. Lo scavo ha dimostrato come, nello stesso periodo, sia sorto un nuovo contesto edilizio, direttamente affacciato sul vicolo. Prende forma infatti un casale rurale (Fig. 3), che verr sottoposto a diversi interventi di restauro e di modifica strutturale durante i secoli successivi. Il primo nucleo architettonico (dotato di due ambienti, e probabilmente sviluppato su di un unico livello), nel corso del XVII secolo verr ampliato, tamponando gli accessi originari, rinforzando il limite verso la strada, per consentire la costruzione di un piano superiore. La creazione di nuovi spazi consent probabilmente la riconversione ad ambiente di lavoro (magazzino o stalla) del volume posto a fianco della strada, che viene ora dotato di un ampio e comodo ingresso verso nord. La trasformazione funzionale dellambiente sembra essere provata dalla rimozione di un pavimento in mattoni per la messa in opera di una nuova e pi robusta pavimentazione in selci e frammenti di marmo. Negli stessi interventi si definisce lallestimento di un piano rialzato e pavimentato in scaglie di basalto allinterno dellambiente est, che potrebbe essere messo in relazione con attivit produttive, forse legate alla trasformazione delle risorse agricole (Fig. 4). Le informazioni raccolte nello scavo hanno permesso di appurare che gran parte del materiale utilizzato per questi importanti interventi costruttivi sia stato reperito in loco. Sono state rintracciate infatti numerose fosse scavate nella vicina area agricola, la loro distribuzione presenta un disegno ben preciso che sembra concentrarsi in relazione agli originari piloni in peperino posti a sostegno del portico dellhorreum occidentale, quel peperino che sotto forma di scaglie si riscontra negli interventi apportati al casale. Contemporaneamente il tracciato stradale viene interessato dalla stesura di nuovi strati composti di nuovo essenzialmente da materiale ceramico, che portano il livello stradale a crescere di circa 40 cm. Lambiente intorno alla strada ed al casale doveva presentare un immagine schiettamente rurale. Numerose trincee parallele avevano inciso il terreno, fino ad intaccare le ormai se186

polte creste delle murature degli horrea, lasciando la memoria di coltivazioni intensive, perfettamente compatibili con le descrizioni delle fonti documentarie e con le immagini che numerose mappe e vedute hanno tramandato. Il paesaggio che gli scavi hanno restituito riguardo alle forme di occupazione tra il 600 e l800, dunque pianamente coerente con lidea storica dellambiente del Testaccio rurale. Anche in questo caso i resti rinvenuti possiedono un potere rappresentativo che li proietta al di l della dimensione di area archeologica e gli attribuisce la dimensione di museo territoriale. Nelle tracce archeologiche si ritrova lambientazione agricola, fatta di vicoli di campagna, di casali, e di campi coltivati, si percepisce la vocazione vinicola della zona, si intuisce lo sfruttamento delle risorse nascoste nel sottosuolo e di quella caccia alla statua ed al capitello, che ha animato per secoli i campi e le vigne del quartiere.
Fig. 4 - Foto da pallone frenato dellarea del casale (foto Akhet s.r.l.).

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Lo scavo ha permesso di annotare ulteriori evoluzioni del complesso, come la messa in opera di un lavatoio a ridosso del muro nord del complesso, lallestimento di una nuova strada in terra battuta e la protezione dellaccesso carrabile al casale mediante alcuni paracarri. Attraverso queste lente forme evolutive il paesaggio rimase immutato fin alle soglie dellet contemporanea, quando le esigenze delle modernit si impossessarono dellarea. Dopo il 1870 la storia del quartiere, alla stregua di molti altri quartiere romani, subisce una forte accelerata. Larea dello scavo, in quegli anni occupata dagli orti e dai vigneti della famiglia Torlonia, rientra allinterno di una serie di provvedimenti che tendono a trasformare la piana del Testaccio in quartiere industriale, e che vengono sintetizzati nellapprovazione del Piano Regolatore del 1882. Si avvia dunque la costruzione del grande complesso del Mattatoio, progettato da Gioacchino Ersoch, e parallelamente si progettano le residenze per i lavoratori. LIstituto Case Popolari coordina la fase esecutiva e gestionale delle residenze e nellarea interessata dal cantiere promuove la costruzione di otto edifici chiamati popolarmente villinetti2. Durante i primi interventi di scavo, durante quella fase di attesa e di interrogativi su cosa si nasconde sotto il terreno, la competenza e la passione di Silvia hanno permesso di raccogliere e documentare le tracce di queste storie recenti. Memorie minime (dai flaconi di profumo di chiss quale avvenente signora, al cartellino di un giovane calciatore in erba), segni lasciati dai penultimi protagonisti della storia di un ettaro di Roma. Penultimi e non ultimi perch confidiamo che anche le storie ed il ricordo di chi ha contribuito a riscoprire queste memorie si siano stratificate sul suolo.

