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“CARLO BO”
FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
Corso di Laurea in Lingue e cultura per l’Impresa
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Capitolo I
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avrebbero potuto fare ricorso a politiche fiscali, aumentando le spese riducendo le
imposte.1 Sebbene i modelli kynesiani siano stati poi criticati e perfezionati abbiano
spiegato come mai le forze di mercato non operavano velocemente per portare
l’economia alla piena occupazione, la lezione base rimane valida. Il FMI fu incaricato di
evitare la nuova depressione a livello mondiale esercitando una pressione internazionale
sui paesi che, non facendo la loro parte nel mantenere la domanda globale, lasciavano
sprofondare le loro economie. Quando fosse stato necessario, avrebbe anche fornito
liquidità sotto forma di prestiti di breve termine ai paesi vittime di una contrazione
economica e incapaci di stimolare la domanda aggregata con risorse proprie. L’Fmi si
basava sulla consapevolezza che i mercati spesso non funzionavano a dovere ed era
basilare aiutarli a risollevarsi. Per raggiungere una stabilità economica globale, era
necessaria un’azione collettiva a livello globale.
Lo statuto venne ratificato il 27 dicembre 1945 da 29 paesi su 45 che avevano
partecipato alla conferenza un numero legalmente sufficiente a dar vita
all’organizzazione. La prima riunione ufficiale si tenne nel maggio 1946 a Savannah,
nello stato delle Georgia (USA) in cui si decise di fissarne la sede permanente a
Washington, la capitale del paese che deteneva la maggioranza del capitale
dell’istituzione.
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“Keynes immaginò un meccanismo di spesa dello stato, anche improduttiva, (ricordo l’esempio storico
della squadra di operai ingaggiata per aprire una buca per terra, e di un’altra squadra ingaggiata per
chiudere quella stessa buca), che però aveva la funzione di far ripartire l’economia. Gli operai spendevano
il loro reddito e questo consentiva alle imprese di produrre altri beni e di assumere altri operai che, a loro
volta, avrebbero speso il loro reddito. In questo modo si innescava un circolo virtuoso di reddito-spesa-
investimento che faceva ripartire l’economia. Keynes disse che questo era un rimedio temporaneo contro
la crisi, poiché occorreva poi ripagare il debito aggiunto che lo stato assumeva. Per aumentare il denaro in
circolazione le banche centrali abbassano il tasso di sconto per rendere più facili i prestiti. “C. Napoleoni,
Il pensiero economico del 900, Einaudi Editore, TO, 1963, pag. 102)
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• Promuovere la piena occupazione, la crescita del reddito e lo sviluppo delle
risorse produttive
Semplici corollari sono : mantenere o di stabilire nel caso non ci fosse, la stabilità
economica, evitare le crisi, aiutare a risolverle quando non si riesca a prevederle,
aiutare la crescita ed eliminare la povertà. Per arrivare a questi obiettivi il fondo
impiega tre meccanismi principali: sorveglianza, assistenza tecnica, assistenza
finanziaria.2
La sorveglianza è senza dubbio la principale ragion d’essere del FMI. Secondo alcuni
questa è la sua funzione base dalla quale si possono ricondurre tutte le altre compresa
quella finanziaria. Normalmente si distingue tra un’azione di sorveglianza bilaterale,
mirata a valutare politiche economiche del singolo paese, e una di tipo multilaterale, in
cui si valuta la congruenza della sua politica in ambito globale.
Il primo compito della sorveglianza bilaterale consiste nell’assicurarsi che i paesi
membri non introducano restrizioni contrarie all’articolo VIII, ovvero “l’obbligo di
garantire la convertibilità delle proprie partite correnti ”.
Il secondo attiene all’adeguatezza delle politiche economiche del paese membro in
rapporto alla situazione della sua bilancia dei pagamenti e del cambio. Questa funzione
si ricava dall’articolo IV dello statuto che impone ad ogni paese di collaborare col FMI
e con gli altri paesi membri dell’organizzazione al fine di assicurare l’ordinato
funzionamento e la stabilità del sistema dei cambi. Ne discende l’obbligo di fornire al
Fmi un costante ampio flusso di informazioni e di dati statistici sulla propria situazione
economica.
Per quello che concerne la sua sorveglianza multilaterale (o esterna) questa trova
fondamento dal fatto che la posizione esterna del paese è il riflesso delle politiche messe
in atto al suo interno. L’attenzione nel corso degli anni non è rimasta meramente
macroeconomica, e quindi bilaterale, ma si è estesa al funzionamento dei mercati e delle
istituzioni e a tutti quelli che vengono chiamati aspetti strutturali, visto che possono
influire sia sulla stabilità interna ed esterna contribuendo a regolare l’offerta, sia sulle
norme che regolano i rapporti tra i principali attori economici (il grado di indipendenza
dalla banca centrale, le regole sulla vigilanza del sistema bancario, la politica fiscale).
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citazione dal sito ufficiale del Fmi http://www.imf.org/external/pubs.htm
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Negli ultimi anni il Fmi si dedica ai sistemi di sicurezza sociale al fine di verificare che
il paese sia in grado di coprire sia i bisogni delle fasce più deboli della popolazione, sia
anche perché la spesa sia sostenibile per i conti pubblici.
Più in generale possiamo dire che il Fmi e le autorità locali esaminano le attuali
politiche in atto dal governo in carica e suggerisce, secondo il punto di vista dei suoi
esperti, le politiche migliori per arrivare alla stabilità cambiaria e una economia
mondiale prospera ed in crescita. Questi possono essere definiti come pareri e non sono,
in linea generale, vincolanti. Possiamo immaginare, però, quanto un parere, positivo o
negativo, di un’istituzione di questa portata possa essere preso in considerazione sul
piano internazionale.
I tecnici del FMI conducono quindi delle periodiche consultazioni con i paesi membri,
(almeno una all’anno in ogni paese membro) redigono un rapporto contenente le loro
analisi e le loro raccomandazioni che sarà approvato dai vertici dell’organizzazione e
reso noto alla comunità mondiale tramite pubblicazione di documenti, studi e rapporti.
La funzione di sorveglianza multilaterale è legata al concetto di cooperazione
internazionale fra i paesi sotto molti punti di vista. Questa esigenza nasce dal
riconoscimento che le economie sono interdipendenti, che quindi gli sviluppi di una
possono influenzare le altre. Non dimentichiamo che è molto semplice che certe misure
correttive appropriate a livello nazionale, che apparentemente non andrebbero a danno
della comunità risultino incoerenti a livello internazionale, magari con politiche
restrittive della domanda, che ostacolerebbero l’espansione del reddito della crescita
economica e dell’occupazione3 ( non in linea con l’articolo 1 dello statuto).
Analizziamo ora quella che viene chiamata in più modi funzione finanziaria,assistenza
finanziaria, attività di prestito o DIRITTO DI PRELIEVO 4.
Esso attribuisce ogni paese che aderisce al sistema, nel caso di difficoltà momentanee
(solitamente della bilancia dei pagamenti), la possibilità di ottenere un credito
automatico dal Fmi attraverso un prelievo che possa provvedere ad eliminare squilibri
nelle loro economie. Questo serve ad evitare il ricorso a misure drastiche oppure costi
troppo alti dal punto di vista del reddito e dell’occupazione.
Quando un paese ottiene un prestito dal Fondo, le autorità del paese si impegnano ad
applicare certe politiche economiche e finanziare, requisito noto con il nome di
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Art. 1, comma 4, Statuto del Fmi
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Art. 1, comma 5, statuto del Fmi
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condizionalità5 che dà al Fondo la certezza che il prestito concesso si utilizzerà per far
fronte alle difficoltà economiche del paese mutuatario e che il paese potrà rimborsarlo
in maniera opportuna in modo che i fondi dell’istituzione possano essere a disposizione
degli altri paesi che ne abbiano bisogno. Il Fmi concede il prestito solo a condizione che
il paese adotti politiche adeguate per fronte a difficoltà della bilancia dei
pagamenti(ovvero circa al debito estero), gettare le basi per una crescita economica
solida e sostenuta nel tempo arrivando ad avere una stabilità economica più alta (per
esempio misure per contenere l’inflazione e ridurre il debito pubblico), cercare di
risolvere anche i problemi strutturali che ostacolano una crescita solida, come ad
esempio cercare di liberalizzare il commercio, altre misure per rafforzare il sistema
finanziario o migliorie nell’ambito della gestione del governo. Tutto questo con il
presupposto di rimborsare il prestito al Fondo nei termini stabiliti fra il Fondo e le
autorità del paese.
I contenuti dei documenti dell’attività di prestito non differiscono da quelli oggetto
dell’attività di sorveglianza, soltanto che in questo si concretizzano degli obiettivi più
precisi. (politica monetaria, fiscale, cambiaria, modifiche strutturali).
Negli ultimi anni, il Fmi ha cercato di razionalizzare e focalizzare le condizioni alle
quali è soggetto il finanziamento dell’istituzione in modo da incrementare
l’identificazione dei paesi con politiche solide ed efficaci del Fmi.
I prestiti non vengono mai emessi in un’unica soluzione, bensì in più esborsi o tranches
a cadenza solitamente trimestrale. Ciò consente di volta in volta di verificare i progressi
compiuti nel mettere in atto il programma di risanamento concordato. Se alcuni obiettivi
non vengono raggiunti saranno i tecnici e gli organi esecutivi del FMI (solitamente in
Consiglio Esecutivo) a decidere se proseguire, sospendere o interrompere il
programma.
Il Fondo svolge da sempre un ruolo molto importante anche nel campo delle statistiche
internazionali, tanto che si potrebbe parlare di una funzione statistica del Fondo.
Come già esposto, i paesi sono obbligati a comunicare una serie di dati, reali e
finanziari, sulla loro situazione economica e pertanto il Fondo si trova a disporre di una
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Solo a partire del 1954, con due finanziamenti S.b.a., rispettivamente a favore del Perù e del Messico, il
Fondo cominciò a vincolare la concessione delle proprie risorse al soddisfacimento di particolari
condizioni, dando vita alla pratica della condizionalità
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quantità enorme di informazioni che mette a disposizione della comunità internazionale
su numerose riviste.
