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Emanuele Coccia (ein_ani@yahoo.

fr) Esposizione del Progetto di tesi di dottorato REGULA VITAE LA DISCUSSIONE SULLA REGOLA NEI FRANCESCANI SPIRITUALI
El derecho es la ciencia de todo. No hay nada fuera de esa ciencia,

La tesi, condotta sotto la guida e la direzione dei Proff. Alain Boureau e Sylvain Piron e giunta ora alla fine del suo primo anno, si focalizza sul dibattito tra Spirituali e Comunit accesosi nel seno dellordine francescano tra la fine del tredicesimo secolo e il primo quarto del quattordicesimo, riguardante lo statuto della regula di Francesco, il suo speciale grado di normativit, e pi genericamente la natura che la legge deve assumere quando essa chiamata non tanto a evitare il peccato (amartma) ma a produrre positivamente una certa forma di vita, quella cio che il Messia e gli Apostoli hanno personalmente condotto (vita apostolica)1. Lurgenza, linteresse e la necessit di analizzare e studiare i documenti prodotti nel corso di questo dibattito rafforzata dalla peculiare negligenza con la quale la storiografia pi recente sembra averli trascurati. Se si eccettua una recente monografia di David Burr, la letteratura storiografica sugli spirituali , almeno quanto ai suoi risultati pi importanti, rimasta agli studi di un secolo fa di Franz Ehrle. La discussione sulla normativit della regola in ambito monastico stata poi solo raramente fatta oggetto di uno studio. Solo una importante monografa di Candido Mazon che ha il torto per di considerare lo spessore giuridico di questo dibattito come del tutto inessenziale, ha fatto oggetto di studio la dottrina dei gradi di realt e di obbligatoriet delle regulae (la distinzione tra praecepta, consilia e monita). Inoltre, lopinione diffusa presso medievisti e francescanisti, cos come talora fra storici del diritto, che lesperienza francescana abbia costituito un punto chiave nella definizione del rapporto tra il papato e gli ordini quanto alla legislazione monastica, deve ancora essere adeguatamente verificata. Anche lipotesi, spesso sostenuta dagli studiosi di una assoluta originalit delle tesi spirituali sulla coincidenza tra regula e vita e sullindeterminazione del votum rispetto alla tradizione monastica che le ha precedute alla luce della ricerca che ho effettuato- difficilmente sottoscrivibile e bisognosa di revisione. Ci non tanto perch come recita il detto della Torah, ein khadasch takhat
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Cfr. in proposito H. Grundmann, Religise Bewegungen im Mittelalter

ha-shemesh, non c nulla di nuovo sotto il sole-, ma perch la questione dellidentit di regola e vita e della particolare estraneit al diritto o alla legge di una regula vitae in realt un problema strutturale, paradigmatico di tutta quellimmensa letteratura giuridica o paragiuridica che sono le regulae vitae. Di qui, da un punto di vista strettamente metodologico, si reso necessario correggere la vise della tesi: piuttosto che concentrarsi esclusivamente sul materiale documentario di stretta provenienza francescana, si dovr ricercare un continuo raffronto con lintero passato monastico e con i testi che esso ha prodotto, per evitare cos di scambiare lignoranza del passato con la scoperta dellemergenza di una novit. Vorremmo schizzare brevemente in queste pagine i presupposti filologici e metodologici che inspirano le nostre ricerche, e mostrare assieme il distillato storicogiuridico che ne costituisce linteresse e che stato fino ad ora possibile estrarre da esse.

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Uno dei pi gravi imbarazzi che la ricerca si trova ad affrontare la grande somma di equivoci e imprecisioni degli studi (spesso alimentati da forme pi o meno velate di apologia) che riguardano il fenomeno monastico nel suo senso pi ampio. Le regulae vitae sono state interpretate pi volte in termini di fatti spirituali o religiosi, di pratiche sociali vagamente morali o protoantroposofiche. Curiosamente non le si per mai (o quasi mai, se si eccettuano i lavori recenti della scuola di Melville in germania) considerate come ci che pi ovvio: innanzitutto essi sono dei documenti giuridici, certo sui generis, ma descrivono il fatto e la realt di una legge. Si tratter in questo senso di provare a formulare per le regole di vita quel medesimo Silete theologi che permise ad Alberico Gentili di liberare la scienza del diritto dai luoghi comuni della teologia. Gran parte delle ricerche sulla vita monastica hanno avvicinato il proprio oggetto attraverso lequivoca nozione di spiritualit. Non sono solo limprecisione e la vaghezza di questo concetto a vietarne ogni possibile uso nellambito di una ricerca storico-giuridica o storico-dottrinale che voglia mantenere una qualche seriet scientifica. Quanto impedisce di accordare ad esso la minima dignit concettuale piuttosto il fatto che si tratta di un termine che traduce e volgarizza un luogo comune della letteratura edificante tardo-cinquecentesca, proiettato su documenti o testi in

