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Hans Jonas

"Il principio "Responsabilit" 1. Professor Jonas, Lei considerato come uno dei pi famosi filosofi del nostro tempo e il suo nome rappresenta la coscienza ecologica della nostra epoca. Pochi filosofi hanno mostrato in maniera pi incisiva i pericoli che l'umanit dovr affrontare e nessuno ha rapportato ad una fondazione metafisica i nuovi problemi etici che dobbiamo risolvere in maniera pi profonda di quanto abbia fatto Lei. Nel Suo lavoro la coscienza etica e la speculazione teoretica si sono intrecciate in un modo singolare. Come si sviluppato il Suo pensiero dopo i Suoi lavori sullo gnosticismo, quando Lei ha iniziato a studiare il problema della filosofia della vita? Perch Lei pensa che la filosofia della vita, degli organismi occupa un ruolo specifico all'interno di tutta la filosofia? Quale , dal Suo punto di vista, la caratteristica fondamentale degli organismi? Bene, Lei ha posto due domande. La prima : perch io pensi che una comprensione degli organismi sia filosoficamente rilevante; e l'altra : quali sono le principali, le essenziali caratteristiche della vita organica o della forma di esistenza organica. Bene, riguardo alla prima domanda, c' da dire che esitono delle buone ragioni per cui, sin dagli inizi, la filosofia si occupasse dell'antico problema dei rapporti tra mente e corpo, tra materia e mente e anima e corpo - si tratta di problemi che sono anche strettamente legati al fatto della mortalit e forse della immortalit dell'anima - e che esigono una comprensione della connessione tra questi due aspetti della questione. E il collegamento, naturalmente, il nostro corpo. Ed del tutto chiaro che noi pensiamo che chi capace di dire dentro di s "io" e di collocarsi al di fuori da qualunque altra cosa e anche da altri "io", altri "ego", mantiene le sue relazioni con il mondo e anche con s stesso attraverso le sensazioni del proprio corpo. Per esempio, adesso, in questo momento, nella nostra conversazione, ci sono suoni che mi provengono da Lei e ci sono suoni che provengono a Lei da me e attraverso la mediazione di meccanismi molto complicati e molto sofisticati del nostro orecchio, nei nervi e nel cervello e cos via, noi riusciamo a capirci l'uno con l'altro, sperabilmente. Qualche volta, magari, ci fraintendiamo, ma essenzialmente sappiamo di noi e degli altri e del mondo intero attraverso questo modo basilare dell'esistenza: il corpo vivente. E il corpo vivente non la stessa cosa di un sistema fisico. E' anche un sistema fisico, ma deve essere di pi . Difatti, pure una macchina sofisticata potrebbe essere in grado di dire "Io", ma essa non una realt vivente, proprio no. Perci , il fatto che il tema del rapporto tra la mente e la materia, tra anima e corpo e pertanto anche il problema della libert e della necessit , della mortalit e dell'immortalit , del tempo e dell'eternit siano connessi a questo modo di esistere, molto fragile e precario, ossia al modo organico di esistenza - perch l'organismo al tempo stesso una cosa meravigliosamente efficiente e molto vulnerabile - il fatto, dunque, che tutto ci sia centrato sull'organismo pone un problema serio e reale alla filosofia, un problema che la filosofia ha risolto per lungo tempo in modo dualistico; e ci perch essa aveva scoperto il miracolo della mente e specialmente dalla mente che capace di trascendere il momento,le sensazioni, le sensazioni corporee del momento e ci che riguarda il momento presente e occuparsi di questioni di rilevanza e validit eterna. A questo riguardo il mio esempio favorito Pitagora, il quale, scoprendo il suo famoso teorema, cap che esso valido non solo nel momento della scoperta, ma che vero per tutti i tempi, sia che esso fosse stato conosciuto o non conosciuto. Questa capacit trascendente della mente ha sedotto la filosofia per lungo tempo e l'ha portata a contrapporre due entit , per cos dire, o due poli, due poli dell'esistenza distribuiti in due differenti ambiti dell'essere: l'ambito della materia, della sostanza, della sostanza fisica, e l'ambito della mente, del pensiero puro, dell'anima. Il primo, l'ambito della materia, caduco, l'altro, quello dello spirito, immortale. L'uno senza alcun sentimento e alcuna forma di passione soggettiva; l'altro un ambito di pura coscienza e di puro spirito. A dire il vero, ci sono delle obiezioni molto serie contro questa spaccatura della realt , contro questa scissione dualistica, sebbene essa abbia rappresentato il punto d'avvio di correnti di pensiero molto importanti. Questa , quindi, la risposta alla domanda sul perch io consideri quale argomento filosoficamente rilevante quello di comprendere la natura dell'organismo, il quale organismo , a dir poco, il punto d'incontro, se non molto di pi del punto d'incontro, di questi due differenti ambiti di realt . E ora l'altra domanda: quali sono le caratteristiche essenziali degli organismi viventi? Un tale interrogativo, ovviamente, troppo ampio per una conversazione breve come la nostra, ma una cosa che mi colp inizialmente quando rivolsi la mia attenzione a tale questione, in qualche modo insoddisfatto delle concezioni di filosofi precedenti, incluso il mio caro, amato Leibniz, fu esattamente il fenomeno della mortalit , il fatto che l'organismo qualcosa di molto caduco, che l'organismo perirebbe se non facesse costantemente qualche cosa contro ci , se non rinnovasse senza posa il suo stesso essere attraverso un'attiva