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Vegetariani e filosofi nel mondo antico


di Giuseppina Santese

1. Vita pubblica, sacrificio cruento e scelta vegetariana Il vegetarianismo una scelta complessa che implica una vera e propria Weltanschaung, dal momento che non mai stato percepito come la semplice scelta di un regime alimentare, ma anche e soprattutto come un problema di ordine teorico e morale. Le ragioni della scelta vegetariana - se non sono puramente mediche - appaiono infatti legate a unopzione di carattere pi generale, che mette in discussione, oltre al nostro modo di mangiare, il modo di vivere, di pensare, di concepire la natura e il rapporto con gli altri esseri viventi. E anche il nostro modo di vivere nella comunit civile, perch comporta la capacit di ottemperare alle regole e agli usi propri della societ di cui facciamo parte, o la capacit di disattenderli, e quindi di disobbedire a regole condivise dalla quasi totalit dei nostri simili, su un tema di importanza primaria per luomo quale quello dellalimentazione. I Greci discussero ampiamente di vegetarianismo e del tema ad esso connesso del rapporto uomo-animale. La riflessione sul tema fu oggetto di un dibattito ampio e articolato che attravers tutte le principali scuole filosofiche del mondo antico; e per molti dotti, sapienti, filosofi, sette religiose, gruppi sociali - lopzione vegetariana fu anche pratica di vita. La scelta di astenersi dalle carni animali fu giustificata in molti modi e pu quindi essere considerata sotto molteplici aspetti: come espressione di saggezza, o via di accesso alla saggezza; come pratica ascetica; come pratica conforme a schemi di carattere teorico-concettuale o religioso. Possiamo considerarla anche una forma di disobbedienza? Ritengo di s; e tale conclusione mi appare tanto pi interessante in quanto, nel mondo antico, il tema della disobbedienza pressoch assente; n esiste un termine, nella lingua ellenica, che ne esprima con esattezza il concetto. Nei rari casi letterari e filosofici in cui esso compare, la disobbedienza si configura non tanto come rifiuto delle regole in s quanto piuttosto come trasgressione rispetto a quel quadro di leggi interne alla polis in ottemperanza ad altre, avvertite come preferibili. il caso celeberrimo dellAntigone sofoclea; e di Socrate, che in nome di norme etiche ritenute pi alte e

preferibili, scelse deliberatamente la morte, la forma suprema di disobbedienza che sia data a un essere umano. A partire dallOrfismo e dal Pitagorismo antico, fino al trionfo definitivo del culto non cruento dei cristiani nel
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secolo d. C., vale a dire per lintero arco del

pensiero pagano, il tema fu oggetto di discussione; lampiezza e la complessit del dibattito spiegano la vastissima fioritura di letteratura 1 dedicata al problema, che in buona misura giunta fino a noi2. Invece conosciamo gli argomenti antivegetariani solo indirettamente e in modo frammentario: furono ostili alla pratica e alla dottrina, per ragioni diverse, gli stoici, gli epicurei, alcuni peripatetici; si pu dire, in generale, che gli argomenti ostili al vegetarianismo erano portati tutti in nome del razionalismo. Ma il fatto pi rilevante lesistenza stessa dei trattati antivegetariani; ci sta infatti a significare che il problema era avvertito da molti come importante, forte e minaccioso, tanto da suscitare dispute di ordine teorico, morale e religioso tra le scuole. Vedremo tra breve come la pratica e la dottrina vegetariana fossero legate alla religiosit orfica e pitagorica, cui peraltro le associa la tradizione culturale pi nota; e come, in questo quadro, esse si prospettino in conflitto con le leggi della polis, al cui interno latto religioso-politico per eccellenza costituito dal sacrificio cruento e dal consumo delle carni immolate. Ma vedremo altres come, parallelamente, si svilupp, in Grecia, un altro importante filone di pensiero che discusse di statuto ontologico dei viventi, di rapporti giuridici, di vegetarianismo, in termini non religiosi ma razionalistici; al cui interno, partendo dallaffermazione del valore assoluto della vita in s, luccisione dellanimale e il cibarsi della sua carne sono visti, sostanzialmente, come violazione delle leggi della Natura, come un atto par fusin. luogo comune associare il vegetarianismo antico alle pratiche cultuali e di purificazione della polis, ai rituali sacri, ai sacrifici, agli altari. E in effetti, nella citt greca, religione, culto, prassi sacrificale e vita pubblica erano legate cos strettamente

importante saper distinguere, nei testi antichi, quelli concernenti un vero vegetarianismo e quelli che, semplicemente, consigliano unalimentazione che eviti i pasti troppo pesanti o troppo saporiti, tra i quali la carne occupa un posto centrale. Per esempio, il regime proposto da Platone per i cittadini e i guardiani della citt (in Rep. II 372 c-d; III 404 a-c) non ha nulla di realmente vegetariano. Ci che distingue la frugalit nel cibo - raccomandata da tutti i filosofi greci e largamente praticata (soprattutto dai poveri, ma loro malgrado!) - dal vegetarianismo che la prima un regime alimentare abituale ma ridotto, mentre il secondo caratterizza un modo di vita che si oppone a quello condiviso dalla maggioranza degli uomini. 2 Basti ricordare il De pietate di Teofrasto, il De animalibus di Filone, le opere zoologiche di Plutarco, il De Abstinentia di Porfirio, per citare solo le opere pi importanti.

che luna non poteva decadere senza danneggiare laltra 3. Il sacrificio, e in particolare il sacrificio cruento4, era latto religioso-politico per eccellenza della polis, in quanto scandiva le occasioni pi solenni della vita pubblica: esso poteva essere offerto dalla citt, dal capo di una spedizione militare5, da un privato. Era anche latto che segnava la fondazione stessa della citt, la cui nascita era sancita dal sacrificio cruento di un animale o di un essere umano. Sotto questo aspetto il caso esemplare quello del sacrificio cruento di Remo ad opera di Romolo: in luogo del porco sancito Remo, e questa sanctio d luogo alla nascita della citt e alle sue leggi. Il sacrificio era sentito come il modo pi efficace di interessare la divinit di cui si riconosceva il potere sulluomo e sullo Stato - ai casi umani, e come unazione (sacra facere) volta a stabilire col dio una relazione speciale. Era inoltre una pratica fortemente simbolica e rappresentativa, in quanto finalizzata a conservare e intensificare il legame sacrale con i propri antenati, dei quali si ripetevano gesti e rituali, conformemente alla tradizione. In questo quadro, evidente come il rifiuto del sacrificio cruento comportasse, per il vegetariano, il porsi al di fuori della polis, al di fuori della comunit civile, la cui coesione si affermava, appunto, intorno agli altari. Il vegetariano cerc i suoi simili in comunit esterne al sistema politico sociale della citt6: il caso degli orfici e soprattutto dei pitagorici. 2. Tab alimentari e trasmigrazione delle anime significativo che la prima apparizione della pratica vegetariana in Grecia si situi, con buone probabilit, al tempo dei grandi saggi taumaturghi, Orfeo, Abaris, Aristea, Epimenide e altri sapienti ancora, che Dodds 7 chiama gli sciamani. Essa assente dalla vita quotidiana, dalla mitologia, dal culto ufficiale dei Greci primitivi, i quali, anzi,