Voglio sottolineare che con il passare degli anni e con l’ingresso dei questi tutti i paesi
del mondo, oramai 184, il Fondo, come leggerete, ha subito dei cambiamenti all’interno
delle sue funzioni infatti è passato da semplici consultazioni macroeconomiche a pareri
riguardante l’aspetto strutturale, la politica fiscale e tanti ambiti che da sempre sono di
competenza del singolo paese. Da istituzione finanziatrice di squilibri di breve termine,
della bilancia dei pagamenti e commerciale è passata anche a finanziatore di medio e
lungo periodo. (vedi par 1.5) Da organismo che avrebbe solamente dovuto occuparsi
della convertibilità delle monete e della stabilità dei cambi ed evitare le svalutazioni
competitive, ci sono stati numerosi cambiamenti nella sostanziali.
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La quota dell’Italia da 3.36% ma sale a 4.23% visto che la constituency è formata da Grecia , Portogallo,
Malta, Albania e San Marino.
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d’obbligo ricordare che Keynes si batté vivamente affinché la sede del Fmi fosse
stabilita in Europa o almeno a New York, questo perché temeva l’organizzazione
avrebbe avuto il controllo politico del Governo degli Stati Uniti.
Il quorum necessario all’approvazione di una decisone è del 70% o del 85% a seconda
delle decisione. Per tradizione non si ricorre mai ai voti formali ma si decide “per
consenso”. E’ bene ricordare che ogni decisione in ultima istanza viene sempre
approvata dai paesi membri tramite il Consiglio Esecutivo o direttamente dal Consiglio
dei Governatori (più raro).
Il consiglio è presieduto dal Direttore Generale (Managing director) che esercita in
prima persona la funzione di sorveglianza, approva gli accordi di prestito e discute
preliminarmente qualsiasi proposta che richiede una decisione dei Governatori.
Egli è anche il capo del personale del Fmi, è colui che rappresenta l’istituzione e può
parlare a suo nome, cosa che non possono fare né i Governatori né i direttori, il suo
mandato è di cinque anni e alla sua scadenza può essere rieletto. Si è oramai stabilita
una tradizione per cui al capo del Fmi ci debba essere un europeo e a capo del Banca
mondiale uno statunitense, questo è il riflesso di un patto tra “azionisti di maggioranza”,
frutto degli equilibri scaturiti durante la secondo guerra mondiale.
1.4 Le quote
Le quote hanno due funzioni principali: danno accesso alla somma massima che può
essere richiesta in prestito e stabiliscono il numero di voti all’interno delle istituzioni del
Fondo.
Quando un paese decide di diventare membro del Fmi vi è una quota base che deve
essere versata, che si determina in modo da riflettere la situazione economica in
relazione agli altri paesi membri. Per quanto concerne il pagamento, il 25 % della quota
che il paese versa deve essere in moneta di ampia accettazione come dollaro, euro, yen)
mentre il restante 75% in moneta del paese membro. Questa quota permette di avere
250 voti, ovvero un numero di voti minimo che permette semplicemente di poter votare,
in futuro il paese potrà procedere al versamento di altre somme. Un voto in più viene
dato in base a 100.000 Dsp (Diritto speciale di Prelievo), la moneta utilizzata dal
Fondo. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno una quota di 37.100 Dsp ( 51.200 milioni di
dollari) pari al 17,14 %, e Palau con una quota di soli 4.3 milioni di dollari è lo stato
con minor numero di voti (0,013%). Chiarito l’ambito delle quote concernente l’ambito
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istituzionale, arriviamo a quello del finanziamento. La somma delle quote di tutti i paesi
membri costituisce il capitale complessivo del FMI, a cui attinge per le operazioni di
prestito. Lo Statuto prima della sua modifica prevedeva che si potesse prelevare
annualmente il 25% della sua quota, ma non poteva superare il limite massimo del
200% della quota stessa.
Oggi la somma massima che un paese può ottenere la Fondo è in relazione alla quota
versata. In base agli accordi sul Diritto speciale di prelievo un paese adesso può ricevere
il 100% annualmente e il 300% in maniera accumulata. Bisogna sottolineare che ogni
richiesta viene decisa di volta in volta dal Consiglio di Amministrazione e che sono
frequenti i prestiti per somme molto maggiori al limite massimo del 300%.
Maggiore è la quota versata maggiore sarà il potere di voto e maggiore sarà la somma
prelevabile.
Nel 1947 i due paesi che avevano guidato i negoziati avevano quote pari al 35.6% per
gli USA e al 16.84% per la Gran Bretagna (in questa quota era inclusa anche quella
delle colonie che al tempo possedeva), poi vi era la Cina con 7.12% e la Francia con
6.80%. Oggi, le percentuali sono molto diverse certamente dovute al fatto che i paesi
aderenti al Fondo non sono 45 bensì 184. Lo statuto prevede di rivedere le quote ogni
cinque anni, ma solo in caso di necessità.
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Ecco le tipologie più note delle forme di prestito:
- Stand-by arrangement (Sba)
Questo tipo di strumento è mirato a fornire assistenza nei casi di deficit temporanei o
ciclici della bilancia dei pagamenti, che si ritiene abbiano breve durata, pertanto i
rimborsi devono avvenire entro cinque anni.
- Extended Fund Facility (Eff)
Istituito nel 1974 è un prestito a più lungo termine mirato agli squilibri esterni la cui
causa sia essenzialmente da ricondurre a problemi strutturali. I rimborsi in questo caso
possono avvenire in dieci anni. La somma concessa ai singoli paesi non può superare il
triplo della sua quota di capitale salvo il parere del Executive Board . Il tasso di
interesse è di solito inferiore a quello che il paese troverebbe a pagare sul mercato, ma
normalmente vi è l'onere per il paese debitore della condizionalità.
- Supplemental Reserve Facility (Srf)
E’ uno sportello di emergenza che il FMI utilizza per soccorrere paesi membri in piena
crisi finanziaria. Il Fondo in questo caso è prestatore di ultima istanza. L'ammontare del
fondo erogato viene stabilito caso per caso, il tasso di interesse è penalizzante e
crescente nel tempo in modo da favorirne un rimborso accelerato.
- Contingent Credit Line (Ccl)
E’ una linea di credito che viene impiegata in maniera assolutamente preventiva, a
questo possono usufruire solo paesi che soddisfino dei requisiti molto stretti.
Poverty Reduction and Growth Facility (Prgf)
Nata nel 1987 come Esaf (“Enhanced Structural Adjustment Facility”) è uno strumento
"concessionale" creato per sostenere nel medio termine i programmi di riforma e di
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Capitolo II
La crisi economica argentina del 2001
2.1 La storia politica ed economica dal 1880-1989
Nella mia analisi mi soffermerò principalmente sui dieci anni che hanno anticipato la
grande crisi economico-finanziaria del 2001. Penso però che sia d’obbligo analizzare,
per quanto velocemente e non esaustivamente, la storia argentina caratterizzata da una
instabilità economica e politica, divisa da sempre fra peronisti, radicali, militari,
iperinflazione, deficit pubblico e debito estero.
La situazione attorno al 1880 era quella di un paese ricco di risorse dal punto di vista
dell’agricoltura, del bestiame e del sottosuolo. Dal 1930 il suo miglior partner
commerciale, il principale investitore e il riferimento politico e culturale sarà la Gran
Bretagna. Il modello economico che si afferma ha il suo perno nell’agricoltura e
nell’allevamento di bestiame e nelle industrie agroalimentari ad esso collegate.
Intanto si afferma sempre più una classe borghese legata alle esportazioni e al
commercio internazionale. Nel 1940 grazie alla “Unión Industrial Argentina”, un
circolo di professionisti e agrari, nasce il “Pian Pinedo” il cui scopo era quello di
favorire un processo di industrializzazione a forte connotazione di capitali pubblici per
cercare di diminuire la dipendenza dalle importazioni, sostituire il modello basato
sull’esportazione di beni agricoli puntando sull’esportazione di beni manufatti e come
ultimo consolidare l’industria manifatturiera. I risultati furono apprezzabili, sia in
termini industriali che infrastrutturali. Durante il periodo peronista, un grandissimo
sforzo in termini d'aumento del potere d'acquisto delle classi lavoratrici ed ambiziose
politiche in materia sanitaria, educativa e sociale portarono ad una significativa crescita
della qualità della vita di tali classi, su cui Perón aveva fondato il suo consenso. Le
presidenze trionfali di Perón, in particolar modo la prima (1946/51), crearono l'illusione
di un Argentina come potenza con ambizioni mondiali, ma in realtà la situazione
positiva era dovuta non alle solide fondamenta di un sistema industriale in crescita e che
godeva di buona salute bensì alla particolare situazione congiunturale post-bellica, che
stava mettendo a dura prova soprattutto l’Europa. A conferma di ciò la bilancia
commerciale argentina sarà infatti in permanente disavanzo dopo questo periodo.
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Nel dopo Perón il modello della sostituzione delle importazioni viene implementato da
una apertura verso le grandi imprese multinazionali. Sarà il radicale Fronzini eletto nel
1958, a sostenere una linea fortemente orientata allo sviluppo dei settori di base come
l’industria petrolchimica e siderurgica, necessari alla crescita, fino a fare dell’industria
pesante il vero cuore pulsante dell’economia argentina. Si consolidava così una
sostanziale diversità organizzativa e tecnologica fra la grande impresa (multinazionale o
nazionalizzata) e la piccola media impresa locale.
Ma Fronzini rimarrà in carica solo per 46 mesi fino al 1962. La situazione cambia e si
passa in pochi anni ad un clima di guerriglia, ad una serie di colpi di stato, ad un clima
fortemente instabile ed esplosivo.
Nel marzo del 1976 il generale Videla, instaura una dittatura militare scaturita da un
ennesimo colpo di stato e lancia un ambizioso programma di denominato “Proceso de
Reorganización Nacional”. La risposta militare alla crisi si fondava su un’apertura
unilaterale dell’economia, eliminando l’organizzazione politica e istituendo un
governo di tecnici militari per cercare di riorientare l’economia del paese. Il fulcro
passava dal settore industriale a quello finanziario mentre i conti pubblici andavano
fuori controllo. Fino al 1978 assistiamo ad una ripresa della produzione soprattutto dei
beni di consumo durevoli e degli investimenti, sostenuta da una riduzione del costo del
lavoro interno, ma il peso del deficit pubblico stava diventando insostenibile e la
soluzione riposta in una politica monetaria restrittiva che tagliava la spesa pubblica,
stipendi e pensioni, aumentava la pressione fiscale alzava i tassi di interesse portò in
poco tempo alla completa stagnazione dell’economia, ad un impoverimento delle classi
più deboli e un’inflazione in continua crescita.