interazione con l'ambiente e il rapporto fisico con l'ambiente. Questa relazione chiamata metabolismo. La parola tedesca un' ottima parola: "Stoffwechsel", scambio di materia con l' ambiente cio materia-energia. Non voglio insistere troppo su questo fatto: metabolismo significa un modo precario dell'esistenza perch da un lato un costante autorinnovamento, in modo da evitare la morte, dall'altro lato esso assolutamente necessario, giacch se esso non avesse luogo e non ci fosse questo scambio di materia con il mondo esterno, l'organismo ben presto perirebbe. E questo essere posti tra essere e non essere era per me una caratteristica essenziale dell'esistenza organica e ci naturalmente mi ha condotto subito a comprendere certe cose, che sono sempre state dette a proposito della condizione dell'uomo, della condizione umana, della condizione degli esseri mortali e che sono state espresse in una maniera molto spirituale e che portano ad una profonda comprensione della condizione umana. Penso ad Agostino, a Pascal e ad altri ancora, a questi profondi esploratori dell'anima. Noi effettivamente siamo gi segnati - prefigurati - in quel preciso modo di essere nel quale si radica la nostra vita, ossia l'essere organico che legato al metabolismo. 2. Certo, una caratteristica perlomeno di qualche organismo ci che noi chiamiamo "dimensione interiore" o qualcosa come la soggettivit , qualcosa come il sentimento. Lei pensa che questa dimensione, questa dimensione interiore, sia una caratteristica di tutto ci che vive, o solo di animali, o meglio solo degli animali superiori? E che cosa ci autorizza a dire che un altro essere possiede una tale soggettivit ? In effetti, non difficile vedere che qui ci sono dei problemi metodologici tremendi, perch noi possiamo osservare soltanto gli aspetti esteriori della soggettivit . Come abbiamo detto prima, Lei ascolta i suoni che provengono dalla mia persona, Lei per pu cogliere immediatamente solo ci che viene dal suo stesso essere interiore. Perci non sorprende che un pensatore dalla grandezza di Descartes abbia negato che gli animali posseggano una dimensione interiore, mentre dall'altra parte il suo amato Leibniz ha pensato che tutti gli esseri, anche gli esseri inorganici, abbiano

una forma, per quanto debole, di soggettivit . Certamente queste due posizioni sono contrarie al senso comune, ma quali sono le Sue argomentazioni a difesa del senso comune? Il mio argomento principale a difesa del senso comune il seguente: che la presunta verit , stando alla quale uno conosce immediatamente solo la propria coscienza e che la conoscenza dell'altra coscienza solo indiretta, semplicemente una credenza falsa. Della mia stessa coscienza, se la considero ontogeneticamente, se guardo a come essa si formata, devo dire: senza l'esperienza di altre coscienze intorno a me che esprimono se stesse nei loro volti, in suoni, con gesti, in contatti nei miei confronti, io non avrei potuto sviluppare la mia stessa coscienza o interiorit e questa sarebbe rimasta probabilmente molto rudimentale. E' semplicemente falso che ci sia un ambito indipendente recluso e isolato della propria interiorit e che uno traduce artificialmente certi simboli che penetrano in essa dall'esterno, in termini di coscienza altrui. La realt che il nostro linguaggio - non solo il nostro linguaggio, ma anche ci che esperiamo in noi stessi - in modo considerevole, in grado considerevole, il frutto di altre coscienze. Questa coscienza altrui viene chiamata con termini comprensibili: societ , tradizione; ed la cultura nella quale siamo cresciuti. Essa qualcosa in cui noi siamo immersi, qualcosa che attivamente implicato nella formazione della nostra propria interiorit . Certo vero che una volta che siamo venuti in pieno possesso dei nostri poteri spirituali e che riceviamo utili input dall'esterno, vero che noi potremo prendere una posizione come quella che Descartes ha reso famosa. In effetti, io non posso, per , credere che era veramente serio quell'ufficiale Cartesio ,il quale, durante la guerra dei trent'anni, cavalcando il proprio cavallo, mentre cavalcava il suo cavallo, pensasse che questo cavallo non era minimamente animato da nessuna interiorit propria, che esso fosse una semplice macchina totalmente condizionata e che reagisse a certe sollecitazioni del mondo esterno con determinate forme di comportamento. Non sono affatto certo che Cartesio credesse veramente in ci . E se egli avesse avuto un cane - e, probabilmente, egli lo ha avuto -, egli non avrebbe creduto neppure per un momento che il suo cane fosse privo di interiorit . La sua concezione fu dovuta ad una specie di "tour de force" filosofico per il quale egli aveva particolari ragioni metodologiche. Egli, difatti, aspirava ad una natura interamente spogliata dell'elemento misterioso, in modo da poterla trattare, da poterla assoggettare completamente ai criteri e ai metodi cognitivi della conoscenza quantitativamente misurabile del mondo esterno, alle regole della scienza naturale moderna. Ed egli riserv solo per la coscienza umana questo speciale "status" di poter entrare in relazione con l'esterno come se essa fosse all'interno di una particolare tipo di macchina fisica, cio a dire il corpo umano. Ma nessuno di noi prende realmente sul serio siffatta concezione. Ed io dubito del fatto che lo stesso Cartesio l'abbia presa davvero sul serio. Ci per la semplice ragione che essa intrinsecamente impossibile. Ecco, dunque, che alla Sua domanda su che cosa si pu dire a favore del senso comune qui possibile rispondere che la nostra comprensione delle menti altrui precede di fatto la comprensione delle nostre menti. Questa dunque, semplicemente la risposta. 