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Vincoli (Sensibilia 2 - 2008), eds. M. Di Monte, M. Rotili, Mimesis, Milano-Udine 2009, pp.

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Michele Di Monte Far(si) piacere la cosa giusta. Quanto libero lapprezzamento dellarte?

What's in a name? that which we call a rose By any other name would smell as sweet. William Shakespeare, Romeo and Juliet

1. Estensioni e demarcazioni Chi si muove nel mondo dellarte che si tratti di professionisti (artisti, storici, critici, studiosi di indirizzo vario ecc.) o di dilettanti, nel senso letterale del termine (visitatori di musei e gallerie, collezionisti, lettori appassionati e simili) si trova continuamente di fronte al compito di formulare giudizi categoriali: questo un dipinto, quella una scultura bronzea, questo un obelisco e via cos man mano che si viene a contatto con oggetti prima mai visti. A questo proposito, il mondo dellarte non diverso dal resto del mondo. Cos come non diverso quanto alla progressiva finezza di grana che i giudizi per estensione categoriale consentono, a partire da un bagaglio di esperienze pregresse che abbiano acquisito valore esemplare, prototipico e dunque diagnostico. Quanto pi si esperti tanto pi ci si pu spingere nellidentificazione e nel riconoscimento di insiemi sempre pi circoscritti: lo stile di unopera, la scuola, lepoca, la mano dellautore, quella dellallievo o dellimitatore, un periodo particolare della produzione di un individuo, persino differenze di pochi anni, se non di mesi. Colui che nellambito della disciplina storico-artistica viene solitamente chiamato conoscitore in realt, pi precisamente, un riconoscitore (naturalmente, quando non un vate con poteri oracolari) di somiglianze e propriet condivise, che servono a dilatare, dal punto di vista di una conoscenza attuale, i confini estensionali di una certa categoria. Tuttavia, anche il conoscitore di pi enciclopedica esperienza oggi avrebbe non pochi imbarazzi ed esitazioni a risalire in senso opposto la scala dei generi e delle specie per decretare con sicurezza unestensione categoriale al livello del genere sommo: questo arte, quello no. Con una sufficiente conoscenza della scultura greca antica si pu sperare di identificare un nuovo reperto, poniamo, come un capolavoro di un anonimo maestro del V secolo, mentre pur con la totale conoscenza di quegli oggetti che oggi vengono considerati artistici sarebbe piuttosto arduo riconoscere senzaltro unoccorrenza inedita come una genuina opera darte. In altri termini, sapere quali oggetti attuali rientrano nella categoria non ci consente di identificare sicuramente nuovi candidati. La cosa, da un punto di vista gnoseologico, dovrebbe sorprendere: come se un paleontologo che, sulla scorta di un confronto con un olotipo noto, classifica una nuova specie di dromeosauride non fosse poi in grado di dire, sulla stessa base, se si tratta di un vertebrato.

Probabilmente, per, il paragone non appropriato, giacch larcheologo che identifica loriginale di uno scultore fidiaco ritiene, di norma e senza troppi timori di smentita, di avere in effetti scoperto anche una vera opera darte, laddove il riconoscimento, per esempio, di una natura morta di stile naturalistico del XXI secolo potrebbe, di per s, non implicare automaticamente unanaloga patente di artisticit1. Ma forse ancora pi sorprendente, se possibile, il fatto che simili difficolt non sembrano in effetti limitare la lussureggiante proliferazione di nuove e nuovissime produzioni artistiche, come mostra se non altro la vitalit delle istituzioni deputate a promuoverle. Sappiamo bene o almeno crediamo di sapere da cosa dipendono gli imbarazzi e le esitazioni di esperti e non esperti: uno dei motivi principali di questa strana situazione che la storia dellarte contemporanea, dalle Avanguardie del XX secolo in poi, avrebbe progressivamente liquidato la possibilit non solo di definire larte in termini di condizioni necessarie e sufficienti, ma anche di renderla facilmente individuabile in forza di sintomi, marche, indizi o propriet specifiche che accomunino a qualche livello anche le occorrenze apparentemente pi difformi. In altre parole, non sarebbe possibile enucleare delle regole, cui le opere darte dovrebbero uniformarsi, che non vengano regolarmente smentite da qualche nuova, imprevista creazione artistica: Non ci sono regole ha scritto una volta Max Black per violare creativamente le regole (Black 1992: 107). Eppure dovrebbe essere subito chiaro la mia stessa asserzione, cos formulata, non tenibile, dacch presuppone gi, circolarmente e surrettiziamente, che si sappia cosa entri e cosa non entri nella storia degli oggetti artistici, cosa fissi lestensione da cui una qualunque teoria (definitoria o anti-definitoria) dovrebbe poi essere vincolata. In realt, anche questa circostanza risaputa, ma il pi delle volte resta tacita, sebbene si tratti di un passaggio tanto fondamentale quanto critico nelle strategie logicoargomentative dei teorici dellarte. specificamente su questo punto che vorrei allora richiamare lattenzione in quel che segue, vale a dire su un problema di riconoscimento o, meglio, di identificazione preteorica o predefinizionale (o anche metadefinizionale), se cos possiamo momentaneamente chiamarla, di quegli oggetti che finiscono per modificare di fatto i confini dellestensione del nostro concetto di arte e condizionano cos anche le nostre teorizzazioni pi formalmente strutturate. Un tentativo, quindi, per ovvie ragioni schematico e compendiario, di abbozzare unarticolazione pi esplicita di una tensione spesso latente e irrisolta, mi pare, che coinvolge il rapporto tra vincoli concettuali e vincoli empirici, tra condizioni aprioristiche e necessit a posteriori, tra listanza di una irriducibile storicit dellarte e unancor pi irrinunciabile esigenza di demarcazione.

