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INCHIESTA

Milioni di morti
miliardi di utili
AIDS Doveva essere la Peste di fine millennio,
poi le previsioni sono state smentite dai fatti.
Ma resta in piedi il giro d’affari. Immenso

L
di Federico Zamboni
a paura dell’Aids si diffuse nella prima metà degli
anni Ottanta, in un crescendo di notizie sempre più
inquietanti. A suscitare l’allarme non era solo il nume-
ro delle vittime: nei Paesi occidentali il cancro, il fumo
e l’abuso di alcol ne hanno mietute – e continuano a
mieterne – incomparabilmente di più1. La chiave di volta era un’al-
tra: l’Aids non aveva una causa specifica. Come diceva il suo stes-
so nome, acronimo di Acquired Immune Deficiency Syndrome
(Sindrome di Immunodeficienza Acquisita), l’unica cosa che si
sapeva era che a un certo punto, per ragioni inesplicabili, le difese
immunitarie di un ragguardevole numero di persone crollavano.
Inizialmente, come si ricorderà, il fenomeno sembrò riguardare due
categorie specifiche: i tossicodipendenti e gli omosessuali. Nel loro
modo di vivere, si ipotizzò, doveva esserci qualcosa che determina-
va l’insorgere della malattia. Le droghe, specialmente se consuma-
te assiduamente e in forte quantità, potevano avere tra i propri effet-
ti collaterali l’indebolimento, fino alla debacle, del sistema immuni-
tario. Analogamente, si disse, gli omosessuali che cambiano un
gran numero di partner finiscono con lo stressare il proprio organi-
smo: a ogni contatto diretto con lo sperma altrui si verifica una
sorta di “shock” immunitario, che a lungo andare mina, fino a com-
prometterle, le capacità di reazione. Inoltre, venne notato, in molti
casi i gay statunitensi avevano uno stile di vita in cui l’alta promi-
scuità sessuale si accompagnava all’uso di stupefacenti.
Fino a questo punto, però, l’immagine pubblica dell’Aids rimaneva
fedele alla sua definizione originaria. L’Aids restava una “sindrome”,
vale a dire il risultato di un insieme di fattori. I quali, va da sé, resta-

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vano tutti da definire, potendo ricomprendere qualsiasi ele-
mento che provocasse una forte diminuzione delle difese
immunitarie. Ribadiamolo: qualsiasi elemento. Non necessa-
riamente un virus.
Il nocciolo della questione è qui. E tutto quello che è venuto
in seguito, dall’approccio medico allo sfruttamento commer-
ciale, poggia su questo aspetto. La svolta arriva nel 1984,
quando il ricercatore statunitense Robert Gallo2 annuncia
sulle colonne di Science di aver individuato la causa
dell’Aids. Il virus Hiv, appunto. Quell’ “Human
Immunodeficency Virus” che determina di per se stesso, indi-
pendentemente da ogni altro elemento, lo svilupparsi della
malattia. Sulla base di questo presupposto si delineano le tre
grandi direttrici su cui si procederà da lì in avanti.
Nell’ordine, come vedremo meglio tra poco, la prevenzione,
i test di rilevazione del virus e i metodi di cura. Nonché, a
ricomprendere tutti e tre gli aspetti in quella che sarebbe la
soluzione definitiva, la ricerca di un possibile vaccino. A pro-
posito: già nel 1985 lo stesso Robert Gallo si (sbi)lancia in
una previsione che gronda di ottimismo e che ha il sapore
di una certezza. «Se il ritmo delle ricerche proseguirà con lo
stesso slancio che hanno avuto finora, entro cinque anni si
dovrebbe arrivare alla produzione del vaccino.»
1985 più 5. Uguale 1990. Diciotto anni fa.

Aids, che ci sia ciascun lo dice…


Posizionata la pietra angolare, con l’identificazione dell’Hiv
come causa diretta ed esclusiva dell’Aids, l’edificio è cre-
sciuto rapidamente. E, come accade molto più spesso di
quanto non si voglia ammettere, la stragrande maggioranza
degli operatori si è ben guardata dal chiedersi se quella pre-
messa fosse davvero così solida come veniva affermato.
Tranne rarissime eccezioni, puntualmente ignorate o taccia-
te di incompetenza nonostante vi fossero, tra loro, addirittura
dei Premi Nobel quali il microbiologo Peter Duesberg e il chi-
mico Kary B. Mullis, chi si è occupato di Aids negli ultimi ven-
t’anni lo ha fatto allineandosi di buon grado alla versione
dominante.
La teoria è diventata un teorema. Il teorema è diventato un
assioma. Poiché l’Hiv era indiscutibilmente all’origine
dell’Aids, le contromisure sono state analoghe a quelle che
si sarebbero prese nei confronti di ogni altro virus dagli effet-
ti mortali e dall’alto potenziale epidemico. La prevenzione si
è focalizzata sui comportamenti da evitare per non incorre-
re nel contagio. La cura, in attesa del provvidenziale ma tut-
tora irraggiungibile vaccino3, si è rivolta a quei farmaci che
potessero rallentare quanto più possibile lo svilupparsi della
malattia. Inoltre, a metà strada tra prevenzione e cura, si è

