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SOLILOQUI SUL DIVINO

MEDITAZIONI SUL SEGRETO CRISTIANO

edizioni studio domenicano


TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI 1997 - PDUL Edizioni Studio Domenicano Via dell'Osservanza 72 - 40136 Bologna - ITALIA - Tei. 051/582034 Finito di stampare nel mese di novembre 1997 presso le Grafiche Dehoniane - Bologna

giuseppe barzaghi sacerdote domenicano. Nato a Monza (MI) il 5.3.1958. Dottore in Filosofa (Univ. Cattolica di Milano) e Teologia (Pont. Univ. S. Tommaso in Roma). Docente di epistemologia teologica (Univ. Cattolica di Milano e Studio Teologico Accademico Bolognese) e filosofia teoretica (Ateneo domenicano di Bologna). Socio della Pontificia Accademia di S. Tommaso d'Aquino. Direttore della rivista Divus Thomas. Principali pubblicazioni: Metafisica della cultura cristiana (ESD, Bologna 1990); La meditazione (ESD, Bologna 1992); L'essere, la ragione, la persuasione (ESD, Bologna 1994); La filosofia della predicazione (ESD, Bologna 1995); Dio e ragione. La teologia filosofica di S. Tommaso d'Aquino (ESD, Bologna 1996); Dialettica della Rivelazione. Proposta di una sistematica teologica (ESD, Bologna 1996); Diario di metafisica. Concetti e digressioni sul senso dell'essere (ESD, Bologna 1997).

INDICE
II

segreto .....p. 9

La genialit...p. 16 Lo sguardo di Dio......p. 22 II mestiere del teologo ......p. 29 II ragionare divino ...p. 35 II soliloquio sul divino...........p. 44 La teologia..........p. 55 L'esplosione del dogma ............p. 70 II punto di vista dell'eterno........p. 75 L'eterno nel Cristianesimo....p.. 82 La conoscenza di fede..p. 96 La divinizzazione..p. 103 L'esperienza di grazia...............p. 117 I gradi dell'esperienza di grazia.........p. 124

La contemplazione..p. 140

Flevi Adoratione Passus Benedictae Umbrae Paradisi Genua Flectens

IL SEGRETO
Non ne posso pi! Non ne posso pi! Io tra poco scoppio. Mi sento tutto ribollire. Non so neppure se si tratti di un ribollire fisico o spirituale. E inutile che io continui a ripetermi che devo stare calmo: anche questa una forma di tortura, che non fa altro che alimentare la tempesta, Non riesco pi a sopportare i discorsi che sento fare sul cristianesimo. Dio mio, che tormento! A volte non riesco neppure a sopportare di sentir pronunciare la parola Ges. Perch tutto questo alone di falsa dolcezza? Perch ci si crogiola in racconti sospesi a mezz'aria tra una storia che vuole o deve essere cruda e una fantasia addomesticata e bugiarda? Ma chi si accontenta della pura storia? Che cosa vuoi dire che un fatto storico? Forse che ha la garanzia della verit? Pi vado avanti e pi mi convinco che alla classica divisione binaria del senso del termine stona occorre aggiungere un terzo senso: alla storia come res gestae - cio gli avvenimenti - e alla storia come rerum gestarum - cio la ricerca o la ricostruzione dei fatti storici e delle loro cause - si deve aggiungere la storia come frettala... La storia come ricerca e ricostruzione degli accadimenti sempre accompagnata da una buona dose di soggettivit, di pareri personali, di punti di vista opinabili, di interessi di parte. Chiss se arriva a cogliere obiettivamente il suo bersaglio, oppure lo coglie per il semplice fatto che il suo bersaglio precostituito e gi colpito prima ancora di essere mirato. 10 Quando ci penso, mi viene in mente la barzelletta del pescatore che racconta a un amico come andata la pesca. Un pesciolino di pochi centimetri diventa un tonno... Oppure, quando non ci si fonda sulla testimonianza diretta, ma ci si affida alla documentazione mediata di altri - si riportano cio le voci - la cosa si trasforma in chiacchiera, diceria, con le solite espansioni del caso: la leggera sordit, per il movimento di cerume nell'orecchio, dopo una nuotata, alla fine della "comunicazione di notizia" diventa una sordit permanente per embolia... La storia quasi sempre un gioco all'espansione: ci si diverte a gonfiare le notizie e a drammatizzarle per renderle pi credibili, cio pi realistiche... E poi ci si accorge che questo reale tutto fantasticato frottolosamente\ (Non un errore di stampa: frettolosamente = neologismo avverbiale da trottola; come frettolosamente viene da fretta. Che poi la trottola storica dipenda dalla fretta della narrazione o del narratore questione che lascio volentieri risolvere ad altri). Viva il razionalismo - almeno qui. Ho sempre gustato a fondo la celebre pagina del Discorso sul metodo (parte prima) di Cartesio relativa alla storia. Dice Cartesio: Le favole fanno immaginare come possibili molti avvenimenti che non lo sono per nulla e... le storie pi

fedeli, ammesso che non cambino ne aumentino il valore delle cose per renderle pi degne di esser lette, omettono quasi sempre le circostanze pi basse e meno illustri; e da ci deriva che il resto non appare pi quello che . D'altra parte, un fatto un fatto: da solo non dice niente; oppure non dice altro oltre al fatto che c', che succede o che successo qualcosa. Il che cosa sia poi il qualcosa che succede, o che successo, non un fatto, ma un'essenza: qualcosa di stabile, che non ha niente a che vedere con l'accadere. Ci che accade un qualcosa di determinato: ci che conta il qualcosa che accade, non l'accadere di questo qualcosa. L'accadere come accadere anonimo.

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Quanto all'accadere, la nascita di un uomo e l'accensione di un fiammifero sono uno stesso fatto. Solo dal punto di vista del che cosa (cio l'essenza) accade, si pu rilevare la differenza e il diverso grado di importanza dell'accadimento. Perci l'accadimento, l'evento in quanto evento, non ha un grande valore. Ecco, forse proprio questo concetto che mi infastidisce tanto nel modo narrativo con cui sento farfugliare la "proposta" cristiana. Non sopporto pi il sentir parlare di "Evento" cristiano, insistendo sulla nozione di "Evento". La riduzione del Cristianesimo ad evento uno svilimento del Cristianesimo stesso. Ed ovvio che questa insistita sottolineatura dell'Evento intende essere proposta come una qualificazione essenziale del Cristianesimo. Si insiste nel dire: "II Cristianesimo un Evento, anzi l'Evento per eccellenza". Bella trovata! Cos si introduce l'insignificante nel significato: si fa diventare insignificante ci che si vuoi invece caricare di significato ! Se in quanto fatto, accadimento, evento, l'accensione di un fiammifero e la nascita di un uomo sono equivalenti, l'introduzione della fattualit nell'ordine dell'essenza del Cristianesimo equivale alla riduzione del valore del Cristianesimo all'accensione di un fiammifero... Mi inchino a tanta arguzia... e a tanta... elasticit mentale! Per, anche se siamo nell'era della plastica e della gomma, mi ostino a pensare che l'intelletto non sia un derivato del petrolio, ne sia fatto di caucci - pur riconoscendo le ovvie eccezioni che il caso menzionato comporta... E che enfasi ridicola accompagna questa strana teologia dell'evento, quando diventa omelia. "Dio,... colui che da sempre,... l'eterno,... irrompe nella storia; si fa uno di noi e cammina accanto a noi...". Mentre pronunciava queste parole, il predicatore che ho ascoltato teneva gli occhi chiusi, la testa rivolta verso l'alto e 12 soppesava quello che diceva con pause che volevano significare l'importanza e la solennit del suo dire. Eh s, quanta ispirazione ci vuole per dire delle corbellerie! O comunque ci vuole del gran coraggio per spacciare come ispirate delle sciocchezze. Stando a questa sontuosa descrizione, l'essenza del Cristianesimo si risolverebbe in una passeggiata con un extraterrestre, camuffato da uomo, dopo che precipitato sulla terra.

Certo che se le cose stessero proprio in questi termini, il Cristianesimo sarebbe la trama di un film ad effetti speciali. A saperlo raccontare e interpretare bene dal pulpito, si farebbe il record di incassi nelle questue della messa domenicale... Perch sono delle corbellerie? E presto detto. Per prima cosa, Dio certamente eterno, anzi la stessa eternit, ma questo non mica sinonimo di essere da sempre e per sempre. Eterno non ci che non ha principio ne fine perch ha una durata interminabile. A questa condizione anche il tempo sarebbe eterno: una durata infinita di istanti successivi. Ma l'eternit non il tempo. Non la si misura allo stesso modo. La durata dell'eterno un istante insuccessivo, cio assolutamente permanente. L'eternit tutta insieme in un istante, non da sempre e per sempre come se fosse estesa all'infinito in modo indeterminato. / Per favore, non cominciamo a fantasticare un Dio con la barba e i capelli bianchi alla Matusalemme! In secondo luogo, Dio non irrompe nella storia, perch non irrompe da nessuna parte. Con buona pace dei sostenitori della tesi della assoluta onnipotenza divina, Dio non pu far parte dei nuclei speciali antisommossa. Dio non irrompe da nessuna parte perch, in forza della presenza di immensit, ovunque. Cos il sempre successivo del tempo permeato da sempre dalla presenza insuccessiva di Dio. In terzo luogo, Dio non pu proprio farsi uno di noi, perch Dio non pu farsi proprio un bei niente. Dio non pu mutare, divenire: quindi non pu farsi o divenire l'altro da s. 13 Un Dio che cambia non Dio. Se cambiasse, ci dipenderebbe o dall'acquisire qualcosa o dal perdere qualcosa. Nell'uno, come nell'altro caso, Dio sarebbe o prima o dopo mancante di qualcosa: non sarebbe cio l'assoluta perfezione, alla quale - appunto - non manca assolutamente nulla. In quarto luogo - ma si tratta di una conseguenza -, Dio non cammina accanto a noi, perch non pu divenire (camminare) e non pu esserci accanto, visto che in noi, come in ogni cosa, per la sua presenza di immensit. Come sono stanco di sentire quelle fanfaronate contrabbandate per esigenze di linguaggio pastorale, quando invece sono il velo pietoso che nasconde l'ignoranza o l'insufficienza di un prete. Non riesco pi a trattenermi perch sento che si tratta di un tradimento. Anche mio, se sto zitto. La cosa tragica che se le cose stessero in quei termini, se il Cristianesimo fosse davvero quella "passeggiata con l'extraterrestre", io mi tirerei fuori dalla comitiva. Ho paura di non saper pi credere. Sto per lungo tempo davanti al tabernacolo, ma non riesco a partorire nessun affetto o pensiero teologico... "Davanti a t sto come una bestia, Signore!". Il silenzio claustrale mi soffoca e mi protegge... Unica consolazione la compagnia angelica. 10 sono uno gnostico che sa ancora gridare: "abbi piet di me, Signore!". Ten ten ten ten ten ten... 11 suono, quasi lieve e monotono, della campanella che indica all'esterno l'inizio dell'ufficiatura corale, mi richiama a un senso di piet.

E tutto si rappacifica. E come una dolce sconfitta. Si soccombe volentieri perch la giusta seriet della vita smorza ogni violenza e attutisce ogni clamore sguaiato. Per provarla e riprovarla, a volte mi metto a guardare, ascoltando il ricercar a tr deH'Offerta Musicale di]. S. Bach, lo spet14 tacolo apparentemente desolante delle case diroccate o quelle che negli anni settanta venivano occupate: imbrattate di scritte; panni stesi dove ci si sarebbe aspettati di vedere delle colorite ed eleganti fioriere. Che strano senso di pace si coglie nell'accet-tare ci che perch , cos com'. E la bellezza della resa di fronte a ci che giusto perch irreversibilmente cos com'. Il giusto gode di una particolare bellezza: non esaltante, ne avvilente. E una specie di solitudine eroica, come quella che pu evocare la tonalit di do minore. Non la storia che maestra di vita, ma la vita che maestra a se stessa. La vita non ha segreti fuori di s. La vita stessa il segreto pi profondo. Non si pu disprezzare la vita. Lo stesso disprezzo della vita paradossalmente un'esigenza vitale: dettato dalla vita che vuole una maggior pienezza di s. Cos, anche il Cristianesimo, con il suo profondo segreto, il suo mistero, appartiene all'ordine della vita. Non pu essere altrimenti. Il segreto cristiano un segreto vitale. Forse proprio questo il motivo per il quale sento come un tradimento la descrizione dell'essenza del Cristianesimo in termini sgradevolmente fiabeschi o di una asettica fenomenologia da enciclopedia delle religioni. Nella sua essenza, il Cristianesimo vita. E il segreto di questa vita Dio stesso. S, il Cristianesimo il coinvolgimento della vita divina con la vita umana e il coinvolgimento della vita umana con la vita divina. La parola che racchiude in s questo segreto la parola Grazia. La Grazia infatti la partecipazione della vita divina alla creatura ragionevole. L'uomo, in forza della Grazia, in comunione con la vita divina, perch la vita divina si manifesta come presente nella vita umana. 15 II segreto cristiano dunque il segreto della divinizzazione della vita umana e della umanizzazione della vita divina. Perch non si parla pi della Grazia? Oppure, se se ne parla, se ne parla in termini pi fumosi di una intossicante liturgia manierista? Forse aveva ragione mio nonno quando mi diceva: "Un tempo c'erano i calici di legno e le teste d'oro; adesso ci sono i calici d'oro e le teste di legno ! ". Io aggiungerei che ci sono anche le teste di gomma...

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LA GENIALIT
Secondo me la vita cristiana una vita geniale: la vita tipica di un genio. Lo so benissimo che quando lo dico mi attiro le critiche un po' di tutti: sia dei benpensanti, sia dei malpensanti. I benpensanti, quelli che si fanno paladini indefessi della tradizione, vedono in questo il capovolgimento di uno schema intangibile: una specie di violenza modernistica al senso genuino delle formulazioni dogmatiche della dottrina cristiana. I malpensanti, cio quelli che sono "contro" ad oltranza, avvertono il medesimo capovolgimento come un'astuzia propagandistica, una forma di camuffamento della vecchia e "stantia" dottrina sotto le sembianze di una superficiale o apparente novit, fatta soltanto di parole. Insomma, per i benpensanti come se io dicessi che si pu mangiar carne il venerd di quaresima; per i malpensanti, invece, come se io dicessi che il venerd di quaresima si pu mangiare la carne rancida con abbondanti spezie: perch in quanto rancida non pi carne; in quanto speziata non mica rancida... Che guaio, eh? Eh s, un'impresa davvero difficile accontentare "palati" tanto fini. E se si trattasse davvero soltanto di palato, il guaio sarebbe ancora pi grave. Come si fa a pensare con il palato? Questo s sarebbe un vero "capovolgimento" fuor di metafora, non il mio. E poi, visto che si tratta di pensare: prima ancora di essere benpensanti o malpensanti, occorre essere pensanti, punto e 17 basta. I pregiudizi, buoni o cattivi che siano, devono essere sempre esclusi. Ebbene, proprio il pensiero che spinge a dire che la vita cristiana una vita che possiede i modi tipici della genialit. Il pensiero che dice queste cose la teologia, cio la scienza che vuole comprendere in modo ragionevole la fede. Non per dimostrarne il contenuto - non sono mica stupido -: una fede dimostrata non pi fede! Ma per capire quello che si crede, per non credere l'incredibile! A volte, proprio per mancanza di questa riflessione critica, si arrivano a credere delle cose che non stanno ne in cielo ne in terra: pure fantasie, che non c'entrano niente con il dogma di fede. Penso davvero che si possa dare il caso di gente che creda di credere. Se si crede ci che non va creduto, perch incredibile, ma non lo si sa tale - cio non si sa che incredibile -, il permanre del credere malriposto. Per esempio, se si crede che la Trinit costituita da tr individui, si crede di credere nella Trinit, perch di fatto non si erede nella Trinit: le tr persone trinitarie non sono tr individui di natura divina. In questo caso, non si crede ci che si pu credere - cio ci che fonda il credere -, e quindi il credere svanisce come tale (cio nella sua sostanza) e ci che permane la sua parvenza: il credere di credere.

L'incredibile nulla come credibile; dunque il credere l'incredibile credere nulla, cio nulla come credere: non si crede nulla, cio non si crede. Ci che rimane - se si continua a credere - appunto la parvenza del credere, non la sua sostanza. E questo un altro guaio. Ma la teologia non si fa certo denunciando i guai. Occorre pensare criticamente. La teologia la comprensione razionale della fede. Se dunque si cerca di capire che cosa vuoi dire che la vita cristiana vita di grazia e che la vita di grazia la stessa vita 18 divina, la conclusione teologica non pu non essere che questa: la vita cristiana la vita del genio. S, perch ai nostri occhi Dio un genio; dunque chi ha la vita stessa di Dio egli stesso un genio. La genialit in che cosa consiste? Beh, geniale una persona che rende semplice il complesso, che coglie di botto gli elementi essenziali o semplici elementari -di un composto; o ancora, che sa comporre, sintetizzare, mettere insieme cose che sembrano incomponibili. Insomma qualcuno che sa fare bene la sintesi perch sa far bene l'analisi. Non so, per fare un esempio - forse banale, ma certamente efficace -: geniale l'intuizione per la quale si possono sommare pere e mele. Mi spiego. Quanto fa cinque pere pi tr mele? Certo non si pu rispondere: otto mele o otto pere. Non si sommano pere e mele! E allora come la si mette? Ecco, la somma impossibile, finch non si ha l'intuizione che ti fa cogliere ci che di pi semplice ed elementare si coglie nelle pere e nelle mele, e che dunque possiede la forza di essere principio unificatore o di sintesi. E vero che non si sommano le pere come pere con le mele come mele, ma le pere come frutta con le mele come frutta s. Cinque pere pi tr mele fa otto frutti! Questa la sintesi del complesso, dell'apparentemente incomponibile, sulla base di un'intuizione semplificatrice. Il colpo di genio qualcosa del genere. E la genialit una vita che ha come propria dinamica questo procedimento. Per questo motivo dico che Dio geniale per eccellenza. Dio coglie con un unico atto la totalit delle cose nelle loro infinite differenze come qualcosa di assolutamente semplice. E una legge metafisica: Dio semplicissimo nella sua assoluta perfezione. In quanto semplicissimo, egli la sua stessa attivit, il suo stesso atto di conoscere e di amare; in quanto assoluta perfezione, non ha niente di estraneo a s: tutto. 19 Dunque, Dio l'assoluto conoscere che coglie immediatamente tutto in se stesso. Capisce tutto al volo; a uno schioccar di dita. Pi geniale di cos... E uno che capisce tutto... per istinto\

Ecco, s, Dio capisce tutto per istinto. "Per istinto" l'espressione giusta. Evidentemente si tratta di una istintivit spirituale, non di tipo sensibile, perch Dio assolutamente immateriale. Ma si tratta davvero di una istintualit. L'istinto una sorta di stimolo, un'inclinazione naturale a certe operazioni. Istintivi per eccellenza sono gli animali. Gli animali si muovono per istinto, cio per un'inclinazione determinata dalla natura. Il leone caccia per istinto, la pecora fugge il lupo per istinto. Anche l'uomo compie alcune azioni per istinto, proprio perch per essenza un animale. Per istinto fuggiamo il pericolo; per istinto cerchiamo il piacere; per istinto aggrediamo il male che ci minaccia. D'altra parte la stessa sensibilit che vive d'istinto. La vista coglie istintivamente i colori e le figure, cos anche l'udito coglie istintivamente i suoni, l'olfatto gli odori, il gusto i sapori e il tatto le forme, la mollezza e porosit dei corpi. Ogni senso coglie immediatamente e infallibilmente il sensibile suo proprio. E cos stretta l'associazione tra sensibilit e istinto, che anche quando si trasporta questa nozione a livello pi spirituale o comunque psicologico, il riferimento metaforico al senso d'obbligo. Per questo motivo, per indicare il particolare acume di una persona, cio la sua particolare capacit di cogliere il semplice dentro il complesso - o di sintetizzare il complesso nel semplice -, si usano le espressioni esclamative: "che occhio!", "che orecchio!", "che naso!", "che palato!", "che tatto!". Questo, appunto, per dire che quella persona vede spiritualmente in profondit, o che capisce anche il tema nascosto sotto un discorso piuttosto articolato; oppure che ha un fiuto e un gusto tanto raffinati da individuare gli elementi o i principi portanti di una tesi; o ancora che ha una grandissima sensibilit,
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che le consente di percepire le sfumature che rendono partico-larmente efficace un discorso o una opinione. L'istinto indica cos un'indole e anche un talento. Il talentuoso sembra uno che non faccia assolutamente fatica a fare ci che fa: sembra che gli venga naturalmente, appunto per natura, cio per istinto. E questo proprio del genio. Il genio appunto un talentuoso. Il genio semplifica, senza banalizzare! Il genio un istintivo sul piano spirituale, e dunque un intuitivo. Ma se si considera bene la cosa, questa istintivit spirituale del genio, nell'ordine umano semplicemente una abbreviazione dei passaggi o una semplificazione accelerata degli stessi passaggi che sono l'anima della razionalit, cio della dinamica discorsiva dell'intelletto umano. Il nostro intelletto non intuisce nulla: capisce per passaggi e per costruzione di concetti elaborati attraverso un complesso di informazioni. Quindi, la genialit naturale dell'uomo non assolutamente istintiva o intuitiva: discorsiva. Questo vuoi dire che anche l'uomo pi talentuoso, cio pi dotato da madre natura di qualit, di doti intellettive e psicologiche, deve sempre far ricorso a una certa concentrazione e a una attivit di richiamo delle nozioni che ha elaborato.

Certo pi veloce di uno meno dotato, ma si tratta comunque di una maggiore velocit, la quale implica sempre un movimento non istantaneo. E anche queste doti naturali vengono sempre raffinate con l'esercizio, cio con un allenamento: il genio sempre frutto di pazienza e disciplina nell'ordine umano. Cos non , evidentemente, per Dio. Dio raccoglie tutta la sua comprensione nell'intuitivit dell'istante, come l'occhio vede all'istante il colore. In Dio, vi effettivamente un istinto spirituale allo stato puro: Dio stesso questo istinto spirituale. 21 A differenza dell'istinto o della spontaneit del senso, che coglie il sensibile proprio come il suo tutto, ma che non il tutto, Dio coglie intuitivamente il tutto, la totalit delle cose, nei loro minimi particolari e nelle loro reciproche e universali relazioni, in un colpo solo. Con un semplice sguardo! L'intuizione appunto questo sguardo [intueri - da cui intui-tus - in latino vuoi dire appunto guardar dentro). Se la grazia comunica la vita divina all'uomo (2 Pt 1, 4), essa comunica anche questa intuitivit, istintivit di Dio. Comunica o partecipa appunto la genialit di Dio. Sul piano soprannaturale, cio della vita intima di Dio, si pu essere effettivamente degli intuitivi e degli istintivi. Anzi, non pu essere altrimenti: lo spirito divino, Dio, non discorsivo, un lampo. Cos, coloro che sono divinizzati dalla grazia sono dei lampi: come scintille nella stoppia correranno qua e l (Sap 3, 7). Reso divino dalla grazia, l'uomo mosso da questo principio superiore come per istinto. Quelli che sono mossi dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio {Rm 8, 14). Esser mossi assolutamente, piuttosto che essere agenti, cio attori delle proprie azioni in modo deliberativo, per scelta ponderata, proprio degli animali: perch sono mossi dalla natura, cio dall'istinto. Allo stesso modo - commenta S. Tommaso d'Aquino -, l'uomo, partecipe della grazia dello Spirito Santo, non agisce principalmente attraverso la propria volont deliberata, ma per l'istinto dello Spirito Santo, che lo inclina a un agire che divino -senza che sia tolto l'umano {In Rm, commento a Rm 8,14). Ecco, divinizzato dalla grazia, l'uomo un animale divino. Guidato da un istinto divino, dall'intuizione divina, dallo sguardo divino, egli vede ci che Dio vede, guarda ci che Dio guarda e come lo vede e lo guarda Dio, con il medesimo colpo di genio. Questo il vero segreto cristiano. Chiss se per intenderlo bisogna essere benpensanti o malpensanti. Forse basta essere pensanti e basta.
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LO SGUARDO DI DIO
E difficile teorizzare, speculare seriamente all'interno della fede. Eppure assolutamente necessario, indispensabile. La fede va compresa: occorre capire ci che si crede.

E per capire occorre andare all'essenza di una cosa. Bisogna arrivare a cogliere ci che in tutto e per tutto determina una cosa. Cos che, una volta che la si ben determinata, non la si pu confondere con un'altra. Come si fa a determinare l'essenza di una cosa? Sembra facile dire che cos' una cosa, ma non cos... L'essenza qualcosa di semplice: ne prova il fatto che quando diciamo di limitarci all'essenziale intendiamo proprio dire che non vogliamo complicare le cose e la vita. Ma quando il discorso si sposta sull'essenza delle cose, il limitarsi all'essenziale vuoi dire andarlo a scovare. Allora il semplice diventa figlio del complicato! Il semplice, o meglio la conoscenza del semplice, frutto della semplificazione; la semplificazione frutto della purificazione e la purificazione non del tutto indolore... Per capire, bisogna saper smontare e rimontare. Frange, fronzoli, fronzolini e fronzoletti vanno tutti interdetti. Toh, che bella rima baciata! Anche se francamente preferirei baciare qualcosa d'altro, piuttosto che una rima... E anche questa una fatica in pi. Gli accessori, i fronzoli eccetera, sono importanti e belli, ma possono essere un ostacolo per chi mira al nocciolo della questione o vuoi guardare la realt nella sua pura nudit-(e dai, oggi 23 deve essere o il giorno delle rime o il giorno dei baci..., speriamo bene). Dunque, se andare all'essenziale vuoi dire mettere a nudo crudamente il reale, strappandogli i fronzoli di dosso, la stessa cosa deve essere fatta nei confronti della dottrina cristiana, cos che, una volta denudata, appaia in tutto il suo abbagliante ed essenziale splendore. Come si arriva a dire che il segreto cristiano, l'essenza del cristianesimo, consiste nel possedere lo stesso sguardo di Dio? Lo so che adesso devo fare un salto mortale: devo buttarmi a capofitto nella fede, abbracciandola con la ragione e penetrandola con l'intelletto. E uno strano amplesso: si assedianti e assediati nello stesso tempo. Questo vuoi dire ragionare nella fede - non prima della fede. E come ogni abbraccio, anche questo deve essere insieme potente e delicato. Se non fosse potente, non darebbe fiducia; se non fosse delicato, non sarebbe fiducioso. Nell'amplesso si da tutto e si prende tutto: il prezzo dolcemente crudo della sincerit. Dio mio, sta' a vedere che adesso mi metto a fare il mistico... Comunque sia, prima ragioniamo un pochino crudamente. E, crudezza per crudezza, prendiamo come dato basilare il male e la sofferenza che ci sono, indiscutibilmente, nel mondo. Si tratta di un dato di fatto, e contro un fatto non si discute. Discutere con un fatto, che di suo banalmente dato, banalizzare la discussione stessa.

Ebbene, c' il male, c' la sofferenza, ma c' anche Dio; che somma bont e somma intelligenza. Come risolve la teodicea questo annoso problema? Come compossibile l'esistenza di Dio sommo bene e del male? L'uno non la negazione dell'altro? Dunque, se esiste Dio non pu esistere il male; oppure se esiste il male, non vero che esiste Dio. Dato che incontestabilmente vero che esiste il male, allora vien da concludere che Dio non esiste. 24 Se uno dei contrari infinito - e Dio Bene infinito -, l'altro -cio il male - viene distrutto. Ma il male c', dunque non esiste Dio! Ma la teodicea risolve in un altro modo il problema, superando l'obiezione. Alla bont infinita di Dio, proprio perch infinita, compete il trarre il bene anche dal male che essa permette. Si potrebbe anche dire che Dio permette un male per trame un bene maggiore. Dio lo pu. Obiezione vostro onore: chi ha mai visto questo bene maggiore che consegue alla permissione di un male? Chi ha mai visto il bene maggiore che stato tratto dalla permissione dell'Olocausto degli Ebrei, durante la seconda gurra mondiale? Chi ha mai visto il bene maggiore tratto dalla permissione della morte per leucemia di un bambino innocente? Chi ha mai visto... va bene, adesso basta, perch le obiezioni di questo tenore le conosciamo tutte: e non possono non essere accolte. E poi, Giuseppe, ricordati che stai ragionando nella fede! Quindi devi mantenere fermo che esiste Dio e che sommo bene; anzi devi anche aggiungere - e questo proprio tipico della fede cristiana - che la Bont di Dio misericordiosa, pietosa, redentrice. Dio si incarna, muore e risorge per la salvezza dell'uomo. S, va bene; ma insisto: tutto questo ha forse tolto il male e la sofferenza dal mondo? No! E se tutto questo in funzione del dono della grazia all'uomo: chi in possesso della grazia di Dio forse non patisce pi? Oppure per lui il male non esiste pi? Non pu pi morire bimbo innocente per leucemia o in un campo di sterminio... ? Che trottola! Questa grazia divina non mica miracolosa!
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Questo deve essere chiaro: la grazia di cui si sta parlando non la grazia nel senso del miracolo ! Altrimenti chi la possiede dovrebbe essere sempre miracolato: dovrebbe essere in uno stato permanente di miracolo. Ma uno stato permanente di miracolo non pi miracoloso. Il miracolo straordinario; lo stato permanente ordinario: se lo straordinario diventa ordinario, non pi straordinario, no? D'altra parte, se questa grazia fosse il miracolo, quelli che non sono beneficiati dal miracolo, quelli che non fossero esauditi nella loro richiesta di un miracolo, non avrebbero la grazia. Perch?

