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CAPITOLO 1 – FATTO E VALORE NELL’ESPERIENZA GIURIDICA

IL PROBLEMA DELLA DEFINIZIONE DEL DIRITTO NEL DIBATTITO GIURIDICO

Le più diffuse impostazioni di filosofia e teoria del diritto tendono a porre il “diritto” al di là
della concreta vicenda storica.
La filosofia del diritto è la scienza che studia il diritto che ne indaga la natura, il valore, il
fondamento.
Il compito del filosofo è quello di definire le “invarianti” che costituiscono le “regolarità”
dell’esperienza giuridica, ricorrenti in ogni epoca e in ogni forma sociale e che perciò si
sottraggono al mutamento. Secondo questa tendenza, alla base di ogni ordinamento
storico ci sarebbe sempre un concetto generale di diritto che costituisce la struttura
invariate. (Giusnaturalismo e Giuspositivismo).

Secondo Kolakowski
1. Il fondamento di ogni norma giuridica non coincide con il fondamento del diritto in
generale: il primo infatti può dipendere tanto dall’arbitrio di un tiranno quanto dalla
libera determinazione di un’assemblea legislativa.
2. Non è possibile ricavare un criterio distintivo universalmente valido per distinguere
il diritto buono dal diritto cattivo.

IL DIRITTO COME FENOMENO STORICO – SOCIALE

→ Il tentativo di definire il diritto è stato sempre legato all’aspirazione di vincolare il diritto


positivo ( esistente ) ad un fondamento obiettivo, ad un principio (immutabile) di giustizia
che elimini il rischio di arbitrarietà da parte dell’autorità che detiene il potere. Ma non è
possibile considerare il diritto come immutabile perché affonda le sue radici nella società
che è una realtà storica e mutevole, che si adegua ai cambiamenti.

Affermare che il fenomeno giuridico appartiene alla storicità (quindi alla contingenza) della
condizione umana contrasta con chi pensa che esista un diritto naturale (non contingente
ma eterno), ricavabile dall’essenza (natura) dell’ uomo o da un valore assoluto (verità).

→ Definire il diritto come agganciato alla storia e quindi alla contingenza pone il problema
di definire quest’ultima. La contingenza definisce la situazione dell’ente finito come quella
di chi può esistere e non esistere, poiché la sua esistenza non è implicita nella sua stessa
essenza. Ciò che è davvero, non può essere sottomesso alla temporalità, non può vivere
in modo da distinguere la propria esistenza tra passato e avvenire. Al contrario, gli esseri
finiti vivono in una continua fuga da un passato che non c’è più, verso un avvenire che non
c’è ancora, sono dunque costretti a porre se stessi mediando memoria e anticipazione.

KOLAKOWSKI. Il mondo ha cessato di essere una natura grezza, è diventato quasi


un’emanazione dei nostri progetti. Il tentativo di coercizione tecnologica volto a estirpare
l’indifferenza del mondo termina in una sua sconfitta; perché le cose, a prescindere dal
livello dei successi tecnologici raggiunti, sono sempre le nostre prede.
Secondo Kolakowski l’istanza mitica è la tendenza a radicare l’esperienza nel mondo
mitico con riferimento alla necessità dei “valori”. Il mito che da forma a dei valori implica
però anche la rinuncia alla libertà assoluta, poiché impone un modello già pronto che
cerca di conferire alla società una dimensione atemporale.
→ Il nichilismo spesso è una vera e propria strategia per neutralizzare la creazione
sociale che è sempre aggiustamento e trasformazione di valori e principi tramandati. Il
nichilismo pur essendo il contrario del fondamentalismo ha la stessa vocazione a negare
la storicità e la temporalità.

PROSPETTIVA DELL’ANTROPOLOGIA FILOSOFICA.

La prospettiva di Kolakowski non riesce a prospettare alcuna alternativa pratica alla pura
occasionalità dell’esperienza, al soggettivismo estremo che ne consegue.
Una via d’uscita può essere rintracciata provando a mettere in campo una prospettiva in
cui la storicità e la contingenza non siano incompatibili con una peculiare forma di
oggettività, così da permettere di sfuggire alla deprimente conclusione della fattività
occasionale di ciò che accade.

CORNELIUS CASTORIADIS propose l’individuazione di uno specifico livello d’essere


storico – sociale che esprimesse la peculiarità del vivente umano, rispetto al vivente non
umano.

L’uomo “manifesta” il suo modo d’essere attraverso la capacità di elaborare


rappresentazioni di sé e di ciò che lo circonda; rappresentazioni significative che
permettono di ordinare l’esistenza attribuendole un senso.
La natura rappresenta invece ciò in cui l’uomo è immerso e di cui fa parte; ma il suo modo
di vivere si distingue perché non è determinato meccanicisticamente ma è creativo e
mediato dallo spazio sociale e dalle sue istituzioni.

→ L’uomo crea immagini senza un progetto, spontaneamente, senza rendersene conto.


Questa sua capacità è chiamata da Castoriadis livello storico – sociale dell’essere ed è la
caratteristica distintiva dell’uomo.

→ La comunità umana costituisce il proprio codice attorno ad un valore cardine e per


rispondere alla mancanza di un orientamento naturale si dà significati normativi
producendo valori ed istituzioni. Creare significati, vuol dire attribuire valore alle cose. Le
cose non hanno infatti un valore in sé, ma in base ad un bisogno socialmente istituito; in
questa prospettiva anche i bisogni sono assunti come artificiali.

