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Amalia Riccardo

Anamnesis e Mneme in Platone

Amalia Riccardo - Universit degli Studi di Napoli Via Roma I Trav. 1 80030 Cimitille (NA) - Tel. 081/8234339

Interpretazioni innatiste, trascendentali e neoplatoniche si sono susseguite nel corso dei secoli come altrettanti tentativi per dare un significato filosoficamente rilevante

all'affermazione platonica, presente in pi dialoghi, e a tutta prima paradossale, secondo cui l'apprendimento non altro che reminiscenza. L'enorme quantit di studi volti ad analizzare ed interpretare la cosiddetta dottrina della reminiscenza e il correlato tema della memoria nei dialoghi platonici, testimonia delle ambiguit e delle contraddittoriet di questa dottrina e di questo tema, soprattutto quando si cerca di tracciare per essi un quadro d'insieme coerente attraverso tutti i dialoghi. Non abbiamo la pretesa di presentare una teoria coerente della reminiscenza e della memoria, mettendo insieme i tasselli di questa teoria sparsi nei vari dialoghi. Ci proponiamo piuttosto di fare emergere, passando da un dialogo all'altro, oltre le innegabili continuit, soprattutto i cambiamenti di prospettiva platonici nella considerazione di reminiscenza e memoria. Cambiamenti di prospettiva, mai radicali, dovuti alle problematiche specifiche di ciascun dialogo, ognuno dei quali rispecchia un particolare momento dell'evoluzione del pensiero platonico, ricco di continuit ma anche di fratture. Attraverso il confronto di passi tratti da vari dialoghi, ma anche attraverso la lettura di passi di uno stesso dialogo in cui siano presenti i temi della memoria e della reminiscenza possibile infatti constatare come questi temi assumano di volta in volta una complessit di caratterizzazioni; che non solo le nozioni di memoria e reminiscenza sono distinte, anche se talvolta si sovrappongono sino a divenire indistinguibili; ma anche che, a seconda dei vari livelli di indagine e delle finalit dei discorsi di volta in volta proposti, ciascuna delle due nozioni pu assumere per Platone una pluralit di ruoli e di significati, anche estremamente differenziati. Questo perch memoria e reminiscenza non rientrano nell'ambito di una semplice indagine psicologica e antropologica, o tutt'al pi gnoseologica, sulle fonti dell'imparare e del conoscere, come l'iniziale identificazione del Menone tra apprendimento e reminiscenza (Men. 81d3) potrebbe indurre a ritenere, ma implicano e presuppongono sempre il rapporto con una serie di altre componenti costitutive delle concezioni specifiche che Platone ha di volta in volta a proposito delle relazioni: anima/corpo, sensibile/intellegibile, tempo/eternit,

linguaggio/pensiero/realt. Concezioni che da una parte contribuiscono tutte a determinare natura e funzioni di memoria e reminiscenza; quello che esse sono e quello che dovrebbero essere ciascuna in s e nel suo rapporto con l'altra e a seconda dei contesti specifici di