nessun modo assimilabili ad essa. In realt tutto lellenismo e lungo larco di gran parte del medioevo il termine spiritus (o il suo equivalente greco pneuma) ed i suoi derivati erano termini tecnici del vocabolario medico o di quello antropologico, e definivano una delle parti di cui si compone e si definisce la sostanza umana, oltre alla psich e al sma2. Ora, la vita o lesperienza monastica non riguarda in nessun modo in maniera privilegiata lo spirito e la spiritualit, non pi di quanto non coinvolga lanima e lo psichismo o il corpo e la corporeit del vivente; nellantropologia che si disegna allinterno di queste norme il vivente lontano dal ridursi ad una serie di semplici operazioni spirituali. Basta una pur minima frequentazione delle codificazioni monastiche per rendersene conto: in esse una vita coinvolta (e in qualche modo descritta) in tutte le sue forme. In questo senso estremamente fuorviante collocare lo studio di questo importante fenomeno nella cornice degli studi di storia religiosa. La nozione di religione, cos come si abituati ad intenderla nella modernit (nel modo in cui ad esempio si cominci a definirsi a partire dalle ricerche di Alexander Ross3), non affatto capace di descrivere in dettaglio lordine dei saperi, dei corpi e dei poteri (su di s e sugli altri) realizzatosi nella tarda antichit o nel medioevo latino. Essa si riferisce piuttosto ad una situazione politica e culturale concreta e storicamente delimitata: quella del cristianesimo post-tridentino, di ci che rimasto del cristianesimo dopo le guerre di religione e la nascita dello stato moderno. Nei documenti e nei testi medievali religio indicava semplicemente una forma di vita determinata da un giuramento, da un voto: religiones erano gli ordini monastici o quelli mendicanti, che si opponevano al mondo secolare, quello dei clerici4. Descrivere gli ordini monastici nei termini di un fenomeno religioso significa pertanto formulare poco pi di un tautologico giudizio analitico (la religio un fenomeno religioso) o scivolare in un evidente
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Come noto a partire da Aristotele che si disegnano i tratti di questa antropologia che sar paradigmatica per gran parte della cultura tardo-antica e medievale. Cfr. Aristotele, De gener. Animalium, II, 3, 736b. Tra i numerosi possibili riferimenti, il classico studio di G. Verbeke, Lvolution de la doctrine du pneuma du stocisme S. Augustin, Paris 1945 3 Cfr. ad esempio Pansebeia, or a View of all Religions in the World, London 1653 4 Manca ancora uno studio relativo alla genesi del senso moderno del termine, a partire dalla trattatistica tardo-cinquecentesca e secentesca sulle religioni nel mondo e dai dibatti sulla tolleranza. Per la storia del termine a Roma cfr. M. Kobbert, De verborum religio atque religiosus usu apud romanos, Diss. Knisberg, 1919. E pi genericamente, lo studio di E. Feil, Religio, 1986, che rischia di trasformare il termine in una categoria astorica. Si deve evitare di pensare una continuit diretta (anche etimologica) tra lesperienza romana di religio e quella medievale. Per la nozione di religio a Roma cfr. Y. Thomas, Res religiosae: on the categories of religion and commerce in Roman Law, in Law, Anthropology and the Constitution of the Social. Making Persons and Things, ed. by A. Pottage and M. Mundy, Cambridge University Press 2004, pp. 40-72.