→ Lo storico sociale è il “luogo” della creazione delle forme d’essere, l’irruzione


dell’alterità radicale che non si lascia dedurre da nessun fondamento. La società è una
forma d’essere che si dà ogni volta le sue leggi. Si giunge così alla consapevolezza che la
“giustizia” ( la legge giusta ) sia opera degli uomini e della società e che non ci sia, per
contro, né legge extra sociale ( divina ), né Ragione immutabile. E proprio per questo non
ci può mai essere verità assoluta, né giustizia totale.

LE APORIE DELLA FONDAZIONE META – STORICA DEL DIRITTO

PRIMA APORIA ( fondazione teologica del diritto ) → Affermare che il diritto vigente
rispecchi un’idea di giustizia in assoluto vuol dire in pratica parlare di un diritto “ divino”,
non più storico – sociale. L’esperienza storica ci insegna invece che ciascuna civiltà ha
avuto una propria idea di giustizia. Il tentativo di ancorare ad un valore incontestabile
l’ordine istituito è sempre stato presente a causa dell’esigenza umana di trovare un punto
fermo nella propria esistenza. Di fronte all’angoscia della “mancanza di senso” l’uomo ha
risposto, cercando sempre qualcosa che trascende il divenire e che si pone come
l’incondizionato a cui fare riferimento.

Nella società del passato la risposta a questo bisogno è stata trovata nell’idea di Dio,
origine dell’uomo e dell’universo e così è ancora nelle società teocratiche; ma è ormai
evidente l’insostenibilità di questa pretesa.
→ Il fondamento presuppone la possibilità di una deduzione logica da un punto di
partenza razionalmente raggiunto, mentre a Dio non si giunge per strategie razionalistiche,
ma attraverso la “rivelazione” ( la parola di Dio che si manifesta attraverso la fede ).
→ La natura del fondamento richiede che sia razionalmente attingibile, mentre la filosofia
ha ormai dimostrato che di Dio non si può dare una definizione perché comporterebbe una
riduzione del suo essere. Tutto quello che diciamo per definire Dio è infatti legato alla
nostra contingenza; gli attributi dati lo limiterebbero, gli conferirebbero finitezza e caducità.
→ Sarebbe paradossale parlare di Infinità e Eternità contenendole nei termini di spazio e
tempo propri del nostro linguaggio.

KOLAKOWSKI → afferma che bisogna accettare come un “destino” specifico della


condizione umana il bisogno di Fondamento e questa impossibilità di avervi accesso con
gli strumento della nostra razionalità.

SECONDA APORIA ( fondazione razionale del diritto ) Kant promuove il tentativo di


sostituire la fondazione teologica con una esclusivamente razionale. Tramite la ragione
trascendentale, si giustifica la deduzione di massime universali dell’agire pratico. Si
configura così un giusnaturalismo razionalistico di stampo assolutamente laico.

Critica. MacIntyre ha criticato la proposta di Kant sostenendo che non è possibile stabilire
se il tentativo del filosofo è riuscito oppure no. Kant stesso tenta di dimostrare che
massime del tipo: “dire sempre la verità”, “mantenere sempre le promesse”, “non
commettere suicidio”, passano il suo esame; mentre massime del tipo “mantieni le
promesse solo quando ti conviene” non riescono a passarlo. Ma in realtà, anche solo per
avvicinarsi a una parvenza di dimostrazione si tutto ciò, egli deve ricorrere ad argomenti
pessimi, il cui apice negativo è raggiunto con l’affermazione che un uomo che approvi la
massima: “uccidermi quando le prospettive di dolore superano quelle di felicità” è
incoerente, perché una simile approvazione “contraddice” un impulso alla vita insito in
ciascuno di noi. È come se qualcuno affermasse che un uomo che approvi la massima:
“portare sempre i capelli corti” è incoerente, perché una simile approvazione “contraddice”
un impulso alla crescita dei capelli insito in ciascuno di noi.

Fondamento del diritto Kantiano si risolve nell’affermazione che gli uomini sono eguali,
nel senso che hanno gli stessi diritti di libertà e quindi sono impegnati a rispettare la sfera
di libertà altrui. Questa base di partenza non permette però, di dedurre alcun precetto
concreto e si risolve in una forma vuota. Infatti l’unica conseguenza che se ne può trarre è
che gli uomini sono tenuti a decidere consensualmente le regole della collettività. Ciò che
Kant chiama in campo è la ragione procedurale, il principio che ogni norma deve essere
stabilita seguendo la proceduralità dell’accordo, secondo il confronto propedeutico al
raggiungimento del consenso.

HABERMAS →. La sua teoria si fonda sulla convinzione che sia possibile raggiungere il
consenso attraverso il rispetto di procedure di confronto. Il problema è che essa
presuppone già come valori indiscutibili le regole procedurali che sarebbero idonee a
portare consensualmente alla verità. Ma, soprattutto ,si basa sulla convinzione che sia
possibile raggiungere la verità ( il consenso su di essa ) perché si da per “scontata” una
struttura della ragione umana, mentre quest’idea del Soggetto razionale è il punto debole
dell’intera teoria.