riferimento; ma che dall'altra vengono tutte esplicitate a loro volta attraverso il ricorso alla memoria e/o alla reminiscenza. Che memoria e reminiscenza siano state oggetto di numerose elaborazioni mitologiche e di divinizzazioni a partire dalla cultura greca delle origini sino ai tempi di Platone noto e ci attestato da numerose fonti (Vernant [1970]); che in Platone siano presenti influssi di questa tradizione culturale altrettanto noto e forse anche scontato. Ma piuttosto che sottolineare l'influenza di queste componenti mitico-religiose -come anche stato fatto da molti autorevoli studiosi- riteniamo metodologicamente preferibile interrogarsi sul senso del riutilizzo di tradizioni mitico-religiose a proposito di questi temi e all'interno di discorsi che per Platone sono comunque strumento di argomentazione filosofica (Brisson [1998]). E' vero che spesso nei dialoghi le dimostrazioni logiche vengono condizionate da narrazioni mitologiche; ma esse non sono mai casuali, semmai contribuiscono all'esemplificazione o alla conferma di assunti di portata schiettamente filosofica. Non a caso la reminiscenza, un termine che evoca contesti mitici e religiosi, quando viene presentata nel Menone in un contesto che per la prima volta ne mette comunque in rilievo l'importanza, collegata, oltre che al mito, al sapere, che poi l'oggetto specifico dell'indagine filosofica, ci a cui essa dovrebbe tendere. Il mito spesso il rivestimento pi che il fondamento di una dottrina, anche se cercare di afferrare il senso filosofico di certi passi al di l della veste mitologica in cui sono presentati non solo difficile, ma pu spesso divenire arbitrario, visto che sempre in Platone i procedimenti logici si intrecciano con elementi mitologici e il mito stesso talvolta viene trattato come un discorso, cio come uno strumento dimostartivo. Del resto il passaggio inavvertito dal mythos al logos molto pi frequente di quanto non possa sembrare e gli assunti platonici, anche quando riprendono elementi dalla tradizione mitico-religiosa, sono molto spesso in contrasto polemico con quella tradizione. Quando nel Menone viene introdotta la dottrina della reminiscenza per risolvere la

paventata difficolt di intraprendere la ricerca di un qualsiasi sapere che non si conosca gi, Platone non ricorre al pensiero mitico-religioso come ad un deus ex machina ; n all'elenchos socratico, proprio del Socrate storico rappresentato nei primi dialoghi e che si limita semplicemente a disseminare dubbi, subentra la reminiscenza come uno degli elementi costruttivi e metafisici propri del pensiero del Socrate platonico, e quindi di Platone stesso (Vlastos [1991]); in altri termini la dottrina della reminiscenza non , o non solo, l'innesto ingiustificato di una dottrina ascoltata da uomini e donne sapienti nelle cose divine (Men. 81a5), per risolvere l'impasse a cui pu giungere l'originaria metodologia di ricerca socratica. Non c' frattura, ma continuit, tra elenchos e reminiscenza: anzi, si pu dire che l'elenchos costituisce la prima tappa del processo anamnestico, il requisito fondamentale per la riconquista di un sapere autentico (Fine [1992]). L'elenchos infatti il tentativo di portare a consapevolezza una serie di pregiudizi che rendono possibile e di fatto guidano la comprensione. E' per questo che, al di l della veste mitica in cui presentata, la reminiscenza ha innanzittutto una rilevanza gnoseologica: uno strumento di legittimazione del sapere di

contro ai presunti saperi che l'elenchos smaschera come tali. E' dunque il contesto dialogico del Menone, come del resto quello di altri dialoghi in cui presente, a suggerire che la reminiscenza pu essere intesa innanzitutto come la metafora di una teoria epistemologica: ci che essa deve garantire in primo luogo un intendere guidato da una piena consapevolezza metodologica; poi la funzione comunicativa e rappresentativa del sapere. Ma per capire quale tipo di epistemologia sottenda questa teoria occorre innanzitutto tenere presenti alcuni dei presupposti fondamentali su cui si basa. Uno di questi la parentela di tutte le cose: la natura tutta congenere (WK

RXMYVK )(Men. 81d), ogni aspetto della realt strettamente connesso agli altri, secondo la
lezione parmenidea (Parm. DK B5): la scoperta della reciprocit ermeneutica che corre tra l'unit del tutto e i singoli elementi che lo compongono, sottolinea che attraverso la reminiscenza si pu intendere non solo l'unit del tutto per mezzo delle singole parti, ma anche il senso delle singole parti in funzione dell'unit del tutto. In altri termini le caratteristiche che definiscono ciascun ricordo sono determinate unicamente dalla relazione di un ricordo con tutti gli altri, senza che le differenze specifiche si perdano in un ampio contesto omnicomprensivo. Il valore epistemologico della dottrina non pu essere sganciato da un altro presupposto: quello dell'immortalit dell'anima, troppo spesso trascurato dagli interpreti che lo escludono come irrilevante rispetto a questa dottrina. Si tratta di un principio etico, ma anche di un assunto teoretico, la dimostrazione del quale si avvale di diversi mezzi di prova: nel Menone,