2. Definire e identificare stato detto da molti stimati autori, e non da ieri, che pretendere di dare una definizione dellarte o anche solo intrattenersi sulla questione equivale pressappoco a una perdita di tempo. Non diversamente, pensare che lattivit artistica, produttiva o ricettiva, possa soggiacere a vincoli di qualche tipo dovrebbe apparire ingenuo e definitivamente inappropriato allincoercibile libert che tanto pi oggi, come si detto il mondo dellarte manifesta. Ma che la poesia non nasce da
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Potrebbe, perch la cosa non in effetti cos ovvia, e non per nulla ci sono autori, per esempio Genette (1991: cap. 1), i quali ritengono che lappartenenza a certe categorie comporti uno statuto artistico costitutivo. In questo senso, ogni dipinto, ogni romanzo, ogni sonata ecc. sono per definizione opere darte. Naturalmente, la pertinenza originaria della categoria stessa, o dei suoi esemplari fondativi, pone problemi diversi. Ma vedi ultra: 3.

le regole, se non per leggerissimo accidente era una convinzione che sembrava gi ben chiara a Giordano Bruno, tanto per citare un esempio celebre, il quale, notoriamente, ribadiva piuttosto che le regole derivano da le poesie: e per tanti son geni e specie de vere regole, quanti son geni e specie de veri poeti (Bruno 1585: 958-959). La formula ha indubbiamente avuto larga fortuna. Nondimeno, un cosa sapere come scrivere poesia e una cosa ben diversa sapere come riconoscerla: posso ignorare la prima ma avere comunque bisogno della seconda. Infatti, anche allo spirito pluralista del Bruno si affacciava subito la domanda conseguente e difficilmente aggirabile: Or come, dunque, saranno conosciuti gli veramente poeti?, e la sua stessa risposta, purtroppo ma indicativamente, era tuttaltro che informativa o rivoluzionaria, anzi piuttosto tradizionalista2. In ogni caso, il fatto che non siano definibili dei criteri pi o meno rigidi e stabili, diciamo pure definitivi, per produrre poesie non implica affatto che non se ne possano (e non se ne debbano) individuare per capire quando invece ci troviamo davanti a una cosa come una poesia, appunto. opportuno distinguere fin da subito il piano di indagine che qui ci interessa, che un piano essenzialmente epistemologico e dunque riguarda in primo luogo domande del tipo: sappiamo sempre quando abbiamo a che fare con unopera darte o con un oggetto che richiede, pretende o aspira a un apprezzamento artistico? E se s, come lo sappiamo? E come sappiamo di non essere ingannati, o di ingannarci, circa una tale identificazione? La distinzione ci consente innanzitutto di mantenere qui una posizione relativamente neutrale rispetto alla vexata quaestio della definizione dellarte, che continua ad essere al centro di animati dibattiti, principalmente in seno allestetica di orientamento analitico, nonostante le insistenti riserve sollevate da siffatti tentativi3. Come abbiamo accennato, il punto di vista che qui vogliamo tenere in considerazione ha una portata problematica pi comprensiva ed inclusiva e di fatto concerne tanto gli approcci pi strettamente definizionali, in senso forte, quanto quelli pi modestamente esplicativi (o definizionali in senso debole, se cos possiamo dire). Se infatti vero che, in generale, definizione e identificazione non sono propriamente la stessa cosa, neppure si pu per escludere del tutto che esse si condizionino in modo non accidentale. Sostenere, come ha fatto ancora di recente Roger Pouivet, che la definizione dellopera darte (che cos unopera e perch quello che ) prospetta un problema ontologico diverso dal problema epistemologico dellidentificazione (come sapere se questo oggetto X unopera darte), non mette necessariamente capo alla conclusione secondo cui la scoperta della giusta definizione, ove la si raggiunga, non avr alcun effetto sulla nostra capacit di identificare le opere darte e dunque sulla critica (Pouivet 2007: 25) 4. Parimenti, non direi che la differenza ricalca quella tra conoscenza proposizionale e conoscenza non-proposizionale (ivi, 25-26). Posso probabilmente, se non certamente, identificare e (soprattutto) re-identificare un coniglio senza neppure possedere un concetto corrispondente, ma se devo identificare, a partire da quello, un altro lagomorfo e distinguerlo, per esempio, da un roditore, devo necessariamente sapere qualcosa di pi. Ci vale a maggior ragione quanto pi ci spostiamo dalle definizioni (o descrizioni) nominali a quelle essenziali o reali, dalle (pseudo)definizioni ricostruttive a quelle prescrittive5. Proprio perch
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Dal cantar de versi; con questo che cantando o vegnano a delettare, o vegnano a giovare, o a giovare e delettare insieme (Bruno 1585: 959), quanto dire n pi n meno del celebre dettato oraziano. 3 Per una limpida panoramica recente sulle teorie della definizione in ambito analitico anglosassone vedi DAngelo 2008. 4 Vedi pure Pouivet 2004 e, per una netta separazione tra filosofia dellarte e critica darte, Pouivet 2001. 5 La distinzione, e lopposizione, in Rochlitz 2004, sennonch non si vede minimamente come la ricostruzione delle procedure e delle considerazioni grazie alle quali la qualit di opera darte attribuita o contestata a un oggetto allinterno del mondo dellarte (p. 173) possa avere una qualche forza definitoria. Semplicemente, lanalisi, quandanche attenta, di pratiche storico e socio-culturali pi o meno aleatorie non una definizione.