Le obiezioni cui va incontro la filosofia giuridica kantiana sono fondamentalmente due:

1. Il regresso all’infinito della coscienza


2. La “cattiva infinità” del processo conoscitivo

Kant ( come Habermas ) non riesce a sfuggire alle aporie costitutive di ogni filosofia che
assume il soggetto come centro del processo conoscitivo. Ogni “filosofia del soggetto”,
infatti, mentre lo identifica come soggetto della rappresentazione, deve poi, per coglierne
la riflessività – l’autorappresentazione del sé – assumerlo come oggetto della stessa. La
conseguenza è un rinvio infinito che si risolve in un oscillazione fra il polo trascendentale e
quello empirico. Il circolo è inevitabile: il presupposto è anche il risultato.

MANFRED FRANK → Muove una critica serrata al paradigma riflessivo ( inaugurato da


Kant ) del soggetto come coscienza di sé, che incappa in un rinvio infinito. In particolare
egli osserva che è impensabile una comprensione senza coscienza, e che la coscienza di
sé non può che trovare dentro di sé cio che già c’è .
Se si accede alla tesi della coscienza come rappresentazione, “ per avere coscienza di sè,
si dovrebbe fare della propria coscienza oggetto di una nuova coscienza, e non si
giungerebbe mai all’autocoscienza. Il paradigma o si contraddice rinviando a una
coscienza immediata e originaria o si risolve in un rinvio infinito alla rappresentazione di
livello superiore.

LA CRITICA ALL’UNIVERSALISMO E IL PROBLEMA DEI DIRITTI UMANI

I diritti umani sono sempre più proclamati solennemente e sempre più violati
clamorosamente, e ciò perché sono assunti, solamente, nella pura “forma” dell’astratto
universalismo giuridico.
La figura epocale dell’ ”uomo nudo” ( privo di tali diritti ) è rappresentata dai profughi e dai
rifugiati che, clandestinamente, approdano alle frontiere dei paesi ricchi. Nonostante i
proclami, questi individui sono privi di tutela e spesso vengono “espulsi” dopo brevi transiti
in campi di “accoglienza” che somigliano più che altro a dei lager in quanto, pur essendo
titolari di diritti, non hanno cittadinanza.

Modello liberale è il modello secondo cui “ gli individui liberi, indipendenti e razionali
esistono da prima della società”. Questi individui si uniscono attraverso un contratto
sociale e costituiscono le istituzioni. Questa affermazione è inconsistente dal punto di vista
teorico, perché non si può immaginare che gli individui si organizzano in società e ancora
prima di essere società siano degli individui perfetti, razionali, in grado di valutare il bene e
il male, il giusto e l’ingiusto. → Quindi non è possibile dedurre dalla natura o dalla ragione
nessun principio normativo

→ Non è possibile dedurre nessun principio dalla natura giacché oggi è evidente che non
sappiamo definire cosa si intende per natura. I diritti umani si risolvono in un dominio
assoluto sull’umano da parte del non umano, della tecnica, della biologia molecolare ecc..

→ Nel nome dell’universalismo dei diritti si realizza, in realtà, il dominio dell’Occidente


sull’intero pianeta. I diritti umani universali sono stati “l’utopia” più potente che l’Occidente
ha prodotto, perché attraverso essi vengono distrutti i vecchi legami che opprimevano
l’individualità.

→ I diritti umani sono in realtà procedure; sono diritti soggettivi e non “diritto oggettivo”. I
diritti soggettivi sono procedure perché originano dall’unico divieto della Modernità: il
divieto di interferire nella sfera degli altri senza il consenso dell’interessato e vincolano alla
negoziazione.

→ L’universalismo giuridico è perciò, il tentativo di fondare una validità autonoma della


decisone contingente e storica che istituisce l’ordinamento giuridico, occultando il nesso
tra diritto e società.

LA STRUTTURA “METODOLOGICA” DELLA MODERNITΑ

Metodo e modernità sono strettamente correlati.

Origine→ Il metodo nasce quando viene messo in dubbio l’accesso ad una verità
incontrovertibile, eterna ed immutabile. In questo senso si pone il problema di garantire ad
alcune proposizioni il privilegio di essere prossime alle verità. → Ciò comportava il
dissolvimento degli strumenti con cui l’uomo fino ad allora si era garantito ( divinità,
ragione ).

Definizione→ Il metodo è una sorta di procedura attraverso la quale una comunità di


persone stabilisce il significato privilegiato, in termini di verità, di una proposizione
linguistica.

Scopo →Il metodo è finalizzato a liberare la modernità dalla tradizione. Il suo obiettivo è la
verità e per questo di deve sempre pensare come universale, come il metodo dei metodi,
come immune da qualsiasi condizionamento.

Conseguenza → Il metodo determina la scomparsa della verità oggettiva, che si


costituisce, invece, come un sapere che si autolegittima attraverso procedure.

Il diritto moderno si considera valido qualora sia indifferente ai contenuti. Il diritto per
evitare di essere influenzato dalla politica, dalla religione, deve necessariamente
neutralizzare i suoi contenuti.

Un concetto di particolare importanza è quello di pratica. Le pratiche sono prese di


posizione di fronte al mondo. Esse strutturano una peculiare forma di auto – riferimento
del mondo. L’auto – riferimento della società moderna avviene attraverso la
trasformazione dei rapporto sociali in rapporti giuridici fondati sul libero consenso di chi si
obbliga ad effettuare una prestazione a favore di un altro individuo.
CAPITOLO 2 – IL DISPOSITIVO DELLA MODERNITÁ

L’istituzione storico – sociale è la fonte reale di ogni produzione normativa e di ogni


creazione di senso.

