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Alexandre Kojve

IL COLONIALISMO NELLA PROSPETTIVA EUROPEA

Traduzione di Edoardo Camurri

retrovie (7)

Adelphiana
www.adelphiana.it 20 aprile 2003

Ho parlato di Marx e della sua critica al capitalismo come della trasformazione democratica e paci$ca, o se si vuole fordiana, del capitalismo classico perch secondo me il capitalismo vecchio stile non ancora completamente e de$nitivamente superato come a prima vista potrebbe sembrare. E non solo perch in Unione Sovietica, e nei cosiddetti paesi satellite, quel tipo di capitalismo continua a sussistere con il nome di socialismo e in una forma statale, ma soprattutto perch, purtroppo, sopravvive anche nel mondo occidentale, dove oggi ha preso il nome di colonialismo. A dire il vero, parlando di capitalismo, Marx si riferiva soltanto allEuropa occidentale. Il che alla sua epoca era assolutamente legittimo. Ma meno legittimo che alcuni suoi emuli o critici mantengano ancora oggi la stessa prospettiva mondiale che avrebbe potuto avere un economista dellet romana: salvo includere di solito, in questo orbis terrarum, anche gli Stati Uniti. Ma di fatto, e in particolare dopo la seconda guer2

ra mondiale, il cosiddetto mondo occidentale non pi soltanto europeo o euroamericano. anche e forse soprattutto, almeno a lungo termine asiatico e africano. Ora, se si considera questo mondo nella sua totalit, ossia per quello che in realt, non dif$cile vedere che la de$nizione marxista di capitalismo vi si applica molto bene, con tutte le conseguenze logiche, e quindi non soltanto reali ma anche necessarie, che ne discendono. Il fatto che, oggi, i principali mezzi di produzione industriale appartengono esclusivamente a una minoranza euroamericana, che la sola a trarre pro$tto dal progresso tecnico, nella misura in cui anno dopo anno accresce il suo reddito; mentre la maggioranza afroasiatica, pur senza impoverirsi in modo assoluto (il che, daltronde, sarebbe materialmente impossibile), diviene relativamente sempre pi miserabile. E non si tratta del progressivo divario che si produce tra mondi chiusi a ogni reciproco rapporto, tra due sistemi economici separati, poich anzi gli scambi economici tra lEuroamerica e la Afroasia sono cos intensi che si pu e si deve parlare di un unico sistema economico del mondo occidentale. Semplicemente, questo sistema organizzato in modo tale che soltanto una minoranza diventa ogni anno sempre pi ricca, mentre la maggioranza non riesce in nessun caso a elevarsi oltre il minimo vitale assoluto. In altre parole, oggi in nessun paese altamente industrializzato con la sola eccezione dellUnione Sovietica esiste ormai un proletariato nel sen3

so marxista del termine. Non esistono cio strati veramente poveri della popolazione, che guadagnano soltanto lo stretto necessario per la sopravvivenza senza avere nulla di superfluo. Nei paesi industrializzati euroamericani tutti sono, chi pi chi meno, ricchi, e non poveri: tutti vivono nellabbondanza, sebbene relativa, consumando pi dello stretto necessario alla mera sopravvivenza. Tuttavia, basta considerare il mondo occidentale nel suo complesso per scoprire immediatamente un gigantesco proletariato proprio nel senso marxista del termine. E visto che si tratta di ununica e medesima entit economica, di un unico e medesimo sistema deconomia, innegabile che allinterno di questo sistema esista anche un plusvalore in senso marxista, di cui godono, nella sua totalit, solo i paesi che dispongono effettivamente di tutti i mezzi di produzione industriale. In termini economici non ha alcuna importanza il modo in cui il plusvalore viene prelevato dalla maggioranza e incamerato dalla minoranza. Ci che conta invece che questo plusvalore colonialista contribuisce anchesso alla formazione del capitale nei paesi occidentali gi industrializzati. Si pu quindi dire, se non con tranquillit almeno a ragione, che il sistema economico occidentale contemporaneo , nel suo insieme, capitalista in senso marxista proprio come il sistema sovietico. C per una differenza importante dal punto di vista sia politico-psicologico sia economico tra un sistema in cui il plusvalore industriale viene sottratto al consumo delle masse lavoratrici interne al pae4