Lambientazione popolare ha proiettato i villinetti nella dimensione di set cinematografico, durante la stagione del neo-realismo italiano. In particolare il complesso edilizio costituisce lambientazione delle scene finali di Accattone di Pier Paolo Pasolini del 1961. I c.d. villinetti verranno demoliti intorno agli anni 60.

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NUOVO MERCATO DI TESTACCIO: DALLO SCAVO ARCHEOLOGICO ALLO STUDIO DEI MATERIALI. I REPERTI CERAMICI DELLAMBIENTE I DEGLI HORREA
clAudiA teMpeStA

Lo scavo archeologico stato definito da Andrea Carandini come un Giano bifronte, di cui un volto lattivit sul campo e un altro lattivit in laboratorio per lo studio dei reperti. Bench lo scavo e lo studio dei materiali siano due attivit ben distinte -luno inizia infatti dove finisce laltro- essi appaiono strettamente interdipendenti: se laccuratezza delle procedure di scavo e documentazione infatti condizione indispensabile per linterpretazione dei dati che emergono dallanalisi dei materiali, la correttezza delle metodologie impiegate nello studio dei reperti a sua volta un requisito necessario alla piena comprensione della funzione, dei modi e, soprattutto, dei tempi di formazione dei depositi archeologici. Perch lanalisi integrata dei contesti archeologici e dei contesti ceramici possa risultare realmente efficace in termini di conoscenza, tuttavia, il rigore metodologico e la correttezza delle procedure adottate non sono sufficienti: assolutamente indispensabile la costante collaborazione e comunicazione tra chi scava e chi studia la ceramica. Questo spirito di collaborazione ha improntato lo studio dellambiente I degli horrea, primo -e finora unico- bacino stratigrafico del Nuovo Mercato di Testaccio di cui siano stati esaminati integralmente i materiali: se questo studio stato portato a termine e ha prodotto qualche risultato, in gran parte merito di Silvia, che non soltanto ha condotto con gran189

de sensibilit e rigore lo scavo dellambiente I, ma ha mostrato anche una straordinaria attenzione e disponibilit verso chi si occupato dello studio della ceramica. Lambiente I situato nella fila pi interna delle due che chiudono il complesso degli horrea del Nuovo Mercato sul lato nordoccidentale (si veda il contributo e la Fig. 4 di S. Festuccia, G. Verde in questo volume): orientato in senso nord-ovest/sud-est ed originariamente accessibile dal piazzale, misura 8,75 x 4,25 m ed delimitato su tutti i lati da muri in opera mista. I muri si impostano su sostruzioni in reticolato, costruite a vista, che poggiano a loro volta su unulteriore fondazione in calcestruzzo, tagliata in una serie di strati preesistenti alla costruzione degli horrea fino allo strato sterile (si veda Fig. 7 del contributo di A. Gallone in questo volume). Gli strati scavati allinterno dellambiente hanno restituito cospicue quantit di materiale ceramico. Per quanto in s piuttosto ampio (si tratta infatti di ben 31841 frammenti), questo materiale in ogni caso di un campione estremamente esiguo rispetto al totale della ceramica recuperata nello scavo del Nuovo Mercato: per dare unidea anche solo approssimativa della sua (scarsa) rappresentativit, basti dire che il materiale dellambiente I riempie appena 72 delle oltre 2000 cassette finora inventariate. Lesiguit del campione analizzato non consente di sviluppare in questa sede un autentico studio tipologico: ci si concentrer pertanto sul contributo che lo studio della ceramica ha fornito allinterpretazione cronologica e funzionale del contesto stratigrafico. Sono stati presi in esame i frammenti ceramici provenienti da 29 unit stratigrafiche, che stato possibile suddividere in tre fasi principali, corrispondenti al periodo precedente alla fondazione degli horrea (fase I, distinta in due sottofasi), alla costruzione del complesso (fase II) e allabbandono e allobliterazione dellambiente (fase III, anchessa distinta in due sottofasi). I materiali provenienti dagli strati della fase I, tagliati dalle fondazioni degli horrea, si distinguono nettamente da quelli rinvenuti negli strati appartenenti alle fasi successive: mentre infatti
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in queste ultime oltre il 90% del materiale ceramico costituito da anfore, nella fase I la percentuale della ceramica fine e comune oscilla tra l85 e il 92% (Fig. 1). Sulla base dellanalisi dei materiali la fase I stata divisa in due sottofasi, databili allet augustea e allet giulio-claudia.

