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Renato Caserta

BENEDETTO CROCE E LA SUA NAPOLI

Arte Tipografica 2005 PREMESSA La mia Napoli: la citt ricca di storia, di tradizioni, di cultura rimasta sempre nel cuore di Benedetto Croce, che ne stato non ho remore nel dirlo il suo pi grande cantore. Ne vedeva tutti i difetti come avviene forse soprattutto in coloro che amano ne individuava le cause, ne accusava i responsabili, ma nello stesso tempo contestava i giudizi superficiali, i luoghi comuni, le critiche faziose soprattutto da parte di stranieri, difendeva il dialetto (che aveva dato e dava segni di grande vitalit e aveva alimentato opere di poeti); ne spiegava certe forme di religiosit popolare, che non erano cieca superstizione ma andavano capite e interpretate senza animosit e preconcetti. E sottolineava che i lazzaroni che pure costituivano un aspetto deteriore del Regno, non erano molto diversi dalla feccia plebea di altre grandi citt italiane o europee. E lamore per la sua Napoli non era solo espresso nelle tante e tante pagine dei suoi libri, ma si concretizzava in un appassionato impegno per la conservazione del patrimonio storico e artistico della citt, in proposte e iniziative che contribuirono efficacemente ad evitare scempi e speculazioni disastrose. Quanto deve Napoli a Benedetto Croce? E stato sempre riconosciuto esattamente il prestigio che una personalit come Croce dava alla citt? E la luce che si irradiava in Italia e nel mondo culturale straniero da palazzo Filomarino era apprezzata? Per anni Croce rappresent un ineludibile punto di riferimento anche per avversari e fu, a Napoli, al centro di una felice fase di sviluppo culturale mentre la capitale del Sud viveva una sorta di belle poque che non trovava confronti con altre pur gloriose citt italiane. Nonostante gli aspetti negativi che sociologici e storici spesso mettevano in rilievo, Napoli, ai tempi di Croce e intorno a Croce, vide un fiorire di figure nobilissime: storici, economisti, giuristi, scrittori, poeti, giornalisti, politici. Nomi che si susseguiranno dalla fine dellOttocento ai primi del Novecento ed oltre, fino al secondo dopoguerra, se uno storico della letteratura italiana come Walter Pedull poteva scrivere, riferendosi al decennio che va dal 1945 al 55: Per qualche anno Napoli stata la capitale della narrativa italiana. E un critico dellarte come Carlo Ludovico Ragghianti

poteva ricordare per Croce quello che Goethe diceva ad Eckermann di Emanuele Kant: Egli ha agito su di voi, senza che lo abbiate letto. Ed ora non avete pi bisogno di leggerlo perch ci che poteva dirvi lo possedete gi. Poi lesodo dei cervelli, il trasferimento di centri di potere economico, nuove occasioni di lavoro e di successo che attiravano altrove prestigiose personalit napoletane. Ma molti non si arresero n si arrendono: allIstituto italiano per gli Studi storici fondato da Benedetto Croce si aggiungono lIstituto italiano per gli Studi filosofici, Napoli 99, la Fondazione Guido e Roberto Cortese, lAssociazione Aba, gli Amici del Libro, la Biblioteca Nazionale che sempre pi animatrice di cultura, mentre editori qualificati come lArte Tipografica tengono viva una nobile tradizione. Per anni la Rivista di Studi Crociani combatt battaglie culturali affermandosi anche allestero e cess soltanto ventanni fa quando si spense Alfredo Parente, che laveva fondata e non voleva che vivesse senza di lui. Come si sa - e lo ricorderemo dettagliatamente Benedetto Croce comp una sorta di prodigio rispetto agli altri storici. Dal piccolo mondo locale e persino dal luogo dorigine della famiglia del padre, Montenerodomo, e da quello della madre, Pescasseroli, amplia lesame alla storia e alle leggende di Napoli, e poi spazia sulle vicende dellintero Regno fino ai Borbone e fino allunit dItalia, e poi guarda allEuropa e lauspica unita. Ma da Napoli, dove da molti Paesi giungono studiosi per conoscerlo, che lancia i suoi messaggi di cultura e di libert. Significativa in questo senso la visita dello scrittore francese Roger Peyrefitte, in genere orientato verso il documentario e la satira, ma che, prima di pubblicare il volume Du Vsuve lEtna (edito a Parigi da Flammarion), chiese di essere ricevuto a palazzo Filomarino per prendere dal grande filosofo e storico e letterato come scrisse un critico, Franco Fusc - labbrivo ad una migliore conoscenza della vita, della storia e dei segreti di Napoli e del suo popolo. Dalla Napoli di Vico e di Filangieri e, indirettamente, di De Sanctis, arrivavano con Croce segnali che equilibravano i giudizi convenzionali sulla citt. Se Croce lamava tanto dovevano esserci importanti motivi! Quali? Nelle pagine che seguono si leggeranno nomi che con Croce contribuirono a fare di Napoli un faro di cultura. Ma quanti furono i protagonisti di quegli anni fecondi? Da Michelangelo Schipa ad Adolfo Omodeo, da Enrico De Nicola a

Giovanni Porzio, da Roberto Bracco a Salvatore Di Giacomo, da Riccardo Ricciardi ad Angelo Rossi, da Edoardo Scarfoglio a Matilde Serao, da Giovanni Leone a Guido Cortese, da Epicarmo Corbino a Vittorio Spinazzola, da Giustino Fortunato a Francesco Compagna, da Gino Doria a Fausto Nicolini, da Bartolomeo Capasso a Vincenzo Gemito, da Enrico De Leva a Raffaele Viviani, da Carlo Bernari a Domenico Rea, e tanti altri. Come Croce pur se in modi diversi amarono Napoli con tutti i suoi aspetti negativi e lavorarono per eliminarli. Non si affronteranno nel volume gli aspetti strettamente politici dellattivit di Croce perch si riferiscono, ovviamente, a questioni che vanno molto al di l dellimpegno civile e culturale per la citt. A ventanni dalla morte del filosofo, che si spense nel novembre del 1952, venne lanciata da uno studioso di Potenza, Pietro Borraro, in una conferenza riprodotta nella rivista Scuola Lucana, unappassionata ma per molti aspetti utopistica proposta: conservare le spoglie di Croce a Firenze, nel tempio sacro alla memoria dei grandi italiani. Ma sarebbe opportuno allontanare i resti mortali di Croce dalla sua Napoli? E ci sarebbe, oltretutto, il clima politico adatto? Sulla Rivista di Studi Crociani il fedelissimo Alfredo Parente commentava sinteticamente il nobile suggerimento della traslazione: Proposta troppo tempestiva perch avesse fortuna presso gli stessi eredi del grande Maestro, giacch siamo ancora lontani dal tempo in cui non sar prematuro e ingiusto che quei resti si stacchino dalla citt in cui Croce visse, legandovisi di profondissimo affetto e indagandone sotto ogni aspetto la storia.

LA MIA NAPOLI In occasione dei cinquantanni dalla morte di Benedetto Croce fu organizzata, nel 2002, a Palazzo Madama, una mostra che comprendeva, tra laltro, il carteggio del filosofo-senatore con la Biblioteca del Senato, e venivano presentante anche le frequenti richieste di Croce per poter vedere libri in possesso della biblioteca, che non era riuscito a trovare altrove. Nellillustrare la mostra, uno studioso di prestigio come Fulvio Tessitore fa alcune importanti osservazioni, e particolarmente notevole il sottolineare come il gusto, lesercizio, lausilio dellerudizione siano una costante della ricerca crociana, accompagnata e, per tanti versi, favorita da quel gusto antico e scaltrito, che le ha dato un carattere assai marcato e assai tipico. E poi la significativa notazione: Il carteggio, la mostra e il catalogo, mostrano, con assoluta evidenza, il percorso dellinteresse crociano, che andava dal contemporaneo allantico e viceversa in uno scambio caratterizzante la Frage storiografica del filosofo. Assai indicativa di ci la lettera del 23 aprile 1927. In essa Croce richiede due libri di diretto e indiretto interesse vichiano (il Vicos New Science of Humanity di T. Wittaker del 1926 e Le Cartsiens dItalie di Bert de Besancle del 1920), insieme con le Scene della vita napoletana del Silvani, pubblicate nel 1872. Dalla mostra emerso anche un altro elemento interessante, sottolineato anchesso da Fulvio Tessitore: Appare evidente come sia errata la consueta periodizzazione dellopera del Croce, che vuole questa distinguere in una prima fase (la giovanile) caratterizzata dalla scelta per lerudizione, poi chiusa a vantaggio di quella specificamente filosofica e storiografica. Le lettere al Senato confermano in sostanza come erudizione e storia, visione locale e panoramica di largo respiro, siano state sempre coincidenti. Si capisce da molti elementi questo aspetto di studioso di Benedetto Croce e voglio citare una perfetta definizione del concetto di patria e di citt data da uno storico quale Federico Chabod, che fu peraltro il primo effettivo direttore dellIstituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Croce dopo che il designato a questa carica, Adolfo Omodeo, si era improvvisamente spento. Nel volume Lidea di nazione, del 1977, citando la Francia, dove preminente il concetto di una petite patrie, cio la regione o la citt natale, considerata accanto a