se, e un altro in cui lo stesso plusvalore viene prelevato in paesi stranieri. Tale differenza pu essere $ssata terminologicamente de$nendo nel modo seguente le nozioni di capitalismo, socialismo e colonialismo. Possiamo riservare la parola capitalismo al capitalismo classico europeo del XIX secolo, cio a quel sistema economico in cui il plusvalore prelevato allinterno del paese e investito da privati. Per socialismo si intender allora non uno qualunque di quei sistemi pi o meno immaginari che esistono soltanto sulla carta, ma leconomia reale dellUnione Sovietica contemporanea, cio il sistema in cui il plusvalore, come nel caso dei sistemi capitalisti propriamente detti, prelevato allinterno, ma viene poi investito dallo Stato, o meglio ancora da suoi funzionari. In$ne, la parola colonialismo designer il sistema in cui il plusvalore investito privatamente, come nel capitalismo classico, ma non pi ricavato allinterno del paese bens allestero. Questa terminologia ci permette subito di constatare e di affermare che il capitalismo propriamente detto non esiste pi, mentre il colonialismo moderno strettamente imparentato con questo capitalismo ormai estinto. E si pu facilmente capire perch i marxisti contemporanei prendano, nei confronti del colonialismo, una posizione del tutto analoga a quella che Marx aveva assunto nei confronti del capitalismo classico. Da un lato i marxisti contemporanei si rendono conto che il divario tra il reddito globale della mag5

gioranza afroasiatica e quello della minoranza continua ad aumentare. Dallaltro deducono che questo sistema destinato prima o poi a crollare proprio a causa del progressivo aggravarsi del suo squilibrio interno. In$ne i marxisti moderni suppongono, pi o meno tacitamente, come gi faceva Marx, che sono e rimarranno i soli a fare tali considerazioni e a trarne le conseguenze, mentre i colonialisti di oggi saranno ciechi, se non stupidi, proprio come lo sono stati i capitalisti del tempo di Marx o, pi in generale, dellepoca prefordiana. Ebbene, se cos fosse, le profezie dei neo-marxisti sul futuro del colonialismo potrebbero avverarsi. Proprio per questa ragione ritengo pericolosissimo interpretare in modo sbagliato il fatto che le previsioni di Marx sul capitalismo si siano rivelate false. Da questo incontestabile fatto storico non si pu che dedurre ununica conseguenza valida. E cio che, per evitare il crollo del colonialismo moderno, occorre che questultimo subisca una trasformazione radicale, analoga a quella subita dal vecchio capitalismo a opera del fordismo. Ci detto, chiediamoci come stanno le cose, da questo punto di vista, nel mondo occidentale. La situazione piuttosto singolare e in certo senso inquietante. Nel vecchio capitalismo la contraddizione constatata da Marx stata superata nella pratica, in modo attivo ed ef$cace, grazie al fordismo. E solo successivamente, a cose fatte, gli intellettuali borghesi hanno elaborato la teoria scien6

ti$ca del fordismo, il cosiddetto pieno impiego. Anche gli Stati hanno adattato solo in un secondo momento le loro politiche $nanziarie, sociali, e cos via, alle esigenze del nuovo sistema economico, ormai gi realizzato nei fatti da imprenditori come Henry Ford. Nel colonialismo contemporaneo la situazione in certo modo capovolta. Sulla questione esistono molte eccellenti ricerche, opera soprattutto di esperti delle Nazioni Unite, oltre a dichiarazioni di uomini politici e programmi di governo, come il Punto IV del celebre discorso del presidente Truman (che ha rapidamente eclissato tutti gli altri punti). Ma a questo riguardo gli esperti di economia si mantengono cauti, se non scettici, e si comportano come se tutta la faccenda non li riguardasse affatto, sostenendo si tratti di una questione squisitamente politica. Certo, un problema politico. E forse il problema politico del XX secolo. Ma se fosse soltanto questo, io non avrei la competenza per parlarne. Mi permetto di farlo perch sono profondamente convinto che sia un problema anche e soprattutto economico. In poche parole: i clienti poveri sono cattivi clienti; e se la maggioranza dei clienti di una ditta composta da clienti poveri, cio cattivi, la ditta stessa diventa cattiva o, per lo meno, poco solida. Questo ancora pi vero se la ditta, per non fallire, deve aumentare ogni anno il suo volume daffari. E nessuno si stupirebbe se, versando in tali condizioni, un bel giorno dichiarasse fallimento. 7