Fig. 1. Fasi I-III: distribuzione delle classi ceramiche.

La cronologia della fase Ia si ricava principalmente dai frammenti di sigillata italica (uno dei quali presenta un bollo noto su piatti databili entro il 10 a.C.) e di ceramica a pareti sottili, riferibili in parte a tipi che appartengono ad un repertorio di tradizione repubblicana (Marabini VII e Marabini VIII/Ricci 1985, 2/279), in parte a forme introdotte a partire dallet augustea (Marabini XXXII, Marabini XXXVI, Marabini LXI). I frammenti appartenenti alle altre classi confermano la datazione suggerita dalle ceramiche fini: la ceramica comune da mensa e da fuoco trova confronto soprattutto con i tipi attestati in area romana e laziale tra lepoca tardo-repubblicana e la prima et imperiale, cos come il frammento di lucerna (attribuibile al tipo Dressel 4, prodotto tra il 50 a.C. e il 15 d.C.), e il frammento di tegame in ceramica a vernice rossa interna (Goudineau 1970, tav. II, n. 17, databile tra il 9 a.C. e il 16 d.C.). Sebbene non offrano elementi di datazione determinanti, le anfore non contraddicono la cronologia suggerita
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dalla ceramica fine e comune. I due soli frammenti significativi sono infatti pertinenti ad una Dressel 2-4 di produzione italica e ad una Dressel 7-11 betica: tali anfore, pur presentando una notevole continuit di produzione e circolazione, sono in ogni caso ben rappresentate nei contesti italici di epoca augustea, come ad esempio il deposito della Longarina.

Fig. 2. Fase I: anfore italiche.

La datazione della fase Ib allet giulio-claudia o neroniana poggia principalmente sulla presenza di un tipo di coppa di ceramica sigillata italica introdotta a partire dallet tiberiana (Conspectus 36) e sulla ceramica comune da mensa e da fuoco, confrontabile con tipi attestati prevalentemente in contesti romani ed ostiensi della prima met del I sec. d.C. Tale cronologia confermata dalle anfore (Fig. 2), tra le quali predominano tipi di produzione italica (Dressel 1, Dressel 2-4 italiche, Dressel 6): questa distribuzione suggerisce una datazione entro il terzo quarto del I sec. d.C., anteriore allincremento che si registra in et flavia nelle importazioni di vino dalle province, conseguenza della crisi dei tradizionali centri di produzione italici (cui concorse anche leruzione del Vesuvio del 79 d.C.) e del parallelo sviluppo delleconomia provinciale. Lassoluta prevalenza della ceramica fine e comune sulle an192

fore porta a ritenere che i materiali provengano da un contesto di tipo domestico (forse una villa situata nelle vicinanze), piuttosto che di tipo horreario; tale impressione rafforzata dalla presenza, negli stessi strati, di cospicue quantit di intonaco dipinto e stucco modanato. Costituiti in massima parte da riporti destinati a colmare lo spazio tra le sostruzioni in reticolato, gli strati della fase II possono essere considerati parte di ununica attivit collegata alledificazione dellambiente I degli horrea. La cronologia di questi strati si ricava dallanalisi congiunta dei tipi anforici e della ceramica fine -in particolare della sigillata, allinterno della quale dominano le produFig. 3. Fase II: distribuzione delle anfore zioni tardo-italiche non deper contenuto. corate (quattro coppe del tipo Conspectus 34 e una coppa Conspectus 37.5)ma anche da alcuni elementi esterni, quali i rapporti stratigrafici, la tecnica edilizia e lapparato epigrafico delle strutture murarie: tali dati consentono di datare la formazione del contesto ceramico tra la fine del I e la met del II sec. d.C. e di collocare la chiusura del deposito intorno al secondo Fig. 4. Fase II: distribuzione delle anfore per provenienza geografica. quarto del II sec. d.C.
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Gli strati della fase II hanno restituito un elevatissimo numero di frammenti ceramici, tra cui predominano largamente le anfore, che costituiscono circa il 92% del totale (Fig. 3): tra le anfore prevalgono nettamente i contenitori vinari (91,5%), mentre i contenitori oleari e da garum raggiungono complessivamente un indice inferiore del 2% (il 6,4% costituito infatti da anfore di contenuto incerto).

