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Il PD tra religione e politica

Mario Tronti Alcuni passaggi di discorso nei capitoli X e XI del libro-intervista di Bersani, Per una buona ragione (Laterza, Roma-Bari 2011) stimolano a una interlocuzione. Il motivo che i temi l affrontati mi sembrano di natura strategica. Chiamano ad una riflessione di cultura politica, destinata a diventare centrale nella fase, nuova, che si apre. Nella persistente anomalia del caso italiano, capace di sempre imprevedibili forme inedite, c unanomala specificit del riformismo italiano. Mentre le frange estreme, di minoranza, dello schieramento di sinistra somigliano, pi o meno, alle altre esperienze, simili, europee, la scelta riformista ha preso, e prende, vie originali, rispetto alle altre formazioni di Europa. C una eredit storica che pesa, e questo peso non ha affatto, come racconta il senso comune dominante, un segno negativo. Insomma, come il riformismo operaio, qui da noi, nel periodo del secondo dopoguerra, si chiamato molto pi comunista che socialista, cos il riformismo cattolico si chiamato democratico cristiano invece che popolare. Non erano differenze da poco. Quello era un tempo, in cui, in diversit da oggi, le parole erano nomina rerum. C unaffinit, di fondo, nel passaggio da Sturzo a De Gasperi e nel passaggio dal PcdI al Pci. Fratture vere, salti effettivi, ma dentro una tradizione, virtuoso rinnovamento nella continuit, di cui si sono perse le tracce, e insieme alle tracce anche le virt. Io penso che da quella contingenza storica bisognerebbe ripartire, per ragionare. Sembra una proposta bizzarra, visto il tempo lungo trascorso e gli immani cambiamenti intervenuti. Eppure, quando il movimento delle cose ti stringe in una condizione di eccessivo impegno immediato, riconquistare, per s, una visione di lungo periodo lunico modo per sciogliersi dalla stretta e riprendere liniziativa. Dire, con Bersani che la differenza del Pd rispetto ai partiti socialisti e progressisti europei non unanomalia, ma un tratto distintivo positivo che porta il suo contributo a tutto il centrosinistra europeo ( p. 151 ), mi pare una dichiarazione che va in questo senso. Poi, chiaro che in ogni paese le tradizioni altre si presentano in modo diverso. E volta a volta vanno individuate e coltivate. Loriginalit nostra, per entrare subito nel merito, che noi non abbiamo a che fare solo con i cattolici, abbiamo a che fare direttamente con la Chiesa cattolica. La forma del cattolicesimo romano una presenza visibile e operante con cui deve fare i conti una forza politica radicata nel paese reale e con ambizioni di governo. Solo una formazione a vocazione minoritaria e a tentazione elitaria pu ignorare il problema. Di qui, una scelta di comportamento, unattitudine di conoscenza, una dislocazione di linguaggio da misurare nellordine, appunto, del problema. E non da delegare ai cattolici del Pd questo fronte di iniziativa. La sinistra maggioritaria, di estrazione comunista, ha nel corpo della sua storia una grande tradizione da far valere. Ma, ecco, mi sento di sollevare una questione delicata e seria. A mio parere, la autodefinizione di progressisti non adatta alla nostra situazione. So bene di mettere in campo una personale allergia teorica. Ma si pu bene argomentare come, negli esiti attuali della storia moderna, il pur grande concetto di progresso, vada messo sotto locchio della critica. Non c pi di contro ad esso, qui dove abitiamo, dentro lOccidente, il concetto altrettanto forte di reazione. Il capitalismo contemporaneo, di nome postfordista ma di fatto postwelfarista, proprio per superare quelle fasi, si non solo vestito, si armato di modernizzazione. Il postmoderno lideologia e la pratica del nuovo che avanza e che vuole avanzare senza limiti posti, n dalla societ n dalla politica n dai bisogni umani elementari delle persone in carne ed ossa. E infatti fa strage di umanit, sentita e vissuta, con linnovazione selvaggia da nessuno controllata, come un tempo facevano, esattamente, le tradizioni conservatrici, contro cui giustamente combattevano i progressisti.