Non quindi del tutto inutile chiedersi, $n dora, come riadattare e ricostruire il colonialismo classico in uno stile pi moderno, che potremmo de$nire fordiano. In teoria tre sono i metodi di modernizzazione pensabili, e tutti e tre sono gi stati proposti. In primo luogo, si potrebbe agire sui cosiddetti terms of trade molto semplicemente, si potrebbero pagare pi cari i prodotti esportati dai paesi sottosviluppati, cio essenzialmente le materie prime. Si tratterebbe di stabilizzare i prezzi mondiali di questi prodotti, mantenendoli a un livello che consenta ai paesi esportatori non solo di vivere e di vivere sicuri, ma di alzare continuamente il loro livello di vita, come gi accade nei paesi industrializzati che importano i prodotti in questione. In altri termini, il colonialismo moderno potrebbe fare quel che ha fatto il vecchio capitalismo: rendersi conto che vantaggioso, non soltanto dal punto di vista politico ma anche per leconomia stessa, pagare per il lavoro il massimo anzich il minimo possibile. Questo era il senso e lobiettivo dei famosi commodity agreements, di cui si tanto parlato per anni e in varie lingue. E che, alla $ne, sono stati accettati, almeno in linea di principio, da tutti i paesi. Tutti, eccetto uno, che era contrario proprio per ragioni di principio. Ma dato che si trattava degli Stati Uniti, tanto bastato. E, almeno per il momento, di questi accordi non si parla pi. In secondo luogo, si potrebbe procedere anche in maniera diretta, continuando a prelevare il plusvalore dalle materie prime e dagli altri prodotti colo8

niali per poi investirne il ricavato non nei paesi importatori e altamente industrializzati, ma in quei paesi sottosviluppati dai quali il plusvalore era stato prelevato. Allo scopo ci si potrebbe avvalere dellintermediazione di un organismo internazionale specializzato il SUNFED, come viene attualmente chiamato, ma qualsiasi altra sigla andrebbe bene lo stesso. Anche del SUNFED si parlato per anni, e ancora oggi se ne discute, almeno alle Nazioni Unite.1 In terzo luogo, si potrebbe procedere ancora in maniera diretta, in un quadro non pi internazionale ma nazionale. In altre parole, un dato paese altamente industrializzato potrebbe continuare a prelevare con una mano (diciamo la destra) il plusvalore colonialista, come fanno oggi tutti gli altri paesi industrializzati. Ma con laltra mano (cio la sinistra) potrebbe investire il prodotto del plusvalore prelevato o addirittura di pi in paesi sottosviluppati di sua scelta. Quindi, se questo paese investisse effettivamente la totalit del plusvalore prelevato (o anche di pi), non si potrebbe pi parlare di colonialismo nel senso proprio, cio economico, del termine. In un caso come questo, infatti, nessuno prenderebbe pi niente a nessuno, anzi, si darebbe addirittura qualcosa a qualcuno. E se il paese in questione distribuisse molto pi di quanto ha prelevato, lo si potrebbe persino de$nire anticolonialista.
1. Il sunfed (Special United Nations Fund for Economic Development) nacque nel 1952 per fornire contributi a basso interesse in alternativa ai prestiti della Banca Mondiale; fu successivamente affossato dal disinteresse dei paesi industrializzati [N.d.T.].