Fig. 5. Fase II: anfore italiche e anfore galliche.

La distribuzione percentuale dei contenitori vinari appare del tutto singolare se rapportata ai contesti contemporanei (Fig. 4). Le anfore italiche, che in questo periodo hanno a Roma indici pari a circa il 40%, rappresentano nel contesto esaminato appena il 7,8% del totale: tra le anfore italiche appaiono molto ben rappresentate le Dressel 2-4, nonostante la loro produzione fosse ormai in fase declinante, a fronte della scarsa attestazione delle anfore a fondo piatto dellItalia centrale interna e dellEmilia, che pure a partire dalla tarda et flavia conquistano un peso crescente sul mercato di Roma e di Ostia. Altrettanto insolita la geografia delle importazioni provinciali: contrariamente a quanto accade nei contesti contemporanei, che registrano un notevole incremento
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soprattutto nelle importazioni di vino dalle province occidentali (ed in particolare galliche), nel contesto preso in esame le anfore galliche, iberiche ed africane si attestano complessivamente su un indice di appena il 3%, mentre le anfore galliche, considerate singolarmente, non raggiungono l1% (Fig. 5). Il dato pi interessante tuttavia la netta prevalenza delle anfore orientali (88,4%), che non trova alcun riscontro nei luoghi di consumo indagati a Roma e ad Ostia, dove nel II sec. d.C. lincidenza delle importazioni dallOriente non supera geneFig. 6. Fase II: distribuzione per provenienza delle anfore vinarie orientali. ralmente il 30% dei contenitori vinari. Lanomalia appare ancora pi evidente se si esamina la composizione del campione delle anfore orientali: mentre nei contesti adrianei ed antonini di Roma e di Ostia, le orientali sono pi o meno equamente suddivise tra le anfore egee, microasiatiche e cretesi, nellambiente I degli horrea le anfore di produzione cretese (Cretese 1, Cretese 2, Cretese 3 e Cretese 4) costituiscono quasi il 95% del campione, contro il 3,5% delle anfore egee e l1,7% delle anfore dellAsia Minore (Figg. 6 e 7). Lanomalia che caratterizza il contesto dellambiente I in relazione alla presenza delle anfore orientali, e delle anfore cretesi in particolare, deve essere certamente imputata ad una fortissima selezione del materiale precedente alla formazione del deposito archeologico. Si pu, in altre parole, ipotizzare che negli strati di fondazione dellhorreum siano stati riutilizzati -allo scopo
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precipuo di creare un vespaio- materiali anforici provenienti da uno scarico specializzato, destinato allo smaltimento delle anfore cretesi ed ubicato presumibilmente nelle vicinanze. Lesistenza di scarichi di questo tipo -certo meno organizzati e controllati, ma nella sostanza non dissimili dallo scarico di anfore olearie del Testaccio- trova ora unimportante conferma nella situazione messa in luce nei livelli pre-horreum di altri settori dello scavo (si veda il contributo di A. Gallone in questo volume). Tale spiegazione non deve tuttavia mettere in ombra il fatto che leccezionale quantit di contenitori cretesi (Fig. 8) rinvenuti nello scavo del Nuovo Mercato di Testaccio (un numero minimo di oltre 240 esemplari nel solo ambiente I) non ha eguali al di fuori dellisola di Creta: tale quantit testimonia la prosperit del commercio vinario cretese in epoca medio-imperiale, e deve indurre a rivalutare seriamente le stime correnti relative alla circolazione del vino di Creta sul mercato di Roma.

Fig. 7. Fase II: anfore orientalih.

Fig. 8. Fase II: anfore cretesi.