Subito nella mente si scatenano gli interrogativi pi angosciami e tormentosi: "chiss che cosa ha fatto per non trovare ascolto presso Dio".,. Oppure: "se non colpa sua, sar per colpa di qualcuno dei suoi"... Ma lo stesso Vangelo che bacchetta questo tipo di inquisizione straziante: Rabb, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perch egli nascesse cieco? Rispose Ges: Ne lui ha peccato, ne i suoi genitori, ma cos perch si manifestassero in lui le opere di Dio (Gv 9, 3). Rimane comunque poi il dato di fatto che il miracolo, in questi casi - a differenza dell'episodio evangelico che segue alla sentenza di Ges appena citata -, non avviene. Dunque, occorre pensare in un altro modo la "manifestazione dell'opera di Dio". Dire che una cosa manifesta, vuoi dire che una cosa visibile. Quindi si ritorna daccapo: chi vede il bene migliore che tratto dalla permissione del male? Se non visibile a noi, certo non pu non essere visibile a Dio! Dunque, chi lo vede Dio. Il bene migliore che nasce dalla permissione del male cade infallibilmente sotto lo sguardo di Dio. La conclusione logica non pu essere che questa: per poterlo vedere, occorre avere lo stesso sguardo di Dio! 26 La grazia divina, donando la partecipazione alla stessa vita di Dio, dona anche lo sguardo di Dio. Certo che mettersi dal punto di vista di Dio per vedere le cose, restando comunque uomini, non affare di poca consistenza. Ma le cose non possono non essere che cos. Tutto il segreto cristiano chiuso in questa formula: vedere le cose dal punto di vista di Dio! Noi siamo divinizzati dalla grazia per questo scopo. Se si ragiona all'interno della fede, si vede subito che non esiste una soluzione alternativa. Non si pu togliere Dio; non si pu negare l'esistenza del male; la grazia divina non toglie il male: dunque, l'unica soluzione ammettere che la grazia divina faccia vedere il male dal punto di vista di Dio, come lo vede Dio. Quindi la preghiera cristiana, nella sua essenza, la richiesta a Dio di rendere manifesto a noi il suo modo di vedere il male, sempre avvolto nel bene migliore: che vuoi dire avvolto in Dio! E ovvio che c' anche la richiesta del toglimento del male: "liberaci dal male", recitiamo nel Padre nostro. Ma se non fossimo esauditi in questa richiesta? Allora ricomincerebbe la sequenza di quegli interrogativi angosciosi che il Vangelo bacchetta. Quindi la richiesta essenziale e rimane quella di vedere le cose come le vede Dio. Del male e dell'esperienza della sofferenza noi non riusciamo a capire proprio niente. Signore, Dio mio, questo male che mi tortura e che non posso togliere da me e che solo tu puoi togliere - ma non detto che tu lo tolga - almeno fammelo vedere come lo vedi tu, cos che io possa capirci qualcosa. Se per t va bene cos, almeno fallo vedere anche a me come lo vedi tu, cos che possa andar bene anche per me. I beati del paradiso, coloro per i quali lo sguardo di Dio diventato definitivamente ed evidentemente connaturale, sono in questa condizione: per questo sono beati, pur vedendo le stesse cose che vediamo noi. 27

Essi vedono il male ricompreso nell'intero che lo sguardo di Dio. Vedere l'intero alla luce stessa dell'intro, senza ricorsi formali all'astrazione, significa vedere il tutto nella sua densit priva di fratture. Certo, la condizione dei beati una condizione particolare della vita cristiana: la vita cristiana nella sua piena perfezione e realizzazione. Essi sono sotto il regime della visione diretta di Dio e di tutto il mondo in Dio. Noi non siamo in una condizione sostanzialmente diversa: la grazia la vita stessa di Dio. La nostra grazia la stessa dei beati del paradiso, Ci che cambia il regime: noi siamo sotto il regime della fede, cio della non visione. Ma i contenuti sono gli stessi. Noi conosciamo Dio e tutto in Dio come essi conoscono Dio e tutto in Dio: noi non vedendo, essi vedendo. Nel regime della fede, noi sappiamo senza vedere; nel regime della visione beatifica, i beati sanno vedendo. Ma c', pur nella diversit di questi due regimi, un elemento comune che occorre evidenziare, oltre a quello della identica sostanza del contenuto saputo - cio Dio e tutto in Dio -: si tratta del modo della conoscenza. In forza della grazia e della presenza dei doni dello Spirito Santo, sia nel regime di fede, sia nel regime di visione, il modo divino di conoscere per contatto esperienziale diretto della realt fa s che la conoscenza sia accompagnata dal gusto. Gustare ci che si sa: come capire una cosa profonda senza essere capaci di spiegarla pienamente; ma si sicuri d'averla capita. Ecco, questo modo accompagna sia il regime della fede, sia il regime della visione. Questo modo divino si chiama vita mistica. La vita mistica, con la sua intuitivit, spontaneit, istintivit, genialit divina, accomuna V esperienza della fede e quella della visione. E nella vita mistica che trova il proprio ambiente lo sguardo divino, perch lo stesso sguardo di Dio.
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Ecco, lo sapevo e me lo sentivo che a furia di baci, abbracci e dolcezze questo assedio razionale della fede avrebbe partorito un pensiero mistico... Eppure me lo ripeto sempre: meglio un logico sporcaccione che un mistico ebete! Eh s, perch il logico sporcaccione sporcaccione lui, ma rende logici gli altri; il mistico ebete mistico lui ma rende ebeti gli altri... A meno che non ci sia una logica mistica, o una mistica logica: questo sarebbe il massimo! Essere logici nel Logos... Mi sento tanto abelardiano... (pietro abelardo, Epz'ria/d XJJJ). 29

IL MESTIERE DEL TEOLOGO


Spesso, affrontando il tema della teologia, si tentati di pensare a una disciplina che nulla ha a che vedere con il mondo. Fare teologia - si pensa - questione che pu riguardare soltanto i preti; e siccome i preti tengono fino all'inverosimile al loro isolamento da sacrestia rispetto a tutto ci che appartiene al mondo, allora fare teologia roba da sacrestia. E un po' come rivestire di paramenti polverosi le pareti della chiesa, per creare a tutti i costi l'illusione della festa per qualcosa che di suo non sembra proprio essere festoso, o mascherare con luci, lumi e lumini ^atmosfera una realt che nella sua nuda e cruda verit non sembra avere un interno diverso dal suo esterno. Bisogna camuffare per richiamare o rinviare a qualcosa che deve essere tutt'altro.

Ovvio che in questo modo la teologia sembri proprio un artificio onirico, che nasconda dietro le sue metafore di circostanza il mestiere del prete "colto". Se le si guarda anche da un punto di vista per cos dire clericale, le cose non stanno tanto diversamente. E logico che la teologia tratti di Dio - lo dice l stesso nome, no? - Ma proprio perch Dio Dio, il Separato o Sacro per eccellenza, la teologia non qualcosa di questo mondo, ma dell'Altro:... dell'altro mondo! E i suoi cultori o specialisti devono possederne lo stile inconfondibile. In questo modo, perci, da entrambi i punti di vista, risulta che la teologia roba da "Marziani": alieni o alienati che siano... Logico rifiutarla e deriderla. 30 Da questo giudizio, che ha certo un fondamento nelle costumanze comuni e usuali del nostro tempo, non posso non sentirmi profondamente infastidito. E penso che non possa non far ribollire il sangue a ogni teologo che fatichi con dignit sotto le esigenze scientifiche della propria disciplina, le istanze culturali del tempo in cui vive, le domande o i dubbi che anch'egli si pone come uomo e gli stessi problemi che la fede cristiana non risolve, ma solleva. Altrettanta perplessit deve suscitare anche una teologia che per rinnovarsi trascuri o diserti volutamente il senso della totalit per ritagliarsi il proprio cantuccio asettico e invulnerabile nei simbolismi fumosi di un liturgismo asfissiante. Realisticamente parlando, anche insufficiente raccogliere le istanze della cosiddetta "teologia della secolarizzazione" per ritrovare il contatto con il mondo, Questa teologia, infatti, sostiene essa pure un dualismo radicale: il mondo, per essere mondo, deve essere senza Dio, cos come Dio per essere inteso correttamente deve essere totalmente altro dal mondo. Si tratta di una teologia dell'abbandono: in Cristo crocefisso Dio ha rivelato la sua assenza dal mondo, ha abbandonato l'uomo a se stesso. Anche in questo caso, siamo sempre posti di fronte a una teologia della "ritirata". Possiamo ricondurre tutto questo a un duplice ordine di cause: la confusione tra religione e fede - o meglio, tra gli atti esterni di religione e la fede -, e l'ingenuo o incompetente rifiuto del pensiero metafisico. Ora, la religione una virt morale che appartiene, come parte potenziale, alla virt cardinale della giustizia. Attraverso la religione, noi tributiamo a Dio il culto che gli dovuto, cos come abbiamo il dovere di restituire a un altro ci che da lui abbiamo ricevuto. E la legge della giustizia: dare a ciascuno il suo. Universalmente parlando, dunque, il culto, cio l'insieme delle azioni esterne che si coordinano nella liturgia, il livello simbolico che sta a significare un atteggiamento inferiore. 31 Da Dio abbiamo ricevuto il nostro essere creaturale: dunque per giustizia dovremmo restituirgli il nostro essere creaturale. Ma questo evidentemente impossibile; restituire l'essere creaturale significa annichilirsi: soltanto Dio pu annichilire qualcosa, perch tale azione implica la stessa potenza metafisica che occorre per creare (per ridurre al nulla occorre saper trarre dal nulla). Tutto questo impossibile metafisicamente, ma possibile simbolicamente. La cosa non pone soverchie difficolt: visto che non possibile restituire realmente il proprio essere creaturale a Dio, si ricorre a una restituzione simbolica. I sacrifici esterni, con l'offerta di beni che vengono assolutamente dedicati a Dio attraverso la stessa distruzione - per significare che non si pu recuperare pi quel bene che si dedicato a Dio - sono soltanto rimando al sacrificio interno, alla oblazione inferiore che sola li pu sostenere.

E l'oblazione interiore copre la stessa esistenza, la stessa estensione della vita con tutto il suo realistico tessuto di interesse, di energia, di passione, di scommessa, di rischio, di fatica, di coscienza e di sapienza. Il sacrifcio esterno, invece si colloca, nella sua valenza puramente simbolica, in una situazione determinata e zonale, in un ambito che specificamente viene qualificato come religioso. Non copre tutto, ma si distingue da tutto il resto come una categoria precisissima. Dobbiamo dire che la categoria religiosa del sacrificio o dell'oblazione esterna non la vita: anzi, pu arrivare a dissociarla o obliarla, creando all'interno della coscienza delle fratture morali come - nel caso dell'eccesso di religione la superstizione. Al contrario, l'oblazione o sacrificio interiore l'"in s" della vita: non pu assolutamente dissociarla o alienarla da se stessa. In effetti, a guardar bene, la fede soprannaturale, teologale, ha pi la fisionomia del sacrificio intcriore che quella della religione o dei suoi atti esterni. 32 Essa un sacrificio della mente, che immerge la vita intera dell'uomo nel mistero stesso di Dio, nell'attesa della sua piena manifestazione gloriosa. Essa copre tutta la vita, perch per essa in gioco la vita. Animata e vivificata dalla carit, la fede teologale coinvolge in s tutto senza concreti residui, giacch la soprannatura non toglie la natura ma la presuppone e la perfeziona nel suo stesso ordine, pur elevandola sopra se stessa. Tutto questo dunque chiaro: di fronte alla religione - spazio del sacro -, s distingue il pi ampio spazio di ci che chiamiamo profano. Nella fede, invece, la distinzione tra sacro e profano scompare, si eclissa, perch la vita non ammette confini o steccati. Il soprannaturale investe tutta l'estensione della vita dell'uomo e la penetra in tutta la sua comprensione, seppur in maniera accidentale - cio senza manomettere la sostanza naturale. A queste condizioni, la confusione tra religione e fede o vita di grazia comporta l'erezione di un confine indebito nei confronti dell'orizzonte della vita soprannaturale concreta, cos come la sua interpretazione in modo fantasioso e spettacolare. E questo l'errore pi grave che sta all'origine dei guasti che sto denunciando ! I clericalisti separano Dio dal mondo; i secolaristi separano il mondo da Dio. E Dio diventa un altro mondo e questo mondo diventa un altro Dio. Rimane da considerare la seconda causa che concorre a questa interpretazione delle relazioni, o meglio non relazioni, che intercorrono tra Dio e mondo. A mio parere, essa deve essere rintracciata nelle ingenuit metafisiche di un pensiero poco avvezzo alla vera speculazione. Ora, il rifiuto o almeno l'assenza della metafsica certamente un grande difetto della nostra cultura. Il pensiero sempre pensiero del tutto o comunque alla luce del tutto, dell'intero. Senza questa prospettiva e senza questo oggetto il pensiero si autoelide e diviene semplicemente parola insensata. Il pensare sempre speculativo o relativo, nel senso che conosce per relazio33 ni e relazioni: certo con una gradualit crescente, corrispondente al maggiore o minor grado di verificazione fattuale di una nozione o di un asserto.

Dobbiamo contestualizzare: ogni cosa in contesto, perch il molteplice che ci si offre nell'esperienza ordinato, appartiene a un ordine. E noi siamo soggetti razionali perch possediamo una facolt conoscitiva che sa riconoscere queste intelaiature: la ragione. Ordine e ragione sono trascendentalmente relati, cos che se si toglie l'uno si toglie l'altra e viceversa. Importantissimo: una ragione che non sia dell'ordine nulla come ragione. vero che esistono degli ordini parziali o particolari, ma proprio perch tali suppongono un ordine universale. Se parliamo di ordine economico, ordine politico, ordine etico ecc., questo presuppone che conosciamo pi o meno esplicitamente che cosa sia l'ordine in quanto tale, l'ordine e basta. La cosa dunque indiscutibile: questo lo spazio che com-pete alla speculazione metafisica e alla dialettica. L'inspiegabile, per, che spesso i cultori del pensiero metafsico cadono essi stessi in pericolose fantasticherie quando indulgono eccessivamente alla immaginazione - anche se indispensabile la conversici ad phantasmata - nel dare contenuto al rigore formale del proprio pensare. In questo caso si cade nella fabulizzazione del reale e con ragione si sono sollevate e si sollevano le critiche pi dure al pensiero metafisico, cos espresso. Ma questo svolazzare iperrealistico non ha proprio nulla a che vedere con la metafisica, cos come ogni semplicistico oltre-passamento dell'esperienza. In ogni caso, a scanso di equivoci, si pensi che metafisico non ci che al di l del fisico, ma il fondamento strutturale dell'ente che dato nell'esperienza. In questa prospettiva, occorre superare la maldestra opposizione tra immanenza e trascendenza. Occorre intendere queste due nozioni in modo relativo o speculativo e non esclusivo - come vedremo. Il pensare Dio 34 come assolutamente trascendente implica l'inevitabile equivoco di localizzarlo: come se fosse qualcosa di diverso dal mondo, che viene caratterizzato dalla nozione di immanenza. Proponiamoci almeno che si possa arrivare a calibrare sempre meglio il nostro pensiero e il nostro linguaggio metafisico, per non intraprendere discorsi che, ignorando le rigorose vie della ragione, si prefggano mete illusorie e teorie impensabili. Tante sono le cose che si possono dire, ma che non si possono pensare! Penso proprio d'aver pensato quello che ho detto... anche perch non erano tante le cose che si potevano dire... 35

IL RAGIONARE DIVINO
Quali sono le cose che valgono un sacrificio senza che sia richiesto per necessit di mezzo? Forse mi esprimo male. Vediamo se riesco a spiegarmi meglio. Per che cosa si sente che ci si sacrificherebbe volentieri, quasi fosse una spontaneit naturale il sacrificarsi e non un debito, un dovere morale, o un atto per volont deliberata o addirittura calcolata? C' qualcosa che capace, per sua natura, di strapparti a t stesso e di dissolverti in se stessa? Insomma, c' qualcosa che abbia come legge intrinseca il sacrificio? Che abbia nel sacrifcio il senso pi profondo della sua verit e del suo essere! ?

Lo so che uno pensa subito al sacrificio che un genitore pu fare per i fglioletti, o che un eroe pu fare per sostituirsi ad altri nel pericolo o nelle semplici difficolt. Ma questi gesti sono ancora classificabili sotto la categoria del dovuto, ove vige un imperativo morale. E vero che un genitore si sacrificherebbe spontaneamente per il figlio: ma appunto si tratta di un gesto che implica di suo una esigenza morale, anche se il genitore sente la cosa nel sangue, prima che nella valutazione della coscienza! Ma sai, supposto che un genitore non arrivi a tanto, il giudizio negativo che viene pronunciato nei suoi riguardi di ordine morale, pi che psicologico. La cosa che cerco, invece, ci che per sua natura, indipendentemente dalla valutazione morale - anzi escludendola -implica il sacrificio. 36 Beh, meglio di cos non sono capace di impostare la domanda. Forse mi conviene passare subito alla risposta e poi motivarla. Cos si pu arrivare subito al fatidico: ah, ecco perch! Dunque, dunque, vediamo un po'. Mettiamola brutalmente cos: una bella donna non ti strappa forse gli occhi? ! Non cominciamo subito a spaventarci per niente. Non mica un'eresia, no? In fin dei conti, la donna, secondo la narrazione biblica, non la creatura che Dio ha fatto per ultima? Beh, ogni artista fa sempre alla fine il suo capolavoro... O, comunque, il tocco di grazia sempre alla fine dell'esecuzione dell'opera d'arte. Se poi si aggiunge che ci che ultimo nell'esecuzione primo nell'intenzione dell'artefice, allora l'importanza della donna raggiunge proporzioni non solo cosmiche ma addirittura cosmo-gonicbe. Ecco, adesso aggiungi il caso che la donna sia anche bella: e la catastrofe degli occhi compiuta! La bellezza la si avverte prima negli occhi. Sembra che t li strappi via! E la bellezza quella cosa che implica spontaneamente il sacrificio. Almeno, originariamente, il sacrificio della vista. Un conto vedere, un conto guardare. Si vedono pi cose, ma se ne guarda una sola! Il guardare aggiunge al vedere l'attrattiva, il fascino, l'interesse e... la consumazione di energia. Uno che vede pi cose non presta attenzione a nessuna di esse; uno che guarda attentamente una cosa non presta attenzione ad altro: tutto energeticamente assorbito nella sua contemplazione! Dunque si pu dire che lo sguardo, o il guardare compiaciuto il sacrifcio della vista, del vedere. E questo sguardo compiaciuto tale perch risucchiato dalla bellezza. La bellezza si manifesta come in uno stordimento mistico. 37

Non si tratta di un rimbambimento demenziale - anche se qualcuno pu arrivare a scambiarlo per questa patologia -; ma l'ebbrezza della ragione che trova in un oggetto se stessa, la sua pi piena espressione. E l'ebbrezza della ragione, perch la ragione si trova misteriosamente nel proprio ambiente vitale, pur soggiornando in un giardino estraneo. E lo spirituale che si scopre condensato nel sensibile. E un sacrificio, perch come se la ragione, per trovare il piacere di se stessa, dovesse - per una legge di natura e quindi spontanea, non morale - rinunciare a se stessa, alla propria aurea solitudine. Ci che razionale reale e ci che reale razionale! Fin nella pi tattile delle esperienze: dove si contempla il bello con la spiritualit razionale che permea lo stesso senso tattile. L'esperienza del bello un'esperienza sacrificale perch un'esperienza razionale. Nel bello la ragione si ritrova perch in esso si consuma la legge del sacrificio, che la sua legge, la legge della stessa ragione. E vero che uno potrebbe obiettarmi che l'esperienza del bello si accompagna sempre al piacere (S. Tommaso afferma che si dicono belle le cose che viste piacciono); il che non combina bene con il sacrificio... Per mi vien subito da rispondere che esiste anche un piacere legato alla dimensione del sacrificio inteso nella stessa linea estetica. Una donna apprezza di pi il sentirsi dire semplicemente che bella o che tanto bella che non si pu stare un minuto senza vederla? Mi sembra scontato che il secondo apprezzamento sia quello pi gradito. O ancora: una donna gradisce di pi il dono di una pianticella in vaso o il dono di un fiore reciso? Anche in questo caso mi sembra scontata la risposta: il fiore reciso. Anche questo segno di sacrificio! 38 Anche nella conoscenza umana, ha maggior valore e si avverte con maggior gusto la conquista del sapere con il ragionamento che non l'assunzione di verit appiccicate all'intelletto come francobolli. C' pi gusto ed pi bello, pur essendo guidati da un maestro, a impostare e risolvere problemi, a dissolvere dubbi o contrastare obiezioni, che non ad accettare acriticamente il vero. Lo so bene che quello che conta sapere la verit; ma un conto essere nel vero senza saperlo e un conto essere nel vero sapendo di essere nel vero: questo il valore del sapere critico. Si nel vero sapendo di essere nel vero quando si conosce la verit sapendo che escluso il suo contrario. (Non la stessa cosa sapere che A A e. sapere che A non non A o che A non non A: nel secondo caso si passati attraverso il cimento con il dubbio della possibile identit di A anche con non A, e lo si sconfitto. Materialmente si sa la stessa cosa, ma in due modi diversi; uno ingenuo e l'altro critico). Il ragionare implica la bellezza arcana del sacrificio! Il ragionare porta in s qualcosa di attraente e bello tanto quanto la bellezza femminile, sempre compagna del divino. E il ragionare divinamente sulle cose divine ha un che di inventivo, accogliente e fecondo quanto il genio femminile. Ragionare divinamente sul divino vuoi dire speculare. A che cosa serve speculare? Che cosa vuoi dire speculare? Parlare di speculazione significa parlare di una conoscenza di tipo riflesso secondo un duplice titolo.

Una conoscenza di riflesso anzitutto la conoscenza di una cosa attraverso un'altra, cos come guardando uno specchio vi vediamo riflessa l'immagine di qualcosa che non lo specchio stesso. Si tratta dunque di una conoscenza relativa o di rinvio. Relativa non nel senso della superficialit o inconsistenza -cos come pu opporsi alla conoscenza cosiddetta assoluta della scienza -, ma nel senso della opposizione alla conoscenza assoluta perch isolata, decontestualizzata e primitiva o fenomenologica, quale quella rilevativa di un semplice dato immediatamente immotivato (nudo e crudo). 39 Infatti, la conoscenza che esercitano i sensi appunto assoluta in questo modo: l'occhio coglie perfettamente il colore, ma non sa che relazione vi sia tra il colore e la porosit di un corpo. E la ragione che conosce le relazioni tra le cose e i loro diversi aspetti. La stessa ragione pu arrivare ad elaborare delle nozioni la cui comprensione non immediata, ma abbisogna di un aggancio con altro. Si dice infatti speculativo un enunciato che non comprensibile in se stesso, ma per rinvio a un altro enunciato o a un fatto che lo postula come toglimento di apparente contraddizione, o soluzione di una problematica empiricamente insolubile. E il caso per esempio delle nozioni di potenza passiva, quale condizione intrinseca del moto, oppure di Dio come lo stesso Essere per s sussistente, oppure della nozione di creazione. Prese in se stesse sono assolutamente insignificanti e inintelligibili; in quanto ordinate alla soluzione del problema della apparente contraddizione del divenire, diventano semanticamente comprensibili e teoreticamente incontrovertibili. Ma si capiscono solo relativamente appunto, specularmente o speculativamente. Giudizi o concetti, invenzioni-scoperte della ragione, che in quanto sedano Vhybris perpetrata solo apparentemente contro la intelligibilit dell'essere da parte della contraddizione, assurgono a rango di assoluta verit. Non possono patire negazione, pena l'assurdo. Da idee diventano realt perch la realt immediatamente data le richiama osmoticamente, attraverso i suoi apparenti vuoti o buchi logico-metafisici. Se le si vuole chiamare "tappabuchi", lo si pu fare: ma con tutto il rispetto dovuto a chi in grado di turare con la sua forza sicura una falla, o salvare da ci che si reputa inoppugnabilmente una falla. Ancora: conoscenza riflessa o di riflesso vuoi dire anche conoscenza per riflessione. Vuoi dire meditazione. Il che implica certamente il ricorso alle energie pi profonde della nostra interiorit, sia intellettuale che affettiva o passionale. 40 Non c' vera speculazione che non coinvolga contemplativamente tutta la persona pensante. Scendere in profondit per riflessione significa elevarsi alle altezze pi rarefatte della sinossi, del colpo d'occhio. Nella speculazione, il rigorismo formale non mai a scapito dell'interesse della materia investigata. Ora, penetrando un po' pi in profondit, chiediamoci: qual la legge della speculazione? Qual il metodo speculativo? La prima risposta potrebbe essere questa: sia dal punto di vista teoretico, sia dal punto di vista psicologico la speculazione possiede una legge o un metodo appunto sacrificale. Psicologicamente senza dubbio uno sforzo. Non soltanto l'intelletto che coinvolto in questa attivit, anche se ovviamente l'intelletto l'organo della speculazione: si tratta di un'attivit di pensiero.

Tutte le facolt sensitive di ordine interno prendono parte ad essa, nel modo che loro proprio e in funzione della comprensione umana che non pu fare a meno della sensibilit. Senso comune, cogitativa, fantasia, memoria, passioni della nostra sensibilit emotiva, ma anche i sensi esterni, tutti concorrono all'o-pus speculativum umano. Trattandosi di facolt organiche, cio legate a un organo corporeo, il loro esercizio implica fatica e perci sacrificio. E occorre una grande forza di volont nel non desistere di fronte al primo ostacolo che si frapponga verso la meta dell'in-terpretazione e della comprensione. Anche questo implica sacrificio. Niente di pi affascinante, nella sacrifcalit speculativa, del gioc concettuale che si situa nella sua stessa dimensione teoretica. A mio giudizio, la legge teoretica della speculazione una legge sacrificale perch la nostra ragione ginge alla comprensione e alla interpretazione di un dato attraverso le vie deWafia-lisi e della sintesi. Nella conoscenza speculativa di un dato noi decomponiamo e ricomponiamo, smontiamo e rimontiamo, distruggiamo e rico41 struiamo, sacrifichiamo conoscitivamente l'oggetto sacrificando le nostre energie nell'atto di comprenderlo. Ecco: assimilazione. Si tratta di un meccanismo di assimilazione reciproca: assimiliamo l'oggetto assimilandoci ad esso. La radice e al contempo la forma di questa legge teoreticamente sacrificale dell'analisi e della sintesi la dialettica. E certo si danno diverse definizioni di dialettica, cos come diversi sono i modi di valutarla. Devo per forza di cose dunque precisare il senso con il quale io uso questa parola. Per dialettica intendo il processo logico per il quale arriviamo alla comprensione di un concetto attraverso la sua decostruzione e ricostruzione teoretica, oppure arriviamo alla comprensione della verit incontrovertibile di un enunciato cimentandolo con il suo antagonista contraddittorio: il che vuoi dire appunto seguire le linee del metodo analitico-sintetico. In particolare, la dialettica, qualificata come processo logico, si ambienta in un quadro che volutamente trascende le leggi ontologiche. Perci, non intendo qui riferirmi a modelli idealistici o materialistici della dialessi. Il luogo specifico di questo metodo quello della logica e della conoscenza calibrata speculativamente. Questo metodo dialettico si sviluppa secondo due vie. La via di risoluzione e la via di composizione. Alla via di risoluzione o di giudizio corrisponde propriamente l'analisi e si caratterizza come propriamente razionale. Essa discorre dal complesso al semplice, cio risolve il complesso nel semplice. Si tratta cio del viaggio speculativo che la ragione compie per raggiungere l'intelligenza di un dato. E la fase decostruttiva. Muovendosi in senso contrario, la via di composizione o di invenzione, invece, corrisponde alla sintesi. L'intelletto, conoscendo il semplice o l'elementare stimola nuovamente il processo razionale verso la scoperta delle connessioni che gli elementi hanno tra loro o con altri dati. Il semplice viene ricomposto nel complesso. Qui si raggiunge la comprensione del dato, con il reticolato delle sue relazioni. 42 Qui ci vuole un esempio. Vediamo un po'. Che cosa facciamo quando cerchiamo di capire come funziona un meccanismo come quello di un orologio?

Lo smontiamo, per vedere come fatto; ma non basta, occorre rimontarlo cos come era prima, ricomporne gli elementi, gli ingranaggi, senza trascurarne alcuno, altrimenti non possiamo dire di aver capito come esso funzioni - anche perch, se mi rimane in mano anche una semplicissima e trascurabile... vitina, l'orologio non funziona. Ora - raffiniamo teoreticamente l'esempio -, pensiamo ai passaggi che si fanno nello studio logico di una nozione. Quando si passa dall'individuo alla specie e dalla specie al genere, fino ai trascendentali nell'ordine della loro sequenza, si segue la via di risoluzione: dal complesso al semplice, dal particolare al pi universale (Tizio - uomo - animale vivente - essente). Quando invece si passa dal pi universale al particolare, dal genere alla specie e dalla specie all'individuo, si segue la via di composizione, perch si devono connettere tra loro le nozioni semplici: le nozioni pi universali si particolarizzano attraverso l'aggiunta di differenze che le contraggono (vivente -+- sensitivo = animale; animale + razionale = uomo; uomo + questo = Tizio). Fondamentalmente, quando passiamo dalla conoscenza delle propriet di una cosa all'essenza della stessa cosa - che ne la ragione causale - procediamo in modo risolutivo (per esempio dalla libert o dalla capacit di scienza passiamo alla razionalit: perch uno non pu essere libero o fare scienza se non in forza della ragione). Anche quando dimostriamo l'esistenza di Dio a partire dal mondo, risalendo dall'effetto alla sua causa, procediamo analiticamente o per risoluzione. Operiamo in modo compositivo, invece, quando passiamo dalla conoscenza dell'essenza alle sue propriet (per esempio dalla razionalit segue la capacit di fare scienza e di scegliere); oppure quando dimostriamo che Dio creatore, componendo 43 la nozione di Dio con la nozione di creazione, quasi ridiscendendo da Dio al mondo, dalla causa all'effetto. Ragionare un sacrifcio. Ragionare sul divino un sacrificio divino. E proprio cos anche nel segreto cristiano: dobbiamo risolverei in Dio per scoprire che siamo composti con Dio. E il metodo circolare della grazia che attraente e accondiscendente come una bella donna. Speriamo almeno che la bella donna non sia cos complicata per... 44

IL SOLILOQUIO SUL DIVINO


La teologia, prima di essere un discorso su Dio, un soliloquio sul divino. Sembra tanto strano? A me pare tanto normale invece. Non sto parlando della semplice teologia filosofica, quella che partendo dalla realt del mondo arriva a Dio con la guida della pura ragione naturale.