quello della grande patrie, Chabod scriveva: E certo, ancora oggi anche noi oltre che della patria=nazione, parliamo spesso di patria=loco natio; anche per noi, c una piccola patria, la propria terra o citt dorigine, il cui amore vivo e profondo in noi, senza nulla togliere allamore per la grande patria, comune a tutti gli italiani (o francesi, o tedeschi, ecc.) e senza minimamente contraddirlo. Nonostante la predicazione nazionalistica della dittatura ventennale, gli italiani che seguivano linsegnamento di Croce assorbivano come sottolineava Alfredo Parente sulla Barricata, edita durante le Quattro giornate nel 1943 unidea fondamentale: Siamo andati anche oltre lardita concezione mazziniana di una comune coscienza europea, e ci sentiamo, grandi e piccoli, cittadini del mondo, uomini tra gli uomini di ogni civilt e di ogni lingua. Era il saluto agli anglo-americani giunti in Italia nel 43. Ma poco dopo, quando nel 45 si preparava la nuova Costituzione e si pensava alle autonomie regionali, Croce scrisse una toccante dedica pubblicando il volumetto Quando lItalia era tagliata in due. Ecco le sue parole: Alla mia Napoli / che non ha chiesto n vagheggiato / autonomie e separatismi / religiosamente fedele / a quellidea dellunit nazionale / che i suoi uomini del 1799 / propugnarono tra i primi / dedico il Diario di un periodo / nel quale separati di fatto / allItalia di continuo pensammo / anelando di tornare tuttuno con lei. LItalia quindi, unita e amata, ma Napoli, la sua Napoli, amatissima da Croce. Nato a Pescasseroli, in Abruzzo, durante un soggiorno provvisorio nella dimora familiare della madre, che aveva lasciato Napoli per timore del colera (1866), Croce ricordava con interesse e con simpatia il paese natale, ma si sentiva napoletano, anche se molti studiosi continuano a definirlo il filosofo abruzzese o anche precisando di Pescasseroli. Nellatto di nascita redatto il 25 febbraio 1866 da Francesco Sipari, sindaco del paese e zio del filosofo, si legge che il signor Pasquale Croce, padre di Benedetto, era di professione proprietario, domiciliato in Napoli ed era di passaggio per Pescasseroli. Uninterpretazione di questa origine abruzzese ne d un amico di Croce e acuto studioso napoletano, Giovanni Cassandro (peraltro imparentato con un altro appassionato napoletano, Fausto Nicolini): Croce, portato in Napoli da Pescasseroli (Abruzzo) a breve distanza dalla nascita, nella capitale dellantico Regno crebbe, comp gli studi elementari e secondari e, dopo il breve biennio romano (1884-85), breve, ma pur cos importante per la sua formazione

spirituale, prese stabile e mai interrotta dimora. E napoletano si sent, napoletani furono in gran parte gli autori che scelse; e Napoli am dellamore delle cose tra le quali viveva, e al passato che si congiungeva con esse; e questo passato narr e direi, se non temessi di cadere nella retorica, cant tanto soffusi della melanconia che della poesia, sono gli scritti napoletani, nei quali venne rimembrando la vecchia citt e le sue strade, le sue chiese e i suoi conventi, e i suoi teatri, e coloro che tra essi si erano aggirati e avevano vissuto, operando e amando e soffrendo e, infine, paulo maiora canens, le vicende etico-politiche di tutto il Regno che culminavano e si assommavano in quelle della Capitale. Ma ancora pi significative per il sentimento che le anima sono le parole riportate proprio da Fausto Nicolini che le aveva raccolte dalla bocca di Croce in una confidenza affettuosa: Com vero che la poesia non ha niente da vedere con la vita effettuale! Io, come filosofo e critico, non recedo innanzi ad alcun pensiero, per radicale e distruttivo che sembri, e, come uomo, accetto e promuovo qualunque elevamento dellumana societ, ancorch questa debba passare attraverso le pi dure prove. Eppure, quando mi sorprendo a sognare, sapete quale aspirazione trovo nel profondo della mia anima? qual limmagine nella quale essa si bagna e riposa? Un convento secentesco napoletano con le sue bianche celle e il suo chiostro, che ha nel mezzo un recinto daranci e di limoni, e fuori, il tumulto della vita fastosa, che batte invano alle sue alte muraglie. Il convento a cui probabilmente pensava Croce era quello che sorgeva proprio di fronte alla sua abitazione, con la chiesa di Santa Chiara (ne parleremo dettagliatamente in seguito). Sono migliaia le pagine che Benedetto Croce ha dedicato a Napoli, e anche se non impegnato in attivit politiche locali, allorch fu chiamato a ricoprire qualche incarico cittadino accett per dovere civico, come quando nel 1891 fu designato come commissario straordinario per riordinare un settore dellamministrazione comunale di Napoli, quello dellistruzione; e successivamente fu prima commissario governativo, poi presidente dei Reali Educandati femminili di Napoli. Ma era la storia di Napoli, erano le tante figure prestigiose che vi avevano vissuto o vi vivevano, era la cultura che animava la citt che richiamava la sua attenzione e lappassionava come studioso, oltre che come cittadino. E allora affrontava i temi anche semplici ma significativi, che sarebbero magari stati tralasciati

poi per sempre e che egli riteneva meritassero un ricordo storico. E allora spaziava nei pi svariati settori (ai quali accenneremo ora e alcuni svilupperemo in seguito). Dedica saggi a Giambattista Basile e al suo Cunto de li cunti. Respinge la tesi della derivazione di Pulcinella dal teatro romano antico. Studia i teatri di Napoli e i testi teatrali a cominciare dal Rinascimento. Si interessa al nomignolo di una famosa osteria di Napoli, quella del Cerriglio. Si occupa della celebre novella del Boccaccio su Andreuccio da Perugia. Studia la vita religiosa a Napoli nel Settecento e approfondisce la nobile figura di Alfonso de Liguori, non trascurando il simpatico predicatore domenicano padre Rocco. Analizza alcune voci dialettali napoletane. Studia la Poesia volgare a Napoli nella prima met del Quattrocento e le Vedute della citt di Napoli nel Quattrocento. Tratta dellorigine della chiesa e della festa di Piedigrotta, dei cantastorie napoletani, del prelato balordo monsignor Perrelli, esalta la poesia di Salvatore Di Giacomo, di cui promuove e cura la pubblicazione della raccolta di Poesie, si interessa al teatro di Edoardo Scarpetta. E poi i grandi temi: la valorizzazione del dialetto, aneddoti gustosi, la Napoli di Carlo di Borbone, Giambattista Vico, la Rivoluzione del 1799, la rivista Napoli nobilissima, La Critica, la polemica sulla costruzione di un Policlinico nellarea conventuale del centro storico, la sistemazione della Biblioteca Nazionale, la difesa dellacquario di Dohrn, le famiglie di patrioti come i Poerio e gli Imbriani, limpegno nella Societ di Storia Patria e nellAccademia Pontaniana, fino al coronamento del grande sogno: la fondazione dellIstituto Italiano per gli Studi Storici.

UN CUORE NEL CUORE La naturale inclinazione per le cose darte e per la cultura, che trover poi, nella maturit, una conferma e una razionale sistemazione, si svilupp fin da ragazzo grazie soprattutto alleducazione che la madre gli impartiva e che si concretizzava anche in visite a monumenti napoletani. La madre Luisa Sipari amava molto le arti e soprattutto i monumenti antichi, e visitava spesso con il figlio chiese napoletane, in particolare Santa Chiara e San Domenico Maggiore. Come Croce racconter, da ragazzo attento e appassionato si estasiava dinanzi a quadri e affreschi, a icone e tombe, a bassorilievi e statue di re, prelati e guerrieri tanti dei quali sarebbero divenuti in seguito oggetto dei suoi studi di erudizione. In realt, scriver lo stesso Croce, in tutta la mia fanciullezza ebbi sempre come un cuore nel cuore; e quel cuore, quella mia intima e accarezzata tendenza, era la letteratura o piuttosto la storia. Ma cera un altro aspetto delle attitudini di Croce, quella a guardare lontano, ed anche questo si svilupper attraverso le letture della fanciullezza sotto la guida della madre. E Croce scriver, anche se in un contesto polemico legato negli anni successivi ad eventi politici negativi, parole avvincenti sulle letture di racconti e romanzi di costume tedesco, che gli riempivano la fantasia di villaggi bianchi di neve, di bruni castelli, di prodi e nobili cavalieri, di belle e virtuosissime fanciulle, di azioni generose e di alte prove di austero dovere, sicch per veder concretizzato il suo sogno fanciullesco il suo primo viaggio fuori dItalia lo far in Germania. Trasferitosi a Roma a 17 anni dopo la tragedia del terremoto di Casamicciola che lo aveva privato dei genitori e della sorella, nonostante le cure dello zio Silvio Spaventa imparentato con la madre, e autorevole esponente politico, e della presenza del fratello superstite, Alfonso, si sentiva avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane. Un raggio di sole dir fu per lui la conoscenza che fece in casa dello Spaventa di Antonio Labriola, ma il suo vivo desiderio era di tornare a Napoli e nel 1886 pot attuare questo suo sogno. Lasciata la societ politicante romana, si trov scrive con grande efficacia Fausto Nicolini, che ben conosceva latmosfera culturale

napoletana - in un ambiente del tutto opposto; in quello della Societ napoletana di storia patria, composta tutta di bibliotecari, archivisti, eruditi, curiosi e altra onesta e buona e mite gente, che, come aborriva dalla politica militante, cos non era adusata alla fatica del troppo pensare. Per alcuni anni (su per gi fino al 1892) non si consacr quasi ad altro che ad indagini erudite, compiendo anche, per condurle pi a fondo, viaggi distruzione in Germania, in Spagna, in Francia e Inghilterra. In quegli anni, in sostanza, compose molti dei suoi scritti di erudizione. Ma intanto maturava la convinzione di approfondire il suo lavoro di storico, ma non pi regionale bens nazionale, convinto tuttavia che nel trattare qualunque argomento, grande o piccolo, la pi accurata esattezza erudita sia addirittura un dovere morale, da adempiere con iscrupolosit tanto maggiore in quanto limprecisa informazione filologica pu condurre, e conduce sovente, a involontarie, ma non perci men colpevoli, alterazioni e deformazioni del vero. Fausto Nicolini, riferendosi allesigenza propria e di Croce di rivivere con uomini e tra cose della vecchia Italia e specificamente di Napoli, parla di bisogno affettivo e sottolinea che le manifestazioni letterarie dellaffetto di Croce per la vecchia Napoli lungi dallavere alcunch di edonistico e voluttuario, e quindi di dilettantesco, sintonano anchesse a unesigenza etica: allesigenza di serbare la tradizione storica e, con essa, i fili che legano la vita del presente a quella dei tempi che furono Credi tu mi diceva una volta nelle nostre passeggiate per la vecchia Napoli credi tu che gli uomini della decadenza italiana sentissero lo squallore desolato della loro miserrima vita intellettuale e morale e, sentendolo, ne soffrissero? Fa attenzione allirriverente e quasi iconoclastico furore con cui, specie in questa vecchia citt a te e a me cos cara, presero a distruggere, impiastricciare, imbarocchire quanto ricordasse loro il passato: chiese gotiche, palazzotti della Rinascenza, affreschi giotteschi, monumenti tre, quattro e cinquecenteschi; e dimmi poi: a quale altro pi basso gradino saremmo discesi se, tra pochi uomini di pensiero degli ultimi decenni del Seicento uomini che saggiravano per queste medesime strade e ai quali dobbiamo gratitudine perenne non fosse sorto un salutare movimento di reazione, che cominci col riallacciare con la tradizione quei fili che marinisti e barocchisti avevan fatto di tutto per recidere? E il Vico - mi soggiungeva il