Il terzo metodo anticolonialista, per quanto ne so, stato applicato su larga scala soltanto da due paesi: Francia e Gran Bretagna. Riguardo alla Francia, anche calcolando alto a piacere il plusvalore colonialista che preleva, e includendo il sovrapprezzo pagato per le merci francesi, i dazi agevolati, e cos via, si potr tuttavia constatare che, nel dopoguerra, la Francia ha investito nelle sue colonie ed ex colonie una somma da cinque a sei volte maggiore di quella che preleva come plusvalore nellinsieme dei suoi territori doltremare. E, pur conoscendo meno bene le cifre corrispondenti relative alla Gran Bretagna, so per che si tratta di un ordine di grandezza analogo. Per riassumere brevemente la situazione nel mondo occidentale, si pu quindi dire: primo: la cittadella inespugnabile del colonialismo di principio ha sede a Washington; secondo : tutti i paesi altamente industrializzati sono di fatto colonialisti, tranne Francia e Regno Unito. superfluo speci$care che quanto ho appena detto va preso cum grano salis. O meglio: era un gioco. I $loso$ chiamano questo genere di gioco ironia socratica (che qui pi o meno riuscita). In altre parole, il mio gioco ha un fondamento serio e unintenzione in certo modo pedagogica. Serio mi sembra il fatto che il vero problema del nostro mondo e dei nostri tempi non il colonialismo politico, ma quello economico, perch, grosso modo, nel mondo occidentale contemporaneo il 10

problema del colonialismo politico non esiste praticamente pi. Pochissimi sono ormai i paesi sottoposti a un vero regime coloniale. E se a causa di ci qua o l sussiste o sorge ancora qualche dif$colt locale, non sar certo per questo che lOccidente in quanto tale, alla $ne, croller. Si pu quindi affermare che il colonialismo politico non pi un problema mondiale. E invece lo , secondo me, il colonialismo economico, la cui eliminazione o trasformazione una questione di vita o di morte per il mondo occidentale. Non solo. Di serio, nel mio gioco, c anche il fatto che assolutamente possibile praticare il colonialismo senza possedere colonie vere e proprie. Oggi infatti tutti i paesi industrializzati pi o meno inconsapevolmente sono in realt colonialisti. E lo sono in quanto sono gli unici a trarre pro$tto, anno dopo anno, dal continuo progresso tecnico, mentre i paesi arretrati rimangono poveri come prima, diventando relativamente pi poveri proprio a causa di tale progresso. Di serio in$ne, almeno secondo me, c il fatto che questo problema non verr mai veramente risolto $nch gli economisti continueranno a disinteressarsene. Il colonialismo moderno ha urgente bisogno di un nuovo Ford collettivo, cos come il vecchio capitalismo ha avuto bisogno dei vari Ford che, nel momento critico, sono nati spontaneamente un podappertutto. Penso agli imprenditori che cominciarono a produrre per un potere dacquisto di massa da loro stessi creato, aumentando di propria iniziativa i salari per ragioni puramente econo11

miche, senza aspettare che fosse lo Stato a creare il potere dacquisto per ragioni sociali o politiche. Tutto questo mi sembra essere la legge del mondo contemporaneo. Per dirlo in greco: questo il nomos della terra occidentale. Di recente, in uno degli articoli pi brillanti che abbia mai letto,1 ho appreso che il nomos antico ha una triplice radice: quella dellappropriazione, quella della divisione e quella del pascolo, cio del consumo. Radici sicuramente assai profonde e salde. Tuttavia i Greci antichi non sapevano che il nomos moderno ha anche una quarta radice, forse quella centrale: la radice del dono. Questa radice della legge economica e socio-politica del mondo occidentale moderno sfuggita allacume dei Greci antichi: forse perch erano un piccolo popolo schiavista e non una grande potenza cristiana| Qui sas! Chiss! Una cosa, tuttavia, per me certa: non sto assolutamente facendo una critica alle affermazioni di Carl Schmitt nellarticolo citato. evidente, infatti, che la sua divisione implica il mio dono. Quando ormai tutto stato preso, possibile dividere o spartire solo se alcuni danno ci che altri riceveranno per consumarlo. Volevo solo attirare lattenzione sul fatto che, dal punto di vista terminologico, talvolta il verbo dare suona meglio del verbo prendere soprattutto quando le due parole si1. Kojve si riferisce a Carl Schmitt, Nehmen/Teilen/Weiden. Ein Versuch, die Grundfragen jeder Sozial und Wirtschaftsordnung von NOMOS her richtig zu stellen, in Gemeinschaft und Politik. Zeitschrift fr soziale und politische Gestaltung, I, 3, 1953, pp. 18-27 [N.d.T.].