Qui sto riflettendo o speculando sulla teologia soprannaturale, quella scienza che cerca la comprensione della fede attraverso la ragione. Questo discorso teologico dunque gi fondato su Dio, perch ha come suo principio o presupposto la fede rivelata. E vero - fin troppo ovvio - che trattandosi di una scienza, anche questa teologia un esercizio della ragione; anzi, io direi che l'esercizio per eccellenza della ragione, perch lo stimolo riflessivo, che essa riceve dai misteri soprannaturali, imparagonabile. E notevole lo sforzo di raffinamento concettuale nel tentativo di verificare la non evidente contraddittoriet dei misteri rivelati, come anche le ragioni di convenienza proposte a favore della loro verit. E il solito discorso per cui non si pu credere l'incredibile, e per cui il credibile, in concreto, si accompagna a dei motivi che rafforzano la sua credibilit - non che lo facciano credere! Ma pur sempre una scienza che parla di Dio a partire da Dio. La fede teologale , in modo inevidente per noi, la stessa conoscenza che Dio ha di se stesso. Quindi un modo di conoscere Dio dal punto di vista di Dio. 45 Se la teologia in questione basata strutturalmente sulla fede, deve essere anch'essa fondamentalmente una conoscenza di Dio dal punto di vista di Dio. Non un'immagine devota, ma un'affermazione di grande spessore epistemologico, quella sentenza di S. TommasO d'A-quino, secondo la quale la teologia una scienza subalterna alla scienza di Dio e dei beati [Summa Theologtae,!, 1, 2). Quindi, il ragionare all'interno di questa scienza non deve dimenticare questa particolarissima prospettiva. Si tratta di un ragionare divino almeno sotto due aspetti. Prima di tutto perch ha per oggetto principale Dio stesso, in se stesso; in secondo luogo - ma non per secondaria importanza - perch considera Dio dal punto di vista di Dio. Esisterebbe anche un terzo aspetto del ragionare divino, quello per il quale lo stesso modo di procedere divino: si tratta di quella modalit geniale conferita dalla partecipazione della stessa vita divina attraverso la grazia. Ma questa modalit mistica ha la movenza dell'intuizione e non del ragionamento; quindi non appartiene alla struttura della scienza teologica. Non facile ragionare dal punto di vista di Dio. Bisogna indossare panni che non sono i propri. facile cadere in inganno. Per questo occorre il controllo critico della ragione. Si deve ragionare dal punto di vista di Dio, non immaginare di essere Dio, come nelle espressioni "se io fossi Dio, che cosa farei? ". Sto parlando di teologia, non di fantasia devota o... pietosa\ E per ragionare dal punto di vista di Dio, occorre scoprire in noi stessi la condizione che il requisito naturale, indispensabile per questo discorrere. Come Dio solo e nella sua solitudine tutto, cos, per poter ragionare dal punto di vista di Dio, occorre scoprire il senso metafisico della solitudine del pensiero, che chiude in s tutto.

S, voglio dire che prima ancora di riflettere su contenuti precisi, bisogna riflettere sulla stessa capacit di riflettere. 46 Occorre sentirsi avvolti in qualcosa di intrascendibile, come Dio intrascendibile, perch non ha nulla che gli cada al di fuori: non c' nulla che cada fuori di Dio e quindi lo trascenda! Questo tipo di esperienza, che non pu essere classificata altrimenti che come metafisica - s perch strutturale, fondamentale, incondizionata e condizionante -, possibile solo nella nostra introspezione. Nel guardare dentro noi stessi scopriamo la dimensione solitria e onninclusiva del pensiero. Solitria perch onninclusiva e onninclusiva perch solitria. Si tratta di un principio analitico: ci che solo non manca di nulla e ci che non manca di nulla solo! In una battuta: l'intero o tutto a s stante! L'atto del pensare intrascendibile e, dunque, onninclusivo. Formidabile! Se penso che ci sono cose che non penso e non penser mai, io le sto gi pensando. Non si pu scappar fuori dal pensiero, perch non c' un fuori del pensiero. Il pensiero come atto intrascendibile. E se non c' un fuori non c' neppure un dentro il pensiero. E chiaro: se ci fosse un dentro, per antitesi relativa ci sarebbe pure un fuori, ma se il fuori non c', neppure il dentro c'. Dentro e fuori il pensiero sono modi di dire che appartengono all'analisi psicologica o cosmologica del pensiero, non alla sua dimensione metafisica. Se considero il pensiero in termini cosmologici o psicologici (comunque sia, la psicologia una parte della cosmologia o filosofia della natura), il pensiero una facolt umana, ben distinta , dalle altre; non il tutto dell'uomo; ha un'origine ed subordinato alla causalit, per cui subisce gli influssi della storia. Ma in linea descrittiva o fenomenologica, il pensare come atto si presenta con una imponenza tale da non poter essere assolutamente "catalogato". Quando cerco di descrivere il pensiero come atto o il pensare, non posso fare a meno di presentarlo come l'estensione infinita dell'essere, che non esclude nulla da s - cio esclude il nulla, perch appunto nulla, non c'. 47 II pensiero e l'essere sono la stessa cosa perch, come nulla fuori dell'essere, cos nulla fuori del pensiero. Perci il pensiero la trasparenza del tutto, cio dell'essere, contro il quale sta il nulla, cio niente. So benissimo che mi si potrebbe accusare di immanentismo -del resto, se mi hanno dato del panteista, vuoi che non mi diano anche dell'immanentista? La caccia alle streghe non mai finita. Ma la strega che suggerisce questi pensieri si chiama Mente: non posso lasciarla, sarei demente\ L'immanenza dell'essere al pensiero non fisica, intenzionale. Si tratta dell'immanenza del manifesto alla sua manifestazione, del pensato al pensare, del rivelato alla sua rivelazione. Pensare che qualcosa cada fuori dal pensare contradditto-rio. Tutto manifesto e dunque immanente al pensiero che lo manifesta o che il luogo metafisico della manifestazione, cio

10 stesso manifestare. Tutto manifesto nel senso che tutto pensato, non nel senso che tutto sia conosciuto. Una cosa pensare e una cosa conoscere. Il rapporto che intercorre tra pensare e conoscere lo stesso che si da tra l'indeterminato e il determinato. L'indeterminato non altro che il determinato appreso indeterminatamente. Il pensiero la manifestazione indeterminata del tutto, come 11 conoscere la manifestazione determinata di qualcosa. Il pensiero la manifestazione indeterminata del tutto o il tutto in quanto indeterminatamente manifesto. Il conoscere, invece, la manifestazione determinata di qualcosa, o la cosa in quanto determinatamente manifesta. Pensando il tutto, tutte le cose in modo indeterminato, penso anche questa penna, ma non in quanto ferina ne in quanto questa penna; il riferimento alla penna e a questa penna appartiene determinatamente alla formalit del conoscere, cio del sapere che cos' una cosa o questa cosa, la penna - appunto. Il pensiero del tutto indeterminatamente il pensiero dell'essere, giacch l'essere il tutto pensato in modo indeterminato. 48 E siccome nella conoscenza si procede sempre dal generico allo specifico, il pensiero precede il conoscere: nel senso che il pensare la condizione indispensabile al conoscere - intendendo la conoscenza nel senso intellettivo e non semplicemente sensitivo o animale. Per usare una metafora si potrebbe dire che il pensiero sta ai concetti della conoscenza come la luce sta alle cose visibili. Senza luce non si possono vedere le cose sensibili; cos, senza il pensare non possibile conoscere concettualmente. Uscendo dalla metafora, si deve dire che il pensare l'orizzonte a-specifico dei contenuti, secondo la loro condizione di possibilit, cio l'ambito dell'incontraddittoriet: una cosa per essere tale, deve essere possibile, cio incontraddittoria. Questa condizione di possibilit, cio l'incontraddittoriet, condizione sia dell'intelligibilit sia dell'essere. Un cerchio quadrato inconoscibile perch contraddittorio e dunque inintelligibile e impossibile ontologicamente. Questo perch impensabile! Pensiero e essere coincidono. Il conoscere, invece, l'ambito dei contenuti specifici, cio concettualizzati. Il conoscere si riferisce ai concetti; il pensare si riferisce alla condizione di possibilit dei concetti. L'essere, come ci che inteso dal pensiero, un contenuto a-specifico, perch l'essere non ne genere, ne specie, contenendo tutto e non escludendo nulla (Generi e specie, invece, si distinguono per esclusioni e quindi per il fatto di non essere tutto. Il genere vegetale esclude l'animale; cos una specie ha ci che un'altra specie non ha, perch le differenze specifiche si escludono vicendevolmente dal medesimo soggetto generico: un animale non pu essere insieme razionale e non razionale o bruto). Non c' nulla che cada fuori dell'essere, se non appunto il non essere, che in quanto tale non c' e quindi non pu essere qualcosa che fuori dell'essere. Se tutto nell'essere, nulla di positivo vi si pu contrapporre, quindi tutte le differenze che si riscontrano tra le cose sono tutte essere. L'essere il contenuto a-tematico, cio non esplicito, del pensare, perch, se il pensare l'ambito della non contradditto49

riet, essendo questa fondata ultimamente su quel soggetto che l'essere, l'essere il contenuto implicito ad ogni altro contenuto esplicito: il contenuto implicito del conoscere che specificamente si orienta a contenuti espliciti, concettualmente definiti o definibili. La legge della non contraddizione, la verit originaria questa: l'essere non il non essere, cio il positivo non il negativo. Questa la condizione di possibilit dei contenuti, sia nell'ordine intelligibile, sia nell'ordine reale. Quindi il contenuto fondamentale e fondativo del pensare come tale l'essere, che il soggetto di questa legge. Ma il soggetto non esplicito. Non c' bisogno di esplicitare l'essere per pensare e quindi per ambientare, secondo l'incontraddittoriet - intelligibilit e possibilit -, il conoscere nelle sue specifiche determinazioni. Non c' bisogno di aver letto Parmenide o Aristotele, o d'aver studiato per benino tutta la logica e la metafsica per capire che una banana non e non pu essere un chiodo. La regia implicita di questa consapevolezza specifica data dal pensare ;o dal pensiero, che intende l'essere e la sua legge: l'incontraddittoriet. L'essere il contenuto inteso implicitamente dal pensiero che non ha come riferimento immediato un contenuto specifico, come invece l'ha il conoscere. Il pensare corrisponde all'attivit dell'intelletto agente, cos Come viene descritta nella filosofia aristotelico-tomista. L'intelletto agente ha la funzione di rendere intelligibile l'oggetto della conoscenza, che l'attivit dell'intelletto possibile. La facolt conoscitiva l'intelletto possibile, non l'intelletto agente. L'atto di intellezione insieme atto dell'intelletto agente e dell'intelletto possibile. L'intelletto agente e l'intelletto possibile concorrono all'unico atto dell'intellezione con le loro proprie operazioni (cf. S. tommaso D'AQUINO, De ventate, 10, 8c). L'intelletto possibile conosce i contenuti che vengono resi intelligibili, cio conoscibili, dall'intelletto agente. 50 Ma l'intelletto agente, anche se non propriamente conoscente, pur sempre un intelletto; in che cosa consiste la sua intellettualit? Io direi che consiste neW intendere la condizione di intelligibilit, di sensatezza, di possibilit, di incontraddittoriet dei contenuti conoscitivi. E siccome questa condizione il soggetto della legge di non contraddizione, cio l'essere, l'intelletto agente intende l'essere. S. Tommaso dice semplicemente - riportando una sentenza di Averro - che i primi princpi sono come strumenti dell'intelletto agente (cf. De Ventate, 10, 13). Ora, siccome i primi princpi sono tutti fondati sulla legge di non contraddizione e questa fondata sull'essere, dire che l'intelletto agente ha come strumenti i primi princpi equivale a dire che intende la legge di non contraddizione e, dunque, che intende l'essere. Si tratta per del modo intellettivo dell'intendere e non del conoscere, perch chi conosce - semplificando grossolanamente il linguaggio tecnico - l'intelletto possibile e non l'intelletto agente. Dunque, l'intendere un sapere non ancora concettuale, cio non specifico. L'intendere l'essere non ancora conoscere esplicitamente l'essere. L'immagine che viene usata per indicare l'attivit dell'intelletto agente quella della luce. Come la luce la condizione di visibilit dei colori e delle figure, cos l'atto dell'intelletto agente la condizione di intelligibilit e di conoscibilit dei contenuti della conoscenza, cio dell'atto dell'intelletto possibile. E come ci si rende conto della luce perch si vedono i colori e le figure, cos in ogni intelligibile ci si rende conto della presenza dell'atto dell'intelletto agente, non come oggettivamente dato ma come condizione di intelligibilit (cf. S.

tommaso d'aquino, In 1 Sententiarum, d. 3, 4, 5 e.). Noi non vediamo propriamente la luce ma ci rendiamo conto della luce vedendo i colori e le figure. Se non ci fossero cose visibili non per questo la luce non ci sarebbe o smetterebbe la sua funzione: semplicemente non ci 51 renderemmo conto della sua presenza, perch noi scorgiamo la luce come mezzo per il quale conosciamo - o meglio percepiamo i colori. Allo stesso modo l'intelletto agente sempre in azione anche se non ci sono concetti, cio non ci sono oggetti di conoscenza. L'intelletto agente sempre in atto secondo la sua sostanza (cf. S. tommaso d'aquino, In 3 De Anima, 1. IO): il suo stesso operare, non per essenza - evidentemente; solo Dio tale - ma per concomitanza (cf. S. tommaso D'AQUINO, Summa Theologiae, I, 54, 1, adi). Altrimenti sarebbe nelle stesse condizioni dell'intelletto possibile, che deve essere attivato, e per questo non per s agente, pur essendo principio del proprio atto. Il fatto che non sempre conosciamo, non impedisce che sempre intendiamo. Il conoscere dipende dall'attivazione esterna dell'intelletto possibile, cui viene offerto il materiale intelligibile da parte dell'intelletto agente che lo astrae dai dati sensibili. Se non viene offerto questo materiale, non si da conoscenza, cio non c' attivit da parte dell'intelletto possibile, ma questo non esclude la continua attivit d'intendere dell'intelletto agente (cf. S. tommaso D'AQUINO, De Ventate, 10, 8, ad 11 in contr.). Da questo punto di vista, la luce che caratterizza per metafora l'intelletto agente lo stesso essere: l'intelletto agente la condizione di intelligibilit dei contenuti conoscibili - la luce che li rende visibili -; la condizione di incontraddittoriet, di sensatezza, di possibilit, di logicit e di realizzabilit dei contenuti. Ma questa condizione fondamentalmente l'essere: dunque, questa luce dell'intelletto agente coincide con l'essere. Questo vuoi appunto dire che pensiero e essere si identificano. D'altra parte, si deve riconoscere che se parliamo dell'essere, che il contenuto inteso dal pensare, questo contenuto anche conosciuto. Il contenuto positivamente indeterminato del pensare diventa specifico, quando per riflessione lo si determina con la nozione a-specifica per eccellenza, cio la nozione di essere o ente, o essente. In questo modo, per, la nozione aspecifca viene conosciuta in modo specifico. 52 La nozione di ef o essente diversa dalla nozione di piatto; eppure il piatto un ente, rientra nella nozione di ente come tutte le altre nozioni o cose. Eppure noi parliamo dell'ente come se parlassimo di una delle diverse cose specifiche che conosciamo. Quando mettiamo a tema l'essere o l'ente, o essente, corriamo quindi il rischio di fraintenderlo; soprattutto se ci affidiamo a un pensiero metafsico maldestro. Ma proprio della metafsica trattare dell'ente in quanto ente, o dell'essere in quanto essere in modo criticamente controllato. E se ci avviene, con queste modalit critiche - appunto -, la metafsica diviene anche l'anima scientifica della riflessione pi profonda sul pensare. S. Tommaso d'Aquino dice che l'intelletto agente una certa somiglianz della verit increata che si riverbera in noi (cf. De Ventate, 11, 1). In un certo modo, esso . il divino in noi, prima della manifestazione del divino soprannaturale attraverso la grazia.

Aristotele - trattando l'argomento dal punto di vista psicologico - dice che questo intelletto, pur essendo nella nostra anima, viene dal di fuori e solo divino: separato, impassibile, eterno, immortale (cf. De anima, 5, 430 a 10-23). La stessa cosa va dunque affermata del pensiero, del pensare. Il pensare ha un'estensione infinita quanto l'essere: solo Dio infinito in atto. Se il nostro pensare non si identifica assolutamente con Dio, perch pensare tutto non significa per noi conoscere tutto - Dio invece questa identit assoluta di pensare e conoscere, la pura trasparenza totale e concreta, determinatissi-ma di tutto -, esso per riflesso di Dio. Riflesso comunque misterioso come misterioso il divino. Esso luce che illumina i contenuti di conoscenza e per questo convisibile insieme ad essi e con la loro concomitanza: come la luce convisibile con i colori e le figure, che invece sono l'oggetto diretto della visione. Ma come la luce da sola - cio senza nulla che possa essere illuminato - invisibile e dunque tenebra; cos il pensare senza i 53 contenuti della conoscenza non si comporta come luce, ma come ombra. S, il nostro pensiero, visto in se stesso, l'ombra di Dio. Il pensiero pensiero delle cose; quando pensiero di se stesso sembra pensiero di nulla: eppure pensare, sempre in atto, immortale, eterno, solo. Sembra pensiero di nulla perch il pensiero non nessuna cosa, ma non che sia nulla come pensare. Per fare teologia, discorrendo di Dio dal punto di vista di Dio, occorre prima di tutto compiere questa riflessione sul divino in noi. Dobbiamo immergerci in questa solitudine di contatto con l'ombra eterna dell'eterno e incominciare a discorrere con noi stessi come fossimo i soli o il tutto. Il nostro primo discorso teologico un soliloquio sul divino! Un soliloquio ammirato e disilluso nello stesso tempo. Ammirato per la scoperta; disilluso perch il divino non si meraviglia, non si stupisce e coglie l'eterna uguaglianza o giustizia del tutto. Tutto cos com', perch cos . Questo soliloquio divino sul divino Yepisteme, lo "star sopra" nel vedere o considerare; al punto principale o culminante. Vedere tutto dal Principio o meglio dal punto di vista dell'Intero. Qui c' la vera solitudine, perch l'Intero Uno, non si accompagna mai. E questa solitudine una specie di onnipotenza: si soli in quanto solidi: all'intero non manca nulla, pena contraddizione. E la solidit non contrasta con la solidariet. Il solido ha tutto, in comunione con tutto e quindi solidale. E la solitudine, cos intesa - l'essere per s, non l'allontanamento da tutti - cos anche la con-solawne pi alta, perch il solo tale in quanto sa stare con se stesso, presso se stesso, trovando in se stesso il proprio tesoro. Ma il tesoro della solitudine del divino pur sempre una grande vertigine, perch un vedere la profondit del tutto dal suo stesso punto di vista.

54 Punto di vista eterno, come eterno Dio e come eterno il tutto. L'ente in quanto ente eterno; Dio eterno; il pensiero eterno. Il segreto dell'universo nascosto nel segreto eterno dell'anima, nel suo pensare. La vita cristiana nascosta in questo segreto e insieme la sua rivelazione. 55

LA TEOLOGIA
La teologia femmina. Meno male! Eh s, perch almeno posso dire anch'io d'avere un po' di dimestichezza con l'altro sesso. Quando sento certi discorsi stupidi sulle donne mi viene il nervoso. E vero che certe volte sono, per'cos dire, meritati le donne non sono mica tutte uguali. Ma il pi delle volte sono francamente discorsi "con la cresta in testa" - supposto per benevolenza che di testa si tratti... Sono quasi sempre discorsi di dominio, di superiorit, di supremazia, ma ahim ristretti tanto quanto un... pollaio. (Pollaio per pollaio, anche vero per che i giudizi pi cattivi sulle donne li ho sentiti pronunciare proprio da donne...). Io per dalla testa non mi tolgo l'idea che la teologia sia femmina! Forse, lo dico per istinto: la teologia mi fa sempre "girar la testa"! Come la filosofa; anche la filosofia femmina. S, anche la filosofia mi fa girar la testa. Mi piace accompagnarmi a tutte e due. Per non mi sento bigamo, ne soffro di torcicollo. E poi, filosofa e teologia sono di una femminilit particolare: non sono femminili semplicemente perch sono scienze; guarda quante scienze ci sono... tutte sono femmine. Ma non di quella femminilit che fa girar la testa:, non tutte le donne sono uguali. Filosofia e teologia sono la quintessenza della femminilit. Fanno girare la testa perch esigono {'adorazione. 56 S, s, ho detto proprio adorazione! L'adorazione un atteggiamento che si addice a chi si rivolge a qualcosa di grande, dignitoso, anzi di assoluto. Adorare vuoi dire rivolgere {ad} la bocca (os-oris) a qualcuno, sia per chiedere o implorare, sia per significare sottomissione e dipendenza. (La bocca un organo importantissimo per la vita: serve a ricevere gli alimenti, serve a respirare; il luogo fisico della parola e quindi dell'espressione del pensiero; ma anche il luogo fisico per l'espressione dell'affettivit. Gli amanti

vogliono mangiarsi, come se in questo gesto metaforico fosse racchiuso il senso della reciproca adorazione per l'assolutezza del rapprto: si autoincludono perch insieme sono assoluti). La femminilit evoca di per s qualcosa di assoluto. Il senso dell'assolutezza che legata alla femminilit mi sembra evidente nella prerogativa appunto tutta femminile dell'intuito. Non un caso che l'intuizione sia prerogativa della femminilit. Non voglio certo cadere nelle grossolanit di uno sciocco determinismo biologico, ma mi pare proprio che, in qualche modo, la sessualit femminile predisponga al meglio questa importantissima e profonda qualit psicologica - e di riflesso mistica. Sessualmente - cio dal punto di vista fisico - la femminilit strutturata secondo due criteri: V accoglienza e il dono. Questo lo straordinario circuito che sta alla base di quella propriet fisica che la maternit. La conseguenza sul piano psicologico in generale la gratuit, appunto, del modo proprio della femminilit di atteggiarsi secondo l'accoglienza e il dono. In modo pi specifico, per, questa propriet generale assume dei caratteri pi determinati, legati alle tr dimensioni psicologiche dell'anima, cio la conoscenza, l'affetto e l'azione. Ebbene, la gratuit sul piano del conoscere si configura come intuizione, cio conoscere senza passare attraverso la concatenazione necessitante del ragionamento formalmente conchiuso; sul piano dell'affetto, la gratuit prende corpo nella sensibi57 ht, che sa anticipare e sorpassare la figura del dovere; sul piano dell'azione, infine, la gratuit la straordinaria capacit di sacrificio: la generazione sempre un rischio, che la donna - non so perch -, anche dopo diversi rischi, per istinto sente di correre volentieri. E verissimo che non tutte le donne sono uguali, ma ut in plu-ribus (nella maggior parte dei casi) le cose stanno proprio cos. Non so perch, ma di fronte a queste qualit io sento il bisogno di inginocchiarmi e adorare. Mi si potrebbe certamente obiettare che tutto questo appartiene a un immaginario culturale che vuole la donna fatta in questa maniera. Ma io mi chiedo: qual il fondamento di questo immaginario? Anche il mito ha sempre un fondamento reale! E poi, questa realt che ho indicato crudamente reale: si tratta della sessualit. So benissimo che il concetto di donna-angelo, tipico della poetica stilnovistica, risponde a una ideologia particolare; ma cocciuto come sono, devo trovarne una giustificazione che superi i criteri ideologici. Ci pu essere una ragione metafsica, strutturale. Se c', questa ragione pu essere una ulteriore motivazione, poi, della femminilit della filosofa e della teologia. Per me la ragione c', eccome c'! Dunque, dunque, la cosa va presa cos. La sessualit femminile pu essere presa sotto due aspetti: l'aspetto funzionale - che quello che ho appena considerato: s, la maternit legata alla funzione procreativa - e l'a-spetto estetico. Ecco, sotto l'aspetto estetico innegabile che la femminilit esprima qualcosa di eccelso: la bellezza.

Mi sembra abbastanza evidente la differenza che c' tra il corpo maschile e quello femminile. Il corpo maschile banalmente funzionale; quello femminile, invece, ha una funzionalit metafunzionale: insomma, voglio dire che la struttura sessuale del corpo femminile evoca qualcosa di diverso dalla sua funzione. 58 La particolare struttura del corpo femminile espressione della bellezza. La struttura sessuale del corpo femminile una struttura complessa e armoniosa: i due ingredienti fondamentali del bello. La struttura sessuale della donna complessa proprio in ragione della sua particolare funzione; eppure si tratta di una complessit armoniosa, dalla quale traspare chiaramente un ordine, soprattutto nella debita proporzione delle parti. Le stesse forme, il timbro vocale, la postura e l'andamento generale, che sono conseguenze o propriet naturalmente legate a questa struttura, sono il livello pi appariscente di questa armonia. E sono anche il fondamento immediato del godimento estetico. Belle si dicono le cose che viste piacciono. E la bellezza indice di assolutezza: la bellezza chiusa in se stessa, non rinvia ad altro da s. Se rinviasse ad altro da se stessa, dipenderebbe da questo altro, sarebbe in relazione con questo altro e conscguentemente in armonia con esso: cio sarebbe bellezza questo coordinamento armonioso. E cos, di nuovo, la bellezza sarebbe racchiusa in se stessa! Anche se si ipotizzasse una relativit o coordinamento di dipendenza all'infinito, bello appunto il coordinamento; il quale, non essendo relativo ad altro - perch per essenza il coordinamento come tale -, sarebbe la bellezza. Dunque, la bellezza dice assoluto. Non per nulla essa va annoverata tra le propriet trascendentali dell'ente: come l'ente e l'essere intrascendibile; non rinvia ad altro da s perch si autoinclude. Se dunque la sessualit della donna esprime bellezza, essa esprime per ci stesso assolutezza. Qualcosa di divino, senza bisogno di rinviare a Dio. Adesso per veniamo al dunque! Perch le propriet della femminililt si ritrovano nella teologia e nella filosofia? Anzitutto le propriet funzionali. La maternit comprende: l'accoglienza, la fecondit e il dono. 59 Allo stesso modo e proporzionalmente, la scienza teologica comprende il problema, l'argomento e la conclusione. Toh, guarda che proporzione c' tra questi elementi. L'accoglienza corrisponde al problema; la fecondit corrisponde all'argomento o all'argomentare; il dono corrisponde alla conclusione. L'accoglienza corrisponde al problema, perch come l'accoglienza principio della fecondit, cos il problema il principio della scienza. S, la scienza ha sempre come proprio punto di partenza il problema. Far scienza vuoi dire risolvere un problema e aver scienza di qualcosa vuoi dire possedere la soluzione di un problema. La scienza non forse la conoscenza certa ed evidente della verit di un enunciato in forza del suo perch proprio? Ecco, se si deve conoscere il perch di qualcosa - e quindi averne scienza -, dal perch si devono prendere le mosse nella ricerca. L'ultimo nell'ordine dell'esecuzione, deve essere il primo nell'ordine dell'intenzione. "Perch l'uomo libero?": "Perch ra-zionale!". Il primo perch (?) problematizzante; il secondo perch (!) motivante.

L'esordio del fare scienza sempre la posizione [positio) di una tesi che va provata, sostenuta, motivata, giustificata. In quanto tesi, essa il problema: in quanto problema, essa ci che va risolto. Il problema e il problematizzare sono segno di accoglienza: sono l'atto dell'intelligenza che chiede di essere fecondata. E la fecondit corrisponde all'argomentare, perch l'argomentare l'attivit della mente nell'atto di concepire. S, con l'argomentazione si intende concepire la soluzione (resolutio) del problema. Anzi, si nello stesso atto di concepirla. Il concepimento intellettivo ha caratteristiche simili alle propriet della femminilit legate alla sua dimensione feconda e gratuita, ma sul piano psichico: l'intuitivit, la sensibilit, la sacrificalit. L'argomentare Y antitesi del problema, perch ne ricerca la soluzione. E il momento critico per eccellenza, perch si accom60 pagna alla criticit di indeterminazione del problema e produce una criticit determinata dal giudizio risolutivo. Per argomentare occorre escogitare un mezzo argomentativo, inventare il cardine dell'argomentazione: questo cardine l'elemento sul quale poggia il giudizio risolutivo del problema ed quindi visto come il cardine del perch motivante. A questa invenzione del medio dimostrativo o argomentativo corrisponde l'intuizione. Entrambe hanno a che fare con l'elementare, perch risolvere vuoi dire sciogliere, analizzare fino a raggiungere il semplice che nascosto nel complesso-, cos come l'intuire. Per argomentare non basta semplicemente discorrere, occorre il colpo d'occhio che afferra il principio del discorrere, per non dis-correre a vuoto: vagare qua e l senza concludere niente. Perch il discorrere non sia a vuoto, occorre cogliere il principio; ma questa invenzione o intuizione non semplice prerogativa dell'intelletto puro. Il serbatoio dei contenuti intellettivi l'esperienza. Ecco, alla sensibilit corrisponde proprio a questo contatto con l'esperienza, che la fonte dei contenuti conoscitivi. I princpi propri delle scienze si decantano a partire dall'esperienza: non sono dedotti da altri, ne sono innati. Si potrebbe dire che l'invenzione del principio e l'esperienza sono proporzionalmente simili all'intuitivit e alla sensibilit, anche perch in entrambi i rapporti vige la relazione tra ci che formale e ci che materiale. L'invenzione sta all'esperienza, come l'intuitivit sta alla sensibilit e come la forma sta alla materia. Il che vuoi dire che l'e-sperienza-sensibilit si rapportano all'invenzione-intuizione come la materia alla forma. Come la forma inquadra - per cos dire - con rigore i contenuti (cio la materia), cos la materia da consistenza e quindi interesse al sapere. La sacrificami, la capacit di sacrificio - qualit per nulla passiva ma attiva, tanto quanto l'aggressivit dell'istinto femmi61 nile orientato alla maternit - corrisponde alla complessiva dinamica dialettica dell'argomentare.

Lo so che questa una delle mie idee fisse: la dialettica ha un'anima sacrificale! Smontare e rimontare; scomporre e ricomporre: questa la sua anima. Da ultimo, il dono o il parto della mente che segue il concepimento dialettico: ad esso corrisponde quindi la conclusione dell'argomentazione. A questo punto la scienza compiuta nella sua femminilit. La sua accoglienza^ la sua fecondit esplodono nella sintesi, che compone (compositio] la tesi con il suo motivo; che conosce la verit con il suo perch; che, comprende il complesso perch ha scoperto il semplice. Un esempino schematico per vedere tutto di colpo non ci sta male,a questo punto. SINTESI C

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0.