Le società premoderne→ hanno sempre cercato un sostegno, un presupposto extra –


sociale.
La società moderna→ è la prima società storica che si autoistituisce dichiarando di
trovare in se stessa il fondamento delle proprie regole.

Nella modernità i vincoli e i legami della tradizione e della trascendenza, sono sostituiti
nella modernità con i valori del razionalismo, individualismo e utilitarismo.

→ Il Razionalismo. È la ragione, e non più la fede rivelata, lo strumento per la ricerca


della verità e il fondamento della libertà di scelta dell’individuo. → la libertà e l’uguaglianza
diventano diritti universali e la razionalizzazione è connessa all’emancipazione della
società civile dal controllo religioso.

→ L’Individualismo. Se nelle società pre - moderne ci si riferiva a Dio, alla tradizione o


agli antenati, nelle società moderne il fondamento è posto nell’individuo libero e
indipendente, originariamente sciolto da ogni legame e vincolo. La modernità nasce quindi
come frutto dell’accordo voluto dagli individui.

Prima l’individuo era inteso come membro di un gruppo e l’appartenenza alla comunità era
“naturale” e non frutto di una sua libera scelta. Vigevano precise gerarchie, status giuridico
sociali che determinavano fin dalla nascita la vita dei componenti del gruppo. Quindi la
legge non considerava tutti eguali e riconosceva diritti e doveri diversi.
Oggi il soggetto si auto – pone e si garantisce la sua indipendenza da ogni appartenenza
comunitaria, è inteso come astratto, con una serie di caratteristiche riscontrabili in ogni
uomo e ciò permette di affermare l’uguaglianza di tutti gli individui. La legge moderne
tratta tutti allo stesso modo perché astrae dalle materiali condizioni in cui viviamo i soggetti
del diritto.
L’ individuo moderno non ha legami naturali ma li instaura con gli altri soltanto seguendo la
sua volontà. La relazione è instaurata per VIA GIURIDICA e non naturale. Il diritto quindi
nell’epoca moderna acquista un’importanza fondamentale, infatti, non esistendo infatti
vincoli naturali, tutti i rapporti sono rapporti giuridici.
.
→ L’Utilitarismo. L’uomo della modernità è spinto nell’agire da una sola ratio: la
soddisfazione dei propri desideri e ciò lo porta ad agire calcolando razionalmente l’utilità
delle proprie azioni al fine del raggiungimento del proprio appagamento. L’idea che l’uomo
non abbia alcun vincolo naturale fa sì che ciò che accomuni gli uomini sia la stessa natura
egoistica e utilitaristica.

Come l’uomo ( che tramite questa sua considerazione “individualistica” spezza i legami
con la trascendenza e la tradizione ) , anche il diritto si emancipa dal fondamento divino o
dal valore di giustizia.
Attraverso codesta liberazione / emancipazione la modernità ha rimosso il vero
fondamento del diritto ( la società ) e occultato la sua funzione ( ordinare la società e
determinare il giusto ).
La rimozione della dimensione costitutivamente sociale dell’individuo non comporta
anche la rimozione della libertà del soggetto. Nell’ordinamento giuridico moderno, ognuno
può realmente acquistare un bene, venderlo, è cioè realmente libero. Tale rimozione:

→ esalta una libertà, quella “individuale” di contrarre, la libertà di agire nel mercato.
→ ne occulta un’altra, quella “sociale” di interrogarsi sul senso e di darsi un senso.

La conseguenza del paradigma della modernità è la separazione tra la sfera pubblica e la


sfera privata. Una società che si fonda sul principio dell’uguaglianza degli individuo può
funzionare solo separando il piano dell’economia ( dove le disparità sono evidenti ) da
quello politico - sociale.

La separazione tra economia e politica è in particolare la separazione tra sfera privata e


sfera pubblica

→ Sfera privata. Gli uomini perseguono la soddisfazione dei propri interessi operando nel
campo dell’economia, il luogo in cui si esplica la libertà privata. Quindi la sfera privata si
identifica con quella dell’economia. Solo l’astrazione dal vincolo sociale permette di
considerare l’economia come sfera separata infatti, se ci fosse “comunità” il compito
dell’economia sarebbe quello di soddisfare i bisogni dei propri membri e l’economia non
sarebbe autonoma ma “comunitaria”

→ Sfera pubblica. È lo spazio in cui si dibatte di ciò che a tutti interessa e si identifica
quindi con la politica. Nella società moderna alla politica si attribuisce un ruolo limitato
infatti, dovrebbe riguardare semplicemente l’organizzazione delle relazioni che permette il
libero dispiegamento dei diversi interessi privati in lotta sul terreno dell’economia.

La separazione tra pubblico e privato ha una sua logica molto forte → solo teorizzando la
possibilità di soddisfare i propri bisogni scontrandosi sul piano economico e privato, si può
evitare che gli individui, assunti come mossi solo dal proprio egoismo, si lancino in un
conflitto di tutti contro tutti.

Tutta questa concezione, la figura del soggetto astratto, dell’individuo libero e


indipendente è una potente creazione sociale: l’individualismo moderno è una vera e
propria creazione collettiva e non già il riconoscimento di una spontanea naturalità.

