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Ringrazio Flora, mia moglie, per la generosa collaborazione che ancora una volta mi ha dato.

Mario Manieri Elia

DAL RELATIVO ALLEVENTUALE


il progetto architettonico

Copyright MMX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133/A-B 00173 Roma (06) 93781065 isbn 9788854836488 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dellEditore.
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I edizione: novembre 2010

Indice

1. Il progetto come soglia ontologica


Linvenzione dellArchitettura

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2. La crisi nel mondo della durata e della durezza


Dal soprassalto di Occam alle soglie del contemporaneo

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3. Lo spazio storico relativista


Metalinguaggio lapidario e decostruttivismo ridondante

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4. Lapprodo al mondo delleventuale e le nuove responsabilit

1. Il progetto come soglia ontologica


Linvenzione dellArchitettura

Partiamo dal corpo: un avvio che pare ragionevole e generalmente condiviso, preferenziale, per noi, nella prospettiva globale e relativistica verso la quale ci dirigiamo: questa sede materiale, mentale/viscerale (per dirla con Nietzsche) della nostra identit, che ha subito una programmatica svalutazione nelle prime fasi del moderno ma che oggi si candida a fornire un utile approccio di ricerca, per raggiungere poi, come nei nostri presupposti, larchitettura, da intendersi, a sua volta, con una contrazione analogica esposta ai rischi del banale, come una sorta di proiezione esterna e contestuale della nostra corporeit. Il tragitto concettuale tra le due fisicit, quella oggettuale biologica e quella contestuale ambientale, pu essere breve (e forse non banale) se congiungiamo laforisma: Il corpo per noi una tomba, risalente a Platone, con la notissima suggestione di Adolf Loos, pioniere dellArchitettura moderna, che suona cos: se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dentro di noi dice: qui sepolto qualcuno. Questa ARCHITETTURA1. Due temi lontanissimi tra loro
1. A. Loos, Parole nel vuoto, 18971900, Adelphi, Milano 1972, p. XXVII.

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quanto a situazione spaziotemporale, che presentano, tuttavia, una profonda attinenza. Richiamano: da un lato, lautorit dellaffermazione platonica, che pone solidissime e imperiture basi a quel processo ideologico epocale che ha prodotto la riduzione del corpo a un mero contenitore; il quale, in s, senza lanima, sarebbe inerte, alla stregua di un cadavere (mentre allanima viene riservato il ruolo esaltato che conosciamo). Dallaltro, rileggiamo il testo di Loos, la cui folgorante, inattesa immagine, identifica nella tomba, assunta tout court come architettura, larido involucro di una vita non pi presente (trasferitasi altrove?). In entrambe le proposizioni: quella riferita al corpo, nella impostazione classica solo apparentemente univoca, e quella allusiva allarchitettura non priva, a sua volta, di altrettanto inquietanti ambivalenze, la vita intesa come condizione esterna, eteroreferenziale, come essenza non intrinseca al proprio involucro corporeo, eventualmente mortuario: significato scisso e, se si vuole, liberato dal significante. Una tendenza rischiosa alla de semantizzazione, che larchitettura di tutti i tempi stata impegnata, con uno scrupolo talora persino eccessivo, a fronteggiare. Ma se noi, lontani ormai da una filosofia tradizionale tendente a fondare verit assolute, siamo giunti alla attuale concezione del corpo come corpo vivente e dellarchitettura come dimora, predisposta alla funzione e al senso dellabitare il mondo da parte degli uomini, la scissione si elide e significato e significante tornano uniti, come nella realt sono. Pertanto, ripartiamo dal corpo inteso nella sua piena contestualit (Fig. 1), tenendo a sfondo il richiamo allarchitettura e la gi suggerita attinenza dei due concetti, rilevando come, il primo, meriti una prioritaria attenzione, in quanto diamo per acquisito, con Derrida, che esso si costituisca come un casuale rapporto conflittuale di forze e conservi il valore

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Figura 1. Creazione delluomo.