62 Beh, queste propriet funzionali della femminilit si trovano in ogni scienza. Ma nella teologia e nella filosofia esse si trovano in modo eccellente, perch in queste si aggiunge l'aspetto estetico della femminilit: quello che Va girar la testa! Nella teologia e nella filosofa, infatti, queste propriet funzionali della femminilit vengono colte per riflessione nella loro dimensione estetica. Le altre scienze non sanno e non possono mettere a tema se stesse, riflettere su se stesse, e questo impedisce loro questa esperienza estetica da capogiro. Se un matematico apprezza la bellezza dell'argomentare matematico non lo fa in quanto matematico, perch la matematica si occupa della quantit in quanto misurabile e non dell'armonia in quanto armonia. Questo apprezzamento lo fa in quanto filosofo. E la filosofia che pu esprimersi in questi termini, perch ha un punto di visione pi elevato e onnicomprensivo. Quindi pu riflettere sullo stesso argomentare come tale e in tutte le sue diverse specie. Ma nella filosofia e nella teologia si da anche il compiacimento del considerare per considerare. Questo sguardo compiaciuto tipico della contemplazione. E la contemplazione vede tutte le cose, considera ogni cosa dal punto di vista della bellezza. Il contemplare paragonabile al movimento circolare. Immagine usata dal pensiero neoplatonico per indicare il fatto che oggetto della considerazione contemplativa una medesima cosa, colta sempre sotto il medesimo aspetto. Come quando si resta attoniti a bocca aperta e sguardo spalancato di fronte allo spettacolo della bellezza. Ti gira o non ti gira la testa? ! Anche questo un moto circolare, no? ! Ma la femminilit della teologia e della filosofa comporta forse uno sdoppiamento del loro cultore? Come si pu far girare la propria testa per due donne diverse, di una bellezza straordinaria e l'una e l'altra? Alla fine mi sa proprio che il povero cultore si ritrovi come l'asino di Buridano: non nel senso che muoia di fame, ma nel senso che resti - come il caso - un asino... No, niente paura, non si corre questo rischio, perch filosofa e teologia non sono due donne diverse: ne antagoniste, ne

63 subordinate l'una all'altra (che strana idea devozionistica e pietosa quella di vedere nella teologia la padrona e nella filosofia la schiava... per dire certe cose non occorre farsi girare la testa... bisogna averla svitata del tutto...). Non c' teologia senza filosofia, perch la teologia la comprensione della fede attraverso la ragione flosofca. La teologia, come scienza, risolve i propri asserti problematici in due princpi: uno di fede teologale e uno di ragione filoso-fca. Questi due princpi sono le due premesse sillogistiche, o il perch della dialettica teologica. Come non si da conclusione senza premesse, cos non si da teologia senza fede e senza filosofia. La teologia un'opera che compete insieme alla fede e alla ragione flosofca. E fin troppo evidente, quindi, che la teologia non pu essere contraria alla filosofia, ne essere una padrona dispotica che usa la filosofa come una schiava: la teologia non esiste prima della filosofia per poterla usare\

Applichiamo l'esempio schematico di prima:

ANALISI RESOLUTIO
PERCH PREMESSE mi. Cristo Dio che ha assunto la natura umana Ma. ogni uomo libero Cristo libero PROBLEMA TESI CONCLUSIONE SINTESI

SINTESI
C

o
MPO
S

I
TIO
64 La premessa minore di fede; la premessa maggiore di filosofa: la conclusione teologia, cio l'approfondimento o la comprensione razionale della fede. Non si toglie il credere, cio la fede, ma la si comprende pi in profondit, esplicitandone le virtualit. La teologia dunque il risultato dell'applicazione della ragione flosofca alla fede teologale. O, se si preferisce, la teologia la filosofa coinvolta dalla grazia divina nella conoscenza di Dio e del divino. Teologia e filosofa, dunque, non son due donne diverse, con due bellezze da capogiro diverse. Sono la medesima donna, con tutta la sua esplosiva femminilit sul piano naturale e su quello soprannaturale. La teologia la filosofia elevata dalla grazia: la divinizzazione della filosofa, o la manifestazione della divinit intrinseca della filosofia. Adesso, per: dorso della mano alla fronte, perch questa stata una bella sudata, in tutti i sensi... nota

Mi venuta in mente una cosa che mi sembra bella: l'aggiungo qui. Penso di aver escogitato un modo per riuscire a intendere filosoficamente l'idea di donna-angelo. Non intendo riferirmi alla donna angelicata dei trovatori, per i quali - se non ho capito male - l'angelicita della donna era una qualificazione negativa: la donna intesa come angelo per il fatto che si rifiuta sdegnosamente, quasi con disprezzo... No, no, mi riferisco alla donna-angelo stilnovistica e soprattutto all'idea che in Dante - per esempio - essa esprime nella simbologia teologica di Beatrice. Beatrice, la donna amata da Dante, per lui figura della teologia: figura della disciplina razionale pi alta perch conduce alla contemplazione dell'Assoluto. 65 Ebbene, in che modo si pu giustificare flosoficamente questa immagine dell'angelicita della donna? (evidentemente intendendo per giustificazione filosofica, in questo caso, non la dimostrazione incontrovertibile di ci che si sta dicendo, ma molto pi semplicemente un discorso che renda ragionevole e conveniente ci che si dice). Il principio chiave penso che possa essere espresso cos: la donna, in forza della propria femminilit, esprime sempre l'idea di attivit o di atto. S, fisiologicamente parlando, la donna attiva. Il principio attivo nell'ordine della sessualit non quello maschile ma quello femminile. Lo so bene che Freud sostiene il contrario, ma questa autorit non pu essere invocata per sostenere un'idea che evidentemente sbagliata. Freud dice che la femmina sessualmente passiva e si sente tale perch subisce la penetrazione: di qui nascerebbe nella femmina il senso di dipendenza e la sua forma inconscia di "invidia del pene". Ma questa interpretazione bio-psicologica della femminililt mi sembra proprio maldestra. Fisiologicamente parlando, la femmina attiva e non passiva. E'ia femmina che concepisce, non il maschio! Sul piano biologico, la femmina che produce il nuovo; la femmina che fonte di novit. Il principio "meccanico" della penetrazione non ha alcun valore. Mi vien quasi da ridere: quando ci nutriamo, il cibo che penetra la bocca o la bocca che mangia il cibo? In opposizione a Freud, la psicologia dell'interpersonalit (K. Horney) capovolge la dirczione dell'invidia inconscia. Non la femmina a invidiare il pene, ma il maschio che invidia la superiorit fisiologica della femmina. Il maschio sublimerebbe, dunque, con la sua straordinaria forza di lavoro questa invidia per supercompensare l'inferiorit fisiologica nella funzione riproduttiva. Dunque, la femminilit esprime attivit e quindi atto. 66 Per questo motivo, quando rileggo quel brano di S. Tomma-so, nel quale si dice che l'amante sta all'amato come la materia sta alla forma (3 Sententiarum, 27, 1, 1 ad 5), non posso fare a meno di pensare che quella relazione non sia reciproca tra il maschio e la femmina, ma che sia semplicemente la relazione che lega il maschio alla femmina. Dice S. Tommaso: Vi sono due tipi di unione. L'una produce un'unit relativa, come l'unione di elementi aggregati, che si toccano solo superficialmente; e questa non l'unione d'amore, giacch l'amante viene condotto nell'intimo

dell'amato, come si detto. L'altra l'unione che produce un'unit assoluta, come l'unione dei continui, e della forma e della materia; e questa l'unione d'amore, perch l'amore fa s che l'amato sia forma dell'amante. L'amante, dunque, sta all'amato come la materia alla forma. In questa tesi, in virt del realismo analogico, parametri di ordine metafisico divengono il criterio per interpretare un fatto e una dinamica di ordine psicologico - cos come, in altre circostanze, parametri di ordine psicologico divengono criterio interpretativo o esplicativo della struttura metafsica. Psicologicamente parlando, queste affermazioni vanno intese in questo senso. L'amore una passione, cio un moto dell'appetito sensitivo. Ora, l'appetito sensitivo una potenza passiva e, come ogni realt passiva, trova il proprio perfezionamento quando viene ad essere determinato dalla forma del principio attivo suo proprio, cio ad esso proporzionato. L'oggetto appetibile infatti ci che muove e determina l'appetito e ne costituisce: il termine di acquietamento, come per altro verso la forma intelligibile il principio motivante e determinante l'intelletto: la ricerca e il dubbio cessano quando l'intelletto viene informato cio determinato dalla forma intelligibile, cos da fissarsi nel possesso della conoscenza. Allo stesso modo, l'appetito, una volta imbevuto o impregnato dalla forma del bene che il suo oggetto, si fissa in esso amandolo. L'amore appunto questa specie di trasformazione 67 dell'affetto nella cosa amata: l'appetito concupiscibile riceve dal bene appreso una prima trasformazione di armonizzazione (coaptatio} o proporzione al bene stesso, come compiacimento e affascinamento, che appunto l'amore. In questo senso il bene amato diviene forma dell'affetto, e poich tutto ci che diviene forma di qualcosa diviene uno con esso, l'amante, attraverso l'amore, diviene una cosa sola con l'amato, che si costituito come forma dell'amante. L'unit a modo sostanziale, che si viene a creare tra l'amante e l'amato, fa s che l'amante percepisca l'amato come un alter ego. Sempre in forza di questa unit quasi sostanziale prodotta dall'amore, l'amato diviene criterio o regola delle azioni dell'amante, perch la forma di una cosa il principio e la regola del suo agire: l'amante viene inclinato dall'amore ad agire secondo le esigenze dell'amato. E tutto ci che l'amante fa o sopporta per l'amato risulta perci piacevole: l'agire in conformit alla propria natura-forma sempre sommamente piacevole e spontaneo. E interessante notare come l'analogia o la proporzione tra la materia e la forma sia adeguata a descrivere anche le caratteristiche pi tipiche dell'amore nei suoi stessi effetti, anche se si passa a una significazione metaforica. Si dice infatti che l'amore produce una ferita, perch come la forma raggiunge l'intimo di ci che essa informa e viceversa, cos l'amante permeato dall'amato, quasi restandone trafitto. Siccome poi la trasformazione di un soggetto implica la perdita della sua forma originaria per acquisirne una nuova, in forza dell'amore l'amante perde in qualche modo la sua forma e separandosi in certo modo da se stesso tende all'amato: in questo senso si dice che l'amore produce l'estasi e il fervore. D'altra parte, come un'entit naturale non perde la propria forma se non in quanto vengono a mancare quelle disposizioni per le quali la forma era ricevuta nella materia, cos occorre che Ramante in qualche modo perda quelle condizioni terminali che lo costituivano come entit autonoma o originaria, ben determinata e chiusa in s; in questo senso si dice che l'amore causa uno 68

struggimento, una liquefactio: il cuore si scioglie, si liquefa e come liquido non sta dentro i propri limiti. Ma l'aspetto, per cos dire, pi crudelmente esaltante dell'analogia nell'ilemorfismo d'amore il parallelismo con la morte. Di fatto, l'amante spira dolcemente in certo senso, quasi a modo sacrificale, perdendo - come si detto - le proprie connotazioni per assumere la nuova forma dell'amato. In questa linea, l'analisi teoretica o flosofica realistica trova perfetta sintonia con le sublimazioni affettive del canto poetico: I' vo come colui ch' fuor di vita che pare, a chi lo sguarda, ch'orno sia fatto di rame o di pietra o di legno, che si conduca sol per maestria e porti ne lo core una ferita che sia, com'egli morto, aperto segno. (G. cavalcanti, Tu m'hai s piena di dolor la mente} Se dunque la materia dice passivit e la forma, invece, atto, allora il maschio sta dalla parte della materia e la femmina dalla parte della forma. E l'uomo-amante che si relaziona alla donna-amata come la materia si rapporta alla forma: non viceversa. Nella lettera agli Efesini (5, 25), si dice che l'uomo deve amare la propria moglie come Cristo ha amato la Chiesa e ha sacrificato se stesso per lei. L'idea la stessa: l'uomo che deve immolarsi, sacrificarsi, morire per la donna. Ma mi pare che si possa procedere ancora oltre queste affermazioni fino a giungere alla concezione angelica della donna. Se la forma il principio attivo ed anche capace di sussistenza autonoma, ci troviamo di fronte al caso dell'anima umana e dell'angelo. Ebbene, l'idea della donna-angelo potrebbe essere recuperata filosofcamente proprio in questa prospettiva: si tratterebbe della idealizzazione piena e assoluta della attualit o attivit del femminile. 69 L'angelizzazione della donna dipende dall'idealizzazione dell'aspetto attivo che legato alla femminilit. Un'idealizzazione che tien conto non solo della dimensione di attualit o dell'essere principio attivo, ma anche del fatto che ci che attivo non ha bisogno di riferirsi ad altro per ricevere, ma come perfettamente autonomo e sussistente: appunto come un angelo. Questo diviene poi motivo di ammirazione e anche di contemplazione. Ma questo l'ho gi detto. Quello che si pu aggiungere al riguardo che proprio perch la donna pu divenire oggetto di contemplazione, anche da questo punto di vista pu assumere la fisionomia ideale dell'angelo. S. Tommaso dice che anche un angelo pu essere, oggetto della contemplazione e fonte di una certa beatitudine: addirittura pi elevata di quella che si pu raggiungere attraverso l'esercizio delle scienze speculative.

Nulla impedisce che si possa raggiungere una certa beatitudine imperfetta nella contemplazione degli angeli; e anche pi alta di quella che si pu ottenere nella considerazione delle scienze speculative (Summa Theologiae, 1-11, 3, 7). Insomma: meglio guardare un angelo che studiare... Pi di cos non so dire, ma penso che neppure si possa dire di pi... 70

FESPLOSIONE DEL DOGMA


Compito della teologia far esplodere il dogma, cio l'immutabile verit di fede. Evidentemente, esplodere non va preso nel senso negativo della distruzione. Una teologia che distruggesse il dogma distruggerebbe se stessa, perch il dogma, cio la fede dogmatica, il suo presupposto. La teologia pur sempre la comprensione razionale della fede teologale. L'esplosione del dogma di fede va intesa, in questa circostanza, nel senso con il quale si dice che esplosa la primavera. ovvio che con questa espressione non si intende dire che la primavera sia distrutta, ma che si manifestata con tutta la sua ricchezza di colori, di forme e profumi. E siccome questa manifestazione compare tutta insime, quasi all'improvviso, per il tramontare repentino e inatteso del grigiore invernale, fa rumore: esplode come un applauso. Eppure tutta questa ricchezza era covata dalla natura, nascosta nel suo grembo sotto le coltri oscure dell'inverno. Allo stesso modo, i contenuti pi affascinanti della verit di fede, sono nascosti sotto le coltri apparentemente rigide delle definizioni dogmatiche. Spesso si accusa il dogma di essere ormai incomprensibile, non rispondente alla sensibilit della cultura attuale e quindi estraneo all'interesse delle stesse persone di fede o comunque praticanti. In parte, questa obiezione vera, fondata. Ma appunto in parte, cio tiene conto solo di una parte del fondamento sul quale si struttura la comprensione di qualcosa. 71 Una cosa pu essere incomprensibile o perch in s oscura, o perch oscura o opaca l'intelligenza di chi vuole comprenderla. C' un difetto nella comprensione sia dal punto di vista dell'oggetto che deve essere compreso, sia dal punto di vista del soggetto che vuole comprendere. Ma, supposto che l'opacit pi radicale sia quella che sta dalla parte del soggetto, quella oggettiva - cio quella dalla parte dell'oggetto - pur sempre riducibile alla opacit del soggetto. S, voglio dire che l'oggetto quello che ; l'unica assoluta opacit o impermeabilit che esso pu avere nei confronti dell'intelligenza l'opacit che lo toglie di mezzo come oggetto, cio lo annulla come oggetto, nel senso che si identifica con il suo non essere assoluto. Questo non essere assoluto la contraddizione. Un oggetto assolutamente impermeabile alla comprensione dell'intelligenza se in s contraddittorio, cio nullo come oggettivit. Il contraddittorio, per definizione, non : e come tale non intelligibile, inintelligibile. Non pu essere compreso il contraddittorio, perch il contraddittorio nulla e il comprendere nulla nulla come comprendere, cio non si da. L'assolutamente incomprensibile il contraddittorio; il contraddittorio non : dunque l'assoluta incomprensibilit dalla parte dell'oggetto non c'.

Un oggetto assolutamente incomprensibile non neppure oggetto! Dunque, resta fermo il fatto che se si da una opacit nella comprensione, questa dipende dal difetto o finitezza della capacit di comprendere, che sta tutta dalla parte del soggetto. Siamo noi che non siamo capaci di comprendere, cio di prendere insieme (cum-prehendere). , : . Anche l'oggetto pu avere una relativa incomprensibilit, nel senso che, data la sua sproporzione rispetto alle nostre capacit di comprensione, viene da noi significato o inteso solo prospetticamente. 72 Non riuscendo a vederlo tutto insieme, lo vediamo prima in un modo, poi in un altro, poi in un altro ancora. Con il rischio di confondere i modi prospettici della considerazione, cio le sfaccettature, con la natura o la totalit dell'oggetto stesso. E quello che avviene quando ci facciamo - come si dice -un'idea di una persona: identifichiamo quella persona con le caratteristiche che in modo pi saliente ci hanno colpito, o abbiamo potuto constatare. Il rischio di identificarla con quelle caratteristiche, buone o cattive che siano, pregi e difetti: inevitabile. E inevitabile perch noi conosciamo le cose cos come esse si presentano al nostro sguardo; ma non detto che il modo con il quale esse si presentano al nostro sguardo esaurisca il loro essere o il loro modo di essere. Noi non vediamo simultaneamente il davanti e il dietro, il sotto e il sopra, il dentro e il fuori, un fianco e l'altro di una cosa. Per questo motivo noi discorriamo, cio passiamo da un punto di vista all'altro per capire. Per capire qualcosa noi dobbiamo formarci diverse idee della stessa cosa. E quando, per la sua straordinaria ricchezza di perfezione, un oggetto pu suscitare in noi molte idee, che non riusciamo a coordinare tra loro, quell'oggetto diviene per noi -cio relativamente a noi - incomprensibile. ' ' Questo vale soprattutto per Dio e la conoscenza che ni possiamo avere di lui. Dio lo stesso Essere per s sussistente; infinito in perfezione: solo Dio pu comprendere adeguatamente se stesso, esaurendo la propria comprensibilit, perch intelligenza infinita. Quindi, l'intelletto umano, essendo finito nella sua capacit di comprensione, non pu comprendere totalmente Dio. L'intelletto umano pu arrivare a formarsi diverse idee intorno alla essenza di Dio, ma non pu averne una conoscenza adeguatamente esaustiva: neppure per sintesi delle idee che possiede, perch sono concetti specifici che non possono per ci stesso essere adeguati ad esprimere ci che metaspecifico. 73 Mi sembra evidente che quando diciamo che Dio - cio lo stesso Essere per s sussistente - Padre, attribuiamo un concetto ben determinato, specifico, esclusivo di altri concetti - per esempio quello di Madre - alla realt che di suo non esclude nulla perch include tutto. E cos via. Il che vuoi dire che questo insieme di denominazioni ha una funzione evocativa; oppure, nel caso delle denominazioni metafisiche, cio adeguate ad indicare ci che metaspecifico, la difficolt della comprensione sta tutta nella scoperta della loro dimensione sintetica. I trascendentali (realt, uno, altro, vero, bene, bello) sono modi diversi di significare l'ente o essere; non sono modi diversi di essere! Indicano la stessa realt in modi diversi o prospettici. Se si distinguono tra loro, vuoi dire che significano in modo diverso. E questo presuppone che, anche se la distinzione che si trova tra di essi solo di ordine concettuale e non reale, tuttavia si tratta di significati diversi tra loro.

Dire vero non vuoi dire immediatamente uno o bene. Occorre una riflessione per cogliere l'identit reale di questi diversi significati concettuali. Arrivare a capire o a scoprire l'identit sotto la diversit capire anche il valore della diversit. la stessa esperienza di gusto che si prova nell'uso o nella scoperta dei significati sinonimi, oppure nell'invenzione delle etimologie delle parole. Cos, per esempio, gustoso e istruttivo scoprire i sinonimi di bellezza: formosit (per la proporzione delle forme), avvenen-W (per il confarsi a chi l'apprezza), attrattiva (perch attira a s), appariscenza (per la chiarezza o luminosit della sua presenza), venust (per il riferimento mitico a Venus, dea dell'amore e madre delle Grazie), grazia (per la piacevolezza che l'accompagna), splendore (per l'abbondanza della luminosit e visibilit), stupendit (per lo stordimento contemplativo che suscita in chi la vede), fascinosit (per l'incantesimo che segretamente insinua in chi la percepisce). 74 Anche l'etimologia - cio la ricerca dell'origine delle parole -non meno gustosa e istruttiva. Per esempio, bello, anche sul piano nominale, e una conseguenza del bene. Bello, infatti, deriva dal latino bellus: termine che a sua volta deriva dall'antico benus (per bonus) attraverso il diminutivo benulus-benlus, da cui appunto bellus. Scoprire l'identit nella diversit. Ci si sente coinvolti inu-sualmente nell'usuale e si scopre la straordinariet dell'ordinario: che botto, eh? ! Far esplodere il dogma vuoi dire scoprire il valore concreto di parole che sembrano lontane le mille miglia dalla nostra esperienza. uno scoprire il valore concreto di un significato per noi prima astratto: insieme riesci anche a valutare e apprezzare quel significato astratto, che ti sembrava avulso dalla realt; anzi quel significato per t non pi astratto, ma diventato concretissimo. L'inusuale ormai usuale! La novit fa sempre un gran botto! Ma questo un gran botto concettuale, perch la realt sempre quello che , cos com'... 75

IL PUNTO DI VISTA DELL'ETERNO


Non facile adattarsi a un nuovo punto di vista. Si prova un grande sconcerto. Non che si vedano cose diverse da quelle sempre viste. No! Il fatto che vedendole da un punto di vista diverso, le si vede in modo diverso: e le stesse cose quasi paiono irriconoscibili. Oppure - e la cosa mi sembra pi giusta detta cos - noi siamo irriconoscibili a noi stessi, per il fatto di vedere le cose in modo diverso dal consueto. S, il punto di vista proprio a tal punto determinante, da cambiare il volto delle cose. Cambiare il volto delle cose vuoi dire appunto girarle,, voltarle. In fondo, meditare significa proprio questo. Meditare vuoi dire considerare sempre la stssa cosa cambiando il punto di vista prospettico della considerazione. Meditare quasi un misurare con la mente, il che implicajl soffermarsi del pensiero su una cosa spostando di volta in volta l'angolo della considerazione.

Se il contemplare paragonabile al movimento circolare della mente - considerare la stessa cosa, sempre sotto lo stesso aspetto -, il meditare paragonabile al movimento a spirale o elicoidale della stessa mente: al permanere della cosa, varia l'aspetto che di essa viene considerato, in forza della variazione della prospettiva. Meditare vuoi dunque dire essere capaci di conciliare l'identico con il diverso; o per meglio dire, saper conciliare le diverse prospettive in riferimento al medesimo ed identico oggetto. 76 vero che il punto di vista dell'etemo appartiene per s al movimento contemplativo della mente - considerare sempre la stessa cosa sotto lo stesso aspetto -: con-siderare il fissare attentamente una stella, quasi per leggervi il decreto eterno del destino. Ma ora si tratta di comporre la considerazione eterna dell'eterno con la variazione o l'innovazione temporale con la quale l'eterno appare. Questo compito, o questa abilit, appartiene al meditare. Da sempre, nel corso della storia del pensiero, si assiste all'opposizione di tempo ed eternit, cos come si oppongono il mobile e l'immobile, il mutevole e l'immutabile. E si tratta di un'opposizione radicale, giacch i due termini si escludono vicendevolmente. Se una cosa etema non pu essere temporale; e, viceversa, se una cosa temporale non pu essere eterna. Si tratta di un'opposizione che caratterizza anche due modi di pensare e le relative scuole di pensiero. Da una parte abbiamo, cos, i sostenitori della'temporalit del tutto: sono coloro che affermano l'assolutezza del divenire e della storia. Dall'altra parte, invece, abbiamo color che affermano il valore di ci che si contrappone al temporale e al divenire e quindi l'assolutezza di ci che immutabile e dunque eterno. I primi vedono nell'eterno la negazione della storia, la negazione del divenire: l'immutabile blocca tutto e non lascia spazi alla libert, alla novit del progetto umano. I secondi, invece, vedono nell'immutabile la spiegazione del mutevole, la sua stessa condizione metafsica. Non che l'immutabile tolga il mutevole: l'immutabile la condizione per la quale il mutevole pu essere. Senza l'immutabile, il mutevole non sarebbe. La prima posizione rappresenta l'istanza della filosofa moderna e contemporanea, che rigetta assolutamente il pensiero metafisico classico, con il suo ricorso alla trascendenza divina per salvare l'immutabilit dell'essere che nel divenire viene annullato. 77 II rifiuto della trascendenza immutabile del divino motivata dal dover sacrificare ad essa tutta la ricchezza dell'essere mondano. L'affermazione di Dio trascendente e della dimensione trascendente di tutti i valori, rappresenterebbero - per il pensiero contemporaneo - il rifiuto dell'umano. Indiscutibilmente emblematico di questa posizione il pensiero di Nietzsche. La morte di Dio la condizione della vita dell'uomo. La seconda posizione, invece, evidentemente quella del pensiero classico, o comunque delle scuole anche contemporanee che ad esso si ispirano. Ci che questo pensiero propone ha il suo emblema nella dottrina platonica. Secondo Fiatone esistono due piani dell'essere: uno sensibile, diveniente, mutevole; l'altro metasensibile, ideale, immutabile. L'essere sensibile, quello mondano, non il vero essere, per Fiatone: il vero essere quello trascendente e ideale, iperuranio, cio quello che "sta al di l".

In questa prospettiva, la vita dell'uomo deve essere orientata pi all'aldil che all'aldiqua. La vera vita non questa che viviamo nell'ordine della sensibilit, ma quella che vivremo nell'aldil (Fedone}. L'eternit quindi vista come la salvezza delle cose, in quanto esse vengono possedute e dominate dall'eterno Dio: in se stesse, le cose sarebbero nulla, perch travolte dal flusso inesorabile del divenire. Ma tra tempo ed eternit esiste effettivamente questo contrasto insanabile, per cui l'una sarebbe la negazione dell'altro e viceversa? Oppure questo contrasto in realt fttizio, frutto di una maldestra interpretazione sia del tempo, sia dell'etemo? Il filosofo contemporaneo Emanuele Severino - il teoreta pi rigoroso che io conosca - ritiene che sia la posizione classica, sia la posizione contemporanea si rifacciano a un medesimo errore. 78 E l'errore che sta a fondamento dei due apparenti antagonisti la "fede nel divenire"', cio la persuasione che le cose siano nulla. Il nichilismo la matrice comune alle due posizioni. Pensare che le cose escono dal nulla e vi ritornano pensare che le cose sono nulla, ossia che l'essere il nulla (E. seve-RINO, La follia dell'angelo, Milano 1997, p. 250). L'uscire dal nulla e il ritornare nel nulla delle cose l'interpretazione che la classicit e la contemporaneit danno del divenire. Tutto l'Occidente persuaso della nullit delle cose, anche se in modo non esplicito, giacch il nichilismo dell'Occidente sta appartato nel "nascondiglio pi sicuro", cio in quella che per l'Occidente l'evidenza originaria: la fede nel divenire, come oscillazione delle cose tra l'essere e il nulla. Severino denuncia quale follia questa interpretawne del divenire (cf. op. cit., p. 52). Follia, perch identifica l'essere e il nulla, o se si preferisce usare il paradigma dell'opposizione originaria, questa follia identifica il positivo e il negativo. Ma il positivo non il negativo, l'essere non il non essere! interpretawne, perch non si limita a ci che consta, ma lo trascende con un di pi che viene iniettato erroneamente, cio sulla base di un errore. E l'errore appunto l'essere persuasi della nientit dell'ente. Persuasione che ha addirittura una fondazione teoretica ritenuta incontrovertibile, tanto quanto la verit dell'essere: il principio di non contraddizione. Il principio di non contraddizione, che vuole essere la difesa pi rigorosa della incontraddittoriet dell'essere, in realt esso stesso la forma peggiore della contraddizione: proprio perch la contraddizione viene nascosta nella formula stessa con la quale ci si propone di evitarla e di bandirla dall'essere (E. severino, ritornare a Parmenide, in id., Essenza del nichilismo, Milano 1995, p. 22). Secondo l'acuta analisi di Severino, il principi di non contraddizione in se stesso contraddittorio perch ammette un 79 tempo nel quale si da quella identit di essere e non essere che invece lo stesso principio di non contraddizione intende respingere. E in effetti, anche a me pare che dire che una cosa non pu essere e non essere nello stesso tempo, significhi dire che pu essere e non essere in tempi diversi, cio che non si dia contraddizione nell'ammettere un tempo in cui quella stessa cosa non sia.

Ma mi viene da dire: se la cosa fosse diversa dall'essere, potrebbe essere indifferente all'essere e al non essere; e di conseguenza questa indifferenza garantirebbe l'incontraddittoriet del tempo in cui la cosa non . Ma la cosa non un che di diverso dall'essere! Se infatti fosse tale, essa sarebbe non essere - tertium non datur - e allora nel momento in cui si predicasse l'essere della cosa si predicherebbe l'essere del non essere: il che contraddittorio! Se la cosa fosse diversa dall'essere, non sarebbe; dire che ci-che-non- , implica contraddizione: l'identificazione del positivo e del negativo. Quindi, se la cosa l'essere e non un che di diverso o altro dall'essere, non v' neppure un tempo in cui si possa predicare di essa il non essere. Non c' un tempo in cui la cosa possa non essere, perch quel tempo o istante sarebbe l'identit simultanea dell'essere e del non essere: ci che appunto il principio di non contraddizione intende condannare. Dunque, non si pu consentire che la cosa sia nel tempo, perch non si pu consentire che l'essere sia hel tempo. Ma direi anche di pi - o forse comunque la stessa affermazione vista da un'altra angolatura -: il tempo, come non essere dell'essere, non , non c', come non c' o non si da il non essere dell'essere! L'essere , mentre il nulla non : questa la verit o il destino dell'essere, secondo la celebre espressione di Parmenide (fr. 6, w. 1-2). Quindi l'essere non pu non essere; l'essere non 80 pu essere afflitto dal nulla perch il nulla non : in quanto nulla non c' e non pu far niente. Il fare del nulla nulla come fare, quindi lascia intatto l'essere nella sua beata indifferenza olimpica al nulla, perch non pu temere ci che non c'! Il nulla non fa ne caldo ne freddo all'essere: ncque calidum neque frigidum ens reliquit! . , : ,, In questo senso, direi che la posizione parmenidea - ma so bene che non proprio cos totalmente parmenidea - di Severino rispecchia l'incontrovertibile verit dell'essere: la sua giustizia. L'essere in quanto essere dunque eterno. L'essere non pu essere nel tempo; ma non neppure sopra il tempo, quasi che il tempo avesse il dominio su qualcosa. Dal punto di vista dell'essere, il divenire e il tempo, intesi o interpretati come vicenda della costruzione e distruzione dell'essere, non sono! Dunque, con Severino, non posso non ammettere che la variazione che pur si constata e'che viene chiamata divenire, non il venire dal nulla e il tornare nel nulla delle cose, ma l'apparire e scomparire, nell'orizzonte della nostra esperienza, di ci che eterno. Il divenire va inteso come il processo della rivelazione dell'immutabile (E. severino, Poscritto, in id., Essenza del nichilismo, cit., p. 89). Solo se il divenire viene interpretato in termini di essere e non essere allora la verit dell'essere proclama l'immutabilit dell'essere; ma se il divenire definito secondo le determinazioni che autenticamente gli convengono in quanto contenuto dell'apparire - e cio come il processo della rivelazione dell'essere -, allora l'immutabilit e il divenire dell'essere non valgono pi come termini tra loro contraddittori (Ibid.). Occorre dunque abituarsi a pensare e vedere le cose dal punto di vista dell'eterno, cio dell'essere come tale. 81 E il Cristianesimo sopporta una tale considerazione? Oppure anche il Cristianesimo coinvolto nella "folle" persuasione dell'Occidente per cui l'essere niente?

