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I due volti di Enrico Berlinguer

Nello Ajello la repubblica 24 marzo 2006 Due ritratti di Enrico Berlinguer appaiono in queste settimane nelle librerie, a conferma del persistente interesse che suscita la figura del terz'ultimo - e senz'altro ultimo quanto a spessore storico e richiamo mitologico - segretario del disciolto Pci. A parte questo riconoscimento, comune ai due libri, ci che colpisce la diversa fisionomia del biografato che ne emerge. Francesco Barbagallo, con il suo Enrico Berlinguer (Carocci, pagg. 560, euro 18,50) compone una vera e propria vita, sia pure volontariamente amputata da quegli squarci di costume intimo, familiare e ambientale che distinsero nel 1989 l'ormai classico volume dedicato al leader comunista dal suo conterraneo sardo, Giuseppe Fiori. (Il libro di Barbagallo viene presentato oggi a Roma alle 16,30, nella sala della Protomoteca in Campidoglio, da Antonio Elorza, Stephen Gundle, Marc Lazar, Gianpasquale Santomassimo e Gert Sorensen. Interviene Walter Veltroni, modera Giuseppe Vacca). Con Berlinguer e la fine del comunismo, che esce da Einaudi (pagg. 266, euro 24), un altro storico, Silvio Pons, disegna un profilo stringato e martellante. Un testo tutto politico, irto di documenti e confinante, a tratti, con il genere pamphlet. Assai dense e impegnative, sia pure in maniera dissonante, risultano sia l'una e che l'altra lettura del personaggio. Barbagallo appare pi sensibile al fascino sia personale che storico, del biografato, mostrandosi unanime con la scelta di vita che lo colloc - prima come vicesegretario accanto a Luigi Longo, poi con pienezza d'incarico a partire dal 1972 alla guida di un partito difficile in anni tempestosi. continuo, nel libro, il richiamo alle qualit personali di Berlinguer. Si insiste sulle sue riserve di coraggio e di pervicacia, di sincerit, moderazione e paziente fermezza. Si sottolineano il dono, che egli aveva, d'introdurre nell'esercizio della politica la sincerit, l'onest, la lealt, la chiarezza dei sentimenti e dei propositi e la sua capacit di attrazione e persuasione. Si pone l'accento sulla forte tempra morale e sulle radicate convinzioni che lo sostenevano nelle situazioni pi dure, facendone un capo naturale. Si attribuisce alle naturali doti di discrezione, riservatezza, precisione dell'allor giovane intellettuale borghese quella stima di cui cominci a godere presso Togliatti e che sarebbe culminata - insieme a una lusinghiera valutazione dell'esperienza da lui maturata all'interno del comunismo internazionale in quanto responsabile della federazione giovanile del Pci, e ad altre considerazioni interne di partito nella scelta, da parte di Luigi Longo, proprio di Berlinguer quale suo successore. Questa predisposizione ammirativa non elide la seriet della ricerca di Barbagallo. Egli ricostruisce la carriera d'un italiano dedito alla politica sullo sfondo della seconda met d'un secolo assai travagliato. Il racconto concerne eventi maestosi, giocati sul palcoscenico internazionale e, insieme, quegli infiniti episodi che distinsero il sorgere e il successivo inaridirsi, qui da noi, della politica di centrosinistra; fino al compromesso storico. Fatale parola, quest'ultima, e formula cui il segretario comunista legher per sempre la propria sorte. Una navigazione impervia, dunque, sia nelle acque politiche territoriali che nel mare non meno agitato del socialismo reale. La pretesa, non da poco, che Berlinguer avanzava di fronte a quell'universo cos poco disposto a transigere sui propri rocciosi principi era in sostanza la prospettiva italiana dell'innesto di quel mondo con la libert e la democrazia.