lessenza non si mostra con un dito, come avverte Aristotele (Anal. Post., II, 7, 92b 2-3), sarebbe piuttosto strano che chi lha accertata non sappia come individuare gli oggetti cui essa inerisce nella realt6. Ma anche in termini meno vincolanti, se prendiamo sul serio certe definizioni di arte, per esempio quelle centrate sul concetto di mimesi, improbabile che ci non abbia qualche effetto, se non altro in ordine alle esclusioni, sulle nostre pratiche identificative. Daltro canto, a partire cio da queste ultime e dunque dal problema delleffettiva estendibilit empirica della categoria, lo stesso Pouivet a mostrarci come una definizione filosofica rigorosa e universale, quale in realt egli auspica, non possa non tener conto di quali oggetti contiamo o non contiamo come opere darte, se dobbiamo eliminare ogni criterio definizionale che avrebbe per conseguenza di escludere, a priori, una parte di ci che le nostre intuizioni ci presentano come opere darte (Pouivet 2007: 19). Non chiaro se le intuizioni, come le intende Pouivet, servano a decidere se un certo oggetto X unopera darte o se si tratti solo di giustificati sospetti cautelativi, per cos dire, intesi a scongiurare idiosincrasie ed esclusioni arbitrarie, ma chiaro che anche tali intuizioni, come che siano, dovrebbero basarsi su qualche tipo preliminare di riconoscimento o di identificazione, sia pure provvisoria ed eventualmente rivedibile. Inoltre, raro che intuizioni del genere abbiano un formato proposizionalmente cos minimale da non poter essere pi ampiamente esplicate. Forse non vale la pena di spiegare in forza di quali meccanismi un qualunque visitatore di musei in grado di distinguere immediatamente un quadro di Caravaggio da un quadro elettrico, che pure possono entrambi essere esposti sulla stessa parete di una pinacoteca, ma ci sono identificazioni e spesso proprio quelle definizionalmente pi cruciali che non sono altrettanto intuitivamente evidenti, e anzi, per quanto posso vedere, paiono piuttosto controintuitive. Gli esempi certamente non mancano: sono poi cos ovvie le ragioni per cui, secondo molti7, dovremmo negare statuto artistico al quadro o alla foto di paesaggio realizzata da un dilettante (e spesso pure da un professionista con le carte in regola), quandanche si tratti di una creazione tecnicamente ineccepibile e per molti aspetti (se non per tutti) assimilabile a opere darte o a tipologie artistiche saldamente riconosciute e ratificate in un canone tradizionale? E che dire, per altro verso, degli esperimenti mentali pi o meno ingegnosi come quello ormai celebre degli indiscernibili, prospettato a suo tempo da Arthur Danto e poi continuamente ridiscusso? Largomento, come ben noto, sarebbe congegnato per giustificare e spiegare una condizione essenziale della definizione di arte proposta dallautore (la dipendenza contestuale dello statuto ontologico artistico dalle teorie dellArtworld), ma per funzionare lesperimento deve contemporaneamente presupporre almeno che 1) si sappia che certi oggetti, per esempio uno scolabottiglie, non sono attualmente opere darte e 2) che certi oggetti, per esempio questo scolabottiglie di Duchamp, sono gi opere darte, cos da giustificare la teoria dello stesso Danto. Per la verit, la sua teoria, in particolare, non ci dice nulla sul perch e sul come operare queste discriminazioni e quindi non evidentemente una di quelle che presuntivamente influiscono sulla trasfigurazione, o meglio transustanziazione, del banale. Resta comunque il fatto che queste intuizioni, se vogliamo ancora chiamarle cos, sono tuttaltro che autoevidenti e men che meno
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Almeno nella misura in cui le propriet essenziali ineriscono a quello che stato chiamato il manifest kind e lidentificazione di cui parliamo di tipo prevalentemente percettivo e non strumentalmente assistito. Se la definizione essenziale designa rigidamente, nel senso di Kripke, la costituzione chimico-fisica di un oggetto, poniamo lacqua in quanto H2O, potrei non essere in grado di identificare il vapore, il ghiaccio e la neve come la stessa acqua (per non parlare della simil-acqua di costituzione XYZ ipotizzata nellesperimento mentale di Putnam). Tuttavia, si pu sostenere che il genere manifesto del vapore, o del ghiaccio o della neve, abbia caratteristiche essenziali che lo distingua regolarmente dalle altre forme in cui H2O pu manifestarsi, implicando con ci anche una distinzione del concetto di identit da quello di costituzione. Vedi, per questa tesi, Johnston 1992 e 1997. 7 Ma non tutti, come abbiamo accennato. Vedi nota 1.

indiscutibili, ma se non chiaro perch, indipendentemente dalla tesi di Danto, si dovrebbe accordare lo status di arte a un oggetto indistinguibile da un qualunque articolo non artistico allora cade anche la definizione basata sullesperimento degli indiscernibili. Qui non solo lidentificazione condiziona la definizione, ma, soprattutto, non potendo assicurare la prima su un terreno indipendente dalla seconda si rischia di finire in una trappola analoga al famoso paradosso del Menone, per cui non possiamo pensare di scoprire nulla che gi non sappiamo. In realt, la retorica argomentativa, anche in analisi di tenore rigoroso, su punti come questo tende non di rado ad assumere un andamento brachilogico, preferendo ricorrere di frequente a formule come: nessuno pensa che, a nessuno verrebbe in mente di, tutti concordiamo su e simili, anche se questi appelli al consensus omnium restano tuttaltro che pleonastici e altrettanto spesso, bench persino tacitamente, sono gli unici elementi ad assicurare il termine medio di inferenze conclusive di tipo sillogistico, come appunto nel caso tipico di Danto8, che si potrebbe cos semplificare nel modus ponens: 1) Se A [larte] fosse X, loggetto D [il readymade di Duchamp] sarebbe contenuto in A; 2) ma (tutti sappiamo che) D contenuto in A; 3) quindi A X. Ma quanto alla seconda premessa, e anche a voler tralasciare il fatto che una presunta unanimit di opinioni non sempre cos scontata come si vorrebbe assumere, la domanda rimane: come lo sappiamo?9 In ambiti di indagine che implichino una qualche dimensione fattuale non si pu pretendere di trascurare completamente endoxa e persino doxai pi o meno diffusi, ma non tutti possono essere affidabili nella stessa misura e per gli stessi motivi, n pare ovvio dovrebbero essere considerati definitivamente immuni da revisione o falsificazione. Questa eventualit, tuttavia, il pi delle volte rimane in ombra, persino, paradossalmente, presso quegli studiosi che guardano con sospetto i tentativi di definizione dellarte proprio in nome di una pretesa, illimitata ridefinibilit del concetto e della sua applicabilit estensionale. Ma anche coloro che si dichiarano risolutamente ostili a ogni ipotesi di definizione non possono comunque ignorare lo vedremo subito il problema dellidentificazione e del tipo di connessioni e di vincoli che questa comporta, tanto peggio se in modo surrettizio, con gli assunti della teoria.