Sviluppa questo aspetto E. R. Dodds, The Greeks and the irrational, University of California, Berkeley & Los Angeles 1951 ( trad. it. I Greci e lirrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959), pp. 287 ss. 4 I primi sacrifici che luomo primitivo offr agli di non furono cruenti. Teofrasto (in Porph. De abst. II 5,17,2.) analizza lo sviluppo e il variare della prassi sacrificale nel mondo antico a partire dalle offerte dei popoli pi arcaici che consacravano semplici erbe e radici fino al comparire dei sacrifici cruenti, introdotti nei costumi degli uomini a causa delle carestie e delle guerre. 5 Le libagioni (spondai) di vino misto ad acqua erano usate specialmente in occasione dei trattati e delle alleanze sanciti da giuramento, per cui il termine ha finito per significare tregua.
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stata avanzata lipotesi che questo potrebbe essere uno dei significati da attribuirsi ai numerosi viaggi di Pitagora. 7 Dodds, The Greeks and the irrational, cit., cap. V.
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sembra che manifestassero curiosit per quei popoli selvaggi che non si cibavano di carne e per quelli civilizzati che la proibivano. Gli sciamani godono di particolari poteri psichici: lanima, che distinta dal corpo, ha il potere di distaccarsi da esso, di abbandonarlo, di reincarnarsi, e finanche di imporgli la propria legge: pu obbligarlo, infatti, a vivere senza cibo per periodi anche molto lunghi. Il tema orfico dellascesi, del distacco e del dominio dellanima sul corpo diventer importante, tramite il platonismo, nella cultura greca, soprattutto nella tarda antichit; e il vegetarianismo sar considerato un mezzo utile allerosione del legame che unisce lanima al corpo e allindebolimento e alla mortificazione del corpo stesso. Il tema dellastinenza dalla carne animale viene abitualmente associato, nel mondo antico, soprattutto a Pitagora, il vegetariano pi celebre dellantichit, e alla sua teoria8 della trasmigrazione delle anime dal corpo umano a quello animale. Dottrina che fa delluccisione e del consumo di carne animale un atto efferato e criminale e che sembra essere il fondamento pitagoreo del dovere religioso di astenersi dai sacrifici cruenti e dal consumo delle carni immolate. 9 noto come uno dei tratti distintivi del pitagorismo antico sia quello di obbedire a una stretta regolamentazione del nutrimento; Pitagora formul in proposito una precettistica ricca, sempre finalizzata al reperimento di regole religiose, cultuali e morali. Fin dallantichit molti autori si sono affannati a spiegare le ragioni dei numerosi tab alimentari10, ma le fonti relative a Pitagora sono quasi tutte tardive, non univoche, spesso contraddittorie; n pervengono a dare dellorigine e della natura del fenomeno una spiegazione soddisfacente. A proposito del tema specifico dellalimentazione carnea, infatti, alcuni autori parlano di astensione totale dalla carne. Allinterno del divieto, che generalizzato,
Che Pitagora abbia sostenuto la dottrina della metensomatosi sembra essere uno dei dati pi sicuri del Pitagorismo antico. Per le fonti, cfr. Xenophan. 2 B 7 DK (Diog. Laert. VIII 36); Emped. 31 B 115-117, 127, 136, 137, 140, 146, 147 DK; Herod. II 81 e 123; Pind. Ol. II 55; ecc. Per una sintesi della storia degli studi sul Pitagorismo a partire dalla interpretazione di E. Zeller, si rinvia a W. Burkert, Weisheit und Wissenschaft: Studien zu Pythagoras, Philolaos und Platon, Nrnberg 1962 (trad. ingl., Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, Harvar University Press, Cambridge-Mass. 1972, pp. 1-4, da cui si cita). 9 Diogene Laerzio (cfr. V. Phyt., VIII 14) riferisce che, secondo Pitagora, nel corpo di un animale pu trasmigrare lanima di un uomo, di un amico, di un parente, cosicch mangiarne le carni potrebbe costituire un atto cannibalico, di antropofagia. In proposito cfr. D. Tsekourakis, Pythagoreanism or Platonism and ancient medicine? The reasons for vegetarianism in Plutarchs Moralia in Aufstieg u. Nieder. d. rmisch. Welt, II, 36, 1, Walter de Gruyter, Berlin -New-York 1987, p. 379. 10 Solo Giamblico (cfr. V. Pyth. 86) prescriveva di prenderle alla lettera. Tra i moderni hanno tentato di comprenderne il significato D. Sabbatucci, Saggio sul misticismo greco, Edizioni dellAteneo, Roma 1991; M. Detienne, Les jardins dAdonis. La Mythologie des aromates en Grce, Gallimard, Paris 1972; Burkert, Weisheit und Wissenschaft, cit. pp. 166 ss. e altri. Concorda con Giamblico L. Robin, La pense hellnique des origines Epicure, Paris 1942, p. 35, che ritiene non vi sia nulla da spiegare.
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troviamo specificazioni significative: in taluni passi c la proibizione di uccidere e di mangiare gli animali11, mentre in altri essa si limita al solo mangiare (esthiein) gli esseri viventi12. La prescrizione pi frequente quella di non mangiare e di non sacrificare gli animali13; in alcuni casi, invece, proibito formalmente solo il sacrificio cruento. Simili comportamenti sono definiti, di volta in volta, empi, sgraditi agli di, di ostacolo alla purificazione dell'anima e alla vigilanza del pensiero. Un altro gruppo di testimonianze parla invece di un divieto parziale14, che investe solo alcuni animali o alcune parti di essi. Aristosseno - che si vantava di essere uno dei filosofi pi informati sulla questione - in un passo tramandatoci da Giamblico, afferma che i pitagorici mangiavano pane, orzo, verdure e [...] la carne di quegli animali che era lecito sacrificare (thusima) []15; questa tradizione era peraltro ammessa correntemente, con la riserva per che si doveva sacrificare moderatamente, solo in casi eccezionali16. Tra gli animali vietati cerano, secondo Aristosseno e Giamblico, il bue aratore e lariete;17 di rispetto assoluto per il bue laborioso, collaboratore dell'uomo, e per il montone che lo rifornisce di lana e latte riferiscono anche altri18; mentre, ancora secondo Aristosseno, Pitagora avrebbe permesso di cibarsi di capretti e maialini da latte.19 Parecchie leggende ateniesi ed eleusine confermano
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Troviamo il divieto di uccidere e mangiare gli animali in Sext. Emp. Math. IX, 128, Jambl. V. Pyth. 168 e in Diog. Laert. VIII 13. Eudosso (fr. 36 Gisinger=325 Lasserre= Porph. V.Pyth. 7) afferma che Pitagora avrebbe addirittura evitato di entrare in contatto con cuochi e cacciatori perch assassini. 12 Cfr. Jambl., ivi, 68. 13 Si trova in Jambl., ivi, 107-9, 150; Porph. De abst. II 28. 2; Diog. Laert. VIII 20-22; ecc. 14 questa, forse, la tradizione pi antica e genuina, che ci tramandata da Diogene Laerzio, biografo e dossografo vissuto nel III sec. d. C., ma che risale ad Aristosseno, peripatetico del III sec. a. C. Alcuni critici sembrano ravvisare nell'insieme delle testimonianze di Aristosseno un tentativo di razionalizzazione della dottrina e del rituale pitagorico: per esempio I. Lvy, Recherches sur les sources de la vie de Pythagore, Paris 1926, pp. 44 ss., afferma che Aristosseno dette di Pitagora l'immagine di un saggio estraneo a ogni soprannaturale e a ogni superstizione. Cfr. anche Tsekourakis, Pythagoreanism or Platonism and ancient medicine?, cit., p. 377; e altri. Aristosseno avrebbe operato uno sforzo di critica razionale al fine di scagionare i pitagorici suoi contemporanei dall'accusa di essere vegetariani e superstiziosi. 15 Cfr. Aristox. fr 28 Wehrli (=Athen. X 418F); Jambl., ivi, 98; Plutarco conferma la tolleranza per le carni atte al sacrificio in Quaest. Conv. VIII, 729c ss.; 728e. 16 Si vedano in proposito Porph. De abst. I 26. 3; II 28. 2; V. Pyth. 34, 36; Athen. VII 308C; Jambl., ivi, 98, 109, 150; Diog. Laert. VIII, 13; 34. 17 Cfr. Aristox. fr.29 a Wehrli (= Diog. Laert. VIII 20). Secondo Giamblico (ivi, 150) Pitagora raccomandava agli acusmatici di celebrare moderatamente sacrifici, senza mai sacrificare il bue. 18 . Cfr. in proposito Ovid. Metam. XV, vv. 115-26. 19 Cfr. fr. 25 Wehrli (=Aul. Gell., ivi, IV 11. 6). merito di P. Boyanc, Sur la vie pythagoricienne, Revue des tudes Grecques, LII, 1939, pp. 36-50, in part. p. 43, aver mostrato come questa distinzione tra animali idonei o non idonei al sacrificio non sia casuale ma rifletta una tradizione mitica trasmessaci da Ovidio in Metam., XV, vv. 96 ss. e accolta dai Pitagorici, secondo cui, nell'et dell'oro, il maialino e il capretto furono i primi animali a essere puniti e immolati agli dei, il primo perch devastava i campi