I concetti di creazione dal nulla, di incarnazione, di salvezza sopportano il vaglio critico della verit dell'essere? Io penso proprio di s. Anzi penso che il punto di vista della verit dell'essere, cio dell'eterno, sia il punto di vista adeguato per capirli e non fraintenderli fantasiosamente. Eh s, perch proprio il Cristianesimo il punto di vista eterno, sull'eterno.
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CETERNO NEL CRISTIANESIMO


II punto cruciale dell'obiezione che la verit dell'essere rivolge al Cristianesimo questo. Il Cristianesimo nichilista: immerso nella follia dell'Occidente, che inconsciamente persuaso della nientit dell'ente. Anzi, lo stesso Cristianesimo promotore e banditore di questa follia, giacch la stessa affermazione di Dio trascendente, creatore e signore del mondo, implica la derivazione dell'essere del mondo dal nulla e la sua reversibilit nel nulla da cui tratto -in forza della onnipotente Tecnica di Dio. Ma liberato dal nichilismo, il Messaggio ha la possibilit di appartenere alla verit dell'essere. Incomincia cio ad essere, per la verit, un problema (E. severino, Risposta alla Chiesa, in id., Essenza del nichilismo, cit., p. 344). Che cosa vuoi dire liberare dal nichilismo il Messaggio cristiano? E che cosa vuoi dire che, libero dal nichilismo, il Messaggio cristiano comincia ad essere problema per la verit? Beh, vediamo un po': se non ho capito male, problema ci che la verit non in grado di smentire o confermare (E. severino, II sentiero del Giorno, in id., Essenza del nichilismo, p. 166). Questo vuoi dire che il problema supera le capacit di determinazione della verit, intesa come un dire incontrovertibile -cio incontestabile, che non pu essere smentito - e anche come ci che detto in questo modo: cio la verit dell'essere (cf.ZW.,p.l58). E la verit dell'essere appunto la contestazione del nichilismo, la sua negazione, la sua incontrovertibile smentita: l'essere in quanto essere, l'ente in quanto ente immutabile, non pu non essere, eterno. 83 Dunque, il messaggio cristiano comincia a diventare problema per la verit una volta che, smesso il linguaggio nichilistico della metafsica, comincia a parlare la lingua della verit, cio la lingua del Giorno - in contrapposizione alla lingua della Notte, cio quella della metafisica nichilistica, per la quale l'ente pu esser niente -. In questa linea di riflessione, la creazione, se viene intesa necessariamente nel senso per cui la creatura sarebbe potuta essere nulla o potrebbe tornare nel nulla, non pu essere accolta dalla verit dell'essere. E in questo modo - secondo Severino -resta definitivamente precluso ogni incontro tra la verit dell'essere e il Cristianesimo (Alienazione e salvezza della verit, in id., Essenza del nichilismo, cit., p. 274). Nel caso invece in cui il concetto di creazione fosse inteso in conformit alla verit dell'essere - e quindi espresso nella lingua del Giorno -, allora divenendo problema, cio possibilit per la verit, troverebbe ascolto da parte della verit dell'essere. Perch la creazione sia un'autentica possibilit della verit dell'essere, essa deve essere interpretata come una determinazione che riguarda l'apparire e lo sparire dell'essere (E. severino, Poscritto, in id., Essenza del nichilismo, cit., p. 11.5): perch l'essere non viene dal nulla ne pu tornare nel nulla. Dunque, la parola creazione, nella lingua del Giorno, significa "teofania".

Il verbo gignesthai che compare nel prologo del Vangelo secondo Giovanni, a proposito della creazione di tutte le cose per mezzo del Verbo (Gv 1,3), non va quindi inteso come un diventare essere delle cose, ma come un mantenersi e trarsi fuori dal loro nascondimento (E. severino, II sentiero del Giorno, in id., Essenza del nichilismo, cit., p. 164). La problematicit della creazione per la verit dell'essere sta nel fatto che, intesa in questo senso, essa porta pur con s la possibilit che giunga ad apparire ci che sarebbe potuto non apparire: il problema della libert dell'apparire dell'essere (J-W.).
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Problema perch si da anche la possibilit opposta: cio la possibilit dello sviluppo necessario della rivelazione dell'eterno (E. severino, Poscritto, in id., Essenza del nichilismo, cit., p. 115). Una riflessione del medesimo tenore deve essere fatta anche a proposito dell'incarnazione. Anche l'incarnazione ha la possibilit di divenire significativa per la verit dell'essere, una volta illuminata dalla verit dell'essere, cio una volta che si sia incamminata lungo il sentiero del Giorno, che l'affermazione dell'immutabilit dell'essere, l'eternit dell'essere. Dice espressamente Severino: Affinch la "storia della salvezza" divenga problema, il "Verbo" deve essere allora innanzi tutto pensato come eternamente "presso Dio" ed eternamente "presso la carne": e il suo diventar carne deve innanzitutto significare che il Verbo che eternamente presso la carne entrato nell'apparire {Risposta alla Chiesa, in Essenza del nichilismo, cit., p. 381). Ora, queste due tesi di Severino sono state dichiarate ufficialmente come incompatibili con la dottrina cattolica (cf. l'Appendice a Risposta alla Chiesa, in Essenza del nichilismo, cit., pp. 386-387). Ma proprio del tutto assurdo cercare un punto di contatto, o individuare il punto di vista dal quale queste tesi, cos importanti, solenni e rigorose possano essere conciliabili con il senso cattolico della dottrina rivelata? Del resto, la stessa vita cristiana, vita di grazia, vita divina, che ci obbliga a vedere tutto dal punto di vista di Dio, cio dell'eterno. Io penso proprio che sia possibile. E questo consentirebbe, da un punto di vista filosofic, l'accoglimento del Cristianesimo come problema e possibilit da parte della verit dell'essere -come si diceva. Dio mio, dammi intelligenza e aiutami ad esprimermi come meglio posso. S. Tommaso dice che non esiste una dottrina a tal punto falsa da non contenere in s del vero (Summa Theologtae, I-II, 102,5, ad 4); io devo tentare questa via di conciliazione. 85 Se poi dovessi fallire, avrei sempre con me la gioia dell'aver pensato cose che sono grandi, e la letizia della compagnia angelica che contempla eternamente l'eterno snza fallire. Anzitutto la creazione. E vero che la creazione indica l'azione per la quale Dio trae dal nulla tutte le cose. Ma questa definizione di creazione va intesa correttamente. Il dal nulla che compare nella definizione della creazione, e che comporta la problematicit principale della nozione, non sta ad indicare evidentemente una realt. Il nulla non pu essere una realt, perch nulla. Se il nulla nulla, non c'! Quindi, quando si dice che la creazione dal nulla non si intende dire che il nulla sia il serbatoio dal quale Dio trae fuori tutte le cose. Questo serbatoio nullo perch non c'. Il dal nulla indica semplicemente il fatto che nulla funge da presupposto all'azione del creare. La creazione non la trasformazione di una materia preesistente.

Dunque, se nulla presupposto all'azione creatrice di Dio, c' soltanto l'azione creatrice che fondamento di se stessa. E poich l'azione di Dio Dio stesso, dire che la creazione dal nulla vuoi dire che essa non aggiunge assolutamente nulla a Dio. ; La stessa creatura detta dal nulla di se stessa e di un soggetto preesistente, perch essa non aggiunge nulla a Dio. Il mondo non aggiunge assolutamente nulla a Dio. Dio pi mondo fa sempre Dio. Dio non pu subire ne incremento ne decremento, essendo tutto l'essere, infinitamente perfetto. In questo senso, non solo si pu dire, ma si deve dire con Severino che il mondo nulla come novit o incremento rispetto a Dio (Ritornare a Parmenide, in Essenza del nichilismo, cit.,p. 60). :' ' ' Guardando anche pi a fondo la cosa, cio da un punto di vista metafisico classico, si pu trarre la medesima conclusione. E non mi pare proprio che la metafisica debba necessariamente essere intesa come la dottrina nichilistica per eccellenza. 86 Lo stesso Severino riconosce che pu essere qualificato come "metafisico" il pensiero che esprima la differenza tra l'apparire (che tuttavia un ente) e l'essere (ossia la totalit degli enti) - la differenza tra ci che del tutto si cela e ci che di esso si manifesta {Risposta ai critici, in Essenza del nichilismo, cit., p. 315). Dunque, anzitutto cerco di argomentare secondo i parametri della metafisica che Severino definisce come nichilista; poi cerco di istituire un'analogia tra questi parametri e quelli del pensiero metafisico non nichilista. Un momentino solo, che vado a prendere il mio saggio Dialettica della Rivelazione (Bologna 1996), perch l mi pare di essermi espresso a questo riguardo in modo abbastanza chiaro. Dunque, dunque, vediamo un po': ecco, alle pagine 3945. In termini strettamente metafisici, direi che per capire questa situazione ontologica del mondo creato occorre fare delle distinzioni. Dio non totalmente altro dal mondo, ne totalmente identico, ma identico nel modo di essere diverso, o diverso nel modo di essere identico. Questo perch, se fosse totalmente altro, sarebbe un altro mondo, cio sarebbe limitato e non infinito in perfezione, giacch il mondo creato gli si aggiungerebbe nella totalit dell'essere, mentre Dio l'Essere per s sussistente. In questo quadro non pu neppure essere totalmente identico, cio essere il mondo simpliciter, perch in questo caso il mondo non rinvierebbe all'altro da s, mentre invece rinvia. E dunque non resta che la soluzione della identit-diversit, cos come tra gli estremi della equivocit (prima ipotesi) e della univocit (seconda ipotesi) sta la soluzione dell'analogia. Ragionando in dettaglio: il mondo altro da Dio per la sua composizione metafisica di essenza e essere - essendo invece Dio semplicemente il suo stesso essere per essenza -; senza questa composizione, il mondo uguale a Dio e distinto solo per distinzione di ragione ragionata. E chiaro che questo lo si pu sostenere per via speculativa: non si pu vedere come Dio componga la creatura, cio come crei. Per questo non si deve immaginare che Dio perda parte di s per porsi fuori di s come creatura. 87 Rigore per rigore, la cosa pu essere maggiormente evidenziata analizzando il concetto stesso di creatura.

Ora, la creatura pu essere considerata sotto diversi aspetti o punti di vista. Se consideriamo la creatura per s o a se cio secondo la sua dipendenza causale -, la creatura nulla: dal nulla di se stessa e di un soggetto preesistente, per definizione. Variando prospettiva, invece, consideriamo la creatura in se, cio nella sua costituzione ontologica. Ebbene, in questo secondo caso si possono dare due modi di considerare la creatura: il modo reduplicativo e il modo specificativo. Assemblando i concetti sul versante della considerazione reduplicativa, cio della considerazione della creatura in quanto creatura. Dio e mondo sono perfettamente distinti, in quanto il mondo possiede un essere per partecipazione creaturale, mentre Dio il suo stesso essere. In senso reduplicativo, la creatura il composto ontologico di essentia + esse. Si tratta cio del concreto sussistente esistente, non per s, ma per altro. E tanto importante questa relazione all'alterila di Dio, causa creatrice, che la dipendenza della creatura dal Creatore, in questa prospettiva reduplicativa, di ordine trascendentale: l'essere per partecipazione diventa inintelligibile senza l'essenziale rinvio al partecipante. Tematizzando lo statuto ontologico della creatura in prospettiva specificativa, invece, le cose cambiano. Parlare della creatura in senso specificativo, significa intendere la creatura non in quanto creatura, ma in quanto tale specie di creatura. Per facilitare la riflessione con un esempio: se si intende l'uomo come creatura in senso reduplicativo, allora l'uomo definibile come qualsiasi creatura, cio come un soggetto che ha l'essere per partecipazione; se invece si intende la creatura umana in senso specificativo, allora la si definir secondo la sua specie, cio come animale razionale, senza alcun riferimento all'essere che essa ha per partecipazione. In questa prospettiva, i concetti cominciano ad essere piuttosto delicati. E ovvio che la creatura in senso specificativo si identifica con la sua essenza specifica. Non che la creatura sia la 88 propria essenza - solo Dio la propria essenza -, ma nel plesso compositivo di essenza e essere, la creatura in senso specificativo sta dalla parte dell'essenza. La cosa per richiede un'ulteriore distinzione. L'essenza specifica della creatura, infatti, pu essere intesa come il coprincipio reale del costituirsi della creatura insieme al suo proprio atto d'essere, oppure come il risultato di un'astrazione intellettiva, per la quale prescindiamo dall'atto d'essere della creatura, perch questo non rientra nella definizione dell'essenza specifica della creatura. In dettaglio: se consideriamo l'essenza specifica della creatura per semplice astrazione dal suo atto d'essere proprio [in forza del quale esiste, e quindi si potrebbe dire che questa astrazione un prescindere intellettivo dal fatto di esistere, pi che una considerazione dell'essenza nella sua costitutivit metafsica], l'essenza della creatura, non implicando appunto per essenza l'essere partecipato, viene colta come un assoluto. L'essenza della creatura, intesa in questo modo, non rinvia a Dio, dice assoluta autonomia. Pensando la creatura in questa prospettiva, non la si pensa come creatura, perch la relazione di dipendenza causale fuoriesce dall'essenza e si aggiunge come relazione accidentale: si tratta cio di una relazione predicamen-tale e non trascendentale - come invece nel caso della considerazione reduplicativa. In questa prospettiva, si pu correttamente parlare di autonomia del mondo e delle sue leggi proprie. Cos, il mondo perfettamente distinto da Dio. Nel considerare invece l'essenza come coprincipio concreto del costituirsi della creatura con il suo atto d'essere, l'essenza della creatura non la creatura, ma non neppure un nulla, senza l'atto d'essere proprio. , L'essenza della creatura, nella sua concretezza ontologica, se non il nulla e non neppure la creatura, perch non in composizione reale con il suo atto d'essere proprio, non pu che essere Dio: tertum non datur. . .

89 In questa prospettiva, consideriamo la creatura nella sua realt precreaturale: essa dunque Dio. Dio, o la stessa essenza di Dio, in quanto Dio pensa se stesso come partecipabile e intelligibile dall'altro da s. Ma, in questo modo, abbiamo raggiunto il punto nodale della riflessione per la quale abbiamo determinato che il mondo, cio la creatura, in questa particolare prospettiva si identifica con Dio. Il mondo l'intelligibilit di Dio per noi; il modo con il quale Dio non solo ci si manifesta, ma manifesta la sua essenza per noi. Metafsicamente parlando, la distinzione-identit del mondo da Dio si gioca dunque tutta sul modo di considerare l'essenza della creatura e la sua relazione con l'atto d'essere suo proprio. Questa identit-distinzione tra Dio e mondo uno dei modi con i quali pensabile l'immanenza o la presenza di Dio nel mondo. Si tratta del modo per il quale il mondo la trasparenza di Dio, la diafonia di Dio. Evidentemente non la trasparenza di Dio a se stesso: Dio non ha mica bisogno di pensarsi attraverso il mondo... Se Dio ne avesse bisogno non sarebbe Dio, no? Il mondo il modo per il quale Dio naturalmente trasparente a noi. Dio, conoscendo se stesso, conosce anche tutte le possibili creature, come sue realizzazioni similitudinarie nell'ordine creaturale. Queste sono il mondo in Dio. Il mondo attuale l'insieme di alcune di queste similitudini creaturali dell'essenza di Dio, Non di tutte, perch altrimenti il mondo sarebbe Dio assolutamente. (L'attuazione distinta di tutti i possibili impossibile perch non tutti i possibili sono distintamente compossibili. Non ci pu essere insieme Marte abitato e Marte disabitato: pur essendo possibile un universo in cui Marte sia abitato, mentre nell'attuale universo Marte non abitato. Non possibile che il mondo sia insieme assolutamente giusto e bisognoso di misericordia: pur essendo possibile un mondo assolutamente giusto, diverso dall'attuale, che luogo di misericordia. Tutti i possibili
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sono compossibili invece nella loro attualit indistinta che l'essere divino, l'Essere assoluto). Se c' una cosa che Dio non pu fare creare un mondo perfetto quanto egli perfetto: creerebbe un altro Dio; ma un Dio creato non pi Dio. Non si possono dare due infiniti in perfezione nell'essere. Per distinguersi, l'uno dovrebbe avere ci che l'altro non ha: quindi non sarebbero infiniti in perfezione... Il mondo attuale quindi un modo con il quale Dio si rende intelligibile, comprensibile in una forma proporzionata naturalmente a un'intelligenza che non sia la sua. Il mondo la comprensibilit che Dio vuoi dare di s all'altro da s. In questo senso il mondo la diafania di Dio. Questo risulta dal considerare la creatura dal punto di vista della sua essenza in quanto suo coprincipio reale, senza l'atto d'essere partecipato. Ma il mondo anche la presenza di immensit di Dio. Dio ovunque, onnipresente in quanto causa dell'essere delle creature. La causa dell'essere deve essere presente al suo effetto perch l'effetto sia ed presente finch l'effetto di fatto . Questa immanenza di Dio nel mondo si mette in evidenza considerando la creatura dal punto di vista dell'essere, del suo atto d'essere, partecipatele da Dio. Da ultimo, si pu parlare del mondo come presenza speculare di Dio. Il mondo lo specchio di Dio. Dio si riflette nelle sue creature. Ci che si vede riflesso in uno specchio la stessa realt che in esso si riflette. Ma non si pu confondere il riflesso con la realt riflessa: guardando lo specchio, nello specchio si vede la realt che in esso si riflette. Lo specchio rinvia: segnala una presenza rinviando ad altro da s.

Questa immanenza di Dio nel mondo risulta dal considerare la creatura in quanto creatura, nel suo complesso metafisico di essenza + essere. In questo quadro per prevale il rinvio sulla semplice presenza. : ', . Vediamo adesso la cosa in un quadro non nichilistico. E ovvio che il linguaggio deve essere diverso. Allora occorre istituire un parallelismo analogico. 91 Se la creatura, nel quadro cosiddetto nichilistico, la composizione di essenza + essere, nel linguaggio del Giorno essa dovr essere concepita come l'ente che appare e scompare. Dico l'ente che appare e scompare, e non semplicemente che appare, perch se appare e scompare vuoi dire che non necessariamente appare: quindi l'ente che in composizione con il suo apparire. Se non fosse in composizione con il suo apparire e fosse il suo stesso apparire, apparirebbe sempre: il che non . In questo stesso senso si dice che la creatura il composto di essenza e essere, perch essa non ha necessariamente l'essere -anche se di fatto pu possederlo da sempre e per sempre. Quindi, la creatura l'ente che appare, ma potrebbe non apparire. Severino dice: Dal punto di vista della verit dell'essere, la possibilit della creazione la possibilit che nello spettacolo eterno dell'apparire giunga ad apparire ci che sarebbe potuto non apparire; ossia che in quel momento dell'eterno che l'attuale apparire, l'eterno si riveli pi di quanto non sia destinato ad apparire (Poscritto, in Essenza del nichilismo, cit., p. 115). Io per direi che la creazione non semplicemente il giungere ad apparire, ma la condizione dell'apparire-scomparire. E necessario che l'essere appaia. O meglio, necessario~ch l'apparire trascendentale - cio la condizione dell'apparire e dello sparire dell'essere eterno: l'apparire nel quale appare che l'apparire di un ente scompare - sia, non possa non essere. Se dell'eterno non apparisse nulla, l'apparire... sarebbe apparire di nulla e quindi non sarebbe, e cio sarebbe un niente (E. seveeino, ibid., p. 100). Dunque l'apparire trascendentale - cio l'orizzonte ultimo dell'apparire, l'apparire come tale, il pensiero - non pu non essere. Ma perch l'apparire sia, occorre che l'essere appaia. Se l'essere eterno appare processualmente, non appare totalmente. Ci che appare processualmente, cio appare e scompare, si presenta come isolato dal tutto. Proprio perch l'apparire dell'immutabile processuale, l'immutabile si rivela in parte. Il che vuoi dire che la parte non si 92 rivela nel tutto, non appare in quella beata compagnia, in cui pur si trova; e essenzialmente si trova (E. severino, ibid., p.101). L'essere che appare e scompare l'essere astrattamente manifesto, cio non avvolto nel tutto, che il concreto. L'essere come tale l'essere che non manca di nulla; l'essere che appare la sintesi dell'essere e del suo apparire: questa la differenza ontologica (E. sevekjno, ibid., p. 113). Ebbene, secondo me, proprio questa differenza ontologica, che intercorre tra l'essere in s, nella sua pienezza concreta, e l'essere composto con il suo apparire astratto dall'intero, rappresenta la condizione della creaturalit, anche nella metafisica classica debitamente concettualizzata e letta nella luce del Giorno.

L'essere in s rappresenta l'essenza come coprincipio reale con l'atto d'essere della creatura: qui esso e in composizione con l'apparire. E come l'essenza della creatura (cio del mondo), senza l'atto d'essere la stessa essenza di Dio nella sua concretezza il pensiero che Dio ha di s come pienezza di intelligibilit per un'intelligenza diversa da quella divina -, cos da esserne sul piano creaturale la diafania; allo stesso modo, o nello stesso senso si pu pensare questa affermazione di Severino: II mondo (ci che appare) Dio in quanto si rivela nella coscienza finita (la cui finitezza appunto il suo valere come un apparire astratto dell'essere) {ibid., p. 105). Se l'uomo l'eterno sguardo sull'apparire-scomparire dell'essere, l'eterno apparire dell'apparire eterno dell'essere, sempre manifesto, invece Dio. E la scienza di Dio. Il mondo un'immagine di Dio, o, meglio, l'esito di una comprensione astratta della totalit dell'immutabile (E. severino, Stornare a Parmenide, in D., Essenza del nichilismo, cit., p.60). _ , :; _ . _ _ _ .. Se l'apparire eterno e i dati particolari, anche quando non appaiono, sono e sono nell'eterno apparire insuccessivo del tutto, l'apparire trascendentale (in cui tutto eternamente manifesto) la scienza di Dio: l'assolutamente concreto. 93 Questa conclusione non pu non derivare dal ritenere che esista un apparire infinito della totalit dell'essere che la Gioia" (E. severino, La follia dell'angelo, cit., p. 66; cf. p. 174). L'apparire infinito si distingue dall'apparire finito perch non come quest'ultimo astratto e processuale. Ed "Gioia" perch il toglimento di ogni contraddizione: dove il tutto non una semplice forma vuota accanto ad altre forme che pur rientrano nel tutto (dunque la contraddizione del finito in cui il tutto una parte di se stesso). La "Gioia" il toglimento di ogni contraddizione, cio di ogni astrattezza, perch il coglimento del tutto nella sua pienezza concreta. Se questa "Gioia" l'uomo nel suo pi profondo essere se stesso (cf. E. seveeino, ibid., p. 50), questo - secondo me - tale per perch l'inconscia presenza di Dio, che nell'apparire trascendentale - cio nel pensiero in quanto distinto dal conoscere - appare come ombra. Del resto, l'introduzione della figura della creazione non va intesa come nullifcazione dell'essere (assurdo!), ma come ammissione di un intero in cui ogni ente salvo ab aeterno, pur apparendo e scomparendo dallo spettacolo del mondo. Passiamo ora a considerare quanto riguarda l'incarnazione. Si pu dire che Dio sia eternamente incarnato? La risposta s. Ma occorre precisare bene come al solito la prospettiva del giudizio. Se si considera l'incarnazione dalla parte di Dio, si pu dire che Dio eternamente incarnato. Infatti, l'incarnazione non altro che l'assunzione della natura umana da parte di Dio. Ora l'assunzione l'azione divina per la quale la natura umana unita a Dio; ma l'agire di Dio Dio stesso (Dio il suo stesso agire!). E quindi eterno tanto quanto Dio. Perci l'assunzione della natura umana da parte di Dio, cio l'incarnazione, eterna. Vedendo le cose dalla parte di Dio, si pu dire che Dio e eternamente incarnato. 94

E vero per che Severino solleva anche un'altra obiezione a proposito della plausibilit del mistero dell'incarnazione. Questa obiezione riguarda la possibilit dell'unione ipostatica, cio dell'unione della natura umana e della natura divina nell'unica persona del Verbo. Commentando in modo critico l'argomento tomistico, secondo il quale la predicazione degli opposti della persona di Cristo implica la compresenza in Cristo di due nature in un'unica persona, Severino denuncia l'assurdit del mistero dell'unione ipostatica proprio in base agli stessi princpi argomentativi tomistici, che invece vorrebbero mostrarne la non evidente assurdit. Di Cristo si dice che morto e che immortale. Ora l'attribuzione di predicati opposti a un medesimo soggetto contrad-dittoria, se non interviene una distinzione che indichi rispetti o riferimenti diversi per quella predicazione. Per esempio: non si pu dire che la stessa mano sia insieme grande e piccola; ma se si distinguono rispetti o riferimenti diversi per questa predicazione l'assurdo scompare: la mano grande rispetto al dito e piccola rispetto alla gamba. Allo stesso modo, S. Tommaso sostiene la possibilit dell'attribuzione di predicati opposti alla medesima persona di Cristo, perch tale predicazione avviene secondo rispetti o riferimenti diversi, che tolgono la contraddizione. Cos, Cristo insieme mortale e immortale: mortale secondo la natura umana, immortale secondo la natura divina. Perci in Cristo si deve ammettere la sussistenza dell'unica persona divina del Verbo in due nature: quella umana e quella divina. Ma Severino osserva che i predicati opposti di cui si fa menzione sono rispettivamente propriet (cio predicati necessari) delle due nature: la natura umana necessariamente mortale e la natura divina necessariamente immortale. Perci, l'opposizione tra gli attributi si riversa nelle rispettive nature, le quali, a loro volta, manifestano cos la loro reciproca opposizione. In questo senso, le due nature, che nell'argomento tomistico vengono invocate o introdotte come elementi risolutivi della 95 contraddizione, sono esse stesse contraddittorie o motivo di contraddizione. Le due nature secondo cui gli opposti sono predicati di Cristo, sono cio esse stesse degli opposti; ossia i diversi rispetti o riferimenti - cio le due diverse nature, Valiud et aliud secondo cui vengono predicati de eodem gli opposti (propriet umane e divine) - sono essi stessi degli opposti e quindi non riescono a costituirsi come i rispettivi diversi secondo cui vengono predicati dello stesso gli opposti (E. seveeino, Pensieri sul cristianesimo, Milano 1995, p, 229). Per questo motivo assurdo dire che lo stesso soggetto sia insieme uomo e Dio. Ma mi pare di poter controargomentare osservando che anche in questo caso esiste un principio che toglie la contraddizione, per riferimento a rispetti diversi. Infatti la natura divina viene predicata della persona divina di Cristo (cio il Verbo) per identit; la natura umana, invece, viene attribuita alla medesima persona per assunzione. La natura divina si identifica con la persona divina; la natura umana non si identifica con la persona divina. Questo vuoi dire che l'essere Dio della persona di Cristo, cio del Verbo, si predica in modo assolutamente necessario; l'essere uomo, invece, si predica della persona del Verbo in modo contingente o non assolutamente necessario, perch tale natura assunta liberamente da Dio. Non appartiene alla persona divina il sussistere necessariamente nella natura umana, mentre appartiene alla stessa persona il sussistere necessariamente nella natura divina.

Dunque, la predicazione delle due nature della medesima persona di Cristo, cio del Verbo, non secondo il medesimo rispetto, ma secondo rispetti diversi: il necessario (rispetto a Dio) e il libero (rispetto alla natura umana). Che poi, dalla parte di Dio - come ho detto - l'assunzione libera della natura umana sia eterna come eterno Dio, non significa che ci sia necessario: non necessario che la natura umana sia eternamente unita a Dio, anche se di fatto Dio ha eternamente assunto la natura umana. 96

LA CONOSCENZA DI FEDE
Che tormento sentirsi dire: "Beato t che hai la fede...". Intendendo per fede la fede cristiana. S, un tormento! Sembra che la fede sia qualcosa di pacificante e capace di risolvere tutti i problemi. Ma se proprio la fede che solleva problemi e genera dubbi! E poi, che cosa sciocca dire "beato t che hai la fede": come se la beatitudine consistesse nell'aver fede! Ma siamo pazzi? La beatitudine un atto di visione: beato colui che vede chiaramente la verit, non chi all'oscuro. Del resto, la dottrina cristiana insegna che la beatitudine promessa la visione aperta di Dio, quando la fede - con la sua oscurit - tolta definitivamente. Non so proprio se sia pi tormentoso, o pi sciocco, quel modo di dire. Ma forse si deve dire che tormentoso perch sciocco. Lo sciocco da sempre fastidio, no? E si tratta di un fastidio tanto pi grave quanto pi importante l'oggetto che si mette in discussione.. Sai, se si mettessero in ballo cose ridicole, poco importerebbe: ci si riderebbe sopra. Ma se la posta in gioco alta, le cose cambiano. Nessuno ha piacere ad essere preso per il naso nelle cose che contano e per le quali si da l'anima. Cos anche in questo caso. La fede troppo cruciale nel suo valore - debitamente inteso. Lo dico sinceramente. In fin dei conti, aver fede sempre un atto dell'intelletto. E l'intelletto ci che di pi intimo possediamo e ci che pi intimamente e apertamente ci collega al vero. 97 E vero che la fede suscita problemi, data la sua non evidenza, ma la fede ha in s una certezza che sembra oltrepassare l'inevidenza stessa. Come si possono conciliare questi due aspetti? Gi, anche questo un problema tormentoso. Si pu dire che la fede, per il fatto di essere certa ma relativa all'inevidente, sia assurda? Si pu dire che la fede, essendo certezza di ci che dubbio sia contraddittoria? Se la fede fosse contraddittoria non esisterebbe: quindi coloro che credono o dicono di credere, in realt credono di credere. Questa la tesi pi volte ribadita da Severino. E la motivazione di questa tesi sta in questa analisi.
La fede che salva non esita (cf. Me 11, 23. 16, 16). Ma l'esitare condizione della fede, perch la fede si riferisce al non evidente, il quale genera l'esitazione tipica del dubbio. Dunque la fede che salva non esiste (cf. E. severino, Pensieri sul cristianesimo, cit., pp. 87-100).

