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INTERVISTA AL QUOTIDIANO LOPINIONE ARMANDO PUGLISI ...

ha deciso di aprire una vetrina su Internet in aperta polemica con gli ambienti dell'arte contemporanea. Ha accettato di farsi intervistare per spiegare ai lettori de "L'Opinione" i motivi di questa scelta inconsueta e coraggiosa. D. Armando, perch hai scelto di presentare le tue sculture su Internet? | R. E' stata una scelta in un certo senso obbligata. L'arte contemporanea pi nelle mani di media tori culturali, critici, galleristi, assessori, che non in quelle degli artisti E' stata una affermazione di autonomia e di libert. | D. Stai dicendo che gli artisti non sono liberi? R. A partire dal secondo dopoguerra si creato un cartello di interessi mondializzato, che ha trovato e trova tuttora negli USA il suo centro propulsore. Questo cartello ha avuto la forza di imporre alcuni artisti a scapito degli altri. D. Quale sarebbe lo scopo di questo cartello? R. Gli USA uscivano come potenza vincitrice dal secondo conflitto mondiale, mentre l'arte europea guardava soprattutto verso Mosca. Basti dire che il concorso per la costruzione del palazzo dei Soviet, bandito nel 1930, ha visto la partecipazione di personalit quali Gropius e Le Corbusier per citare solo i due pi famosi. Nel secondo dopoguerra la scuola di Parigi, rappresentata da Picasso, ha appoggiato i partiti comunisti europei ed il pacifismo strumentale promosso da Mosca. La colomba non era cos universale come di solito la si vuole fare apparire. C'era l'urgenza di avere movimenti culturali a fare da contraltare al monopolio flomoscovita. D. Il cartello un'ipotesi interpretativa o una realt? R. E' una realt suffragata da troppe evidenze. D. Puoi fare qualche nome, un esempio? R. Leo Castelli ha promosso l'arte americana non con il consenso spontaneo dell'iniziativa privata, ma attraverso le istituzioni culturali pubbliche, che si sono mobilitate in tutti i paesi occidentali a favore dei suoi artisti. Ci presuppone lesistenza di una volont superiore, la presenza di un consenso politico coordinato a livello internazionale. D. E l'arte europea perch si lasciata sconfiggere cos facilmente? | R. L'arte europea era stata indebolita dall'emigrazione forzata dei Gropius, Mies Van der Roohe, Max Ernst, Chagall, tutti trasferiti negli USA. Chi era rimasto, come ho gi detto, era troppo scopertamente favorevole a soluzioni autoritarie di stampo comunista. Queste sembravano l'unica soluzione per allontanare il fantasma della guerra e dell'olocausto. Guttuso, artista che aveva rinunciato

ad una propria posizione culturale per aderire a quella proposta dal PCI non costituiva un caso isolato, ma paradossalmente rappresentava la condizione in cui si trovava la maggioranza degli artisti che, anche quando guardavano altrove, subivano il fascino delle articolazioni moscovite. Nessuno poi era in grado di opporsi concretamente alle suggestioni ideologiche e politiche dei partiti comunisti. | D. Ma quest'arte americana, in buona sostanza, in che cosa consiste? R. Il ragionamento richiederebbe uno spazio diverso. Ridotta a slogan, larte americana consiste nellazzeramento dei significati, nellannullamento del valore stesso dellarte come veicolo di concetti compiuti. Tutto ridotto ad un fare incosciente e casuale. D. Ma in Europa, intorno al 1916, qualcosa del genere non veniva fatto dai dadaisti? R. Si, ma questi esprimevano malessere per linsufficienza dellarte nellopporsi a politiche nazionaliste e imperialiste foriere della distruzione degli stessi popoli europei. LEuropa era in piena guerra mondiale ad alla prima ne sarebbe seguita una seconda. Non si pu, per il dadaismo, parlare di assenza di significato, al massimo si pu parlare di provocazione sul piano semantico. In USA la dissacrazione dellarte era approdata gi nel 1915 con Duchamp e praticata dal giovane Man Ray. Che questa dissacrazione successivamente sia stata ripresa da Rauschenberg e Jim Dine per poi confluire nella popo-art evidente. Non deve sfuggire per che, fuori dal contesto europeo, il dadaismo perde il suo connotato originario perch cessa di essere una protesta degli artisti contro le storture della politica per diventare espressione dei fini del cartello, che sceglie di promuovere coloro che accettano la riduzione della loro arte a stilema, a mera categoria estetica. D. In definitiva loccidente liberale ha avuto bisogno di un contraltare artistico atto a contrastare la pervasivit del marxismo nel mondo dellarte e questo stato progettato quasi a tavolino. In questa mappa dellarte contemporanea la tua scultura come si colloca? R. La mia vocazione estetica nasce in un momento di grave emergenza socio-politica con lambizione di recuperare quanto di progressivo presente nel pensiero di Marx e di Engels per favorire la ripresa di un nuovo percorso democratico. D.Unarte di contenuto politico, dunque? R.Si, ma fu una scelta obbligata. Non si poteva lasciare il monopolio dellarte in mano ai Guttuso ed ai partiti stalinisti, o al cartello capitalista che negava agli artisti la libert di scegliere quale arte praticare. Ho maturato quindi una modalit di espressione artistica portatrice di una cultura per lEuropa, negatrice di ogni totalitarismo di stampo sovietico e ispiratrice di un modello autonomo ed originale di democrazia, pi umano e avanzato di quello americano. D. E quindi non hai trovato sponsor R. Non potevo trovarne in quanto non rientravo e non intendo rientrare in posizioni preconfezionate che allartista chiedono non creativit, ma adesione passiva a scelte gi operate da altri. Il cartello non tollerava n le problematiche che nascevano nellambito dellestrema sinistra, n le inevitabili critiche rivolte a certi aspetti della politica USA: larte occidentale doveva presentarsi nellimmaginario collettivo come un martello votato a colpire la falce comunista. La politica del cartello trovava fondamento nella divisione del mondo in blocchi contrapposti e opporsi a tale situazione, persistendo il pericolo comunista, non sarebbe stato n facile, n opportuno. Bisognava dunque dare priorit alla chiarificazione culturale e alla lotta per i diritti civili attraverso la militanza

