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I media «spiegano passo passo» l'uso di Internet, forniscono cioè agli utenti
dei discorsi di accompagnamento, delle regole d'uso, dei protocolli di comporta-
mento. Come in una gigantesca funzione di paratesto il sistema dei media
suggerisce (prescrive?) ai soggetti i criteri in base ai quali accostarsi a Internet,
disegna degli scenari mentali, prepara il terreno per una ben precisa ricezione
sociale del significato della tecnologia. Gli usi reali, dunque, mentre evidenziano
la dipendenza delle rappresentazioni di Internet dai discorsi dei media, non ne
restano del tutto esenti. Questo significa che questi discorsi contribuiscono in
maniera consistente e profonda alla costruzione dell'immagine sociale della Rete
e alla definizione dei suoi frame di consumo. Si tratta di capire come.
Un modello molto convincente per spiegare come nell ' attuale società della
comunicazione si costruisca il significato della realtà si può ottenere incrociando
l'analisi sociologica con la riflessione filosofica e, in particolare, la fondazione
epistemologica delle scienze umane e sociali. Sul primo versante è possibile
collocare la ricerca di chi, come Philippe Breton, lavora da tempo sul funziona-
mento simbolico (e ideologico) del tema della «società della comunicazione»,
sottolineando come esso, più che descrivere una situazione di fatto, si proponga
come quadro interpretativo che predispone l'instaurarsi di uno stato di cose: la
«società della comunicazione» esiste soprattutto nei discorsi che anche i media
contribuiscono ad alimentare su di essa e alla fine diviene realtà proprio nella
misura in cui questi discorsi sanno «far passare» la percezione della sua ineluttabi-
lità. Lo stesso rapporto tra la realtà e le sue interpretazioni sociali sta alla base del
lavoro di chi, in una prospettiva filosofica, rileva il protagonismo delle scienze
4 Un ragazzo di seconda media, frequente utilizzatore di Internet, dice: «È un sistema che permette alle
persone d'informarsi e aggiornarsi ad esempio su awenimenti e decisioni importanti che cambie-
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MITOLOGIEDELlA RETE
umane e sociali in questa stessa società. fino a sostenere che esse sono parte
integrante della realtà. che descrivono: come dire che non ci sarebbe la «società.
della comunicazione» senza le scienze che contribuiscono a definirla proprio
come tale. Il trait d'union dei due orizzonti, quello della sociologia e della filosofia,
va probabilmente cercato nel carattere di costruzione simbolica che essi consen-
tono di cogliere alla base del lavoro sia dei media che delle scienze umane e sociali.
Procediamo con ordine.
Per un'analisi più approfondita e circostanziata del discorso di Breton. si veda Rivoltella 1200lrl\
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ne. In un certo senso con la comunicazione non ci sono più «esseri umani»,
bensì «esseri sociali», interamente definiti dalle loro capacità di comunicare
socialmente. (Breton, 1992, p. 45)
Proprio perche l'informazione è ciò che definisce l'uomo nella sua relazione
con i suoi simili, una società della comunicazione dovrebbe essere, secondo
Wiener, una società in cui non vi è più copertura, sotterfugio, sofisticazione della
verità, ma tutto è portato ad evidenza, alla luce del sole. Un fatto che non manca
di produrre conseguenze anche sul piano politico:
La società della comunicazione, interamente costituita da reti di informa-
zione, appare così politicamente autorego1ata;Sotto questo aspetto richiama
alcuni tratti delle teorie anarchiche dell'Ottocento. È infatti presente la stessa
preoccupazionedi organizzarela vita in piccole comunità, lo stessorisentimen-
tOverso lo Stato e ogni forma gerarchicadi organizzazionedel potere, la stessa
critica del potere come modalità di interazione tra gli uomini, lo stessopacifi-
smo. (Breton, 1992, p. 54)
6 Sullo sfondo delle due prospettive è facile cogliere i termini della dialettica molto animata che ruota
attorno al tema del determinismo tecnologico. Alcuni autori, come Jacques Ellul o Derrick de
Kerkhove, sulla scorta delle tesi mcluhaniane circa il carattere protesico dei mezzi di comunicazione
rispetto ai nostri sensi, si sono spinti a configurare un paradigma di ricerca in cui il rapporto tra
l'uomo e le tecnologie pare determinato unidirezionalmente. Ne è una chiara esemplificazione