3. Apertura e falsificazione Lidea che la possibilit di fornire una definizione reale di arte (in termini, cio, di condizioni congiuntivamente necessarie e sufficienti) sia in linea di principio impraticabile ha fatto leva principalmente sulla convinzione che quello di arte sia un concetto aperto. Ogni tentativo di vincolare la riconoscibilit dello statuto artistico a certe condizioni viene (ed stato) sistematicamente, per non dire regolarmente, smentito dalla creazione di nuovi prodotti artistici che violano o persino sovvertono i vincoli della definizione prefissata. Ogni teoria artistica, in senso definizionale, storicamente falsificabile. Questo argomento, variamente formulato da autori

Ho analizzato pi dettagliatamente questo aspetto dellargomento di Danto in Di Monte 2007, cui mi permetto di rimandare. 9 Il ragionamento sillogistico di Danto pu anche costruirsi alternativamente nel modus tollens, come egli stesso ha fatto talvolta: 1) Se A fosse X, loggetto I [lindiscernibile prodotto accidentalmente] sarebbe incluso in A; 2) ma (tutti sappiamo che) I non incluso in A; 3) quindi A non X. Sennonch in questo caso piuttosto evidente perch un oggetto che non sia un artefatto non possa essere per definizione considerato arte, mentre molto meno evidente perch due artefatti identici non debbano essere considerati arte allo stesso titolo.

diversi, continua a riscuotere una certa simpatia, ma presenta nondimeno alcune difficolt fondamentali, che sono state pi volte sottolineate10. Per quanto concerne la nostra prospettiva, quel che ci interessa soprattutto mettere in rilievo , in primo luogo, il fatto che per poter sostenere sensatamente che un qualunque oggetto o evento nuovo falsifichi la concezione artistica corrente necessario che quello stesso oggetto o evento venga innanzitutto identificato come pertinente al (o almeno potenzialmente includibile nel) dominio delle opere darte e dunque come un oggetto che pretende lo stesso tipo di riconoscimento, di esperienza o di trattamento concettuale riservato alle opere precedentemente riconosciute. Il che significa, per, che leversione non potr mai essere troppo radicale e dovr comunque pur sempre presupporre una qualche pre-identificazione sulla scorta dei criteri tradizionali o almeno, evidentemente, dei criteri disponibili in quel momento11. Ma unidentificazione di che cosa, allora? Come in unepistemologia fallibilista, una teoria non viene di fatto falsificata da un reperto osservativo qualunque: per rigettare lasserto generale, induttivamente costruito, che tutti i cigni sono bianchi non basta trovare un coniglio nero, bisogna identificare un cigno non bianco, che quindi dovr essere riconosciuto in forza di altre caratteristiche che non siano il colore. Cos, per far saltare i vincoli di una teoria artistica attestata non sufficiente che qualcuno faccia a un certo punto qualcosa di inedito o di bizzarro (cosa che sar sempre successa in qualunque momento): come minimo questo qualcosa dovrebbe essere tentato da un soggetto cui accordiamo la qualifica o le competenze di artista, ma come riconosciamo un artista prima di identificare le sue opere, se queste non si allineano al concetto di opera fino a quel momento cognitivamente accessibile? Per accomodare lesigenza della demarcazione pratica e veniamo a un secondo punto non sembra cos raccomandabile ricorrere, come suggerito a partire dal saggio di Morris Weitz, alla fin troppo abusata nozione wittgensteiniana di somiglianza di famiglia. Intanto perch le somiglianze di famiglia non sono somiglianze pi deboli di altri tipi di somiglianze, presuntivamente pi vincolanti. C somiglianza solo se ci sono propriet comuni e qui non ci interessa che le si voglia qualificare ontologicamente in termini di universali istanziati o di fenomeni primitivi secondo la teoria dei tropi, n ci si deve preoccupare delle strictures raccomandate da autori nominalisti come Goodman (1970). In ogni caso il grado di somiglianza dipender dalla quantit di propriet in questione e dalla rilevanza che riconosciamo ad alcune di queste. Per quanto invocata appositamente per la sua apparente indeterminatezza, la somiglianza relativa non pu che avere una vaghezza limitata allinterno di certe sfere di riferimento, come ha osservato David Lewis (1973: 94) a proposito del problema dei controfattuali, che interessa anche il nostro discorso. Cos ci ritroviamo nella necessit di definire quali somiglianze siano necessarie o sufficienti (o essenziali?) per lestensione pratica e per il progresso storico del dominio artistico. In mancanza di una distinzione esplicita e argomentata, che abbia forza normativa, sarebbe sensato far valere un principio intuitivo di gradualit, che lo stesso con cui riconosco, per esempio, che due gocce dacqua sono pi affini di quanto lo siano una bottiglia e uno scaldabagno o che due gemelli omozigoti sono pi strettamente imparentati tra loro di quanto lo siano con un australopitecino. Sicch, preso per s, largomento delle somiglianze di famiglia tende a massimizzare la stabilit tipologica del canone tradizionale piuttosto che a favorire le deviazioni, tanto pi se radicali. Se prendiamo sul serio la battuta di Wittgenstein Non pensare, guarda! lunica cosa che possiamo
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Per una critica circostanziata delle tesi anti-definizionaliste, in particolare quelle avanzate da Weitz 1956, vedi soprattutto Davies 1991, cap. 1, Warburton 2003, cap. 3, e pi in generale Carroll 2000. 11 Pare chiaro che per gli anti-definizionalisti non possano e non debbano esservi criteri trans-storici e trans-culturali, i quali anche limitatamente a scopi identificativi e non strettamente definitori contraddirebbero comunque il nocciolo delle loro stesse tesi.

