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Appunti per il corso di Meccanica del Continuo

Riccardo Ricci
Universit di Firenze, Facolt di Ingegneria
Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Matematica
Anno Accademico 2005-2006
26 gennaio 2007
Indice
1 Il modello 2
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.2 Caratteristiche comuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.2.1 Relazioni cinematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.2.2 Una formula utile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2.3 Lequazione di continuit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
2 Le forze 8
2.1 Schema per le forze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
2.2 Il teorema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.3 Le equazioni indenite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.3.1 Le equazioni della dinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1
Capitolo 1
I continui
1.1 Introduzione
Il modello di un sistema continuo un modello fenomenologico adatto a descrivere sistemi sici
macroscopici in quei casi in cui le dimensione dei fenomeni osservati sia tale che la fenomenologia
non sia affetta dalla struttura molecolare della materia.
Una trave, lacqua che riempie un bacino, il gas in un recipiente, sono tutti esempi di sistemi che
possono essere descritti, entro dati limiti osservativi, con questo modello. Accanto ad assunzioni
comuni ci sono notevoli differenze tra questi sistemi, che portano a equazioni, sia per il moto che
per lequilibrio, che possono differire profondamente dal punto di vista matematico. Un caso limite
quello dei corpi rigidi, il cui studio viene affrontato nella Meccanica Razionale in virt del fatto che
le congurazioni nello spazio di un corpo rigido sono descritte da un numeri nito di parametri (sei)
e le equazioni che ne descrivono il moto formano un sistema di equazioni differenziali ordinarie,
simili a quelle di un sistema nito di punti materiali vincolati a rimanere a distanza ssata tra loro.
I continui deformabili invece si possono pensare come sistemi con inniti gradi di libert e le
equazioni di moto assumono la forma di equazioni differenziali alle derivate parziali.
1.2 Caratteristiche comuni
Quello che accomuna la descrizione dei sistemi continui lassunzione che esista una funzione di
densit (P, t) tale che la massa di una porzione D del sistema abbia massa data da
M(D) =
_
D
(P, t)dV , (1.1)
dove dV indica lelemento di volume nello spazio
1
.
Questa assunzione in contrasto con la struttura atomica della materia, e oggi la distribuzione
continua di materia considerata come una assunzione fenomenologica che permette di studiare
lequilibrio e il moto di corpi macroscopici su scale molto maggiore di quelle atomiche
2
. Questo si-
gnica che quando parliamo di punto nella teoria dei contuini dobbiamo ter conto che non si tratta
1
Qui assumiano che il continuo occupi, come realistico fare, una porzione dello spazio tridimensionale. In alcuni casi
per una o anche due dimensioni possono essere trascurate e si possono quindi adottare modelli di continuo bi- o mono-
dimensionali, come p.e. le membrane o le corde. In questo caso la funzione densit avra supporto bi o mono dimensionale
e lelemento di volume sar rispettivamente un elemento di area su una supercie o un elemento di lunghezza su una curva.
2
La teoria dei continui domin tutta la sica del diciannovesimo secolo, e fu denitivamente messa da parte come teoria
fondamentale della materia solo allinizio del ventesimo secolo sullimpulso del terzo articolo di Einstein del 1905, e delle
ricerche sperimentali di J.B. Perrin, che per questo ricevette il premio Nobel per la Fisica nel 1926.
2
di un punto geometrico ma di una piccola particella di materiale, tale da preservare le caratteristiche
del corpo macroscopico.
1.2.1 Relazioni cinematiche
La descrizione delle congurazioni che pu assumere un sistema continuo rispetto a un osserva-
tore, rappresentato da un sistema di riferimento S = (O, x
1
, x
2
, x
3
), prevede di ssare una regione
dello spazio C

, detta congurazione di riferimento, e una famiglia a un parametro (il tempo t) di


diffeomeorsmi
3
x = x(x

, t) , x

. (1.2)
Ad ogni istante t il continuo occuper la regione C(t) = {x| x = x(x

, t), x

}, detta
congurazione attuale del continuo. La (1.2) ci d lequazione di moto del punto del continuo
identicato dalletichetta x

.
La velocit del punto di etichetta x

quindi data da
v =
x(x

, t)
t
, (1.3)
e la sua accelerazione da
a =

2
x(x

, t)