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nostro Vico, che quegli uomini vener sempre suoi maestri ideali, avrebbe potuto precorrere in tante cose il secolo decimonono?. Unaltra interessantissima notazione di Nicolini va riferita in tema di rapporto tra erudizione e storia: Trattazioni magari di storia universale possono essere, e sono sovente, nientaltro che cronache erudite o mere compilazioni; e, per contrario, proprio il Croce ha mostrato con lesempio, come si possa raggiungere la storiografia di grande stile anche restando nel campo della storia regionale o addirittura municipale. Lamore di Croce per la sua Napoli si esprimeva anche in queste altre parole appassionate e piene di senso di nostalgia: Mi viene malinconia quando avverto che tante cose che noi ascoltavamo avidamente ora non si vuol pi saperle, quando mi accorgo che notizie e aneddoti non mai scritti (e che sovente non dato scrivere), a me pervenuti per una catena di trasmissione nominativamente designata nei suoi anelli e che rimonta alla met del Settecento e, in certi casi, pi su, stanno ormai per morire sulle mie labbra, donde nessuno li coglie e li ripone nella sua memoria per lulteriore trasmissione. Con questo spirito di amore per la tradizione e per la sua Napoli, Benedetto Croce si impegn in numerosissime opere per far rivivere uomini e cose non solo della citt ma della regione, del Mezzogiorno e, per molti dei protagonisti che operarono anche fuori del Sud, dellintera Italia. E significativo che uno studioso di Croce, docente nella Duke Univeristy di Durham nel North Carolina, Ernesto G. Caserta (che negli Stati Uniti si fatto promotore delle dottrine crociane), insista sul concetto del doppio binario degli interessi di Benedetto Croce: Lattaccamento del Croce alle figure locali scrive il Caserta non affatto da imputarsi, come alcuni studiosi marxisti vorrebbero insinuare, a tendenze di provincialismo, tanto meno grettezza mentale. Si tratter per il Croce, come per ogni altro uomo di genio, di passare dallamore per le persone e le memorie patrie a quello di altri uomini di altri tempi e paesi; di allargare e di approfondire, insomma, sempre pi la cerchia degli interessi culturali, conservandone il nucleo centrale e vitale. Il Croce si interesser prima della cultura napoletana, poi di quella nazionale, per passare, infine, alla cultura e al sapere in genere che non conosce barriere nazionali n limiti geografici. In realt Napoli era profondamente nel cuore di Croce e viene da pensare a quel che Goethe narrava di un ragazzo napoletano che,

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vedendo il panorama nella sua stupenda citt, proruppe in un grido di gioia e, additando al poeta quel golfo meraviglioso, soggiungeva: Signor, perdonate! Questa la mia patria. Ma, naturalmente, Croce equilibrava la sua esaltazione per Napoli con lobiettivo giudizio anche su aspetti negativi e ricordava spesso ai suoi amici la risposta che dette un napoletano dei tempi antichi a uno studioso svedese che, visitando Napoli, era ansioso di conoscere qualcosa del popolo napoletano. E come una vipera, rispose il napoletano. La testa, cio laristocrazia, velenosa; la coda, cio la plebe, non vale niente, e il corpo, ovvero la parte di mezzo, il ceto medio, tanto buono che serve per curare molte malattie. Qualche abruzzese non perdonava al Croce la sua napoletaneit e non mancavano prese di posizione polemiche nemmeno dopo la morte del filosofo. Ed ecco una documentazione: nel novembre del 1953 il periodico Il Fucino riferiva che nellultima tornata della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, il prof. Giuseppe Marini di Tagliacozzo, parlando di Benedetto Croce e confutando lassurda qualifica di filosofo napoletano attribuita al nostro Grande, che invece tenne sempre a dichiararsi abruzzese, cit, a dimostrazione di questa sua tesi, le due monografie su Montenerodomo e Pescasseroli pubblicate dal Croce in appendice alla sua Storia del Regno di Napoli. Questa notizia provocava la reazione di un lettore che, firmandosi col nome e cognome, Marco Serra, in una lettera al direttore del periodico rilevava che la prima di dette monografie si chiude con queste precise parole, che trascriveva integralmente: Era quello, ed ancora, il cuore della piccola terra di Montenerodomo, dove vissero ab antico i miei maggiori, - tutti coloro dei quali, da Santa Crux in gi, leggo i nomi nellalbero di famiglia e dove essi rimasero fino a poco pi di un secolo fa; ed io mi sforzavo di ritrovare nel fondo del mio essere qualcosa che mi ricongiungesse a loro, una regola, un istinto, una passione, un palpito, e riuscivo in ci soltanto a una consapevolezza debole, intermittente e fuggevole, laddove ritrovavo prontamente quanto mi congiunge, con tante molteplicit di legami e con tanta prepotenza, al vivo presente. E pensavo, non senza melanconia (tanto mi pareva a volte di essere straniero e diverso), che forse luomo, piuttosto che figlio della sua gente, figlio della vita universale, che sia attua di volta in volta in modo nuovo; piuttosto che filus loci, filius temporis. Il Serra aggiunge: Ecco dunque unoccasione nella quale il Croce non

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sentiva lAbruzzo, o almeno lo sentiva con la fredda mentalit dello storico per il quale il tempo e lo spazio non hanno n data n paralleli.

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IL MIO ANIMO SI FA ANTICO Nelle opere giovanili di Croce si trovano dei gioielli che lo steso autore che pure era sempre coerente e compus sui pi volte avrebbe voluto ripudiare come poco rispondenti alle sue attivit successive nel campo storico e filosofico. Eppure non riusciva a liberarsene, rileggeva, modificava, ripubblicava. Li sentiva suoi, quei lavori, e non poteva ripudiarli. In queste vecchie memorie napoletane diceva la mia fantasia ama di tanto in tanto rinchiudersi, e il mio animo si fa antico. In Storie e leggende napoletane o negli Aneddoti di varia letteratura, si leggono pagine di vera poesia su Napoli. Ricordando il Boccaccio scrive tra l altro: La novella di Andreuccio forse la pagina pi napoletana che ci resti di quello scrittore che a Napoli visse i suoi anni pi lieti, che qui am, qui coltiv prima gli studi, qui si apr alle aspirazioni della poesia, e questa citt ricord sempre con la tenerezza con cui si ricordano i luoghi dove trascorse la nostra giovent e che si estende a tutte le loro parti e circostanze, ai monumenti, ai costumi, alle persone e perfino forse ai bricconi e imbroglioni che in quel tempo e in quei luoghi (dolce nella memoria!) si sono incontrati. Ricordando il Sannazaro, Croce scrive: A Napoli lo aspettava quella sua villa sul declivio di Posillipo, presso il mare, nel luogo detto popolarmente Mergoglino o Mergellina, che gi appartenne ai Principi di casa DAngi e poi ai monaci di Santo Severino, e che Federico dAragona aveva acquistata e il 12 giugno 1499 donata al suo amico. Quale dono pi conforme si poteva fare al poeta dellArcadia e delle Piscatorie? Fecisti vatem, nunc facis agricolam, egli rispose nel ringraziare: ma la sua poesia era un perpetuo spettacolo di campagna e di mare; e Mergellina, dove il verde della collina si sposava allazzurro del golfo, ne pareva il simbolo festoso. Ed egli cant sovente quella villa e quella sua felicit tra agreste e piscatoria E ne sent la sua pi schietta ispirazione, tanto che a quelle delizie si affrettava a tornare, compiuto che ebbe lo sforzo del suo maggior poema. Sulla Villa di Chiaia, Croce cita una paginetta di un libro assai popolare in Germania, nella quale la protagonista una borghesuccia berlinese che insieme col marito visita Napoli descrive la Villa sullannottare e dice propriamente cos: Pi tardi, il giardino