realmente vedere che la Fontana di Duchamp un cesso, cui indiscutibilmente somiglia pi che a qualunque altra opera darte conosciuta, e le tavole di Norman Rockwell sono opere darte figurativa. Ma non esattamente a questo che Weitz, Ziff, Gallie, Kennick e compagni miravano. Invocare lapertura illimitata del concetto di arte in nome della creativit, come proprio i neo-wittgensteiniani hanno cercato di fare, una mossa disperata. In primo luogo, perch bisognerebbe distinguere una creativit specificamente artistica, giacch una creativit assolutamente libera, come stato giustamente osservato, sarebbe persino difficilmente pensabile (DAngelo 2005: 134), ma ci, di nuovo, richiede appunto un criterio, se non una definizione. In secondo luogo, con questo avremmo solo individuato unulteriore condizione necessaria o essenziale, sia pure piuttosto oscura e poco utile: in effetti, quali artefatti sarebbero non-creativi al punto da doversi escludere come non-artistici? Lo stesso discorso vale per il carattere di eversivit, pi o meno provocatoria, che legherebbe parassitariamente molte opere contemporanee alla tradizione precedente, sia pure in termini di negazione, rifiuto e falsificazione. Non ogni negazione che sia about art potr essere artistica per questo soltanto, e dunque il gesto negativo o eversivo, per contare come arte, dovr essere anchesso pre-identificato in quanto (e appunto perch) portatore di una propriet artistica discriminativa. La condizione di aboutness assai pi vaga e indeterminata di quella di somiglianza: senza restrizioni e qualificazioni necessarie e appropriate non pu decidere sensatamente di inclusioni e di esclusioni. I neo-wittgensteiniani come Weitz sono comprensibilmente preoccupati molto pi delle prime che delle seconde, ma dovrebbe essere logicamente intuitivo questo di sicuro che se possibile che una teoria venga falsificata (in futuro) da certi fatti, in linea di principio anche possibile che non lo sia: p non equivale a ~ ~ p. In ogni caso, per, questa possibilit lascia indecisa la questione fondamentale dellaccertamento empirico dei fatti convocati nel processo di falsificazione. Se il critico, come pensano alcuni, a doverci dire non arbitrariamente o per divinazione cosa considerare come arte e cosa no, allora le ragioni dellesperto devono poter essere accessibili in generale anche al teorico e non si vede perch, in tal caso, non dovrebbero poter entrare nella formulazione non circolare della teoria stessa. In realt, coloro che si ispirano a un approccio fallibilista come quello che abbiamo descritto si trovano di fronte insieme a un dilemma e a un vicolo cieco: quanto pi si separa la teoria dalle pratiche identificative tanto pi queste rischiano di essere abbandonate a un ingiudicabile, impressionistico arbitrio, incapace di offrire un minimo di garanzie sui risultati dellidentificazione stessa. Per contro, considerare lidentificazione artistica come una pratica teoricamente carica significa dover ammettere dato il modo in cui si concepisce la teoria che anche il riconoscimento di statuto artistico a un certo oggetto per ipotesi sempre falsificabile. Se le cose stessero cos, proprio di fronte ai casi pi difficili, ambigui o contestati, si potrebbe far valere il peso delle stesse teorie definitorie, che in fondo, come abbiamo accennato, se non pretendono a una qualche normativit non servono a molto. Dopotutto, se un certo reperto X non quadra con una certa definizione categoriale di Y (che invece funziona bene per una grande quantit di reperti) non cos controintuitivo prendere almeno in considerazione lipotesi che forse X non e non pu essere un caso genuino di Y. La chiusura della definizione non dovrebbe avere lo scopo di impedire a opere pi o meno assurde o imbarazzanti di diventare opere darte, come ha scritto di recente Nigel Warburton (2003: 62), dando alla questione uninflessione quasi etica o legalistica 12. La definizione mira a
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Da questa inflessione dipende forse la resistenza a sottoscrivere lopzione che abbiamo descritto e che lo stesso Warburton sigla con la battuta di senso comune Tanto meglio se si riconoscesse che simili sciocchezze non hanno

cogliere la presenza, ma anche lassenza reale di quelle propriet il cui accertamento gli antidefinizionalisti demandano semplicemente alle pratiche identificative dei critici. Qui emerge di nuovo una tensione epistemologica latente tra definizioni nominali e definizioni reali. Se arte fosse solo un etichetta per un nome vuoto, qualcosa di simile, per intenderci, a unicorno o ircocervo, potremmo servircene in piena libert senza preoccuparci di problemi di falsificazione, giacch il termine non corrisponderebbe a nulla che si debba veramente catturare nella realt. Ma, al fondo, anche gli anti-essenzialisti restano realisti, magari persino senza volerlo.

4. Vincolare il passato al futuro Ci forse contribuisce anche a spiegare perch una spiccata insofferenza ai vincoli di carattere normativo si accompagna invece a un altrettanto profondo ossequio nei confronti di un altro tipo di vincolo, evidentemente percepito come pi cogente, ancorch spesso in modo tacito. Vale a dire quello costituito dalla storiografia dellarte, cos come viene disciplinarmente ratificata e mediata. Laddove non si concede spazio per pretese di carattere prescrittivo, la teoria dovrebbe avere esclusivamente applicazione descrittiva: ma il catalogo degli oggetti da esaminare, come abbiamo visto, gi fornito da una specifica disciplina. proprio questa almeno presunta anteriorit e ulteriorit della storia dellarte e delle sue istituzioni a implicare che la bont delle teorie venga fiduciosamente valutata sulla base di quella che abbiamo considerato come adeguatezza estensionale, sulla base, cio, della loro capacit di includere tutti gli oggetti giusti, quelli che appunto fanno la storia dellarte, persino quando, per ipotesi, la teoria stessa viene poi invocata per rispondere alla domanda: come decidiamo quali oggetti contano come artistici?, incappando cos in un argomento circolare. Quando Danto scopre lopera di Andy Warhol, deve solo riconsiderare gli effetti che questo evento produce sulla teoria, ma solo perch il Brillo Box gi catalogato negli elenchi della storia dellarte e sta bene cos. Quello di Danto un perfetto esempio di fiducia assoluta e indiscussa nella prescrittivit autotelica della storia dellarte, o meglio dello Spirito della Storia dellArte, che un po come lo Spirito Santo non pu errare, ragion per cui lo sviluppo storico dellarte sempre coerente e non rivedibile, ma solo, semmai, amplificabile. La falsificazione retrospettiva, in questo senso, lavora solo a mettere e mai a togliere. Non per nulla, lo stesso Danto, che pure dichiara la necessit di una definizione essenzialistica, pu concepire la definizione stessa come qualcosa di talmente comprensivo da essere immune da controesempi (Danto 2003: 19), cio tale da includere praticamente qualunque cosa13. Daltra parte, se si vuole rispondere al problema pratico dellidentificazione facendo appello alla storia pare difficile non considerarla almeno in certa misura fideisticamente come una storia teleologica e provvidenziale. Altrimenti cosa pensare di quei casi e non sono pochi che, come si usa dire, dividono la critica? Come giudicare quelle scelte delle istituzioni che vengono contestate da altri esponenti non meno autorevoli (e autorizzati) del medesimo artworld? Se si ammettesse
nulla a che fare con larte (p. 63). Ma si vedano, per esempio, anche le riserve un po pi scoperte di Pouivet (2007: 30) circa laccettabilit delle forme pi estreme di provocazione e negazione (solo presuntivamente artistiche). Per una formulazione esplicita che fa valere la forza dei vincoli costitutivi dellattivit artistica contro un eccesso di inclusivit vedi invece Elster 1983 (in part. pp. 96-105) e 2000, cap. 3. 13 Sebbene, come ha osservato Elkins (2003: 33-34), lattivit di critico militante persino quella dello stesso Danto in un epoca dellarte che egli ritiene post-storica non possa fare a meno dellinsieme tradizionale di discriminazioni, giudizi, riferimenti storici, valutazioni comparative ecc.