2
t
. (1.4)
Al variare di x

, e prendendo x = x(x

, t), la (1.3) fornisce il campo di velocit


v = v(x, t) (1.5)
nella congurazione attuale.
La (1.3) e la (1.5) sono tipiche dei due modi di rappresentare le quantit fondamentali nella
descrizione dei continui. Nel primo caso si cerca una descrizione dei fenomeni seguendo i singoli
punti del continuo. Il continuo quindi pensato come una sorta di sistema formato da innite
particelle etichettabili e dotate di propria individualit, che possono essere sempre individuate e
seguite durante il moto. Questo modo di vedere prende il nome di descrizione lagrangiana. Nel
secondo caso il problema di individuare le particelle del continuo viene messo in secondo piano e ci
si concentra invece su ci che succede in un punto ssato dello spazio, indipendentemente da quale
particella del continuo lo stia attraversando. Questa descizione, che si adatta bene ai uidi (liquidi e
gas), specialmente qunado occupano sempre la stessa porzione di spazio (ovvero C(t) sempre lo
stesso insieme al variare di t), detta euleriana.
Nella descrizione euleriana ha senso quindi calcolare le quantit e le loro variazioni in funzione
del tempo, mantenendo ssa la posizione nello spazio dellosservatore. Questo , p.e., ci che fa un
anemometro quando misura la velocit del vento (il continuo ovviamente il gas atmosferico). Le
variazioni temporali di queste misurazioni di velocit saranno quindi espresse dalla
v(x, t)
t
, (1.6)
che si ottiene dal confronto delle registrazioni della velocit al passare del tempo. La derivata in
(1.6) non deve essere confusa con laccelerazione di una particelle di continuo.
E possibile stabilire un legame generale tra le variazioni delle quantit nelle due descrizioni.
Indichiamo con g una quantit qualsiasi (scalare) attribuita al continuo (densit, massa, le singole
3
Differomorsmo = applicazione dello spazio in s, differenziabile, invertibile e con inversa differenziabile.
3
componenti della velocit in un riferimento cartesiano, etc.). Nella descrizione lagrangiana questa
sar pensata come attribuita a una singola particella e la sua rappresentazione matematica sar
g = g(x

, t) , (1.7)
e la sua derivata (parziale) rispetto al tempo, a x

ssato, ci d la sua variazione temporale nel punto


x(x

, t) che sta seguendo il moto del continuo.


Losservatore euleriano invece potr osservare variazioni in t a x ssato e variazioni nello spazio
(piazzando pi rilevatori in punti vicini) a tempo t ssato.
Il legame tra queste differenti variazioni si ottiene osservando che da un punto x dello spazio, al
tempo t, sta transitando la particella la cui etichetta x

soddisfa x = x(x

, t). Quindi losservatore


euleriano sta calcolando la quantit
g(x, t) = g(x(x

, t), t) . (1.8)
Derivando rispetto al tempo la relazione (1.8), otteniamo
d
dt
g(x, t) =
d
dt
g(x(x

, t), t) =

t
g(x, t)+

t
x(x

, t)g(x, t) =

t
g(x, t)+v(x, t)g(x, t) ,
(1.9)
dove si sostituito alla velocit del punto, nella sua espressione lagrangiana

t
x(x

, t) il valore del
campo di velocit v(x, t) misurato dallosservatore euleriano (si ricordi che il punto di etichetta x

sta passando dal punto x nello spazio).


La derivata
d
dt
prende il nome di derivata lagrangiana o sostanziale, mentre le variazioni

t
g(x, t)
e g(x, t) =

xi
g(x, t)e
i
sono dette derivate euleriane.
Particolamente importante la formula di passaggio tra la derivata lagrangiana della velocit
(che laccelerazione del punto del continuo) e le rispettive derivate euleriane. Sia ha
a(x, t) =
d
dt
v(x, t) =

t
v(x, t) +v(x, t) v(x, t) , (1.10)
dove il prodotto scalare v(x, t)v(x, t) va inteso come il vettore le cui componenti sono il prodotto
scalare della velocit con il gradiente delle corrispondenti componenti di v, ovvero
(v(x, t) v(x, t))
i
=