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si illumin con cento e cento fiammelle a gas il mare mormora gi verso il giardino, le onde accompagnano la musica e, cessata questa, continuano a divertirsi da sole, come fa la gente. In mezzo ai giardini si leva un magnifico edificio bianco, le cui mura sono rischiarate dalle fiammelle del gas. Esso sta serio e silenzioso, come qualcosa di straniero, in mezzo a quel rumore, allo stridore delle ruote, al vocio degli uomini, alle melodie dellorchestra. E straniero , in effetti: la stazione zoologica, fondata dal dottor Antonio Dohrn di Stettino In una pagina dedicata a San Biagio dei Librai si legge: Non tanto le leggende quanto le invenzioni scherzose della immaginazione popolare coronano alcuni resti di sculture romane o greche, che da secoli stanno nelle piazze della citt: come la statua sdraiata del fiume Nilo, che allincrocio delle vie di San Biagio dei Librai e della Universit, e che il popolino chiama il corpo di Napoli; e quella testa muliebre colossale, che gli eruditi arbitrariamente interpretano per Partenope e che lo stesso popolino chiama la testa ( capa) di Napoli, e pi familiarmente: donna Marianna a capa e Napole E quell angolo di Napoli col Palazzo Filomarino dove Croce visse nel fervore degli studi e nel calore degli affetti familiari (limpareggiabile consorte Adele e le devote quattro figlie)? Quando, levandomi dal tavolino, mi affaccio al balcone della mia stanza da studio, locchio scorre sulle vetuste fabbriche che luna incontro allaltra sorgono allincrocio della via della Trinit Maggiore con quelle di San Sebastiano e Santa Chiara Il palazzo, dal cui balcone io guardo, e che spiega sulla via della Trinit Maggiore un colossale portone a bugne, quello che appartenne fino a unottantina danni addietro alla famiglia Filomarino, principi della Rocca, e mostra ancora lo stemma dei Filomarino a una delle arcate del suo cortile, ampio come una piazza. E dolce sentirsi chiusi nel grembo di queste vecchie fabbriche, vigilati e tutelati dai loro sembianti familiari; quasi come il ritrovarsi nella casa dove vivemmo la nostra infanzia, e venirvi riconoscendo gli oggetti che primi svegliarono la nostra meraviglia e ci mossero a fanciullesche immaginazioni, e rimirarvi i severi ritratti dei morti, che cincussero un tempo rispetto e paura. In questa casa la figlia Alda resta a tener viva, con appassionata cura, la fiamma del grande Padre. Nella riedizione recente delle Storie e leggende napoletane (pubblicate da Adelphi), il curatore Giuseppe Galasso ricorda che un giudice della finezza di Federico Chabod sottolineava che lamore

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per le memorie napoletane era la radice di una continuit di motivi e di toni del Croce storico tale da caratterizzarne nellintimo lispirazione e il senso anche sul piano pi generalmente storiografico: dal bisogno interiore di parlare con il passato all accento sullanimo, sullelemento morale, sulle passioni e sul dramma operoso e fecondo della vita; dal senso vivo del particolare concreto una figura umana soprattutto, un angolo della vecchia Napoli, un aneddoto, all antico giovanile gusto del particolare corposo; il senso dei luoghi e delle persone, il compiacimento per le immagini del passato; dallattenzione al processo storico in quanto clto e fermato nelle figure maggiori e minori, donde lumanit piena e corposa della ricostruzione storica, al senso cosmico del passato che tuttintorno ci preme e in esso noi viviamo immersi, che si disposa con il senso delluomo e della sua dignit morale, della sua libert di volere e di fare, andando oltre il passato. Questo scriveva Chabod nella Rivista storica italiana nel 1952, anno in cui Croce si spegneva. E a sua volta Galasso aggiunge che laura di quegli scritti, il pathos che ne promana, e che immancabilmente colpisce il lettore, non stanno solo in questa loro eventuale contemporaneit o attualit etica, intellettuale, civile; n stanno solo in quella dimensione storiografica che, anche Federico Chabod, ne abbiamo ricercato. Stanno nella loro schietta napoletanit, nella schietta napoletanit di Croce, nella determinatezza napoletana del suo sentire e pensare, nella loro scaturigine esistenziale e morale dal mondo della Napoli nobilissima, che era quello del suo originario. Spesso la ripubblicazione di qualcuna di quelle isolate monografie di storia e leggende o degli aneddoti ritorna tra le nostre mani per iniziativa di qualche sensibile editore, in volumetti di raffinata veste tipografica. Un esempio eccellente: la ristampa della Villa di Chiaia e il Palazzo Cellamare edita anni fa da Grimaldi e Cicerano per i tipi dellArte Tipografica di Angelo Rossi (1983). Altre riedizioni sono state fatte in altre circostanze ed auspicabile che nelle opportune occasioni si ripeta questa simpatica tradizione.

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LA SOCIETA DI STORIA PATRIA Ritornato a Napoli nel 1882, Benedetto Croce and ad abitare una casetta a piazza Municipio, non lontano dai teatri famosi del San Carlino e del Fondo, oggi Mercadante. Laria di Napoli, il rivedere luoghi e anche qualche persona amata, riaprirono il giovane alla vita. Ritorn col pensiero alla casa del palazzo Iovio, dove aveva trascorso anni delladolescenza e dove abitava anche lanziano Francesco De Sanctis, che alla sua scomparsa trover proprio nel Croce il suo grande interprete che ne valorizzer in pieno il pensiero estetico. Croce, riacquistata una certa serenit di spirito nonostante i ricordi della tragedia che aveva colpito la famiglia, si immerse negli studi e in particolare nelle ricerche erudite, frequentava assiduamente il teatro di prosa. Sei anni dopo and ad abitare al Vomero, ma in pratica raggiungeva tutti i giorni il centro di Napoli frequentando lArchivio di Stato nellantico monastero di San Severino o la vicina biblioteca Brancacciana, che aveva orario serale. In quel periodo leggeva soprattutto commedie e drammi, lavorando a quella che sar lopera I teatri di Napoli. Dopo una modesta cena in una trattoria, ritornava al Vomero, che allora era ancora solitario, noleggiando un asinello. Nel 1886 diventa socio della Societ storica napoletana, e ricoprir poi lincarico di segretario tenendo in questa qualit brevi relazioni ai soci sui lavori dellanno. Sotto la sua guida la societ si afferm sempre pi nella vita culturale napoletana: era sorta nel gennaio 1876 con una sede precaria e poi man mano aveva ampliato i suoi spazi, aveva acquisito varie biblioteche fino a quella di propriet municipale, la Cuomo, con manoscritti, pergamene oltre a numerosissimi volumi a stampa. Un salto di qualit la biblioteca laveva fatto con il grande studioso Bartolomeo Capasso, che godr sempre dalla pi alta stima di Croce. Ma lopera principale della societ affermava Croce nella relazione allassembla dei soci nel gennaio 1901 non consistita nel raccogliere materiali e mezzi di studio, sibbene nelle pubblicazioni ch venuta fecendo e che sono rappresentate dalla serie dei venticinque grossi volumi dellArchivio storico per le provincie napoletane, dai sette in folio dei Monumenti e della nuova serie della collezione Filangieri di Documenti per la storia, larte e lindustria delle provincie napoletane Altre pubblicazioni la Societ ha indirettamente promosse, delle quali

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menzioneremo la rivista, edita da alcuni nostri soci, col titolo di Napoli nobilissima, che ha gi pubblicato nove volumi, ricchi di incisioni e illustranti per ogni verso la topografia di Napoli e la storia dellarte nel Mezzogiorno dItalia. In uno dei suoi interventi sui bilanci della Societ, Croce ribadiva con energia la dignit delloperato dellente, lontano dallo sciocco regionalismo, dalla superstizione verso i santi paesani e dalla pettegola erudizione locale. Quella della Societ stata opera di critica onesta, liberale, italiana. Questo deve dare a tutti noi proseguiva Croce la coscienza che non abbiamo gi congiunte le nostre forze come dei perditempo, collezionisti pi o meno fanatici di anticaglie e di curiosit, ma come homines bonae voluntatis, che proseguono unopera civile. Lorgoglio di appartenere a una comunit di studiosi degna di questo nome era stato sottolineato da Croce gi qualche anno prima quando, nel saggio del 1894 La critica letteraria, aveva ribadito la matrice filosofica e letteraria dei suoi studii veri: Io ho fatto lo storico e lo storico di Napoli per una sola ragione: che a Napoli uno dei pochi centri di studio, uno dei pochi organismi vivi la Societ Napoletana di Storia Patria. Tra quegli amici carissimi mi nato lamore per le cose napoletane. Lo spirito che animava la Societ Napoletana di Storia Patria rispondeva pienamente al pensiero di Croce e allimpostazione dei suoi studi. Come sottolineava in un articolo su Il Mattino Bruno Lucrezi ricordano i cento anni dellistituzione, superato sul piano territoriale-politico il secolare frazionamento del nostro paese, ne consegu un generale fervore nello studio del passato delle varie regioni, al fine di cementare lunificazione civile e morale deglitaliani, rendendoli consapevoli, nella variet e nella ricchezza delle particolari istorie, dun comune retaggio culturale. Vennero cos sorgendo in quasi tutti i capoluoghi degli antichi nostri Stati dopo il 1860, Deputazioni e Societ di Storia Patria, che si distinsero per il fervore delle iniziative, il rigore delle ricerche, conformemente, anche, allo spirito dell'imperante positivismo filosofico, e ai metodi della grande storiografia tedesca. E si ebbe quella religione, per dirla con Raoul Manselli, delle piccole patrie, premessa, e fondamento della pi vasta e profonda religione della patria comune finalmente ritrovata. In tale contesto distituti regionali di studi storici si colloca, fondata nel 1842, quella Societ Storica Napoletana presieduta da Carlo Troya, che, pur nella sua breve durata, pu essere