vitale di tale conflitto, altrimenti sottaciuto ed espulso dalle istituzioni della politica e dalle pratiche ideologiche di manipolazione esistenziale2, tra le quali non potremo non includere la gestione ambientale e il suo precipitato formalizzato: larchitettura. Intanto, assunto che il mio corpo sono io e che non esiste un corpo diviso dalla mente, dallanima e dal carattere, possiamo riflettere sul motivo della costituzione di una cos influente e duratura scissione Corpo/Anima. stato, come noto, leffetto di una cultura postantica fondata sulla presupposta separazione delle due essenze; separazione che rendeva il corpo, nella sua materialit isolata, pi utilmente esposto allo sfruttamento e, anche, alla distruttibilit; con tutta lambivalenza del progetto ideologico medievale di rinuncia al corpo che Le Goff
2. M. Ilardi, riguardo a questo orientamento cautelativo, richiama Hobbes. Cfr. Negli spazi vuoti della metropoli, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 115,

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ha cos limpidamente denunciato3. La stessa separazione, del resto, che presiede agli sviluppi, dal XVII secolo in poi, di un pensiero scientifico, sospinto dal preciso mandato a una conoscenza analitica oggettivante, in coerenza con laltrettanto deterministico linguaggio architettonico classicista; esasperando fino alla piena autoreferenzialit le metodiche e le strumentazioni danalisi, di diagnostica e di intervento: diagnosticoterapeutico, riguardo al corpo; tecnicocostruttivo, riguardo allo spazio architettonico. Ora, se assumiamo il corpo come entit che si integra naturalmente nel rapporto con il mondo e con le cose, senza isolarne la fisicit anatomica o la meccanica fisiologica, e cogliamo la variabilit dei suoi ritmi e delle sue dinamiche oggettuali e contestuali, nonch il senso relazionale che presiede a tutto ci; e se rapportiamo questa realt corporea integrata ed evolutiva a un contesto ambientale altrettanto mobile per limprevedibile dinamica dei processi e dei fenomeni determinati dallirrompere degli eventi4, si perviene a una valutazione ermeneutica del mondo, sostanzialmente diversa da quella della tradizione scientifica classica. Limprevedibilit dellevento, che spezza la continuit contestuale, unita allidea del corpo, inteso come identificazione consustanziale dellindividuo nella sua piena soggettivit, introduce, infatti, a una dimensione che esula radicalmente dalle concezioni tradizionali, classica e neoclassica; concezioni che risalgono allegemonia di una logica che, per due millenni, si mantenuta strumentale alluso della natura da parte di uomini, decisi a colonizzare lambiente per abitarlo, facendo uso del potere snaturante e possessivamente identitario del linguaggio: cio, di quella grande intesa comunicazionale
3. J. Le Goff, Il corpo nel Medioevo, Laterza, Bari 2005, pp. 22 ss. 4. Martin Heidegger a introdurre il sapere delleventualit.

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Figura 2. Torre di Babele nellimmagine di Bruegel.

conseguita tra gli abitanti del mondo, della cui presunta e resistibile potenza sar formidabile allegoria la parabola biblica della Torre di Babele (Fig. 2), la cui orgogliosa erezione, fino al cielo, viene temuta da Dio stesso e autoritariamente contrastata con limprovviso interdetto della confusione dei linguaggi. Interdizione oltremodo destabilizzante e, al momento, efficace, per linterruzione, appunto, dellintesa tra gli uomini e larchiviazione, con effetto immediato, del loro ingenuo ma per Dio insopportabile progetto degemonia trasformativa; progetto il quale, ancorch fallito, si rivel portatore, tuttavia, di