k
v
k
v
i
x
k
, (1.11)
Denizioni
Introduciano un po della nomenclatura che useremo in seguito.
Nella formulazione euleriana chiameremo linee di usso del campo di velocit quelle curve tali
che in ogni loro punto il campo di velocit risulti tangente alla linea stessa (in termini pi matematici
esse sono dette curve integrali del campo vettoriale). Va notato che se il campo di velocit varia nel
tempo, anche le linee di usso cambiano da istante a istante.
Quindi esse differiscono in genere dalle traiettorie delle particelle di continuo (nella formu-
lazione lagrangiana); linee di usso e traiettorie coincidono per quando il campo di velocit (nella
rappresentazione euleriana) non varia nel tempo, ovvero la velocit euleriana costante nel tempo
in ogni punto (ma pu variare da punto a punto). Tali campi sono detti stazionari, e le linee di usso
prendono il nome di linee di corrente.
Data una linea non tangente al campo di velocit, linsieme delle linee di usso da essa uscenti
detto supercie di usso; nel caso caso in cui la curva sia chiusa la supercie detta tubo di usso.
Nel caso stazionario questi prendono il nome rispettivamente di superci e tubi di corrente.
4
Dato un campo vettoriale nello spazio tridimensionale possibile associargli un nuovo campo
vettoriale prendendone il rotore. Ricordiamo che, dato X, il suo rotore rot X(indicato anche con il
simbolo X) dato dal risultato dello sviluppo formale (rispetto alla prima riga) del determinate
rot X =

e
1
e
2
e
3

x1

x2

x3
X
1
X
2
X
3

=
_
X
3
x
2

X
2
x
3
_
e
1
+
_
X
1
x
3

X
3
x
1
_
e
2
+
_
X
2
x
1

X
1
x
2
_
e
3
(1.12)
Il rotore del campo di velocit v, = rot v, detto vorticit del campo di velocit. La sua
importanza illustrata dal caso particolare in cui il moto del continuo sia un moto rigido: in questo
caso la vorticit del campo costante e coincide con (due volte) la velocit angolare, 2 , del moto
rigido. Nel caso generale possiamo quindi pensare alla vorticit come al campo vettoriale che misura
localmente la parte di moto rigido rotazionale (non traslazionale) presente nel campo di velocit.
Un campo di velocit per cui rot v = 0 in ogni punto detto irrotazionale.
Data una curva regolare si dice circuitazione del campo v su lintegrale
C

=
_

v dP . (1.13)
Il legame tra circuitazione e rotore dato dal teorema di Stokes, che dice che se () una qualsiasi
supercie regolare avente come bordo, e tale che rot v sia denito per ogni punto di (), allora
C

=
_

v dP =
_
()
rot v nd, (1.14)
dove n il versore normale alla supercie e d lelemento di supercie.
Ne segue che se un campo v irrotazionale e se per ogni curva chiusa esiste una supercie
() di cui il bordo, allora la circuitazione nulla su qualsiasi curva chiusa: in questo caso il
campo il gradiente di una funzione scalare , ovvero
v = , (1.15)
la funzione detta potenziale di velocit
4
.
1.2.2 Una formula utile
Tramite loperatore rotore possibile riscrivere il legame tra accelerazione e le derivate euleriane
della velocit espresso dalla formula (1.10). Abbiamo infatti, come facile anche se laborioso
vericare direttamente,
v(x, t) v(x, t) =
_
1
2
v
2
_
+ rot v v, (1.16)
dove indica il prodotto vettore. Da questa formula segue
d
dt
v(x, t) =

t
v(x, t) +
_
1
2
v
2
_
+ rot v v, (1.17)
4
Attenzione: un campo pu essere irrotazionale ma non essere globalmente il gradiente di una funzione. Il controesempio
il campo
V =
1
x
2
1
+ x
2
2
(x
2
e
1
x
1
e
2
)
che irrotazionale ma dove la condizione sulle curve violata. Infatti il campo non dento in tutti punti della retta
{x
1
= x
2
= 0} e quindi non esiste alcuna supercie () di cui sia il bordo se la curva gira attorno alla retta
{x
1
= x
2
= 0}. In questo caso abbiamo che C() = 2k dove k il numero di giri della curva attorno alla retta.
5
1.2.3 Lequazione di continuit
La prima equazione fondamentale per lo studio del moto di un sistema continuo discende dal prin-
cipio di conservazione della massa. Fissiamo un istante t
0
e un insieme S(t
0
) di punti del continuo
e seguiamola durante il moto no a un istante t. I punti che si trovavano in S(t
0
) a seguito del moto
occuperanno ora una nuova regione S(t). Il principio di conservazione della massa ci dice che la
quantit di materia contenuta in S(t) la stessa che prima era contenuta in S(t
0
). Possiamo formu-
lare questo princio di conservazione in termini lagrangiani assumendo S(t
0
) come congurazione
di riferimento. Avremo allora
_
S(t)
(x(x