→ Per consentire il rispetto del principio base della modernità e impedire l’interferenza
nella sfera altrui è necessario attuare il potere coercitivo contro chiunque disturbi o
interferisca, potere che spetta allo Stato come unico e legittimo detentore della forza che
rende effettive le sanzioni contro la violazione del divieto.
La conseguenza di questo divieto è dunque che se si vuole ottenere il godimento della
cosa altrui occorre stipulare un contratto.

Il diritto è quindi + di un mezzo per risolvere i conflitti → è il principio organizzativo


attraverso il quale i singoli individui entrano in rapporti reciproci. Al di fuori dei rapporti
giuridici gli individui non intrattengono alcuna relazione socialmente significativa ( società
degli uomini = società giuridica ).

Bobbio. Afferma che il tratto più caratteristico della società moderna è il fatto che vi si è
realizzato il governo della legge al posto del governo degli uomini. L’esercizio di ogni
potere non è + un potere personale, non riflette una posizione di un uomo rispetto a un
altro uomo, ma è fondato sulla legge, è autorizzato dalla legge, è legittimato dalle legge.

Kelsen. Afferma che proprio il primato della legge ha posto fine al circolo della vendetta
privata. In particolare Kelsen afferma che il diritto è forza LEGALE adoperata per impedire
l’uso privato (illegale) della forza.

Nella concezione di Kelsen il diritto non è vincolato ad alcun valore, ma rappresenta uno
strumento quasi prefetto di controllo sociale, fondato su meccanismi formali e automatici e
non sulla coazione personale.

Webber e Kelsen affermano che il diritto consente l’unificazione di una società


atomizzata; permette la coesistenza del cosiddetto politeismo dei valori, la mancanza di
valori assoluti o verità vincolanti e allo stesso tempo realizzare una unificazione profonda
in modo da impedire che l’individualismo si risolva nel disordine e nel conflitto permanente.

CAPITOLO 3 LE APORIE DELLA MODERNITA’

La modernità è aporetica perché vuole realizzare simultaneamente la libertà degli individui


e l’autogoverno sociale. In realtà realizza il governo della forza e l’assoggettamento degli
individui.

Schmitt propone lo Stato- Società totale, ma il decisionismo di uno stato teologicamente


infondato si traduce nell’autorità del “Capo”. L’ordine si fonda quindi, su una decisione
concreta presa dal popolo sovrano attraverso una comunicazione diretta son il suo “Capo”,
che funge da custode e interprete della decisione del popolo, espressa generalmente
tramite il plebiscito. Il plebiscito per Schmitt, è una sorta di identificazione immediata
dell’intero popolo col “Capo”.
Kelsen propone un sistema libero dal naturalismo, una democrazia come procedura.
Nella sua teoria tenta di liberare l’ordinamento giuridico sia dai vincoli di un’autorità
sovrana, sia dai vincoli di una concezione organicistica della società. La strategia adottata
è quella di ridurre il principio democratico al formalismo procedurale.

LA DISSOLUZIONE DEL PARADIGMA KELSENIANO NELLA TEORIA SISTEMICA

Distaccandosi sia da Kelsen che da Schmitt, Luhman offre la soluzione migliore alle aporie
della modernità: la teoria sistemica.

Nell’epoca della modernità, nessun apriori può essere mantenuto, nessuna norma
trascendente può essere posta a garanzia del conflitto sociale.
Viviamo in un’epoca in cui tutto il diritto è diventato legge, posta da un organo competente,
staccandosi totalmente da qualsiasi vincolo naturalistico.
Anche il fondamento della democrazia muta; questa non è più procedura decisionale ,ma
semplicemente tecnica di controllo dell’autorità politica.

Luhmann elabora la teoria sistemica compiendo le mosse strategiche che Kelsen non ha
compiuto: ha posto tra la sfera della normatività e il mondo complesso, il sistema. Il
rapporto individuo/stato si risolve nel rapporto tra sistema/ambiente esterno.
La ratio del sistema non è più trascendente, ma è incorporata nello stesso e il senso
diventa “meccanismo di selezione” interno al sistema medesimo.
Il vantaggio del sistema è la sua capacità di durare.

Il sistema è ormai definitivamente immunizzato da ogni vincolo ( gius ) naturalistico e si


può “aprire” all’infinita possibilità del contingente.

→ Non esistono per il sistema nessi causali oggettivi, giacchè è il sistema stesso che
sceglie i criteri per risolvere i propri problemi interni. Il sistema è una trama di istituzioni
che selezionano le possibilità indeterminate dell’ambiente e le trasformano in alternative e
strategie compatibili con gli obiettivi della stabilizzazione e della conservazione.
→ Il sistema riduce la contingenza, ma allo stesso tempo la conserva perché il
meccanismo selettivo permette sempre un’alternativa, una scelta →

LA DEMOCRAZIA SECONDO KELSEN

 Kelsen affronta il problema della democrazia

 Una democrazia, in senso moderno, è definibile come la forma di costituzione in cui alla
produzione delle norme presiedono i cittadini che sono ad esse soggetti, tramite l'elezione
di propri rappresentanti

 Kelsen intende la democrazia come sintesi di uguaglianza e libertà: dalla nozione che tutti,
grosso modo, sono uguali deriva la nozione secondo la quale nessuno deve comandare su un
altro; l'esperienza però mostra che per essere tutti definitivamente uguali bisogna che ci sia un
potere che regolamenti in modo obbligatorio le relazioni degli uomini tra loro.

