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LA MADRE TERRA 1 parte Cos Carl Schmitt in Terra e Cielo: Luomo un animale terrestre.

. <>Essa (la terra) designata come la pi antica di tutte le divinit. I testi sacri ci narrano che luomo viene dalla terra e dalla terra deve fare ritorno. La terra il fondamento materno, ed egli quindi figlio della terra. Nei suoi simili vede fratelli terreni e abitanti della terra. Fra i quattro elementi tradizionali- terra, acqua, fuoco e aria-, la terra lelemento destinato alluomo e quello che pi lo determina (C. Schmitt, Terra e Cielo Adelphi, pp.11-12). A differenza degli archetipi religiosi essenzialmente inattivi o comunque renitenti ad intervenire nelle vicende umane, una volta esautorata la propulsione iniziale- con la Madre Terra entriamo in quella categoria di di esseri extra-umani che continuano ad agire, ad interferire con il corso delle cose. Abbiamo visto come il Dio Celeste non brilli certamente per il suo coinvolgimento costante nella storia umana, ed anche il Dio del Cristianesimo che invia lagnello sacrificale che riscatta i peccati del mondo nella Persona del Filioque, per il resto si mantiene abbastanza distaccato di fronte al dolore e alla sofferenza. Non certamente un caso che nel Novecento i teologi si siano interrogati con angoscia sul significato del silenzio divino di fronte ad Auschwitz. Il punto fondamentale- per noi che non ci muoviamo da presupposti fideistici, ma limitiamo le nostre disamine al significato dei miti- che il Dio Celeste per esprimere tutto il suo potenziale di trascendenza ed alterit dal creato, deve essere necessariamente un deus otiosus. La Creazione implica, inevitabilmente, il rischio della commistione panteistica del Creatore con la creatura, in guisa che qualche eretico potrebbe rinvenire dio nelle cose pi spregevoli come il fango o i capelli. Allontanando il Creatore nel Cielo si evita il pericolo di forgiare categorie blasfeme, ma il rovescio della medaglia costituito dal sospetto dellindifferenza e dellimpassibile freddezza verso la citt terrena agostiniana. Gli esseri extraumani come la Madre Terra non incorrono nel problema teologico della Creazione, non devono necessariamente rilevare il loro differente lignaggio ontologico verso le creature. Al contrario, il loro fascino risiede nel richiamo dellimmanenza materica contro le irraggiungibili, glaciali, sinfonie iperuraniche dei mondi celesti. Questi archetipi danno e tolgono in termini di selvaggina o di frutti della terra, ma anche di vita e di morte. Il culto della Madre Terra in particolare al centro di una vera e propria renaissance, attraverso i movimenti neopagani e la nozione di ecologia profonda presentata dallo scienziato di fronda James Lovelock. Per Lovelock, il pianeta Terra - Gaia- un organismo vivente, capace di regolarsi autonomamente: soltanto qualcosa di artificiale e derivato come la tecnica pu incrinare questo meccanismo perfetto. La Madre Terra- Gaia o Gea- riconducibile allarchetipo della Dea primordiale ed al matriarcato originario. Ovunque, si presenta no le stesse connessioni simboliche fondate sulla fertilit femminile, la Luna, il divenire, la commistione dionisiaca delle forme, ecc. la Madre Terra realizza la coincidentia oppositorum, la coniunctio tra gli opposti, mentre gli archetipi celesti- dunque le religioni monoteistiche- producono serie irriducibili di dicotomie (bene/male, maschile/femminile, Creatore/creatura, ecc.). LA MADRE TERRA 2 parte La coniunctio tra gli opposti realizzata nel culto della Madre Terra non impedisce, per, la simultanea partecipazione dei due principi distinti allazione cosmogonica. La Madre Terra fecondata dalla pioggia lasciata cadere dal dio del Cielo (che tuttavia ha caratteri stiche differenti dal Creatore, vero e proprio deus otiosus, ed pi simile al re del pantheon greco o a quello del pantheon nordico, Zeus o Wotan, che a differenza del primo non onnipotente e continua ad interferire nelle vicende umane). La Terra, proprio per la sua capacit di incorporare i due estremi della vita e della morte, della fecondit e del ritorno finale alla polvere del suolo, si pone come grande sintesi delle dicotomie fenomeniche (bene/male, piacere/dolore, ecc.). Abbiamo visto come sono state elaborate ed associate le valenze simboliche della Terra e della donna (ciclicit, fertilit, cura delle piante, ecc.), tuttavia in alcune religioni come quella egizia, assistiamo ad un vero e proprio rovesciamento allegorico delle polarit. Nella mitologia egizia, la dea Nut rappresenta il Cielo e Geb, la Terra. Ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare che Nut possedesse caratteristiche ancora pi arcaiche e primordiali rispetto a quelle della Madre Terra. Nut richiama le caratteristiche della Dea Madre Primordiale, di cui Madre Natura (o Terra) sembrerebbe piuttosto una derivazione. Ma come scrive E. Hornung: per gli egiziani, il preciso ordine delle generazioni non era il punto decisivo, esso poteva cambiare. Sciu e Tefnut possono comparire come i genitori di Osiride, Seth come il fratello di Osiride o di Horus. Quello che im porta solo il principio che consiste nellordinare gerarchicamente il pantheon (E. Hornung in Gli dei dellantico Egitto, Salerno editrice, Roma p. 130). Nut genera Osiride, Seth, Iside e Nephthis. Iside anchessa Dea Madre come emanazione di Nut, a nche se il carattere sincretistico della religione egizia non riconosce un differente lignaggio cosmogonico a molte divinit, che pur seriori, tendono a con-fondere le loro caratteristiche con quelle degli dei antecedenti. Iside, a causa delle sue molteplici connessioni con gli altri dei, si presenta in numerose forme, diventando cos la dea multiforme per eccellenza (Cfr. M. Mnster, Untersuchungen zur Gttin Isis, Berliono 1968). Nella maggior parte delle religioni, tuttavia, la Dea Madre rimane associata alla Terra. La preghiera dedicata a Awitelin Tsita, la Dea Terra degli Zuni del Nuovo Messico recita testualmente: Possa colui che fa la pioggia irrigare la Madre Terra, affinch ella sia bella da guardare. Possano coloro che fanno la pioggia irrigare la Madre Terra, affinch ella diventi feconda e possa dare ai suoi figli e a tutto il mondo i frutti del suo essere e cibo in rabbondanza. (M. C. Stevenson, Etnobotany of the Zni Indians, in Annual Report of the Bureau of Ethnology, Washington 1915, p. 37).

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