queste tradizioni. Anche Aristotele20 - che fonte attendibile - parla di astensione parziale dalla carne animale, in particolare dal gallo bianco e da alcuni pesci, perch sacri. Una serie disparata di divieti riguarda i pesci e un ruolo speciale nell'ambito del divieto parziale rivestono l'utero e il cuore 21. Questa notizia ci data da Aristotele ed interessante per il suo sapore arcaico. Se ne discosta leggermente Giamblico che parla, invece, di utero e cervello [] parti preposte alla guida del corpo e, per cos dire, fondamenta e sedi del pensiero e della vita22. Vi sono infine persistenti tradizioni che sembrano ignorare il vegetarianismo di Pitagora e riferiscono del famoso sacrificio di un bue per celebrare una scoperta matematica; o che egli fu il primo a sopprimere il vecchio regime vegetariano degli atleti nutrendoli di carne per esaltarne il vigore [...] mentre prima erano tenuti a fichi secchi [...] e frumento []. 23 Siamo in presenza, come evidente, di una rete molto complessa di temi allegorici, simbolici, scaramantici, di cui difficile dare spiegazioni attendibili. chiaro altres che non c' dato della tradizione che non sia contraddetto da altre notizie; che nel mondo antico [] su tutti questi problemi vi un vero labirinto di risposte contraddittorie [], perch non esisteva un sistema di dottrine garantito da un'autorit superiore[...]24 e ciascun autore dipendeva, probabilmente, da una diversa tradizione orale. Tale situazione ha dato luogo a un processo continuo di reinterpretazione e a innumerevoli tentativi di spiegazione degli ainigmata, il che mostra anche il grande potere attivo25 della precettistica pitagorica. Le regole e le proibizioni riguardanti la vita quotidiana e agreste, il cibo, le purificazioni, i sacrifici, furono temi continuamente discussi tra gli antichi, nella loro valenza fortemente simbolica legata ai culti, alla religiosit e ai misteri. Tuttavia, nonostante levidente carattere antinomico della maggior parte delle testimonianze, lecito cogliervi alcuni aspetti generali che emergono, a mio parere, con sufficiente chiarezza: le prescrizioni investono sempre il problema del sacrificio, che
seminati cari a Cerere, il secondo perch aveva danneggiato i germogli delle viti poste sotto la protezione di Bacco. La proibizione sembra dunque essere connessa al culto agreste e pastorale delle due divinit, e alle necessit della vita dei campi. Cfr. anche M. Detienne, Les jardins dAdonis, cit, p. 101. 20 Fr.195 Rose 2 (=Diog. Laert.VIII 34). Al contrario, pongono il gallo tra gli animali che permesso sacrificare sia Diogene Laerzio (VIII 20) che Giamblico (ivi, 150). La prescrizione associata al carattere sacro dell'animale anche in Eliano, (Var. Hist. IV 17) e ancora in Giamblico (ivi, 84). 21 Cfr. Arist. fr.194 Rose 3 (=Diog. Laert. VIII 17- 19). Cfr. anche Aelian. Var. Hist. IV 17. 22 Aelian., ivi, 109. 23 Cfr. Diog. Laert., ivi, e Porph. De abst. I 26.2. 24 Cfr. Burkert, Weisheit und Wissenschaft, cit., p. 135, 25 Lespressione di Burkert, ibid.

deve essere incruento26; il tema spesso affiancato al motivo della liberazione dellanima dalle passioni, della non-contaminazione, del rispetto degli altari, del rapporto con la divinit. Il secondo aspetto emergente il carattere antropocentrico della dottrina pitagorica della metensomatosi, dove appare preminente il problema della purificazione e della salvaguardia dellanima delluomo attraverso il passaggio in molteplici forme corporee. Il rispetto per lanimale non basato tanto su considerazioni specifiche per la vita dellanimale in s, quanto piuttosto sul desiderio di salvaguardare lanima delluomo che si trasferita in esso. Infine, lampia gamma di notizie svela, a mio parere, un altro dato estremamente significativo: lesigenza incessante di ridefinizione delle prescrizioni, il tentativo continuo di correggerle, limitarle, stemperarne il rigore, adattarle alle esigenze cultuali della comunit, stanno a indicare, con ogni probabilit, che la dottrina di Pitagora mal si conciliava con quello che era latto politico-religioso per eccellenza della vita pubblica greca, il sacrificio cruento. 3. Vegetarianismo ed emarginazione sociale Che la pratica vegetariana abbia posto, di fatto, i suoi seguaci fuori della polis e che si sia trasformata in un atto di aperto dissenso e di disobbedienza alle norme della citt esplicitamente attestato solo per le sette pitagoriche presenti in Atene dal
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al I sec. a.