3. Certamente, questo problema del rapporto tra mente e corpo una delle questioni filosofiche pi misteriose e difficili. Lei rifiuta, a riguardo, sia l'epifenomenalismo monistico che la soluzione dualistica di Descartes. Come caratterizzerebbe la Sua propria posizione? Ebbene, la mia posizione un tentativo di monismo privo del non-senso dell'epifenomenalismo. In ogni caso teoreticamente una questione molto difficile quella che Lei sta ora ponendo. Io ho dedicato ad essa un breve trattato sui poteri e i limiti della soggettivit , dove ho cercato in qualche modo di districare la problematica, alquanto complessa, della questione. Vede, quando qualcuno sostiene la concezione dualistica, la situazione chiara. C' l'ambito della materia e precisamente l'universo fisico. In quest'ambito la scienza naturale regna in modo incontrastato; e qui "regna" significa che essa applicabile da per tutto ed estendibile ovunque, nel senso che una scienza naturale corretta valida da per tutto. E dove essa si dimostra insufficiente, questo sta a significare di fatto che la scienza naturale non ancora completa, che dobbiamo migliorarla nei suoi stessi termini. E dall'altra parte noi abbiamo l'interiorit , il regno della coscienza, che Edmund Husserl ha chiamato propriamente l'ambito dei fenomeni interni; e questo ambito qualche cosa che non ha niente a che fare nei suoi stessi modi di agire, con la causalit e con le altre leggi che connettono e dominano il mondo della materia. E' molto chiaro che tale posizione non sostenibile, il dualismo non sostenibile per tutta una serie di ragioni. Io, da parte mia, ho avuto il mio personale incontro con il mondo del dualismo: i primi dieci-quindici anni del mio lavoro teoretico li ho dedicati - come Lei ha prima menzionato - allo gnosticismo; e lo gnosticismo rappresenta l'acme della speculazione dualistica sulla natura delle cose, sulla natura dell'universo e anche della costituzione umana. Il dualismo ha una storia molto venerabile, basti pensare al vecchio Platone, che uno dei grandi fondatori del dualismo, uno dei pi grandi pensatori di tutti i tempi Eppure, nonostante ci , il dualismo non sostenibile, noi non possiamo formare il concetto di un'anima che non ha niente di corporeo. Perch dico ci ? Lo dico non solo perch uso il corpo mentre proferisco suoni, ma faccio uso, adopero qualcosa di corporeo, mentre formo i miei pensieri, li formo in suoni che sono chiamati linguaggio. E cos ogni concetto che io uso in qualche modo carico o almeno permeato di esperienze corporee, di esperienze fisiche. Non possiamo realmente tracciare una divisione tra mente e corpo. La verit che il dualismo non funziona per tutta una serie di ragioni teoriche, che sono molto pi profonde di quel poco che ho qui soltanto accennato. Da parte sua, il monismo completamente inaccettabile, allorch assoggetta la comprensione della mente alle richieste dalla scienza della materia. Ed proprio questo ci che il monismo ha sempre preteso di essere:una interpretazione monistica, per esempio del nostro comportamento, incluso il comportamento del nostro cervello, e, come conseguenza, del comportamento dei nostri cervelli, il comportamento delle nostre menti. Una spiegazione in questi termini ha sempre significato che come il corpo deve agire, in accordo alle leggi di natura, cos la mente non altro che una semplice espressione di ci che comunque fa il corpo. Ebbene, una concezione del genere rende nullo qualsiasi sforzo, distrugge la realt di qualsiasi essere ragionevole che prende delle decisioni, che sceglie tra due linee di azione, o che decide di seguire le leggi della ragione piuttosto che l'impulso della passione.Tale concezione nientifica tutto ci , a motivo del fatto che risolve tutto dentro le famose leggi deterministiche di natura, che rendono la mente una specie di riflesso speculare della materia, e nulla pi . E' cos , pertanto, che il monismo, inteso in questo modo, non funziona. Tuttavia, debbo dire che la risposta al nostro problema, deve essere, in certo qual modo, ancora monistica, in quanto dall'intimo pi profondo che noi siamo inclini a credere che l'essere sia uno. E se noi ora assumiamo questa idea come nostra prima ipotesi, da essa segue che noi non dobbiamo interpretare noi stessi nei termini dell'uno o dell'altro dei due poli - corpo e anima, spirito e materia, oggettivit e soggettivit - ma che dobbiamo interpretare il nostro essere comprendendolo in termini che ammettono la coesistenza dei due aspetti, ognuno dei quali ha suoi diritti e viene visto come una manifestazione della medesima realt di base. Tutto ci mi ha portato ad una certa interpretazione, ad un tentativo di una nuova interpretazione dell'antico problema della libert umana - ed ho cercato di mostrare che essa compatibile con il determinismo imperante nell'ambito della realt fisica, senza peraltro strappare via la mente o l'anima dall'ambito della realt fisica. In altre parole, ho tentato di confutare e respingere

l'argomento cosiddetto della compatibilit , secondo cui la libert umana incompatibile con le leggi di natura. Essa compatibile almeno con la nuova concezione delle leggi di natura che noi abbiamo da quando apparsa sulla scena la meccanica quantistica.