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Gli strati della fase III corrispondono allabbandono e alla definitiva obliterazione dellhorreum. Sulla base dei materiali, stato possibile distinguere due sottofasi, la cui datazione stata resa particolarmente ardua dalla scarsissima presenza di reperti contestuali, a fronte di un indice di residualit che tocca il 95%. La fase IIIa stata datata nel corso del III sec. d.C. grazie alla presenza di alcune anfore vinarie (Dressel 30 e Kapitn II) ed olearie (Africana II) che non sono documentate a Roma prima dellet tardoantonina o severiana (Fig. 9). Nella fase IIIb, tra i pochi materiali contestuali alla chiusura del deposito archeologico devono essere segnalati in particolare alcuni frammenti riconducibili ai tipi lusitani Almagro 50 e 51, al tipo africano Keay XXV, e, soprattutto, alle anfore Keay LII e Ostia IV,166 (prodotte probabilmente nellItalia meridionale o in Sicilia), ben attestate a Roma tra la met del IV e il V secolo (Fig. 10). Il resto del materiale anforico, cos come la totalit della ceramica fine e comune, appare residua ed nel complesso databile tra il I e il II sec. d.C.: tra i residui, particolarmente degni di nota sono alcuni frammenti di calamaio in ceramica invetriata romana che non presentano tracce duso e possono essere probabilmente interpretati come scarti di produzione di una fornace ubicata nelle vicinanze e messa forse fuori uso al momento della costruzione dellhorreum. Laltissimo tasso di residualit, lestrema variet tipologica, lelevato indice di frammentariet -come anche la presenza di materiali residui ben documentati non negli Fig. 9. Fase IIIa: anfore africane ed orientali.
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strati immediatamente sottostanti bens negli strati medioimperiali degli ambienti adiacenti- portano a ritenere che la formazione degli strati della fase III sia non soltanto contestuale allobliterazione dellhorreum, ma anche direttamente legata alle attivit di Fig. 10. Fase IIIb: anfore lusitane ed africane. scavo e di spoglio che interessarono ledificio in seguito al suo definitivo abbandono. Per concludere, occorre sottolineare che, data la limitatezza del campione analizzato, i risultati presentati devono intendersi come assolutamente parziali e preliminari rispetto allo studio complessivo e sistematico che stato avviato dallquipe di ricerca sui reperti provenienti dallo scavo. In ogni caso, attraverso lo studio tipologico e quantitativo dei reperti e il loro inquadramento nel relativo contesto stratigrafico si cercato di dar conto, seppure brevemente, della straordinaria ricchezza del contesto del Nuovo Mercato di Testaccio, nonch della sua eccezionale importanza ai fini della ricostruzione delle dinamiche produttive, commerciali e di consumo di Roma dallepoca tardo-repubblicana allepoca tardo-antica.
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EPIGRAFIA E TOPOGRAFIA: LO SVILUPPO DELLA PIANURA AVENTINA IN ET ROMANA


MirellA SerlorenZi

Ho incontrato Silvia per la prima volta nellestate 2006 quando mi fu proposto di lavorare insieme al collega R. Sebastiani allo scavo del Nuovo Mercato di Testaccio. Allinizio il dialogo non fu sempre facile in quanto la riorganizzazione del cantiere per un ampliamento di scala con limpiego di nuovi archeologi determin qualche malumore; ma Silvia come Giovanna Verde e Silvia Festuccia compresero presto il motivo delle scelte effettuate contribuendo ad istaurare un clima di fattiva collaborazione. Lo scavo di Testaccio stato infatti per tutti noi il luogo dove tante persone diverse e sconosciute si sono ritrovate, incontrate e amalgamate fino a dare vita ad un gruppo di studiosi che hanno avuto anche la fortuna di diventare amici. Il futuro della ricerca che io iniziavo a condividere con Silvia beneficiava proprio di questa particolare situazione. Credo fermamente che sia compito di un direttore dello scavo percepire le potenzialit di ognuno e catalizzare le specifiche inclinazione e gli interessi per dar vita ad un ampio e articolato progetto di ricerca. Silvia era arrivata pi tardi di molti di noi, alla ricerca archeologica pura e alla scavo stratigrafico. La sua formazione originaria era stata invece storica, occupandosi di epigrafia, ma ad un certo punto anche lei era stata rapita, come la maggior parte degli archeologi di questa generazione, pionieri dellarcheologia urbana, dalla sirena di Ulisse dello scavo, il cui canto ti inebria e ti immobilizza. Larcheologia per non solo ricerca sul campo, e
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la traduzione del dato materiale in storia, soltanto uno dei tanti documenti che occorre tenere in considerazione nel lavoro ben pi complesso finalizzato alla ricostruzione del passato. Per questa ragione vedevo in Silvia una fortunata coincidenza di esperienze che avrebbero giovato particolarmente allapprofondimento di alcuni temi. Lei, amava linterdisciplinariet e aveva voluto attraversare dallinterno alcune discipline come la geoarcheologia o la conoscenza delle pi moderne tecniche di scavo, ma era una storica e proprio perch aveva intrapreso entrambi i percorsi la invitavo a riabbracciare lepigrafia per ricomprenderla in un discorso pi ampio che tenesse conto dei preziosissimi dati provenienti dalle nostre ricerche sul campo. Pi volte abbiamo discusso di unidea che si era formata in quegli ultimi mesi, legata alla studio della topografia della pianura aventina e in particolare alla ricostruzione dei vari cambiamenti di propriet partendo dal riesame critico di tutte le iscrizioni, comprese quelle dei bolli lateriFig. 1 - Foto del corridoio tra i due edifici di et imperiale del Nuovo Mercato di Testaccio.