anacronismo. Pi genericamente, come sarebbe ingenuo descrivere lebraismo o lislamismo nei termini di religioni innanzitutto perch esse sono e si sanno realt politiche-, cos poco appropriato forse parlare di religione nel caso del cristianesimo medievale. solo dopo la nascita dello stato moderno che il cristianesimo si sa e si vuole semplice religione. Ne prova il fatto che nella trattatistica medievale imperium e sacerdotium non si oppongono nel modo in cui nella modernit il religioso si oppone al politico, ma si affiancano come due intensit del politico, come due politiae (cos ad esempio secondo Johannes Quidort) o due leges (cos in Marsilio da Padova) o due populi in eodem civitate sub eodem lege (cos in Simone di Tournay)5. E specie a partire dal XII secolo la vita monastica definisce innanzitutto unesperienza politica: essa intende riprodurre la comunit perfetta incarnatasi nella vita del Messia e dei dodici apostoli. Se, come scrive Aristotele, politica non che la scienza della teleiotate koinonia, ogni ordo religionis innanzitutto il luogo di un esperimento politico che riguarda la possibilit di produrre una vita perfetta attraverso una particolarissima relazione tra vita e norma. La particolarit di questo esperimento politico (differente da quello elaborato nel mondo classico nel modello della polis) sta proprio nella differente articolazione tra comunit e legge. Si potrebbe descrivere una comunit monastica come una polis specifica che ha demandato ad un nomos la costituzione integrale della sua esistenza ed ha tramandato in esso la sua vita nei suoi minimi dettagli6. Alla luce di quanto si detto, ci sembra parimenti ambiguo il tentativo, diffusosi specie in seguito agli studi di P. Hadot, di cogliere nella vita monastica un episodio tardivo o postumo della tradizione tardo-antica degli esercizi spirituali o delle tecniche del s7. Secondo Hadot, come la filosofia profana, la vita monastica si presenterebbe
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Per unimportante definizione del problema cfr. a questo riguardo i saggi di Leo Strauss, Philosophie und Gesetz, Berlin 1935, ed inoltre Quelques remarques sur la science politique de Maimonide e de Farabi, Revue des etudes juives, Paris 1936, 100, pp. 1-37. Strauss tende per a accomunare ebraismo e islamismo entro un unico genere per differenziarli dal cristianesimo. Cfr. ad esempio Come avviare lo studio della filosofia medievale, tr. it. in L. Strauss, Gerusalemme e Atene. Studi sul pensiero politico dellOccidente, Torino 1998, p. 265: si dovr prendere avvio dalla diversit tra lebraismo e lIslam, da una parte e la cristianit, dallaltra. Per lebreo e per il musulmano la religione non anzitutto come per il cristiano una religione articolata in dogmi, bens una legge, un codice di origine divina. In realt il cristianesimo non fa che tradurre lappartenenza ad una comunit non solo attraverso una serie di pratiche o di gesti (ortoprassia) ma anche attraverso una serie di opinioni (ortodossia). Non si rivolge cio al soggetto in quanto semplice corpo capace di azione e di prassi, ma anche in quanto soggetto del sapere, in quanto individuo razionale capace di pensiero. 6 In un intervento provocatorio pubblicato nella Revue de droit canonique (Pour une approche ethnologique du monachisme, in RDC, 35, 1985, pp. 129-138) P. Erny ha suggerito di cogliere nelle comunit monastiche dei veri e propri ethnoi: quand on aborde le monde des moines on se trouve confront exactement aux mmes questions que pour nimport quel autre ethnos (p. 132) 7 Cfr. P. Hadot, Exercises spirituels et philosophie antique, Paris 1993; P. Hadot, Quest-ce que la