4. Naturalmente, Lei sta qui parlando della libert solo in riferimento a quell'essere che sta all'apice della evoluzione del regno animale, ossia dell'uomo. Secondo Lei, in che cosa consiste l'essenza dell'uomo? Penso che il vecchio modo di rispondere a questo interrogativo sia la maniera aristotelica di trasformare la domanda nella seguente maniera: quale la "differenza specifica"? In base al "genere" l'uomo un animale. E Aristotele era molto chiaro su questo punto. L'uomo, a motivo di tutta una serie di caratteristiche inseparabili da lui, e in qualsiasi concezione che dell'uomo ci possiamo formare, appartiene al grande "genere" degli animali. Gli animali non sono tutta la vita, poich esiste un'altra grande classe di esseri viventi, quella delle piante. Aristotele, ovviamente, non conosceva i virus, che rappresentano una realt in qualche modo neutrale, in riferimento alla divisione tra animali e piante, ma per il momento possiamo lasciare da parte tale problema. Il fatto che la divisione di Aristotele era una divisione molto valida. L'uomo, insomma, appartiene al genere degli animali e ci che, tra l'altro, distingue gli animali dalle piante, che essi si muovono liberamente e che hanno organi di senso che li informano sui cambiamenti che hanno luogo nel mondo esterno. Essi posseggono motilit e non solo si muovono liberamente, essi hanno anche il potere di dirigere i loro movimenti in accordo a certe scelte che essi fanno in base alle loro percezioni del mondo. Nel regno animale, dunque, esiste la percezione, esiste la motilit e vi qualcosa un qualche potere di decisione, poich anche una lepre pu correre da una parte o dall'altra nel momento che sceglie, pur senza una adeguata deliberazione, dato che, nel caso di una lepre, forse il panico a costituire la ragione per cui, davanti ad un pericolo, la lepre va da una parte invece che da un'altra. Bene. E' certo che l'uomo condivide con gli animali tutte queste caratteristiche, specialmente con gli animali superiori che hanno sensi per le lunghe distanze, che hanno un grosso dominio sul loro limbico, che sono capaci di una grande motilit , che posseggono capacit di rapide reazioni e cos via. E ci sono poi tante altre cose che l'uomo ha in comune con gli animali di specie inferiori. Cos , per esempio, l'uomo un mammifero, cosa che non tutti gli animali sono. Respira aria; e cos'altro? Aristotele, per , si chiese, dopo tutto questo - che cosa distinguesse l'uomo dagli altri animali. Difatti, sebbene l'uomo sia un animale egli non tuttavia uguale agli altri animali, almeno rispetto ad una cosa che, quando presente, ci induce a dire che ci troviamo davanti ad un uomo. E questa cosa non semplicemente il suo corpo; deve essere qualcosa che egli fa o di cui capace: si tratta del ragionamento o linguaggio. La parola greca per ci "logos",che in tedesco potremo tradurre con "Ausdruck". E l'uomo l'animale che ha il "logos". "Logos" cio linguaggio o ragione. E' questa una buona definizione. Certo non una definizione che sia perfettamente adeguata, si tratta piuttosto di una definizione di lavoro, e che suscita i suoi interrogativi. Il primo dei quali il seguente: questa ragione rende davvero l'uomo quello che ? Qui vediamo subito che l'uomo non soltanto ragione. Dopo tutto, se ci volgiamo al grande mondo dell'arte, se, diciamo, guardiamo alla volta della Cappella Sistina o a qualche altra grande opera, o se ascoltiamo una sinfonia di Beethoven, noi non ci troviamo in realt davanti al lavoro della ragione, almeno in primo luogo. Certo, nella creazione di queste opere deve essere entrata molta ragione, ma non la ragione il tutto di queste opere, sicuramente no, altrimenti gli artisti sarebbero tutti scienziati e nient'altro. E, allora, un intero complesso di funzioni, di forme di comportamento, di un fare e di un essere creativi, di creazione di un secondo mondo artificiale, di cambiamento del mondo che ci dato in qualcosa di altro: questo ci che distingue l'uomo da tutte le altre creature. Qui allora diventa una faccenda di gusto e di inclinazione degli interpreti,ovvero una questione di particolare situazione dell'antropologia, dell'antropologia filosofica, che, nei tempi passati, ha esaltato la ragione l'ha esaltata sopra ogni altra cosa; ma io ho dato una qualche preferenza alla libert del gioco dell'immaginazione umana, al fatto che l'uomo con la sua capacit immaginativa pu e vuole cambiare le immagini o idee nella sua testa e sostituire a quella che in essa sono state impresse dal di fuori con quelle che egli stesso ha creato nella sua mente, certo riferendosi in qualche modo anche a ci che egli ha ricevuto tramite le impressioni, ma variandole. E questo quello che sta alla base di ci che la ragione pu fare, ma anche alla base di tante altre cose, ivi incluse le cose terribili, giacch se l'uomo una creatura inventiva, egli pu inventare anche cose molto terribili, pu inventare cose belle, e cose a queste contrarie. 5. E' ovvio per - Lei dir - che sebbene l'uomo possa fare cose orribili, egli queste cose non le deve fare. E, allora, perch noi abbiamo dei doveri etici? Possono questi venir fondati? Debbono venir meglio fondati. Qui Lei pu notare un caso in cui la credenza, la fede che ci sia un fondamento precede la conoscenza di questo fondamento. In realt , c' qualcosa che Immanuel Kant - e abbiamo appena celebrato il duecentesimo anniversario della pubblicazione della "Critica della ragion pratica" - ha posto a base dell'agire: che la voce della nostra ragione pratica,della nostra ragione morale, la voce morale dentro di noi un fatto in se stesso, un fatto nel regno della verit e questo fatto ci obbliga a trovare il suo proprio fondamento. Non che noi deriviamo i nostri imperativi morali da un'ipotesi arbitrariamente posta, ma , invece, dalla presenza del fenomeno morale, in noi stessi che noi estraiamo il dovere di cercare una fondazione, la quale legittimi e