Non esiste perch non si da una certezza inesitante fondata sull'esitazione propria dell'incerto. Si pu dare fede solo se l'oggetto della sua adesione non evidentemente vero, cio non carpisce invincibilmente l'assenso dell'intelletto. Ma se questa la condizione dell'oggetto della fede, la sua certezza dubbia. Ci che non evidente non costringe all'assenso,, perch potrebbe non essere vero. L'intelletto costretto all'assenso solo da una verit evidente: immediata o mediata che sia. Per esempio, l'affermazione che il tutto superiore alla parte un'affermazione immediatamente evidente: non ha bisogno di essere dimostrata e l'intelletto non pu non accettarla, essendo costretto dalla sua immediata evidenza. Nello stesso modo, l'affermazione che la somma degli angoli interni di un triangolo pari a 180 gradi una verit evidente, anche se frutto di una dimostrazione: questa volta la dimostrazione che costringe l'intelletto all'assenso. In entrambi i casi l'evidenza tale per cui impossibile pensare il contrario: significherebbe affermare l'assurdo, cio identificare il tutto con la parte e il triangolo con il non triangolo. 98 Ma la verit cui aderisce la fede non tale da presentarsi con l'evidenza di se stessa, immediata o mediata che sia. Anzi, la verit che oggetto di fede non si presenta affatto: non evidente. Per questo motivo, potrebbe non trattarsi di verit. Ci che si accetta per fede, potrebbe essere smentito, negato, visto che non si presenta con le condizioni della necessaria costrizione dell'assenso dell'intelletto. Per esempio, non evidente che Dio sia unit numerica di natura e trinit di persone: non neppure possibile dimostrarlo. Dunque, accanto a questa affermazione sta sempre la possibilit della sua negazione, cio della sua smentita. Ma un'affermazione che pu essere smentita non certa, bens dubbia. Quindi la fede nella trinit implica il dubbio, cio il ritenere che sia possibile la non trinit di Dio. Se fosse infatti evidentemente impossibile la non trinit di Dio, essa sarebbe immediatamente o mediatamente (cio dimostrativamente) certa e quindi indubitabile per l'intelletto. Il fatto che non sia evidente fa s che la verit di fede possa essere negata, smentita: il che testimonia della sua dubitabilit. L'intelletto, non costretto all'assenso dall'evidenza, dubbioso e tale rimane anche nell'atto di fede. Perci la fede si accompagna all'esitazione del dubbio e non all'inesitazione dell'evidenza. Ohib, come rispondere a queste osservazioni critiche? Certamente non sono banali. E proprio perch non sono banali ma fondamentali consentono di approfondire in modo pi pieno la stessa nozione di fede per averne una conoscenza pi adeguata. Troppo spesso, infatti, si scambia per fede ci che fede non . Anzitutto occorre riconoscere che se la fede implica il dubbio, la fede certamente un atto intelligente, e quindi non un vago sentimentalismo mal riposto. E un atto intelligente perch problematizza: il dubitare e porre dei problemi segno di una certa intelligenza - ovvio che poi dipende dal modo con il quale sono posti i problemi e da come si esercita il dubbio: non basta dire "mah, boh" per 99

dimostrare la propria intelligenza-; il porre problemi non segno di pigrizia intellettiva, perch implica la ricrca di una soluzione. Proprio in quanto accompagnata dal problema e dal dubbio, la fede atto dell'intelletto e si riferisce al vero (se le cose stanno o non stanno come si dice che stiano), che l'oggetto proprio dell'intelletto. E quindi, da questo punto di vista, l'obiezione potrebbe essere valutata come un apprezzamento: certo, capovolgendo in senso positivo l'istanza critica negativa. Ma l'obiezione vera e propria riguarda il fondamento incerto della certezza di fede: la fede salvifica dovrebbe escludere il dubbio, mentre invece non pu non convivere con esso. Credere vuoi dire non vedere; se non si vede e si nell'oscurit si dubita: dunque per credere si deve dubitare. Questo vuoi dire che il dubbio fondamento della fede. Tuttavia, mi pare che le cose debbano essere intese in un altro modo. Il dubbio fondamento della fede non nel senso che per credere bisogna dubitare: se si dubita si dubita, non si crede! Il dubbio fondamento della fede nel senso che il credere l'oltrepassamento del dubbio: se non si presentasse il dubbio non si potrebbe neppure dare il suo oltrepassamento. Il dubbio la condizione per la quale la fede appare come oltrepassamento del dubbio. Quando si crede, il dubbio non c'! Quando si dubita, la fede non c'! Non si da simultaneit o identit formale di fede e dubbio. Anche la scienza, in questo senso, si fonda sul dubbio, perch una soluzione, cio l'oltrepassamento di un problema, di qualcosa rispetto al quale si dubbiosi. E vero, per, che la scienza, una volta superato il dubbio in modo incontrovertibile, non pi messa in discussione dall'intelletto; la fede, invece, pu essere messa in discussione. Si ha fede, si crede perch qualcosa continua a rimanere per s inevidente: il che non gratifica l'intelletto che fatto per vedere. In questo senso, la fede si accompagna al dubbio. 100 Ma non la fede che si crogiola nel dubbio, ne l'intelletto che nella fede dubita. L'intelletto, considerando il valore conoscitivo della fede -cio valutando la fede per quello che : un assenso che non costretto dall'evidenza della verit -, ne scorge l'incertezza o problematicit. L'atto di fede, infatti un assenso dell'intelletto, che tende ad oltrepassarsi nell'evidenza. Credere cum assensione cogitare: accettare meditando (cf. S. tommaso D'AQUINO, Summo Theologiae,H-}l,2,l). L'intelletto non pu accontentarsi della fede, ma con la fede, per la fede e nella fede gode di una percezione del reale altrimenti inattingibile. Con la fede, nella fede e per la fede, l'intelletto non gode dell'evidenza obiettiva, ma possiede una certezza soggettiva equivalente all'evidenza obiettiva. Per intendere questa affermazione occorre ribaltare lo schema secondo il quale l'intelletto raggiunge la fede e attraverso la fede conosce: se la fede non dell'evidente, l'intelletto rimane soggettivamente incerto, perch lo strumento di cui si avvale per conoscere - la fede appunto - acquistato senza evidenza. Ma la fede teologale non un acquisto dell'intelletto. La fede teologale un habitus infuso da Dio nell'intelletto umano. Si tratta di una qualit per la quale divinamente l'intelletto emette l'atto del credere.

La fede non segue l'atto dell'intelletto, ma lo precede per infusione: rende cos capace l'intelletto di un atto che soprannaturale, cio pi divino che umano. In questo senso la fede soggettivamente certissima. La fede teologale soggettivamente certa perch la partecipazione alla stessa conoscenza di Dio. E la conoscenza che Dio ha di se stesso, partecipata all'intelletto umano. L'oggetto della fede teologale la deit, l'essenza stessa di Dio. Ora soltanto Dio pu conoscere essenzialmente Dio. Il motivo dell'assenso di fede non pu dunque essere che Dio, perch soltanto Dio conosce perfettamente se stesso. 101 Perci il credere, da questo punto di vista, non pu essere esitante: Dio non esita. Ma si potrebbe anche aggiungere che la vera fede salvifica quella informata, accompagnata dalla carit, che nel suo grado perfetto implica l'esercizio dei doni dello Spirito Santo. Ebbene, da questo punto di vista, la fede a tal punto connaturalizza all'intelletto - o meglio l'intelletto a tal punto connaturalizzato dai doni della scienza, dell'intelletto e della sapienza ai modi dell'agire divino -, che l'atto di credere diviene qualcosa di spontaneo, paragonabile a un'intuizione sensibile: quasi una percezione immediata del concreto. La fede salvifica in questo senso inesitante. E la partecipazione alla conoscenza di Dio; la conoscenza che Dio ha dis; il conoscere dunque le cose dal punto di vista di Dio. ' La fede teologale conoscere le cose dal punt di vista dell'eterno, cio secondo il loro valore assoluto. Obiettare che questo discorso per un discorso di fede, pu ottenere come risposta che, ammesso il punto di vista della verit dell'essere, questo discorso ha la possibilit della verit e di porsi come il cuore della stessa verit dell'essere. Arrivato a questa conclusione, per, devo in qualche modo ricredermi dell'invettiva scagliata contro la sciocca esclama2one "beato t che hai la fede!". Eh s, perch in fin dei conti prprio vera..; i Ma forse il ricredermi totalmente sarebbe un errore ancora pi grande. La fede mi mette a contatto con quel contenuto che Dio stesso; la carit e i doni dello Spirito Santo mi connaturalizzano al modo di conoscere di Dio, come per intuizione. Questa fede salvifica e non ha tentennamenti: nel credere, in questo senso, non si esita, perch un atto mistico. Ci che Ges dice a riguardo della infallibilit dell'agire con la fede, nella fede e per la fede va inteso nella linea della partecipazione alla vita di Dio: Abbiate fede in Dio! In verit vi dico: chi dicesse a questo monte: Levati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverr, ci 102 gli sar accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sar accordato (Me 11, 22-24). La fede formata dalla carit, la fede salvifica, non ha tentennamenti perch la partecipazione alla vita di Dio. Lo spostare le montagne un'immagine che sta a indicare propriamente questa condizione: Dio pu tutto; nel credere si pu tutto perch questa fede teologale formata dalla carit, cio dalla grazia, la partecipazione alla vita divina. Sarebbe come dire: chi ha questa fede Dio; o in lui si manifesta Dio. Anche se non sposta le montagne!

Ma la fede, considerata nella sua dimensione obiettiva, cio di oggetto da credersi, rimane sproporzionata all'intelletto umano. I contenuti della fede: Trinit, incarnazione, sacramenti ecc., non sono verit evidenti per l'intelletto dell'uomo. Come tali suscitano dei problemi nella loro veste - per dir cos - teoretica. In questo senso dico che queste verit di fede non sono soluzione di problemi ma sollevano problemi. E si tratta di problemi tutt'altro che di secondaria qualit per l'intelletto. Su questi problemi si arrovella la riflessione teologica, per capire che cosa si deve credere. Il cristianesimo pi facile da vivere piuttosto che da comprendere! La fede salvifica non da la beatitudine, ma da una certezza di "Gioia" (nel senso severiniano del termine). La fede come oggetto del credere senza vedere, invece, un sapere che si accompagna al problema e stimola l'intelligenza. Se "beato t che hai la fede" vuoi dire, per un verso, "beato Dio e chi come lui" e, per un altro verso, "beato chi trova stimoli intellettuali nel credere", bene: sono pronto a chiedere scusa per la mia "sciocca" invettiva... 103

LA DIVINIZZAZIONE
Adesso bisogna mettersi in una posizione contemplativa, come al mare: mani dietro alla testa, occhi chiusi e viso rivolto al sole... del pensiero. Si deve cominciare a riflettere sulla natura delia grazia santificante. Occorre avere chiaramente presente il discorso fatto sulla identit-diversit tra Dio e il mondo. Qual l'essenza della grazia? La grazia la partecipazione alla stessa vita di Dio. Allora, problemino dei problemini: la grazia santificante la partecipazione della creatura ragionevole alla stessa vita di Dio. Ma non ho provato metafisicamente che si da una presenza di immensit di Dio in ogni creatura? E che l'essenza della creatura, come co-principio reale dell'atto d'essere, la stessa essenza di Dio? Dio non gi in tutto? Come si risolve questo problema? Che bisogno c' di una partecipazione alla vita divina, se Dio gi presente in ogni cosa? Dio presente per immensit in ogni creatura. Quindi, visto che incontrovertibilmente vero che Dio presente per immensit e per diafania in ogni creatura, come si fa a dire che si da un nuovo modo di presenza di Dio attraverso la grazia santificante? Visto che il primo dato - cio la presenza di immensit e diafania di Dio nel mondo - incontrovertibile, cio non patisce negazione (negarlo vuoi dire contraddirsi), si sarebbe tentati di supporre che la presenza di grazia in realt sia una presenza soltanto per modo di dire e non una realt. 104 E il modo speciale con il quale si dice che Dio presente nelle creature ragionevoli con la grazia sarebbe una pura denominazione estrinseca, cio un nome semplicemente attribuito ma non indicativo di una realt.

La grazia non sarebbe una qualit e quindi dovremmo dire che un modo di dire. Ma se si conclude cos, si va contro le esplicite affermazioni scritturistiche, secondo le quali l'uomo realmente deificato (cf. Gv 1,12; 3,5; 1 Gv 3,1. 9; Tt 3,5; Gc 1,18;

mi,23;2pn,4). ,,
Dunque: se si esclude la tesi della presenza metafisica di Dio nel mondo, si entra in contraddizione; se interpretiamo la grazia in modo puramente nominale, si negano contenuti esplicitamente rivelati. Allora, come si devono conciliare le due cose? La conciliazione non pu che essere di ordine speculativo. Bisogna cio trovare la soluzione intermedia che renda ragione, da una parte, della presenza di immensit e di diafania di Dio in ogni creatura, e, dall'altra, della presenza speciale di Dio, della vita divina, attraverso la grazia, nella creatura ragionevole. Si potrebbe risolvere il problema in questo modo. La presenza di immensit di Dio in ogni creatura la presenza della causa dell'essere all'effetto perch l'effetto sia. Questo ci che si deve concludere metafisicamente dal fatto che Dio Creatore del mondo: Dio dev'essere presente immanentemente al mondo conferendogli l'essere, cos come io sono presente al mio parlare: se io smettessi di parlare, il parlare sparirebbe. Io sono il parlante e l'effetto il parlare; ma l'attivit del parlare c' finch continuo a parlare: solo se non smetto di parlare. Dio presente nel mondo, conferendo al mondo l'essere. Se il mondo ha l'essere perch l c' Dio che gli conferisce l'essere. Sto parlando con il linguaggio della metafisica tomista. Ma non si deve pensare questa tesi metafisica in modo immaginoso. Non si deve pensare che... io sono qui e Dio accanto a me e mi tiene nell'essere... no! Dio, l'essere assoluto, permea tutta l'entit. 105 Si dice che Dio pi intimo a noi di noi stessi perch Dio, con l'atto creativo, permea ogni creatura. Dunque, con questo atto creativo,'con questa causalit d'essere, Dio presente per immensit in ogni creatura, in quanto costituisce la creatura. Questo, per, non vuoi dire che la presenza d'immensit di Dio nelle creature divinizzi le creature. Ho detto che la creatura in senso reduplicativo, cio in senso stretto, essenza pi atto d'essere; la presenza d'immensit di Dio nelle creature dipende dal fatto che questo soggetto essenziale partecipa dell'atto d'essere e quindi, in quanto partecipa dell'atto d'essere, distinto da Dio, perch Dio lo stesso Essere per s sussistente (non per partecipazione). Quindi, Dio presente nella creatura per immensit in quanto conferisce alla creatura questa partecipazione dell'atto d'essere e, in forza di questa partecipazione, la creatura si distingue dal Creatore. . In forza di questa partecipazione Dio non da la vita divina alla creatura; Dio da alla creatura la vita creaturale, perch in forza dell'atto d'essere partecipato, la creatura viene costituita come creatura, cio altro da Dio. In questo senso, questa partecipazione dell'atto d'essere non la partecipazione della vita divina. , ; Questo serve gi a dire che questa presenza d'immensit non pu essere identificata assolutamente con la presenza di grazia.

D'altra parte, per, si dice che la presenza di grazia la presenza della stessa vita di Dio nella creatura ragionevole: questo vorr dire che la presenza di grazia non una presenza che si estenda ad ogni creatura; una presenza che si riferisce alla sola creatura ragionevole. Questo mi fa capire che, anche dal punto di vista della grazia, nella sua definizione non c' una perfetta coincidenza con la presenza di immensit, perch la presenza d'immensit determinata dalla causalit con cui Dio costituisce la creatura, ogni creatura. 106 La presenza di grazia non riferita a questa causalit e non si riferisce a tutte le creature, ma alle creature ragionevoli. Quindi, non si identifica certo semplicemente con la presenza d'immensit. Per questo motivo, S. Tommaso dice che la grazia santificante un modo speciale con il quale Dio si rende presente nella creatura ragionevole, oltre a quello di immensit. Assodato questo, si deve cercar di vedere in che cosa consista la presenza di grazia, visto che non pu essere identica sim-pliciter con la presenza d'immensit e visto che non pu essere una semplice denominazione estrinseca (Lo ripeto: non per modo di dire; non si dice che un uomo ha la grazia perch gradito a Dio. No, in grazia perch ontologicamente partecipa della vita di Dio). Vediamo un po'. Occorre penetrare questo concetto. Siccome penetrare un concetto o una tesi, sia in teologia, sia in filosofa, vuoi dire porre un problema, allora anche in quest'altro caso si porr un problema. Posto che la presenza di grazia non si identifichi simpliciter con la presenza d'immensit e che non sia per modum dici; se realmente la grazia partecipazione alla vita divina, non di tutte le creature ma di quelle ragionevoli: come possibile che la vita divina, essendo Dio stesso, cio un sussistente, si comunichi ad altro da s, quando il sussistente incomunicabile per definizione? Il sussistente incomunicabile perch l'individuo. Si pu comunicare qualche cosa che appartiene all'ordine specifico o universale, ma l'individuo no. I genitori non si sono comunicati a noi per generarci; hanno comunicato la natura umana, non la loro individualit. Io, Giuseppe, non sono ne Carlo, ne Paola. I miei genitori sono due individui perfettamente distinti tra loro e da me, tanto vero che mio papa morto e io ci sono ancora. Ci che mi stato comunicato la natura umana, non la loro individualit: io ho la mia individualit, loro hanno la loro. L'individuo come tale incomunicabile. 107 Ora, dire individuo vuoi dire il sussistente. Sussiste la specie uomo? No. Dov' la specie uomo? Nell'iperuranio. E dov' l'i-peruranio? Nelle teste bacate di quelli che ci credono! La specie uomo un universale. Allora io posso dire che questo un uomo, quello un uomo, quell'altro ancora un uomo, perch applico una nozione universale a tanti individui. Questo perch la specie non sussiste, non un individuo! L'obiezione che l'aristotelismo rivolgeva al platonismo pu essere espressa cos: "Tu ipostatizzi, cio, rendi individuo sussistente una specie, cio un'idea. Ma stai attento perch se ipostatizzi una specie, non puoi dire che gli individui materiali siano partecipazione di quell'idea, perch quell'idea incomunicabile, se individuo. Se comunicabile non pi un individuo, cio, non pi nell'iperuranio che vuoi tu. Non un sussistente ontologico". L'individuo incomunicabile.

Ora, Dio un individuo: metafisicamente un sussistente, non una forma partecipata da individui diversi. Ed a tal punto semplice da identificare la propria individualit con tutti i propri attributi. Per cui Dio vita? S, la stessa vita divina per s sussistente. . Allora, se la vita in Dio per s sussistente (cio, individuo), impossibile che si comunichi. Ma ho detto che la grazia santificante la partecipazione della vita divina? Questo suppone che vi sia una comunicazione della vita divina: e ci impossibile. Se la vita divina per s sussistente, anche incomunicabile. E allora, come la mettiamo? Soluzione. E vero che l'individuo, il sussistente, incomunicabile ontologicamente, ma che lo sia anche ghseologicamente non vero ! Aristotele dice che l'anima, nel conoscere, in qualche modo tutte le cose: il che vuoi dire che l'anima capace di diventare conoscitivamente il mondo. L'anima diventa tutte le cose conoscitivamente, non ontologicamente. Questa capacit di essere l'altro in quanto altro, senza perdere se stessi, si chiama intenzionalit conoscitiva. Siccome questa 108 intenzionalit aperta all'infinito, non si pu escludere che Dio si comunichi intenzionalmente a questa intenzionalit. Quando si dice che la partecipazione alla vita divina, da parte della creatura ragionevole, suppone una capacit passiva proprio dalla parte della creatura ragionevole di ricevere la vita divina, questa capacit passiva (che in termini tecnici classici si chiama potenza obbedienziale) non altro che la spiritualit dell'anima. Si tratta, cio, della capacit intenzionale aperta all'infinito. Questo vuoi dire che non si pu escludere che Dio possa comunicarsi a questa apertura intenzionale infinita dell'anima ra-gionevole. Quindi, quando si dice 'che Dio presente per presenza di grazia con la sua vita o che comunica la sua vita alla creatura ragionevole, si deve intendere questa affermazione in questo senso: "Dio si comunica in modo nuvo alla conoscenza e alla affettivit dell'uomo". Questa partecipazione della grazia di Dio non uh prendere un pezzo di Dio. Questa presenza di grazia una presenza ontologica, ma presupposta l'intenzionalit. i Dio non un sasso. E puro spirito! Quindi, la presenza ontologica di uno spirito a uno spirito chfe cosa vuoi che sia?: conoscenza e affettivit! Questo, per, non vuoi dire che la grazia sia solo sul piano morale. Sul piano morale vorrebbe infatti dire che solo per modo di dire l'anima in grazia: essa sarebbe gradita a Dio,-ma Dio non le si comunicherebbe attraverso la conoscenza e l'affettivit. No, questo va escluso. Dio si comunica realmente alla conoscenza e all'affettivit, ma come conosciuto e come amato: non si pu prendere un pezzo di spirito! Quindi, possibile questa comunicazione? S. Qual la condizione di possibilit, dalla parte della creatura, di ricevere questa comunicazione della vita .divina? L'intenzionalit del conoscere e dell'amare. E questa intenzionalit la potenza obbedienziale. , 109

Ma come va intesa questa capacit (che passiva da parte dell'uomo: potenza obbedienziale) di ricevere la vita divina, che infinita? il pensiero come atto. L'atto del pensare ha un'estensione infinita. ; ' Tu prova a pensare che c' qualche cos che non pensi: la stai pensando! Pensa che il tuo pensiero ha dei limiti: pensando i limiti li hai gi oltrepassati. Non ti ho detto: "Vedrai che tu conosci tutto, perch non c' niente che tu non conosca"; no, ti ho detto che non c' niente di reale o possibile (l'impossibile, l'assurdo non pensabile perch non , ne pu essere) che tu non pensi. Pensare non vuoi dire conoscere. Ci sono tante cose che non conosco, per le penso e pensandole so che io non le conosco: sono ignorante, per le penso. Ho gi riflettuto abbastanza su questo punto. Dire che l'estensione del pensiro come atto infinita, vuoi dire che capace di Dio. Non lo esige: se lo esigesse, il nostro pensiero sarebbe Dio; e allora non potrebbe neppure esigerlo, non sentirebbe il bisogno di conoscere. Non esige di conoscere Dio, per non si pu escludere che, data la sua (del pensiero come atto) estensione infinita, se a Dio piace di comunicarsi alla nostra conoscenza e affettivit, lo possa fare. Questo non lo si pu escludere. Quindi, c' dalla parte dell'uomo una condizione di possibilit di ricevere la comunicazione della vita divina e quindi di parteciparne. Che cos' questa potenza obbedienziale per la quale, se Dio vuoi comunicarsi alla creatura ragionevole, pu farlo senza che la creatura scompaia? Questa condizione la spiritualit della nostra anima razionale o, per dirla in termini moderni, l'estensione infinita del pensiero come atto. Il pensiero, come tale, non ha limiti quanto all'estensione; quanto alla comprensione s: mica capiamo tutto noi! Ma l'estensione infinita. 110 Quindi Dio pu benissimo comunicarsi a questa capacit, perch non un'esigenza ma una capacit: essa non esige che Dio si comunichi, ma non esclude che Dio possa comunicarsi. Sulla base di questa potenza obbedienziale, che l'estensione infinita del pensiero come atto, come attivit, verifcato quell'assioma che dice: finitus est capax infiniti in potentia oboe-dientiali (il finito capace dell'infinito, per capacit obbedien-ziale). Essendo il creatore dell'universo, Dio pu benissimo far s che le sue creature si modifichino a suo beneplacito, anche oltrepassando le loro leggi specifiche. Il miracolo il caso del-l'obbedienza radicale dell'ordine creaturale a Dio. Ebbene, nel caso dell'uomo e della partecipazione della grazia, non si verifica un miracolo, perch ci che avviene non supera la capacit naturale passiva dell'uomo, permanendo la sua integra natura. La natura umana non scompare, ne subisce violenza, perch porta in s, per definizione, questa capacit infinita. La pianta - per esempio - non ha questa capacit; quindi Dio non pu comunicarsi alla pianta in quanto pianta, con la sua vita divina, ma dovrebbe prima trasformare la pianta in uomo -cio snaturare la pianta. L'uomo e l'angelo, invece, hanno questa capacit o potenza, perch hanno una conoscenza spirituale, cio una conoscenza di pensiero che estensivamente infinita. Dunque, dalla parte della creatura ragionevole si da la condizione di possibilit della partecipazione della vita divina.

Adesso bisogna invece risolvere il problema della identit della grazia, cio della vita divina comunicata all'uomo. Perch dico che occorre risolvere il problema dell'identit della grazia, cio della vita divina comunicata all'uomo? Perch, quando usiamo l'espressione "comunicazione", ovvio distinguere un comunicante (Dio), un comunicato (vita divina) e un recettore di comunicazione (l'uomo). Ora, pensando metafisicamente questi termini, uno deve dire: "Devo togliermi dalla testa che questo comunicante sia diverso dal comunicato, perch ci che Dio comunica Dio

Ili
stesso; e devo togliermi dalla testa anche che la comunicazione all'uomo sia per traslazione, cio per spostamento locale: Dio non viaggia...". Comunicare, per noi, un passare "da" un punto "a" un altro, da un luogo a un altro. Ma Dio non passa da un luogo all'altro. Dio non localizzato. E allora, che cosa vuoi dire che Dio comunica la propria vita divina alla creatura ragionevole, se Dio non in un luogo per cui da quel luogo manda la sua vita divina a t che sei in un altro luogo rispetto a lui? Dio presente per immensit in ogni creatura; ma la presenza d'immensit non pu coincidere con la presenza di grazia sic et simpliciter. La presenza di grazia un modo nuovo di presenza di Dio - tanto vero che si realizza solo nelle creature ragionevoli -, ma Dio non pu comunicarsi come se venisse dall'altro mondo: da dove verrebbe? Vedi che bisogna stare attenti quando si usano queste parole, perch potremmo essere ancora fuorviati e interpretare in termini fisici questa partecipazione? Come si risolve questa seconda faccenda? Bisognerebbe dire che questa presenza di grazia, con cui si dice che Dio si comunica alla creatura ragionevole, in realt c' gi. Non che Dio sia da un'altra parte e poi ti si comunichi: per la presenza d'immensit, Dio gi l. Dio non si aggiunge a Dio! vero che la presenza di grazia non si identifica con la presenza d'immensit, per, prova a pensare: "La presenza di grazia non dipender forse dalla presenza d'immensit?".,. Certo che dipende! Se ti chiedi dov' Dio, tu rispondi che presente in t, nella tua intimit e nella tua intimit pi intima. Allora, se ti dona la grazia, da dove viene questa grazia? E ovvio che c' gi. Se Dio gi presente, la presenza di grazia presuppone questa presenza di Dio; presuppone la presenza d'immensit. Eppure non si identifica con la presenza d'immensit. 112 Per fare la sintesi speculativa, dunque, occorre mettere insieme queste idee. 1) La presenza di grazia non si identifica con la presenza d'immensit, perch abbiamo detto che questa c' sia nell'uomo sia nella pianta, per la presenza di grazia si realizza nell'uomo ma non nella pianta: quindi non si identificano. 2) La presenza di grazia si realizza nell'uomo in forza della sua capacit intenzionale: cio qualcosa che si pone a livello della conoscenza e dell'affettivit spirituali, che hanno una apertura infinita.

3) Questa comunicazione della vita divina, che la grazia, non deve essere intesa nel senso di una traslocazione: Dio gi presente per immensit. Dunque, dunque, dunque: per mettere insieme queste tr idee, uno dovrebbe pensare cos. , Dio ontologicamente gi presente ovunque. La presenza di grazia una presenza a livello ontologico? S, ma si detto che questa presenza a livello ontologico nuova, eppure non deve farci pensare a Dio come a un ente fisico che tisicamente entra in un altro ente fisico: Dio spirito e presuppone, come condizione di comunicabilit, dalla parte dell'uomo, la spiritualit. Allora, sta' a vedere che questa presenza di grazia tutta in un modo nuovo di conoscere e di amare Dio che gi presente per immensit in ogni creatura e direttamente nell'uomo. Solo nella creatura ragionevole possibile questo riconoscimento; nella pianta - o in qualsiasi altro ente non dotato di pensiero, di spirito - non lo , perch non possiede la condizione di possibilit. Il problema si risolve perci dicendo che la presenza di grazia, la partecipazione alla vita, divina, si realizza attraverso la manifestazione alla coscienza dell'uomo - cio all'intelligenza e all'affettivit dell'uomo - della presenza di immensit di Dio, a modo di oggetto sperimentabile affettivamente. Dunque, la grazia santificante la manifestazione alla coscienza dell'uomo della presenza d'immensit di Dio, non in 113 quanto presenza di immensit, ma in quanto presenza di Dio come amico. Ma Dio, come amico gi presente per immensit, quindi la grazia santificante un vedere in modo nuovo la presenza di immensit di Dio. ' La grazia santificante fa vedere in modo nuovo la presenza di immensit di Dio. La grazia santificante fa vedere in modo nuovo, non necessario alla natura dell'uomo, la presenza d'immensit di Dio, non pi come presenza di immensit (cio presenza per cui Dio costituisce come creatura la creatura), ma come presenza di amico. La grazia si dice tale, perch questa manifestazione non necessaria perch l'uomo sia uomo. Non necessaria perch la creatura sia creatura. La presenza d'immensit necessaria perch la creatura sia creatura, perch l'uomo sia uomo; ma questa manifestazione che ti fa vedere sperimentalmente che questa presenza d'immensit la presenza di un soggetto personale amico, non necessaria perch l'uomo sia uomo. Dunque, gratuita! Perci, quest'operazione di chiarificazione di quell'ombra di Dio, che l'atto del pensare dell'uomo, la fa direttamente Dio. E, rispetto a quest'operazione di rivelazione, l'uomo semplicemente passivo. , L'atto del pensare, come atto dell'intelletto agente che condizione della possibilit dei contenuti conoscibili - giacch intenziona l'essere e la sua legge di incontraddittoriet -, non esige per essere tale il suo capovolgimento, cos che in esso si presenti immediatamente l'essere assoluto, cio Dio. Per sua natura l'atto dell'intelletto agente, il pensare, con la sua apertura infinita, fatto per la presentazione alla conoscenza di contenuti obiettivamente finiti. Non esige, per essere se stesso, un contenuto obiettivamente infinito. Quindi, con Giovanni di S. Tommaso (cf. Cursus Theol., In I, q. 43, d. 37, a. 3), si deve concludere che la grazia santificante la manifestazione della presenza d'immensit di Dio nella 114

creatura ragionevole, non a modo di causa che costituisce la creaturalit, ma a modo di oggetto sperimentabile affettivamente. Non per nulla nella vita mistica si avverte la presenza di Dio. Come stando sdraiati al sole, con gli occhi chiusi, si percepisce attraverso le palpebre lo splendore invasivo della sua luce, senza vederla direttamente. nota II nostro intelletto ha un atto di pensiero che aperto all'infinito, ma non ha una comprensione infinita. Come chiarire questa particolarit? Occorre fare una distinzione tra oggetto adeguato e oggetto proprio dell'intelletto umano. Che cosa si intende per oggetto proprio? Per oggetto proprio di una facolt, si intende ci che una facolt considera immediatamente, come specifica determinazione del suo modo di operare. Oggetto proprio di una facolt conoscitiva ci che essa considera direttamente, quale elemento specificativo del suo operare. Qual questo oggetto che determina specificamente la facolt conoscitiva che l'intelletto umano, in quanto intelletto umano? Risposta: la quiddit, l'essenza delle cose materiali, o sensibili. Se dunque l'oggetto proprio dell'intelletto umano l'essenza delle cose materiali - cio i concetti astratti dall'esperienza sensibile -, naturale per l'intelletto umano conoscere le cose che non sono riconducibili all'esperienza sensibile? No! E l'intelletto umano le pu capire? No! Allora, qual l'estensione della comprensione dell'intelletto umano? Fino a dove si pu estendere la comprensione dell'intelletto umano? Si pu estendere a tutte le cose che sono sensibili, cio quelle che sono oggetto della nostra esperienza sensibile; e da queste realt noi astraiamo le nozioni universali. 115 Le cose che non sono oggetto di esperienza sensibile non rientrano nell'ordine della comprensibilit dell'intelletto umano. Ora, tutte le cose sono sensibili? No. Questo fatto allora ci dice che l'intelletto umano - se capace di comprendere solo le cose che sono di ordine sensibile - non capisce le cose che sono di ordine non sensibile. A meno che non ci sia una riducibilit delle nozioni riferite a realt puramente spirituali (metasensibili) alle cose sensibili. Quindi, la capacit di comprensione dell'intelltto umano si estende ad ogni ente? No ! Si estende soltanto agli enti sensibili. Tanto vero che noi possiamo naturalmente parlare di Dio, amare Dio per riconduzione della nozione di Dio alle realt sensibili: l'uomo ha bisogno di essere guidato alla conoscenza e all'amore di Dio attraverso le cose sensibili (cf. S. tommaso d'aquino, Summa Theologzae, II-II, 82, 3, ad2). Che cosa vuoi dire? Vuoi dire che l'uomo conosce e ama Dio conoscendo e amando le cose sensibili. Perch? Perch l'oggetto proprio dell'intelletto umano l'essenza astratta dalle cose sensibili: quindi, se esistono cose non sensibili, l'uomo non le capisce, perch non sono proporzionate alla sua intelligenza. Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu. Non c' niente nell'intelletto che prima non sia stato nella nostra sensibilit. E quando parliamo anche delle cose pi spirituali, abbiamo sempre bisogno di fare degli esempi sensibili, perch il nostro intelletto funziona cos. Ma c' anche un oggetto adeguato all'intelletto, in quanto intelletto (sia angelico, umano o divino).