come la pratica di esercizi spirituali di cui alcuni sono specificamente cristiani, ma molti sono ereditati dalla filosofia profana8. Limitarsi a sottolineare per la mera continuit materiale delle pratiche e degli usi propri della tradizione etica e morale tardo-ellenistica con il kosmos monastico rischia di alimentare dei gravi equivoci. Il senso di certe pratiche e di certi gesti, di certe tecniche pu mutare integralmente in funzione del modo e del dispositivo che ne definisce la loro attuazione. Se forse innegabile che la vita filosofica profana e vita monastica avevano in fondo molte analogie9, una simile prospettiva sembra dimenticare che ci che in gioco nella vita monastica innanzitutto una dimensione giuridica. Le pratiche di concentrazione su di s, di contemplazione della morte, di confessione non rispondono nelluno e nellaltro caso ai medesimi scopi. Nel mondo ellenistico le tecniche del s permettono agli individui di effettuare soli o attraverso laiuto di altri un certo numero di operazioni sul loro corpo e la loro anima, i loro pensieri, le loro condotte il loro modo dessere; di si trasformarsi al fine di raggiungere un certo stato di felicit, di purezza, di saggezza, di perfezione o di immortalit10. Esse definiscono la realizzazione degli ideali dellaver cura di se (epimelesthai autou) e del cognosce te ipsum. Lontane dal costituire gli esercizi attraverso cui una soggettivit libera e sovrana arriva nella solitudine a perfezionare se stesso, a conquistare e costruire pazientemente la propria matrise sur soi-mme, queste stesse tecniche assumono nella vita monastica innanzitutto il luogo in cui la vita apprende a costituirsi in ogni suo gesto e in ogni suo istante sotto legida di una norma. Non un caso se un capitolo della Regula S. Benedicti (cap. 33), arrivi a sottrarre dalla volont del singolo il corpo e la sua stessa volont (sed nihil omnino [], nec corpora sua nec volutates licet habere in propria volutante). Queste tecniche cessano di essere semplici opzioni che si offrono al soggetto e che il soggetto pu adottare liberamente, per divenire il contenuto esplicito di una legge che prende ad oggetto non questo o quel gesto della vita umana, ma la totalit dei gesti, delle azioni, dei tempi in cui unesistenza si concreta. In questo senso la vita monastica il luogo in cui il governo di un esistenza cessa di costituirsi come mise en acte del precetto dellepimelesthai autou: ogni
philosophie antique, Paris 1995; P. Hadot, A. Davidson, Philosophy as a way of Life , Cambridge (Mass.), 1995. 8 P. Hadot. Quest-ce que la philosophie antique, cit., p. 363 9 Ibid., p. 370 10 M. Foucault, Le tchniques du soi, in Dits et crits, IV, Paris, p. 784. Le considerazioni di M. Foucault sugli esercizi spirituali sono in questo senso molto pi precise e meno vaghe di quelle di Hadot. Cfr. soprattutto ibid. p. 800.

regula monastica solleva lindividuo dalla necessit della cura di s cos come dalla fatica dellautoconoscenza. Queste tecniche descrivono ora il modo in cui una vita assorbe in s una norma e una norma arriva a definire nella sua globalit la forma di una vita singolare. Lobiezione, spesso sollevata che soprattutto nei primi secoli, la vita monastica non sia necessariamente definita giuridicamente perch, data lassenza di una vera e propria regola scritta, essa si fonda su costumi e usi tramandati per altro modo piuttosto ingenua. La nozione di mores ha nelluniverso tardo-antico e medievale infatti essa stessa una natura e uno spessore puramente giuridici: tutto il diritto nelle leggi e nei mores, aveva scritto Isidoro e mos per tutto il medioevo latino non che una lex non scripta. Consuetudo est ius quoddam moribus instituum quod pro lege suscipitur (Etym. II, 10, n. 2-3). Anche in questo caso dunque siamo dinanzi ad unesperienza giuridica, anche se non passa attraverso la produzione di una norma scritta. Da esperienza di perfezione morale e dispositivo di costituzione etica di una soggettivit le technai tou biou divengono ora il luogo in cui una vita arriva a coincidere con una norma e raggiunge unassoluta perfezione giuridica. O meglio: esse definiscono un dispositivo in cui la perfezione etica arriva a coincidere con la perfezione giuridica di una vita e viceversa. In questo peculiare chiasma, viene ad evidenza unulteriore difficolt che lo studio delle regole monastiche non cessa di incontrare. Nelle regulae vitae anzi si mostra in forma paradigmatica quella singolare mescolanza e reciproca confusione tra morale e diritto che spesso ha definito la tradizione speculativa occidentale. Mai forse il diritto ha avuto cos esplicitamente per oggetto la perfezione morale del vivente, e mai il precetto morale ha assunto in modo pi integrale la forma di una norma giuridica: una pretesa perfezione morale viene a costituirsi in semplice perfezione giuridica (lobbedienza ad una regola, ad una norma, ad un giuramento), e la norma si prende cura della vita virtuosa in tutte le sue forme. La storia del progetto di questa segreta e altrove mai perfettamente riuscita congiunzione tra diritto e morale non stata ancora scritta. Fu forse Cicerone nel De officis il primo a tentare consapevolmente il matrimonio tra due tradizioni evidentemente estranee quali quella della epistm thik dei greci e quella dello ius romanum entro un unico, inedito linguaggio (quello dellofficium); proprio per questo egli riuscir a trasformare una nozione puramente giuridica (quella dellhonestum) in un ideale etico. E se ancora in epoca moderna (basti pensare a Grotio, Leibniz o