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un altro, forse imprevisto dalla divinit ma di fatto provvidenziale effetto, che la Bibbia non rinuncia a riferire: quello di provocare la diaspora pervasiva degli uomini, in cerca di nuove intese e nuovi linguaggi e di produrre, pertanto, una lenta, ma concreta e inesorabile occupazione del pianeta, da parte di un genere umano tendente, naturalmente, a emanciparsi dalla originaria soggezione al trascendente. A questo punto, par quasi di poter individuare in tale vicenda mitica un deciso passaggio, significativamente riferibile al nostro discorso: dalla mancata identificazione degli uomini con la divinit celeste, a un insicuro ma responsabile ritorno al rapporto con la terra e con le cose. Passaggio liberatorio, curiosamente attribuito dalla Scrittura stessa ma la sua importanza decisiva a un fatale errore divino, che segna la svolta dallambizione degli uomini a una costruttivit onnipotente progetto ideologico orgoglioso quanto improbabile, a una pi sommessa ma realistica gestione operativa umana, intrinseca alla necessit di abitare nella natura e tra le cose del mondo in qualit di soggetti responsabili e capaci di relazionarsi tra loro. Venendo, quindi, al progetto umano e alla nascita dellarchitettura, si sarebbe trattato, nella coscienza di una ancora recente uscita dal caos primordiale o, che lo stesso, dellincombente pericolo di un nuovo Diluvio, di scegliere, per rapportarsi con il mondo allalba dellera moderna, tra i due grandi modelli comportamentali: quello istintuale, energetico e propulsivo, assunto in presa diretta dalla vitalit corporea, che risale al mito di Dioniso; e quello premeditato, garantito da forme stabilite una volta per tutte, per un controllo indiretto dellazione umana sullambiente, concesso dallilluminante potere di Apollo. La scintilla del progetto sembra scattare al punto di incrocio tra queste due costitutive valenze. Ma per rapportare, nellallegoria della fondazione abitativa,

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come nellosmosi del respiro, il piccolo corpo di ogni singolo essere vivente e il grande corpo delluniverso infinito o, in altre parole, per rendere corporeo il cosmo e cosmico il corpo5, occorrono i numi. Ed Apollo lHegemn battistrada, fondatore a guidare lazione dellabitare. Ma la fondazione della citt mantiene i due diversi modelli mentali, avviati, comunque, a una piena integrazione nel tessuto insediativo: la denotazione apollinea, nel tracciamento ordinato dellimpianto urbano sul suolo dissodato, con il taglio delle strade e la predisposizione geometrica del luogo centrale per lassemblea che, in termini di tessuto, possiamo definire come lordito. Mentre la trama, si muove sospinta dalla naturalit del dionisiaco nella danza rituale, che attraversa e fluidifica le divisioni con imprevedibile gestualit, misurata solo dallo scandire del ritmo, coinvolgendo tutti in un movimento libero da ogni schema culminante nella circumambulazione dellaltare e nel sacrificio alimentare cruento, momento di sintesi della diade ordito/trama, segnato dal fuoco: vettore terminale lanciato verso il cielo. Ma ancora Apollo archegeta a dare il punto di innesco delloperazione fondativa, con lubicazione dellaltare a supporto della fiamma di Hestia un ceppo ardente proveniente dal luogo di origine , e a conferire a tutto il rituale tonalit e ritmo giusti, con il suono seduttivo e direttivo della sua cetra. Due sono insomma i topoi architettonici primari ed emblematici della citt di fondazione: laltare, con il suo recinto nel luogo pi alto; e la soglia: la pietra pi grande del Tempio, la cui collocazione, tra il fano e il profano, cura degli architetti. Nel caso di Delfi, Trofonio e Agamede sono i designati alla collocazione dellenorme lastra litica di ben sei metri per due.
5. Cfr. G. Pasqualotto, Estetica del vuoto, Marsilio, Padova 1992, p. 29.

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Ma la citt tale proprio nel suo eccettuarsi dal territorio na turale in cui si situa e la sua identif icazione si determina per differenza. Per assumerla, deve Figura 3. Troia e le sue mura alle soglie delimitar si, di dellOccidente. staccarsi e di fendersi dallaltro da s: larchitettura della citt non si determina senza la conferma delle mura: altro elemento denotativo apollineo. A Troia, fondata da Dardano e Ilo, presiedono alla costruzione delle mura gli stessi Poseidone e Apollo (Fig. 3); a Tebe, troviamo Anfione e Zeto a occuparsi della cinta difensiva. Gli architetti, sempre curiosamente in coppia, conquistano un ruolo rituale e storico nel Gotha dei nomi tramandati. Anche per Roma, i nomi sono due: Romolo e Remo. Non sono architetti; per, nellessere allattati da una lupa vengono posti in una chiara relazione (sfuggita ai pi) con Apollo stesso, nutrito anche lui da una lupa o, almeno, da sua madre Latona con cui Giove laveva generato, trasformatasi in lupa per sfuggire alla gelosia omicida di Giunone. Fedele ai canoni, Romolo traccia il segno quadrato delle mura sulla base di un fatale mandato fondativo e di un paradigma sacrale di cui si fa garante. Ma anche in questo caso il modulo apollineo subisce, nella sua ferma regola, uno strappo trasgressivo6: Remo a fare la differenza e a introdurre la
6. Trasgressivo in senso proprio, etimologico, transgredi= passare al di l, superare.