IXYVHZ D-SDYVK VXJJHYRX

Fedone, Fedro, Simposio, diverse e talvolta in contraddizione sembrano le ragioni per cui
l'anima immortale e il senso in cui debba essere intesa l'immortalit, anche perch qualche volta si presuppone gi nelle argomentazioni ci che si vorrebbe dimostrare poi. La comprensione della relazione della reminiscenza con l'immortalit dell'anima tanto decisiva quanto ambigua. Non un caso che da un modo specifico di intendere questa relazione sia potuta derivare poi anche l'assunzione dell'anamnesi cosmica nel neoplatonismo

dell'emanazione L'ambiguit insita nel testo platonico: per dimostrare la reminiscenza si ricorre al postulato (postulato perch non sono spiegate le ragioni che teoreticamente fondano quest'assunto) dell'immortalit dell'anima (Men 81b2) e, viceversa, la reminiscenza, ovvero l'effettivo

esercizio della facolt del rammemorare, una delle prove dell'immortalit dell'anima ( Phaed. 72e5-76c6). Due sono i problemi interpretativi che l'assunto dell'immortalit dell'anima comporta. Innanzitutto l'anima: dire quale essa in tutto e per tutto sarebbe compito di una

diegesis divina e lunga -osserva Platone nel Fedro (Phaedr. 246a)-, dire a cosa rassomiglia
compito di un discorso umano e pi breve. Non chiaro nei testi n cosa l'anima fuor di metafora, n se, quando associata alla reminiscenza, debba essere intesa in senso distributivo o in senso collettivo (Hueber [1964]). Si tratta, come vedremo, di una differenza di non poco conto, soprattutto in relazione all'immortalit e poi alla memoria e alla reminiscenza. Gi Hegel sottolineava come l'immortalit non ha in Platone l'interesse che noi le attribuiamo per motivi religiosi (Hegel [19673]). E certo l'immortalit dell'anima, sulla scia di

alcune suggestioni hegeliane, pu essere intesa anche come il presupposto di un sapere metapersonale, indipendente dalla vita del singolo uomo e la reminiscenza,

conseguentemente, come ricordo di verit atemporali, come una memoria impersonale, non essendo immediatamente legata alla struttura dell'io. L'individualit dell'anima non sarebbe dunque quella dell'individuo. Un'interpretazione plausibile ed ovvia, perch avallata in certi punti dai testi, ma che in chiara contraddizione con la possibilit di una memoria personale, determinante nella formazione dell'identit non solo dell'uomo, ma anche della singola anima, a cui Platone si riferisce per esempio nel mito di Er (Rep. 614a-621a): come noto in questo mito il ricordo personale della vita passata, e quindi il presupposto della continuit della storia dell'anima, di ogni singola anima, quello che consente a ciascuno la scelta del proprio destino. E' dunque a partire dal significato che si pu dare all'immortalit dell'anima (se sono immortali l'anima del singolo uomo, l'idea dell'anima o entrambe) che pu essere inteso uno dei molti aspetti della relazione della memoria con la reminiscenza e di queste con l'anima. Ripercorrere dettagliatamente le tappe del processo anamnestico, seguire il fenomeno in tutti i suoi risvolti nei vari dialoghi ci che pu consentire una fenomenologia completa della reminiscenza e della sue relazioni con la memoria. Ruolo della reminiscenza; centralit del linguaggio e funzione dell'anima nell'esercizio di questa facolt; e, infine, analisi della dinamica del processo anamnestico sono i punti fondamentali da tener presenti nel corso di questa indagine. La reminiscenza viene introdottaper la prima volta da Platone come soluzione al problema della insegnabilit della virt. E' questo problema che lo conduce a chiedersi come sia possibile raggiungere una conoscenza dotata di rilevanza pratica basata su una struttura teorica esplicativa/giustificativa (Cambiano [19912]); dunque la ricerca di un fondamento epistemologico per rispondere ad un'esigenza etica che conduce alla dottrina della reminiscenza. Ma paradossalmente la prova dell'efficacia e della validit di questo fondamento epistemologico non dipende esclusivamente dal rigore delle argomentazioni, ma anche da una disposizione ad affidarsi al valore delle ipotesi: in altri termini: se un sapere concepito in un certo modo che deve giustificare l'etica, a sua volta una scelta etica che giustifica la validit di questo sapere. Nel Fedone Simmia richiede una apodexis, cio una dimostrazione logica, della identit tra apprendimento e reminiscenza, ma poi, tra due logos reciprocamente escludentesi, quello dell'anima/armonia e quello dell'apprendimento/reminiscenza, sceglie quest'ultimo semplicemente perch stato fatto attraverso un'ipotesi degna di essere dimostrata (GL M X-SRTHYVHZ