Nel dicembre, nell’intento di risolvere la crisi il governo aprì di colpo l’economia
togliendo ogni protezione doganale, preannunciando la svalutazione della moneta,
liberalizzando il mercato dei capitali. Si generò una sospensione dell’entrata di capitali
esteri, una fuga di capitali da parte delle multinazionali straniere e anche dei capitali
nazionali (denazionalizzazione del risparmio)7 e l’avvio di un’attività intensissima di
speculazione finanziaria. Fra il 1981 e il 1982 il governo decise addirittura di
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Nel lungo periodo questa manovra espose le imprese nazionali alla concorrenza diretta delle imprese
internazionali molto più competitive. La maggioranza delle imprese non disponevano né di liquidità né di
credito e coloro che non riuscirono a rinnovare i loro impianti ( la quasi totalità), ridussero la produzione
al minimo o diventarono semplici importatori o intermediari o addirittura fallirono.
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nazionalizzare il debito privato finanziandolo con debito internazionale, il che vuol dire
che tutto il peso degli investimenti esteri delle multinazionali ricadeva sulla classe
media.
Nei 7 anni di dittatura militare: il debito estero era cresciuto da 8 a 44 miliardi di
dollari che servirono ad importare beni di consumo. Nel 1975 gli interessi del debito
estero assorbivano solo il 5% delle esportazioni dieci anni dopo il 60% delle
importazioni serviva per ripagare i soli interessi. Il principale introito dello stato era
dato dai dazi sulle esportazioni. La povertà aumentò così tanto che nel 1975 il prodotto
nazionale lordo per abitante era di 3.500 dollari, dopo 10 anni ammontava a solo
2.950 senza contare i continui tagli alla spesa pubblica alla sanità e alla scuola.
Il 1983 è l’anno della fine della dittatura e dell’elezione democratica del radicale Raúl
Alfonsín che rimase al potere dopo essere rieletto fino al 1989. Alfosín però non riuscì a
risolvere gli svariati problemi come la crescente iperinflazione, il deficit pubblico, la
continua svalutazione della moneta, tanto meno riuscì ad impostare una politica fiscale
in un paese senza risorse e al collasso. Anche il “Piano Austral”, di riduzione del
debito in accordo con il FMI e gli Stati Uniti, non portò miglioramenti8. Gli effetti
congiunti della megainflazione e dell’instabilità istituzionale furono un chiaro processo
di deindustrializzazione. Tra il 1980 e il 1990 le attività manifatturiere calarono dal 7.1
% i consumi del 15.8%, le importazioni del 58.9%, gli investimenti del 70.1% e solo le
esportazioni aumentarono del 78%. Il settore meccanico unito a quello tessile,
dell’abbigliamento, del mobile, estrattivo e della macchine utensili contava nel 1977 il
31.6% della produzione industriale nazionale, nel 1990 solo il 19.7.
2.2 Le Riforme
Nel 1989 la megainflazione aveva toccato dei livelli record, agli inizi degli anni ‘80 era
nell’ordine del 600 – 700 % ma nel 1989 e 1990 arrivò a ben 4 cifre (vedi allegato n 8).
La situazione era assolutamente insostenibile il paese aveva una produttività, descritta
precedentemente stagnante, un forte deprezzamento del peso argentino nei confronti di
tutte le monete e i mercati finanziari erano totalmente scettici.
Nel gennaio scoppiò la crisi: gli organismi internazionali (Fmi e Bm Banca
Interamericana di Sviluppo) tagliarono i finanziamenti. La finanza pubblica, deteriorata
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Da una parte si tagliava la spesa pubblica, con una manovra di bilancio restrittiva, e dall’altro creava
nuova moneta (l’Austral) senza aver risolto i problemi strutturali sottostanti generando una spaventosa
inflazione.
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dalla crisi iperinflazionistica, collassò e l’incertezza legata alla prossimità delle elezioni
presidenziali provocò una fuga generale della moneta nazionale verso il dollaro, il cui
valore, in soli sei mesi, aumentò di 25 volte. Si verificarono scontri fra cittadini e
polizia, saccheggi veri e propri dei supermercati, cortei dei pensionati, marce di
protesta, la repressione della polizia in tenuta antisommossa (14 morti e 800 feriti da
fonti ufficiali), indignazione verso il governo contro i politici e i banchieri. Alfosín fu
costretto a dimettersi cinque mesi prima della fine del suo mandato.
Con un programma populista, promettendo salari dignitosi, una “rivoluzione
produttiva”, viene eletto a maggio il peronista Carlos Menem. Accortosi della grave
situazione lascia da parte il suo programma, (anzi direi meglio che agì in maniera
completamente opposta alle sue promesse elettorali) e insieme al ministro
dell’Economia Domingo Cavallo, capiscono che l’unico modo per risollevarsi è far si
che i mercati finanziari internazionali e le grandi potenze industrializzate ritrovino una
crescente fiducia nell’Argentina.
Le idee da seguire erano racchiuse nel Washington Consensus che delineava l'approccio
sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, ed al traino di
questi anche dalla Banca Interamericana di Sviluppo. Il forte riorientamento a favore di
politiche di apertura unilaterale, con aggancio al dollaro delle economie locali e
contestualmente di deregolazione e privatizzazione interne, delineava uno schema di
interventi ispirati ad un liberismo sperimentato non solo in Gran Bretagna e negli Stati
Uniti, ma anche in Cile, cosi come nei paesi del sud-est asiatico. Proprio questi paesi
furono oggetto di uno studio della Banca Mondiale che esplicitamente parlava del
«miracolo del sud-est asiatico» ; un miracolo che del resto doveva ascriversi largamente
alla liberalizzazione del mercato dei capitali, che aveva permesso in pochissimo
tempo la crescita a ritmi molto sostenuti di mercati finanziari locali in grado di attrarre
capitali dall'esterno, rafforzando continuamente le monete locali e quindi azzerando
l'inflazione9.
Possiamo quindi dire che la via individuata era opposta al modello ortodosso che si
basava sulla svalutazione per il rilancio dell’export, ma rivalutazione della moneta per
l’attrazione dei capitali esteri il tutto per garantire una discreta crescita al fine di avere
un consenso elettorale verso le politiche neo-liberiste.
9
Rapporto Banca Mondiale, 1993
18
Comincia quindi un lavoro molto lungo del governo argentino che nel 1991 vara la “Ley
de reforma del Estado” (Legge di riforma dello Stato).
Furono privatizzate buona parte delle proprietà industriali della Stato, in modo da
coprire le spese correnti, fu ridotta la struttura burocratica, con licenziamenti nella
pubblica amministrazione in modo da rendere più efficienti le funzioni pubbliche, venne
attuata una riforma fiscale basata su un aumento dell’IVA e della base imponibile (si
definì un accordo fra stato centrale e province a cui vennero trasferiti i servizi relativi
alla salute, assistenza sociale ed educazione)10.
Con la riforma commerciale, intensa come liberalizzazione degli scambi, furono
abbassate le tasse sull’importazione in modo da favorire il commercio di beni stranieri
sul territorio argentino.
Il sistema bancario venne riformato, fissando la base monetaria con le riserve
valutarie, favorendo l’inserimento di nuovi istituti di credito nel territorio argentino,
liberalizzando il mercato dei capitali per favorire una crescita immediata trainata
dagli investimenti diretti esteri. Il cambio della moneta locale venne ancorato ad una
moneta forte (in questo caso il dollaro) e come ultimo, venne varato un programma di
credito del FMI per la rinegoziazione del debito estero con il nome di Piano Brady.
10
La meta prioritaria del finanziamento era la bancarotta quindi considerazioni di lungo periodo della
riforma, come la progressività della nuova struttura tributaria, gli incentivi al risparmio e agli
investimenti, non costituirono una preoccupazione centrale per il governo.
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l’Argentina in un regime di gold standard, limitando la natura della Banca Centrale a
semplice “cassa di cambio”11.
Venne stabilito anche un moderno criterio di controllo e supervisione dei sistema
bancario, un modello di "prudential regulation" (supervisione bancaria). La BCRA non
poteva più agire come ultimo prestatore in caso di corsa ai depositi. Si trattò quindi di
una rigida impostazione di politica monetaria e cambiaria.
La BCRA rinunciava ad importanti strumenti di politica macroeconomica, come quella
dell’uso del tasso di cambio, (spesso usato per rendere competitive le esportazioni
svalutando la propria moneta nei confronti di un’altra), del tasso di sconto per la
definizione del costo del denaro, (per cercare di rendere più o meno accessibili le
richieste di credito quindi per un rilancio dell’economia) e per ultimo la creazione di
moneta. Il governo rinunciò a questi strumenti per colpire l’iperinflazione e per rendere
più credibile il suo compromesso con la disciplina fiscale e monetaria e riconquistare la
fiducia degli investitori. Nel breve periodo, questo tipo di cambio portò i suoi frutti vista
la diminuzione dell’inflazione, la riduzione dei tassi, le riduzione delle aspettative alla
svalutazione e una stabilizzazione dei prezzi sul livello di quelli degli Stati Uniti.
Questi primi risultati, congiuntamente ad un programma di credito del FMI e alla
rinegoziazione del debito estero sotto il Piano Brady, migliorarono le condizioni di
fiducia.
Nonostante i cambiamenti la maggior parte delle transazioni continuarono ad essere
fatte in dollari questo mostrava il persistente grado di sfiducia nei confronti della
moneta locale. Con il passare del tempo, si consolidò l’idea che la stabilità del sistema
monetario costituisse un fattore chiave per il funzionamento dei mercati di credito.