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messo a punto un test che permettesse di accertare l’in-
fezione da Hiv prima che si manifestassero i sintomi
dell’Aids.
Cominciamo dalla prevenzione. Dopo oltre due decen-
ni di martellamento mediatico è senza dubbio l’aspetto
più noto dell’intera vicenda. Il presupposto è che l’Aids
si trasmetta attraverso il sangue e altri fluidi corporei, in
particolare quelli seminali per l’uomo e quelli vaginali

Per oltre vent’anni l’Azt, scoperto nel


1964 e subito accantonato per la sua
tossicità, rimase inutilizzato. Fino a
quando la “scoperta” dell’Hiv permise
alla Burroughs Wellcome di riciclarlo.
per la donna. La parola d’ordine, perciò, è tanto sempli-
ce quanto perentoria: evitare qualsiasi contatto con
quelle sostanze, specie se si ha a che fare con soggetti
già infettati o comunque a rischio. Come? Dipende. In
ambito sessuale le alternative sono due: la prima, che
ogni tanto torna a essere caldeggiata ma che è talmen-
te irrealistica da diventare risibile, è un’assoluta castità;
la seconda è l’uso sistematico del profilattico, tanto
meglio se all’interno di una relazione monogamica sta-
bile e di lunga durata.
Se il problema è la droga, invece, il pericolo principale –
esclusi gli effetti immunodepressivi degli stupefacenti in
quanto tali – consiste nel condividere con altri consu-
matori la stessa siringa e, quindi, lo stesso ago. La solu-
zione, ovvia, è che ognuno utilizzi siringhe “usa e getta”.
Il che ci porta al principio di carattere generale che si è
esteso a qualunque altro ambito, dagli ospedali ai den-
tisti, dai barbieri ai laboratori in cui si fanno i tatuaggi o
si mettono i piercing: gli strumenti che possono sporcar-
si di sangue devono essere rigorosamente monouso. Li
compri, li usi, li butti.Affinché qualcun altro, intanto, li pro-
duca, li venda, ci guadagni. Nel suo piccolo (ma nem-
meno poi tanto, se si moltiplicano gli importi unitari per
un numero enorme di pezzi) il business dell’Aids passa
anche di qui.
Ma il grosso, naturalmente, transita altrove. Innanzitutto
nei farmaci. Innanzitutto nel famigerato Azt. Scoperto nel
1964 da Jerome Horwitz, che sperava di poterlo impie-
gare nelle terapie antitumorali, palesò fin dall’inizio difet-
ti tanto gravi da indurre lo stesso Horwitz a disinteressar-

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sene, al punto che non lo brevettò neppure. Per oltre ven-
t’anni l’Azt rimase inutilizzato. Poi, in coincidenza con
l’emergere dell’Aids e dell’ipotesi virale di Gallo e
Montagnier, la Burroughs Wellcome4 lo fece uscire dal-
l’ombra e ne avviò la sperimentazione clinica. Le aspet-
tative erano altissime. Il clima di allarme che andava
dilagando, nel consueto rimbalzo tra tecnici, pubbliche
istituzioni e mass-media, rendeva più che mai urgente il
reperimento di una qualsivoglia terapia. Risultato: nono-
stante i pesantissimi effetti collaterali (collaterali?) l’Azt
superò agevolmente le verifiche e venne validato. A mali
estremi, estremi rimedi. Ora i medici potevano prescriver-
lo. I malati dovevano assumerlo. Alla Burroughs
Wellcome non restava altro da fare che avviarne la pro-
duzione su vasta scala e prepararsi a incassare il fiume
di denaro che sarebbe scaturito dalla sua commercia-
lizzazione. Dal punto di vista imprenditoriale, o speculati-
vo, era il massimo che si potesse ottenere: il monopolio