C. In questa fase di chiusura della scuola di Pitagora, inattiva, appunto, per circa tre secoli, continuarono a esistere, a quanto ne sappiamo, solo le comunit religiose 27: gli adepti divennero un gruppo sociale marginale, osteggiato e deriso, noto a noi solo perch oggetto di scherno da parte degli autori della Commedia di mezzo. Grazie ad essi apprendiamo che le congregazioni superstiti avevano, appunto, carattere religioso, che i seguaci erano di livello sociale assai basso, che conducevano unesistenza ben misera ed erano derisi e disprezzati dai concittadini. Veniva loro rimproverato tutto ci che li rendeva diversi dagli altri uomini del tempo, in primo luogo il vegetarianismo: Coloro che conducono unesistenza pitagorica si dice che non mangino carne n nulla che abbia vita (empsuchon), assolutamente []28; in secondo luogo venivano derisi perch
Se ne discosta solo Diog. Laert. VIII, 13. Il Pitagorismo antico fu, insieme, scuola filosofico-scientifica e congregazione religiosa. Il duplice aspetto confermato, tra laltro, dalla distinzione tra acusmatici e matematici (in Jambl., V. Pyth. c. 81); Aristosseno(in Diog. Laert. VIII, 46) riferisce di pitagorici che si interrogavano sulla sparizione della scuola filosofica. 28 Alessi, Tarentini, Meineke III, p. 483; laffermazione che nessuno mangia qualcosa che ha vita si trova anche in Alessi, Attico, Meineke III, p. 396; Alcmeone, Mnesimaco, Meineke III, p. 576; Antifane, La
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astemi: [] e soli tra tutti gli uomini non bevono vino [] 29e perch non offrivano sacrifici cruenti: [] il menu sar composto di fichi secchi, di feccia di olive e di formaggio. Ecco ci che i pitagorici hanno labitudine di offrire in sacrificio. Per Zeus! Mio caro, la pi splendida vittima che si possa trovare!30. Venivano inoltre disprezzati per la semplicit e la frugalit della vita, le quali altro non erano, agli occhi dei comici, che un mezzo per dissimulare una povert troppo reale: per gli di, dobbiamo pensare che i pitagorici di una volta erano volontariamente coperti di sporcizia, e che volontariamente e con gioia si siano messi a indossare i loro grossolani mantelli da contadini? Secondo me non vero, ma fu per necessit, perch non avevano un soldo, che essi hanno scoperto questo meraviglioso pretesto della frugalit, e che hanno fissato regole molto utili per i poveri. Servi loro pesci e carni, io voglio essere impiccato dieci volte se essi non ne mangiano fino a rosicchiarsi le dita! 31. Si ironizzava, infine, sul loro modo di vestire, sulla regola del silenzio, la piet religiosa. Un brano di Aristofonte sintetizza bene questi tratti mostrando lo scherno, lantipatia e il disprezzo di cui erano oggetto i pitagorici del tempo:
Per il fatto di vivere in povert e di non mangiare assolutamente nulla, tu crederai di vedere Titimallo e Filippide; per il fatto di bere acqua una rana, per il fatto di mangiare timo e verdure un bruco, per il fatto che non lava la sua sporcizia e passa linverno allaria aperta un merlo, per il fatto che sopporta il calore soffocante durante lestate e chiacchiera in pieno mezzogiorno una cicala, per il fatto che non si serve dellolio e non si cura della sabbia fine con cui si strofinano gli atleti e che passeggia il mattino a piedi nudi una gru; perch non dorme nemmeno un momento un pipistrello 32.

Solo nel I sec. a. C. i pitagorici attirarono di nuovo linteresse e il rispetto delle classi colte, mentre il popolo continu ad essere loro francamente ostile: ancora Seneca, nel primo secolo d. C., parler dei pitagorici come della setta detestata dalla folla, soprattutto per il vegetarianismo. 4. La visione non antropocentrica del mondo
bisaccia, fr. 3 Meineke III, p. 75; e in Diog. Laert. VIII, 44. 29 Alessi, ibid. 30 Alessi, La Pitagorizzante, Meineke III, p. 474. 31 Aristofonte, Pitagorica, Meineke III, p. 362. 32 Aristofonte, ibid., Meineke III, p. 360. Le affinit col modo di vita dei cinici sono palesi; stata avanzata lipotesi che i pitagorici appartenenti allindirizzo ascetico, affascinati dallatteggiamento di questi filosofi popolari, ne assumessero le abitudini e ne imitassero i costumi anarcoidi. Burkert (Weisheit und Wissenschaft, cit.) ritiene, al contrario, che il cinismo di Diogene rappresenti una continuazione del pitagorismo degli acusmatici.

La teoria e la pratica vegetariana non furono legate, nel mondo antico, solo ed esclusivamente alla religiosit orfico-pitagorica. Esse furono oggetto, parallelamente, di un forte interesse speculativo e morale che indusse i sapienti a discuterne in termini non religiosi ma, in certa misura, razionalistici: la disputa si inser, infatti, nel quadro pi generale del dibattito circa lo statuto ontologico di tutti i viventi e i diritti e i doveri che ne governano i rapporti, dalle piante agli animali, alluomo, al dio. La controversia tra vegetariani e antivegetariani si configur, nella sostanza, come la contrapposizione tra una visione antropocentrica o non antropocentrica del mondo, tra una concezione provvidenzialistica o non provvidenzialistica della divinit. Tra quanti, ponendo luomo al centro delluniverso, negavano il possesso della ragione agli animali e ritenevano la sarcofagia una pratica kat fusin, conforme a natura; e quanti, al contrario, concependo la divinit come assolutamente imparziale nel governo del cosmo, reputavano luccisione e luso della carne degli animali una pratica par fusin, contraria alle leggi della natura. Il mutamento e lallargamento della prospettiva teorica evidente: la questione vegetariana non si pone pi nei termini della disobbedienza o meno alle leggi, ai riti, ai costumi della citt e della religione, ma della ottemperanza o meno alle leggi ben pi alte e cogenti della Natura. Da cui discende la necessit dellinterpretazione e dello studio di queste. Non a caso il dibattito acquist particolare vigore dopo le indagini, le speculazioni e le osservazioni sulla natura, sul mondo, sulluomo, sui viventi, condotte da Aristotele e dalla sua scuola. Prima dello stagirita il concetto di vivente era infatti privo di una sua articolazione interna. Piante e animali erano unificati da Pitagora e dai primi pitagorici sotto lunica categoria di vivente; Empedocle, nel suo poema le Purificazioni, poneva un confine assai labile tra di essi, e attribuiva anche alle piante intelligenza e ragione; e Platone, legato a una concezione assai arcaica, non distingueva, nel Timeo, le piante dagli animali. Ci che cominci a rompere questa unit furono le osservazioni, via via pi numerose e particolareggiate, sullintelligenza artigianale dellanimale, di cui la pianta priva. Democrito descrive le opere dei ragni tessitori, degli uccelli costruttori di nidi, attribuendo loro una techne, concetto che avr importanza capitale nella filosofia greca. Tuttavia, solo con Aristotele abbiamo una distinzione assai precisa allinterno del mondo dei viventi: nelle piante vi solo il principio vegetativo, la facolt di crescita organica, il treptikn, mentre gli animali