Pufendorff) il diritto viene definito come qualitas moralis11, ancora in questo secolo, colui che ha spinto pi lontano il tentativo di fornire una teoria pura del diritto, H. Kelsen, non ha potuto fare a meno, nellindividuazione della Grundkategorie della sua teoria generale delle norme, di appoggiarsi alla riflessione etica e rinviare alla Einleitung in die Moralwissenschaft di Simmel12. Il caso delle regulae vitae potrebbe costituire lesempio pi riuscito ed il modello trascendentale di questa tradizione e risulta di particolare interesse non solo in una prospettiva puramente storico-archeologica, ma anche in senso teorico. In esse infatti lindeterminazione reciproca di diritto e morale prodotta attraverso una macchina giuridica il votum- che trasforma in legge e norma (e conferisce quindi carattere prescrittivi) ci che semplice opzione etica proposta alla libert del soggetto. La regola in quanto tale considerata come semplice modello di esistenza- si propone ad ogni uomo, senza imporsi ad alcuno (regula sancti benedicti omni homini proponitur imponitur nulli)13. Essa ha valore cio solo opzionale e non normativo. Giova se viene accolta devotamente e viene mantenuta, ma non danneggia se non viene accolta. Essa esprime la volont di colui che la riceve e non il potere di colui che la propone; per questo parlo di volontariet e non di necessit o di coazione. Il voto tuttavia cambia profondamente la modalit della vita che la regola si limiterebbe a proporre. Perch una volta pronunciato il voto ci che era volontario e rimesso alla libert e allarbitrio del soggetto si trasforma nellobbligazione del necessario14. necessario distinguere e separare due tempi (tempora) perch la regola costituisce una macchina a due fasi: prima della professio essa apre uno spazio di libert, una vita semplicemente proposta alla volont del soggetto; dopo la professio invece essa articola lintera vita del soggetto che lha assunta nella modalit propria della legge e

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Cfr. ad esempio la definizione di Grozio. Ius est qualitas moralis personae competens ad aliquid iuste habendum vel agendum, in H. Grotius, De iure belli ac pacis libri tres, Francoforti 1699, I, IV, 58 12 Kelsen, Allgemeine Theorie der Normen. Aus dem Nachla hrsg. von K. Ringhofer und R. Walter, Wien 1979, p. 2. Viceversa un filosofo erede della tradizione della moralistica francese come P. Ricoeur pone curiosamente al centro della sua interrogazione morale la categoria, di chiara origine giuridica, di prceptes. Cfr. P. Ricoeur, Soi-mme comme un autre, Paris 1990, p. 200 sqq. Sul termine praeceptus cfr. J. Gaudemet, Praeceptum, in Studia Gratiana XIX Mlanges G. Fransen I, Rome 1976, pp. 255-269. 13 Bernardo di Chiaravalle, De praecepto et dispensatione, in Migne, Patrologia Latina, CLXXII, cc. 859 14 ibid. Attamen hoc ipsum quod dico voluntarium si quis ex propria voluntate semel admiserit et promiserit deinceps tenendum, profecto in necessarium sibi ipse convertit nec iam liberum habet dimettere quod ante tamen non suscipere liberum habuit. Ideoque quod ex voluntate suscepit ex necessitate tenebit: quia omninon necesse est eum reddere vota sua quae distinxerunt labia sua et ex ore suo aut condemnari iam aut iustificari