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gni$cano la stessa cosa. Per esempio, preferiamo dire che paghiamo le tasse piuttosto che dire che ci vengono prese; a meno di non pensare che siano ingiusti$cate, quindi ingiuste. Ora, le parole hanno forse pi importanza di quanto normalmente non si creda. Dopotutto grazie al linguaggio che luomo si differenzia dallanimale. Ed proprio dal punto di vista del linguaggio che le cose nel nostro mondo occidentale non vanno per il meglio. Il vecchio capitalismo appropriatore, che dava alle masse lavoratrici nazionali il meno possibile, in Unione Sovietica stato ribattezzato socialismo (dopo essere stato nazionalizzato, daltronde). Invece al moderno capitalismo datore, che d alle masse lavoratrici il pi possibile, non ancora stato trovato un nome. Almeno non in quanto datore. Perch in quanto appropriatore, anche se soltanto fuori dai suoi con$ni, viene chiamato colonialismo. Chi, oggi, non conosce questo termine| Mentre il recentissimo colonialismo datore, quello che d ai paesi sottosviluppati molto pi di quanto ne riceva, ancora anonimo. Certo, appena nato, ma lusanza del cristianesimo moderno di battezzare le persone alla nascita e non sul letto di morte, mi sembra buona e sensata. Comunque sia, con o senza nome, il nomos del mondo occidentale moderno secondo me esattamente quello che ho chiamato, con un termine provvisorio e poco soddisfacente, colonialismo datore. E visto che questo colonialismo la legge, tutti i paesi altamente industrializzati dovranno prima o poi 13

conformarvisi, a costo della loro sopravvivenza. Soprattutto quei paesi che, non possedendo colonie a cui dare qualcosa, si voteranno al colonialismo appropriatore nella sua forma pi pura, e di solito con la coscienza perfettamente a posto. Ora, se questa la legge, arrivato il momento di chiedersi: nel quadro del nuovo colonialismo datore occidentale, in che ammontare, in che modo, e a chi andranno le donazioni| Non voglio concludere la mia conferenza senza abbozzare una risposta sommaria a queste tre domande, che mi sembrano fondamentali. Innanzitutto: quanto si deve dare| una questione dif$cile, delicata, e non posso dire nulla di preciso in proposito. Posso solo ricordare che gli esperti delle Nazioni Unite stimano che tutto il problema dei paesi occidentali sottosviluppati si potrebbe risolvere se i paesi occidentali altamente industrializzati investissero nei paesi arretrati il tre per cento circa del loro reddito nazionale. Non so dire se questa stima sia esatta. So per che dopo la guerra la Francia investe nei paesi sottosviluppati pi o meno questa percentuale senza peraltro andare in rovina. Il caso francese interessante perch non ha niente a che vedere con i calcoli teorici degli esperti dellONU. Il tre per cento francese un dato empirico; il risultato di un adattamento in certo modo automatico di uneconomia evoluta alle necessit delle economie arretrate a essa strettamente connesse. Se lecito estrapolare lesperienza francese, 14

allora si potrebbe ipotizzare che la realizzazione del colonialismo datore in tutto il mondo occidentale richiederebbe una cifra intorno ai dieci miliardi di dollari allanno. Che per i paesi evoluti sarebbe certo un peso, anzi un peso gravoso, ma comunque, come mostra lesperienza francese, non un peso insostenibile. Secondo: come si deve dare| Non ho n tempo n voglia di riparlare dei commodity agreements. Vorrei soltanto dire che almeno su un punto do ragione ai nostri amici americani: e cio che questi famosi accordi non bastano, da soli, a risolvere lintero problema dei paesi sottosviluppati. Sarebbero necessarie anche elargizioni dirette. Resta soltanto da stabilire che cosa dare direttamente a questi paesi. Alla domanda oggi di fatto si danno due risposte differenti, se si vuole contrarie. Le elargizioni dirette degli americani consistono $nora quasi esclusivamente in beni di consumo e quindi non di tipo cocacolico, come talvolta viene per$damente insinuato. Invece le elargizioni dirette francesi e britanniche consistono unicamente in investimenti sul posto (i beni di consumo esportati nei paesi in questione non solo non sono gratuiti, ma anzi generalmente sono venduti a un prezzo addirittura superiore a quello che hanno sul mercato mondiale). dif$cile dire quale dei due metodi sia da preferirsi. Da un lato molto pi facile, psicologicamente e politicamente, regalare beni di consumo in eccedenza piuttosto che investire, specie l dove gli investimenti potrebbero tradursi in una produzione 15