Siete sieropositivi all’Hiv, ma non


avete alcun sintomo? Secondo
gli esperti dovete curarvi comunque,
come se aveste già l’Aids. Farmaci
su farmaci, incluso il famigerato Azt.
assoluto su un mercato vastissimo, per di più in continua
crescita.
Ed eccoci all’ultimo tassello: il test di rilevazione
dell’Aids. O meglio, e la differenza è determinante, il test
di rilevazione degli anticorpi all’Hiv. Il test è ormai acces-
sibile a tutti, anche privatamente. In Rete viene proposto
a prezzi variabili che partono da un minimo di 12 sterli-
ne, e il consiglio è di utilizzarlo ogni qual volta vi sia una
possibilità di contagio. Ovvero, per parlare dell’eventua-
lità più comune, ogni volta che si sia avuto un rapporto
sessuale “non protetto” con un partner sconosciuto e del
quale non si è perfettamente sicuri (come se poi, in
un’epoca di altissima promiscuità come la nostra, si
potesse essere totalmente certi della condotta di chic-
chessia). Inoltre, visto che i tempi di reazione sono sog-
gettivi, il consiglio aggiuntivo è di ripetere il test a più
riprese, a distanza di alcune settimane.
Ma il problema principale non è neanche il costo: è la
sua effettiva utilità. E le conseguenze che innesca. La tesi
corrente, come abbiamo visto, è che l’Aids sia determi-

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nato dal virus Hiv e che, pertanto, il passaggio dall’infezione ini-
ziale alla malattia conclamata sia solo questione di tempo.
Benché per tanti altri virus questo periodo di incubazione sia
solitamente breve, nel caso dell’Hiv/Aids è non soltanto molto
più lungo di quanto avviene, ad esempio, per il colera (1-5 gior-
ni) o per l’Ebola (3-9 giorni), ma è addirittura indeterminato. In
altre parole, e la casistica è estremamente ampia, si può risul-
tare positivi al test per l’Hiv e non avere nessun calo, e men che
meno nessun crollo, delle difese immunitarie.Tecnicamente si è
stati colpiti dal virus, come sta a indicare la presenza di anti-
corpi; concretamente l’organismo continua a funzionare come
sempre, senza alcun danno né evidente né occulto. Si è mala-
ti di nome, si è sani di fatto. E quindi?
Secondo gli “esperti” bisognerebbe curarsi comunque. In via
preventiva. Iniziare subito ad assumere farmaci “antiretrovirali”
e sottoporsi a un monitoraggio costante. Proprio come si fareb-
be se, invece, ci si trovasse già in una fase ben più avanzata.
Malati di nome, malati di fatto.

AIDS, c’è chi dice no


I dubbi sull’attendibilità della versione ufficiale, quella che il
succitato Premio Nobel Peter Duesberg definisce esplicitamen-
te «un dogma»5, sono cominciati già alla fine degli anni
Ottanta. Mentre la generalità degli operatori si allineava pedis-
sequamente all’impostazione prevalente, vuoi per mero confor-
mismo, vuoi perché direttamente partecipi dei profitti che ne
stavano derivando, alcuni studiosi si fermarono a riconsiderare
l’intera questione. Fino a metterne in discussione le premesse.

La versione ufficiale domina il sistema


sanitario e, quindi, l’azione dei governi.
Il pregio, si fa per dire, è che quella
versione soddisfa un’infinità di interessi.
Che sono tanto economici quanto politici.
Robert Gallo Non era affatto facile. Oltre a una competenza specifica in
il sedicente materia di virus e di processi biochimici, ci volevano la lucidi-
scopritore tà, l’onestà intellettuale e la forza morale necessarie ad affran-
del virus HIV carsi da quello che ormai era diventato un pensiero unico. Al
di là dell’aspetto squisitamente scientifico – e anche nella
scienza, checché se ne dica, andare contro certe “verità” signi-
fica esporsi alla demonizzazione e all’ostracismo – c’era da
fare i conti con altri due ostacoli. Enormi. Primo, l’opinione pub-
blica era terrorizzata e desiderava oltremodo che l’Aids venis-
se ricondotto entro i limiti di un’epidemia, per quanto grave,
della quale si erano finalmente scoperte sia le cause che le

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terapie. Secondo, i vari Gallo e Montagnier erano circonfusi da
una sorta di aureola che li rendeva inattaccabili, proprio per-
ché venivano presentati, e percepiti, come i paladini della lotta
contro il Male. Se loro erano i novelli San Giorgio, e l’Aids era il
drago, quanto spazio c’era per chi veniva a criticarli, accusan-
doli di aver sbagliato tutto? Affermando che le loro tesi erano
un cumulo di bugie, o se non altro di abbagli. Sottolineando
che le catastrofiche ipotesi iniziali su una diffusione esponen-
ziale del morbo erano state smentite dalla realtà. Sostenendo
che non è affatto vero che l’Aids sia causato dal virus Hiv – che