della norma15. Il votum sembra essere il dispositivo di trasformazione della proposizione etica nellimposizione giuridica, quasi fosse loperatore di questa congiunzione tra morale e diritto di cui si parlato prima. Stranamente la centralit del votum in tutta la peculiare forma di diritto costituito dalle regulae monastiche ancora lontana dallessere stata adeguatamente sottolineata16. Persino la semplice storia del voto di obbedienza stata loggetto di una reciproca delega tra storici del diritto, storici della religione e medievisti tout court che non ha giovato in nessun modo alla ricerca storica17. Uno dei punti centrali del dibattito tra comunit e spirituali, che la tesi affronter sar quello della possibilit di un votum del tutto indeterminato. Unultima, ulteriore difficolt connessa allo studio delle regulae vivendi della tradizione monastica merita una analisi pi diffusa. vero che sullo statuto giuridico delle regulae vitae medievali lerudizione e la scienza hanno riflettuto ben poco18. Esse infatti, piuttosto che essere considerate come dei veri e propri Rechtsbcher di codificazione ufficiale, sono state generalmente presi in considerazione quasi esclusivamente in un ottica genericamente storica. Questa riluttanza deriva anche dalla peculiarit della forma giuridica che queste regole incarnano. Se di vero e proprio diritto si tratta, esso ha assunto una forma che lo rende incomparabile a quella che ha definito le forme ed i modi dellesperienza e della pratica giuridica romana e classica. stato acutamente notato che una delle grandi originalit del cristianesimo risiede nel fatto che esso si fonda su un racconto (rcit) pi che su dei precetti; i precetti, i dogmi, i riti si presentano cio nel medio di alcuni racconti (i vangeli) spesso incompleti e
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Ibid. c. 863: Constat igitur ex his quae dicta sunt, vestra illam divisionem integram esse ac sufficientem, si modo personae distinguantur et tempora, dum subiectis quidem sit omnis regularis institutio (quantum duntaxat ad corporales observantias pertinet) ante professionem voluntaria, post professionem necessaria: prelatis vero parte voluntaria, ut quae inventa ab homine, partim necessaria, ut que fuerint divinitus instituta. 16 La grande monografia di Paolo Prodi sul giuramento (Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dellOccidente, Bologna 1992) trascura inspiegabilmente la dottrina del votum. 17 Al punto che leditore moderno delle quaestiones sul voto di P. Giovanni Olivi si lascia sfuggire delle gravissime imprecisioni cfr. P. Ioannis Olivi, Quaestiones de romano pontefice, cura et studio Marci Batoli, Grottaferrata Roma 2002. 18 Se si eccettuano i recenti lavori di Gert Melville e Florent Cygler. Cfr. soprattutto Florent Cygler, Ausformung und Kodifizierunng des Ordensrecht vom 12. bis zum 14. Jahrhundert. Strukturelle Beobachtungen zu den Cisterziensern, Prmonstratensern, Kartusern und Kluniazensern, in De ordine vitae. Zur Normvorstellung, Organisationsfromen und Schriftgebrauche im mittelalterlichen Ordenswesen, hrsg von G. Melville, Mnster 1996, pp. 7-58; e G. Melville, Ordenstatuten und allgemeines Kirchenrecht. Eine Skizze zum 12./13. Jahrhundert, in P. Landau (hsrg), Proceedings of the Ninth International Congress of Medieval Canon Law, Roma 1997, 691-712.