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possiedono anche lanima senziente, cio la sensazione, la memoria, la capacit di discernimento, quelle facolt psichiche che li rendono simili a noi. Con il concetto di treptikn lo stagirita, pur esprimendosi con terminologia arcaica, individua, per la prima volta, una forma di anima che vita allo stato puro: quel concetto di vita che sta a fondamento della moderna biologia. Anche a proposito di questo diverso filone di pensiero le testimonianze sono assai tardive. Le pi interessanti ci vengono dal medioplatonico Plutarco (I-II sec. d. C.), autore di un opuscolo, il De esu carnium, espressamente dedicato al problema del vegetarianismo33; e dal neoplatonico Porfirio ( III sec. d. C.), autore del De abstinentia, opera in quattro libri concernente, anchessa, il tema dellastinenza dalla carne animale. 5. Il de esu carnium di Plutarco

Nel De esu carnium Plutarco indaga le ragioni filosofico-concettuali dellopzione vegetariana, dichiarando esplicitamente il proprio disinteresse per le argomentazioni a carattere religioso avanzate in proposito dal pitagorismo34. Sembra invece trovare la giustificazione teorica della propria dottrina dei viventi nella tradizione platonicoperipatetica, in una prospettiva che, entro certi limiti, pu essere definita razionalistica 35. Luso degli uomini di cibarsi di carne definito da Plutarco par fusin, contro natura, perch contrario alla costituzione del corpo umano e dannoso per la salute
Nella loro edizione per la Loeb del De esu carnium H. Cherniss e W. C. Helmbold (Plutarchs Moralia Harvard University Press, London-Cambridge, Mass. 1957, p. 573) riferiscono di una probabile adesione personale di Plutarco al vegetarianismo; e parlano di a foible of Plutarchs early manhood, partendo dal presupposto che nessuna persona adotterebbe quello stile di vita in et matura. Linteresse e la benevolenza di Plutarco nei confronti degli animali e per il tema del vegetarianismo per contro documenta in numerosi trattati: il De sollertia animalium, dedicato al tema dellintelligenza; il Bruta animalium ratione uti che esalta le virt animali; il De tuenda sanitate praecepta, e alcune delle Quaestiones Convivales. 34 Anche in Sept. Sap. conv. 159C Plutarco dichiara che la dottrina religiosa di Orfeo piuttosto un sofisma che non un genuino desiderio delluomo di non compiere ingiustizie contro gli animali. Plutarco, pur non essendo uomo privo di religiosit, sembra escludere il ricorso a dottrine incentrate su una visione misticoreligiosa del rapporto uomo-animale. A mio parere (in proposito cfr. lintroduzione e il commento a Plutarco, Il cibarsi di carne. Introduzione, testo critico, traduzione e commento a cura di L. Inglese e G. Santese, DAuria,Napoli 1999) n nel De esu carnium, n nelle altre opere zoologiche si trova traccia evidente e sicura di una qualsivoglia motivazione religiosa del vegetarianismo che caratterizza, per contro, lantica tradizione antropocentrica del pitagorismo. In proposito cfr. Tsekourakis, Pythagoreanism or Platonism and ancient medicine?, cit., pp. 366-93; M. Isnardi Parente, Le radici greche di una filosofia non antropocentrica, in Biblioteca della Libert XXIII, 1988; e Le tu ne tueras pas de Xnocrate in Histoire et strucuture. la mm. de V. Goldschmidt. tudes runies par J. Brunschwig, C. Imbert, A. Roger, Vrin, Paris 1985, pp. 161-72. 35 quanto ho tentato di mostrare nella mia Introduzione a Plutarco, Il cibarsi di carne, cit., passim; in particolare si vedano le sezioni dedicate allaccademico Senocrate (pp. 65 ss) e soprattutto al Per eusebeas di Teofrasto (pp. 68 ss.).
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dellanima e della mente. A differenza di quello animale, il corpo umano non naturalmente dotato di mezzi di offesa per uccidere la preda n in grado di assimilarne e digerirne le carni; la sarcofagia provoca danni alla salute, indigestioni, malanni di ogni sorta36. Esso di ostacolo anche alla salute psichica: lanima nella sua ricerca della conoscenza vera del reale trova ostacoli e impedimenti nei legami del corpo, ricettacolo di tutte le impurit, da cui deve tendere a liberarsi in un processo continuo di progressiva purificazione. Il concetto di natura che Plutarco utilizza come termine di paragone costante non un modello teleologico alla maniera aristotelica o stoica, ma una fusis dotata di una razionalit intrinseca, che modello al comportamento etico, come laveva concepita Platone. A partire dallEllenismo il concetto si precisa ulteriormente e il significato ormai invalso dellespressione kat fusin quello di secondo la natura dellindividuo-uomo37: si determina il fine morale delluomo a partire dalla natura dellindividuo, o meglio dallindagine sugli istinti primari della natura umana 38 . Lopuscolo di Plutarco presuppone le polemiche antiepicuree in materia. Ermarco, il successore di Epicuro nella scuola, affermava che i sapienti che allorigine hanno dato regole e ordinato la vita sociale hanno posto alla base di questa la norma del non uccidere che vige, per, solo tra gli uomini. Gli animali infatti, non essendo in condizione di stipulare patti con gli uomini circa il non dare n ricevere danno, non sono soggetti giuridici e quindi non godono n di diritti n di doveri. una concezione della giustizia di tipo contrattualistico, una concezione positiva della legge cui Plutarco, lo vedremo tra breve, contrappone una teoria del carattere naturale della legge. Accanto a questa dottrina troviamo in Ermarco la considerazione utilitaristica che gli animali devono essere uccisi non solo quelli feroci che ci possono arrecare danno, ma anche quelli miti e laboriosi - perch, riproducendosi, potrebbero presto sopraffarci con il loro numero. largomento malthusiano ante litteram. Ma Plutarco conduce le proprie argomentazioni soprattutto in polemica contro la dottrina antropocentrica degli stoici, in particolare di Crisippo, della quale ci fornisce una preziosa testimonianza. Costoro avevano posto alla base della propria teoria degli