, t), t)dx =
_
S(t0)
(x

, t
0
)dx

. (1.18)
Inoltre, per la continuit del moto, i punti che appartenevamo al bordo di S(t
0
) occupano ora il
bordo di S(t). Possiamo derivare la (1.18) rispetto al tempo, e otteniamo

t
_
S(t)
(x(x

, t), t)dx = 0 . (1.19)


Il calcolo di questa derivata per non facile: esso infatti deve tener conto sia della variazione
locale della funzione di densit sia del fatto che il dominio di integrazione S(t) varia rispetto a t.
Possiamo per osservare lo stesso fenomeno dal punti di vista euleriano: ssiamo una regione
dello spazio S che, in un certo intervallo di tempo, resta sempre allinterno del continuo. In questo
caso la variazione della massa contenuta da S in un intervallo dt sar espressa dalla differenza
M(dt) =
_
S
(x, t +dt)dx
_
S
(x, t)dx. (1.20)
e la variazione istantanea dal limite di M(dt)/dt per dt 0, ovvero

t
_
S
(x, t)dx. (1.21)
Poich ora il dominio di integrazione ssato, possiamo derivare sotto il segno di integrale

t
_
S
(x, t)dx =
_
S

t
(x, t)dx. (1.22)
Resta per da legare questa quantit al moto del continuo. Nellintervallo di tempo dt alcune parti-
celle del continuo avranno abbandonato la regione S in seguito del loro moto, mentre altre particelle,
che prima non era nella regione, saranno entrate in S. Per far ci queste particelle devono attraver-
sare il bordo S della regione S. Ogni particella che attraversa la frontiera trasporta con s una
quantit (o meglio una densit) di massa pari a (x, t).
Se dt sufcientemente piccolo, una particella che occupava la posizione x al tempo t si trover
il x + v(x, t)dt allistante t + dt. Questa particella sar uscita da S se, e solo se, x S e x +
v(x, t)dt / S, mentre sar entrata se x / S e x + v(x, t)dt S.
Se il punto x sufcientemente lontano dal bordo S, i punti x e x + v(x, t)dt apparterranno
entrambi o a S o al suo complementare. Quando invece il punto x sufcientemente vicino al bordo
S, allora il punto x + vdt potr trovarsi nel complementare dellinsieme che contiene x. Per far
ci il punto che occupava la posizione x deve avere una componente di velocit non nulla nella
direzione perpendicolare al bordo, ovvero dovremo avere, indicando con n
e
la normale esterna al
bordo, v n
e
= 0. In particolare avremo v n
e
> 0 per i punti che escono da S e v n
e
< 0 per
quelli che entrano.
6
Passando al limite per dt 0 avremo quindi che il bilancio tra particelle uscenti e quelle entranti
dato dallintegrale
_
S
(x, t)v(x, t) n
e
(x)d, (1.23)
ovvero dal usso del campo vettoriale attraverso la superce S. Poich questo usso positivo
quando le particelle uscenti sono di pi di quelle entranti, esso sar uguale alla variazione di par-
ticelle dentro S, cambiata di segno, e possiamo inne scrivere la legge di bilancio della massa, in
forma integrale,
_
S

t
(x, t)dx +
_
S
(x, t)v(x, t) n
e
(x)d = 0 , (1.24)
Lintegrale (1.23) pu essere espresso tramite un integrale di volume per il teorema di Gauss,
che ci dice che per un campo vettoriale u vale
_
S
u(x, t) n
e
(x)d =
_
S
div u(x, t)dx, (1.25)
done div v rappresenta la divergenza del campo vettoriale v, ed la funzione scalare denita da
div u =
u
1
x
1
+
u
2
x
2
+
u
3
x
3
. (1.26)
Ne segue che possiamo riscrivere la (1.24) nella forma
_
S