L'oggetto adeguato all'intelletto in quanto intelletto l'ente. Noi pensiamo l'ente. L'ente, ci che , forse soltanto sensibile? No. L'ente l'ente: che sia sensibile o metasensibile, l'ente ente. E c' qualcosa che cada al di fuori dell'ente? S. Il non ente, cio niente: niente cade al di fuori dell'ente. Dunque, se l'intelletto in quanto intelletto intenziona l'ente, vuoi dire che intenziona tutto. 116 Non c' niente che l'intelletto in quanto intelletto - e quindi l'intelletto umano in quanto intelletto - non possa pensare. Questo intendo dire parlando del pensiero come atto e della sua estensione infinita. Quanto all'oggetto proprio, parliamo di comprensione. Che cosa pu comprendere l'intelletto umano? Tutto? No, soltanto quelle nozioni astratte dall'esperienza; e siccome non tutta la realt esperibile, l'intelletto umano non capisce tutto. Ma l'oggetto adeguato dell'intelletto umano in quanto intelletto l'ente. C' qualcosa che sia estraneo all'ente? Niente! Quindi, tutto rientra nell'ente. Se l'intelletto umano intenziona l'ente, ci vuoi dire che ha un'estensione pari all'ente: non c' niente che non possa rientrare nella pensabilit da parte dell'intelletto. Ma questo non vuoi dire che l'intelletto capisca tutto. Quindi, non c' pericolo di idealismo. Dire che tutto rientra nel pensiero, perch fuori del pensiero non c' nulla essendo il pensiero pensiero dell'essere-, non idealismo. Questo lo dico sempre ed una delle affermazioni filosofi-che pi importanti. Che difficolt c'? Un conto dire che non c' niente fuori del pensiero, perch il pensiero ha una intenzionalit infinita - dovuta al suo oggetto adeguato, che l'ente - e un conto dire che non c' niente fuori del pensiero, perch il pensiero produce l'essere. L'idealismo sostiene la produttivit del pensiero rispetto all'essere. Questa produttivit non consta. Ci che consta l'identit intenzionale di pensiero e essere, di pensiero e tutto. In questo ambiente nasce il soliloquio sul divino. 117

L'ESPERIENZA DI GRAZIA
L'esperienza di grazia non un semplice riconoscimento della coscienza, per cui basta concentrarsi e uno vede la presenza d'immensit. Non ho detto questo ! Non voglio che quello che ho detto sia confuso con certi me-ditazionismi trascendentali... Non sto dicendo che basta che ci si concentri e con la meditazione trascendentale si raggiunge DO.' Questa manifestazione operata da Dio: quindi assolutamente gratuita.

E poi non pu essere confusa con la conoscenza teoretica che abbiamo di Dio. La conoscenza e l'amore di Dio non sono forse gi possibili nell'ordine naturale? S ! Del resto, un conto la conoscenza teoretica di Dio, anche sul piano di una semplice immediatezza di senso comune, per cui si ammette Dio per l'ordine che si trova nel mondo. Questa affermazione non un'affermazione di grazia, un'affermazione di intelletto, di senso comune. E S. Tommaso dice che anche l'amore di Dio sopra ogni cosa nell'ordine naturale - seppure in modo implicito -, perch ogni creatura, ogni realt ama, desidera la propria perfezione. Ognuno di noi desidera essere perfetto, anche se non lo si dice tematicamente. Ognuno di noi desidera la propria felicit e, se la desidera, vuoi dire che ancora non ce l'ha. E in che cosa consiste la felicit? Consiste nel possedere quel bene o quel complesso di beni che si suppone ti rendano felice. Se li desideri, vuoi dire che non li hai; ma se supponi che il loro possesso ti renda felice, vuoi dire che ti sono proporzionati: a tal punto che, se li possedessi, ti sentiresti realizzato. 118 Dove trovi questi beni? In qualche cosa che pensi essere superiore a t, ma in qualche modo conforme alla tua natura. Io non desidero avere la testa d'acciaio, perch non mi servirebbe a nulla. Se l'avessi, non potrei neppure pensare: sai quanto mi interessa?! Desidero qualcosa che sia conforme alla mia natura. Perci penso che questo complesso di beni, che io non ho, si trovino nella causa che mi ha creato. Quindi amo pi la causa creatrice, Dio, di quanto ami me stesso. Se tutto questo avviene naturalmente, impossibile che io vada a pensare che la conoscenza naturale e l'amore naturale di Dio possano essere confusi con la conoscenza e l'amore soprannaturali, cio dovuti alla grazia. C' una bella differenza tra la conoscenza teoretica di Dio e la conoscenza sperimentale di Dio, che dovuta alla grazia. La presenza di immensit la riconosco teoreticamente, ma non ne faccio esperienza; la presenza di amicizia, invece, la riconosco in forza di una manifestazione soprannaturale. Ecco, per fare un esempio, l'esperienza della mia animazione una conoscenza diversa della mia anima da quella che io posso averne, invece, a livello teoretico - come quando dico che vivo in forza della mia anima, che l'unica forma sostanziale del mio corpo. In questo senso, la conoscenza della presenza d'immensit di Dio in tutte le cose e anche in me posseduta soltanto in modo teoretico: bisogna dimostrarla; non che la si percepisca. Quindi, non si tratta di un'esperienza. Allora, se la presenza d'immensit si presenta a modo di esperienza, tale modalit non nell'ordine naturale: quindi frutto di una rivelazione soprannaturale. Bellissimo e veramente significativo quel passo del profeta Isaia (25, 7) dove si legge: Egli strapper su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Che cosa vuoi dire? Questa l'essenza! 119 Dio non aggiunge qualcosa: no ! Dio toglie il velo agli occhi dei popoli. Che cosa si vede? La presenza di Dio! Ecco: l'essenza del cristianesimo una rivelazione, non un'aggiunta. Ma la grazia, si dice, un accidente che si aggiunge alla natura dell'uomo!

Ebbene, la grazia santificante va intesa in due modi. a) Se la si intende come accidente che si aggiunge alla natura umana - cio come qualit che si aggiunge all'essenza dell'anima razionale -, la grazia l'azione disvelativa da parte di Dio. E l'azione con la quale Dio, in modo assolutamente gratuito, si rivela in modo permanente: l'azione divina di permanente disvelamento di Dio. b) Ma che cos' per essenza la grazia? la vita divina. E dove si trova la vita divina? Su Marte? No! Per presenza d'immensit, Dio presente in ogni creatura: quindi l'essenza della grazia la vita divina resa sperimentalmente conoscibile e amabile per l'uomo attraverso l'azione rive-lativa gratuita di Dio. Quindi, bisogna distinguere due cose nella grazia: a) il modo di essere della grazia e b) l'essenza della grazia. Quanto al modo di essere, la grazia un accidente. Il suo modo di essere un accidente e l'accidente si aggiunge all'essenza dell'anima e inerisce all'essenza dell'anima. Ma questo accidente soltanto l'aggiunta dell'azione con la quale Dio toglie il velo, rivela! Togliendo il velo, che cosa manifesta? Manifesta l'essenza della grazia, che la vita divina e la vita divina gi presente nell'anima dell'uomo. Dio non si aggiunge a Dio! nota Soltanto Dio pu capire se stesso. La sua comprensione da parte di altri deve passare attraverso una mediazione che sia 120 proporzionata a un intelletto non divino. Per questo motivo dico che la prima rivelazione il mondo. Siccome rivelare vuoi dire manifestare, Dio manifesta se stesso nel mondo: sia nel senso che il mondo lo specchio di Dio, sia nel senso per cui Dio manifesta se stesso nel mondo perch il mondo, nella sua essenza, la trasparenza di Dio, la diafania di Dio. L'esperienza di grazia, dunque, se la manifestazione da parte di Dio della sua presenza di immensit e di diafania nel mondo, a modo di oggetto sperimentabile, porta a percepire Dio nel mondo: nella e attraverso la stessa essenza del mondo. La grande mistica Angela da Foligno arrivava a dire: Tutto pieno del Verbo. Vedeva il Verbo ovunque. Eppure, una pianta non il Verbo, io non sono il Verbo, questo foglio non il Verbo... Ma l'esperienza mistica porta a questa diagnosi percettiva, Non ho detto che la grazia sia soltanto una presa di coscienza! Perch se per presa di coscienza si intende che con una mia riflessione io riesco a percepire sperimentalmente, immediatamente, la presenza di Dio, questo non vero. Se in forza della mia autoriflessione arrivassi a percepire la presenza di Dio, sarei Dio. Soltanto Dio comprende Dio! Ma se il percepire esperienzialmente Dio frutto di grazia, questo non vuoi dire che sia presa di coscienza per autoriflessione: sar presa di coscienza perch, per puro dono divino, mi si manifesta qualcosa la cui manifestazione a me non dovuta. Non sono fatto per percepirla da me; riesco a percepirla perch Dio me la fa percepire. Questo vuoi dire che frutto di grazia. In un duplice senso:

sia perch assolutamente gratuito - non dovuto alla natura -e poi perch la grazia, nella sua essenza, la vita stessa di Dio. Per questo c' identit sostanziale tra presenza d'immensit e presenza di grazia; mentre c' distinzione quanto al modo, perch la presenza di grazia un modo nuovo, operato direttamente da Dio - non necessario al costituirsi della creatura di conoscere la presenza di immensit. 121 Bisogna fare la sintesi fra queste due cse: l'identit-diversit tra Dio e mondo e la presenza di grazia santificante, come condizione di esperienza della identit. Si deve anche riflettere su un altro aspetto. C' una specie di incongruenza tra il dire che la grazia un accidente che inerisce all'essenza dell'anima umana - e in quanto accidente finita -, e il dire che, essendo la vita stessa di Dio, infinita. La grazia sarebbe insieme finita e infinita: contraddizione. No, non c' contraddizione, perch un conto il modo di essere, un conto l'essenza. Quanto al modo di essere, la grazia un accidente, finito, che inerisce all'essenza dell'anima eia si pu pensare come un'aggiunta, come si detto. La grazia, come accidente finito, semplicemente l'azione gratuita - non necessaria per la natura - di Dio che si rivela, a livello incipiente. Ma se considero l'essenza della grazia, essendo la grazia la vita stessa di Dio, non pu che essere infinita. Dunque, quanto al modo di essere finita e quanto all'essenza infinita. L'essenza infinita della grazia ha come suo presupposto di possibilit, dalla parte dell'uomo, la potenza obbedienziale, cio l'estensione infinita del pensiero come atto - o, per dirla in termini tomistici, l'intelletto che intenziona atematicamente l'ente, al di fuori del quale non c' nulla e quindi ha un'estensione infinita. Come accidente, invece, la grazia qualcosa di finito; e questo qualcosa di finito si aggiunge all'essenza dell'anima umana perch l'operazine divina con la quale Dio toglie il velo. l'aiuto non dovuto, gratuito, col quale Dio toglie il velo e manifesta la sua presenza di vita infinita. Non ho detto che l'azione della grazia sia finita, ho detto che la grazia santificante, quanto al suo modo di essere, un accidente e, come accidente, finita e quindi si aggiunge all'essenza dell'anima. 122 Ma questa aggiunta all'essenza dell'anima dipende dal fatto che si tratta dell'azione di Dio! Vediamo un esempio per intendere bene questa cosa. Il processo della giustificazione o santificazione^ o divinizzazione (sono termini concettualmente equivalenti) il processo per il quale Dio infonde la grazia. Quando un uomo giustificato, santificato, divinizzato? Quando possiede la grazia santificante. La grazia santificante, nel processo della giustificazione -cio nel processo per il quale uno viene divinizzato - infusa all'inizio del processo o al termine del processo?

Certo, quando uno pensa all'espressione " giustificato", intende ovviamente il termine del processo: la grazia sembra infusa alla fine. E allora, prima, all'inizio che cosa c', se al termine del processo donata la grazia? Si risponder: una predisposizione. Va bene. Ma questa predisposizione da chi dipende, da chi operata? Dalla grazia! Perch la natura, la capacit dell'anima razionale obbedienzialmente passiva: non pu predisporsi attivamente a ci che la supera. Se si disponesse attivamente ne sarebbe attivamente capace e allora sarebbe una capacit esattiva: se la natura potesse esigere la grazia, cio la vita divina, avrebbe una capacit divina, cio si negherebbe come semplice recettore. Non ci si pu preparare attivamente a ricevere ci che ci sproporzionato: l'attivit di preparazione sarebbe proporzionata allo sproporzionato, il quale non sarebbe pi tale... Non resta che ammettere, dunque, che lo stesso sproporzionato che proporziona a s il soggetto che lo pu ricevere, avendone questi una capacit passiva semplicemente obbedien-ziale. Si deve dunque concludere che la stessa grazia che predispone l'anima razionale a riceverla. Perci, la grazia santificante non infusa alla fine, ma all'inizio del processo della divinizzazione. 123 Nel processo della giustificazione o divinizzazione, la medesima grazia che, all'inizio, viene infusa a modo di azione attuale da parte di Dio, e al termine viene posseduta abitualmente. Per questo dico che, all'inizio, la grazia l'atto con il quale Dio opera sull'anima. Al termine di quest'operazione, l'anima si dice giustificata o divinizzata. Quindi, la grazia santificante (quella che giustifica, che manifesta la presenza di Dio come vita divina partecipata, relazione di amicizia con Dio, presupposta la presenza di Dio per immensit ecc.) non qualcosa di diverso dalla grazia come azione iniziale che da origine al processo di giustificazione. E la stessa grazia che ricevuta originariamente come atto e terminalmente posseduta come abito. Vediamo di fare un esempio. Per incendiare della legna verde occorre che il fuoco ne asciughi prima gli umori, cos che, una volta rinsecchita, la legna sia capace di ricevere il fuoco e di incendiarsi. Il fuoco che adesso arde in quella legna, che prima era verde, lo stesso fuoco che ha presieduto al suo essiccamento. Allo stesso modo, la grazia che si dice attualmente operante sull'anima dell'uomo perch l'azione di Dio che manifesta, la medesima grazia che poi si dice presente abitualmente nell'uomo perch il manifestato. Sempre allo stesso modo e nello stesso senso, il fuoco che predispone la legna alla ricezione di se stesso, cos come la stessa grazia che predispone l'anima razionale a riceverla. 124

I GRADI DELL'ESPERIENZA DI GRAZIA


La grazia fa s che si disveli alla coscienza dell'uomo la presenza d'immensit di Dio a modo di amicizia.

Bene. Ma se si tratta di un modo di amicizia lo si dovrebbe sentire, lo si dovrebbe avvertire. Se una presenza fruibile, spe-rimentabile, la si dovrebbe sperimentare. Nella teologia classica, la grazia santificante viene descritta come una partecipazione fisica della vita divina. Fisica, perch sperimentabile, non nel senso che se ne prenda un pezzo (Dio non pu essere fatto a pezzetti...). L'aggettivo fisico va qui inteso come contrapposto amorale. Fisico si contrappone a morale come sperimentabile si contrappone a ci che per modo di dire. E se uno non sperimenta la presenza di amicizia di Dio, vuoi dire che non ha la grazia? Dunque, dunque, dunque, vediamo un po' cme risolvere questo problema. Senti un po'. Abbiamo detto che la grazia santificante ha un aspetto finito e un aspetto infinito'. L'aspetto infinito quello essenziale, perch la vita stessa di Dio. L'aspetto finito, invece, il suo modo di essere: un accidente che inerisce all'essenza dell'anima razionale. Questo accidente un habitus. Si tratta cio di una qualit in forza della quale il soggetto si trova disposto in un certo modo in se stesso e nel suo operare. Quando questa disposizione non fa altro che determinare la condizione del soggetto in se stesso, si dice abito entitativo (perch riguarda l'entit, l'essere e non l'operare: per esempio la salute, la bellezza, il vigore sono abiti entitativi). 125 Quando, invece, dispone le facolt operative secondo il loro agire si chiama operativo (per esempio, la scienza un abito operativo dell'intelletto speculativo; la prudenza un abito operativo dell'intelletto pratico; la giustizia un abito operativo della volont. E cos via per tutte le altre virt...). La grazia santificante, rendendoci partecipi della natura divina, un abito entitativo: cio ci da la natura di Dio. Ora, vero che quanto alla sua essenza infinita - la stessa vita di Dio - ma quanto al suo modo di essere finita: 'un accidente, che inerisce all'essenza dell'anima, un abito. Da questo punto di vista, la grazia santificante qualcosa di creato - o meglio di concreato: ci per cui l'uomo una creatura nuova. Ebbene, da questo punto di vista - quello della sua finitezza -la grazia santificante immediatamente operativa? Risposta: no! Non pu essere immediatamente operativa perch soltanto Dio immediatamente operativo. Soltanto Dio , infatti, il suo stesso operare. Dire che un soggetto immediatamente operativo vuoi dire che agisce in forza del suo stesso essere, non in forza di facolt operative. Soltanto Dio il suo operare: la sostanza di Dio la sua operazione, Dio volere, Dio vivere, Dio pensare. Non si dovrebbe dire che Dio ha il volere, che Dio ha la vita, che Dio ha il pensiero, anche se usualmente parliamo del volere di Dio, della vita di Dio, del pensiero di Dio, come se Dio fosse un soggetto diverso dal suo pensare, dal suo volere, dal suo vivere. Questo dovuto al nostro modo di esprimerci dipendente dal fatto che la nostra conoscenza ha per oggetto proprio le nozioni astratte dai dati sensibili. Tutti i nostri concetti e i modi espressivi dei concetti sono plasmati su questa realt. Usiamo il concreto per indicare il sussistente per es. uomo il soggetto della natura umana, che non l'uomo - e l'astratto per indicare la forma per cui il sussistente ha quella determinata natura - per es. umanit ci per cui l'uomo uomo, ma non l'uomo in concreto -; usiamo il verbo per indicare l'operare. In Dio non si da distin-

126 zione tra soggetto e forma o natura, e neppure tra soggetto e operare; ma per il nostro modo di concettualizzare e di esprimerci, lo trattiamo grammaticalmente come se fosse una creatura, cio un composto. Io parlo, ma non sono il parlare e neppure il mio parlare. Io non mi risolvo nel mio parlare. Dio, invece, si risolve nella sua operazione e l'operare di Dio si risolve nell'essere di Dio. Dio semplicissimo, non un soggetto che agisce, un sog-getto-operazione. L'essere di Dio il suo pensare, il suo volere, il suo vivere, per assoluta identit. Questo vuoi dire che immediatamente operativo, cio non agisce per mezzo d'altro, per mezzo di facolt operative: non ha facolt perch esso stesso operare sussistente. Ora, se si da un soggetto che non si identifica con il suo operare, tale soggetto non sar immediatamente operativo. Se c' un soggetto che non le sue operazioni, se agisce, agir in forza di qualcosa di diverso dal suo essere (se agisse in forza del suo essere si identificherebbe con il suo operare). Se agissimo in forza del nostro essere, noi ci identificheremmo con il nostro operare. Ma noi non operiamo in forza del nostro essere. Noi possiamo essere e non operare: per esempio, io sono qui e sto zitto; vedi che il mio parlare non coincide con il mio essere. Questo vuoi dire che non c' identit tra essere e operare. Noi operiamo non in forza del nostro essere, ma in forza di qualcosa di aggiunto, cio delle facolt operative. Dunque, la domanda era: possibile che la grazia santificante, come accidente entitativo, sia immediatamente operativa? La risposta no. No, perch l'unico soggetto immediatamente operativo Dio; tutto ci che diverso da Dio non immediatamente operativo. Quindi, la grazia santificante, sebbene si identifichi, quanto all'essenza, con Dio, quanto al modo di essere un accidente che inerisce all'essenza dell'anima razionale. Secondo questo aspetto, la grazia santificante non immediatamente operativa, perch si distingue da Dio: Dio non accidente, non ha un modo accidentale di essere. 127 Se distinta da Dio, il suo operare non si identifica con il suo essere: quindi la grazia santificante non immediatamente operativa. E allora attraverso quali - chiamiamole cos - facolt pu operare? Quali sono le facolt operative della grazia? Sono le virt infuse. Virt teologali e virt morali infuse: questo sono le quasi-facolt operative della grazia santificante. Se la grazia santificante rende sperimentabile la presenza di Dio come amico, perch non lo si sente, non lo si vede? Ma s che lo si vede! Lo si vede attraverso la quasi-facolt operativa della fede, che presiede alla conoscenza di grazia. In forza della fede non si vede propriamente, ma si conosce in modo nuovo, soprannaturale, Dio in se stesso. E sulla base della fede - che si possiede in forza della grazia -che conosciamo in modo nuovo Dio. Quindi, Dio si rende presente, in modo nuovo, alla conoscenza dell'uomo attraverso la grazia, in forza dell'operazione della fede teologale.

Allo stesso modo, Dio si rende presente, in modo nuovo, attraverso la grazia, all'affettivit dell'uomo, in forza della carit teologale. Occorre, dunque, analizzare queste quasi-facolt operative della grazia santificante per vedere pi da vicino come e in che misura esse consentano l'esperienza di Dio. Anzitutto bisogna chiarire perch sono quasi-facolt operative e non facolt in senso stretto. Non si deve confondere la grazia con un altro essere cosciente che in noi e che agisce in noi. La grazia non rende biperso-naii. La grazia una qualit che inerisce all'essenza della nostra anima, quindi la sua sostanza personale siamo noi. Le sue facolt operative sono le nostre facolt operative. Come non si da grazia santificante senza l'essenza dell'anima razionale, cos non si danno fede, speranza, carit, prudenza, fortezza, giustizia e temperanza infuse, senza le facolt operative della nostra anima. 128 Quindi la fede presuppone la grazia, ma presuppone soprattutto l'intelletto, perch se uno non ha l'intelletto non pu emettere l'atto di fede. Perci, le vere facolt operative sono l'intelletto, la volont e gli appetiti sensitivi - per quanto concerne le virt morali infuse. La grazia santificante, se agisce attraverso la fede, la speranza, la carit e le virt morali infuse, si dice che agisce attraverso queste virt, in forza delle facolt operative dell'anima - cos come si dice che da una natura nuova all'uomo in forza della sua inesione all'essenza dell'anima. Se non ci fosse l'anima razionale, la grazia santificante non si darebbe e, conseguentemente, non si darebbero la fede, la speranza e la carit se non ci fossero l'intelletto e la volont. Siccome la grazia santificante ci rende partecipi della natura di Dio, allora anche l'operare, in forza della grazia santificante, dovr essere divino. Quindi, le facolt operative dell'uomo, dell'anima razionale -intelletto, volont, appetiti sensitivi - dovranno connaturalizzarsi a questa dinamica. In che modo si connaturalizzano? Attraverso le virt infuse, che sono quindi le quasi-facolt operative della grazia santificante. Non si pu dire che la fede sia l'intelletto della grazia; che la carit ne sia la volont ecc., perch la grazia non ha ne intelletto ne volont: la grazia non una sostanza, un accidente. Come agisce la grazia? S, agisce,attraverso la fede, la speranza e la carit, supponendo, per, le facolt operative dell'anima razionale - cos come suppone l'essenza dell'anima. Quindi, come agisce la grazia attraverso la fede? Esercitando atti intellettivi di fede. Come agisce la grazia attraverso la carit? Esercitando atti volontari di carit. Quindi, se non c' l'intelletto, se non c' la volont, la grazia non pu emanare le sue quasi-facolt operative (in questo caso, la fede e la carit).

129 In questo senso parlo di quasi-facolt operative, per togliere di mezzo il dualismo per cui si immaginerebbe dentro di noi un esserino che si chiama grazia, che conosce con la fede, ama con la carit e cos via. No, siamo noi ad agire. Non la grazia santificante che agisce con l'intelletto, l'anima razionale che agisce con l'intelletto; non la grazia santificante che agisce con la volont, l'anima razionale che agisce con la volont. Allora la grazia santificante come agisce? Muovendo l'intelletto come intelletto e la volont come volont? No. Muove l'intelletto, muove la volont - come muove gli altri appetiti - ma in forza di una disposizione soprannaturale. Per questo dico che la grazia ha le sue quasi-facolt operative, cio ci per cui vengono informate, qualificate, soprannaturalmente anche le facolt operative dell'anima e non solo l'essenza dell'anima. Con la fede, la grazia informa l'intelletto; con la carit e la speranza, informa la volont; con la virt morale infusa della giustizia, informa ancora la volont; con la temperanza infusa, informa l'appetito sensitivo concupiscibile; con la fortezza infusa, informa l'appetito sensitivo irascibile. In forza di queste sue prime attuazioni Operative, la grazia santificante da forma soprannaturale alle facolt operative dell'anima razionale. Da questo discende, come conclusione, che se la grazia santificante consente questo nuovo modo di conoscere Dio, questa presenza nuova di Dio al conoscere umano avviene attraverso la fede. Non vedo Dio: ma con la fede lo conosco per speculum et in aenigmate. Almeno in questo primo grado (perch bisogna distinguere diversi gradi e misure di questa realizzazione della presenza della vita divina in noi), uno non sente "ne caldo ne freddo". Con la fede recita con convinzione il credo e dice: "Credo in un solo Dio, Padre onnipotente..."; ma non sente un particolare trasporto, "non sente ne caldo ne freddo". 130 Quindi, con la fede non senti niente: conosci ci che Dio conosce. Il modo nuovo relativo al contenuto: tu sai che Dio Uno e Trino. Chi lo sa prima di t? Dio! Allora sei ammesso alla conoscenza di ci che solo Dio conosce di Dio. Vedi che un modo nuovo di conoscere Dio? S, quanto al contenuto. In forza della grazia, attraverso la fede, tu hai un modo nuovo di presenza conoscitiva di Dio. Ma la fede - restando per adesso sul piano della conoscenza - il primo grado in cui si rende presente, in modo nuovo, al conoscere umano la vita divina, perch la fede non il grado ultimo di questa conoscenza per grazia. Con la visione beatifica, la fede viene spazzata via. La visione beatifica ancora conseguenza della grazia. Con il lumen gloriae - l'habitus che scalza la fede teologale e consente la visione immediata di Dio, che chiamiamo paradiso -otteniamo il grado massimo della conoscenza di Dio: sperimentiamo Dio vedendolo chiaramente. Il grado minimo di questa conoscenza la fede. Con la fede, noi abbiamo il medesimo contenuto di conoscenza della gloria, cio della visione beatifica.

Che cosa cambia? Cambia soltanto il modo con il quale questo contenuto avvertito. Nella fede, in realt, non avvertito, non hai un'esperienza vitale di ci che conosci, di ci che Dio -che pure ti si rivela. Nella gloria (cio nella visione beatifica), invece, tu vedi chiaramente Dio: vedi chiaramente ci che prima non vedevi. Il "ci-che" rimane uguale, identico: "ci-che" credi e "ci-che" vedi sunt idem; ma un conto credere e un conto vedere. Il cambiamento sta nel passare dal non-vedere al vedere, non nel passare da un contenuto a un altro: il contenuto sempre uguale, II contenuto della fede e il contenuto della visione sono identici: Dio in se stesso, la Deit. La definizione della grazia come manifestazione della presenza d'immensit di Dio a modo di amicizia sperimentabile, dove ha la sua piena espansione? Nella visione beatifica. 131 Dove ha la sua anticipazione? Nella fede teologale. Qualcosa del genere va detto anche a riguardo della carit. Che cosa fa la carit? La carit la prima attivazione operativa della grazia santificante quanto alla volont, quanto all'amore. In forza della carit teologale, noi amiamo ci che Dio ama. Che differenza c' tra la carit e la fede? Si pu dire che esista, anche nel caso della carit, un grado diverso tra la carit dell'uomo viatore e la carit del comprenso-re - cio del beato del paradiso? Si pu dire che si da un grado diverso nel nostro attuale amore di carit rispetto al nostro medesimo amore di carit in paradiso - cio nella visone beatifica -, come si da un grado diverso tra la nostra fede e la visone beatifica (non quanto al contenuto, ma quanto al modo di non-vedere e vedere)? Nel caso della carit non c' un grado diverso. La medesima carit che abbiamo nella condizione della fede, l'abbiamo nella condizione della visione. Il medesimo grado di intensit di amore che esercitiamo ora il grado di intensit d'amore che sperimentato in paradiso. Nel caso della carit, l'identit permane sostanzialmente e modalmente. Per questo la carit si dice superiore alla fede: perch ha una vitalit tale da permanere in paradiso, mentre la fede in paradiso non c' pi. Per questo motivo, si dovrebbe dire "beato t che hai la carit" e non "beato t che hai la fede": la carit che identifica sostanzialmente e modalmente il "cielo" e la "terra", La carit identica al-di-qua e al-di-l, per cui, in forza della carit, non c' ne al-di-qua ne al-di-l. , In forza della carit - che identica di qua e di l, in questa vita e nell'altra, nella presente e nella futura, su questa terra e in paradiso - non c' ne questa terra ne paradiso, ne presente ne futuro. Quindi, in forza della carit, il paradiso gi qui.