concorrenziale rispetto a quella nazionale. E forse meglio dare qualcosa piuttosto che niente. Ma daltro lato non bisogna dimenticare che lindustrializzazione dei paesi sottosviluppati diventata oggi una sorta di mito mondiale, e che $nora questo mito si realizzato in grande soltanto fuori del mondo occidentale. Penso alla Cina, che forse dalla lontana Europa si vede molto male, ma che ad esempio dallIndia si scorge con una certa chiarezza. Terzo: a chi si deve dare| Per molte ragioni mi sembra che, da un lato, il metodo dellaiuto internazionale sia lungi dallessere il migliore possibile, mentre dallaltro unazione regionale vada preferita a tentativi su scala nazionale.

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E questo gi da un punto di vista prettamente economico. Infatti ancora oggi esistono regioni economiche naturali nettamente circoscritte, e inserite nella realt attuale indipendentemente da ogni politica. Ma, dal punto di vista del nuovo colonialismo datore, queste antiche regioni economiche non sono affatto equivalenti. Prendiamo per cominciare una regione al di fuori del mondo occidentale. Penso allImpero mongolo che, creato in passato da Gengis Khan, si ricostituito in tempi recenti nei suoi aspetti economici e politici. L duecento milioni di russi altamente industrializzati coabitano con settecento milioni di asiatici tecnicamente arretrati. Ci signi$ca che ogni russo deve portarsi sulle spalle tre uomini sottosviluppati e mezzo. Un peso gravoso, molto gravoso, ma forse non insostenibile: a condizione che i russi continuino a tollerare, grazie allausilio di una polizia adeguata, un ascetismo dei consumi che in qualche modo tollerano (senza riuscire ad abituarcisi, pare) da una quarantina danni. Consideriamo poi la zona della sterlina. Qui la situazione ancora pi sconfortante. Sono infatti circa dieci gli asiatici sottosviluppati che ogni inglese dovrebbe portarsi sulle spalle. Un peso davvero insopportabile, nonostante la famosa austerity britannica, che per decisamente meno ascetica del socialismo russo, e si fonda su basi etico-religiose e non poliziesche. Sembra quindi che in questa regione economica il futuro colonialismo datore non sar soltanto inglese, ma anglosassone, ossia angloamericano. 17

Se poi alla regione economica nord e sudamericana aggiungiamo le regioni indiane, indonesiane e indocinesi, almeno parzialmente, gli americani raggiungono un peso pro capite che, da un punto di vista strettamente aritmetico, supera quello che i cinesi hanno imposto ai russi. Ma dato che ancora per molto tempo il reddito nazionale americano sar notevolmente pi alto di quello russo, gli Stati Uniti, praticando il colonialismo datore, potranno ottenere risultati di gran lunga superiori a quelli sovietici senza rinunciare allamerican way of life, uno stile di vita austero nonostante le apparenze, una via di mezzo tra il socialismo ascetico e il benessere autentico. E in$ne last but not least la regione economica europea. Che, come quella mongolica, ha una lunga, lunghissima storia: un tempo si chiamava infatti Imperium romanum, e dal punto di vista economico si rivelata sorprendentemente vivace e resistente. S, gli storici hanno persino appurato che questa regione si sarebbe conservata o ristabilita nonostante le invasioni barbariche, se le conquiste arabe non avessero trasformato il Mediterraneo, da trait dunion economico che era, in frontiera tra due mondi separati, al punto che questo mare, unico nel suo genere, per secoli non pi servito al traf$co commerciale, ma si trasformato in teatro di giochi bellici. Nel frattempo, per, gli uomini sono diventati pi seri, pi adulti. E non lontano il momento in cui rinunceranno a tutti i loro giochi per dedicarsi totalmente ad azioni e transazioni serie. Si pu quin18