giustifichi la nostra pretesa di dire: "Tu non devi far questo, ti assolutamente proibito far ci !" o "Tu devi far questo!". Siffatti imperativi non sono semplici espressioni di prefenze personali e soggettive, di preferenze individuali o di classe; in essi piuttosto vi una validit intrinseca. Ecco, dunque, che necessario trovare un fondamento della morale. E il mio particolare destino teoretico stato proprio quello della ricerca di tale fondamento. E ci mi ha posto in disaccordo con quasi tutte le correnti dominanti della filosofia del secolo XX; in disaccordo con la filosofia analitica, con il positivismo logico, con la filosofia del linguaggio, e cos via. In queste posizioni - le quali rappresentano una singolare esagerazione della filosofia critica, un eccesso della grande critica del XVIII secolo, un secolo che va da Hume a Kant - si decretato che sono accettabili unicamente quei problemi - accettabili filosoficamente per i quali ci si pu aspettare una risposta empiricamente verificabile, verificabile di principio. E' stato Wittgenstein a dire che "i problemi ai quali non si pu rispondere, non debbono neppure venir posti". Ebbene, una siffatta concezione proprio una autocastrazione della filosofia. Ed io mi rifiuto di piegarmi a questo imperativo del pensiero del secolo XX. Io sono abbastanza avanti con gli anni per comportarmi da arrogante, ma non ho paura se gli altri la pensano diversamente da me. Non mi importa, non mi preoccupo affatto se qualcuno dei miei colleghi filosofi dir questo o quello. E quando dico quelle cose che, secondo me, un filosofo ha veramente il dovere di dire, certo io le dico in modo molto imperfetto e posso solo

sperare che qualcuno le dir in maniera migliore dopo di me, ma io ho cercato di mantenere viva l'antica fiamma della metafisica che sembrava spegnersi o, almeno, sembrava gi ormai spenta ai nostri giorni. 6. Professor Jonas, penso di parlare non soltanto a nome mio se dico che tante, tantissime persone Le sono molto grate a motivo del fatto che Lei tiene accesa questa fiamma e Le d luce pura. Sono del parere che molto importante per l'umanit che la fiamma della metafisica, dei fondamenti metafisici, degli effetti delle nostre azioni, non si estingua. Penso che sia molto importante la Sua idea circa gli effetti metafisicamente fondati, secondo la quale, non solo le persone che sono viventi ora hanno dei diritti, ma che noi abbiamo una profonda responsabilit nei confronti delle generazioni future, nel senso che uno dei nostri compiti morali fondamentali deve essere quello di tenere il nostro pianeta in modo tale che i nostri figli e nipoti possano vivere su di esso. In realt , per la prima volta nella storia dell'umanit noi abbiamo la possibilit di distruggere il nostro pianeta: la tecnologia moderna ce ne d la possibilit , ma noi non dobbiamo farlo. Per quale ragione diciamo che esseri umani non ancora nati - le future generazioni - hanno diritti, e per quale ragione noi abbiamo il dovere categorico di fare tutto quello che in nostro potere per proteggere per loro questo pianeta? Con la Sua ultima domanda, Lei non ha riportato nella sua esattezza la mia concezione Lei ha chiesto: "quali diritti hanno le future generazioni rispetto a noi?" Non questo il mio problema. Certo, se noi mettiamo al mondo dei figli, chiaro che essi hanno nei nostri confronti delle pretese, esigono protezione e noi non potremmo soddisfare queste loro esigenze se roviniamo il pianeta, se saccheggiamo la loro eredit: questo sicuro. Tuttavia, questa lineare argomentazione, che si basa sui doveri che abbiamo nei confronti dei nostri discendenti, pu venir controattaccata per mezzo di una semplice domanda: "Dove sta scritto o su quale principio si basa la richiesta che ci saranno dei nostri discendenti?". Forse questa o quella generazione umana potrebbe essere l'ultima. Non la prima volta nella storia della vita e dell'evoluzione che una specie si estingue e forse proprio questo - l'estinzione - quello che c' scritto per noi nel libro dell'evoluzione. E le cose potrebbero andare proprio cos . E, allora, ecco qui il mio argomento: "No, noi non siamo autorizzati a compiere il suicidio della specie e a permettere che avvenga il suicidio della specie". A questo proposito, per potrebbe venire avanzata la seguente domanda: "Perch mai dovrebbe valere per l'uomo ci che non riteniamo valido per qualsiasi altra specie sulla faccia della Terra, e cio che egli deve perpetuarsi all'infinito?". La risposta, a tale interrogativo, che ci si d perch l'uomo il pi alto culmine della scala evolutiva e noi costituiamo - come posso dirlo? - il tentativo pi ardito della Divinit di esprimere se stessa nella creazione, per cui noi, semplicemente, non dobbiamo mancare nei confronti del progetto del nostro Creatore. E dobbiamo fare cos perch non c' nessuna garanzia che noi non manderemo in rovina lo sviluppo dell'umanit e con ci il progetto divino nel mondo, cos come noi lo conosciamo qui sulla Terra. Ci che altrove nell'universo noi non lo conosciamo, ci possono essere altri mondi abitati da esseri ragionevoli, ma noi siamo responsabili di quanto qui e di ci che facciamo del patrimonio a nostra disposizione. E questo il punto centrale dell'etica, della metafisica etica. Non si tratta, quindi, dei diritti dei nostri discendenti individuali. Naturalmente, io non nego loro simili diritti, ma dico che essi non hanno primariamente nessun diritto di esistere. E non si pu dire di un essere immaginario che questi ha diritti; e non esistono diritti di esseri che non ci sono mai stati. Esistono unicamente i diritti di esseri che esistono, e se io metto al mondo degli esseri, allora io ho una specifica responsabilit nei loro confronti. Ma che si debba continuare a generare figli e a proseguire con l'avventura umana un fatto che poggia su di un fondamento diverso dal comune senso di equit , di giustizia e cos via. E' una questione che di nuovo ci porta su di un terreno metafisico. 