 dal momento che tutti devono essere liberi nella maggior misura possibile, tutti devono
partecipare alla formazione della volontà dello Stato” e quindi in misura uguale. Carattere
tipico della democrazia è allora che quelli che sono soggetti al comando, siano gli stessi che
comandano. la democrazia è quella forma di Stato o società in cui la volontà generale e l'ordine
sociale sono garantiti da chi è sottoposto a tale ordine, cioè dal popolo; qui si realizza l'identità
tra governanti e governati

 La libertà nella democrazia non consiste solo nella salvaguardia di una sfera di autonomia
dell'individuo dall'ingerenza dello Stato, come volevano invece i teorici liberali, ma nella
partecipazione dell'individuo al potere dello Stato. Sotto questo profilo, l'individuo
interviene nella creazione delle regole del diritto, soprattutto tramite la mediazione dei
partiti;

 lo Stato però presuppone che possa esserci discordanza fra l'ordine sociale e la volontà dei
sottoposti ad esso e così rinuncia ad una unanimità di fatto inattuabile a favore di decisioni
prese dalla maggioranza, proteggendo però le minoranze grazie alla garanzia costituzionale
dei diritti o libertà fondamentali degli individui. Nei grandi Stati moderni si pone allora la
necessità della rappresentanza: sotto questo profilo, il parlamentarismo è la più
importante limitazione all'idea di libertà e, dunque, di democrazia;

 Il popolo deve quindi limitarsi a creare e controllare l'organo della formazione della
volontà statale, cioè la classe governante. La democrazia è propriamente una forma, un
metodo di creazione dell'ordine sociale.
 Il nostro autore sostiene la tesi del relativismo etico ; un relativismo che garantisce un buon
funzionamento della democrazia, proprio perché essa stessa poggia sull’idea che non ci sia
una verità ultima a cui tutti debbano sottostare senza poterla discutere: se infatti si avesse
una “morale assoluta”, allora crollerebbero le condizioni di sviluppo della democrazia.
Kelsen si sofferma su quelle “morali relative” che accettano la loro reciproca differenza. È
caratteristica tipica della democrazia dunque il rispettare e rendere possibile la
manifestazione delle opinioni altrui, cosicchè il governo diventa la risultante di una libera
competizione tra idee per ottenere il consenso. La teoria di Kelsen dà così luogo ad una
concezione procedurale della democrazia, in cui assume funzione predominante la
procedura del dibattito.

II SISTEMA RIDUCE LA COMPLESSITÁ DELL’AMBIENTE, MA LA CONSERVA


RIPRODUCENDOLA AL SUO INTERNO.

→ Il “Potere” è una struttura di comunicazione che consiste nella possibilità di cui


dispone un soggetto, o una pluralità di soggetti, di scegliere con una propria decisione
un’alternativa per altri soggetti. È la facoltà di ridurre la complessità per gli altri. Questi
sono liberi di non uniformarsi → libertà condizionata.

→ La teoria sistemica riesce a superare le aporie della modernità perché supera il


distacco tra contenuto e forma, tra oggetto e soggetto e anzi li collega nel rapporto
sistema/ambiente.

LA TEORIA SISTEMICA DI LUHMAN

Per superare definitivamente ogni condizionamento di tipo causale o naturalistico,


Luhmann propone la coppia sistema/ambiente e sistema/sotto – sistema.

 Prima coppia: Sistema/Ambiente→ L’ambiente designa tutto ciò che è esterno al


sistema e che si presenta come complessità che il sistema sociale ha la funzione di
cogliere e di ridurre.

 Seconda coppia: Sistema/ Sottosistema→ il sotto – sistema designa l’esito delle


strategie del sistema sociale per ridurre la complessità dell’ambiente.

Entrambe queste coppie sono relative e dal punto di vista del sistema sociale
complessivo, l’ambiente è il “mondo come problema”. Proprio per rispondere a tale
complessità, il sistema sociale crea dei sotto – insiemi. Dal punto di vista di ciascun sotto –
sistema, costituisce “ambiente” tutto ciò che ad esso è estraneo. Ciascun sotto – sistema,
inoltre, per rispondere alla complessità del suo ambiente può, a sua volta, differenziarsi in
ulteriori sotto –sistemi.

Esito. Tramite l’artificialità del sistema, la teoria sistemica di Luhman pone fuori
dall’orizzonte sistemico le aporie e le contraddizioni dell’eguaglianza e della democrazie,
le contraddizioni del moderno.

L’unica distinzione possibile è puramente quantitativa:


→ SISTEMA + COMPLESSO → è anche più differenziato, in grado cioè di fronteggiare un
livello massimo di indeterminatezza delle possibilità presenti nell’ambiente . Un sistema
altamente differenziato è normalmente un sistema + democratico
→ SISTEMA – COMPLESSO → è anche meno capace di fronteggiare la complessità
delle possibilità offerte dall’esperienza vivente.

L’INDIVIDUALISMO DI MASSA È IL COMPIMENTO DELL’INDIVIDUALISMO


POSSESSIVO

Fra l’individualismo originario del diritto di proprietà privata e l’individualismo (attuale) di


massa dell’uomo, narcisticamente orientato verso una infinita gratificazione dei propri
desideri c’è una sostanziale continuità.