[] la Natura nega la sarcofagia [], De esu carn. 995A 6; su questo tema si veda lintero capitolo 5 dellopuscolo. 37 Cfr. Speusippo in Clem. Alex. Strom. II 133,4; Teofrasto in Stob., II 141.11. 38 In tale senso specifico sar da intendersi il termine nel De esu carnium.
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zoa la concezione di una radicale dissimiglianza 39 tra i viventi, sostanzialmente per due ragioni: gli animali, a differenza degli uomini, si mostrano incapaci di operare nessi logici in quanto privi di facolt razionali, di logos: [] agli animali data solo la conoscenza della semplice esistenza delle cose, alluomo invece sono stati dati, dalla natura, la facolt teoretica del nesso logico e del giudizio [...] Che sia giorno, che la luce brilli lavvertono lupi, cani, uccelli; ma se c giorno c luce nessun altro lo comprende eccetto luomo, il quale solo possiede lintelligenza che esprime i rapporti tra antecedente e conseguente []40. La seconda ragione, la pi importante, che lanimale non libero, non ha la possibilit della scelta in quanto incapace di negare lassenso allimpulso (orm)cui obbedisce necessariamente. Le sue azioni sono dominate dalla necessit; esso non pu opporsi allistinto pi di quanto una pietra possa resistere allurto che la colpisce 41. Lessere umano invece libero poich le sue azioni non sono dominate dalla necessit; in quanto dotato di ragione, ha insita nella propria natura la possibilit di operare scelte deliberate e dunque di comportamenti virtuosi o viziosi. A differenza di ogni altro essere vivente ha la facolt di accordare o negare il proprio assenso allhorm; pertanto, causa essenziale dellazione umana non sono limpulso, cui si pu resistere, n gli eventi esterni, ma la stessa natura umana. Luomo necessariamente libero, argomentava Crisippo, intrinsecamente libero, per natura costitutiva e fondante. La bestia no. Dal principio secondo cui il possesso del logos che distingue con una netta discontinuit luomo dallanimale e dal bambino42, gli stoici facevano discendere una
Sulla nozione di anomoiotes in Crisippo si veda SVF III, 367, 370, 371, 373; per Cleante SVF I, 515; Aelian., De nat. anim. VI, 50. In proposito U. Dierauer, Tier und Mensch im Denken der Antike. Studien zur Tierpsychologie, Anthropologie und Ethik, B. R. Grner B. V., Amsterdam 1977, pp. 199-252; M. Isnardi Parente, Introduzione a Lo Stoicismo ellenistico, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 96 ss.; Plutarco, Il cibarsi di carne, cit., pp. 33 ss. 40 Plut. De E apud Delph., 386F-387A (= fr. 1143 Hlser; trad. V. Cilento). Il processo logico che proprio della natura razionale delluomo - estraneo allanimale che non possiede il pensiero discorsivo, la capacit di legare, in un ragionamento, la conclusione alle premesse; di procedere, cio, scientificamente, deduttivamente: Per le argomentazioni stoiche contro la razionalit animale cfr. in part. SVF II, 714, 726, 727, 458, 372, 370, 374, 906, 172-180; Plut., De soll. anim., 960B-961C. 41 Alex. Aphrod., De fato, 13, p. 181, 13 ss. Bruns (=SVF II, 979); e 33, p. 205, I ss. Bruns (= SVF II, 1001); Calcidio, In Platonis Tim., 220, p. 232 Waszink (= SVF II, 879). Philon Alex., De animalibus c. 80 Aucher: secondum irrevocabilem operationem. Anche Origene, De principiis, III, 1, 2, p.196. Ktschau (=SVF II, 988), insiste sul motivo della non-libert degli animali. 42 Nel bambino il logos entra in funzione allet dei sette anni, e diventa compiuto al quattordicesimo anno di vita: cfr. SVF II, 83; in proposito M. Pohlenz, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, Gttingen 1948, 1959 (trad. it. La Stoa. Storia di un movimento spirituale, La Nuova Italia, Firenze 1967, I, p. 103).
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serie di conseguenze fondamentali: la capacit razionale che fonda il libero arbitrio delluomo, che lo apparenta al dio, che regola i rapporti tra gli uomini, e tra questi e gli di; gli animali, non partecipandone, sono esclusi dalla koinonia universale43. Lessere umano, in quanto unico essere vivente razionale, al centro delluniverso, mentre gli animali sono stati posti al servizio dei suoi bisogni 44 e del suo benessere; pertanto lessere umano non vincolato da alcun dovere nei loro confronti ed essi non godono di alcun diritto: []coloro che non possono praticare la giustizia nei nostri confronti, neppure possono subirne da parte nostra45. Plutarco confuta tali teorie mediante unindagine rigorosa, scientifica, sulla natura degli animali e delluomo. Egli prova a classificare e a evidenziare i tratti specifici, le somiglianze e le differenze di entrambe le specie; e dai risultati di questa analisi comparata fa discendere le norme della condotta umana nei confronti degli animali, rispondendo alla questione di fondo se sia lecito o meno cibarsi della loro carne. Attestandosi sulla posizione razionalistica propria dellAcademia e del Peripato, contesta radicalmente la teoria stoica del logos, pur riconoscendo una innegabile diversit tra la ragione umana e quella delle bestie. Stabilisce che gli animali, proprio in quanto in grado di percepire le sensazioni e di provare passioni quali ira, paura, gelosia, e in quanto capaci di virt e vizi46, sono dotati, per natura, di una certa forma di intelligenza47, anche se imperfetta rispetto a quella umana: [] del tutto evidente, infatti, che il logos scaturisce dalla natura, mentre il logos pieno e perfetto deriva dalle cure e dallinsegnamento48. Lintelligenza umana e quella animale differiscono
Sulla koinona stoica di uomini e di cfr. SVF I, 262; II, 528-29; III, 332, 334, 339. Il cosmo una grande polis comprendente uomini e di, mantenuta unita e sicura per mezzo della legge razionale che vincola tutti in modo eguale. 44 Il cosmo, un sistema costituito dagli di, dagli uomini [] e da tutte le altre cose [ ] generate per loro; le forme di vita inferiori esistono in funzione di quelle superiori: cfr. SVF II, 527, 528, 1152-1154, 1160, 1162, 1173. Crisippo incontr qualche difficolt a inserire gli animali dannosi nella propria concezione cos rigidamente finalistica delluniverso: cfr. in particolare SVF II, 1152, 1163, 1173. In proposito si rinvia anche alle note 58 e 59 di Plutarco, Il cibarsi di carne, cit., pp. 26-7. 45 De esu carn., 999A. Per la teoria della negazione del diritto agli animali si veda anche SVF III, 367376; Plut., De soll. anim. 964AB, 970B; Plutarco. Il cibarsi di carne, cit., pp. 35 ss. 46 Sotto questo aspetto, addirittura, le bestie sopravanzano certe volte luomo; della superiorit etica degli animali Plutarco tratta soprattutto nel Bruta animalium ratione uti, opuscolo che risente di indubbi influssi cinicizzanti. 47 La trattazione pi ampia della teoria del logos si trova nel De sollertia animalium (cfr. in particolare i passi 959F-963F), dove lAutore sviluppa la propria tesi attraverso una serie di argomenti e di esemplificazioni. Per lanalisi del problema cfr. Plutarco. Il cibarsi di carne, cit., pp. 51 ss. Si veda anche Plut., Bruta anim. rat. uti, 991D-992A; De esu carn. 994E, 997E. Lintelligenza animale assume diversi nomi: sunesis, logos, fronesis; si veda il passo 991F del Gryllus: [] se voi uomini ritenete di non dover chiamare quella delle bestie n ragione n saggezza, allora tempo di ricercare un nome pi bello []. 48 De soll. anim., 962A.
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secondo il pi e il meno (kat t mallon ka hetton)49, piuttosto nel grado che non nella sostanza. Plutarco assume cio che esiste una somiglianza sostanziale e strutturale (e non fisica o metaforica) tra luomo e lanimale, sia per quanto concerne le passioni sia per quanto concerne la razionalit;e che le differenze che si possono riscontrare tra i viventi dipendono dal maggiore o minore grado di partecipazione alla ragione. Discostandosi dal presupposto stoico dellirrazionalit animale, Plutarco si allontana anche da tutto ci che ne consegue: lanimale non escluso dalla koinonia universale ma ne parte integrante; tra uomo e animali esiste, fin dal tempo degli antichi saggi, una communio iuris. In questa prospettiva, che fa perno sulla parentela (homogheneia) uomo-animale e nello stesso tempo sul riconoscimento del bisogno primario, per luomo, di sopravvivere in un ambiente naturale che talvolta lo minaccia, Plutarco stabilisce quelle che a suo parere, devono essere le norme generali del comportamento morale: sar kat fusin, secondo natura, obbediente ai dettami della natura e legittima, quella condotta umana che scaturisca dal riconoscimento di tale rapporto di parentela; mentre sar par fusin,50 contro natura e contro la legge quella condotta che nasca dalla negazione di questo. Ne consegue che luomo, per agire moralmente, dovr riconoscere i diritti degli animali, non cibarsi delle loro carni, astenersi dalla violenza (hubris) e dalle inutili sevizie che mirano unicamente al piacere e alla soddisfazione della propria sete di sangue; ma soprattutto dovr attenersi al principio senocrateo51, che impone, in termini assoluti, il divieto incondizionato e generalizzato di uccidere, di togliere la vita a un essere vivente; atto che, anche nella prospettiva storica, sta, secondo Plutarco, allorigine e a fondamento della pratica della sarcofagia e dei peggiori mali delluomo, quali le stragi, le guerre, i delitti pi efferati 52 . Un secolo pi tardi le argomentazioni di Plutarco saranno riprese, con un nota di nuova religiosit, da Porfirio.
Bruta anim. rat. uti, 992CD. Cfr. ivi,, 994F-995F, 996B; ecc.; Plutarco, Il cibarsi di carne, cit., pp. 23 ss. 51 Cfr. Xenocr. fr. 52 Isnardi Parente (= Plut., De esu carn., 996AB); per il divieto di uccidere si veda ancora Plut., ivi, 994E e soprattutto 997D ss. In proposito, si rinvia a Isnardi Parente, Le tu ne tueras pas de Xnocrate, cit., passim; in particolare le pp. 164-5; e Plutarco, Il cibarsi di carne, cit., pp. 65 ss. 52 Plutarco, consapevole (cfr. De esu carn. 996D-997A) di come luso della carne sia consolidato nei costumi degli uomini e difficile da estirparsi radicalmente, concede che, sul piano pratico e in caso di stretta necessit, si deroghi da tali principi; d infatti ampio riconoscimento ai bisogni primari delluomo, la cui superiorit sullanimale non mai messa in discussione: cfr. De esu carn., 996EF, 993C, 994E; De soll. anim., 962A, 963B; De frat. am., 478E; Adv. Col., 1125A,C; e molti altri luoghi. Ma si tratta pur sempre di eccezioni, di deroghe a principi morali fondati sul rispetto e lobbedienza alle leggi poste dalla Natura.
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6. Il divieto di strappare lanima Se si intende ricercare le fonti delle argomentazioni plutarchee, lorigine del tema del rispetto per la vita dellanimale e per la vita tout court, dobbiamo risalire al
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sec. a.