t
(x, t)dx +
_
S
div ((x, t)v(x, t)) dx = 0 . (1.27)
Inne possiamo fruttare il fatto che S unarbitraria regione dentro il continuo, ovvero la (1.27)
deve valere per qualsiasi sottoinsieme S del continuo. Ci possibile solo se la funzione integranda
nulla in ogni punto, ovvero se si ha

t
(x, t) + div ((x, t)v(x, t)) = 0 , (1.28)
per ogni punto x ad ogni tempo t. La (1.28) prende il nome di equazione di contnuit o di
conservazione della massa.
Ponendo u = v in (1.26), otteniamo div (v) = v + div v, che ci permette di scrivere
(1.28) nella forma

t
(x, t) +(x, t) v(x, t) +(x, t)div v(x, t) = 0 . (1.29)
Possiamo inne osservare che i primi due addendi nella (1.29) ci danno la derivata lagrangiana della
densit, e quindi possiamo riscrivere lequazione di continuit in forma lagrangiana
d
dt
(x, t) +(x, t)div v(x, t) = 0 . (1.30)
7
Capitolo 2
Equazioni indenite
Qui prendiamo in considerazione il problema dellequilibrio di un continuo e dedurremo delle
equazioni generali valide per ogni tipo di continuo
1
.
Questo sistema di equazioni di per se incompleto, le incognite che appaio nelle equazioni
superano in numero le equazioni stesse. Per questo vengono spesso chiamate equazioni inde-
nite. La chiusura del sistema delle equazioni di equilibrio (o del moto) avviene introducendo
delle relazioni tra le incognite presenti nelle equazioni, che possono eventualmente coinvolgere altre
quantit incognite come, p.e., la temperatura. Queste relazioni sono note con il nome di relazioni
costitutive e di fatto discriminano il comportamento di classi diverse di continui iniziando dalla dis-
tinzione tra uidi e solidi, a loro volta suddivisi a seconda del loro modo di muoversi-deformarsi in
funzione delle forze applicate.
2.1 Schema per le forze
Consideriamo un continuo che occupi una parte C dello spazio, e consideriamo una sua qualsiasi
sotto parte S, che supponiamo contenuta nellinterno di C in modo che anche il bordo S sia interno
a C.
Lipotesi che facciamo divide le forze in due categorie: le forze di massa e le forze di supercie.
Con il termine forze di massa intendiamo quelle che si esercitano su ogni parte S del continuo
indipendentemente dal fatto che S sia contenuta nel continuo. Lesempio tipico (e quasi esclusivo)
di questo tipo di forze il peso. Ogni sotto parte del continuo pesante indipendentemente dal
fatto di essere parte o no di C. Laltro esempio quello delle forze centrifughe nel caso di un sistema
che si trovi in un riferimento non inerziale.
Queste sono forze le cui reazioni sono generalmente applicate a punti al di fuori del continuo
2
.
Chiameremo queste forze forze di massa.
Ovviamente quando isoliamo una parte S di continuo dal resto, il suo equilibrio sar determi-
nato, oltre che dalle forze di massa, dallinterazione di questa parte con il resto del continuo stesso.
1
In realt ci sono modelli per la descrizione dei sistemi continui che portano a sistemi di equazioni pi complessi. Un
esempio famoso quello dei cosidetti continui di Cosserat nella teoria dellelasticit.
2
Questo vero solo approssimativamente, ogni parte del continuo, avendo una massa, esercita una attrazione gravi-
tazionale sul resto del continuo. Questa forza di autoattrazione generalmente trascurabile in confronto al peso nelle
applicazioni alla meccanica degli oggetti quotidiani ma non pu essere trascurata se p.e. stiamo costruendo un modello con-
tinuo per lo studio dellevoluzione di ammassi stellari. Altro esempio importante quello di corpi elettrostaticamente carichi,