unistanza superiore cui le scelte storicamente attestate delle istituzioni dovrebbero adeguarsi per essere giudicate e preferite come scelte corrette, allora ci troveremmo di nuovo nella necessit di disporre di condizioni sovra-storiche non-istituzionali necessarie o sufficienti. Se una tale istanza non c, allora a parte il fatto che non si vede come e perch dovrei farmi piacere una cosa solo in quanto qualcuno ha deciso arbitrariamente di candidarla (tuttal pi) allapprezzamento generale resta da decidere quale principio risolve gli inevitabili conflitti, incoerenze, contraddizioni e cos via. Quando si dice che coloro che rifiutarono Caravaggio, gli Impressionisti, Duchamp per limitarsi a qualche nome sbagliarono o non videro giusto o non videro abbastanza lontano, si esautora ipso facto lautorit storico-istituzionale come fonte ultima di giustificazione, assumendo senza ulteriori spiegazioni che solo alcune delle scelte storico-istituzionali sono veramente giuste o, appunto, avranno la necessaria giustizia dalla Storia (con la maiuscola). Cos, naturalmente, la stessa storia dellarte si autoconferma sempre. Il principio che sottende questo vincolo storicistico e che spesso si sintetizza nella formula anodina ma assai fortunata di Wlfflin: Non ogni cosa possibile in ogni tempo rivela allora il suo vero movimento: un oggetto supera il test della storia perch veramente arte, ma veramente arte solo perch appunto supera il test della storia. Contingenza e necessit finiscono per coincidere miracolosamente e provvidenzialmente: qualunque cosa sia successa esattamente quella che doveva succedere. Per questo si possono formulare, senza doverle argomentare, asserzioni piuttosto apodittiche del tipo: prima del Rinascimento non era possibile la pittura di paesaggio o dopo il Novecento il naturalismo non pu pi essere un fine dellarte e simili. Ma se poi qualcuno si ostina, nonostante la manualistica, a fare oggi pittura di genere naturalistico e magari si procura anche un qualche consenso istituzionale? Bisognerebbe pensare che si tratti pur sempre di un segno dei tempi, un sintomo epocale, magari arcano ma certo non trascurabile. Come giudicarlo? In una prospettiva storicistica, il problema delle esclusioni non solo di difficile decidibilit, diviene anche alquanto misterioso. Lasciare ai posteri la sentenza sarebbe daltronde una strana mossa per uno storicista, giacch vorrebbe dire che proprio mentre si sostiene che lo statuto artistico di una cosa dipende dalla sua appartenenza a uno specifico, unico e irripetibile contesto storico-culturale si afferma anche che giusto gli appartenenti a quel medesimo contesto non sarebbero in grado di riconoscerlo. Di conseguenza, dovremmo assumere non solo che uno stesso oggetto pu essere arte in un momento e non pu esserlo in un altro, ma anche che non pu mai esserlo per i contemporanei, cio i soli per i quali, realmente, pu essere stato prodotto.

5. o il futuro al passato Dal piano di osservazione del nostro discorso, il problema comune delle teorie contestuali e procedurali che insistano su aspetti pratico-istituzionali, come quella di George Dickie, o su aspetti storico- e teorico-istituzionali, come quella di Danto che vorrebbero precludere ogni ricorso a un concetto identificativo di arte basato su (e applicabile in forza di) ci che abbiamo chiamato manifest kind. Scopo di una tale scelta evidentemente la costruzione di una teoria, o di una definizione, totalmente desostanzializzata e dunque tanto astrattamente formale da poter includere in potenza, come si detto, ogni oggetto o evento logicamente possibile e immaginabile. Ma la difficolt cui vanno incontro simili progetti che con ci diventa paradossalmente problematica proprio lidentificazione empirica del reperto nuovo, tanto pi se patentemente difforme rispetto alla tradizione, cui deve per essere necessariamente ma invisibilmente legato. Se