11
Le riserve potevano essere in forma di depositi o altri strumenti del debito, buoni del governo argentino
o di governi stranieri; la Ley de Convertibilidad non fissò limiti alla quantità di buoni del governo. Allo
stesso modo, si fissarono forti limiti di credito al governo e si rese indipendente la Banca Centrale. Fu
vietato alla BCRA di finanziare i deficit dei governo
20
La prima e più distintiva caratteristica dei sistemi finanziari sudamericani era il
bassissimo indice di sviluppo; il permanere durante tutti gli anni ’80 e ’90 di una forte
volatilità macroeconomica e di alti tassi d’inflazione ostruì la crescita dei flussi di
finanziamento, impedendo in questo modo l’istituzione di una cultura finanziaria
nell’intera regione latinoamericana. Un indicatore strettamente rilevante è il tasso di
depositi bancari in relazione al PIL, nei Paesi del sud America generalmente tale indice
non arrivava a valori superiori al 30% a fronte di percentuali molto più alte per i Paesi
del resto del mondo maggiormente sviluppati.
Un altro fondamentale problema che ha inciso sullo sviluppo dei sistemi finanziari di
quest’area e sull’evoluzione dei mercati dei capitali, era la configurazione
assolutamente distorta della regolamentazione prudenziale, diretta al controllo del
rischio del sistema bancario, elemento praticamente inesistente nella storia finanziaria
dell’America Latina.
Le caratteristiche del mercato finanziario Argentino, (e più in generale quelle dei paesi
latinoamericani), la ricerca di regolamentazione e stabilizzazione del sistema
finanziario, unita alle forti pressioni e alle influenze di organismi internazionali, quali il
Fondo Monetario Internazionale, l’impossibilità di sottrarsi alle tendenze che si stavano
imponendo con forza in tutti i mercati internazionali dei capitali, hanno spinto
l’Argentina verso l’attuazione di una radicale riforma finanziaria, intorno a tre punti
fondamentali:
21
mercati dei capitali aumenta il rischio di contagio internazionale, quando si producono
crisi valutarie significative.
2.2.3 Le Privatizzazioni
Per quanto concerne le privatizzazioni, il ritmo imposto dall’amministrazione Menem
fu tanto serrato che il 90% delle imprese pubbliche selezionate per la privatizzazione nel
periodo 1990-1998 furono trasferite al settore privato prima della fine del 1994 12.
Le imprese nazionali parteciparono al processo di privatizzazione anche se nel periodo
compreso fra il 1990 e il 1994, più del 60% degli investimenti nei settori privatizzati era
di origine estera; i flussi provenivano principalmente dagli Stati Uniti, dalla Spagna e
dall’Italia, ma anche da Cile, Francia, Canada e Gran Bretagna e si concentravano
maggiormente nel settore dei servizi piuttosto che in quello delle imprese produttive.
Tutto questo portò ad una maggiore concentrazione del sistema industriale già molto
ristretto.(Vedi allegato n° 11 tab. 3) .
Dal punto di vista del comportamento delle condizioni di offerta, si osservarono, in
molti casi, significativi miglioramenti rispetto alla tipologia dei beni, in altri no .
In letteratura e nell’esperienza internazionale di privatizzazione dell’impresa pubblica,
esistono sufficienti argomentazioni in favore al mantenimento di una parte delle azioni
in mano allo Stato, alla realizzazione delle privatizzazioni in maniera graduale, alla
valorizzazione dell’impresa attraverso un preventivo risanamento e, sicuramente, alla
garanzia della libera concorrenza. Nessuna di queste raccomandazioni fu seguita.
Il risultato di tali politiche fu dunque un semplice “cambio di mano”: un cambio di
proprietà ma non un cambio delle relazioni tra imprese e mercato.
12
Le privatizzazioni rappresentarono il 44% delle entrate nette di capitale accumulate tra il 1990 e il
1993.
22
arrivata ai minimi storici ma comunque in continua crescita, un‘inflazione da cinque
cifre ridotta a meno del 4%, l’afflusso di capitali diretti esteri e quindi la loro
importanza per l’economia del paese rimaneva alta e dopo anni si assisteva ad un
rilancio dei consumi e della domanda con il reddito procapite in crescita a ritmi molto
elevati.
23
poco tempo si fece registrare una discreta diffusione di contratti a tempo determinato; in
questo modo il tasso di disoccupazione calò di 4 punti percentuali, fra l’ottobre 1996 e
l’ottobre 1998, anche se il livello si mantenne sempre mediamente alto senza
raggiungere i livelli registrati precedentemente al 1994 ovvero sotto il 10%. (Vedi
allegato n° 9)
14
Nel 1989 circa l’11% delle esportazioni argentine era diretto alla zona dell’odierno Mercosur –
prevalentemente verso il Brasile. Nel 1995 la proporzione era salita al 31,7%. Quando alla fine del 1998
toccò al Brasile di crollare, la regione assorbiva oltre il 35% dell’export argentino.
24
del 35% toccando anche punte del 50%15. Dopo una crescita quasi nulla nel biennio
98-99, il Brasile realizzò una significativa crescita nel 2000 (+4.4%), prima di frenare
per il rallentamento della congiuntura internazionale (+1.8 % nel 2001), mantenendo
l’inflazione tuttavia a livelli relativamente contenuti.16
L’entità della crisi è confermata da numerosi dati fra questi il tasso di cambio peso-
real e le esportazioni argentine verso il Brasile. (vedi allegato n° 4 e 5). Fra il 1996 e
il 1997 il cambio è rimasto stabile fra 0.92 e 0.95 garantendo una crescita media annua
degli scambi del 24%. Nel 1998 c’era stata una lieve tendenza al ribasso sia del cambio
sia delle esportazioni verso il Brasile (- 2%), nel febbraio 1999, il valore del cambio
toccò il minimo annuo arrivando a quota di 54.7 e le esportazioni verso il Brasile
diminuirono del 28.42%.
Le importazioni totali del Brasile cominciarono a diminuire già dal secondo trimestre
del 1998 per crollare al primo trimestre del 1999 segnando -26%. (vedi allegato 4 tab.2)
La crisi delle esportazioni argentine non si limitò al mercato brasiliano infatti le
esportazioni totali, in crescita negli anni precedenti, registrarono una caduta del 14.4%.
In aggiunta tra il 1999 e il 2000, il dollaro si apprezzò notevolmente nei confronti
dell'euro e questo produsse un'ulteriore caduta di competitività visto che il 20%
dell'export argentino era rivolto verso l'Europa.
Era iniziata la recessione Argentina.
15
Vedi Bortot 2003
16
Vedi Bortot 2003
25
Le autorità nazionali pensarono di raggiungere questi risultati con un più efficiente
utilizzo delle risorse pubbliche e con l'introduzione di nuove tasse su bibite, tabacco,
automobili e redditi.
Nel 2000 la situazione divenne ancor più critica.
I consumi restavano scarsi, la disoccupazione era aveva rincominciato a salire
arrivando al 15%, le imprese esportatrici avevano subito una forte contrazione dei
propri margini di redditività, quindi dei profitti, riducendo così la loro propensione a
investire. L'aggiustamento verso il basso dei prezzi e dei salari non fu sufficiente per
riportare l'Argentina su un sentiero di crescita positivo, essendoci riflessa sui conti
fiscali la crisi economica interna.
Il 10 Novembre 2000 il governo annunciò l’intenzione di voler attuare una serie di
misure di emergenza prima fra tutte alzare il target fiscale. Il Governo rivedeva il suo
obiettivo per l'anno 2000 passando da 4,1 miliardi di dollari (1.4% del PIL) a 6,4
miliardi di dollari (2.1% del PIL) sperando che questo contribuisse parzialmente a
riavviare la crescita economica. In più si decise di alzare l’età pensionabile,
deregolamentare il sistema sanitario al fine di favorire un mercato più competitivo ed
efficiente nell'erogazione di servizi sanitari. Visti i buoni proposti del governo il FMI
nel dicembre 2000 stanziò un’altra linea di credito da 40 miliardi di dollari.
Nonostante tutto la situazione restava critica a causa del pessimismo dilagante che
provocava l'aumento dei tassi di interesse, deprimeva la crescita, indeboliva la posizione
fiscale, complicava ancor di più la situazione del debito estero, giustificando l'iniziale
pessimismo e creando un circolo vizioso.
Nel 2001 la situazione si deteriorò ulteriormente, nonostante tutti gli sforzi non si
riusciva a restaurare la fiducia per dare impulso agli investimenti.
Nonostante i dubbi sul protrarsi della parità del currency board a marzo l’abbandono
della parità restava fuori discussione sia per il forte sostegno popolare e soprattutto, in
caso di svalutazione, il debito estero contratto in dollari sarebbe come minimo
raddoppiato.
Il 21 marzo, dopo due anni di assenza, venne posto come ministro dell’Economia
Domingo Cavallo, che dichiarò immediatamente l'intenzione dell'Argentina di non
richiedere nuovi prestiti.
26
17
Numerose speranze erano state riposte sul suo “Piano di competitività” ,varato il 28
marzo, con il quale si decideva di aumentare i dazi sull’importazione dei beni di
consumo e ridurre quelli sull’importazione di capitali, una tassa sulle transazioni
finanziarie per migliorare il bilancio fiscale, riformare il mondo del lavoro e creare più
di 2 milioni di posti di lavoro entro il 2005, concentrare alcuni ministri per ridurre la
spesa pubblica e tagliare gli stipendi. Proprio quest’ultimo provvedimento porterà a seri
problemi di sostenibilità politica.
Intanto l’incertezza sui mercati non cessava. Gli investitori cominciavano ad esprimere
dei dubbi sia sulla capacità di ripagare il debito estero (che nel 2000 aveva superato
146 miliardi di dollari) sia sulla capacità di mantenere ancora il cambio fisso.
Infatti dal Dicembre 2000 era ricominciato il fenomeno di fuga dei capitali: i maggiori
correntisti iniziarono a ritirare i loro capitali dalle banche, a convertirli in dollari e a
investirli all'estero causando un notevole efflusso di capitali dal sistema.
I depositanti stavano esplicitamente fuggendo dalle banche e dal paese. Le riserve
internazionali si contrassero del 40 % nei primi sette mesi del 2001 e di circa un quarto
nel solo luglio.
Tutto ciò accresceva ulteriormente le pressioni per una svalutazione e l'incertezza
mostrata da Cavallo, nel decidere l'abolizione del currency board, aumentava
l'apprensione dei mercati.