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zi. Lidea nasceva dalla necessit di identificare in maniera pi circostanziata gli edifici di et imperiale rinvenuti nello scavo del Nuovo Mercato di Testaccio (si vedano i vari contributi sul Nuovo Mercato di Testaccio in questo volume). Come si visto si tratta di due magazzini distinti (si veda Fig. 5 in A. Gallone in questo volume), quello ad ovest di forma trapezoidale con corte centrale porticata, quello ad est contrassegnato da navate longitudinali scandite da pilastri. I due complessi, mai comunicanti fra di loro, sono separati da uno stretto corridoio (Fig. 1) il cui muro ovest caratterizzato da pi fasi costruttive che dimostrano come esso abbia da sempre costituito un limite di propriet tra le due aree. Prima di inoltrarci su problemi di identificazione bene volgere un rapido sguardo a quelle che sono le nostre conoscenze topografiche dellarea quando a partire dal II sec. a. C. fu scelta dallo Stato romano come luogo dove collocare il porto fluviale. Il progetto urbanistico di ampio respiro interess ledificazione del grandioso complesso della Porticus Aemilia (Fig. 2), che aveva verso il fiume, come afferma lo storico Livio, uno spazio destinato allEmporio, fornito di approdi, scale e moli lungo il Tevere, che successivamente venne pavimentato e delimitato. Sebbene i frammenti della Forma Urbis severiana coprano una superficie limitata rispetto allampiezza dellarea, essi permettono in ogni caso di ricostruire a grandi linee la struttura topografica portante e di delineare in via dipotesi gli assi viari pi rappresentativi della zona (Fig. 3). Prima delledificazione della Porticus Aemilia, come testimoniano le fonti, larea aveva un carattere privato ed era occupata per la maggior parte da horti appartenenti ad alcune famiglie aristocratiche che tanta parte avranno nella storia repubblicana e primo-imperiale della citt. Larea allinizio del II sec. a.C. era esterna al pomerio e, ad eccezione di alcuni edifici funerari e di eventuali apprestamenti di scarsa rilevanza architettonica, verosimilmente doveva ancora conservare un carattere periferico e dalla probabile vocazione agraria.
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La scelta di costruire un grande magazzino statale prospiciente il fiume per accogliere e conservare le merci, sempre pi abbondanti visto il continuo incremento della popolazione, porter in brevissimo tempo ad una trasformazione radicale della zona. Questo processo non fu esente da conseguenti speculazioni economiche sul nuovo valore dei terreni disponibili, che fecero Fig. 2 - Ricostruzione della Forma Urbis la fortuna di molte di Carettoni con il frammento 24a. famiglie aristocratiche i cui investimenti si concentreranno, a partire da questo momento, nelledificazione di nuove strutture commerciali sui fondi di loro propriet. Tale situazione deve aver determinato una crescita costante ma casuale di edifici, come si pu ancora leggere nella trama irregolare degli isolati rappresentati nella Forma Urbis, che denota la mancanza di una progettazione omogenea e contemporanea. Sostanzialmente sono presenti nellarea alcune importanti famiglie aristocratiche i Sulpici, i Lolli i Seii, ma vengono citati dalle fonti anche gli Anici, i Petroni e forse i Semproni. Sicuramente tra i complessi commerciali citati il pi imponente quel204