Siccome l'affetto e il conoscere non sono la stessa csa, tu non vedi questa identit, perch sei nella fede. Ma in forza della gloria - del lumen gloriae - tu vedi questa identit. 132 Con la fede non la vedi; non vedi che sei gi in paradiso con la grazia: lo devi credere, ma non lo vedi che ci sei gi. Con la gloria lo vedi che ci sei. Ma, di fatto, adesso, anche nel regime della fede, ci sei o non ci sei? S, ci sei: con la carit ci sei gi, perch identica sia qui che in paradiso. In forza della carit, il paradiso gi qui. Uguale anche l'intensit. La fede non la piena manifestazione, la piena esperienza di Dio; l'inizio della manifestazione. Un conto vedere e un conto non-vedere. Un conto sapere non-vedendo e un conto sapere vedendo. La fede nel regime del non-vedere; la visione beatifica nel regime del vedere. La differenza, poi, tra la carit e la fede questa. Mentre con la fede noi conosciamo sostanzialmente ci che Dio conosce di s, ma non allo stesso modo, con la carit noi amiamo ci che Dio ama, con lo stesso amore di Dio, con il suo stesso modo. Per questo motivo, la carit non ha variazione in questa vita e nell'altra vita. Quindi per la carit non c' distinzione tra questa vita e l'altra, neppure modalmente. Questa vita e l'altra sono la stessa cosa. Si da una possibilit intermedia tra il semplice regime di fede e il regime di visione beatifica, per il quale, gi in questa vita si pu dare un livello di manifestazione - sempre in forza della grazia - della presenza di Dio sperimentabile? Il grado pieno della manifestazione sarebbe la visione beatifica; il grado incipiente sarebbe la fede. Esiste un grado intermedio tra la semplice fede, che non sperimentale, e il grado ultimo della visione beatifica, che perfettamente sperimentale? S, si da un grado intermedio! E il grado della vita mistica. E la vita mistica in che cosa consiste? E forse un'anticipazione della visione beatifica? 133 No. forse un oltrepassamento della fede? No, non pu essere un oltrepassamento della fede, perch, una volta che hai oltrepassato la fede, c' la visione: ti ho detto che la vita mistica un livello intermedio, per cui non c' un oltrepassamento della fede. Anzi, non c' vita mistica se non presupponendo la fede. Come si definisce infatti la vita mistica?

Secondo la scuola tomista, la vita mistica non un episodio straordinario, legato a una pluralit di interventi gratuiti da parte di Dio, quasi fosse qualcosa di miracoloso. La vita mistica lo sviluppo ordinario della vita di grazia. E come si descrive questa vita mistica? Beh, si definisce cos: "una semplice intuizione della verit divina, procedente dalla fede vivificata dalla carit e illuminata dai doni della sapienza, dell'intelletto e della scienza". La vita mistica non oltrepassa la fede, nel senso di sostituirla, perch si tratta di una intuizione procedente dalla fede: senza fede non c' vita mistica. L'unica quasi-facolt operativa della grazia santificante, in riferimento alla conoscenza, prima della visione la fede. Quindi, se la vita mistica riguarda questa vita e l'unico modo per conoscere Dio in se stesso in questa vita dato dalla fede, la mistica si aggiunge alla fede e non la sostituisce. Per, non si identifica semplicemente con la fede. Quindi che cosa fa? Presupposto il dato sostanziale della fede - cio il regime della non-visione -, aggiunge a questo dato l'aspetto esperienwle. E in questo senso la vita mistica intermedia tra la semplice fede e la visione. La visione vedere con esperienza; la fede non-vedere senza esperienza; la vita mistica non-vedere con esperienza. In altri termini: a) la fede sapere non-vedendo, senza esperienza; b) la visione beatifica sapere vedendo sperimentalmente; e) la vita mistica sapere sperimentalmente, pur non-vedendo. Quindi, la vita mistica intermedia tra la fede e la visione, per sta pi dalla parte della fede che della visione, perch presuppone essenzialmente la fede. 134 Come si pu determinare questo aspetto esperienziale che accompagna la mistica, pur presupponendo nella mistica il dato di fede? Appunto dicendo che la vita mistica un'intuizione della verit divina, a partire dalla fede. La fede non un'intuizione. La fede un assenso certo dell'intelletto alla verit rivelata da Dio, in forza della sua autorit: quindi non un'intuizione; un giudizio. La vita mistica, invece, un'intuizione. Dunque, presupposto l'assenso dell'intelletto, determinato dall'abito della fede teologale, la vita mistica aggiunge, appunto, questo aspetto intuitivo di sguardo compiaciuto. L'intuizione uno sguardo compiaciuto. Sguardo compiaciuto vuoi dire che uno, in un battibaleno, resta rapito. Intueor, in latino, vuoi dire guardo. Questo guardare non il vedere. Guardare un vedere con coinvolgimento.

Si pu guardare senza vedere? No! Si pu vedere senza guardare? S! Allora, parallelamente, supposto che l'aver fede sia un sapere come il vedere, non detto che uno sappia gustando quello che sa. Il sapere non necessariamente coinvolgente. Tanto vero che si pu dare una fede informe, cio in uno stato privo della carit teologale e dell'azione abitualmente vivificante dalla grazia (grazia abituale). Lo stato di peccato mortale implica proprio questa condizione: si ha la fede, ma non si ha la carit. Quindi, se la fede sta dalla parte del sapere senza coinvolgimento, la mistica sta, invece, dalla parte del guardare, cio un vedere o sapere con coinvolgimento. Tu sai una cosa e sei coinvolto con essa perch ti piace saperla, la gusti. Tu non vedi semplicemente; tu guardi! Non dici: "stavo vedendo". No, tu dici: "stavo guardando". Sapevi di essere rapito, stavi guardando. Il guardare sempre intenzionale, il vedere, invece, no. 135 Quindi la mistica aggiunge al semplice vedere lo sguardo. Questo vuoi dire il termine intuizione, La vita mistica un'intuizione della verit divina, ma non a livello di visione beatifica, perch siamo nel regime della fede. Ma non neppure semplicemente fede. Come il guardare aggiunge al vedere il compiacimento del vedere. Che cosa fa s che la fede nella mistica sia intuitiva e gustativa? E l'esercizio dei doni dello Spirito Santo. I doni dello Spirito Santo aggiungono questo aspetto modale di gusto nel sapere le cose di fede. Quindi, il guardare compiaciuto appartiene al regime della fede in forza dei doni dello Spirito Santo. Ma i doni dello Spirito Santo che cosa fanno? I doni dello Spirito Santo danno un modo di sapere che divino. La fede la conoscenza di un contenuto sostanzialmente divino; ma il modo della fede umano, tanto vero che tu devi avere fede, devi credere, devi deliberare sull'avere fede. Invece, il piano dovuto all'esercizio dei doni dello Spirito Santo - che presuppone questo piano sostanziale dei contenuti divini - aggiunge il modo divino del sapere: non deliberi ma operi spontaneamente. Ecco perch, in forza dei doni dello Spirito Santo, la vita mistica viene pi assimilata all'esperienza della visione beatifica: perch, nella visione beatifica, non soltanto conosciamo ci che Dio conosce, ma nello stesso modo con cui Dio lo conosce. Nell'esperienza mistica, noi - presupposta la fede - conosciamo ci che Dio conosce, nel modo con cui Dio lo conosce: sul piano sperimentale, ma non sul piano del sapere per visione. Perch, siamo nel regime di fede, cio del sapere senza vedere. Ma il fatto che noi possediamo questo compiacimento di gusto di ci che si sa, assimila l'esperienza mistica all'esperienza della visione.

Quindi, la vita mistica, l'esperienza mistica, intermedia tra la fede e la visione beatifica. Il suo essere intuizione, sguardo 136 compiaciuto, impone la fede ma soprattutto l'esercizio dei doni dello Spirito Santo. Evidentemente, l'esercizio di quei doni dello Spirito Santo che riguardano la conoscenza: cio i doni della sapienza, della scienza e dell'intelletto. Il dono della sapienza riguarda la conoscenza della Trinit divina in se stessa e per se stessa. Il dono della scienza, invece, riguarda la conoscenza delle realt creaturali, in ordine alla conoscenza che si ha di Dio in se stesso; il dono dell'intelletto riguarda la conoscenza della verit divina nel suo aspetto di non patire negazione (uno fermamente certo anche se non vede; ma fermo come se vedesse). In forza della sapienza, uno gusta la verit divina in se stessa: per esempio, che Dio sia Trinit. Un conto dire: "Io credo che Dio sia Padre, Figlio e Spirito Santo: Unit numerica della natura e Trinit delle Persone, uguali e distinte"; altra cosa intuire la Trinit come attivit continua di generazione-spirazione coinvolgente tutto l'essere. Nel caso del dono della scienza non consideri pi Dio in se stesso, ma consideri le creature: non perch dalle creature possiamo ascendere al Creatore, ma perch consideri le creature cos come le considera Dio. E un sapere che guarda le creature alla luce di Dio: quindi un valutarle alla luce di Dio, cos come Dio le valuta. In questi due casi, sia la sapienza che la scienza considerano positivamente il contenuto rivelato. Il dono dell'intelletto, invece, lo considera negativamente: io posso, cio, avere delle obiezioni (la difficolt che legata al credere: il credere non vedere) nei confronti del contenuto dogmatico della fede. Il dono dell'intelletto il dono per il quale tu sei portato a credere invincibilmente, con certezza invincibile i contenuti della fede, qualsiasi fosse l'obiezione riferita contro di essi. Tu non hai l'evidenza, hai la certezza morale. Eppure invincibile quella tua certezza, che va anche contro qualsiasi altra 13.7 pretesa evidenza contraria - pretesa evidenza, perch non di fatto tale, ma la si suppone tale. Quindi, il dono dell'intelletto, che ha questa funzione di certificarti il contenuto di fede contro qualsiasi obiezione rivolta alla fede - obiezione che tu non sei in grado di valutare con la tua ragione -, dipende pi dall'intelletto o dall'affetto? Dipende pi dall'affetto. Perci, questo mi fa capire che se vale per il dono l'intelletto, che vede negativamente, a maggior ragione questa dimensione affettiva vale per il dono della sapienza e per il dono della scienza. In essi, l'aspetto di gusto accompagnato da qualcosa di positivo: tu non consideri le obiezioni, le critiche che vengono fatte, ma consideri in se stessa la realt che credi. Questo fa capire come la vita mistica supponga la fede formata dalla carit, cio dall'affettivit soprannaturale. Perci, la vita mistica tale in quanto la presenza della carit dispone la conoscenza umana a subire l'influsso dei doni dello Spirito Santo, che consentono l'intuizione.

Che cosa scompare nella visione beatifica dell'esperienza mistica? La fede: perch alla fede si sostituisce la visione. Ma tutto il resto permane. I doni dello Spirito Santo permangono nella gloria, perch sono ci che consente l'adattamento modale dell'operazione umana all'operare divino. Questo adattamento modale permane nello stato di gloria -cio in paradiso - perch in esso non scompare l'uomo. Nello stato di gloria, per, l'uomo immediatamente coinvolto nella vita stessa di Dio: in modo evidente, immediato. Nella visione beatifica, non ci sono concetti intermedi. Non che il beato veda Dio attraverso un concetto pi perfetto di quello che abbiamo adesso. Niente concetti: Dio informa immediatamente l'intelletto dell'uomo. Quindi, l'intelletto dell'uomo rimane perfettamente coinvolto nella visione di Dio. Come possibile che permanga l'intelletto umano, essendo coinvolto immediatamente - cio senza le modalit che sarebbe138 ro connaturali all'intelletto umano, in quanto intelletto umano -in questa visione di Dio, in questa vita divina? Con un adattamento ulteriore. E con un adattamento ulteriore a quello del puro lume della gloria, che sostituisce la fede teologale. Questo adattamento ulteriore, modale, dato ancora dai doni dello Spirito Santo. Altrimenti impazziresti, perch tu non hai l'intelletto di Dio! O hai l'adattamento, che ti consente di essere coinvolto immediatamente nel vortice della vita divina senza dare i numeri, o evidente che tu, l dentro, non ci vai! Impazzisci per la sofferenza. Il lume della gloria implica perci la presenza della carit e dei doni dello Spirito Santo! L'alternativa - cio la mancanza del lume della gloria, della carit e dei doni dello Spirito Santo -sarebbe l'inferno. L'inferno e il paradiso sono uno stato. O meglio sono due stati, dovuti al diverso e opposto riflesso che risulta nell'anima dell'uomo dalla medesima presenza di Dio. Tu vedi il vortice della vita divina e senti male: l'inferno. L'inferno si definisce come il totale distacco da Dio accompagnato dalla sofferenza per quel motivo. Ma tu sai che Dio non staccato da t: Dio presente ovun-que. Ci pu essere un luogo in cui Dio non sia presente? No! L'inferno lo stato in cui l'uomo completamente centrifugato dal vortice della vita divina. E estroflesso da Dio per il fatto che non coinvolto in Dio. Dio l presente, ma gli fa male. Non coinvolto in Dio e la presenza di Dio gli fa male, perch non possiede l'adattamento alla vita nel vortice. Non ha il lume della gloria, la carit e i doni dello Spirito Santo. Facciamo questo esempio. Noi abbiamo la capacit di percepire solo una certa gamma di suoni e a un certo grado di intensit, e a questo si associa anche il gusto nell'ascolto. Ecco, ora facciamo una prova per vedere chi ha l'orecchio capace di gustare l'intensit e l'armonia potente dei suoni musicali e chi, invece, non ce l'ha. 139

Prendo un potente impianto stereofonico e incomincio ad alzare gradualmente il volume, che so io... dei Carmina Burana di Cari Orff. Uno degli ascoltatori dice: "basta non ne posso pi!"; altri, invece, dicono: "che bello!". Ecco: uno soffre e altri si beano rispetto alla medesima realt. I beati, in paradiso, sono coinvolti nella stessa dinamica del vivere, del pensare, dell'amare di Dio. La presenza di Dio, ad alcuni fa bene, ad altri fa male. L'inferno va interpretato cos. Non nel senso che alcuni vengano messi in qualche caverna ai lavori forzati... o addirittura distrutti. Cos come tu non puoi pensare che il paradiso sia un annullarci in Dio. No, no, l'uomo rimane. La presenza di Dio, per qualcuno diventa dannazione, per altri beatitudine. Per quanto riguarda la pena del senso, si pu dire che, come nei beati la gloria dell'anima ridonda in tutto il corpo, cos la sofferenza dei dannati si ripercuote sul corpo. Non questione di luogo, ma di modo con cui viene fatta esperienza di Dio: positiva o negativa. A priori io posso stabilire che, essendo Dio ovunque, ci che cambia il modo della presenza con cui si manifesta Dio ovunque a tutti i soggetti. Che poi ci siano degli spazi, o ci possano essere dei luoghi riservati ai beati o ai dannati, questo non lo so, ne importante... Inferno e paradiso sono degli stati. Chiss quale sar lo stato di chi arriver alla fine di questa lettura... 140

LA CONTEMPLAZIONE
Tacere e stare nel segreto delle cose: nel silenzio della voce e con l'adorazione del pensiero si trova Dio. un modo di dire? No; metafisicamente cos: il mondo l'intelligibilit che Dio da di se stesso all'uomo. Nel mondo l'uomo trova il senso di Dio. Appartarsi, essere nascosti, in silenzio, a spiare la bellezza eterna che traluce da ogni poro della realt. La bellezza l'oggetto formale della contemplazione. La si coglie nel sacrificio degli occhi e dello sguardo. Dissolversi in pura presenza intenzionale, temendo di sciupare, con eccessivo chiacchiericcio meditativo, la purezza del bene che vuoi trasparire ad ogni costo. Lo sguardo. Mai, come in questa contemplazione, si pu avvertire quanto l'anima, con la sua infinit {anima fit quodammodo omnia}, si rifletta nello sguardo. Gli occhi sono lo specchio dell'anima: avere negli occhi l'eternit... ci si perde o ci si salva all'infinito. A contemplare con lo sguardo illuminato dalla fede nel Logos, si avverte quanto sia importante l'interprete per il creatore. E una legge che vale nell'arte, ma anche in quell'arte assoluta che l'opera di Dio. Si arriva a percepire che nella propria solitudine ha consistenza il tutto. Se non ci fossi io: nulla!

Completamente impossibile opporre la contemplazione del Ciclo alla contemplazione della Terra. Quanto pi tellurica, avvertita nel pulsare della carne e del sangue, tanto pi la contemplazione paradisiaca: perch la 141 creazione geme e soffre come nelle doglie del parto aspettando la manifestazione della gloria redentiva di Dio: II mondo il pensiero di Dio. Pensando il mondo, Dio pensa se stesso e pensando se stesso, Dio pensa il mondo. Noi siamo il pensiero di Dio. Io sono il pensiero di Dio. Il pensiero che Dio ha di me, il suo conoscermi, non qualcosa di diverso da me. Dio non mi conosce in una idea universale. Dio mi conosce in individuo. L'idea di Giuseppe, in Dio, non pu essere una rappresentazione universale o appunto ideale di me stesso. Altrimenti Dio sarebbe come una comune intelligenza creata che conosce in questo modo mediato. No, no, l'idea di Giuseppe in Dio a tal punto individua e precisissima nell'indicarmi, da coincidere perfettamente con me. L'idea di Giuseppe, in Dio, sono io. Io sono l'idea che Dio ha di me! E se le idee di Dio sono Dio stesso - perch Dio semplicissimo -, io sono Dio. Le idee di Dio non sono qualcosa in Dio, o meglio, il loro essere qualcosa coincide con quel qualcosa che l'essenza di Dio. Le idee di Dio sono il modo con il quale Dio pensa se stesso, la sua essenza. Non sono qualcosa di diverso dall'essenza di Dio, cio da Dio. Quindi, in Dio, io sono Dio: Giuseppe, in Dio, Dio. Ma si da forse qualcosa che sia fuori di Dio? C' un fuori di Dio? No! Nulla fuori di Dio. Dio l'Essere assoluto, rispetto al quale nulla cade al di fuori. Dio tutto: nulla gli manca; nulla gli estraneo; nulla gli esterno. In lui viviamo, ci muoviamo, esistiamo (At 17, 28). Perci, sia in Dio, sia fuori di Dio, io sono Dio. Dio non ha ne dentro ne fuori, se non per modo di dire. 142 Ma il modo di dire metafisico per eccellenza quello della prospettiva divina: vedere tutto dal punto di vista di Dio, cio in Dio. Per questo tutto in Dio, perch Dio tutto. Contemplare, vuoi dire appunto vedere tutto dal punto di vista di Dio. Vedere il tutto dal punto di vista del tutto.

Contemplare deriva da templum che, in latino, indica, tra l'altro, un luogo visibile da ogni parte o dal quale si pu vedere ogni parte (Varrone). Si tratta, perci, di un vedere assoluto: vedere il tutto dal punto di vista del tutto. Vedere l'essere dal punto di vista dell'essere; vedere l'Essere assoluto dal punto di vista dell'Essere assoluto. Che cosa non vede chi vede colui che vede tutto? (gregorio magno), Ma il nostro un vedere spettacolare. E un vedere coinvolgente, perch coinvolto. Gli stessi occhi spectant, guardano, osservano, considerano, valutano. Non si tratta di quella meraviglia che sempre frutto dell'ignoranza e che vuole oltrepassarsi nella ricerca. Si tratta piuttosto di uno stupore. Non dello stupore dello stupido perch ignora; ma dello stupore di chi instup'idto perch completamente coinvolto, avvolto da una presenza assoluta. Non si cerca altro. Lo spettacolo contemplativo fissa quasi attonito lo sguardo, immerso nella giustizia dell'essere: che , cos com', perch . S, nella contemplazione, ci che vale per il pensiero vale anche per il senso e ci che vale per il senso vale anche per il pensiero. Sensibilit e spiritualit non si contrastano nel contemplare. Anzi, sono a vicenda maestro e discepolo. La spiritualit permea la sensibilit spalancandola all'infinito. La sensibilit immerge la spiritualit nella concretezza dell'infinito. 143 Quanto pi uno tattilmente sensibile, tanto pi appare acuto intellettivamente (Cf. S. tommaso D'AQUINO, In De sensu et sensato, 1.9). Perci la contemplazione deve permeare il tatto e lasciarsi guidare dal tatto. E se questo vale per il tatto a maggior ragione deve valere per i sensi pi alti: la vista e l'udito. Soprattutto la vista: la sede dello sguardo sensibile. Occorre imparare a concentrarsi negli occhi. A volte mi pare di essere un demone che si affaccia alla finestra degli occhi, per scrutare divinamente il divino delle forme sensibili. Quelle forme che sono il punto in cui la vista converge con il tatto. Quelle forme che sono poi le species (da spedo che vuoi dire guardare), le visibilit concettuali dell'intelletto. Quelle forme che sono la bellezza - speciositas - dell'essere e che toccano lo stesso intelletto. La contemplazione debitrice dell'estetica. E l'estetica la sensibilit nobilitata dalla ridondanza dello spirito: la sensazione, la percezione coronata dall'aureola del divino. Si arriva a sentire la commozione negli occhi. Concentrando l'energia nello sguardo, si avverte la gioia negli occhi.

Che pienezza di attrazione attonita c' nello sguardo concentrato nell'esperienza del bello. la consumazione della vista, nel senso del suo compimento, della sua perfezione. Lo sguardo coinvolto con tutto per via del coinvolgimento del tutto nella forma, nella bellezza della giustizia dell'essere. E una specie di solitudine la situazione della contemplazione. Il coinvolgimento con il bello, o meglio con il tutto dal suo punto di vista pi alto, che la bellezza, ha un che di isolamento. L'esperienza del bello non utile, non ordinata ad altro: fine a se stessa. Per questo appare corne isolata e immotivata. compenso a se stessa. Anche il tatto, che tra tutti i sensi forse quello maggiormente finalizzato a scopi pratici, nell'esperienza estetica smette questa sua caratteristica per assumere quella del puro gusto. 144 II piacere e la gioia non possono avere altro motivo che se stessi: sono fini a se stessi. Questa solitudine della contemplazione sensitiva conseguenza della solitudine della contemplazione spirituale, o meglio dell'ambiente spirituale della contemplazione. Entrando immediatamente nell'atto del pensiero, si coglie una strana solitudine piena. C' un'atmosfera rarefatta: sembra la quintessenza aristotelica. L'etere, aither da aitho: ardo, splendo; oppure da aeitheo: corro sempre. Quod semper currit sempiterno tempore: il moto perpetuo. Etimologie incerte e forse un po' fantasiose, ma che danno certo l'idea di questo affascinante luogo metafisico che il pensiero. La vertigine del vuoto la stessa vertigine del pieno. Quando l'anima indicibilmente piena e ricca di pensiero, sembra indicibilmente vuota e assente. Proprio come un cuore malinconico, che non sappia trovare altra pace che la sua incomunicabile tristezza. Contemplare come immergersi nell'acqua profonda. E come restarvi in apnea il pi possibile. E come nuotare nello spirito, nel pensiero puro. I movimenti pi lenti sono i pi efficaci sott'acqua: sei pi veloce quanto meno ti agiti! L'udito permeato dal sibilo del silenzio. Apprezzi la tua corporeit: la senti tutta.. Sembra che la sensibilit partecipi dello spirito o che lo spirito si affacci alla sensibilit. E come volare, nell'aria. Sei avvolto mentre avvolgi. E una dolcezza sicura, senza l'euforia o l'entusiasmo incontrollato. Come quella delle Variazioni Goldberg diJ. S. Bach.

una musica... che non conosce ne inizio ne fine, una musica senza vero punto culminante e senza una vera risoluzione: una musica che come gli amanti di Baudelaire "mollement blancs sur l'aile / du tourbillon intelligent" (G. gould, Lala del turbine intelligente, Milano 1990, p. 63). 145 Cullarsi nell'aria come cullare ed essere cullati insieme. In fondo, proprio come l'esperienza dell'innamorato. 10 la descriverei cos.
Vorrei essere avvolgente come l'aria, per abbracciarti sempre, sema esser sentito. Vorrei esser trasparente come l'aria per guardarti sempre, senza esser visto. "Vorrei esser penetrante come Varia, per sussurrarti cose indicibili, senza esser udito. Vorrei esser forte come l'aria, per sorreggerti sempre, senza esserti di peso. Resto eternamente fisso, dimentico di tutto e di tutti, in un incantesimo del respiro, , perch sei tu che mi manchi come l'aria.

Contemplare un po' perdersi nel pensiero, per trovarsi con il tutto. perdersi nel pensiero, per trovarsi in Dio. Nel linguaggio del Giorno. 11 pensiero l'apparire trascendentale/l'orizzonte intrascen-dibile dell'apparire. L'apparire trascendentale, il pensiero, la coscienza assluta -la coscienza dell'autocoscienza - la condizione di possibilit dell'apparire-scomparire degli eterni - cio del divenire, secondo la verit dell'essere -. 146 E la condizione di possibilit dell'apparire dello stesso scomparire. E cio la condizione di possibilit dell'apparire dell'ap-parire-scomparire. Anche l'apparire che appare un eterno. Anche l'apparire dello scomparire un etemo. Anche l'apparire-scomparire un eterno. Ma se l'apparire che appare un eterno, deve apparire anche quando scompare. Si deve dare un apparire trascendentale nel quale appaiono eternamente gli eterni. L'apparire trascendentale, come condizione dell'apparire-scomparire degli eterni, la coscienza pi la coscienza della propria differenza rispetto alla coscienza nella quale appaiono eternamente gli eterni. Se l'apparire trascendentale o pensiero, nel quale si da l'apparire dell'apparire-scomparire, la coscienza o il pensiero astratto del tutto; l'apparire trascendentale o pensiero, nel quale appare eternamente l'apparire eterno degli eterni, il pensiero di Dio: la scienza di Dio. Il pensiero di Dio, la scienza di Dio va dunque ammessa come condizione dell'apparire eterno degli eterni: la coscienza o pensiero concreto del tutto. Il rapporto tra i due orizzonti trascendentali non pu che essere di identit: se fossero totalmente diversi, non sarebbero orizzonti trascendentali. Sarebbero infatti compresi in un orizzonte pi ampio, che solo sarebbe trascendentale, cio onnicomprensivo.

Per, il rapporto sempre anche una distinzione: un conto l'apparire dell'apparire-scomparire, la condizione di possibilit eterna dell'apparire dello scomparire; un conto l'apparire eterno dell'apparire e basta, l'apparire eterno degli eterni. Quindi, tra i due orizzonti trascendentali c' insieme identit e distinzione. Come c' identit e distinzione tra concreto e astratto. 147 Ci che cambia il modo di vedere le cose. L'astratto lo stesso concreto visto isolatamente dal tutto. Il pensiero che pensa il tutto, ma non vede tutto il pensiero astraente o astratto; il pensiero che pensa tutto e lo vede il pensiero concreto. Il pensiero astratto, o di visione astratta, il pensiero umano, o nel suo versante umano; il pensiero concreto il pensiero divino, o nel suo versante divino. Per scoprire l'identit occorre - per cos dire - un capovolgimento psichico. Occorre che l'ombra appaia come luce. E ci che fa la grazia santificante. La contemplazione soprannaturale, attraverso la manifestazione della grazia, coglie l'identit. Nella contemplazione della grazia, si coglie l'eternit del tutto. Degli stessi istanti. Come una fotografia, in cui l'istante immortalato, cos lo sguardo del pensiero attonito nell'apprezzamento del tutto nel tutto e in ogni singola sua parte. Ma non si tratta della percezione di un fotogramma dopo l'altro. L'eternit non fissismo. L'eterno non stasi. L'eternit la coscienza in istante del possesso di una vita assoluta. Ecco ci che appare nella percezione contemplativa. In ogni singolo istante presente il senso del tutto. Il concreto tale perch la presenza del tutto. E il flusso vitale universale presente in ogni istante. L'essenza di ogni singola creatura la stessa essenza di Dio: diafania di Dio. La percezione contemplativa, soprannaturale, di questa realt il senso pi radicale della comunione dei santi. Elisabetta della Trinit ha intitolato - in modo molto significativo, da questo punto di vista - un suo ritiro spirituale in questo modo: "Come si pu trovare il Cielo sulla Terra". 148 E la scoperta consiste nella vita mistica, cio nella contemplazione della grazia. La contemplazione mistica, dunque, non separa il Cielo dalla Terra, ma trova il Cielo in Terra.

Perci si deve poter dire che le stesse sofferenze non sono ostacolo a questa beatitudine mistica - come, del resto, prova la stessa vicenda dolorosa della giovane Elisabetta della Trinit. La mistica l'essenza della vita cristiana. E la vita cristiana non toglie la sofferenza. Anzi ne il segreto glorioso. Il mistero della passione-morte-risurrezione di Cristo, coronato dal mistero dell'Ascensione, esprime il senso pi profondo della divinizzazione della sofferenza. Il mistero dell'Ascensione di Cristo in Cielo, con le sue piaghe, dice che appartiene all'essenza del cristianesimo il vivere divinamente la sofferenza. Lo stesso Paradiso il vedere la Gloria delle proprie fatiche e sofferenze cieche. La contemplazione cristiana vedere le cose dal punto di vista di Dio. Ma, dal punto di vista di Dio, si vede solo Dio, perch Dio vede tutto vedendo se stesso. E, vedendo se stesso, non si vede assolutamente come "Dio". Dio l'Essere Assoluto. Non in relazione ad altro. Il vero e proprissimo nome di Dio Essere Assoluto, lo stesso Essere per s sussistente. Questo nome incomunicabile. Il nome "Dio", invece, non proprissimo dell'Essere Assoluto, perch comunicabile per analogia (Cf. S. tommaso D'AQUINO, Summa Theologiae, I, 13). Ed comunicabile perch indica una certa superiorit nell'ordine - e quindi in un qualsiasi ordine. L'ordine dice relazione, relazione, quindi il nome "Dio" esprime implicitamente una relazione di dipendenza a s. Dio, in quanto Essere Assoluto, irrelato e neppure pu avere una relazione di dipendenza da altro da s. 149 Questo vuoi dire che per Dio non c' "Dio". Dio senza "Dio". Vedere le cose dal punto di vista di Dio , dunque, vedere solo Dio senza vedere "Dio". E vedere Dio senza "Dio". In questo senso, si pu dire che la vita cristiana, la vita di grazia, sia vivere con Dio senza "Dio". O, secondo l'espressione bonhoerreriana - debitamente intesa -: Con e al cospetto di Dio, noi viviamo senza Dio (Lettera del 16.7.1944).

Raptus, ubi tempus aeternum nominatw, ibimens, obscure nata, aeternatur. Tactus purus, olini lapsus, ob rapinam agii captus. Sistit umbra et mundanum, sed ubique lux et grafia. Nt'xus angelo, tango arcanum.

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