L’individualismo originario, era determinato dalla proprietà e dunque dalla libertà di


poter fare ciò che si vuole con le proprie cose. Precedentemente il proprietario si
distingueva dagli altri soprattutto in virtù degli status, ma pian piano la libertà ha perso la
propria forma diventando semplicemente indeterminatezza e l’individuo ha perso
consistenza venendo considerato solo in base al suo consumo e ai suoi bisogni. Sono
scomparsi gli status ed è avvenuta una massificazione.
L’individualismo odierno è un individualismo di massa in cui l’individuo è destrutturato e
l’esclusiva importanza attribuita ai suoi desideri ha creato una realtà mercificata.

La tesi di Barcellona consiste nel ritenere che siccome tutto sembra astrattamente
permesso a tutti, allora non c’è più margine per una determinazione dello statuto
dell’individuo. L’individualismo di massa contemporaneo viene letto da Barcellona come
una conseguenza diretta dell’individualismo liberale che ha inteso e promosso la libertà
come un ideale inerente ad ogni individuo. Non riuscendo più a porre un discrimine per
l’identificazione degli individui , si diventa paradossalmente tutti eguali e l’unica vera libertà
concessa è la pura libertà d’acquisto, di consumo.

IL QUADRO DI RIFERIMENTO TEORICO DELLA TEORIA DEI SISTEMI

La teoria dei sistemi considera la diversità dei punti di vista e di osservatori come
essenzialmente irriducibile; non si dà perciò un punto di osservazione onnicomprensivo ed
esterno, in grado si superare la parzialità dei punti di vista. I punti di vista sono irriducibili.

IL SISTEMA DEGLI SCAMBI → definisce la compatibilità fra la struttura dell’ambiente e la


struttura del sistema, rendendo possibile la stabilità dello stesso di fronte alle continue
perturbazioni provenienti dall’ambiente esterno. Si giunge così a quella che è stata
chiamata antropologia negativa secondo Gehlen.

ANTROPOLOGIA NEGATIVA. GEHLEN → Secondo Gehlen l’uomo è una mancanza,


una sprovvedutezza biologica, perché non ha la specializzazione biologica istintuale che
caratterizza il resto del mondo animale. L’assenza di un saldo vincolo istintuale rende
difficile il compito fondamentale dell’uomo, il suo stesso mantenersi in vita. L’uomo si libera
dalla manchevolezza biologica attraverso il processo di istituzionalizzazione di regole e
forme di comportamento oggettive e determinate.
Ciò si ottiene in maniera ideale per mezzo della teoria sistemica: l’istituzione deve ridurre il
mondo esterno ad ambiente creando così una sorta di protezione istintuale artificiale al
posto di ciò che all’uomo manca per natura.
ISTITUZIONE → è in questa prospettiva lo strumento attraverso il quale si realizza la
possibilità di sopravvivenza dell’uomo privo di vincoli istintuali.

L’istituzionalizzazione avviene per mezzo della tecnica, lo strumento attraverso il quale


viene realizzato il compito di mantenersi in vita in un ambiente ostile e pericoloso. Compito
della tecnica è realizzare il progetto iscritto nella manchevolezza biologica dell’uomo.

Sempre secondo Gehlen il progressivo indebolimento del contatto diretto fra l’individuo e il
mondo naturale ( a sé ostile per la mancanza di ciò di cui abbiamo parlato prima ), è un
significativo risultato del progresso scientifico e tecnico.

LA SOLIDARIETÁ FRA GLI ESITI DELLA TEROIA SISTEMICA E LE PREMESSE


DELL’INDIVIDUALISMO BORGHESE.

Nel pensiero di Hobbes, l’illimitato desiderio del possesso spinge l’uomo nel mezzo di una
conflittualità permanente. Per questo l’autore propone di costruire l’ordine come il risultato
di una decisione, che toglie l’uomo dalla sua condizione naturale e lo inserisce in un ordine
artificiale fondato sulla decisione sovrana del Leviatano.

→ Con la concezione e l’antropologia individualistica di Hobbes, la vita stessa dell’uomo è


gettata dentro il conflitto che diventa il suo luogo strutturale, un luogo di disordine
permanente. La conflittualità è per Hobbes appunto il terreno sul quale si realizza
contemporaneamente la soddisfazione del bisogno, ma anche lo scontro fra gli interessi.
L’impulso alla soddisfazione dei bisogni, l’illimitato desiderio che non trova misura, si
risolve in Hobbes in una conflittualità strutturalmente distruttiva.

ENRIQUEZ”. Il principio della produzione è strettamente legato alla concezione dell’uomo


come macchina desiderante. L’alter ego della macchina produttiva è la macchina del
desiderio.

Per la prima volta nella storia si pensa che la propria attività lavorativa possa costituire
l’oggetto di contratto di scambio. Il lavoro diventa oggetto di un diritto.