DM[LYD DMSRGHY[YVTD

) (Phaed. 92d6-7). La

reminiscenza dunque una teoria epistemologica, che risponde ad un'esigenza etica, ma che ha a sua volta il proprio fondamento in una scelta etica. La funzione etica della reminiscenza non comunque scindibile dalla sua funzione gnoseologia. Ma anche nell'esercizio di questa funzione essa non sfugge ad un duplice circolo vizioso. Come verr esplicitato nel complesso delle argomentazioni del Fedone , (dialogo in cui per la prima volta oggetto specifico della reminiscenza divengono le idee), la reminiscenza

la condizione che rende possibile il nostro afferrare il sensibile attraverso le idee. Ma se partendo dal sensibile che ci ricordiamo delle idee altrettanto vero che il ricordo delle idee che ci fa riconoscere il sensibile in quanto tale. Se le sensazioni richiamano alla mente le idee e nello stesso tempo le idee sono fondamento ontologico e causa del riconoscimento delle sensazioni, allora non possibile sfuggire alla circolarit della relazione

sensibile/intellegibile. Cos come non possibile sfuggire ad un regresso infinito di reminiscenze, data l'equazione apprendimento reminiscenza, visto che ogni reminiscenza non pu non essere che il riappropriarsi di una precedente reminiscenza e non quindi possibile risalire ad un apprendimento originario indipendentemente dal processo anamnestico. E se l'apprendimento reminiscenza ci che Platone non chiarisce come deve essere allora inteso il processo dell'apprendimento. Non ci sembra di poter interpretare la reminiscenza come un processo a ritroso che deve ricondurre all'enunciazione di principi immutabili cui sempre ritornare; essa piuttosto un segnale della consapevolezza platonica che ogni apprendimento non mai immediato o originario, ma sempre il prodotto di un'inferenza, cio di una reminiscenza. Questo perch ricordare significa operare collegamenti, mettere in relazione: inquadrare il nostro singolo discorso conoscitivo in un quadro ordinato e significativo di conoscenze (Casertano [1998]); ma anche, secondo la bella espressione del

Fedro, utilizzare corretamente gli strumenti di rammemorazione (WRL

X-SRPQKYPDVLQ RMUTZ FUZYPHQR

WRLRXYWRL

) (Phaedr. 249a): i segni, infatti, innescano il

processo anamnestico. Non quindi possibile un primato dell'interiorit, interiorit purificata da ogni commistione empirica, nell'esercizio della reminiscenza come a tutta prima si potrebbe essere indotti a ritenere. La linguisticit della comprensione una costante dei dialoghi, anche se soltanto negli ultimi essa verr accentuata: la relazione dell'anima all'essere avviene sempre attraverso l'intermediazione del

logos

il

segno

linguistico

relazionato

all'anima(X-SRYPQKPD

WXYSRQ VKPHL RQ PQKPHL RQ ,

etc.) diviene, soprattutto

negli ultimi dialoghi, strumento indispensabile per l'esercizio della memoria e/o della

HMQVKPKQDPHYQK

reminiscenza: nel Teeteto il ricordo segnato nell'anima (WL PQKPHL [...]