7. E, allora, se L'ho ben capita, Lei afferma: "Il nostro dovere di non commettere il suicidio della specie non un dovere verso le generazioni future, giacch esse non esistono ancora, ma un dovere nei confronti del nostro Dio". O nei confronti del nostro essere, nei riguardi del fondamento dell'essere, nei confronti di Dio, s , direi nei confronti di Dio. 8. E' certo che, su questa base, devono venir prese importanti decisioni politiche. Ebbene, in quale sistema politico Lei pensa che noi possiamo meglio raggiungere quanto necessario al fine di preservare questo pianeta, perch possa continuare a realizzarsi l'avventura divina su questo pianeta? Non lo so. Ho riservato una qualche attenzione e tempo e spazio a tale problematica in uno dei miei libri. E l'ho fatto confrontando tra di loro i diversi sistemi sociali o sistemi di governo o sistemi di legge e di potere, che sono attualmente presenti su questo nostro pianeta. Bene, questi sistemi sono essenzialmente due: la societ occidentale, di libero mercato, la societ capitalista, e la societ comunista, tipica dei Paesi dell'Est. E debbo confessare di non essere giunto ad una decisione chiara. In realt , io non mi sono posto la questione con il proposito di studiare i valori intrinseci di questi differenti sistemi sociali; il mio interesse verteva sul seguente interrogativo: dove stanno le probabilit pi forti, che nel tempo potranno arrestare l'eccessivo uso e l'abuso di quei nostri poteri tecnologici che in maniera esponenziale e continua ci portano verso il disastro? Dove troviamo le migliori probabilit che gli uomini al potere faranno, nel corso del tempo, quel che necessario fare? Ho soppesato le varie possibilit , i pro e i contra, ed ambedue i sistemi hanno i loro pro e i loro contra, ed cos che non sono giunto - e spero che Lei non trovi la cosa reprensibile - cos , dunque, che non sono giunto ad una posizione chiara. E, intanto, -dico ci per inciso per il semplice fatto di essere seriamente interessato a come una tale questione si situi all'interno dei sistemi socialisti, alcuni miei critici hanno sostenuto che io avessi fatto una opzione per il socialismo. Naturalmente, per , anche l'altra parte potrebbe dire che io ho optato per il capitalismo, dato che valuto le possibilit che un disastro per l'umanit venga frenato in una societ capitalista La realt che se uno tenta una analisi spassionata, costui susciter le passioni dell'una o dell'altra parte. Tuttavia, nel frattempo io, in qualche modo, sono diventatoun po' pi ottomista, nel senso che si pu intravedere una via comune al di sotto delle differenze. Io dicevo queste cose gi in tempi in cui non si era avuto lo shock delle grandi catastrofi, e in cui gi le catastrofi di minore importanza avrebbero potuto condurre i grandi antagonisti su questo pianeta ad uno sforzo collaborativo inteso ad evitare catastrofi pi grandi. E pu ben darsi che quello che sempre di pi abbiamo esperito riguardo all'ambiente - e cio che il problema ecologico non conosce limiti di sovranit , confini di stato o di regime o di nazionalit , e che nei suoi nei suoi effetti globale - possa effettivamente portare i grandi avversari su questo pianeta ad una qualche collaborazione, dal momento che, dopo tutto, quanti stanno affondando sulla medesima barca dovranno pur fare qualcosa insieme, se non vogliono sparire insieme.

9. Dunque, dopo la Sua ultima risposta, stando alla quale noi dobbiamo ampliare il nostro concetto dir esponsabilit nel tempo - e ci perch dobbiamo considerare la possibilit della continuazione della nostra specie sulla terra come uno dei doveri dell'azione politica-, potrei allora dire che noi dobbiamo ampliare anche la nostra responsabilit nello spazio. Difatti, noi non dovremmo, i bravi statisti, i buoni governanti, non debbono pensare soltanto all'interesse del proprio Paese, ma all'interesse dell'intero pianeta e ed essi debbono sviluppare una responsabilit globale nei confronti del mondo, sia nello spazio che nel tempo. Ed ora, Professor Jonas, il nostro ultimo problema: quale la funzione della filosofia nella presente e specifica situazione dell'umanit ? Si ha l'impressione- e molti atteggiamenti tipici dello spirito dei nostri tempi rafforzano questa impressione- si ha dunque l'impressione che l'umanit vada verso un progresso nell'ambito della scienza e della tecnica, il quale estremamente rapido, un progresso che unico nella storia del mondo, e che, dall'altra parte, la razionalit etica, che si chiede non "che cosa possiamo fare", quanto piuttosto: "che cosa dobbiamo fare" - non si sviluppi con la stessa velocit , che sia stagnante, o forse che in questo campo sia presente addirittura qualcosa come una regressione. Ebbene, in una situazione del genere il concetto di progresso nel suo complesso che sembra essere diventato discutibile e in tale situazione la filosofia verosimilmente assume, di nuovo, un compito molto importante. Che cos' che Lei pensa su siffatto problema? Bene. Io non penso che il concetto di progresso si applichi nello stesso modo, nel medesimo senso alle due aree: quella scientifico-tecnologica e quella etica. Nella scienza e nella tecnologia noi possiamo parlare di progresso in maniera molto chiara: esso addirittura misurabile. possiamo, per esempio,misurarlo per mezzo della quantit di potere che l'uomo usando il termine in senso collettivo - ha sulla natura, sul suo ambiente e sugli altri esseri umani, dato che ha metodi per agire su di essi. E' cosa del tutto evidente che il motore a vapore di Watt, di di James Watt, scoperto alla fine del XVIII secolo, segn un progresso decisivo sugli altri modi di usare la forza umana, in vista della soluzione dei bisogni di sopravvivenza ed anche del miglioramento della nostra condizione materiale. Altri esempi sono rinvenibili in medicina, nelle comunicazioni e nei trasporti, e cos