→ Sono tre le idee decisive per descrivere il cambiamento dell’attuale ordine sistemico:

PROPRIETÁ LIBERA → cioè la costruzione del concetto moderno di proprietà come


proprietà che si separa, non soltanto dai vincoli, ma anche dalla sua inerenza alla
persona, dal suo essere quasi una proiezione del proprietario.
LA LIBERTÁ DI DISPORRE DEL PROPRIO LAVORO → la libertà è la vera “ attribuzione”
che l’ordinamento compie nei confronti di tutti gli individui viventi sul territorio nazionale.
Poiché la libertà è un’attitudine astratta e permanente, riferibile a chiunque, essa non si
perde neanche quando l’individuo, alienando la propria forza lavoro sul mercato, si obbliga
a lavorare all’altrui dipendenza.
SDOPPIAMENTO DELL’INDIVIDUO → da un lato il soggetto giuridico, libero e autonomo;
dall’altro lo stesso individuo reinterpretato come oggetto di contrattazione, come proprietà
di cui il soggetto giuridico dispone.

La regola di libertà è produttiva di una reificazione dell’uomo che gli consente di cedere
come “cosa”, attraverso il contratto, le proprie energie, le proprie capacità, senza
formalmente alienare se stesso come uomo. Non è altro che l’esito di un processo di
emancipazione e liberazione dell’uomo, che diviene “proprietario” di se stesso.

→ Il diritto cambia natura, non attribuisce diritti, ma riconosce libertà. Kelsen ha formulato
la nozione di imperativo ipotetico cioè una contraddizione, un comando che non comanda.
La logica giuridica intesa in questi termini è già una logica ambigua, poiché afferma a
parole il primato dell’ordine giuridico come ordine astratto, ma poi lo nega nei fatti perché
dà verità esclusivamente a ciò che viene realizzato nella prassi.

CAPITOLO 4. COMPIMENTO E DISSOLUZIONE DEL PARADIGMA MODERNO

IL TRIONFO DELL’INDIFFERENZA: LA MEDIAZIONE PRISMATICA

Nel progetto della modernità si compie un esito di particolare importanza: la


desocializzazione dell’individuo e l’assunzione della libertà singolare a parametro
fondamentale di ogni evento.

 Secondo Schmitt, il progresso e la stessa nozione di Occidente hanno portato a una


cancellazione delle differenze, a una uniformazione tendenziale del mondo.
Barcellona afferma, come Schmitt, che la società che appare ai nostri occhi è priva di
confini e di linee di determinazione; sono saltate tutte le classificazioni rigorose e le
divisioni poste in essere dalla ragione illuministica.

Mai come nell’epoca presente, la giuridicizzazione della vita individuale e collettiva


raggiunge livelli apicali: per ogni caso c’è una norma; una legge per ogni avvenimento, per
ogni “emergenza”.
Mai come nell’epoca presente, la stabilità sociale sembra un risultato definitivamente
acquisito: le trasgressioni, non sono più capaci di far saltare l’ordine costituito e il sistema
sociale.

→ L’uomo moderno, privo di determinazioni sociali che ne definiscono l’appartenenza a


una tradizione, a gruppi e a interessi organizzati, è privo di confini e allo stesso tempo
chiuso nella propria fisicità e sensitività . La psiche è il nucleo insindacabile di ogni
persona che delimita la sfera interna dalla sfera esterna.

Barcellona ha personalmente trovato una via per cercare di comprendere le modalità in


cui oggi si realizza l’auto – rappresentazione del singolo: la mediazione prismatica.
La mediazione dello “specchio prismatico”, capace di riflettere tutte le figure, i bisogni, le
passioni, e di restituirli al destinatario come un’immagine personalizzata e allo stesso
tempo multipla.

→La “mediazione prismatica” è una mediazione allo stesso tempo totalizzante ( perché
tutte le immagini sono riflesse e nessun angolo può sfuggire alla “rapacità” del prisma ) e
frantumata, giacchè nessun punto è in grado di “rappresentare” l’unità dell’oggetto –
soggetto.
→ Il prisma è il nuovo organizzatore della monadicità (monade = ciò che è indivisibile,
semplice ) individuale e, allo stesso tempo, la sua dissoluzione nella fuga delle immagini
non comunicanti.
→ Tramite la mediazione prismatica, ciascuno è interlocutore di se stesso tramite la
“macchina pensante”, che rende disponibile “apparentemente” il mondo esterno in modo
conforme alle proprie esigenze.

LA CATEGORIA DELLA COMPLESSITÁ: UNA PAROLA CHIAVE

COMPLESSITÁ:

→ come indisponibilità individuale dei dati


→ come non univocità degli stessi
→ come pluralità di centri di informazione, di decisione , di azione.

LA COMPLESSITÁ È IL SUBSTRATO DELLA MEDIAZIONE PRISMATICA, la quale


comporta:

1. LA REINTEGRAZIONE DELL’OSSERVATORE NELLE PROPRIE


DESCRIZIONI → si tratta del riconoscimento del carattere dipendente
dall’osservatore di tutte le nozioni relative al campo osservato . Non è possibile
assumere il punto di vista dell’osservatore a prescindere dal modo in cui viene
configurato il campo di osservazione, e viceversa, non è possibile definire il
campo di osservazione prescindendo dal punto di vista dell’osservatore.
Si nota in tal modo il carattere circolare della conoscenza, ossia il fatto che nel
processo conoscitivo si istituisce una relazione tra osservatore e oggetto
dell’osservazione.

2. IRRAGGIUNGIBILITÁ DI UN PUNTO ARCHIMEDICO → Circolarità della


conoscenza significa però anche l’irraggiungibilità di un punto archimedico, a
partire dal quale sia possibile la rappresentazione della totalità sociale nel suo
insieme. Non c’è più nessun luogo a partire dal quale sia possibile attingere una
verità oggettiva.

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