proprio la teoria del brainframe di de Kerkhove (1991; 1995a) secondo la quale la scrittura, come
la televisione, "setterebbero» i quadri mentali degli individui producendo un certo tipo di assetto
cognitivo: basato sull'astrazione e sul nesso causale per la scrittura, sull'analogia e l'associazione di
immagini per la televisione. Diversi autori hanno sottolineato come questo modello di spiegazione
rischi di ridurre fino a eliminarlo 10spazio che altri fattori del contesto sociale esercitano sulla genesi
della cultura facendo della tecnologia l'unica protagonista di questo cambiamento. Occorre tuttavia
evitare di scivolare nel determinismo opposto, di marca sociologica, in base al quale tutto si risolve
negli usi individuali e sociali della tecnologia fino a negare che essa in qualche maniera possa
retroagire sull'individuo. La posizione più corretta al riguardo, forse, è quella che pensa tecnologia,
individuo e società secondo una relazione sistemica di codeterminazione complessa (Rivoltella,
1998; Feenberg, 1999; Longo, 2001; Richy, 2003).
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esplicita e diretta, «alla luce del sole»; il secondo, invece, attraverso un percorso
implicito, che si iscrive nel corpo della tecnologia stessa. Iniziamo a occuparci
proprio di quest'ultimo; torneremo al primo nel prossimo paragrafo.
Dire che la stessa tecnologia reca in se le condizioni della propria investitura
di valore dal punto di vista sociale significa sostenere che, in qualche modo, essa
porta iscritta nella sua stessa struttura tecnologica la possibilità di essere destinata
a un certo tipo di finalità. Questa affermazione non è priva di conseguenze sul
piano teorico. Infatti il sapere comune (ma in larga parte anche la letteratura
scientifica) tende di solito a impostare il rapporto tra tecnologia e valore sostenen-
do la tesi della neutralità dell'una rispetto all'altro: lo strumento, in quanto
strumento, è privo di valore; sarebbero gli usi a determinare la declinazione
assiomatica di questa neutralità, sia in senso positivo che in senso negativo. Per
trasferire questo modo di pensare al nostro problema, nel caso di Internet non si
potrebbe parlare di una tecnologia buona o cattiva di per se: farne uno strumento
di dominio e di esclusione o di apertura democratica, una trappola della finzione
e dell'inganno o il luogo della relazione autentica dipenderebbe solo dagli usi che
i soggetti, di volta in volta, scelgono di farne.
La ricerca recente ha ben evidenziato come questa prospettiva di analisi
vada rovesciata e occorra pensare alla tecnologia come a qualcosa che accompa-
gna e traduce in opera l'intenzione e la finalità: come dice Galimberti (1999),
rifacendosi alle analisi di Arnold Gehlen, il rapporto tra l'uomo e la tecnica è
organico e strutturale, poiche essa costituisce la condizione ineludibile per poter
sopperire all'istinto di cui la natura non l'ha dotato.7 Quindi non esiste tecnologia
neutra: la tecnologia porta iscritto in se il proprio programma d'uso, risente di una
progettazione ad essa antecedente, materializza finalità che l'uomo mette a fuoco
prima ancora che la tecnologia venga sviluppata. 1115 settembre de11863, sul
Press di Canterbury , Samuel Butler, celandosi sotto lo pseudonimo di «Lunaticus»
scrive:
7 Galimberti propone una rilettura del mito di Prometeo che consente di capire cosa si intende quando
si attribuisce alla tecnica la funzione di surrogare la mancanza dell'istinto, Il dono di Prometeo agli
uomini -il fuoco -dopo che Epimeteo aveva distribuito tra le altre specie animali tutti i doni messi
a sua disposizione dagli dei, ha esattamente questo significato: fornire all'uomo non una dotazione
istintuale che ne favorisca l'adattamento all'ambiente, ma la capacità di modificare l'ambiente in
modo tale che possa rispondere alle sue esigenze (infatti Galimberti opportunamente nota che
parlare di adattamento a proposito dell'uomo è inappropriato: l'uomo non si adatta, ma trasforma
l'ambiente perche gli possa risultare ospitale; si tratta di adattamento culturale più che naturale), In
sostanza la definizione aristotelica (uomo = animale + razionale) andrebbe rivista modificandone la
struttura in termini sottrattivi più che additivi (uomo = animale -istinto). La tecnica è proprio ciò che
consente all'uomo di colmare il gap, di vincere l'handicap strutturale costituito dalla mancanza della
~~+~'.;'.'n" ;"tintuale.