via. E' perfettamente chiaro che cosa significhi progresso in questi casi. Qui progresso significa che noi possiamo fare pi cose in modo pi efficiente, con meno sforzi e maggiore produttivit ; e che possiamo fare cose di cui la storia ci racconta che i nostri antenati non sognarono mai. Voglio dire che chi sognava del tappeto magico non previde le cose che noi oggi possiamo fare senza alcuna magia, che noi abbiamo superato tutti i sogni della magia e continuiamo a farlo. Non c' nessuna ragione per pensare o sperare o magari temere che tale progresso si fermer , a meno che noi non ci autodistruggiamo. Ora per che cosa significa progresso nell'ambito morale? Certo, non significa la stessa cosa del progresso scientifico-tecnologico; noi non possiamo misurarlo con con valutazioni chiaramente quantitative. Sicuramente questo non possibile. Innanzitutto, la prima cosa che c' da dire che qui il "progresso" un fenomeno individuale. E' di un individuo che diciamo che lui o lei si comporta bene, che una persona migliore o che si comporta peggio e noi sappiamo che un individuo consapevole di comportarsi in un modo invece che in un altro nei confronti degli altri ed consapevole, in linea generale di quello che fa della propria vita. E la filosofia ha da dire moltissimo su ci , nel senso che essa deve trovare quello in cui consiste una vita migliore, che cosa una vita migliore e che cosa bene e cosa male, che cosa merita di essere cercato, di venir raggiunto e che cosa dovrebbe venir evitato, e cos via. Sicuramente, esistono ricerche filosofiche sui valori; tuttavia, qualora si pensi ad una tendenza generale dell'umanit , di ogni societ , verso una precisa direzione, cio a dire che ci sia qualcosa di analogo al progresso che l'uomo ha conseguito nel trattare con la tecnica l'ambiente, che ci sia qualcosa di analogo a ci anche nella sfera morale, ecco tutto questo significherebbe non comprendere affatto la morale stessa. Il bene e il male vogliono valere per sempre. Noi in questo secolo siamo stati testimoni del fatto che potuto accadere qualcosa come il nazismo, come l'olocausto di Hitler, e questo avvenuto dopo duemila anni di educazione cristiana dell'umanit occidentale - educazione che era anche quella dei grandi filosofi greci, dei grandi filosofi pagani: Platone, gli Stoici, e i grandi pensatori etici. E noi non possiamo pensare di fare meglio di loro. E non possiamo consolarci dicendo che eravamo nella giusta strada del progressivo miglioramento e poi accaduto qualcosa, una specie di regressione in un tempo pi barbaro. Questo tempo non era affatto barbaro. Era un'epoca altamente scientifica, molto avanzata, decisamente fredda e molto razionale e non era affatto primitivismo selvaggio. La realt che noi dobbiamo accettare il fatto che l'uomo la creatura che capace del bene e del male; capace di essere buono significa essere capace di essere cattivo e malvagio. E tuttavia noi possiamo dire che la moralit , i costumi e le abitudini di una societ sicuramente migliorano se c' un buono stato, con un buon sistema giudiziario o, per considerare un altro esempio, se esiste una diffusa coscienza delle ineguaglianze e dei diritti, per cui ci saranno sforzi spontanei intesi a porre rimedio all'ingiustizia, o se esiste una sensibilit nei confronti della miseria altrui per cui verranno proposti interventi sociali o aiuti internazionali, e cos di seguito. Tutte queste cose rappresentano un progresso relativamente ad epoche precedenti durante le quali tali cose non esistevano o erano molto rudimentali. E in questo senso c' stato progresso morale. Ma non c' motivo di andarne orgogliosi o di esserne compiaciuti. Tuttavia insieme al progresso scientifico-tecnologico e quindi anche al progresso economico-industriale si avuto un certo progresso nella consapevolezza dei doveri morali, che erano stati predicati forse in ogni tempo. Sto pensando al fatto che, dopo tutto, non si pu migliorare il "Discorso della montagna". Penso che nessun miglioramento sia possibile; e poi chi vorr mai migliorare l' etica di Socrate? Chi mai? Qui non c' niente da migliorare.Cos stanno le cose. Tuttavia cresciuta la pervasivit di tali insegnamenti nella coscienza comune, nel senso, per dirla in maniera molto semplice, che la gente si vergogna di trovarsi dalla parte che si oppone a questi insegnamenti o perlomeno si sostiene che occorre conformarsi ad essi. Ebbene questo s , questo il tipo di progresso morale collettivo per il quale possiamo sperare; e siffatto progresso risulta evidente, generalmente, nelle legislazioni degli stati moderni, qualora li si confronti con i sistemi di leggi delle epoche precedenti, in cui queste cose non vi entravano, sebbene ci fossero anche allora coscienza, carit , gente che predicava la carit ed altri doveri. Ai nostri giorni certi valori sono, invece, incorporati nei codici di leggi e di comportamento pubblico. E' in questo senso, pertanto, che si pu parlare di una qual certa specie di progresso morale. Cosa questa, peraltro, che non esclude quella che si dice regressione, il ripiombare gi negli abissi della perversit della natura umana. Questo non escluso dal progresso morale conseguito. E la filosofia ha solo un'unica missione: quella di tener vive le grandi, antiche e venerabili idee, gi presenti nella sfera etica, e riformularle in accordo ai nuovi modelli cognitivi e ai nuovi modi di vedere le cose; occorre riadattarle e non far s che le antiche voci vengano semplicemente ripetute. (...) Voglio dire che bisogna far s che esse raggiungano le nostre orecchie e le nostre menti. E' in questo modo che probabilmente la filosofia, nei suoi rapporti con l'etica, potr assumere quel compito che sempre essa ha avuto; ma non dalla filosofia che potremo sperare di eliminare il "gap" - di cui Lei parlava - tra il potere degli uomini sulla Terra e la possibilit di di abusarne. La filosofia non sar in grado di eliminare tale pericolo.