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considerata come la premessa e lantefatto della ben pi illustre e vitale Societ Napoletana di Storia Patria, la quale, trascorse ormai le pi decisive vicende della nostra unificazione nazionale, nasceva nel 1876. Iniziava sottolineava Bruno Lucrezi - unra nuova nella nuova storia dItalia. E l'affermazione potrebbe sembrare azzardata, se ci fermassimo al dato di fatto che il piano del programma dell'Istituzione riguardava la ricerca, il recupero, lo studio delle fonti storiche della realt del Mezzogiorno nelle sue entit municipali e regionali: quasi un'operazione, appunto, regionalistica o addirittura municipalistica; ma tale non , ed esattamente il contrario, se si considera che era quella, e quella soltanto, la via giusta per realizzare, entro ununit geografico-politica alquanto frettolosamente e, diciamolo pure, fortunosamente conseguita, quella unit pi autentica della nazione che soltanto si poteva conseguire nella consapevolezza di tante storie particolari che a un certo punto si facevano storia comune e comune fatto di coscienza. In questo senso la Societ Napoletana di Storia Patria s'inseriva in un generale movimento di cultura europeo e italiano e si metteva al passo con la pi progredita civilt scientifica del nostro e di altri Paesi. Ne aveva, per farlo, le carte in regola. Le aveva per una prestigiosa tradizione erudito-filosofca gi consolidata alle sue spalle, e per la statura degli uomini che si accinsero all'impresa. Da Settembrini a S. Spaventa, da Bonghi e Pessina, da DOvidio a Fortunato, da Capecelatro a Fornari; laici ed ecclesiastici, scienziati e artisti; tutti accomunati, di l dalle differenze di classe, di censo, d'ideologia nell'intento di dare a Napoli e al Mezzogiorno, che di esperienza storica ne avevano a millenni una storiografia modernamente e italianamente elaborata. In questo clima e con questi uomini fu fondata la Societ Napoletana. Sciolto nel 1932, dal regime fascista, il Consiglio Direttivo presieduto da Schipa (la sola ombra di Croce lo rendeva sospetto...) e trasformata la Societ, nel 35, in R. Deputazione di Storia Patria, la gloriosa istituzione non per questo mut lo spirito e la sostanza che l'avevano generata. Per fortuna della cultura (quella autentica, che non conosce leterna miopia dei politici), il governo dellIstituto fu affidato a Ernesto Pontieri, il quale (parole sue) ispir la sua amministrazione ai criteri ai quali la Societ era debitrice della sua floridezza: ideale discepolo di Schipa e di Croce, e maestro ideale alle nuove generazioni di studiosi, avendo sempre a cuore la dignit

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e la fertilit scientifica dellIstituto. Passata la bufera della guerra e rimarginate le ferite allIstituzione (gravissime quelle della Biblioteca, salvata, possiamo dire, da Alfredo Parente), la Societ, tornata al suo primitivo statuto acclam suo Presidente onorario Benedetto Croce.

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LACCADEMIA PONTANIANA Gli studi eruditi sulla storia e larte di Napoli portarono Croce ad affrontare anche questioni concrete ad essi legati, e infatti nel 1890 fu nominato segretario di una commissione, designata dal Comune di Napoli, incaricata di curare la denominazione delle nuove vie che risultavano dal piano di Risanamento che aveva sanato, s, ma anche sconvolto buona parte della vecchia citt. Risulta da una relazione della Giunta comunale che Croce compiva da solo tutto il lavoro delle proposte e ne scriveva la relazione, con la preminente preoccupazione di salvare, nei limiti del possibile, i nomi delle vie che venivano distrutte o modificate. Nella relazione Croce non mancava, col suo zelo di studioso, di sottolineare che le prime tabelle murarie in ardesia furono apposte in Napoli la prima volta per disposizione di re Ferdinando IV del febbraio 1792: allora vennero raccolti i nomi tradizionali e popolari alcuni dei quali, anche di suono indecente o ridicolo, vennero cambiati nel 1850. Croce proponeva di conservare 47 nomi antichi (di ciascuno dei quali ricordava lorigine e la storia) e di aggiungerne 83 nuovi desunti da ricordi locali; offriva inoltre una serie di nomi di personaggi storici che avrebbero potuto dare nomi ad altre vie. Nello stesso periodo Croce si interess alla preparazione del centenario del 1799, e fu opera soprattutto sua la raccolta di documenti che fu pubblicata nellalbo La Rivoluziona napoletana del 1799 e la prefazione. Nel 1892 abitava ora in una casetta del viale Elena - Croce diventer socio della gloriosa Accademia Pontaniana (ne sar poi presidente) e in questa accademia lesse ben 57 note e memorie che furono inserite negli Atti. Proprio nel 92 fu letta la famosa memoria crociana che compiva una sorta di rivoluzione neocopernicana della filosofia, e che fu pubblicata lanno seguente col titolo La Storia ridotta sotto il concetto generale dellarte. E noto ma giova ricordarlo che Croce aveva scritto inizialmente un testo in cui si sosteneva la tesi del tutto opposta e laveva fatto anche comporre in tipografia; ma, dopo averci pensato su unintera, tormentosa giornata, era giunto a conclusioni diverse, corse in tipografia, pag i danni, consegn il nuovo manoscritto e nascer cos quella pubblicazione che segner, in tempi di determinato positivismo, il carattere nuovo della ricerca storica, che porter il Croce a farsi poi paladino delle teorie del

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grande concittadino Giambattista Vico. Intanto studi a fondo il testo delle novelle napoletane de lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile, preparandone unedizione con introduzione e note. Pubblic inoltre i Teatri di Napoli in sole 250 copie, unopera ponderosa per la mole di documenti utilizzati, fondamentale contributo alla storia dei teatri napoletani e del San Carlo in particolare. Collaborava a varie pubblicazioni, dalla Rassegna Pugliese a Flegrea, la rivista di un giornalista colto e raffinato quale Giuseppe Vorluni (col quale ebbi il piacere di lavorare allinizio della mia attivit giornalistica perch era redattore capo de Il Giornale, ispirato a Benedetto Croce), e anche al quotidiano Corriere di Napoli. E inoltre, tra il 1889 e il 1902 dopo aver retto per sei mesi lamministrazione scolastica napoletana aveva scritto pezzo per pezzo, secondo un sistema che attuer poi quasi sempre per gli altri libri, pubblicandoli in vari capitolo su La Critica, lEstetica come scienza dellespressione e linguistica generale, giustamente definita pietra angolare del suo sistema filosofico. E pensava in realt gi alla celebre rivista come risulta da una lettera a un suo amico, il filosofo tedesco Carlo Vossler, al quale scriveva: Questo ancora un segreto, ne ho parlato solo ad un paio di amici. Non vorrei che mi rubassero le mosse o che mi mettessero inciampi tra i piedi. Perci non ne parlate neppure voi. Era nata, nel 1892, una pubblicazione che ebbe per Napoli unefficace rilevanza per le battaglie che condusse in difesa dei monumenti e delle tradizioni locali, Napoli nobilissima. Lidea di fondare la rivista era venuta al poeta e giornalista Salvatore Di Giacomo e nellelenco dei redattori figurarono - in ordine alfabetico Riccardo Carafa duca dAndria, Giuseppe Ceci (che era stato compagno di collegio di Croce), Luigi Conforti, Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Michelangelo Schipa e Vittorio Spinazzola. Ma si stabil ben presto una sorta di gerarchia con lattivissimo Ceci primo collaboratore e Croce quale capo. Nel programma della rivista si leggeva: Agli scritti nostri illustrativi faranno seguito, sempre, proposte pratiche, ispirate alla conservazione, al rispetto, al miglioramento di tutto quello che rappresenta il nostro patrimonio antico, disseminato per le vie della citt ma non amorosamente sorvegliato, non coltivato mai. La prima serie della rivista (il cui titolo si ispirava al frontespizio di una descrizione settecentesca della citt di Domenico Antonio Parrino, Napoli citt Nobilissima) si concluder nel 1906. La seconda, breve serie, 1920-22, vedr

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impegnati accanto a Croce, Fausto Nicolini, Giuseppe Ceci e Aldo De Rinaldis, e sar edita da Riccardo Ricciardi.

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LA CASA DI LARGO ARIANIELLO Una fase importante della vita di Croce fu la sua sistemazione in un appartamento nel centro storico, in via Atri. Anni fa, per iniziativa di Raffaello Franchini (uno dei primi allievi dellIstituto per gli Studi Storici fondato da Croce, e poi Ordinario di Filosofia teoretica allUniversit di Napoli) e con lappoggio del Rotary fu apposta nellantico palazzo una targa commemorativa. Prese la parola Franchini ricordando che quando abit in quellappartamento, nel 1903, Croce era ormai leader della cultura italiana. I maggiori libri filosofici, l Estetica del 1902, la Filosofia della pratica del 1908, la Logica del 1909, furono scritti da lui nelle grandi stanze (alquanto freddine dinverno e allora rigorosamente prive di riscaldamento, tanto da suscitare unironica protesta di Salvatore Di Giacomo) al terzo piano di questo palazzo. Qui Croce, con lindicazione redazionale di via Atri 23, cominci il 20 gennaio del 1903, insieme a Giovanni Gentile, la pubblicazione della sua famosa rivista La Critica, che per quasi un cinquantennio doveva rappresentare il pi importante punto di orientamento degli studi italiani di letteratura, storia e filosofia. Qui egli scrisse il saggio hegeliano del 1906, che lo pone ancora oggi in una posizione di alta originalit nei confronto del filosofo tedesco Qui egli redasse il monumentale corpus dei saggi sulla Letteratura della nuova Italia, la parte pi ampia e cospicua di essi, coi quali riprese felicemente la metodologia di Francesco de Sanctis, suo ideale maestro, e forn un altro esempio ammirevole di come la critica letteraria possa e debba scendere a considerare la non astratta ma effettiva totalit dellispirazione di un poeta o di un narratore, in cerca dei valori estetici ma non senza interesse per i contenuti storicamente validi. In via Atri Croce inizi la consuetudine dellincontro domenicale coi suoi amici e discepoli, da Salvatore di Giacomo a Enrico Ruta, da Fausto Nicolini a Giustino ed Ernesto Fortunato, a Francesco Torraca, Vittorio Spinazzola, Giuseppe Ceci, Giuseppe Vorluni; qui convenivano da tuttItalia e dallestero, richiamati dalla nascente e rapidamente affermata fama del pensatore, uomini come Papini, Prezzolini e soprattutto Gentile, frequentemente suo ospite quando insegnava a Palermo, e poi il giovanissimo Guido de Ruggiero, Karl Vossler, Fritz Medicus, Douglas Ainslie, traduttori gli ultimi due, rispettivamente in tedesco e in inglese, di opere crociane, leditore