lo degli Horrea Galbana che si estende su una superficie molto ampia. Il complesso principale caratterizzato da ambienti aperti su tre grandi corti porticate interpretate da alcuni studiosi come ergastula, cio gli ambienti dove vivevano gli schiavi addetti ai lavori di stoccaggio delle merci, e da un edificio pi vasto a sud di esso costituito da navate scompartite da pilastri da identificarsi come il magazzino vero e proprio. Non noto chi sia il personaggio che diede inizio alla costruzione degli Horrea Galbana: conosciamo da Cicerone un Servius Sulpicius Galba che nel 180 a.C. possedeva dei giardini sullAventino e sui quali amava passeggere con il suo amico Ennius; ci noto inoltre il figlio che nel 151 a.C. si macchi del massacro di 30000 lusitani nellHispania Ulterior e poi divenne console nel 144 a.C.; e infine il nipote omonimo propretore della Hispania Ulterior nel 111 e 110 a.C., console nel 108 a.C., a cui si deve con pi probabilit attribuire linizio dellopera. La sua fortuna infatti lo autorizza a un atto di evergetismo nella sua citt natale di Terracina, dove restaura il tempio di Giove Anxur, e forse costruisce nello stesso periodo anche il complesso degli horrea a Roma allinterno dei quali inserir il suo grande edificio funerario. Nella met del I sec. a. C. vengono eretti da unaltra famiglia aristocratica gli Horrea Lolliana (Fig. 4), che godono di una posizione privilegiata sul fiume e sono caratterizzati da due corti contornate da tabernae. Si ritiene in genere che il realizzatore degli horrea sia da identificarsi con il padre di Lollia Paullina o con il nonno console nel 21 a.C. anche se secondo F. Coarelli i magazzini dovrebbero essere pi antichi forse costruiti proprio dal celebre M. Lollius Palicanus partigiano di Pompeo. Erano presenti infine, tra i due edifici, gli Horrea Seiana i meno conosciuti, in quanto non sopravvivono strutture, e sono noti dalle fonti epigrafiche , in particolare da due dediche al conductor e al genio horreorum Seianorum oltre che a cinque iscrizioni a carattere sacro che riportano il nome degli Horrea Seiana. Difficile stabilire chi sia il costruttore dei magazzini, le iscrizioni menzionate si riferiscono al I secolo d.C., ma se vogliamo far ri205

salire il nome delledificio ad uno degli esponenti della gens Seia si potrebbe pensare M. Seius, edile nel 74 a.C. amico di Cicerone, oppure a L. Seius Strabo prefetto dellEgitto, la cui eredit pass in parte a Tiberio.

Fig. 3 - Ricostruzione topografica della pianura aventina in et imperiale (le parti contornate rappresentano i frammenti della Forma Urbis; i resti archeologici sono desunti da Lanciani).

Le famiglie dei Lolli, dei Galba, e dei Seii attraversarono indenni il complesso periodo delle guerre civili, e i loro membri con abilit e lungimiranza non furono coinvolti nella tempesta della fine della Repubblica anzi riuscirono a rinsaldare il loro ruolo sulla scena politica ed economica. Li ritroviamo infatti tutti dalla parte di Ottaviano Augusto a sostenere il nuovo regime con la messa a disposizione della loro competenza e dei loro patrimoni. Patrimoni che, va sottolineato, furono rinsaldati dai contatti commerciali che tali famiglie si erano costruiti in seguito alla loro
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attivit politica in Spagna e in Egitto e che riguardava essenzialmente limportazione di vino, olio e cereali. Negli anni successivi la fortuna di queste tre famiglie raggiunge la massima affermazione e questi aristocratici entrano in contatto diretto con la casa imperiale attraverso matrimoni ed adozioni: i Galba arrivano con Servius Sulpicius addirittura ad indossare la porpora imperiale grazie anche al fortunato matrimonio del padre, nei primi anni dellImpero, con Livia Ocellina parente dellimperatrice Livia. I Lolli giungono alla corte imperiale grazie a Lollia Paullina che diventa sposa di Caligola anche se in seguito verr ripudiata; i Seii infine rivestono uno dei ruoli politici pi influenti con Seiano, prefetto del pretorio di Tiberio. La massima ascesa di queste aristocrazie e il collegamento diretto con lImpero, nella prima met del I sec. d.C., coincide con la loro altrettanto rapida caduta e la conseguente confisca dei beni che segn il passaggio degli horrea dellEmporio alla propriet pubblica: Lollia Paullina subisce la confisca di tutti i suoi beni da parte di Claudio; il patrimonio di Seiano dopo la sua morte viene requisito dallo Stato; gli Horrea Galbana sotto Galba diventano prima res privata dellimperatore e successivamente con i Flavi verranno annessi alla propriet pubblica. Tutte le notizie finora riportate sono riferibili allet repubblicana o ai primissimi anni dellImpero, malgrado ci forse possibile utilizzarle come linea guida per lo studio dei periodi successivi della pianura aventina. Se rivolgiamo nuovamente lo sguardo alla pianta ricostruttiva di et imperiale, e esaminiamo in dettaglio il frammento 24a della Forma Urbis Severiana, purtroppo non pi conservato e noto da un disegno cinquecentesco (Fig. 2), notiamo come i pilastri rinvenuti nel magazzino est dello scavo sembrino abbastanza coerenti con quelli della Forma Urbis, suggerendo che entrambi possano far parte dello stesso isolato. Se ci si rivelasse vero, e va sottolineato che allo stato attuale della ricerca si tratta pi che di unipotesi di una suggestione, il corridoio che separa i due edifici rinvenuti nello scavo potrebbe costituire il confine ovest
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dellestesa propriet dei Galba la cui presenza nellarea accertata gi dallinizio del II secolo a. C.