discordanti19. E, si potrebbe aggiungere, questi racconti sono innanzitutto lesposizione di una vita quella del Messia e della genesi di una piccola comunit strettasi attorno a lui. Che il codice giuridico la Torah- di quella setta messianica del giudaismo ellenistico che fu il cristianesimo20 si presenti sotto la forma letteraria di quella che si potrebbe chiamare una biografia definisce un paradosso che trover nelle regole di vita la sua formulazione pi accesa. Se la legge per eccellenza diviene lesposizione di una vita, ogni forma di normativit dovr avere per oggetto non questo o quelloggetto (res), non questo o quellatto, ma lintegralit dellesistenza di un individuo. E lo ius concerne lindividuo non nella sua semplice facolt di agire ma gi nel mero fatto di vivere. Non si potrebbe immaginare paradigma pi distante dal diritto classico romano. Le regulae vivendi che sin dal loro esordio si vogliono spesso come semplici rsum del testo evangelico o si presentano come compilationes evangeliche- sono in fondo la pi radicale incarnazione di questa rivoluzione giuridica definiscono una forma particolare di diritto non solo quanto alla sua sorgente ma innanzitutto quanto al suo oggetto. soprattutto in ambito francescano attraverso la ripresa delle speculazioni gioachimite e paoline sui diversi stati che la legge nella storia della salvezza- che il medioevo ha compiuto le pi importanti riflessioni sul rapporto che sussiste tra vita e norma. In tutta la tradizione monastica (fino allutopia gioachimita che vedeva nello status dei monaci la forma che lumanit assumer alla fine dei tempi) la regula in quanto riproduzione della vita apostolica delle origini21, non una semplice lex privata ma la
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A. BOUREAU, Lvnement sans fin. Rcit et christianisme au Moyen Age, Paris 1993, p. 10. sulla falsariga e sul modello di questa ricostruzione del genere letterario agiografico che ci proponiamo nella tesi unanalisi ed una descrizione del genere giuridico-letterario delle regulae vitae 20 A partire dalle ricerche sui giudeocristiani (il termine fu impiegato per la prima volta da John Toland nel diciassettesimo secolo) la tesi comune in tutta lapologetica cristiana ma difesa ancora da Harnack e da Troeltsch- dellassoluta novit del cristianesimo rispetto alla tradizione giudaica stata definitivamente confutata. Il cristianesimo delle origini si sviluppo come una delle molte sette messianiche sorte in seno al giudaismo antico. Cfr. in proposito F. CHR BAUR: Die Christuspartei in der korintischen Gemeinde der Gegensatz des petrinischen und paulinischen Christentum in der ltesten Kirche, der Apostel Paulus in Rom, in Tbingen Zeitschrift fr Theologie 4, 61-206; M. SACHOT, Linvention du Christ. Gense dune religion, Paris 1997; FRANOIS BLANCHETIRE, Enqute sur les racines juives du mouvement chrtien (30-135), Paris 2001 e i numerosi testi di J. DANIELOU. Anche le osservazioni di Boureau possono leggersi in questa prospettiva: il gesto del Messia Ges e dei suoi discepoli fu quello di privilegiare laggadah rispetto alla normazione halakhika. Su questa dualit tra halakhah e aggadah nella tradizione giudaica (e lopposizione tra legge e racconto) cfr. il celebre saggio di, Chaim Nachman BIALIK, Halacha und Aggada, in Der Jude 4 (1919-20), p. 61-72 21 La prospettiva francescana e pi genericamente propria a molte religiones che facevano proprie lideale della vita apostolica risulta oggettivamente vicina al cristianesimo delle origini, almeno cos come gli studiosi sono soliti oggi descriverlo. Secondo F. Blanchetire (op. cit., p. 519) propria al nazareismo (cos chiama la prima forma che assunse il futuro cristianesimo) era la massoreth, la paradosis dei detti e delle gesta del Messia, come principio di costituzione e di autogiustificazione della comunita (qehila)

forma paradigmatica che la legge deve assumere, lo stato messianico per cos dire di ogni legge. E caratteristico di questo stato appunto la perfetta coincidenza tra legge e vita. Come si legge nel Diadema monachorum di Smaragdus Abbas, la regula bene et iuste et pie vivendi stata tramandata dagli apostoli deve essere mantenuta fermamente dalla chiesa che prende la loro vita come modelli. E la norma di quella regola si trasformata nella vita degli stessi apostoli22: la legge diventata vita in atto. La peculiarit di questi testi, ci sembra, sta quindi nel fatto che in essi il diritto per la prima volta prende ad oggetto la vita nella sua stessa relazione alla propria forma ed al suo genere23. Nello studiare sub specie iuris questi testi si tratter pertanto di comprendere quali siano gli strumenti giuridici che il diritto ha elaborato allorch ha costituito come oggetto giuridico la vita stessa in quanto forma (non nella sua relazione cio agli oggetti o agli altri soggetti giuridici ma a se stessa ed alla propria forma). Per questo la nostra ricerca si innanzitutto concentrata sulla nozione di forma vitae (nelle sue varianti formula vivendi, formula vitae), scorgendo in essa una nuova categoria giuridica, necessaria alla costituzione della vita umana e della sua forma come fatto rilevabile dal diritto. Non un caso se proprio nel prendere ad oggetto il religiosus come soggetto giuridico che il diritto ha elaborato la nozione di genus vitae24. E proprio in questo senso gli studi di Hadot mostrano tutta la loro insufficienza. Il loro principale limite sta nel fatto che in essi le categorie mode de vie, e vie sono colte come semplici donnes du sens commun. Non si presta minima attenzione al fatto che nel tardo ellenismo i termini bios, diaita, tropos tou biou, askesis, cessino di descrivere semplici pratiche per acquisire uno specifico spessore concettuale. Ci che invece importante sottolineare il fatto che vita, modo di vita, esercizio divengano improvvisamente oggetto della riflessione filosofica o antropologica e che lesperienza del mondo sia pensata e descritta in questi termini. La mancanza di uno studio che tracci la storia e la genealogia di queste nozioni impedisce di cogliere lo spessore e la natura della rivoluzione prodottasi nel tardo ellenismo e che permise di costituire la vita e la sua forma a oggetto di riflessione e non pi a semplice dato dellesperienza comune. a partire forse da queste fonti, e
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SMARAGDUS ABBAS, Diadema monacharum, caput. LXXIV, in Migne, PL 102, col. 670: regulam autem bene ambulandi id est bene et iuste et pie vivendi tradiderunt fidelibus apostoli quam omnium fidelium debet tenere firmiter ecclesia quae ad illorum suam vult dirigere vitam. Istius ergo regulae norma, omnibus christianis ipsorum apostolorum facta est vita 23 Di qui il loro carattere abstrakt-generelles e niente affatto casuistico, che pi volte si sottolineato. 24 Attraverso la nozione di genre de vie in Domat, questa categoria giuridica riemerger in epoca moderna. Su questo cfr. gli studi inediti di P. Napoli.