tipo gas ionizzati dove si devono tener in conto le forze elottrostatiche (almeno quelle, poi ci sono i fenomeni di induzione
dovuti al moto delle cariche e ...).
8
Per chiarire, se abbiamo un serbatoio di liquido in quiete, una regione qualsiasi allinterno del liq-
uido non cade sotto leffetto della gravit perch viene sostenuta dal resto del liquido (spinta di
Archimede).
Il modello standard della meccanica dei continui assume che questa azione si eserciti su S solo
attraverso il bordo della regione S. Inoltre si assume che lazione esercitata in ogni punto di
S assuma la forma di una forza (per unit di supercie) e che dipende solo dalla direzione della
normale n alla supercie stessa
3
. Chiameremo queste forze forze di supercie.
Quindi in ogni punto del continuo avremo una densit (volumetrica) di forze di di massa che
rappresenteremo in genere nella forma (P)f (P), dove (P) la densit di massa nel punto P, e
una funzione vettoriale (P, n), dipendente oltre che dal punto P da un versore n, detta stato di
tensione, che rappresenter, per ogni punto P la tensione ovvero la (densit superciale di) forza
che si esercita su una supercie passante per P e avente n come normale
4
. Il principio di azione
e reazione ci dice che la forza esercitata dal resto del continuo sulla porzione in esame deve essere
equilibrata dalla quella esercitata da questa porzione sul resto del continuo. Poich la supercie di
separazine la stessa, e cambia solo il verso del vettore normale, avremo che
(P, n) = (P, n) . (2.1)
Lequazione (vettoriale) indenita della statica dei continui stabilisce un legame tra f e . Essa
parte dallassunzione che per ogni sottoparte S del continuo devono valere le equazioni cardinali
della meccanica.
Prendiamo quindi in considerazione la parte S. Su di essa si esercitano delle forze di massa la
cui densit indicheremo con f e quindi la forza di massa totale che si esercita su S data da
_
S
(P)f (P)dV , (2.2)
dove dV denota lelemento di volume.
Le forze di supercie invece esercitano la loro azione attraverso il bordo S e la forza comp-
lessiva si ottiene dallintegrale superciale
_
S
(P, n)dS , (2.3)
dove dS indica lelemento di supercie.
La prima equazione cardinale stabilisce che le forze totali agenti su una qualsiasi parte del con-
tinuo devono annullarsi e quindi che i due integrali (2.2) e (2.3) devono avere somma vettoriale nulla
,
_
S
(P)f (P)dV +
_
S
(P, n)dS = 0 , (2.4)
La seconda equazione cardinale si scrive semplicemente scegliendo un punto qualsiasi O e
imponendo, in modo analogo a quanto fatto per le forze, lannullarsi dei momenti
_
S
(P O) (P)f (P)dV +
_
S
(P O) (P, n)dS = 0 , (2.5)
3
Il modello di Cosserat prevede invece di tenere in conto, oltre a una distribuzione di forze, anche una distribuzione di
momenti sulla supercie di separazione. Anche lipotesi di dipendenza dalla sola direzione normale non sufciente quando
si vogliono studiare continui non omogenei, p.e. continui bifase, dove le forze che si esercitano attraverso le superci di
separazione delle fasi dipendono anche dalla curvatura della supercie di separazione (tensione superciale)
4
Per convenzione si assume che se la supercie chiusa, n sia la normale esterna.
9
2.2 Il teorema di Cauchy
La dipendenza del vettore dalla direzione della normale n determinata dal teorema di Cauchy:
Teorema 2.2.1 In ogni punto del continuo denito un tensore simmetrico T(P), detto tensore
degli sforzi, tale che lo sforzo (P, n) dato da
(P, n) = T(P)n, (2.6)
ovvero, in un sistema di coordinate cartesiano ortogonale,