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Riccardo Ricciardi e, dal 1907, Giovanni Laterza, presso cui il filosofo aveva iniziato non soltanto la pubblicazione delle sue opere in unapposita collana, ma dato vita alle celebri collezioni degli Scrittori dItalia e dei Classici della filosofia moderna, questultima unitamente al Gentile che ne era condirettore, e qui infine condusse a termine in pochi mesi la traduzione dell Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio dello Hegel e redasse la fondamentale monografia su Giambattista Vico (1911). Franchini tocca poi un aspetto umanamente significativo nella vita di Benedetto Croce: Qui non possiamo n dobbiamo limitarci a sottintenderlo egli visse una lunga passione damore per una donna bellissima, che poi scomparve precocemente ripiombandolo nello strazio: ma quei dodici anni ricchi di tanta vita spirituale, innovativa, genialmente varia, non professorale, anzi francamente antiaccademica, si devono pure a quella presenza viva, affettuosa, alla gaiezza, forse felicit che per la prima volta dopo i difficili anni della prima giovinezza era venuta a visitarlo (Voglio precisare che un altro crociano di punta, Alfredo Parente, accert che non era vera la notizia che Croce spos la sua donna, Angiolina Zampanelli, in punto di morte; ma il giornalista Salvatore Maffei, in un articolo su Oggi del giugno 1973, ribadiva la tesi del matrimonio in articulo mortis). La lapide fu scoperta l11 novembre 1979 sulla facciata delledifico nel quale Benedetto Croce abit dal 1903 al 1914. Lepigrafe, dettata dal Raffaello Franchini, dice: In questa dimora tra il 1900 e il 1912 Benedetto Croce universale pugnace libero spirito rinnov la cultura italiana elevando la filosofia alle altezze dei sommi. Per cura dei Rotary di Napoli 1979. Sulla facciata della casa, oltre a quella scoperta allora, ci sono altre lapidi: una dedicata a Filangieri: Gaetano Filangieri autore dellopera La scienza della legislazione qui nacque il d XVIII agosto del 1752. Il Comune pose 1884, una seconda dedicata a Goethe che fu dettata da Croce: In questa casa Wolfango Goethe conobbe e pregi Gaetano Filangieri. Nessuna grandezza sfuggiva al suo olimpico sguardo. Nessuna vinse la sua. Napoli nel maggio del 1903 pose. Il palazzo di via Atri ha, quindi, una sua storia. Vi nacque, nel 1752, e vi visse Gaetano Filangieri principe di Arianiello (di qui il nome del largo sul quale si apre il vecchio edificio), morto a Vico Equense nel 1788, e vi si rec pi volte Wolfango Goethe in visita al nobile napoletano, che aveva fatto della sua casa una cenacolo molto

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attivo. Su Geatano Filangieri, Wolfgang Goethe ha lasciato il seguente ritratto: Voglio ricordare un uomo eccellente che ho imparato a conoscere questi giorni. E il cavalier Filangieri noto per la sua opera sulla legislazione. Appartiene a quei giovani degni di rispetto, che hanno per mira la felicit degli uomini e la loro libert. Il suo contegno rivela il soldato, il cavaliere, luomo di mondo; per questa compostezza mitigata dallespressione di un delicato senso morale che, diffuso su tutta la persona, risplende amabilmente dalle parole e dai modi Egli conversava volentieri di Montesquieu, Beccaria e anche dei suoi propri scritti Assai presto egli mi fece conoscere un vecchio scrittore alla cui insondabile profondit si ristorano questi moderni legisti italiani; si chiama Giambattista Vico: essi lo preferiscono a Montesquieu. A una rapida scorsa del libro, che mi diedero come fosse una sacra reliquia, mi parve di trovarvi sibillini presentimenti del buono e del vero, che dovr o dovrebbe venire, fondati sopra serie considerazioni della tradizione della vita. Benedetto Croce fece trasportare in via Atri i suoi libri, che erano gi molte migliaia e la grande scrivania che non volle mai cambiare. Lappartamento, composto di otto grandi vani, divent innanzitutto sede della direzione della rivista di letteratura, storia e filosofia nata allinizio di quel 1903, La Critica, diretta dal Croce. Dal 4 fascicolo, infatti, sulla copertina comparve la dicitura direzione: via Atri 23 e considerato che lamministrazione, presso il prof. Giovanni Gentile si trovava in via Tribunali 390 e la vendita era affidata alla libreria di Luigi Pierro in piazza Dante n 76, probabile che Croce avesse scelto la casa di largo Arianiello anche per una ragione pratica, legata alla nascente rivista letteraria e filosofica. Fausto Nicolini ricordava in un articolo su Il Mattino Gianni Infusino - fu uno dei primi a metter piede nelle vaste stanze al terzo piano e lo fece sollecitato indirettamente dallo stesso Croce che nel terzo fascicolo della Critica aveva accusato la famiglia Nicolini (il vecchio Nicola Nicolini era morto nel 1857) di tener sotto chiave i manoscritti dellabate Ferdinando Galiani sottraendoli allinteresse degli studiosi. Scrisse Nicolini: Quando entrai nellampia sala nella quale egli lavorava avevo quasi la certezza di trovarvi un vecchio che contasse su per gi il triplo dei ventiquattranni che io contavo allora. Invece mi vidi venire incontro agile, gioviale, sorridente, un uomo dai baffetti biondi: un uomo che, dallaspetto molto giovanile, sebbene

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contasse allora trentasette anni, mostrava di non esser giunto ancora nel mezzo del cammin di nostra vita. Per circa un decennio, fino a quando Croce non pass ad abitare nel palazzo Filomarino, Fausto Nicolini fu frequentatore quasi quotidiano del palazzo Arianiello, guardandomi bene dal mancare la domenica ad uno solo di certi ricevimenti pomeridiani. Alla casa di largo Arianiello, Nicolini dedica un intero capitolo della sua biografia, soffermandosi persino sui particolari delle riunioni in casa Croce: Risento ancora conversare nellampia sala di studio di Benedetto Croce, e come se ancora mangiassero, bevessero e vestissero panni, tanti e tanti amici e conoscenti che ora non sono pi In quei pomeriggi domenicali la scrivania monumentale, presso cui il filosofo lavorava, cangiava aspetto. In un canto venivano allineati in bellordine i libri, gli opuscoli, i periodici, giunti durante la settimana. Nel bel mezzo troneggiava un ampio vassoio su cui selevava unalta barricata di enormi paste. Coppe variopinte esibivano altre leccornie, mentre in un altro vassoio erano disposte simmetricamente dozzine di tazze da caff dun blu scuro reso gaio da filetti doro. E dispensatore di quel ben di Dio sera nominato da s il vecchio conte Lodovico de la Ville-Sur-Yllon, e che si faceva pagare quei volontari servigi nella guisa a lui, ghiottissimo di dolci, maggiormente gradita, cio col non lasciar mai solo a gustarne chiunque vi si accostasse. Quale festa, poi, quando a quei pomeriggi intervenisse Salvatore Di Giacomo! Come trattenevamo il fiato quando, vivamente pregato, egli acconsentisse a farci ascoltare qualche sua nuova lirica! Per il freddo, causato dallassenza di un impianto di riscaldamento, molti dei visitatori indossavano i cappotti, e un giorno Di Giacomo non perdette loccasione di una battuta pungente sulla poca praticit dellospitante, ed esclam: Eppure ha scritto la Filosofia della Pratica!

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PALAZZO FILOMARINO Benedetto Croce rest in via Atri fino al 1912, allorch per far fronte alla sempre pi vasta biblioteca, si mise alla ricerca di un nuovo appartamento e si ferm in palazzo Filomarino. Ad una casa pi grande aveva tuttavia pensato fin dal 1910. In una lettera allamico Giustino Fortunato datata 1 febbraio, scrive: Sono a buon punto con le trattative per acquistare una magnifica casa in Napoli. Ci siamo gi intesi pel prezzo, e restano da discutere particolare secondarii. Vi dir poi a quale uso intenda destinare questa casa, che acquisto non solo e non tanto per il mio godimento personale. Il giorno 11 febbraio scriveva a Fortunato: Vi accennai che avevo concluso lacquisto di una bellissima casa a Chiaia. Pensavo di trasformarla in una biblioteca; e donarla o lasciarla a testamento alla citt o allo Stato. Voi sapete che, da Posillipo a Toledo, non c una biblioteca [da notare che la Biblioteca nazionale non era ancora in Palazzo Reale]. Era un mio sogno, carezzato da molto tempo! Or bene: il principe di Crucoli, proprietario della casa, dopo aver accettato per telegramma che conservo la mia offerta di lire 142 mila, venuto a Napoli ha trovato chi gli ha offerto altre tremila lire; e, senza interrogarmi, e malgrado limpegno precedente, mancando un appuntamento che aveva fissato con me, ha venduto la casa ad altri! Cose da gentiluomini napoletani. Ma allora non era difficile trovare altre case, e Croce punt sul centro storico acquistando lappartamento di palazzo Filomarino dove rester fino agli ultimi giorni. Qui si svolgeva il suo assiduo lavoro di letterato, di storico, di filosofo e continuava a lavorare fino alle sei, circa, del pomeriggio o della sera a seconda delle stagioni, dopo di che, accompagnato sempre da qualche amico, iniziava la passeggiata con un passo non molto veloce, perch, come si sa, dopo essere rimasto per una intera notte sotto le macerie del terremoto di Casamicciola, nel 1883, quando perdette i genitori e la sorella, egli era rimasto offeso ad una gamba e quindi la trascinava leggermente. Con un passo, dunque, non molto veloce, ma abbastanza deciso, percorreva sempre lo stesso itinerario e anch'esso era un itinerario in qualche modo storico perch passava per la salita di S. Sebastiano, arrivava in via Costantinopoli, proseguiva per via Foria e il motivo c'era, perch via Costantinopoli, via Foria erano e sono tuttora sede di librai antiquari, presso i quali Croce si recava ogni giorno a pescare qualche libro. Allora questi librai erano di gran lunga pi forniti di quanto non