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dinamica del rischio. Possiamo interpretare il salto del fatidico solco scavato dal vomere eburneo di Romolo come un evento necessariamente provocatorio, dinamizzante e organico al gioco rituale complessivo. Quasi un passo di danza, assimilabile a quelli del ballo dionisiaco nei riti primordiali di fondazione. Romolo e Remo, insomma, a succhiare dalle stesse mammelle belluine e a fondare la dialettica di un dualismo genetico che rester caratterizzante la Citt dei sette Colli. E sar la dualit tra Palatino, colle di Romolo, e Aventino, di Remo, che si rinnover con Silla e Mario, fronteggiantisi dalle stesse postazioni contrapposte, nello scacchiere binario delle classi sociali rivali. Cos, la Roma repubblicana e poi quella imperiale forense, a sud del Campidoglio si confronteranno diadicamente, col Campo Marzio augusteo. Romolo stesso, del resto, viene fatto morire, o smaterializzarsi tra i viventi, in due luoghi divaricati: nel Foro, ai Comizi Curiati, e in Campo Marzio, ai Comizi Centuriati. Mentre, ai due lati del Tevere, Roma stessa si ritrova sdoppiata fin dal tempo di Giano e di Saturno, tra Gianicolo e Campidoglio; cos come, da ultimo, in era volgare, lo sar tra Vaticano e Laterano, per sopravvivere in un confuso policentrismo diadico nella contemporaneit. Ma la tradizione storiografica non stata equanime, riguardo a questa ricorrente dualit; e ci, in ossequio allimpostazione interpretativa pi accreditata: quella di affidare dominanza al polo alternativo vincente e conservatore. Per Romolo, lopzione preferenziale delle fonti antiche, fondamentalmente augustee, pressoch unanime nellattribuzione, a lui solo, della fondazione di Roma. Dionigi di Calcide, storiografo dellEubea, che la attribuisce a Remo, pare un caso isolato: per la maggior parte delle fonti antiche tramandate, il rito fondativo della Citt aeterna saldamente nelle mani di Romolo, con una partecipazione solo marginale e perdente del fratello gemello,

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che resta ai margini della linea storica augustea. Ma che, invece, oggi per noi potrebbe impersonare la figura base su cui fondare una pi penetrante e aperta lettura. Remo infatti, il cui stesso nome qualificherebbe come riluttante, non allineato7, dopo uninfanzia avventurosa e solidale con il fratello, si trover a disputargli la non trascurabile questione del luogo topologico in cui fondare Roma. La sua scelta, orientata sullAventino (il colle che la storia assegner a Mario, cio, in termini usuali moderni, a una posizione di sinistra), risulter, per, perdente in base a una discutibile competizione assegnata a Romolo, solo per aver questultimo dichiarato di aver visto volare sul suo Colle dodici avvoltoi, contro i sei dichiarati da Remo dalla propria postazione. Immaginiamo questo Remo, scettico e contrariato, assistere allimpegnativo rituale fondativo, ampollosamente, messo subito in atto dallegemonico fratello, giungendo a interromperlo con la nota provocazione8 sacrilega, per la liturgia accreditata del salto del solco magico. Un gesto incontenibile, che possiamo oggi leggere come critico o, persino, ironico rispetto al tab. Un gesto di tonalit trasgressiva, ancorch prescritto come negli scacchi la sbieca mossa del cavallo che la storiografia allineata riterr punibile con la morte: siamo a un calco della vicenda biblica di Caino e Abele, il primo dei quali, non a caso, dato dalla Scrittura quale precursore dei fondatori di citt. Per la cultura classica, insomma, lintervento trasformativo, ancorch orientato ritualmente dagli appositi numi da essa inventati, era ancora nelle mani del genere umano. E la creazione dei templi e delle
7. Il nome di Remo deriverebbe dal fatto che il bambino era lento in tutto, ma la fonte di questa notizia isolata e tardiva. Cfr. P. Grimal, Enciclopedia dei miti, Garzanti, Brescia 1987, p. 547. 8. Provocare = chiamare fuori, spingere avanti.