Senonch, proprio il comunismo sommato alla libert costituiva - secondo una recisa opinione espressa nel 1975 da Helmuth Sonnenfeld, braccio destro di Henry Kissinger - un'ipotesi che spaventa Washington e Mosca. Ipotesi o utopia? Ecco dunque il dilemma che sorvola l'appassionata disamina di Barbagallo. A un certo punto, nell'Italia colpita dal delitto Moro, si ha l'impressione che, a Botteghe Oscure, il partito e il suo segretario si confondano in un' essenza dolente votata al sacrificio. Il Pci, hascritto benissimo lo storico inglese David Sassoon, e Barbagallo lo cita consentendo, era diventato il partito della legge e dell'ordine, il bastione della legalit democratica, lo scudo della Costituzione e rest il patetico difensore dello sbrindellato Stato italiano dal cui governo era sempre stato escluso. Questo appare in realt il vero epilogo della vicenda qui raccontata; prima e al di l degli ultimi anni di Berlinguer e della sua scomparsa fisica, cui nelle ultime righe del libro si dedicano parole commosse. Per la seconda volta in pochi anni, scrive Barbagallo riferendosi a quell 11 giugno del 1984, la storia cambia per la morte di un uomo: Moro prima, Berlinguer poi. Non possiamo sapere come sarebbe andata la storia d'Italia se fossero rimasti vivi, sappiamo come andata dopo la loro morte. Non un consuntivo n un giudizio. piuttosto un'elegia. Non prescinde affatto dal giudizio, invece, Silvio Pons effigiando Berlinguer nel contesto della fine del comunismo. La sua una lunga, documentata, martellante requisitoria, con due imputati in competizione dialettica: da una parte il segretario del Pci con alle spalle una forza politica che viene da lontano e non di facile maneggio; dall'altra, l'Urss con il sio inflessibile patrimonio ideologico e le sue specifiche responsabilit imperiali. Enunciato cos, il duello risulter impari fino alla impraticabilit. E tuttavia, l'Urss che l'autore descrive in questa contingenza prendendo in prestito una definizione assai calzante dello storico Adam B. Ulam, non pi, agli occhi dei comunisti occidentali fra i tardi anni Sessanta e i primi Ottanta, un genitore venerabile ed esigente, ma un vecchio parente piuttosto screditato, certo ancora ricco e influente, e perci da coltivare, con cui non pi necessario essere strettamente associati e invariabilmente obbedienti. Si sa peraltro che la sclerosi, oltre a indebolire chi ne soffre, ne ossifica i difetti e ne cronicizza le ossessioni. Dotato di tutte le sue indubbie qualit, il segretario del Pci accetta, anzi promuove la sfida. La quale, per la consistenza numerica e l'eccellenza politico-culturale del Pci, assume a livello europeo il risalto di un match di cartello. Il lavoro di Pons centrato in massima parte sul versante della politica estera, ed esamina con minuzia i rapporti fra i contendenti: cio, per dirlo in sintesi, la nutritissima corrispondenza intercorsa fra il Cremlino e le Botteghe Oscure, i frequenti convegni fra dirigenti delle due parti, gli sdegni reciproci, i dissidi e i riavvicinamenti, le mutue recriminazioni e proteste, gli scatti d'indipendenza e i tentativi di intimidazione collocabili in un arco che va dall'invasione militare di Praga ad opera del Patto di Varsavia all'intervento sovietico in Afghanistan. Il tutto sullo sfondo dei travagli domestici del Pci, primi fra tutti la nascita e la morte del compromesso storico; e, sull'altro fronte, il moltiplicarsi dei sintomi di senescenza di un apparato ideologico cui corrisponde un vacillante assetto di potere pluricontinentale. L'autore non aspetta la conclusione del plot per tirare le sue somme: elenca pagina dopo pagina le smagliature sia strategiche che tattiche riscontrabili in una linea d'azione i cui esiti gli paiono gravemente insufficienti se paragonati allo sforzo che costato l'avviarla e alle speranze che suscita. come se Berlinguer - e il suo partito, a volte inorgoglito per l'audace spettacolo cui partecipa, altre volte riluttante - lottasse con una mano legata dietro

la schiena. Troppo lunga stata, di fatto, la soggezione patita nei rapporti con il partito-guida, troppo persistenti sono le remore, troppo radicato il retaggio di mitologie da cui liberarsi. Troppo arduo e quasi acrobatico, si pu qui aggiungere, il gioco dei sinonimi inteso a manifestare dissenso. Nel corso della coazione dell'Urss a ripetere gli stessi atti repressivi in ogni zona del proprio dominio, il lessico del Pci ha oscillato, a memoria di chi in quegli anni c'era, dalla solidariet con l'armata rossa nell'Ungheria del 1956 al grave dissenso espresso per la Cecoslovacchia nel 1968, dalla forte preoccupazione per i casi di Kabul nel 1979 allanetta riprovazione espressa nel 1981 per il colpo di Stato del generale Jaruzelski nella Varsavia normalizzata: gli uomini di sinistra senza aggettivi e gli stessi esponenti dell'anticomunismo democratico (ci sono stati anche loro, il caso di osservare en passant, di fronte a una certa inclinazione manichea oggi in voga) assistevano con impazienza a queste che non erano soltanto contorsioni linguistiche ma difficolt effettive nello sciogliere il rebus: se sia possibile coniugare libert e socialismo reale. Vanto della propria indipendenza, rivendicazione della diversit del Pci, periodici strappi ma, insieme, una propensione ad esorcizzare in se stessi l'eresia, come impongono le regole pi datate della liturgia comunista. Eurocomunismo, ma anatema contro la socialdemocrazia, che della sinistra europea quasi un sinomimo. Avversione alla politica dei blocchi e rituale antiamericanismo. Le antinomie della politica incarnata dal terz'ultimo segretario del Pci vengono segnalate da Silvio Pons con insistenza, e la sua conclusione contiene anche una diagnosi per il futuro: L'eredit di Berlinguer fu un'identit debole, la premessa di un post-comunismo che anteponeva la propria visione etica e universalistica alle reali sfide della politica. Che l'autore di questo aspro volume sia contemporaneamente direttore dell'Istituto Gramsci d, in fondo, il senso del passare del tempo e dello sfiorire dei miti.

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