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Possiamo provare a verificare queste tre tappe usando I' esempio di Internet.
L'introduzione de[[a tecno[ogia di Internet passa attraverso tre fasi (Berret-
ti e Zambardino, 1995).
La prima è quella in cui la rete Internet viene sviluppata in ambito militare,
come sistema per la messa in sicurezza delle comunicazioni. Nel 1973 Vinton
Cerf definisce il protocollo TCP /IP; due anni dopo la DARPA (Defence Aduan-
ced Research Project Agency) consegna al Dipartimento della Difesa la rete
Arpanet. Si tratta di una piccola rete, con un centinaio di nodi, che collega le basi
americane sul territorio statunitense e all'estero.
Negli anni Ottanta la Rete conosce la sua seconda fase di messa a punto,
quella in cui da tecnologia militare si traduce in strumento a disposizione della
comunità scientifica per la ricerca e la didattica. Nel 1981 nasce BitNet (Because
Ir's rime NErwork), la prima comunità di ricercatori che si possa dire dipenden-
te dalla Rete per le proprie comunicazioni; nel 1986, la Nationa[ Science
Foundation vara il programma NsfNet, destinato a garantire una infrastruttura di
rete al sistema della ricerca americano.
L'anno dopo si assiste al passaggio alla terza fase, quella in cui Internet esce
dal chiuso dei laboratori scientifici e si propone come strumento di comunicazione
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Quando Engelbart scrive (il passo riportato è il summary del suo articolo) la
rete Internet è ancora lontana non tanto dalla diffusione assolutamente capillare
di oggi (almeno nel mondo occidentale evoluto) ma anche solo dalla possibilità di
uscire dalla semiclandestinità dei laboratori militari. Eppure nelle parole dello
studioso dello Stanford Research Institute si colgono già in maniera nitida alcuni
dei temi con cui oggi abbiamo ormai acquisito dimestichezza e che sono entrati
decisamente a far parte del vocabolario della Rete. In particolare emergono
chiaramente due indicazioni: innanzi tutto l'associazione di Internet (Engelbart
parla di «reti di computer multi-utente») con lo sviluppo delle possibilità intellettive
dei singoli e delle organizzazioni, un tema che è stato lanciato e reso familiare più
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Come abbiamo già ricordato, l'affermazione del valore sociale della tecno-
logia non awiene solo a partire dalla funzionalità iscritta in essa e dalle indicazioni
d'uso che la accompagnano. In questo processo un ruolo consistente viene
giocato anche dalla produzione discorsiva che studiosi e osservatori più o meno
specializzati organizzano attorno alla tecnologia stessa, favorendone la socializ-
zazione. Queste produzioni discorsive si possono suddividere in due grandi ambi-
ti: quello dei media e della letteratura, nel senso ampio del termine, e quello delle
scienze umane e sociali (pedagogia, sociologia, psicologia) che della tecnologia,
per ragioni diverse, fanno uno dei propri spazi di ricerca e riflessione.
Per quanto riguarda i media e la letteratura, documentare il loro rapporto
con la nascita e 10 sviluppo di Internet è abbastanza facile.