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siano adesso e Croce ogni giorno portava a casa qualche volume (in genere lo portava con s quando non era troppo pesante) o ne ordinava qualcuno. Il suo itinerario quotidiano si completava lungo una specie di quadrilatero, attraverso via Foria, via Duomo, poi via S. Biagio dei Librai, dove era stata la casa del suo grande antenato spirituale, Giambattista Vico, (e dove nel 1941, quasi clandestinamente, durante la guerra venne apposta una lapide scritta di nascosto dallo stesso Croce, ne riparleremo pi avanti). Poi ritornava a casa. Dopo una rapida cena, sempre con le stesse modalit, cio con alcuni intimi amici con i quali discuteva degli eventi del giorno e spesso, specie durante l'opposizione al fascismo, di cose politiche, riprendeva il suo lavoro fin quasi alla mezzanotte. Questi dettagli, insieme allaccenno ad alcuni amici, pochissimi, che lo accompagnavano in quelle passeggiate, si leggono in una puntuale intervista di Arturo Fratta a Raffaello Franchini, un volume pubblicato dalla SEN nel 1978, quando stampare un libro su Croce era giudicato un atto di coraggio. Croce guardava ai problemi concreti. Questo filosofo ha buon senso!: fu lo stesso Croce (aveva 82 anni) a ricordare, in un discorso ai liberali, il giudizio espresso su di lui da Giovanni Giolitti, che laveva chiamato al governo nel 1920, conoscendolo solo per fama. Nei primi approcci ricordava Croce avvertivo in lui una sorta di vaga diffidenza e di impaccio verso di me, perch gli avevano detto che io ero un filosofo. Sennonch, non parlando io mai, in Consiglio dei ministri, di filosofia o con tono di filosofia, ma ragionando alla buona i provvedimenti che proponevo e non trascurando neppure, nei limiti del possibile e del discreto, di leggere i disegni di legge presentati dai colleghi e farvi intorno osservazioni, e soprattutto dimostrandomi molto vigile e zelante delle finanze dello Stato, un giorno, mentre io parlavo, egli (Giolitti) mormor qualcosa a un collega, il quale mi raccont poi che gli aveva detto con qualche meraviglia: Ma questo filosofo ha molto buon senso! Lavessero avuto il buon senso molti ministri dei governi degli anni scorsi, prima di votare spese forsennate, spesso mossi da malafede. E lavvessero oggi tutti i ministri dei vari governi che si succedono! Altro che filosofo con la testa tra le nuvole Nei suoi incarichi civili, Croce operava con lo stesso impegno che metteva nei suoi studi, guardando al piccolo dettaglio storico da cui risaliva alla grande Storia. E quando affrontava un problema, una polemica, non mollava: andava fino in fondo e ai suoi avversari dava filo da torcere.

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Nel suo compito di cittadino impegnato, raggiunse risultati prestigiosi. Ancora oggi, se si devono contrastare colpi di mano micidiali per la citt, si ricorre all aiuto di Croce, ricordando le sue ferme prese di posizione contro i distruttori di monumenti o i danneggiatori del patrimonio culturale. Croce, defensor urbis, della sua Napoli, battagliero con tutte le armi della dialettica, dellerudizione ed anche dellironia. Al di l dei grandi contributi allAccademia Pontaniana, alla Societ di Storia Patria, alla Rivista Flegrea e poi con la Napoli nobilissima, con La Critica, in tutta la sua vita culturale e pratica condusse battaglie significative. A cominciare da quella con i medici del 1 Policlinico, e poi quella per il Museo nazionale, per la Biblioteca nazionale (niente uffici comunali, mettiamoci i libri in Palazzo Reale, tanto non ci va quasi nessuno nelle biblioteche!, la frase attribuita a Croce). E inoltre la difesa dellAcquario creato dal tedesco Dohrn.

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DIFESA DI UNA CHIESETTA STORICA Un deciso impegno per Benedetto Croce fu la difesa di una chiesetta barocca, la Croce di Lucca, che nel progetto per le nuove Cliniche era stato stabilito di rispettare; ma della quale, nell'esecuzione del progetto subdolamente non essendo stata mantenuta la distanza tra i nuovi edifici e la chiesa, si credette di avere reso inevitabile l'abbattimento. Il Croce scrisse una serie di articoli, e riusc a salvare la chiesa. Gli dest sdegno, soprattutto, il fatto che l'abolizione era propugnata dai medici, per motivi di anticlericalismo massonico, il quale, nel caso in questione, si dimostrava tanto pi stupido, in quanto la chiesa della Croce di Lucca era stata da anni e anni chiusa al culto e profanata. E ci egli ricord anche in nota sulla Critica. Il testo dettato da Croce per Napoli nobilissima nel 1908 esemplare come forza polemica. Scriveva: C' a Napoli una chiesetta barocca, prossima alle nuove cliniche, la quale i medici si sono incapricciati che debba essere abbattuta, mentre gli amatori d'arte (e fra questi sono anch'io) la vogliono salva, sostenendo che non d'alcun danno o imbarazzo alle nuove costruzioni e che gi troppo la nostra generazione ha distrutto dei monumenti che congiungono la nostra vita a quella del passato; onde conviene ormai andare a rilento in codeste imprese. Ma ecco con quali parole uno scienziato, che anche deputato, ha propugnato alla Camera il partito della demolizione; esse sono rivelatrici d'uno stato mentale abbastanza diffuso tra i medici: Per conto mio personale, rilevo che se la chiesa restasse, sarebbe pi o meno reclamata al culto, ed allora sarebbe stabilita una curiosa, eppure pericolosa, antitesi (!). Da una parte la scuola di medicina, antesignana (!) e propugnatrice (!) di ogni pi libera (!) manifestazione della coscienza (!), e dall'altra la predica demolitrice od inibitrice (!) di qualunque espansione (!) al di l del misticismo (!); e se un giorno le salmodie arrivassero a turbare la voce dei professori nelle prossime aule la intolleranza (!) dei giovani ed il fanatismo dei devoti (!), acuite dalle opposte finalit, potrebbero cozzarsi non piacevolmente per l'ordine pubblico. Vi dunque, oltre l'antitesi fra l'arte e l'igiene (!), anche un'antitesi fra la scienza e il culto (!), e non prudente perci tenerli troppo vicini (!) ( Atti parlamentari, 9 dicembre 1907, interpellanza dell'on. Cantarano p. 18118). Non m'indugio a domandare come c'entri la scienza con la medicina pratica, e la libert di coscienza con l'estirpazione dei tumori

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o con l'applicazione del forcipe; perch qui la vera antitesi mi sembra che sia col senso comune. L'egregio scienziato si mostra del tutto persuaso che l'autorit, che gli viene assegnata presso un letto d'ospedale, gli conferisca insieme il privilegio di discorrere di arte, di storia, di religione, di misticismo, del concetto della scienza, e di tutte le altre cose alle quali non ha mai pensato. E la medesima persuasione, purtroppo, sembra che sia entrata nella pi parte dei medici ai giorni nostri. La vicenda del 1 Policlinico e della Croce di Lucca torn alla memoria dopo il terremoto del novembre del 1980, quando si cominci a pensare alla ricostruzione dei danni provocati dal sisma. Ma ci fu subito chi tent di cogliere loccasione per creare un altro cataclisma urbanistico a proprio vantaggio, turbando i precari equilibri dellantico centro storico, abbattendo, modificando, deteriorando impianti edilizi e strutture viarie. Come contrastare i progetti micidiali che si volevano realizzare? Llite colta napoletana ricorse ad una sicura ncora di salvezza: la citazione del nome di Benedetto Croce, ricordando come il filosofo am, difese, valorizz la sua Napoli. Il Mattino, con Arturo Fratta, fu in prima linea con una serie di articoli fortemente critici sul cosiddetto Piano di recupero delledilizia universitaria dellarea del Primo Policlinico, elaborato dallUniversit ed approvato dal Consiglio comunale. Scesero in campo personalit della cultura, da Elena ed Alda Croce a Giovanni Pugliese Carratelli, da Enrico Cerulli a Marcello Gigante ed altri autorevoli intellettuali, e nei vari interventi il nome di Croce risuon altissimo, nel ricordo della sua decisa polemica ai primi del Novecento. Opportunamente, nel giustificato sospetto di nuovi tentativi di colpi di mano, nel 2002, per i tipi dellArte Tipografica, stato pubblicato un opuscolo dal titolo Centro storico ventanni dopo, una campagna di stampa in difesa di Napoli, con questa significativa premessa: LIstituto Italiano per gli Studi Filosofici, ispirandosi alle battaglie in difesa del centro storico di Napoli che Benedetto Croce condusse sulla rivista Napoli nobilissima e al perseverante impegno con cui Elena Croce continu lopera del padre con la creazione dellAssociazione Italia Nostra e del Comitato per la difesa dei Beni culturali e ambientali alla cui presidenza fu chiamato Enrico Cerulli, ha voluto ripubblicare questa raccolta di articoli per ricordare il contributo che Arturo Fratta, giornalista colto e raffinato intellettuale,

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ebbe la sensibilit e il coraggio di scrivere per Il Mattino, diretto in quegli anni dalla nobile figura di Franco Angrisani. Ebbe cos vita una campagna di stampa che imped una gravissima e irreparabile offesa al tessuto storico della citt di Napoli, e che fu decisivo appoggio di quanti, animati da un alto costume, sentirono il dovere morale di scendere in campo in difesa delle tradizioni civili e del patrimonio culturale della citt di Napoli. Anche contro altri pasticci, come quello delle pubblicazioni storiche che il Municipio di Napoli si era messo a fare procurando bens ozio e svago a qualche suo impiegato, letteratuccio mancato, ma sprecando nel modo pi illegittimo e goffo il danaro dei contribuenti, Croce non manc di protestare, attraverso lettere a Il Mattino nel luglio 1916. Sulla questione dell'ampliamento della Biblioteca Nazionale di Napoli, il Croce scrisse tre relazioni, una nel 1902, laltra nel 1908 e la terza nel 1914; ma la questione, trascinatasi per anni ed anni e che pareva giunta a maturit nel 1914, fu rinviata per effetto della guerra. Ma Croce laffront in seguito con estrema decisione, come riferiremo pi avanti.