NDWDYTKWDL)

che far rammemorare

RQ SDU M HMPRL (DMQDPQKYVHL) e avere

opinione corretta (Thaet. 209c4-9); e nel Filebo l'anima paragonata ad un libro istoriato da un pittore e da uno scrivano (Phil. 39a-b). Questa centralit del linguaggio confermato del resto dalla funzione che Platone attribuisce all'anima rispetto agli enti oggetto di reminiscenza sin dal Menone: sempre per noi la verit degli enti nell'anima (Men. 86b). L'anima d verit, non esistenza agli enti. L'operazione anamnestica garantisce il valore di verit che soggiace alla conoscenza. Valore di verit - ed questo il punto importante che ricollega la funzione dell'anima con la centralit del linguaggio- che oggetto di continua ricognizione tra i soggetti del processo comunicativo: non c' significato al di fuori di una comunit di discorso, un tema che trova una formulazione abbastanza esplicita attraverso tutti i dialoghi. E' questo uno dei limiti delle interpretazioni trascendentali della reminiscenza: la reminiscenza non soltanto un mezzo per evidenziare la

possibilit strutturale della nostra natura umana di acquisire la conoscenza di tutte le cose (Casertano [1998]), ma anche quel mezzo che consente di dare un valore, un senso alle nostre conoscenze, avvalendosi di un lingauggio, che sia ci a partire da cui si innesca il processo della reminiscenza ( spesso il segno che richiama alla memoria) sia ci attraverso cui si esplica l'oggetto della reminiscenza (con il rendere ragione). Molla della reminiscenza, infatti, sembra essere una certa associazione di idee ( sempre in vista di qualcosa che ricordiamo qualcosa d'altro), determinata da un fatto presente (Fedone) o da un desiderio futuro (Filebo,

Timeo). Ma in entrambi i casi l'oggetto della reminiscenza, quando si giunge a riappropriarsene


non sembra poter essere immune da un certo processo reinterpretativo, cio dall'inserimento in un logos, che lo esplica, e che in qualche modo ne pu anche intaccare la vecchia identit. Ed allora nella dinamica stessa del processo rammemorativo e nella situazione emotiva in cui avviene la reminiscenza che pu essere ricercata la possibilit o il rischio di reminiscenze non sempre attendibili, o forse sarebbe meglio dire, di reminiscenze che non solo ripetono, ma anche immaginano. Il frequente riferimento all'anima in s e per s (DXMWK NDT M DXMWKY ) come artefice

del processo della reminiscenza potrebbe indurre a ritenere che si tratti di un processo esclusivamente intellettuale e che, data l'associazione con l'apprendimento, la facolt del rammemorare appartenga alla stessa parte dell'anima con la quale l'uomo apprende, secondo un'espressione della Repubblica (Rep. 580d10). A smentire questa attribuzione della facolt di rammemorare ad una specifica parte dell'anima, come anche la possibilit di identificare questo processo attraverso gli oggetti cui si riferisce, per un passo della stesso dialogo in cui si parla di una parte dell'anima che ci fa avere reminiscenza (WR SURY

DMQDPQKYVHL )

WDY

addirittura della sofferenza e che ci fa piangere e che di tutto ci

insaziabile ed detta ingannevole, indolente e vile (Rep. 604d). Una conferma, ancora una volta, del complesso legame che la reminiscenza, attraverso il linguaggio, ha con l'intellegibile da un lato, con il sensibile e la corporeit dall'altro. Che oggetti della reminiscenza siano le verit non-empiriche un pregiudizio neokantiano, visto che proprio questo duplice e ambiguo legame della reminiscenza con il sentito e con il pensato, in cui pi volte ci siamo imbattuti, indicativo del fatto che andrebbe riconsiderato il rapporto tra sensibile e intellegibile in Platone. La reminiscenza d accesso alla scienza ( grazie al processo della reminiscenza che nel