Fig. 4 - Frammento della Forma Urbis con gli Horrea Lolliana.

La sostenibilit di questa suggestione animava il dibattito con Silvia, con la quale ci riproponevamo di riesaminare criticamente le fonti epigrafiche, risalendo al loro posizionamento puntuale e cercando quindi di ricostruire le relazioni familiari e politiche dei proprietari dei diversi fondi. Lintegrazione di questi dati nel contesto dei resti archeologici degli edifici noti e dei risultati delle ricerche svolte da tutta lquipe dello scavo del Nuovo Mercato di Testaccio avrebbe portato ad una lettura diacronica della topografia della pianura aventina in et romana.
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INDICE

Prefazione DAT .......................................................................................... Pag. Storia di unarcheologa Maurizio Vitale......................................................................... Pubblicazioni di Valeria Silvia Mellace ........................................... Introduzione: Larcheologia con gli occhi di Silvia Renato Sebastiani..................................................................... La tesi di laurea: Schiavi e liberti imperiali nella documentazione epigrafica del museo nazionale romano Michela Nocita ......................................................................... Il progetto per il museo della preistoria dAbruzzo a Celano Giovanni Scichilone ................................................................. La geoarcheologia: Il Fucino Matilde Civitillo, Biancamaria Greco, Valeria Silvia Mellace .............................................................. Valeria Silvia Mellace negli scavi del Templum Pacis (23 ottobre 1998 31 dicembre 2000) Margherita Capponi ................................................................ Ricerche nel XV Municipio, Roma.................................................. Laura Cianfriglia Gli scavi di Vigna Pia e Muratella (2001-2002) Maria Cristina Grossi .............................................................. Gli scavi archeologici a via Idrovore della Magliana Laura Cianfriglia ..................................................................... Comprensorio Italgas - via delle Idrovore della Magliana, n. 121- XV Municipio: indagine geoarcheologica Renato Matteucci, Valeria Silvia Mellace, Carlo Rosa ........... Le indagini geoarcheologiche nel quadrante Sud-Ovest di Roma: Litalgas e gli ex Mercati Genarali Valeria Silvia Mellace, Carlo Rosa, Renato Matteucci, Renato Sebastiani ......................................

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Nuovo Mercato di Testaccio: Storie da un cantiere Silvia Festuccia, Giovanna Verde ............................................ Nuovo Mercato di Testaccio: Lo sviluppo di un quartiere commerciale tra la tarda Repubblica e lImpero Anna Gallone ........................................................................... Nuovo Mercato di Testaccio: Dall Emporio al Testaccio. La Ruralizzazione di un paesaggio urbano Fabio Pagano, Maria Cristina Romano .................................. Nuovo Mercato di Testaccio: Dallo scavo archeologico allo studio dei materiali. I reperti dellambiente I degli Horrea Claudia Tempesta ..................................................................... Epigrafia e Topografia: lo sviluppo della pianura aventina in et romana Mirella Serlorenzi ....................................................................

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