In luglio si tentò la restituzione di una parte del debito - 29.5 miliardi di dollari – mentre
continuavano i tagli alla spesa pubblica. Con la legge del “deficit zero”, del mese di
agosto, la situazione peggiorò ulteriormente visto che venivano decisi altri tagli questa
volte alle pensioni e ai salari del 13%.
Il 7 settembre il FMI stanziò un’altra linea di credito di 21,7 miliardi di dollari e
intanto richiedeva come condizionalità altri tagli alla spesa pubblica. Dalle elezioni
parlamentari del 14 ottobre uscì vincitore il partito peronista che riuscì ad ottenere la
maggioranza dei rappresentanti sia al Senato, sia alla Camera dei Deputati. L'esito delle
elezioni rifletteva un forte disgusto per l'amministrazione De la Rua che aveva acuito in
misura maggiore la recessione, affrontandola nel modo sbagliato, con un continuo
taglio alla spesa sociale e con un aumento di tasse che aveva contratto i consumi,
17
Si parlò di una svolta keynesiana per Cavallo, che ora insisteva per stimoli fiscali alla produzione,
mentre avanzava la proposta di legare il peso oltre al dollaro all'euro, di fatto svalutando rispetto alla
divisa americana.
27
aggravando ulteriormente la situazione. Alla fine del 2001, dopo tre anni e mezzo di
recessione tutto era pronto per la crisi.
L'efflusso di riserve accelerò a novembre a un ritmo così allarmante che il 1°
Dicembre, il ministro dell'economia Cavallo decise di imporre “il corralito” ovvero
una restrizione sul ritiro di depositi bancari secondo la quale ogni correntista non poteva
ritirare dai propri conti correnti più dì 250 pesos o dollari ogni settimana. Il 5 dicembre
quando il FMI non confermò lo stanziamento della nuova linea di credito, la situazione
si complicò ulteriormente.
Vedendosi messo alle strette, il Governo di Buenos Aires annunciò un nuovo taglio ai
salari e alle pensioni e l'intenzione di attingere dalle riserve internazionali per adempiere
agli obblighi previsti. Tuttavia la situazione precipitò, in quanto l'annuncio di un
ulteriore taglio alla spesa sociale unitamente alla misura del corralito, particolarmente
invisa alla popolazione, causarono violente tensioni sociali sfociate in saccheggi,
proteste, cortei e atti vandalici. La "rabbia" della gente, sgomenta, affamata, colpita da
improvvisa povertà e con i conti bancari bloccati, esplose in tutta la sua drammaticità,
provocando circa quaranta morti e 800 feriti negli scontri con la polizia. Venne
proclamato lo Stato d'assedio e la crisi politica e valutaria scoppiò in tutta la sua
tragicità. Si presentò la stessa situazione del 1989.
Si arrivò alle dimissioni prima di Cavallo e poi del Presidente che era rimasto in carica
per quasi 2 anni. Venne deciso un “banking holiday” al fine di evitare l’assalto agli
sportelli. Tra il 21 e il 31 dicembre si alternarono 3 diversi presidenti. Il primo gennaio
2002 venne nominato Presidente della Repubblica Argentina Eduardo Duhalde,
ex-govenatore di Buenos Aires che decise subito per la svalutazione del cambio e
dichiarò il default sul debito estero.
18
vedi Scanagatta 2001
28
(Argentina e Hong Kong) si diminuivano i rischi di “crisi da contagio”. La crisi
argentina dimostra invece il contrario di questo visto che il cambio fisso rese più
vulnerabile la moneta argentina all’inizio del 1999.
Analizziamo come il tasso di cambio accentuò ancora di più i problemi strutturali
riguardanti le esportazioni e più in profondità il sistema industriale.
L’effetto positivo della parità fu certamente l’abbattimento dell’inflazione che passò,
come ho già esposto a livelli sconosciuti al paese argentino ad una cifra, stabilizzando i
prezzi ad un livello molto alto. La conseguenza negativa fu che i redditi disponibili di
larghe fasce sociali mostrarono l’incapacità di dare sostegno alla domanda che cominciò
a calare in relazione all’elevato livello del costo della vita. Questa situazione, che portò
a tassi di interesse sempre più elevati, si ribaltò sulle imprese argentine, in prevalenza
medio-piccole a conduzione familiare, che stavano già sperimentando un calo delle
vendite a causa della deregulation in ambito del commercio. Con la rivalutazione del
dollaro un aiuto ancora minore poteva venire dall’export. La stabilità dei prezzi quindi
venne pagata con la stagnazione dell’economia e l’aumento della disoccupazione. Ed
è all’interno di questa situazione che si verifica la svalutazione brasiliana.
L’inizio della recessione ha mostrato con chiarezza le peculiarità del sistema
industriale argentino, spaccato fra un piccolo nucleo di gruppi familiari, da sempre il
cuore pulsante dell’economia, e un ampio settore di piccole e medie imprese
manifatturiere (vedi allegato 11 tab.2 ).
In aggiunta a questo le privatizzazioni hanno avuto un duplice effetto: da una parte
hanno permesso ai pochi gruppi famigliari di acquistare le imprese nazionali in vendita
a prezzi bassissimi, dall’altro hanno attirato capitali stranieri spiazzando gli investimenti
che potevano essere diretti verso le piccole imprese che erano già in difficoltà.
L’afflusso dei capitali esteri sono stati impiegati per finanziare attività capital intensive
e non labour intensive.
La convertibilità 1 a 1, l’apertura commerciale e le privatizzazioni hanno esposto la
piccola industria ad una concorrenza internazionale che per essere affrontata richiedeva
continui aumenti di efficienza di una portata tale da non poter essere sostenuto da un
sistema produttivo così fragile. In Argentina fino al 1998 vi è stata una crescita senza
una reale industrializzazione in un contesto di privatizzazioni senza regole che ha
accentuato i problemi delle piccole medie imprese nazionali.
29
Le imprese maggiori continuarono a dipendere dal mercato internazionale dei capitali
per finanziare le proprie attività mentre la mancanza di credito interno costituì un collo
di bottiglia per le piccole medie imprese (vedi allegato 11 tab.5). Certamente un aiuto
poteva venire dalla svalutazione della moneta.
Il sistema industriale e la crisi di competitività delle esportazioni sono intimamente
collegate al tasso di cambio perché se l’Argentina se non fosse stata legata al dollaro
avrebbe certamente svalutato la sua moneta, ma questo non è stato possibile proprio la
legge sulla convertibilità.
Ma quello che mi preme sottolineare è che c’erano da tempo degli economisti che
avevano illustrato i rischi di lungo periodo uno strumento così importante e
destabilizzante quale il tasso di cambio, e che sottolineavano i costi di uscita dalla parità
e i rischi di quella serie di riforme irreversibili. Mi riferisco a Kosacoff, Katz,
Bercovitch e soprattutto Chudnovsky nel suo lavoro del 1996 intitolato “ Desentiendo
con el consenso de Washington”. Essi ipotizzavano che “ l’apertura unilaterale e la
deregulation dell’economia, stabilizzava il cambio e azzerava l’inflazione ma esponeva
il paese al rischio di uno shock competitivo che avrebbe colpito un sistema industriale
definito da una base produttiva molto ristretta, con un settore competitivo molto
limitato e con una vasta gamma di imprese di piccole e medie dimensioni non in grado
di sostenere la concorrenza internazionale. Senza un'azione di contestuale
rafforzamento tecnologico dell'industria ed un ampliamento della base produttiva,
l'apertura sarebbe stata retta solo con recuperi di competitività legati ad una drastica
riduzione dei costi, che comunque sarebbe stata vanificata da una possibile
rivalutazione del cambio”.
30
in gran parte responsabile dei disagi del presente. Per lungo tempo l'inefficienza delle
istituzioni politiche e della pubblica amministrazione è stata trascurata grazie alle ottime
performances in termini di flussi di capitali verso il paese (vedi allegato 10).
Quando per una serie di motivi, il servizio degli interessi acquistò un peso rilevante in
relazione alla spesa pubblica e al PIL, l'economia entrò in uno stato esplosivo perchè la
politica fiscale fu condizionata in modo determinante dal flusso di interessi da pagare.
Lo Stato stava perdendo il controllo della politica fiscale. Questa infatti è uno degli
strumenti con i quali i governi tentano di gestire l'andamento della macroeconomia. Per
poterlo fare, deve però riuscire a controllare ordinatamente tutte le variabili che
definiscono la suddetta politica: imposte, spese correnti, oneri del debito estero,
investimenti pubblici, pensioni. Quindi un aumento esorbitante del costo del debito,
senza un aumento delle entrate fiscali, provoca la perdita del controllo della politica
fiscale visto che la pressione fiscale deve aumentare ancora di più per ottenere risorse
ancora maggiori in una situazione già austera. Il governo deve aumentare la pressione
tributaria e l’elemento più colpito sono gli investimenti pubblici e considerato che,
nelle economie in via di sviluppo latino-americane, gli investimenti pubblici stimolano
quelli privati, il risultato finale è una caduta del livello delle attività ( vedi allegato 11
tab.1) riscontrabili nella caduta delle importazioni, con un miglioramento dei conti
commerciali dato purtroppo dal calo della domanda. La stagnazione dell’economia è
confermata dalla deflazione (vedi allegato 8).
Infatti i maggiori oneri sul debito sono accompagnati da maggiori tassi, minor attività
produttiva e quindi minori entrate fiscali per lo Stato. Questo circolo vizioso, può solo
peggiorare, perché anche volendo correggere gli squilibri, l’economia non fa che
allontanarsi dalla situazione stabile. L’esplosività è appunto caratterizzata
dall'incapacità di chi governa a controllarla.
Durante la fase esplosiva della convertibilità, nel triennio 1999-2000-2001, non era più
possibile fare una politica fiscale austera per l'immediato effetto recessivo che essa
aveva sull'economia reale.
Infatti il presidente De la Rua non fu responsabile di un aumento del debito ma, dal
Dicembre 1999, cominciò una politica restrittiva, per poter accedere ai finanziamenti a
breve termine del FMI.
31
2.7.2 Il debito estero
Gia nel passato l’Argentina era stata pesantemente condizionata dalla crescita del
debito; a inizio capitolo ho descritto infatti la situazione nel 1989, ma precedentemente
la crisi da debito aveva colpito già nel 1982. Abbiamo già parlato del Piano Brady e
suoi ottimi effetti che avevano fatto scendere il rapporto fra debito e PIL.