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citt, inaugurata e Delfi ove nasce larchitettura in pietra tagliata9, comportava una prestazione immanente, sia pure nutrita di orgoglio e dismisura (= hbris)10. Ma tutto o quasi tutto cambia, dopo la nascita di Cristo, con il clima ideologico indotto dallantico Israele che, con il suo Yahweh, promuove lidea di un creatore unico ed esaustivo, avido di creazione e poco disposto a cedere liniziativa per ogni nascita materiale corpo umano o architettura che sia declassandola a priori a evento secolare, intrinsecamente destinato alla morte e alla dissoluzione. Caino infatti, nominato ufficialmente nella Bibbia come il responsabile per ogni forma di azione umana volta alla trasformazione stabile dellambiente, malvisto dalla divinit; come, del resto, mutatis mutandis, il patronato della progettualit risulta affidato, fin dal tempo dei miti ellenici, a un altro trasgressore: Prometeo (il cui nome pr mthos evoca, evidentemente, proprio lidea di progetto), il quale pone in atto, con il furto del fuoco, la massima iniziativa volta allemancipazione di unoperativit autonoma degli uomini. Vi una significativa e consolidata convergenza mitica a stabilire, per il progetto architettonico, il curioso destino di dover riconoscere le proprie origini nei due miti che vedono gli uomini in posizione pi orgogliosamente antagonista: un assassinio, quello di Caino, e un furto, quello di Prometeo, entrambi ribelli nei confronti della divinit. A questo colpevolizzante condizionamento ideologico deve adeguarsi, volente o nolente, larchitettura dellera cristiana. Ma lobbligata ammissione di colpa e la conseguente sottomissione non manca di trovarla riluttante, in quanto le impone una rinuncia alla pregressa
9. Cfr. M. Detienne, Apollo con il coltello in mano, Adelphi, Milano 2002, p. 42. 10. Ivi, p. 161.

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Figura 4. Liperdeterminazione formale del tempio dorico di Segesta.

onnipotenza, implicita nellassertivit del linguaggio classico (Fig. 4), nato nella fatidica congiuntura alla quale uno storico del lavoro intellettuale come Leonardo Benevolo attribu il senso di invenzione dellArchitettura11: quella, cio, della definizione canonica e intramontabile degli Ordini architettonici. Solo un implicito quanto irresistibile interdetto confrontabile con quello di Babele potr infatti indurre allabbandono, ma non alloblio, della rassicurante iperdeterminazione linguistica dellarchitettura, inventata dagli uomini dellet di Pericle e, poi, di quella imperiale romana, dedotta dalla prima e innestata sulle radici etrusche; materializzata, infine, nella monumentalit degli impianti ipotattici sacrali republicani e, poi, in epoca imperiale, forensi. Riemerge insomma, con forza, in situazioni storiche votate alla stabilit, la questione del linguaggio, come
11. L. Benevolo, Introduzione allarchitettura, Laterza, Bari 1960, pp. 16 ss.

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Figura 5. Il Caos originario e immanente.

strumentazione volta, dalle origini, al controllo degli eventi, sempre imprevedibili e confusi se lasciati fuori del controllo umano, quasi per un ricorso da parte di una umanit spaventata, a una rievocazione periodica, a far barriera allazione destabilizzante del Caos (Fig. 5). Si riconferma, quindi, il linguaggio come ordine, al quale, uomini dotati di autonomia intellettuale, hanno aderito e replicano, con il Classico, il senso della regola ma che, in epoca protocristiana, appannatosi il pregresso ruolo egemone del pensiero umano, tende a perdere efficacia normativa, mantenendo, nel tardo antico, funzioni residuali di stilistica puramente connotativa, cio ridotta ai commenti linguistici secondari, in attesa di nuove sperimentazioni formali strutturalmente e tipologicamente denotative. La memoria dellAntico continuer a garantire un sostegno limitante e legato a significazioni non pi attuali, alle quali rester, comunque, affidato un fondamentale, ambivalente senso: di richiamo nostalgico a un solidissimo passato e di denuncia della sua fatale obsolescenza. Un senso riscattato dagli antichi modelli, nel quale