Fedone e nel Fedro per lo meno si accede alla scienza/conoscenza delle idee), la memoria
all'esperienza. E' questa una delle distinzioni tra memoria e reminiscenza che qualche volta Platone sembra suggerire, ma che probabilmente non si conf pienamente alla complessit e alle strtificazioni di senso del testo platonico. Innanzitutto perch Platone sembra spesso giocare sullo sdoppiamento e l'inversione di ruoli e valori tra memoria, reminiscenza e oblio. Prendiamo per esempio la memoria: nel Gorgia la gastronomia proprio perch basata semplicemente sull'esperienza, su ci che salvato dalla memoria di quello che si verifica di solito (HMPSHLULYD

JLYJQHVTDL)

PQKYPKQ PRYQRQ VZ ]RPHYQK WRX

HLMZTRYWR
Repubblica
la

condannata (Gorg. 501a8); mentre nel complesso della

memoria considerata un requisito fondamentale per il filosofo (cfr. Rep. 487a: non si pu essere filosofi se non si naturalmente dotati di memoria, perch la memoria consente di non essere ingannati) e nel Fedro la memoria addirittura considerata come un privilegio dei filosofi (Phaedr. 241b-251a). Ci si potrebbe chiedere se si tratti in entrambi i casi delle stessa memoria e il perch di questa disparit di giudizio. Lo stesso discorso pu essere fatto per l'oblio. Se la memoria un valore, evidente che l'oblio deve costituire un vizio. La condanna dell'oblio da parte di Platone appare scontata: l'immagine del Gorgia dell' anima forata dello sciocco che non riesce a trattenere in s niente per via della sua smemoratezza (Gorg. 493c13) e quella degli uomini derubati della Repubblica: quelli che dimenticano perch, senza che se ne accorgano, gli viene sottratto il logos (Rep. 413b6), ne sono il pi chiaro esempio. E tuttavia l'oblio non solo condannato: basti pensare al Fedro , all'oblio del filosofo di ogni valore sociale, compreso l'affetto per i parenti, che ai pi appare follia (Phaedr. 251e-252b:); oppure al non sapere di Socrate che spesso un non ricordare, nel Menone e nel Teeteto per esempio, che non causa di malattia dell'anima, ma requisito fondamentale per la riconquista di un sapere autentico. Come appare chiaro da questi passi anche la reminiscenza, allora, se da una parte recupera ci che stato dimenticato, dall'altra ha sempre come contropartita un oblio. Non a caso gi Esiodo, nella Teogonia , parlava di reminiscenza e oblio come di una coppia di potenze religiose complementari ( Teog. 55 e 102-3). Il legame della reminiscenza con la memoria viene sancito esplicitamente da Platone soltanto nel Filebo. La memoria viene dapprima presentata, assieme ad altri processi intellettuali, quali intelligenza e sapienza, come uno degli elementi costitutivi di una possibile definizione del bene (Phil. 11a); una definizione che viene per confutata, constatando che vivere una vita di pura intellettualit, esercitando intelligenza, sapienza e memoria, e del tutto neutra sul piano sentimentale, proprio solo di un dio. E pur continuando a sostenere che la memoria appartiene ai piaceri della sola anima (Phil. 33c), definendo la memoria salvezza della sensazione (VZWKULYD

DLMVTKYVHZ

) (Phil. 34a10), dopo aver definito la

sensazione un movimento che consiste nel muoversi in un'unica affezione di corpo e anima (Phil. 34a3-5), Platone costretto a legare inevitabilmente memoria sensibilit e corporeit. Ed allo stesso modo la reminiscenza, che nelle intenzioni di Platone deve differire dalla memoria, perch si ha quando l'anima stessa in s stessa riprende senza corpo ci che aveva subito con il corpo (Phil. 34b5-8), si rivela, in ultima istanza, proprio per il suo complesso legame con la memoria, come un pathema dell'anima che non pu non essere contemporaneamente un

pathema del corpo (Casertano [1996].