L’indebitamento però è l’unica variabile il cui andamento è stato sempre in crescita ma
specialmente è rincominciato a salire in modo impetuoso nel periodo 1995-998
nonostante la ripresa economica dopo l’effetto “tequila” passando la 99 a 142 miliardi
di dollari (vedi allegato n° 6).
La depressione del 1999-2001 ha inasprito la situazione. Nonostante l’arresto del debito
in termini assoluti, gli alti tassi di interesse hanno trascinato l’onere da 142 a 146
miliardi, in forte crescita percentuale su un Pil declinante (51.6 % nel 2000). Per quanto
riguarda la composizione notiamo che la parte pubblica dagli inizi degli anni ‘90 tende a
diminuire sulla percentuale totale del debito, mentre un andamento opposto ha avuto la
parte privata che invece tende a salire in maniera esorbitante ( + 671% dal 1991 al
2000) (vedi allegato 7).
Il lieve declino sia del debito sia del Pil nel 2001, ha fatto salire ancora in rapporto fra
queste due variabili, con oneri di interessi sempre meno sostenibili nonostante le spese
fiscali ridotte drasticamente in tutte le altre voci per evitare il default che però è giunto
negli ultimi giorni del 2001.
Quello del debito fu il primo segnale di debolezza e le agenzie di rating cominciarono a
dubitare fortemente della situazione debitoria argentina declassando di mese in mese lo
stato argentino e alzando gradualmente il rischio. Oltre alla questione del debito, come
si è visto, si unì la situazione fiscale che non stava dando i frutti sperati, il consenso
sociale nei confronti dei policy makers stava scendendo sempre più (confermato dalle
elezione dell’ottobre 2001). La situazione internazionale negativa riscontrabile
nell’inizio della recessione mondiale dal marzo 2001, la restrizione del credito verso i
paesi in via di sviluppo, un calo nell’afflusso degli investimenti stranieri sotto forma di
“investimenti diretti esteri” e il grande shock dei mercati a causa dell’attentato alle torri
gemelle nel settembre del 2001 portarono alla crisi irreversibile.
32
CAPITOLO III Conclusioni
33
I provvedimenti che un governo deve attuare sono, generalmente, politiche di bilancio
restrittive che però possono causare effetti negativi a economie già deboli o in crisi. In
effetti, imponendo questi forti vincoli anche all'Argentina, il FMI ha approfondito la
recessione economica della nazione sud-americana accentuando il malumore delle classi
sociali più deboli, sfociato, in una vera e propria rivolta. I "consigli" del FMI sono adatti
a paesi con democrazie solide, ma risultano dannosi per Stati con strutture politiche e
sociali fragili, poiché, mettendo in primo piano obiettivi di bilancio, distogliendo
l'attenzione dai problemi sociali.
Il Fondo non ammonì mai l'Argentina per gli errori che stava compiendo attuando
politiche restrittive che mai avrebbero potuto migliorare la sua situazione, bensì
fomentò questo tipo di politiche. Anche se il FMI e la maggior parte degli economisti
ritenevano preferibile, una volta risolti i problemi dell'iperinflazione, tornare alla libera
fluttuazione della valuta, non trovarono mai la forza e il coraggio per imporre una scelta
di questo tipo alla nazione sud-americana, sperando che il sistema di currency board
potesse essere una politica fattibile per un lungo periodo. Niente fu più sbagliato, come
mostra la vicenda argentina. Il Brasile aveva abbandonato in tempo la parità nel 1999 e
anche il caso della Turchia ci mostra come la parità sia durata solo per un anno e non
dieci.
I finanziamenti multi-miliardari del Fondo permisero all'Argentina di procrastinare i
problemi economici, finanziari e di abbandono del tasso di cambio fisso. Quando il
Fondo ha realizzato che, nonostante tutti i miliardi di dollari versati, la nazione
argentina non migliorava le sue performance economiche, ha deciso di non concedere
ulteriori prestiti.
Oltre a non aver sorvegliato il debito estero e il deficit pubblico un’altra variabile
mostrava i segni della recessione: l’inflazione che dal 1999 era addirittura negativa.
Questo fenomeno chiamato deflazione è la conseguenza di politiche economiche
permanentemente anti-inflazionistiche e sono il sintomo più evidente della stagnazione
dell’economia. In aggiunta a ciò pongo in evidenza che, il tasso di disoccupazione in
continuo calo fino al 1998 e poi in tendenziale aumento, era la conseguenza di una
politica di governo a favore di contratti di lavoro a tempo determinato.
Ciò che voglio ancora sottolineare è che la crisi non era né imprevista né imprevedibile
per questo cito testualmente un articolo di Giovanni Scanagatta del maggio 2001 “Il
34
Fondo Monetario Internazionale cerca in tutti i modi di evitare sia il default sul debito
estero sia la svalutazione del peso. D’altra parte il prestito del Fondo di 40 miliardi di
dollari concesso solo lo scorso Dicembre 2000, secondo alcuni analisti, non consentirà
di evitare la crisi finanziaria argentina. Al massimo un nuovo prestito potrà rinviare il
momento inevitabile in cui l’Argentina sarà costretta a dichiarare il default e/o
richiedere la ristrutturazione del debito ai creditori internazionali”.
35
processi di integrazione economica e monetaria e attivare una trasformazione produttiva
sull'esempio della ormai passata Comunità Economica Europea poteva rappresentare un
punto di arrivo.
Guardando ai fatti degli ultimi anni si può affermare che il Fmi si deve dotare di nuove
regole e nuove idee, che solo una reale riforma può apportare al fine di mantenere la
funzione per cui fu costituito. Penso anche che sia gravissimo che un’istituzione
internazionale, con il preciso scopo di tutelare la stabilità e prevenire le crisi
economiche, finanzi un’economia malata e fragile accompagnando, passo dopo passo,
un paese al collasso. Quando si parla di politiche economiche non si fa riferimento solo
a numeri considerato che le decisioni vanno ad influire su di una nazione, nel caso
trattato di 36 milioni di abitanti che a distanza di 12 anni ha rivissuto gli stessi
avvenimenti di disordine sociale contando numerosi morti nelle piazze.
La situazione in Argentina è drammatica, il tasso di disoccupazione nel 2002 ha toccato
il 25%.
Ogni 10 occupati ci sono 6.41 disoccupati, in Italia solo 1.74. Questo vuol dire che,
dopo quattro anni di recessione, 10 argentini si devono suddividere il costo sociale di 6
disoccupati e mezzo. In questa situazione la pressione tributaria si divide fra i pochi
occupati visto che i disoccupati non pagano le tasse.
Quindi chi lavora non riesce ad aumentare i consumi o gli investimenti perchè il
“reddito disponibile” (dato dal reddito lordo meno le tasse) è appena sufficiente a
sfamare una famiglia.
In Argentina i poveri finanziano i poveri, i costi della disoccupazione gravano sulla
classe media, quella stessa classe media che è stata da sempre il propulsore di un paese
dinamico e all’avanguardia.
Vi erano persone che avevano una casa e l’hanno persa, che avevano un lavoro e
l’hanno perso, che avevano la libertà di passeggiare in quartieri sicuri e tranquilli e
l’hanno persa, che avevano un futuro per loro e per i loro figli e l’hanno perso, che
avevano risparmi e li hanno persi. La crisi dell’Argentina è la crisi della classe media
che meno ha fatto per provocarla e che più ha fatto per costruire la nazione.
“Il Sole 24 ore” del 23 gennaio 2002, titola “Kohler ammette: in Argentina l’ Fmi ha
fallito”. Penso che ammettere le proprie colpe in un trafiletto di un giornale, affermare
che farà di tutto per garantire l’appoggio al suo “allievo modello”, prendere questa
36
grandissima crisi economica, ma soprattutto sociale, come un modo per rivedere la
propria posizione a livello globale come uno stimolo per far meglio per imparare dai
propri errori, sia logico e forse scontato, anzi queste affermazioni sono arrivate troppo
tardi a mio avviso.
Non sono qui a scagionare le irresponsabilità politiche, la corruzione e il malgoverno,
ma a 20 anni dall’inizio della democrazia l’Argentina deve fare ancora i conti con una
politica restrittiva e con l’austerità. Nessuno mette in dubbio che per rialzarsi ci
debbano essere degli sforzi ma il popolo argentino, a mio parere, ha già pagato.
37
RIASSUNTO TESI
Il fine della mia tesi era duplice: da una parte far luce sui motivi che hanno portato
l'Argentina alla recente crisi dall'altra analizzare le eventuali implicazioni del Fmi in
questa vicenda.
Prioritariamente ho preso in esame i motivi della nascita del Fondo, i suoi obiettivi e
i suoi organi decisionali ed è emerso che la quasi totalità delle decisioni vengono
prese dagli otto paesi (Cina, Francia, Germania, Russia, Arabia Saudita, USA,
Inghilterra e Giappone.) che insieme detengono quasi il 50% dei voti. Per evitare
giudizi parziali ho attinto tutte le informazioni sul Fmi dalle numerose pubblicazioni
disponibili nel suo sito web. Per capire a fondo la recente crisi ho ritenuto opportuno
analizzare la storia economica argentina in particolare dal 1989, data della penultima
grande crisi. Ho analizzato le numerose riforme in ambito commerciale bancario e
finanziario contenute, in larga misura, nella "Ley de reforma del estado" del 1991.
Consultando numerosi dati dall' istituto nazionale di statistica argentino (INDEC) e
svariati articoli sono arrivato a capire le principali cause della crisi argentina.
Molteplici sono state le ragioni di questa grave sconfitta del neoliberismo ma la
maggior parte delle responsabilità sono da attribuire al Fmi confermate dal suo
Presidente Hörst Kohler in un articolo pubblicato ne " Il Sole 24 ore" del 23 gennaio
2002 che testualmente dichiara " In Argentina l' Fmi ha fallito". Come prima cosa ha
suggerito ampie riforme istituzionali, in ambiti dell'economia e della finanza, che
avevano un carattere irreversibile ed erano premature e destabilizzanti per un paese
in via di sviluppo apportando cambiamenti rapidi e profondi. Il secondo punto
concerne nel non aver preso nelle debite considerazione i suggerimenti di alcuni
economisti che mettevano in dubbio le idee contenute nel Washington Consensus e
che avevano pronosticato qualche anno prima i forti squilibri economici e il
possibile inizio di una crisi. Il terzo, il più grave, è quello di non aver adempiuto ad
una delle sue funzione principali, presenti nel suo statuto, quale la sorveglianza
39
bilaterale e multilaterale delle variabili argentine. E ancora di aver finanziato per
anni un debito estero enorme ed in continua crescita.