Attribuendo l’Aids a un virus, e solo ad


esso, l’Occidente si assicura un’assoluzione
preventiva per ogni immunodepressione.
tutt’al più ne costituirebbe un effetto secondario, proliferando
a sua volta in un organismo indebolito dal venir meno delle
normali difese immunitarie – e che la massima parte delle
morti attribuite all’Aids, specialmente in Africa, sono invece
dovute a malattie ben note quali la dissenteria e la tubercolo-
si, e andrebbero perciò ricondotte ad altre cause tra cui la
denutrizione e le condizioni igieniche sempre più precarie.
Accusando l’Azt, infine, di essere sempre restato ciò che era
all’inizio, vale a dire una sostanza altamente tossica i cui effet-
ti negativi sono di gran lunga superiori a quelli positivi, quan-
d’anche ve ne siano.
La battaglia è stata impari fin dal primo momento e lo è rima-
sta. La versione ufficiale continua tuttora a dominare il sistema
sanitario e, di conseguenza, il modo in cui i governi approccia-
no il fenomeno. Vere o false che siano, le spiegazioni che sono
state date all’Aids hanno il pregio, si fa per dire, di soddisfare
simultaneamente un’infinità di interessi. Che vanno dalla politi-
ca, ivi inclusa la geopolitica, all’economia. La priorità della
politica è che la situazione sia, o appaia, sotto controllo. Quella
dell’economia è che la gestione del fenomeno movimenti
immense somme di denaro, sotto forma sia di investimenti pub-
blici per la prevenzione e la cura a spese dello Stato dei mala-
ti (veri e presunti) sia di costi a carico dei privati che si sotto-
pongono alle terapie, onerose non solo per il prezzo delle sin-
gole confezioni di farmaci ma perché, non avendo come
scopo la guarigione definitiva ma solo il contenimento della
malattia, si protraggono all’infinito.
Ma c’è dell’altro. Ed è forse l’aspetto più importante, anche se
di solito non se ne fa cenno alcuno. Accanto alle funzioni che
abbiamo visto, infatti, il “dogma dell’Hiv” ne svolge un’altra
assai meno evidente, ma della massima importanza.

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Attribuendo l’Aids a un virus, e soltanto ad esso, l’Occidente si
assicura un’assoluzione preventiva, e illimitata, per qualsiasi
altra forma di immunodepressione.
La causa è un virus? Allora si tratta di una fatalità. Che non
dipende da noi. La radioattività? Non c’entra. L’inquinamento
chimico? Non c’entra.Ammettere che fattori di questo tipo pos-
sano danneggiare il sistema immunitario, fino a renderlo inser-
vibile, significherebbe aprire almeno uno spiraglio a una revi-
sione critica del nostro stile di vita.
La faccia scura della luna, come si dice. Ci fanno vedere quel-
la illuminata, quella del benessere consumista, e moltissimi di
noi si lasciano abbagliare. Senza preoccuparsi di cosa c’è
davvero dall’altra parte.
Federico Zamboni

Note:

(1) Per limitarsi all’Italia, le cifre ufficiali fissano le vittime di tumore in circa
150 mila persone. Le vittime dell’Aids, invece, sono intorno alle 200. Secondo
il Ministero della Sanità dipende dal diffondersi delle terapie antiretrovirali,
ma resta il fatto che negli ultimi anni sono calati drasticamente anche i casi
di nuovi sieropositivi (per una ricognizione aggiornata al 2007, www.ministe-
rosalute.it/resources/static/primopiano/503/DATI_AIDS_ISS.pdf).

(2)L’annuncio di Gallo scatenò una vera e propria battaglia, anche legale,


con Luc Montagnier e con l’Istituto Pasteur in cui questi operava.
Montagnier, infatti, aveva isolato il virus Hiv già un anno prima di Gallo e ne
rivendicò la paternità, vincendo la causa contro il collega americano.

(3)L’ultimo annuncio di un’ormai prossima messa a punto di un vaccino è


arrivato dallo stesso Luc Montagnier all’inizio dell’ottobre scorso. Durante la
cerimonia di consegna del Nobel 2008, che gli è stato attribuito per la medi-
cina a fronte dei suoi studi sull’Aids, Montagnier ha detto che sta lavorando
a un vaccino "terapeutico" che dovrebbe essere ufficializzato "entro tre o
quattro anni se i finanziamenti saranno costanti".

(4)La Burroughs Wellcome, in realtà, è un marchio che rinvia a due attività


distinte. Da un lato la grandissima industria farmaceutica che tutti conosco-
no; dall’altro una fondazione di ricerca scientifica. Come si legge nel sito di
quest’ultima (bwfund.org), “The Burroughs Wellcome Fund is an indepen-
dent private foundation dedicated to advancing the biomedical sciences
by supporting research and other scientific and educational activities”.

(5)Le posizioni di Peter Duesberg sono esposte, in maniera esauriente e com-


prensibilissima, nel volume Aids, il virus inventato (Baldini, Castoldi, Dalai,
pagg. 527, € 9,90), al quale rinviamo espressamente per una dettagliata
conoscenza delle tesi alternative a quelle ufficiali.

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