C., al discepolo di Aristotele, Teofrasto e, parallelamente, allacademico Senocrate. Questultimo53 consigliava di non uccidere lanimale in ragione del principio della homogheneia, della comunanza di stirpe 54 tra i viventi, e definiva tale azione turpe. Unaffermazione ancora pi netta, che esprime il divieto incondizionato e generalizzato di uccidere qualsiasi essere vivente, gli attribuita da Plutarco in un passo del De esu carnium. Agli ateniesi che chiedevano quale pena si debba infliggere a un cittadino che ha scorticato vivo un ariete, Senocrate rispondeva: non peggiore, io credo, colui che tortura un essere vivente di chi strappa la vita a qualcuno di essi e lo uccide. (996b) Troviamo, in queste parole, per la prima volta nella storia del pensiero, laffermazione del valore assoluto della vita: non solo della vita delluomo in quanto essere dotato di ragione, ma della vita, della psuch di ogni essere vivente; latto di spegnerla, di strapparla condannato come un atto di hubris, di anomia, come un atto par fusin, contrario allordine razionale e ai dettami della natura. In Teofrasto troviamo una posizione analoga, attestata pi esplicitamente, in nome della oikeiotes, di un apparentamento tra tutti i viventi fondato sulle loro affinit non solo fisiche ma anche psichiche. Lanimale partecipa non solo delle stesse affezioni, impulsi, capacit di sentire delluomo, ma ne condivide anche le capacit razionali: la ragione non privilegio esclusivo della specie umana ma patrimonio comune di tutti i viventi. Sul concetto di apparentamento Teofrasto fonda il principio della communio iuris, della parit di diritti tra uomo e animale, compiendo, con ci, un importante passo in avanti rispetto alla comune cultura giuridica e al suo stesso maestro Aristotele, che come noto aveva negato che possa esservi amicizia o giustizia tra uomo e animale 55.
Cfr. Porfirio, De abst. IV 22 (= Xenocr. 252 I.P.= fr. 98 Heinze), la cui fonte Ermippo callimacheo. Ermippo di Smirne, detto anche peripatetico, visse tra il III e il II sec. a. C. e fu autore di biografie di filosofi, retori, legislatori, poeti. 54 Che questo sia il significato da attribuire al termine homoghenes ha mostrato Isnardi Parente in Le Tu ne tueras pas, cit, pp. 164-5. In proposito si rinvia a Plutarco, Il cibarsi di carne, cit., pp. 65 ss., in particolare la nota 195, p. 66. 55 Aristotele sosteneva che non vi legge che possa impedire di uccidere quegli esseri che sono nati per obbedire: cfr. Pol. I 8, 1256 b 26; Eth, Nic. 1161 b 1. Aristotele includeva anche gli schiavi.
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Infatti fa derivare esplicitamente da quello che fino a quel momento era stato un generico riconoscimento delle analogie uomo-animale nette conseguenze sul piano della parit dei diritti: come a buon diritto puniamo e distruggiamo gli uomini malvagi che pure sono nostri simili - cos lecito, forse, distruggere quegli animali che per natura sono cattivi e dannosi. Analogamente, come un atto illegale uccidere gli uomini buoni, allo stesso modo sar ingiusto e illegale uccidere gli animali miti e utili alluomo 56. Il principio teofrasteo nega peraltro, di fatto, anche la legittimit stessa dei sacrifici cruenti: non si immoleranno agli di gli animali malvagi perch indegni e inadatti alla divinit n quelli buoni perch sar oltraggioso rendere onore agli di mediante un atto ingiusto. Al tema specifico del sacrificio Teofrasto dedica espressamente il De pietate, opera in cui ai sacrifici cruenti, invisi agli di perch ingiusti, contrappone lofferta dei prodotti della terra, elogiando e promuovendo cos il ritorno del culto agrario; forma rituale che era stata propria degli uomini primitivi e la cui sparizione avvenuta per il sopravvenire delle carestie e delle guerre - aveva segnato il passaggio, nella storia delluomo, da una primitiva et di concordia allet ferina. dunque in questa fase della speculazione greca, che, con buona probabilit, il divieto di uccidere e sacrificare gli animali e cibarsi delle loro carni si caricato di tutti quei motivi razionali che abbiamo esaminato e che ci vengono trasmessi dalla letteratura pi tarda. Il pensiero greco - in una tradizione tuttaltro che secondaria quale quella platonico-aristotelica, con i pi tardi sviluppi del medio e tardo platonismo - fu dunque il primo a teorizzare coerentemente e razionalmente i temi della nostra parentela psichica con gli altri viventi e della necessit del rispetto reciproco che ne scaturisce. Questa indagine la possiamo seguire solo imperfettamente perch una serie di opere peri zoon, che dovevano costituire, nel loro insieme, una summa del patrimonio di osservazione zoologica propria del mondo greco-romano sono andate perdute. Ma le opere di et imperiale quali, appunto il De esu carnium rappresentano documenti assai interessanti di tali tematiche. Il dibattito si interruppe definitivamente con il trionfo e la vittoria delle teorie antropocentriche, delle tesi provvidenzialistiche, dei culti propri del Cristianesimo57. La
Cfr. Teofrasto, frr. 7, 12 Ptscher. Nel corso del IV sec. d. C., secolo che vede il progressivo trionfo della chiesa cristiana, si ha ancora, con il breve regno dellimperatore Giuliano (361-63d.C.) - di formazione culturale classica e fedele alla religione tradizionale - un tentativo di restaurazione dellantico culto pagano. Egli tent di ridare dignit
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e il De abstinentia,