il candidato che viene presentato a un pubblico del mondo dellarte (Dickie 1984: 80) non presenta anche propriet esibite (facilmente osservate) (Dickie 2000: 97), e non ha nulla in comune con le opere precedentemente attestate se non una propriet relazionale, resta difficile capire come questa relazione istitutiva possa essere individuata e soprattutto discriminata da altre che non lo sono. Qui chiaro che le propriet non manifeste cui pensano gli istituzionalisti non hanno niente a che fare con le propriet essenziali che Johnston chiama costitutive, come quelle che determinano la composizione chimico-fisica di una sostanza, che sono comunque accertabili empiricamente ed eventualmente trasformano a posteriori una procedura identificativa provvisoria in un designatore rigido14. Allora cosa fa di una propriet relazionale una propriet artistica? Una mostra canina, che pure sembra soddisfare i requisiti formali della teoria istituzionale, non conta come evento artistico perch ci dice Dickie (2000: 100) per ragioni storico-culturali arbitrarie e contingenti le mostre canine non sono entrate a far parte dellartworld (o di qualche artworld system). Se la storia fosse andata diversamente forse le cose starebbero altrimenti. Ma come possiamo escludere che almeno qualche mostra canina abbia (o abbia avuto) in qualche momento t delle relazioni (eventualmente intenzionali) non evidenti ma sussistenti con il mondo dellarte fino a quel momento conosciuto? O dovremmo concludere che le mostre canine non potranno mai essere parte dellartworld? Conclusione evidentemente inaccettabile per gli istituzionalisti, che dovrebbero poi spiegare, senza ricorrere a propriet essenziali, come lartworld stesso possa essersi esteso storicamente, includendo, per esempio, a un certo momento t lartworld system della letteratura, mentre a t-n contava solo quello della pittura rupestre. A meno di voler considerare lartworld in una vena platonica, come un complesso di possibilit sovratemporali che si dispiegano progressivamente nello sviluppo contingente della storia, ma sono riconoscibili eideticamente anche quando non abbiano contatti genealogici diretti come qualcosa di unitario e distinto dal resto delle attivit umane e come tali accomunano tutti i sistemi, passati, presenti e futuri, che ne partecipano. Daltro canto, se le pratiche e i sistemi locali si definiscono e si riconoscono solo perch sono storicamente connessi ai precedenti, allinizio del processo bisogner postulare un Ur-artworld che si forma e si distingue invece in qualche altro modo il che fa ricadere sugli stessi istituzionalisti la critica del caput mortuum in cui sfocia il modello ricorsivo delle somiglianze di famiglia. Ma anche lasciando da parte per il momento il problema dellarte (preistituzionale) delle origini, la questione della somiglianza e dellidentificazione di propriet condivise, volenti o nolenti, torna ad imporsi. O so gi cosa cercare, e allora riconosco semplicemente quel che ho gi dovuto identificare prima e altrove, oppure, in presenza di oggetti o generi inediti che non abbiano propriet comuni percepibili, devo poter identificare almeno il contesto ostensivo o indessicale adeguato (il framework di presentazione, come potrebbe chiamarlo Dickie15). Sennonch, di nuovo, posso riconoscere un contesto artistico solo se sufficientemente discernibile e confrontabile con altri contesti grazie a propriet percepibili (eventualmente il cartellino, lallestimento, il museo ecc.)16 e questo ci riporta per lennesima volta alla questione definitoria: cosa identifica i contesti specificamente artistici o artisticizzanti?
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A questo genere di propriet sono pure riconducibili le relazioni genealogiche non visibili cui pensava Mandelbaum (1965) cui Dickie stesso si richiama in quanto esemplate sul modello del rapporto non contingente tra genotipo e fenotipo. 15 Se il framework di presentazione coincide, come sembra talvolta dal discorso di Dickie, con gli stessi sistemi del mondo dellarte (pittura, letteratura, teatro ecc.) allora non solo le possibilit di presentazione sono chiuse, ma il loro riconoscimento ricorsivo presuppone lindividuazione di propriet categoriali sostanziali, per cui un affresco rientra nel contesto della pittura, un romanzo in quello della letteratura e una mostra canina da nessuna parte. 16 Se si ritiene che un contesto apparentemente indiscernibile da altri contesti potrebbe essere distinto solo ricorrendo a un metacontesto, si deve ammettere che questultimo non sia a sua volta indiscernibile.

La difficolt di dispensare del tutto la teoria dal ricorso a tratti identificativi esibiti emerge per altro verso, forse solo involontariamente, dalla formulazione in certo modo ambigua di quelle tesi che si ispirano allapproccio procedurale insistendo per sul ruolo determinante delle intenzioni. Cos, mentre da una parte si dichiara come fa per esempio Grard Genette, che desume direttamente da Dickie lidea di candidatura allapprezzamento che tale candidatura devessere manifesta (Genette 1997: 131), non molto pi avanti lo stesso autore precisa che di considerazione piuttosto che [di] percezione deve trattarsi, poich lintenzione estetica non sempre sicura e ancor meno determinata (162), ma soprattutto, aggiungerei, in assenza di altri elementi solo divinabile. Allora, per irreggimentare diciamo pure vincolare limponderabilit della componente intenzionale, almeno da un punto di vista epistemologico-cognitivo, e insieme conservare il carattere puramente formale e aperto della definizione di arte, si pu tentare di applicare e adattare il modello retrospettivo di cui si servono, sia pure in modi diversi, neo-wittgensteiniani e istituzionalisti. quanto ha fatto, come noto, Jerrold Levinson (1979, 1989, 1993) proponendo una teoria storico-intenzionale dellarte. Secondo una simile concezione artistico ogni oggetto che venga intenzionalmente e non fortuitamente prodotto (o eletto) per essere guardato (fruito) in qualunque modo oggetti artistici sono o sono stati correttamente guardati in passato. In tal modo Levinson ritiene di poter fare appello unicamente a un parametro definitorio del tutto astratto, anchesso esclusivamente relazionale, che renda giustizia non solo a opere come i readymades ma anche alle forme persino pi radicali di arte concettuale (Levinson 2006: 29). Tuttavia, anche la strategia di Levinson non risolve il problema che stiamo qui analizzando e finisce per presupporre, pi di quanto dovrebbe in linea di principio, una condizione sostanziale che per storica propriamente non e, per come la vedo io, non pu essere. Possiamo limitarci a considerare qui brevemente due aspetti correlati. In primo luogo, come sappiamo quando le opere del passato sono state guardate correttamente (clausola che Levinson tiene giustamente a esplicitare)? E prima ancora: come sappiamo in che modo, in generale, le opere darte del passato sono state guardate? una cosa di cui, letteralmente, non possiamo avere unidea astratta, n possiamo sperare di trovarla scritta e documentata da qualche parte, con buona pace degli sforzi di studiosi come Baxandall. Si tratta di un classico caso di fallacia prospettivistica. Lunica cosa che posso fare assumere (o sperare, se si preferisce) che il modo in cui si guardava larte nel passato sia il modo in cui posso guardarla io correttamente, giacch quando pure supponessi delle differenze, a maggior ragione se sostanziali, per definizione non potrei avervi accesso e neppure immaginarmele, ma solo, tuttal pi, credervi dogmaticamente. Non per caso, contro lobiezione per cui i modi di apprezzamento cambiano nel tempo e passano di moda, e dunque rischiano di interrompere la serie di riferimenti retrospettivi (Carroll 1993), lo stesso Levinson deve ammettere che ci sono modi appropriati di apprezzare le opere del passato che non diventano mai obsoleti (Levinson 2002: 17): soltanto, bisognerebbe aggiungere, non lo diventano perch sono sempre stati adeguati. Daltra parte, pare chiaro che se fossero emersi in qualunque momento della storia modi essenzialmente nuovi di guardare larte avrebbero con ci stesso impedito quel richiamo retrospettivo che invece, come si detto, strutturalmente necessario per la definizione. Ma allora, venendo alla seconda osservazione, cosa assicura il riferimento intenzionale agli oggetti giusti, esperendo i quali soltanto possiamo capire quale fosse il modo corretto di considerarli? Su questo punto, che come si capisce chiama di nuovo in causa la questione dellidentificazione, le tesi di Levinson non sembrano chiaramente univoche. Da una parte, egli vorrebbe comprensibilmente fare a meno di nozioni qualitative o quasi-osservative che