radicale, che negli anni 60 e 70 era volta a tagliare le gambe a molte delle ragioni che spingevano lavoratori e studenti ad aderire a formazioni comuniste. E fu quello che feci. D. Il muro di Berlino caduto nel 1989, i regimi comunisti e la stessa URSS si sono dissolti. Il cartello e la sua funzione anticomunista avrebbe dovuto seguire la stessa sorte R. La caduta del muro, purtroppo, non ha portato al dissolvimento del cartello. Paradossalmente ha agito in senso opposto. Trentanni di monopolio hanno consolidato gli interessi di un gruppo di addetti ai lavori che si corporativizzato per continuare a gestire strutture, denaro, prestigio. In assenza di un nemico esterno si sono inventati nemici interni sempre pronti a dare lassalto allarte contemporanea e ai suoi valori. D. Puoi fare qualche esempio che illustri questa nuova situazione? R. Lesempio pi calzante lo offre Germano Celant. Egli, partendo dal presupposto che la barbarie nazista e lolocausto abbiano provocato una situazione di non ritorno, vede nellEuropa solo deriva e naufragio. Egli nega la possibilit di ricostruire una civilt in grado di riscattarsi dalle devastazioni e dagli orrori. Una visione questa che, disconoscendo i valori legati alla tradizione umanistica, metafisica, scientifica, trova il suo naturale approdo in una sorta di indifferenziazione, di nichilismo morale che alla fine coinvolge nella colpa dellolocausto non solo i carnefici e i fiancheggiatori, ma -e siamo al massimo del paradosso- anche le vittime ebree e non ebree. Ecco come sorge lesigenza di positivizzare valori negativi, di confondere e identificare laicismo ed iconoclastia, dialettica e rifiuto delle distinzioni, frammentario e compiuto, individuale e collettivo. Di qui la scelta di valorizzare solo artisti acritici, capaci al massimo di sottolineare condizioni di malessere e di disagio, sullopera dei quali il critico pu fondare un sistema di pensiero teso a identificare incoerenza e storia, che non propone nulla e che apre a esiti pericolosamente incerti e sconosciuti. D. Ma Celant, come critico, non ha il diritto di pensare quello che vuole, di avere una propria visione, di cercare di farla valere? R. E improprio definire Celant un critico. Quandanche lo fosse gi non sarebbe titolare di un tale diritto. Il critico, come il giornalista, deve esporre con obiettivit i fatti e, solo in fase di commento, palesare il suo punto di vista. D. Perch sarebbe improprio definire Celant un critico? R. Celant non n un critico n un giornalista, ma un inquisitore, data la sua appartenenza ad una organizzazione che controlla le pi importanti riviste darte e gli spazi espositivi privati e pubblici pi prestigiosi del mondo. Egli ha il potere di concedere o negare visibilit agli artisti decretandone il successo, linsuccesso o addirittura la cancellazione. D. A Torino, citt dove vivi e lavori, Celant ha avuto modo di esercitare condizionamenti culturali? R. A Torino, nel 1965, ha conosciuto un numero considerevole di artisti e galleristi che, dal 1967, hanno stimolato Celant a promuovere il gruppo di artisti poveristi e ad incontrarsi con Marcello Levi che, forte dei suoi agganci internazionali, lha aiutato ad affermare larte povera nel mondo e ad essere cooptato dal cartello. Nel 1984, come curatore della mostra Coerenza incoerenza, allesti-ta allinterno della Mole Antonelliana, tradendo le aspettative dellallora assessore comunale alla cultura Giorgio Balmas, che lo sollecitava ad offrire con la rassegna un panorama il pi possibile obiettivo e completo dei primordi torinesi del gruppo poverista, Celant ha escluso artisti che aveva-no dato un contributo essenziale. Una prepotenza contro il committente pubblico che, nel