Tutto questo, solleva la necessita, di una radicale riforma del Fmi visto che negli
ultimi 10 anni non è riuscito non solo a pronosticare le numerose crisi che si sono
succedute da una parte all'altra del globo, ma tanto meno è riuscito a soccorrere i
paesi in difficoltà, perchè troppo spesso, ha concesso prestiti in modo smisurato,
ponendosi in contrasto con le funzioni di sorveglianza che si è assegnato, e perché
talora, si è messo al servizio dei paesi occidentali o delle multinazionali.
Penso che non sia scusabile o ammissibile una mancanza di questa portata causata
da una istituzione internazionale che è nata con il presupposto basilare di evitare
crisi come questa che sempre più spesso, ha fomentato e accentuato oserei direi in
misura macroscopica.
40
SUMMARY
The aim of my thesis was double: firstly I wanted to shed on the reasons that caused
the recent crisis in Argentina and, secondly, to analize eventual involvements of the
Imf in this event.
In the beginning I examined the reasons for the birth of the IMF, its aims, and its
decisional bodies and it emerged that almost all decisions are taken by eight
countries (China, France, Germany, Russia, Saudi Arabia, the Usa and Japan) that
together hold almost 50% of votes. In order to avoid unfair opinions I drew all the
information about the Imf from its website where many publications are easily
available. To understand in depth the recent crisis I analized the economic history of
Argentina. I decided to beginnimg from 1989, the date of the last big crisis. I
analyzed the main reforms about financial, commercial and banking matters mainly
contained in the “ Ley de reforma del Estado”, an important law of 1991. After
having consulted lots of data taken from the Argentinian Statistical Institute and
various articles I was able to understand the principal causes of the crisis.
There are a variety of reasons in this heavy defeat of neolibralism ideas but the main
part of responsabilities must be ascribed to IMF. Even Hörst Kohler, the managing
director of the IMF, declared in an article published in the Italian newspaper “Il sole
24 ore” on the 23 of January 2002 “The Imf has failed in Argentina”.
A first criticism was that the IMF itself suggested the wide insitutional reforms
adopted in the economic and financial field. These reforms had an irreversible
nature and were premature and destabilizing for a developing country as they
brought rapid and deep changes. The second criticism concerns not having taken
into consideration observations from some economists that questioned the validity
of the ideas fo the so called Washington Consensus. These economists had actually
forecast some years before heavy economic imbalance and the possibility of a
crisis. The third criticims is that the Fund didn’t respect one of its basic functions
concerning bilateral and multilateral surveillance of macroeconomic variables.
41
Furthermore the Fund has been accused for have financing for years the huge and
ever- growing external debt. Are these reasons behind the necessity of a radical
reform of the IMF as in the last 10 years it has been impossible not only to forecast
the numerous crises that have happened around the globe but also beacause it didn’t
assist countries with difficulties properly. That’s because, more and more frequently,
has granted loans in an exorbitant way in clear contrast with the functions present in
its statute and because sometimes it has placed itself at western countries’s service.
This lack appears to be inexcusable, unjustifiable and inacceptable from an
international institution created to avoid crises like this and that, more and more
frequently, it has emphasized and fomented in a macroscopic way.
42
43
44
Bibliografia
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http://www.foe.org
http://www.laborrights.org
http://www.tradewatch.org
http://www.worldbank.org
http:// ww.indymedia.it
http://ww.indec.org
47
48
APPENDICE
ALLEGATI
Allegato n° 1a
Articolo numero 1 dello Statuto del Fondo Monetario Internazionale
In accordo con quanto sopra. Il Fondo sarà guidato in tutte le sue politiche e decisioni da
questa serie di obiettivi contenuti in questo articolo.
Allegato n° 1b
I prestiti del FMI all’ Argentina dal 1991 al 2001
49
Allegato n° 2 Tabella riassuntiva 1991-1996
Dato Unità di
misura 1991 1992 1993 1994 1995 1996
Popolazione 33,0 33,4 33,9 34,3 34,8 35,2
Livello delle attività
Prodotto interno lordo Milioni di $ 189.594 228.776 236.505 257.440 258.031 272.150
Variazione real del Pil Percentuale 10,6% 9,6% 5,7% 5,8% -2,8% 5,5%
Pil pro capite Milioni di $ 5.751 6.845 6.983 7.501 7.421 7.727
Investimenti Diretti Milioni di $
2.439 4.431 2.793 3.635 5.609 6.949
esteri
Disoccupazione Percentuale
6,0% 7,0% 9,3% 12,1% 16,6% 17,3%
(ottobre)
Prezzi
Inflazione (dicembre) % annuale 84,0% 17,5% 7,4% 3,9% 1,6% 0,1%
Panorama
monetario
Riserve internazionali Milioni di $ 7.435 11.436 15.463 15.978 15.967 19.715
Settore Fiscale
Bilancio Fiscale % del Pil -0,5% 0,6% 1,2% -0,1% -0,5% -1,9%
Settore Estero
Esportazioni Milioni di $ 11.978 12.235 13.118 15.839 20.963 23.811
Importazione Milioni di $ 8.275 14.872 16.784 20.077 20.122 23.762
Saldo commerciale Milioni di $ 3.703 -2.637 -3.666 -4.238 841 49
Esportazioni / Pil % del Pil 6,3% 5,3% 5,5% 6,2% 8,1% 8,7%
Importazioni /Pil % del Pil 4,4% 6,5% 7,1% 7,8% 7,8% 8,7%
Debito
Debito estero Totale Milioni di $ 61.337 62.972 72.425 85.908 99.146 110.614
Debito estero Totale Crescita % 2,7% 15,0% 18,6% 15,4% 11,6%
Debito estero Totale % del Pil 32,3% 27,5% 30,6% 33,4% 38,4% 40,6%
Debito estero privato Milioni di $ 8.598 12.294 18.820 24.641 31.955 36.501
Debito estero pubblico Milioni di $ 52.739 50.678 53.606 61.268 67.192 74.113
Debito estero privato % del Pil 4,5% 5,4% 7,9% 9,6% 12,4% 13,4%
Debito estero pubblico % del Pil 27,8% 22,2% 22,7% 23,8% 26,0% 27,2%
Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
50
Allegato n° 3 Tabella riassuntiva 1997-2002
Dato Unità di
misura 1997 1998 1999 2000 2001 2002
Popolazione 35,7 36,1 36,6 37,0 36,2 36,2
Livello delle attività
Prodotto interno lordo Milioni di $ 292.856 298.948 283.523 284.204 268.697 103.011
Variazione real del Pil % annuale 8,1% 3,9% -3,4% -0,8% -4,4% -10,9%
Pil pro capite Milioni di $ 8.210 8.277 7.751 7.675 7.418 2.846
Investimenti Diretti Milioni di $
9.160 7.291 23.988 10.418 2.166 775
esteri
Disoccupazione Percentuale
13,7% 12,4% 13,8% 14,7% 18,3% 17,8%
(ottobre)
Prezzi
Inflazione (dicembre) % annuale 0,3% 0,7% -1,8% -0,7% -1,5% 40,9%
Panorama monetario
Riserve internazionali Milioni di $ 22.439 26.524 27.831 26.491 19.425 10.485
Settore Fiscale
Bilancio Fiscale % del Pil -1,5% -1,4% -1,7% -2,4% -3,2% -1,5%
Settore Estero
Esportazioni Milioni di $ 26.431 26.434 22.626 26.341 26.610 25.353
Importazione Milioni di $ 30.450 31.377 25.535 25.280 21.001 8.988
Saldo commerciale Milioni di $ -4.019 -4.944 -2.909 1.061 5.609 16.365
Esportazioni / Pil % del Pil 9,0% 8,8% 8,0% 9,3% 9,9% 24,6%
Importazioni /Pil % del Pil 10,4% 10,5% 9,0% 8,9% 7,8% 8,7%
Debito
Debito estero Totale Milioni di $ 125.051 141.929 145.289 146.575 140.291 131.878
Debito estero Totale Crescita % 13,1% 13,5% 2,4% 0,9% -4,3% -6,0%
Debito estero Totale % del Pil 42,7% 47,5% 51,2% 51,6% 52,2% 128%
Debito estero privato Milioni di $ 50.139 58.818 60.539 61.724 51.940 46.576
Debito estero pubblico Milioni di $ 74.912 83.111 84.750 84.851 88.351 85.302
Debito estero privato % del Pil 17,1% 19,6% 21,3% 21,7% 19,3% 45,2%
Debito estero pubblico % del Pil 25,6% 27,8% 29,9% 29,9% 32,9% 82,8%
Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
51
Allegato n° 4 Il cambio fra peso e real nel 1998 realizza una lieve flessione
per poi crollare nel febbraio 1999 con la svalutazione …..
Tab 1
Indice di cambio Peso-Real ( Base 1991=100)
Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic. Media
1997 93,6 93,0 93,5 94,0 93,5 93,1 92,5 91,7 91,4 91,2 91,0 90,8 92,4
1998 90,5 90,1 90,1 89,9 90,1 89,5 88,5 87,3 86,3 86,2 85,9 85,4 88,3
1999 68,7 54,7 56,3 63,4 64,1 61,2 60,4 58,3 58,1 56,6 58,4 61,7 60,2
2000 62,9 63,9 65,6 64,7 62,8 63,8 64,8 65,3 64,6 63,2 61,5 61,4 63,7
2001 62,1 61,1 58,7 56,0 53,7 52,7 51,5 51,1 48,3 47,7 52,3 56,7 54,3
Fonte: CEI su base Indec, Macrometrica e FMI
A conferma di ciò notiamo che le importazioni del Brasile sono in calo già nel
1998 per poi ridursi drasticamente l’anno seguente
Tab. 2
Importazioni Trimestrali Brasile 1997-99
valori in milioni dollari
Anno valore reale variazione reale variazione % rispetto
rispetto al trimestre al trimestre dell'anno
dell'anno precedente precedente
1997
1° trim. 97 13.120 2.382 22,18
2° trim. 97 15.404 2.927 23,46
3° trim. 97 16.939 2.703 18,99
4° trim. 97 15.884 49 0,31
Totale 61.347 8.061 15,13
1998
1° trim. 98 13.745 625 4,55
2° trim. 98 14.063 -1.341 -9,54
3° trim. 98 15.277 -1.662 -10,88
4° trim. 98 14.648 -1.236 -8,44
Totale 57.733 -3.614 -6,26
1999
1° trim. 99 10.858 -2.887 -26,59
2° trim. 99 12.207 -1.856 -15,20
3° trim. 99 12.735 -2.542 -19,96
4° trim. 99 13.418 -1.230 -9,17
Totale 49.218 -8.515 -17,30
Fuentes: CEI
52
Allegato n° 5 Il calo delle importazioni brasiliane è confermato dalla forte
diminuzione delle esportazioni argentine verso il Brasile.