implichino il riferimento a oggetti dotati di propriet simil-artistiche apparenti (o artish, per usare un termine adottato da Gregory Currie 17), dallaltra, tuttavia, Levinson ci dice che quel riferimento pu essere assicurato semplicemente per via dimostrativa, con formule ostensive del tipo: come questi oggetti sono propriamente considerati, o per via paradigmatica, riferendosi per esempio alla 5a Sinfonia di Beethoven e simili (Levinson 2002: 25). Ma lapplicazione di concetti dimostrativi che comunque implica un contesto percettivo in cui si devono discriminare propriet rilevanti e fatti accidentali, pena lindeterminatezza del riferimento non ci dice come quegli oggetti siano stati originariamente identificati per fissare i successivi riferimenti ostensivi. N, tanto meno, si potr mai decidere quali siano gli oggetti correttamente simili a quelli paradigmatici e come individuare selettivamente gli aspetti sotto cui considerarli, a meno che non si disponga di un qualche pi sostanziale ancoraggio. Ma questo aspetto sostanziale, questo requisito di sostanzialit18, che Levinson non vorrebbe ammettere. In realt, lidea di definizione austeramente deontologica proposta da Levinson potrebbe forse persino dovrebbe fare a meno di cercare di assicurare le intenzioni autoriali a un riferimento a oggetti particolari concreti o a tipi di oggetti concreti, cosa che comporta comunque la rinuncia pi o meno marcata a una concezione che vorrebbe essere puramente formale e relazionale. Plausibilmente scrive infatti Levinson nullaltro richiesto per una produzione artistica riuscita in quella modalit [larte concettuale] se non la credenza che c una pratica dellarte, che varie cose ne sono esemplari, e che ci sono modi corretti di guardare, trattare o interagire con quelle cose (Levinson 2006: 35). Sennonch, in tal modo e per essere coerenti, non neppure necessario che ci sia in effetti qualcuno che sia in grado di identificare quegli esemplari o di sapere se e quando ne ha realmente fatto lesperienza propria e corretta19. A questo punto, si capisce, la distanza tra procedure identificative necessariamente essenziali e procedure definitorie meramente nominali non potrebbe essere pi grande. Sarebbe del tutto conseguente se perci nessuno cercasse veramente di applicare un concetto del genere, anzi, sarebbe preferibile poterlo applicare a qualunque cosa, ma se possibile senza la mediazione ingombrante di meccanismi storico-istituzionali. Lo ha suggerito, per esempio, Genette, seguendo una via peraltro non estranea a quella degli istituzionalisti e passando vicino alle posizioni di Levinson (che pure non cita). Nella sua prospettiva, un oggetto sarebbe artistico semplicemente quando stato concepito intenzionalmente in vista di un apprezzamento estetico, che per lo stesso Genette rigorosamente soggettivo, indipendentemente dal fatto che lintenzione venga riconosciuta e tale apprezzamento venga prima o poi ottenuto (ma anche che sia in effetti ottenibile?). Per contro, un oggetto funzionerebbe come opera darte quando qualcuno gli attribuisce, a torto o a ragione, unintenzione del genere (Genette 1997: 162). In questo modo, per, i due piani finiscono per essere del tutto svincolati. Forse una simile impostazione potr riuscire pi compatibile con lassunto soggettivista di Genette, che vorrebbe mettersi al riparo dallaccusa, incresciosa (p. 130), di rendere impossibile una qualunque definizione di arte, ma
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Vedi Currie 2000. Currie muove una critica alle tesi di Levinson che, sia pure seguendo un percorso diverso, converge con il problema dellidentificazione a posteriori che riguarda anche il nostro discorso. Non mi pare che la replica di Levinson (2002: 22-25) risponda adeguatamente alla questione sollevata da Currie. 18 Lespressione stata adottata da Daniel Kaufman (2004) nel contesto di una critica alle teorie di tipo formaleistituzionale. 19 Anche respingendo il cosiddetto principio di Acquaintance, come ha fatto Malcolm Budd (2003), ragion per cui sarebbe possibile trasmettere e comprendere un giudizio su propriet estetiche senza esperienza diretta, non si pu evitare di ammettere che senza contatto diretto non pu esserci apprezzamento della dimensione fenomenologica di quelle stesse propriet (cosa si prova a sperimentarle), come riconosce anche Budd e come lo stesso Levinson ha messo per altro in evidenza in molti suoi lavori sul problema del realismo delle propriet estetiche.

stando cos le cose non si vede proprio come la seconda clausola possa evitare di destituire la prima di ogni rilevanza. Se linteresse sta nel suscitare un apprezzamento estetico e a questo mira precisamente lartista allora tutto quello che serve far funzionare le cose come se fossero arte, giacch, come ci dice lautore, sufficiente attribuire loro unintenzione che potrebbero anche non avere, attribuirgliela a torto, se tanto non fa differenza. Anzi, visto che di interesse si tratta, si potrebbero fare attribuzioni assai pi diffuse e frequenti: di vincoli qui ce ne sarebbero ben pochi. A questo punto, tuttavia, e a dispetto di quel che pensa Genette, anche fare completamente a meno della nozione di arte non sarebbe pi increscioso che rinunciare al concetto di ircocervo.

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