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gi attivo il cauto ma tenace emergere di una filosofia della vita, volta a sviluppare quel rapporto chiasmatico tra soggetto e oggetto12. Un rapporto paleomoderno che, fondandosi sul dialogo, aprir contro lipostatizzazione di verit oggettivanti, cui Platone e Aristotele e larchitettura classica avevano conferito imperitura fermezza molteplici varchi per lapprodo problematico ai nuovi modelli. Socrate, del resto, aveva anticipato questa apertura alleventualit del reale. Ma sar Ludwig Wittgenstein, due millenni e mezzo dopo, a diagnosticare la indomabile resistenza della mente umana alle certezze assolute che lo indurr a scrivere: La filosofia una battaglia contro lincantamento della nostra intelligenza che il linguaggio comporta13. E la battaglia continua dal periodo postantico al moderno, interrotta dalle reiterate e indomite insorgenze platoniche e classiche, ma sospinta da una inesausta tensione socratica alla ricerca, attraverso la contestualit inesauribile degli eventi. E larchitettura? Se vogliamo mettere al centro del discorso questa parola, di cui abbiamo contribuito a mascherare la genesi arbitraria e il ruolo inventato, ci rendiamo subito conto di come il termine tenda a indicare non gi unattivit umana quanto, piuttosto, lesito di tale attivit: non un processo, insomma, ma loggetto che ne risulta. Non superfluo attirare lattenzione su questo aspetto solo apparentemente terminologico, stante una tradizione culturale che, in pieno accordo tra gli attori del processo e i fruitori dei suoi esiti, ha regolarmente polarizzato lattenzione storiografica e critica sulla contemplazione non a caso: contemplare
12. Cfr. M. MerleauPonty, Senso e non senso, con introduzione di E. Paci, Il Saggiatore, Milano 2004, pp. 11 ss. 13. Citato in L. Wittgenstein, Conversazioni e ricordi, Neri Pozza, Vicenza 2005, p. 38.

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dei prodotti finiti, meglio se monumentali, assumendoli entro un rapporto gratificante di rappresentazione, pi che di interrelazione soggetto/oggetto. Se ora, invece, fedeli a unottica fenomenologica, spostiamo il nostro discorso sulla progettazione, dobbiamo assumere questultima come attivit profondamente innervata dallenergia vitale degli uomini che, per ci stesso, pi che come un fare si qualifica come un essere. Intendendo la parola essere non gi come uno stare (nel mondo) ma come un divenire (con il mondo). Cos che il progettare divenga la forma primaria dellabitare il nostro pianeta, sia adattandosi allambiente che adattando lambiente (a se stessi), secondo modalit connesse alleventualit dei mutamenti ambientali. Ed ecco che larchitettura diviene la forma linguistica di tali processi vitali, inducendoci a formulare una forse inattesa definizione: quella di architettura come epifenomeno dei processi di adattamento degli uomini allambiente mutevole. Non a caso, abitare14 allude a un possedere, un costruire, un coltivare e soprattutto a unintesa tra gli uomini, che presuppone fondamentalmente il comunicare: per interrompere lazione costruttiva delluomo, a Babele, Dio manda un angelo a confondere i linguaggi. Comunicare significa, infatti, conoscenza attiva: un comprendere che si realizza, anzitutto, nominando le cose e donando loro, con il nome, una essenza identitaria. Nel memorabile saggio Costruire, abitare, pensare, Heidegger15 usa il termine centrale del titolo: abitare, per connettere e organizzare gli altri due. E potremmo dedurre che il terzo termine pensare16 implichi qualcosa che assomiglia molto a un progetto.
14. Da habeo, come abitudine, abilit. 15. M. Heidegger, Costruire, abitare, pensare, 1957, in Id., Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1991. 16. Da cogere, legare insieme (come: intelligenza), intrecciare, costringere.