1993 cul-miner al castello di Rivoli dove, chiamato a curare la mostra Unavventura internazionale. Torino e le arti 1950-1970, sovvertir e travolger gli avvenimenti che in quegli anni avevano segnato la storia culturale e artistica della citt sabauda. D. Secondo quanto affermi, gli aiuti pi rilevanti per la propria carriera e per laffermazione dellarte povera, Celant li avrebbe ricevuti da Marcello Levi, nome pressoch sconosciuto agli estimatori darte non torinesi R. ma per gli addetti ai lavori ben altra cosa. Laureato in lettere con una tesi sulla pittura veneta del 400, Levi nel 58 collabora con lenciclopedia UTET e successivamente coordina lattivit editoriale della Bolaffi, dove promuove la creazione del Catalogo di Arte Moderna. Nel 67 fonda il Deposito di Arte Presente per sostenere larte povera; nel 73 diviene segretario dellassociazione Amici torinesi dellArte Contemporanea; nel 74 crea la Fidarmo, societ dinvestimento in opere darte davanguardia; nel 90 fonda la Carlo Viano e Associati, societ di servizi per la cultura. Collabora inoltre come critico ad alcune importanti riviste (Bolaffi Arte, Arte Mondatori, Gran Bazar) ed membro influente degli Amici del Castello di Rivoli. Questi dati, parziali ed esterni nulla dicono dellattivit sotterranea che Levi ha svolto. Tacciono sul ruolo che ha avuto nellindurre il Comune di Torino a creare, nel 77, lUfficio Mostre dellAssessorato alla Cultura, istituzione unica nel panorama nazionale, e nel farvi insediare a capo un uomo di sua fiducia che, nei dodici anni in cui rimasto in carica ha realizzato oltre 70 mostre, compresa la gi menzionata Coerenza incoerenza. Ecco come stato possibile far emergere larte povera come unico linguaggio figurati-vo degno di collocarsi a fianco dellarte americana. Tanta consumata abilit nellagire sulle articolazioni periferiche dello Stato per asservirle alle esigenze del cartello, rendono pi che mai credibile lipotesi che, in Italia, Levi ne sia stato, a partire dagli anni 60, il principale esponente e curatore dinteressi. D. A questo punto vi sono prospettive per liberare larte dallasservimento drammatico in cui stata gettata, per restituire libert ad artisti, critici, galleristi, estimatori? Che cosa dovrebbe cambiare e come? R. Se le cose non cambieranno la cultura figurativa diverr un deserto che non potr pi essere mascherato dalla foglia di fico dello spettacolo, delle riviste leggere e di intrattenimento, moltiplicato dalle televisioni pubbliche e private. Il critico multiculturale, rispettoso della attualit, sar soppiantato, fino ad estinguersi, dalla progenie impazzita di Hegel, priva di articolazioni interne e impegnata allunisono a ripetere che larte morta. La rinascita dellarte non potr che fondarsi sul recupero di quelle condizioni che hanno consentito, nella Francia dellottocento, il raggiungimento di traguardi altissimi. Guardando a quelle condizioni, la prima necessit che oggi si impone quella di separare il museo dalla sala di esposizione. Il museo deve tornare ad essere il luogo della memoria storica, mentre la sala deve rappresentare lo spazio ove regna il bailamme della cronaca, ove coesistono, confusi e in conflitto, valori effimeri e duraturi. Il liberalismo deve imporsi anche per larte come legge di progresso, contro quello statalismo che genera, direttamente nel museo, unarte asfittica, espressione di artisti repressi e di censori. Lo stato deve ridurre al minimo il suo intervento, limitandosi di garantire a tutti gli artisti spazi espositivi comuni. Lofferta a tutti di eguali oppor-tunit spinger ciascuno a superare laltro in una gara che produrr una straordinaria, diversificata ricchezza culturale. Tanta abbondanza di produzione stimoler critici e intellettuali a schierarsi per luno o per laltro artista e solo i migliori saranno in grado di segnalare quanto degno di essere ricordato nel tempo. Verranno favoriti anche mercanti e compratori, ma la maggiore beneficiaria sar la classe politica che, liberata da compiti illegittimi, impropri e burocratici, potr disporre della intelligenza di uomini liberi e creativi, capaci di individuare pi facilmente le strettoie da superare lungo il cammino che porta al progresso.

Intervista a cura di DAVIDE PERAZZELLI Trieste, novembre 1996

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