In questo dialogo apprendimento e reminiscenza non sono pi associati; anche se non c' mai la smentita manifesta della possibilit di una loro associazione. Gi nella Repubblica e nel

Teeteto, dialoghi in cui si discute il tema dell'apprendimento, non ci sono riferimenti, se non
molto sporadici e impliciti, ad una possibile connessione tra apprendimento e reminiscenza. Ma solo dopo aver posto la questione della legittimit stessa delle idee (Parm. 134e-135a;

Phil. 15b-c; Tim. 51b-c), che Platone sembra aver accantonato la reminiscenza, non tanto
come ci in cui consiste l'apprendimento, ma come strumento privilegiato di accesso alle idee. Si ha dunque un rimpiazzamento della anamnesis con la diairesis, come strumento di accesso alle idee? (cfr. Soph., Pol., Phil., (Robin [1919]). Certo, se ricordare le realt intellegibili significava nel Menone e nel Fedone anche essere in grado di pensare le relazioni che queste realt costituiscono, allora non ci si trova negli ultimi dialoghi di fronte ad una trasformazione radicale della concezione del sapere. E memoria e reminiscenza non sono relegate in un contesto soltanto psicologico, semmai Platone slarga la sua indagine in un orizzonte pi ampio che coinvolge altri aspetti della realt, forse precedentemente trascurati; e ne accantona altri che precedentemente, non senza qualche difficolt logica, avevano costituito la giustificazione della rilevanza epistemologica attribuita alla reminiscenza: primo fra tutti, ovviamente, quello dell'immortalit dell'anima come presupposto per affermare l'identit tra reminiscenza e apprendimento. Questo orizzonte pi ampio comprende, per esempio, l'esigenza di giustificare l'opinione falsa. Un tentativo che Platone fa nel Teeeteto , ricorrendo proprio alla memoria: in questo dialogo Platone assimila i ricordi dapprima ai segni lasciati su un blocco di cera dal sigillo (Thet. 190e-195b), poi a piccioni che svolazzano in una colombaia (Teet. 197c-e). La suggestione di queste immagini non cela la difficolt platonica nel trovare un modello teorico esplicativo del fenomeno memoria. E quando si cerca di spiegare l'opinione, e la possibile opinione falsa, come dipendente dal confronto di una percezione con un'impronta (cio con un ricordo) (Thaet. 193c-194a) il dubbio che avere un'impronta possa significare anche avere un'idea legittimo, come l'enigmatica espressione il dodici in s(DXMWD WD GZYGHND

HMQ WZ

HMNPDJHLYZ

sembra suggerire. Anche qui uno dei vecchi temi platonici,

quello della problematicit della relazione tra idee e sensibili, che la reminiscenza risolveva innescando tuttavia una sorta di relazione circolare tra di essi, riemerge, senza aver trovato una definitiva chiarificazione. Anche se, a partire per lo meno dal Parmenide, Platone sposta sempre di pi l'attenzione sull'anima individuale, sul suo legame con il corpo, sull'importanza del linguaggio, in altri termini sulla determinatezza ermeneutica e la situazione emotiva che non possono non influire nell'esercizio di una qualsiasi attivit dell'anima e della stessa attivit filosofica. Ecco perch nel Filebo oltre a godere dei piaceri generati dalla memoria ( Phil. 33c5) anche possibile esercitare la memoria come coscienza del piacere ( Phil. 21b5-d); la memoria generatrice del desiderio legato a ci che si subito, ma anche il desiderio che pu dar forma alla memoria ( Phil. 34e). La differenza tra memoria e reminiscenza non data dai loro oggetti, non data dal loro diverso modo di esercitarsi, non data da un diverso rapporto con la corporeit, con il sentito da un lato, con il pensato dall'altro, ma non nemmeno data dal tempo. Aristotele sancir definitivamente il legame della memoria al tempo, ed in particolare al tempo passato (De

mem., passim). Non cos Platone, che sembra trascurare il fattore tempo, non chiarendo in che

misura memoria e reminiscenza si orientino, entrambe, o ciascuna in modo diverso, verso la conoscenza del passato e la costruzione di una prospettiva temporale. E' nel Fedone che per la prima volta la reminiscenza connessa, sia pure implicitamente, con il tempo. Socrate afferma che necessario che si sia appreso in un tempo anteriore (HMQ