10. Professor Jonas, l'umanit , al giorno d'oggi, non solo in grado di distruggere la natura esterna, l'umanit ha pure la possibilit di manipolare e danneggiare la sua intima natura. Quali principi etici debbono, a Suo avviso, guidare la tecnologia genetica? Il primo principio etico che viene in mente a questo riguardo il seguente: rispetto, abbi rispetto per quello che l'uomo , per l'integrit del suo essere. Ora, per , di solito il nostro approccio all'ambiente si ha soprattutto nel segno, sotto l'egida della tecnologia, e la tecnologia inventiva, migliora di continuo, migliora per soddisfare scopi umani. E' cos che si affaccia la grande tentazione di considerare come pezzzi dell'ambiente, capaci di miglioramento, anche noi stessi. Certo, in un qualche modo, anche noi siamo parte dell'ambiente e il DNA, il codice genetico esattamente un dato naturale al pari di altri dati e pu venir mutato, e, se viene mutato, io penso a ci come ad un suo miglioramento. Ebbene, migliorare in questo contenuto che ad un primo approccio un contesto medico, significa rettificare o correggere qualcosa di dannoso, prodotto della natura o del caso. Si tratta di un lavoro di riparazione o di restauro: ci che si chiama curare, guarire, l'ambito della tecnologia genetica, della tecnologia del gene; ed quell'ambito della medicina, dove ci si prefigge di eliminare, di sostituire a qualche parte danneggiata del sistema genetico, una parte buona. Si tratta di una riparazione. E' come se si avessero dei pezzi di ricambio che si mettono al posto dei pezzi danneggiati. La prima reazione di chi sente queste cose la seguente: "E perch mai queste sostituzioni non dovrebbero venire effettuate? Se le possiamo effettuare, dovremmo esserne felici, giacch cos si possono evitare, si possono eliminare non solo le malattie genetiche, che alcuni si portano dietro dalla procreazione, ma si possono evitare intervenendo sullo stesso dato genetico". Questa posizione abbastanza comune: si tratta di genetica terapeutica. In ogni caso, per , persistono serissimi dubbi, dubbi gravi sul fatto se sia permesso di intervenire sul processo genetico dell'ereditariet . E ci a motivo del fatto che quel che noi facciamo non circoscritto all'individuo sul quale noi lavoriamo, ma avr effetti sulla catena delle generazioni che seguiranno; e noi non sappiamo quel che abbiamo prodotto gi sulla prima, sulla seconda o sulla terza generazione; noi questo non lo sappiamo e probabilmente andiamo ben al di l delle nostre intenzioni. Lascio aperto questo problema, sottolineo per che qui si tratta di una possibilit seria e paurosa. L'approccio miglioristico impeganto a lavorare sul codice genetico e a localizzare in uno o pi geni la causa della malattia, come, per esempio,del diabete o dell'emofilia. Ma qui io ricordo ancora che, pi o meno, circa quindici anni fa, fu scoperto che tra i criminali,i quali hanno commesso crimini violenti, fosse prevalente o statisticamente pi frequente, che nella popolazione normale la doppia occorrenza di un cromosoma. Non ricordo bene il nome di questo cormosoma, potrei sbagliare. Chiamiamolo 'x'. Fu trovato che statisticamente, si badi, i portatori di siffatta tara genetica potrebbero avere un tratto aggressivo nel loro carattere, per cui si pens che si potesse lavorare per identificare tutte le persone portatrici di tale tara, eliminarla sin dagli inizi e ridurre cos in modo considerevole la violenza criminale. Ma aspettiamo un momento! Prima di tutto, sappiamo noi davvero che ogni aggressivit male? Siamo davvero convinti di volere una societ di agnelli? O forse una societ , dove vi sono anche leoni ed aquile, potrebbe essere molto migliore? In altri termini, non dobbiamo rimodellare l'uomo. La presenza dell'aggressivit fa parte dell'umanit , come fa parte dell'umanit la docilit , la vanit e il suo opposto, cio l'esser timidi e dubbiosi. E potrei seguitare. Tutte queste cose appartengono alla complessit dell'uomo e noi non dobbiamo partire col costruire un tipo di immagine ideale di uomo in accordo alla quale selezionare o in qualche modo manipolare l'eredit biologica dell'umanit . Ci completamente al di fuori dei nostri diritti, al di l della notra scienza e della nostra saggezza. E qui sta uno dei pericoli di questo nuovo potere che parte del pi generale potere scientifico-tecnologico, acquisito dall'uomo, ma che ora si dirige su noi stessi. La realt che noi non siamo i soggetti, che possono creare l'uomo, noi siamo stati gi creati.

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