La letteratura fantascientifica trova in William Gibson, con il suo Neuroman-
cer (1984), di sicuro uno dei principali profeti del futuro di Internet. Lo scrittore
americano prepara il terreno alla nascita del movimento Cyber che proprio della
Rete fa il suo credo. Intervistato da Franco Forte, Gibson dice: «Nei miei romanzi
penso principalmente al mondo che descrivo come a un tipo di riflesso impressio-
nista della società contemporanea» (Gibson, 1993, p. 299). E subito dopo
dimostra di cogliere perfettamente la funzione sociale del genere fantascientifico:
,<Ammiro molto scrittori come Thomas pynchon e William Burroughs, il cui
lavoro mi ha suggerito che alcuni elementi della fantascienza sono, ai nostri
8 Come nell'ipotesi del condizionamento operante, più l'utente si accosta a Internet come alla
soluzione dei suoi problemi organizzativi e più riceve conferma dalla Rete che effettivamente essa
costituisce questa soluzione, di conseguenza continuerà sempre di più ad accostarsi a Internet
secondo 10 stesso programma.
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giorni, strumenti necessari per ogni profonda ricerca della realtà contemporanea.
Il nostro mondo, ormai, è diventato fantascienza» (Gibson, 1993, p. 299).
Come si intuisce (e la riprova può venire dall'analisi dei romanzi di Asimov,
ad esempio) il rapporto che lega la fantascienza con il futuro che essa descrive è
più forte di quanto si possa pensare e si deve leggere nel segno della anticipazione
ma anche della costruzione di orizzonti di attesa, di quadri di aspettativa, di
protocolli d'uso: in sostanza, i discorsi della fantascienza assomigliano molto ai
«discorsi di accompagnamento» di cui parlavamo nel paragrafo precedente,
discorsi che determinano le modalità attraverso le quali la società può appropriar-
si della tecnologia (di Internet, nel nostro caso) e gli individui possono farne uso.
Lo stesso tipo di scenario (e la stessa funzione sociale) si può ritrovare nella
letteratura divulgativa. Si pensi a un altro libro che come Neuromancer è presto
divenuto di culto perii popolo del Web: I surfisti di internet, diJ.C. Hertz(1995).
Si tratta di un «diario di bordo» in cui l'autrice (poi divenuta redattrice di Wired,
all'epoca studentessa ad Harvard), annota le sue esperienze nella Rete, in parti-
colare all'interno delle IRC e dei MUD, cioè di quegli ambienti in cui meglio che
in altri la dimensione virtuale di Internet può essere sperimentata. Il tema della
Rete come luogo «altro», come «mondo parallelo»,9 e insieme come spazio di
libertà espressiva e di simulazione, trova proprio nella giornalista americana una
delle sue più autorevoli sponsor:
Sosto all'incrocio tra un sentiero bagnato e uno asciutto e mi fermo un
attimo. Guardo i miei mocassinizuppi, e comincio a pensarea questacosache
sorvola tutto il mondo, lungo le linee telefoniche, tutto il giorno e tutta la notte.
È proprio sotto al nostro naso, eppure è invisibile. È come Narnia, Magritte,
o Star Trek, un intero maledetto mondo. Eccetto che non esistefisicamente.
È semplicemente la coscienza collettiva di tutti quelli che ne fanno parte.
(Hertz, 1995, p. 8)
della HAI. Il conduttore, Carlo Massarini, che esordisce come DJ, a sua volta
evolve diventando prima il curioso incursore di un mondo sconosciuto (quello
della multimedialità e della Rete), poi l'informato analista di questo stesso mondo,
infine il profeta consapevole di Internet e della cybersociety. Non è raro, oggi,
trovare Massarini nel panel di qualche convegno sulla New Economy; allo stesso
modo è indicativo che Gino Roncaglia, uno degli autori del programma, tenga un
insegnamento all'università di Siena. Un sintomo di come in questo tipo di società
1111programma è andato in onda su Rai 1, il martedi in secondaserata, per tre cicli di trasmissione,
dal 12 maggio del 1981 al17 luglio de11984.