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La comunicazione rende operanti processi intersoggettivi e questo il passaggio fondamentale nella costruzione e condivisione di un linguaggio. Da cui discende che la formalizzazione di un progetto pu divenire linguaggio nella misura in cui realizzi questintesa: quando giunge a trasmettere intersoggettivamente. Parafrasando una locuzione di Roland Barthes, si pu, forse, proporre unaltra definizione: architettura come rito Figura 6. La scena fissa come soglia architettodella comunicazione17. Ed ecco un nica. Vicenza, Teatro di movente formidabile per quella Palladio. che stata definita linvenzione dellarchitettura. Ma come si realizza, nella continuit dellambiente mutevole, il reciproco adattamento degli uomini e delle cose? La progettazione, stabilendo confronti, limiti e mediazioni, produce di volta in volta le intese comunicazionali e linguistiche. Lessere e il divenire degli uomini si accorda allessere e al divenire dellambiente mutevole. I limiti divengono confini: confine = limite condiviso.18 Larchitettura assume cos il ruolo di luogo del confine: di soglia. E ci pu dar luogo a unulteriore, ambiziosa definizione, pi implicita e sintetica: architettura come soglia ontologica. Torna qui la fondamentale importanza della soglia templare, come iniziazione alla esperienza cultuale e palcoscenico del rito (Fig. 6).
17. Cfr. R. Barthes, I miti doggi, Einaudi, Torino 1974, p. 194, nota 1. 18. G. Marramao, Confini dellidentit e della differenza, in Gomorra, 1, 1998, pp. 3239. Cfr. anche E. Kant, Critica della ragion pura, nozione di Grenzbegrieff = concetto limite, con il senso di barriera).

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Va anche detto molto esplicitamente che qui si intende assumere il progetto e in particolare il progetto architettonico non tanto come atto generativo, quanto trasformativo; e questa unopzione che va storicizzata. Di solito le origini dellarchitettura, come disciplina di dominio dello spazio ambientale, vengono localizzate dalla storiografia tradizionale negli atti originari dellabitare umano: la fondazione della citt con il suo rituale geometrico e il paradigma ordinato delle mura e delle porte, costituisce un atto imperativo, sacrale ed esorcistico. Ma, come si visto, Romolo non agisce da solo e gi nel mitico tracciamento dei sacri limiti dellUrbe, interviene dinamicamente lo strappo di Remo, a introdurre la differenza, il rischio. E questa, in unottica moderna, costituisce unopportunit, unapertura produttiva. Infatti, se il proiectum classico, totalmente assertivo, si pone nelledizione classico romana in una dimensione forte (ed purtuttavia specialmente nelledizione ellenica intessuto di differenze e di microtrasgressioni), il progetto moderno, invece, si collocher naturalmente in una dimensione filosofica debole, ingestibile in termini prescrittivi. Presupporr atteggiamenti che definiamo dialogici19; misurati, cio, su una realt come la nostra, nella quale, per dirla con Nietzsche, sia solo possibile continuare a vivere sulla base di ipotesi, lanciandosi, per cos dire, su di un mare infinito, piuttosto che sulla base di una fede. Nel mondo dellurgenza e delleventualit, costretti come siamo in un presente detemporalizzato, che non appare abilitato a divenire passato, latto progettuale
19. G. Vattimo ha assunto le verit come dialogo aggiungendo che una delle ragioni della fecondit dei dialoghi il fraitendimento reciproco. Cfr. La filosofia: un tramonto, in Rivista italiana di gruppoanalisi 2, 2003, pp. 2224.

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pu tendere a fluidificarsi. Assistiamo da pi di un secolo a questi tentativi messi in gioco dal Moderno basti ricordare il cielo e il ponte dellUrlo di Munch; o, altrimenti, il linguaggio pu arroccarsi difensivamente in forme deterministiche di autoreferenzialit semantica, con il potenziamento arido del significante, a scapito del significato, o con un significato bloccato sul sorprendente e sulla spettacolarit. Una spettacolarit portata, oltretutto, su un referente debole, agonizzante. Occorre insinuarsi, per dirla con Prigogine, ne lo stretto passaggio tra un determinismo alienante e un universo governato dagli eventi. E ci per evitare che la geometria del progetto, inteso come determinazione prescrittiva, divenga interdittiva della nostra capacit di comprendere e che il significante, agganciato alla zattera della condivisione intersoggettiva, prevalga su un significato che soccombe nel prevalere ormai normale del momento compositivo su quello progettuale. Intendendo sempre che, con progettazione, si alluda soprattutto alla fase induttiva e creativa, tale, cio, da fondare concettualmente e iconicamente limmagine e le idee formali del progetto; mentre con composizione, ci si riferisca a un lavoro di scrittura che presuppone un codice linguistico preordinato, scelto e perfezionato in ragione dellattuabilit delle intenzioni progettuali. Se il senso di queste due azioni, di solito confuse tra loro e per la verit spesso confondibili, pu essere utilmente divaricato, il momento progettuale pu intendersi anticipatore del senso e del contenuto: prodotto, potremmo dire, da un collage di ritagli informali, colti nel tessuto del grande patrimonio della memoria; assunti, cio, da un processo associativo in continua rielaborazione tra oblio e ricordo. Usando con M. Cacciari ricordare come un riporre al centro del cuore.