di affermare in piena tranquillit che la situazione economica della regione mediterranea si $n da ora ristabilita. E si deve aggiungere allora che, dal punto di vista del colonialismo datore, questa regione benedetta da Dio. Infatti, se ogni abitante dei paesi industrializzati situati nel Nord del Mediterraneo provvedesse ad appena mezzo abitante dei paesi arretrati del Sud e dellEst, la regione nel suo insieme otterrebbe risultati pi soddisfacenti di quelli che si conseguirebbero in qualunque altra parte del mondo. Ora, met uomo sottosviluppato, fra laltro a testa per ogni europeo non si pu considerare un peso: al massimo unutile e indispensabile zavorra che stabilizza la rotta assicurando il confort e la sicurezza dei viaggiatori, i quali possono anche ignorarne o dimenticarne lesistenza, purch altri veglino sulla medesima. Tanto pi ci si sorprende, allora, leggendo sui giornali che il colonialismo datore nella regione del Mediterraneo si dispone a cercare lontano i suoi mezzi $nanziari. I mezzi, in realt, si potrebbero trovare molto pi vicino, dato che le somme di cui si tratta e si parla sono cos relativamente basse da essere davvero su scala europea. Sebbene, rispetto alle grandi potenze contemporanee, si pu a buon diritto parlare di piccola Europa. Questo stupore tanto pi naturale in quanto nella piccola Europa ci sono almeno due o tre paesi tenuti a prendere atto che la loro curva di crescita, a dir poco impetuosa, un dato inquietante dal punto di vista economico. Per questo quegli stessi paesi 19

cercano di fermare il proprio sviluppo con misure adeguate incrementano limportazione, abbassano i dazi doganali, e cos via. Tutto ci senza dubbio molto ragionevole, per non dire saggio, ma forse non va dimenticato che la conseguenza concreta di queste misure far vivere un po meglio soltanto coloro che vivono gi come Dio in Francia. I membri veramente poveri della regione mediterranea non ne traggono alcun vantaggio. Se non si pratica il colonialismo datore, i clienti meridionali e orientali del Mediterraneo resteranno clienti poveri. Il che signi$ca cattivi clienti, quindi pericolosi per il buon andamento delle cose. Mi devo fermare qui. Ho gi parlato troppo a lungo. E mi accorgo con costernazione di non avere neanche cominciato la conferenza vera e propria. Quello su cui vi ho intrattenuto $nora non era che lintroduzione a quanto avevo intenzione di dire. Devo quindi riassumere il pi possibile la mia conferenza, che ho intitolato Il colonialismo nella prospettiva europea. Dovevo dirvi almeno che aspetto ha il colonialismo, quando lo si consideri da questa prospettiva. Bene, che aspetto ha, o meglio, che aspetto dovrebbe avere, secondo me, il colonialismo| La mia risposta si articola in tre punti: primo: dovrebbe aver laspetto di un colonialismo non appropriatore ma datore (o, se preferite, distributore), e sarebbe opportuno trovargli un nome adeguato; secondo: non si dovrebbero regalare prodotti $niti, ma investire sul posto; 20

terzo : in quanto capitalismo datore speci$camente europeo dovrebbe coprire tutta la regione mediterranea, che nel corso della sua lunga storia ha dato prova di grande vitalit economica, e non espandersi oltre, tenendo conto del fatto che oggi la fascia costiera incomparabilmente pi profonda che al tempo dei romani. Questo pu bastare per circoscrivere il tema della mia conferenza. Quanto a svilupparlo, ahim, non ne ho pi il tempo. Me ne rammarico e vi prego di scusarmi, tanto pi che $nora non ho fatto altro che snocciolare verit lapalissiane. Le verit lapalissiane sono sempre un po deludenti per il pubblico, ma io confesso di avere un debole per loro. Proprio perch sono verit. Mentre linedito, a meno che non sia geniale, presto o tardi si rivela semplicemente falso. E mai avrei voluto correre il rischio di venire a Dsseldorf per gentile invito del Club renano, che ringrazio sinceramente a dire qualcosa che potesse sembrare opinabile.

2003 nina ivanoff

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