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sparizione di questa tradizione ha segnato profondamente la storia della cultura e della civilt occidentale: i cristiani, isolando luomo con la sua individuale anima immortale da tutti gli altri esseri viventi, ponendolo al centro delluniverso, hanno certamente guadagnato un rapporto esclusivo e privilegiato con la divinit; nel contempo per essi hanno perduto il senso dellunit tra i viventi e del loro apparentamento sostanziale fondato su ragioni di ordine razionale, sostituendo a questo un rapporto di subordinazione e di dominio, con tutte le pesanti conseguenze che ci comporta. Con la cesura operata tra luomo e gli altri esseri viventi il valore della vita scaduto, e linfinit di dio si contratta 58. Plutarco tent di mettere in guardia gli uomini da tali pericoli, dalla presunzione di dominare, asservire, conquistare la natura e ignorarne e disattenderne le leggi; presunzione che ha portato spesso lessere umano, di fatto, a negare il tratto comune, di origine naturale, che lo apparenta a tutti i viventi, non esclusi gli altri uomini diversi o inferiori, riservando per s solo la piena qualit di uomo. Il possesso della ragione ha spinto luomo a dimenticare la propria animalit e la propria appartenenza al mondo della natura. Con accenti lucidi e appassionati Plutarco tent di dimostrare che qualsiasi teoria etica ha il suo fondamento nella natura, nella considerazione e nel rispetto della vita che ci circonda;
[che] qualsiasi riflessione sul rapporto delluomo con luomo, come con la natura vivente nel suo complesso, deve presentarsi quale esito di una storia naturale [] in cui intelligenza, diritto e giustizia derivino legittimazione dalla naturalit della loro origine. Una storia naturale che faccia compartecipe dei valori tutti gli animali, uomo incluso, pu certo apparire, per tanti versi, come unopzione veteropositivistica. Ma non cos. Sia che luomo venga riguardato come lesito di un progetto voluto da altri [] la forma presa dalla creazione; sia, per contro, che venga spiegato come un prodotto evolutivo, comunque sempre alla natura che occorre fare ricorso per spiegare la necessit di valori che sottraggono i viventi allinsensatezza e allarbitrio59.

alla religione ufficiale dellimpero, allantico culto, fermando o tentando di fermare il processo di cristianizzazione dellimpero, avvalendosi essenzialmente di armi intellettuali e di argomentazioni razionali. Si ispir alle dottrine di Giamblico, lultimo neoplatonico insieme a Proclo. Favor con tutti i mezzi gli antichi culti, spesso abbandonati. In questo quadro ben si comprende come la lotta per il sacrificio non cruento, ancora portata avanti da Porfirio, venne abbandonata nellestremo tentativo di salvare la religione pagana. 58 Per queste osservazioni cfr. M. Isnardi Parente, Le radici greche, cit. 59 F. Voltaggio, Il rapporto delluomo con gli animali: una storia morale che nasce dalla storia naturale, in LArco di Giano, 1999, 21, pp. 37-42. Il corsivo mio.

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Abbreviazioni a) opere degli autori antichi Adv. Col.: Adversus Coloten Bruta an. rat. Uti : Bruta animalium ratione uti De abst.: De Abstinentia De anim.: De animalibus De E apud Delph.: De E apud Delphos De esu carn.: De esu carnium De frat. am.: De fraterno amore De nat. anim.: De natura animalium De piet.: De pietate De soll. anim.:De sollertia animalium De tuenda san.: De tuenda sanitate praecepta In Platonis Tim.: In Platonis Timaeus Math.: Adversus Mathematicos Metam.: Metamorphoses Ol.: Olimpiche P. eus.: Per eusebeas Pol.: Politica Quaest. Conv.: Quaestiones Convivales Rep.: La Repubblica. Sept. Sap. conv.: Septem sapientium convivium Strom.: Stromata V. Phyt.: Vita di Pitagora Var. Hist.: Storie Varie b) nomi degli autori antichi Aelian.: Eliano, erudito attivo nei primi decenni del III sec. d. C., Alex. Aphrod.: Alessandro di Afrodisia Arist.: Aristotele Athen.: Ateneo, grammatico del III sec. d.C. Aul. Gell.: Aulo Gellio Clem. Alex.: Clemente Alessandrino Diog. Laert.: Diogene Laerzio, Emped.: Empedocle Hermippus: Ermippo di Smirne, detto anche peripatetico. Herod.: Erodoto Jambl.: Giamblico Ovid.: Ovidio Philon Alex.: Filone Alessandrino Pind.: Pindaro Plut.: Plutarco Porph.: Porfirio

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Sext. Emp.: Sesto Empirico Stob.: Stobeo Xenocr.: Senocrate Xenophan.: Senofane c) sigle
SVF DK:

: Stoicorum Veterum Fragmenta Diels Kranz

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