soprattutto dalla riflessione agiografica che il diritto monastico elabora la sua nozione di vita o forma vitae. Nello studiare le forme di questo alter ius si dovr assolutamente evitare di cadere in due generi di equivoci. Il primo quello di chi concepisce ogni forma di diritto come il tentativo di costituire il vivente in quanto tale, ed individua nella generica formula del vitam constituere il gesto peculiare di tutto il diritto occidentale. Si dovranno ricercare piuttosto innanzitutto i modi e le forme attraverso cui il diritto riuscito a prodursi in forme diverse da quelle comunemente praticate nel mondo classico proprio attraverso la produzione e lelaborazione di un oggetto affatto differente (non pi la persona, la res, lactio, secondo la tripartizione dellincipit delle Institutiones di Gaio ma la forma vitae, cos come si legge nella Regula bullata francescana). Il secondo, pi grave e connesso evidentemente col primo, quello di leggere in senso naturalistico la nozione di vita. Il termine vita, dal momento in cui entra a far parte delle regulae vivendi (di testi giuridici) cessa di essere un vocabulum naturae per farsi vocabulum iuris. Se il diritto un modo del discorso, il suo registro lontano da quello puramente descrittivo delle scienze: esso non si riferisce ad un mondo reale, ma pone accanto ad esso una consistenza ulteriore delle cose che indifferente ed arbitraria rispetto alla loro natura. Vita qui non designa in nessun modo un fatto naturale: divenuta categoria giuridica essa costituisce luomo secondo forme diverse da quelle reali. Nello studio di quello che le regole medievali chiamarono vita o forma vitae si dovr riuscire a cogliere le forme attraverso cui il diritto produce un oggetto inedito che chiama vita e studiare le possibili fonti attraverso cui questa categoria si elaborata. Che cos una vita che nel suo compimento coincide perfettamente con una legge?

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Il rischio di ogni indagine storico-archeologica la tentazione di leggere i fenomeni studiati nei termini di episodi di una teleologia a lunga durata, di proiettare i documenti analizzati entro una fenomenologia dello spirito obbligata che conduca da Roma alla modernit, o, come recita una boutade di Tierney from Luke to Locke25. Nella storia esistono solo raramente continuit: questa peculiare forma di esperienza
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Religion and Rights. A mediaeval Perspective, in Journal of Law and Religion 5, 1987, pp. 163-175, p. 163

giuridica costituita dalle regole medievali non ha forse precedenti reali e non ha sopravvissuto realmente se non nella forma di frammento o rovina. Se se ne tenta qui la ricostruzione non per scrivere unaltra storia del diritto europeo o occidentale. piuttosto per mostrare come vi siano state e continuino ad esserci- pi storie del diritto simultaneamente in corso, per sottolineare come il diritto non sempre nato a Roma o in Grecia e, soprattutto, che esso non ha sempre avuto per oggetto la costituzione di uno stato di una respublica, di una polis. V stato un diritto senza stato e non solo nel senso di una pratica savante della scienza giuridica che abbia rinunciato allesercizio della sovranit. Parafrasando un logion di Averro, si potrebbe scrivere che ius inventum fuit et corruptum infinities, sicut alia artificialia26.

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Averro, In XII Metaphysicae, c. 50: Philosophia inventa fuit et corrupta infinities, sicut alia artificialia

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