(tab 1)
Dettaglio esportazioni argentine 1992-2002 (milioni di dollari)
Paese di Var.%
destinazione 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
01/02
Mercosur 2.327 3.684 4.804 6.770 7.916 9.597 9.414 7.065 8.391 7.492 5.590 -25,4%
Brasile 1.671 2.814 3.655 5.484 6.615 8133 7.949 5.690 6.990 6.272 4.736 -24,5%
Comunità
1.356 1.384 1.880 2.702 2.924 3.266 3.302 2.843 3.641 3.961 4.129 4,3%
Andina
NAFTA 1.638 1.562 2.084 2.030 2.297 2.555 2.679 3.142 3.708 3.561 3.633 2,0%
Canada 55 64 73 82 105 135 227 232 272 224 183 -18,2%
Messico 234 219 274 144 248 216 261 282 326 488 665 36,2%
Stati uniti 1.349 1.279 1.737 1.804 1.944 2.204 2.191 2.628 3.111 2.849 2.785 -2,2%
Unione
3.784 3.675 3.922 4.466 4.560 3.993 4.602 4.713 4.691 4.581 5.120 11,8%
europea
Resto del
2.388 1.961 2.127 3.526 4.212 4.908 4.588 3.216 4.139 4.675 4.535 -3,0%
mondo
Totale extra
9.908 9.434 11.035 14.193 15.895 16.834 17.020 15.561 17.950 19.118 19.763 3,4%
Mercosur
Totale 12.235 13.118 15.839 20.963 23.811 26.431 26.434 22.626 26.341 26.610 25.353 -4,7%
Fonte: CEI su base Indec
13,7% 20%
11,5%12,4% 18,7%
15%
10%
5%
0%
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
53
Allegato n° 6 Settore estero
Settore Estero 1991-2002
1991 1992 1993 1994 1995 1996
Esportazioni Mil. di $ 11.978 12.235 13.118 15.839 20.963 23.811
Importazioni Mil. di $ 8.275 14.872 16.784 20.077 20.122 23.762
Saldo
Mil. di $ 3.703 -2.637 -3.666 -4.238 841 49
commerciale
Esportazioni % del Pil 6,3% 5,3% 5,5% 6,2% 8,1% 8,7%
Importazioni % del Pil 4,4% 6,5% 7,1% 7,8% 7,8% 8,7%
1997 1998 1999 2000 2001 2002
Esportazioni Mil. di $ 26.431 26.434 22.626 26.341 26.610 25.353
Importazioni Mil. di $ 30.450 31.377 25.535 25.280 21.001 8.988
Saldo
Mil. di $ -4.019 -4.944 -2.909 1.061 5.609 16.365
commerciale
Esportazioni % del Pil 9,0% 8,8% 8,0% 9,3% 9,9% 24,6%
Importazioni % del Pil 10,4% 10,5% 9,0% 8,9% 7,8% 8,7%
Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
30.000
25.000
20.000
15.000
10.000
5.000
-5.000
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
54
Allegato n° 7 Debito Estero 1991-2002 (dati in milioni di dollari )
Il debito privato con il passare degli anni aumenta molto più rispetto al debito
pubblico e dal 1999 il rapporto debito- Pil aveva superato il 50%.
1991 1992 1993 1994 1995 1996
Debito estero totale 61.337 62.972 72.425 85.908 99.146 110.614
Debito estero
totale sul Pil
32,3% 27,5% 30,6% 33,4% 38,4% 40,6%
Debito privato 8.598 12.294 18.820 24.641 31.955 36.501
Debito pubblico 52.739 50.678 53.606 61.268 67.192 74.113
Deb. pubb. sul totale 85.8% 80,5% 74,0% 71,3% 67,8% 67,0%
Deb. priv. sul totale 14.2% 19,5% 26,0% 28,7% 32,2% 33,0%
Rapporto debito
Pubblico/debito privato
6.13 4,12 2,85 2,49 2,10 2,03
1997 1998 1999 2000 2001 2002
Debito estero totale 125.051 141.929 145.289 146.575 140.291 131.878
Debito estero
totale sul Pil
42,70% 47,48% 51,24% 51,57% 52,21% 128,02%
Debito privato 50.139 58.818 60.539 61.724 51.940 46.576
Debito pubblico 74.912 83.111 84.750 84.851 88.351 85.302
D. pubb. sul totale 59,9% 58,6% 58,3% 57,9% 63,0% 64,7%
D. priv. sul totale 40,1% 41,4% 41,7% 42,1% 37,0% 35,3%
Rapporto debito
Pubblico/debito privato
1,49 1,41 1,40 1,37 1,70 1,83
Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
Il grafico sottostante rappresenta la composizione del debito fra pubblico e
privato e l’andamento della percentuale del debito estero totale sul Pil.
140%
140.000
120%
120.000
100%
100.000
80%
80.000
60%
60.000
40.000 40%
20.000 20%
0 0%
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
55
Allegato n° 8 INFLAZIONE
Inflazione 1989-2002
5000% 4923,0%
4500%
4000%
3500%
3000%
2500%
2000% 1696,0%
1500%
1343,0%
1000%
764,7% 200,7%
500% 84,0% 19,2% 17,5%
0%
mag-89 dic-89 ago-90 dic-90 giu-91 dic-91 giu-92 dic-92
56
portandola quasi allo zero. L’evidente recessione è confermata dall’inflazione
negativa, (la deflazione), che ha colpito duramente l’Argentina provocato la
stagnazione dell’economia. L’inflazione è tornata a livello molto alti dopo la
fine della parità.
44,6%
39,7%
30,5%
12,3%
9,7%
7,4%
1,6% 1,1%
0,3%
giu-94
giu-95
giu-96
giu-97
giu-99
giu-00
giu-01
giu-02
lug-03
dic-98
dic-99
dic-00
dic-01
dic-02
mar-98
mar-03
57
Allegato n° 9
Tab. 1
TASSO DI DISOCCUPAZIONE 1990-2002
mag-90 ott-90 giu-91 ott-91 mag-92 ott-92 mag-93
8,6% 6,3% 6,9% 6,0% 6,9% 7,0% 9,9%
ott-93 mag-94 ott-94 mag-95 ott-95 mag-96 ott-96
9,3% 10,7% 12,1% 18,4% 16,6% 17,1% 17,3%
mag-97 ott-97 mag-98 ott-98 mag-99 ott-99 mag-00
16,1% 13,7% 13,2% 12,4% 14,5% 13,8% 15,4%
ott-00 mag-01 ott-01 mag-02 ott-02
14,7% 16,4% 18,3% 21,5% 17,8%
Fonte: CEI in base a fonti nazionali, FMI e "The Economist"
Tab 2
Famiglie povere ed indigenti 1988-2001 (dati percentuali)
ott-88 ott-89 ott-90 ott-91 ott-92 ott-93 ott-94
Fam.povere 24,1% 38,2% 25,3% 16,2% 13,5% 13% 14,2%
Fam. indigenti 7% 11,6% 4,6% 2,2% 2,5% 3,2% 3%
ott-95 ott-96 ott-97 ott-98 ott-99 ott-00 ott-01
Fam. povere 18,2% 20,1% 19% 18,2% 18,9% 20,8% 25,5%
Fam. indigenti 4,4 5,5% 5% 4,5% 4,8% 5,6% 8,3%
Fuente: CEI en base a fuentes nacionales, FMI y The Economist
25,0%
22,5%
21,5%
2
91
-9
-9
-9
-9
-9
-9
-9
-9
-9
-0
-0
-0
u-
ag
ag
ag
ag
ag
ag
ag
ag
ag
ag
ag
ag
gi
m
58
Allegato n° 10
Il grafico evidenzia la dipendenza dell’argentina dagli investitori esteri i quali
hanno massicciamente ridotto l’afflusso di capitali verso lo stato
sudamericano. Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
20.000
15.000
10.418
10.000
6.949 7.291
4.431 3.635
5.000
2.166
775
0
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
La crisi del sistema bancario è confermata dal calo delle riserve internazionali
di moneta alle quali la Banca centrale della Repubblica Argentina ha dovuto
attingere fortemente nel 2002. Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
5000
0
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
59
Allegato n° 11
% occupati sul
vendite % vendite sul totale occupati
totale
principali 18 gruppi 26.275 81,8 111.924 86,5
economici
prime 100 imprese 27.188 84,7 93.535 72,3
prime 500 imprese 31.629 98,5 125.476 97
prime 1000 imprese 32.110 100,0 129.353 100
Fonte Chudnovsky at al. 1999
60
Tab.4 Grandi imprese in Argentina: quantità delle imprese per origine di
capitale 1993/2001
Totale 9.383 11.849 12.036 11.628 12.508 12.819 11.859 10.037 10.899
Nazionali 2.232 3.720 2.519 2.417 1.706 2.385 2.433 1.359 1.617
Con partecipazione
straniera
7.150 8.129 9.517 9.210 10.802 10.433 9.425 8.677 9.282
Fino al 50% 4.807 5.094 4.175 3.050 1.760 1.818,4 1.293,2 741,9 1.458
Più del 50% 2.342 3.035 5.342 6.160 9.042 8.615 8.132 7.935 7.824
Fonte: INDEC, Inchiesta Nazionale sulle Grandi Imprese
61