k
(P, n) =
3

h=1
T
k
h
(P)n
h
. (2.7)
Per dimostrare il teorema prendiamo, allinterno del continuo, un tetraedro T con tre faccie a
due due perpendicolari tra loro.
Scegliamo gli assi coordinati centrati nel vertice intersezione delle faccie perpendicolari che
quindi giaceranno sui tre piani coordinati x
i
= 0 e avranno per versori normali esterni i vettori della
base cambiati di segno, e
i
. Sia inoltre n la direzione normale alla giacitura della quarta faccia del
tetraedro, quindi n =

3
i=1
cos(e
i
, n)e
i
. Se indichiamo con d larea della faccia perpendicolare
a n e con d
i
le facce sui piani cartesiani, si ha che d
i
= cos(e
i
, n)d.
Applichiamo ora a T le equazioni indenite dellequilibrio. Assumiamo che il tetraedro sia
sufcientemente piccolo da poter considerare costanti sia le forze di massa al suo interno sia lo stato
di tensione sulla sua supercie (in questo caso viene trascurata solo la dipendenza dal punto nello
spazio; lo stato di tensione continua a dipendere dalla direzione normale alla supercie). La prima
delle equazioni indenite diventa
(P)f (P)dV +
3

i=1
(P, e
i
) cos(e
i
, n)d +(P, n)d = 0 . (2.8)
Ora mandiamo a zero le dimensioni del tetraedro (mantenedo le facce parallele): lelemento di
volume un innitesimo di ordine superiore rispetto allelemento di supercie e quindi da (2.8)
(ricordando la (2.1)) otteniamo la relazione
(P, n) =
3

i=1
(P, e
i
) cos(e
i
, n) =
3

i=1
(P, e
i
)n
i
. (2.9)
Possiamo inne introdurre il tensore (matrice) T(P) le cui colonne coincidono con i vettori (P, e
i
)
e la (2.9) diventa la (2.7).
Un calcolo analogo per la seconda equazione cardinale ci porta alla relazione
T
k
i
= T
i
k
, (2.10)
ovvero alla simmetria del tensore degli sforzi.
2.3 Le equazioni indenite
Il teorema di Cauchy permette di formulare la prima equazione cardinale in forma differenziale.
Riscriviamo la (2.4), per ciascuna delle tre componenti scalari, introducendo la forma di (P, n)
data da (2.7)
_
S
(P)f
k
(P)dV +
_
S
3

h=1
T
k
h
(P)n
h
dS = 0 . (2.11)
10
La funzione integranda nellintegrale superciale in (2.11) ha la struttura di prodotto scalare di un
campo vettoriale, le cui componenti sono date dagli elementi della k-esima riga del tensore degli
sforzi, con il versore della normale esterna sul bordo del dominio S.
Possiamo quindi usare il teorema della divergenza e riscrivere la (2.11) trasformando lintegrale
di supercie in un integrale di volume
0 =
_
S
f
k
dV +
_
S
div
_
3

h=1
T
k
h
e
h
_
dV =
_
S
(P)f
k
dV +
_
S
3

h=1

x
h
T
k
h
dV . (2.12)
Poich il dominio S per cui sono scritte le equazioni arbitrario, ne segue che la funzione integranda
deve essere nulla, ovvero, in ogni punto P del continuo devono essere vericate le tre equazioni
differenziali
(P)f
k
+
3

h=1

x
h
T
k
h
= 0 . (2.13)
A sua volta il termine

3
h=1

x
h
T
k
h
pu essere pensato come la k-esima componente di un vettore
che viene tradizionalmente indicato con la notazione div T, e lequazione viene riscritta nella forma
vettoriale
f + div T = 0 . (2.14)
Nota: nei problemi di statica dei sistemi continui le forze di massa sono generalmente note, mentre
non noto lo stato di tensione interna raprentato dal tensore T. Le (2.13) sono quindi un sistema
di equazioni necessari per la determinazione delle componenti del tensore simmetri T. Poich
questultimo ha sei componenti, in generale non possibile determinarlo solo dalle (2.13). Inoltre
le (2.13) sono un sistema di equazioni alle derivate parziali che devono essere accompagnate da
opportune condizioni alla frontiera esterna continuo, che possono essere espresse in termini di forze
di supercie assegnate.
2.3.1 Le equazioni della dinamica
Le equazioni della dinamica si ottengono dalle equazioni della statica per mezzo del Principio di
dAlembert che dice che le equazioni della dinamica si ottengono dalle equazione della statica sos-
tituendo alle forze applicate la differenza tra le forze applicate e quelle inerziali (dette anche forze
perdute). Nel caso dellequazione indenita (2.14) questo signica che al posto del termine f
dobbiamo inserire la differenza (f a), dove a laccelerazione del punto del continuo. Quindi si
ha
(f a) + div T = 0 . (2.15)
Ricordiamo che il campo vettoriale a(x, t) pu essere espresso tramite la derivata lagrangiana
del campo di velocit e quindi possiamo riscrivere la (2.15) come

d
dt
v = f + div T, (2.16)
o ancora, sfruttando lespressione euleriana del campo di accelerazione

t
v +v v = f +
1

div T, (2.17)
che pu essere ancora riscritta usando la (1.17)

t
v +
_
1
2
v
2
_
+ rot v v = f +
1

div T, (2.18)
11

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