Questa fuga senza fine a voler essere pi moderni dei modernizzatori la corsa del cane dietro la lepre, il cane alla fine crolla e la lepre si salva. dagli anni Ottanta che la scena si ripete, in piccolo e in grande, forse il caso di fermarsi, respirare e cambiare passo. Dirsi democratici e riformisti pi che sufficiente. Anche se queste parole vanno riempite di cose. E le cose sono tante. Ma qui c un tema preciso - non credenti e non credenti, n laici e cattolici, ma Chiesa e politica di trasformazione - e a questo conviene attenersi. Io lo prendo da due lati. Viene avanti oggi con forza, spinto dai venti tempestosi della crisi economico-finanziaria, il bisogno di una critica di societ. Sarebbe in campo, questo bisogno, anche indipendentemente dallattuale emergenza. La crisi fa vedere quello che la crescita, o lo sviluppo, come si diceva una volta, nascondeva: e cio la presenza di una immane questione sociale, con pi ricchi e pi poveri, nel senso che la fascia medio-alta e la fascia medio-bassa si sono ambedue riprodotte in modo allargato, con pi agio concentrato e pi disagio diffuso. La crisi mette a nudo lillusione di una cetomedizzazione delle societ contemporanee e ripropone nuove forme di polarizzazione sociale. Se non si vede questo, se ci si lascia abbagliare, nella notte, dai fanali del precipizio nazionale, si finisce sotto le ruote di una macchina in corsa. Si pu consentire a una provvisoria soluzione impolitica di governo, per far decantare una devastante condizione politica recente, ma approfittando delloccasione per riattestarsi sul terreno della buona politica di un sano civile conflitto sociale. Quando si dice lItalia prima di tutto, poi bisogna aggiungere: dentro lItalia, dentro lEuropa, nel mondo, prima di tutto i lavoratori, i loro interessi e bisogni, le loro condizioni di vita, il loro posto nel teatro della stessa rappresentazione politica. Perch se non si dice questo, come ci si distingue e come ci si fa riconoscere distinti da rispettabili funzionari delle compatibilit, confortati da irreprensibili tecnici di sistema? E laltro lato. Accanto a una critica di societ, una critica di civilt, perch a un disagio di societ si accompagna un disagio di civilt. E allora, accanto alla questione sociale, una questione antropologica. Questo il passo che viene richiesto dalla condizione umana della tarda modernit. Una modernit esaurita nei suoi principi e valori, in deficit, in debito, di tutte le sue promesse non mantenute, in preda al dominio della tecnica, come leconomia in preda della finanza e la politica in preda delleconomia, in una rincorsa verso il primato assoluto di ci che , senza che si riconosca pi nemmeno la legittimit di un pensiero e di una pratica di un altro modo di essere. Un umanesimo positivo? Mi accontenterei di un umanesimo negativo e cio di una messa sotto accusa della figura di essere umano oggi dominante, al termine di una societ borghese, che sotto un vestito innovativo e rampante mostra, a saperlo vedere, un corpo esausto e corrotto, vuoto di futuro, ripiegato su se stesso e incapace di uscire dalle contraddizioni che la sua storia ha generato. Esattamente come lattuale sistema-mondo della ricchezza, che non sa come venir fuori dalla sua crisi. Quello che non si vede - insisto su questo - bisogna farlo vedere. Ecco la politica, la via per la sua riabilitazione e per la sua ricostruzione. E la politica della trasformazione deve prendere la parola sugli stili di vita e sui corrispettivi mondi vitali. Qui ritorna la ricerca dei mondi affini, a cui riferirsi, con cui confrontarsi. Ogni grande forza storica, sia essa una Chiesa universale, uno Stato-nazione, un partito di popolo, ognuna ha la sua riserva aurea di valori non negoziabili. Altrimenti non avrebbe anima nel corpo. Non si tratta di disporsi ecumenicamente al dialogo. Si tratta di scegliere, di decidere, nel confronto, quali dei valori degli altri poter assumere, magari adattandoli al proprio orizzonte. Che lidea di individuo vada sostituita con lidea di persona. Che il principio-libert vada accompagnato al principio-responsabilit. Che la concorrenza sia puro mezzo e la solidariet vero fine. Che gli ultimi, non saranno, ma bisogna che siano i primi. Che la Legge dei potenti uccide e lo Spirito dei semplici vivifica. Ecco, si prendano questi valori e si pensi: con chi possiamo scambiarli?

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