SURWHYUZ

WLQL FURYQZ

) ci di cui ora (QX

Q)

ci ricordiamo (Fed. 72e8). Ogni

reminiscenza sembra avere un carattere temporale. E la stessa anima immortale, se da un lato immune da generazione e corruzione, sembra dall'altro soggetta alle vicissitudini del tempo se vero, come dice Platone, che all'anima appartiene la facolt di conservare delle informazioni nel tempo, di codificarle, ritenerle, recuperarle. Ci si potrebbe allora chiedere se la temporalit che caratterizza il ricordare non debba anche appartenere all'apprendere. E allora sarebbe possibile cogliere una contrddizione tra una scienza eterna, della cui necessit si parla spesso nei dialoghi, e il carattere temporale di ogni reminiscenza, che dovrebbe essere ausiliaria proprio al coglimento di quella scienza. La connessione tra la cosiddetta dottrina delle idee e la reminiscenza chiara nel Fedone. Il problema sorge perch le idee, fondamento della scienza, sono, o devono essere, eterne ed immutabili, mentre la loro conoscenza, quella che gli uomini ne possono avere e che non pu avvenire, per lo meno nel Fedone, se non attraverso la reminiscenza, implica l'inserimento di queste stesse idee nella dimensione temporale. La reminiscenza un richamare alla mente qualcosa che giace nell'anima ignorato a causa dell'oblio (OKYTK) e che lo studio (PHOHYWK) deve riportare alla luce: un riemergere alla mente di ci che prima (SURYWHURQ) si conosceva. Ma in che modo si conosceva? Data l'equazione platonica tra reminiscenza e conoscenza si dovrebbe dire: la reminiscenza il riappropriarsi di una precedente reminiscenza. Ed allora avere una scienza del bene in s, del bello in s e di tutte le altre idee in s prima dell'istituzione di relazioni temporali sembrerebbe impossibile. Il problema della conoscibilit di un'idea, di come cio essa debba essere non solo in s, ma anche per noi, non pu non coinvolgere il tempo. Perch se si attribuisce alle idee il carattere dell'eternit si corre il rischio, paventato da Platone stesso nel Permenide, di un mondo di idee completamente separato da quello delle cose sensibili e di conseguenza completamente inconoscibile per gli uomini (Parm. 133a5134e8). Certo i problemi interpretativi sollevati dai temi della memoria e della reminiscenza attraverso i dialoghi sono ovviamente molti di pi e non meno rilevanti di quelli che qui si cercato di delineare attraverso un primo provvisorio approccio. Ci che vorremmo aggiungere in conclusione innanzitutto che non va sottovalutato neppure l'intreccio di forma letteraria e contenuto filosofico che la pratica della reminiscenza e della memoria comporta nella esposizione di racconti nei dialoghi e nei dialoghi raccontati in cui evidente il sovrapporsi di utilizzo letterario e filosofico delle due nozioni. Cos, solo per citare un esempio, nel Timeo il racconto di Crizia il giovane la ricostruzione di un ricordo e una dimostrazione che soltanto in vista del futuro il passato pu essere ricordato; perch la

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rammemorazione non mai semplicemente una ripetizione ma sempre anche la ricostruzione di un sapere (Tim. 20d-26e)(Casertano [1996]). Voremmo infine far notare come, malgrado le notazioni finali del Fedro sulla memoria e lo scritto, circa la falsa coscienza che pu ingenerare uno scritto, perch la conservazione della memoria dovrebbe avvenire solo attraverso una interiorizzazione del ricordo (Phaedr. 274c277a), sono proprio gli scritti platonici a trasmetterci la complessit delle concezioni che Platone aveva di memoria e reminiscenza.

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