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Possiamo dire, insomma, che se la composizione procede per segni, dotati di una determinazione oggettivabile, la progettazione muove, nella sua fase creativa di ricerca dellimmagine, da tracce, dotate di efficacia evocativa plurisensa e reversibile, in continua dialettica contestuale (Fig. 7). La contestualit del progetto deve Figura 7. Aldo Rossi. La ricerca dellimfare appello, oltre che magine. e pi che alla memoria diretta e allesperienza, alle potenzialit mnemoniche insite nella produttivit conoscitiva dellinterrogazione, integrando anche le virtualit positive del fraintendimento e del disagio. E in una societ che si regge sulloblio e che sfugge allincontro con laltro da s, vale lopzione selettiva di un motivato arbitrio. Progettare, infine , sopratutto, contestualizzarsi e, con ci stesso, trasformare il contesto. Si tratta di un processo di donazione di senso, analogo alla traduzione di un testo. Traduzione: ecco un concetto che diviene centrale. ci che Marramao ha recentemente definito la lingua dellEuropa20. In un processo di recupero semantico, propone Derrida: loriginale il primo debitore, il primo postulante: ma20. In una conferenza al Master dellUniversit di Roma Tre, Architettura/Storia/Progetto, Marramao ha recentemente affermato che la traduzione, molto pi che la tradizione, oggi la lingua dellEuropa.

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Dal relativo alleventuale

nifesta una mancanza e vuole una traduzione21. Misuriamo questa osservazione sul caso di un progetto che deve contestualizzarsi in un ambiente consolidato. Se assumiamo la preesistenza storicoambientale come loriginale, la traduzione, in un contesto composito assumibile come monumento che in quanto tale tende a escludere, quindi, il senso della mancanza pone Figura 8. Socrate di Lisippo. a confronto il progetto con una preesistente ipertrofia semantica, che pu rivelarsi condizionante se non paralizzante. Laddove progettare, in un contesto inteso invece come esito dellintegrazione di tracce labili o mutevoli, abiliterebbe a unimmaginazione capace di esprimersi a livelli autoreferenziali. Progettare , dunque, tensione interrogativa inesausta, che attraversa e assume la contestualit mutevole degli eventi, procedendo, se occorre, per finzione (da fingere = modellare largilla), al momento di cogliere quella tale mancanza che non va accettata: ma nel presente, invece, qualcosa manca22 e il progetto deve porsi come un risarcimento che diviene sua esigenza e presupposto. Un presupposto che non attiene allassetto spaziotemporale e sociale consolidato: non attiene al potere, sfugge alla logica saturativa e onnipotente dei suoi rapporti.
21. Des Tours de Babel, in AutAut, 189190, 1982, p. 67. Il titolo, mantenuto in francese, rivela il calembour: Des Tours/dtour 22. Etwas Fehlt, locuzione emblematica di Ernst Bloch.

i. Il progetto come soglia ontologica

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Progettare la mancanza si pu? Trasformazione dialogante forse la definizione che pi si adatta a una progettazione interlocutoria, che abbia sufficiente duttilit da stabilire quellinterrelazione chiasmatica tra luomo e lambiente che labitare presuppone. Interrelazione della quale lo sprawl della metropoli ha costituito la crisi decisiva. Ed ecco che, a monte della grande sistemazione aristotelica, torniamo al fecondo dialogare socratico e ripartiamo dal vecchio orgoglio di sapere di non sapere (Fig. 8).

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