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IL MUSEO E IL PROVVISORIO Unaccesa polemica di Croce, sviluppata in molti articoli, riguard il Museo Nazionale di Napoli. Come si legge in un volume delle prime Pagine sparse, Croce combattette nel 1900 l'amministrazione De Petra, a cagione della mancata tutela sugli affreschi di Boscoreale, e degli argenti della stessa provenienza, volati in Francia. Sennonch, insediatosi al posto del De Petra il prof. Ettore Pais, si cadde dalla padella nella brace; e Croce, dopo avere per qualche tempo sperato che le cose migliorassero, non pot trattenersi dal combattere anche il nuovo direttore; e la vivacissima polemica si svolse su Napoli nobilissima, e in parecchi giornali di Napoli, di Firenze e di Roma del 1903 e 1904. Croce sostenne in tutta la lunga polemica, e nonostante i tentativi del Pais e dei suoi difensori (se ne era procurati dappertutto, in Italia e all'estero, soprattutto in Germania, e in tutti i partiti, perfino nei giornaletti socialistici, impiegando nel Museo alcuni redattori socialisti), di sviare la questione: 1, che il Pais era in preda a una sorta di follia, e faceva e disfaceva ogni giorno l'ordinamento iniziato, sprecando i quattrini dello Stato; 2 che quasi ogni giorno assumeva e scacciava impiegati ; 3, che, invece di dare spiegazioni sulle accuse che gli si movevano, accusava gli altri, e in particolare i suoi predecessori, e intorbidava le acque affinch non si vedesse chiaro nel fondo. E una volta, in un momento, di buon umore, il Croce immagin un'intervista col prof. Pais, ritraendo al vivo, e secondo verit, lo strano uomo. L'intervista, gustosissima e una sorta di capolavoro giornalistico, fu ripresa da vari giornali prendendola per autentica. Ecco alcuni brani di questo testo: Essendo stata pubblicata dai giornali di Roma la notizia che nei lavori di riordinamento, che da un paio d'anni il nuovo direttore, prof. Pais, viene eseguendo nel nostro Museo Nazionale, s'erano frantumati parecchi vasi antichi, uno dei nostri reporters si recato ad intervistare il prof. Pais per sapere da lui la verit delle cose e raccogliere le sue giustificazioni. Il nostro reporter era salito all'ultimo piano del Museo ed aveva imboccato il corridoio della stanza della Direzione, nella quale, alcuni giorni fa, aveva avuto un colloquio col prof. Pais. Ma, nell'avvicinarsi per picchiare alla porta, un usciere gli si fatto incontro, dicendogli: - Dove andate ? - Dal

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Direttore. - Ma quella la porta della Collezione pornografica! Il direttore, da ieri, ha cambiato stanza. - Sta bene, conducetemi da lui. L'usciere si appressato al telefono e ha domandato al segretario del Direttore, in quale delle quattro stanze di direzione il prof. Pais si trovasse: se in quella della Direzione generale, o della Direzione delle Statue, o nell' altra dell'Antiquarium, o infine nella direzione della Pinacoteca. Ed al nostro reporter, che si mostrava alquanto meravigliato, ha spiegato cortesemente: - E questa la triplice neo-divisione del Museo. Il Direttore intende preporre alle tre collezioni tre ispettori: se naturalmente trover gente fedele e degna di stare al suo fianco, cosa non facile. Ma affinch i tre ispettori non inorgogliscano e non credano di essere essi i direttori delle sezioni, ha messo, accanto a ciascuna delle loro stanze, una stanza della Direzione, che, anche vuota, servir a ricordare l'esistenza del vero e unico direttore. Capite? Sar, insomma, come il palco reale al teatro San Carlo Intanto, il segretario ha risposto per telefono che il prof. Pais si trovava nella Direzione generale, ed era lieto, come sempre, di accogliere il nostro reporter. Questi ha dovuto scendere e salire parecchie scale, e finalmente stato introdotto presso il prof. Pais. Lo ha trovato in colloquio col suo scolaro, prof. Ciaceri, a cui ha affidato (provvisoriamente, ben s'intende) la cura della collezione numismatica Uscito il Ciaceri, il nostro reporter, tanto per cominciare il discorso, si compiaciuto col prof. Pais dell'eleganza della sua nuova sede, e gli ha domandato perch mai si fosse risoluto a lasciare l'antica. Il prof. Pais ha risposto con calore: - Circa l'eleganza, ascolti bene, non ho bisogno di far difese! Il passato direttore, mentre sperperava il danaro del Museo in acquisti e lavori mal consigliati, e lasciava che si rubasse a man salva, era al tempo stesso uno spilorcio, che trascurava del tutto il decoro che deve circondare chi capo di un istituto importante quale il Museo Nazionale di Napoli. Quanto alla mutazione da me fatta, dir che io non sono come il passato direttore, che per anni ed anni rimuginava un piccolo progettino e finiva col non farne nulla. Ieri, nel pomeriggio, mi balen l'idea che la Collezione pornografica sarebbe meglio collocata nella stanza ove ebbi il piacere di veder Lei la settimana scorsa, e che pi remota dalla malsana curiosit dei visitatori. Chiamai l'ingegnere Cremona, gli ordinai di far subito il trasporto della collezione pornografica col, e di trasferire qui la sede della Direzione. Ci stato immediatamente eseguito: tutti i

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miei dipendenti, caro signore, debbono essere per me quello che pel vostro re Carlo di Borbone fu il Carasale, che, in tre ore, durante la prima rappresentazione del San Carlo, apr il passaggio riservato dal teatro alla reggia - Veramente, professore, - ha detto il nostro reporter, che si diletta anche lui di storia patria, - il Croce, nella sua storia dei teatri di Napoli, ha provato che quell'aneddoto del Carasale una leggenda... - Il Croce ? Non me lo nomini! Egli l'alleato dei miei nemici, egli... Qui il prof. Pais si acceso in volto, e il nostro reporter, temendo che desse in escandescenze, ha subito portato il discorso sull'oggetto della sua visita. - Io son venuto, - gli ha detto, - per saper da Lei che cosa c' di vero nella notizia diffusa dai giornali di Roma, che nei giorni ultimi si siano frantumati alcuni vasi antichi... - Nessun vaso si rotto ! La notizia sui giornali di Roma stata inventata calunniosamente da qualche dotto italiano - Pure, professore, la notizia data con tali particolari, che non sembrano inventati. Ella far meglio ad aprirsi liberamente con me, e a dir le cose come stanno, per impedire le fantasticherie, che spesso ingrossano fatti per s non gravi. Il prof. Pais stato un momento sospeso; e poi ha detto: - Ha ragione. Alla sua leale domanda risponder con pari lealt. S, vero, alcuni vasi sono stati rotti nel trasporto al piano superiore. Si tratta di tre vasi soltanto, e di arte locale, di nessun interesse: potevano valere dieci lire l'uno. Io li facevo trasportare al piano superiore, dove si raccoglie il fiore della collezione, ma con l'intenzione di nasconderli dietro vetri opachi. Consideri che il passato direttore li teneva invece esposti in piena luce! Tutto sommato, creda a me, meglio che si siano rotti Io non comprendo, come per la rottura di cinque vasi... - Cinque? non aveva detto tre? - Ho detto tre? Ha ragione! Gli che nel vedere il mucchietto dei frantumi, avevo supposto che fossero stati tre soli, tanto il tritume era minuto: e quel numero tre mi rimasto in mente. Ma sono cinque; non pi di cinque: cinque soli. Del resto, tre o cinque, che cosa importa? Pensi che se il trasporto fosse stato compiuto sotto la passata direzione, se ne sarebbero rotti per lo meno cento. Ma che dico rotti? Crede Lei che si sarebbero rotti? Crede davvero? M'intende? Sarebbero stati rotti - o rubati? Non ricorda la sparizione dell'arazzo? Qui si era in mano di ladri! di ladri! La passata Direzione...

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- Ma, poich Ella ha avuto il merito di scoprire dei ladri, perch mai non li ha deferiti al potere giudiziario? Sarebbe stata opera di buon cittadino. - Perch? Oh bella! Perch non ho le prove. - E che cosa ha allora ? - Ho la convinzione morale Il nostro reporter, che persona assai prudente (e perci l'avevamo scelto al delicato ufficio), non ha voluto lasciare che il discorso diventasse imbarazzante, ed ha ripreso: - Noi abbiamo divagato. Tornando alla domanda che le facevo, come Ella spiega che da due anni ch'Ella si trova alla direzione del Museo si facciano continui mutamenti senza che nessuna collezione sia stata ancora definitivamente riordinata ed aperta al pubblico? - Io ho fatto l'ordinamento, provvisorio, dei grandi bronzi; ho fatto quello, provvisorio, dei piccoli bronzi; ho fatto laltro, anche provvisorio, s'intende, delle gemme ed ori; ho disposto, provvisoriamente, molte statue nell'atrio; tra giorni aprir la Pinacoteca con un ordinamento provvisorio... - Un momento. Di questo provvisorio appunto Ella accusata! La gente competente dice che rimuovere gruppi e statue equestri e pedestri, abbattere muri, decorare sale, costruire armadi, ecc., in via provvisoria, oltre che esser causa di troppo frequenti pericoli, importa uno spreco enorme di danaro, giacch questi sono tutti lavori costosissimi, che, quando si fanno, devono durare almeno un mezzo secolo, e non si debbono eseguire materialmente se non dopo che l'intero ed armonico piano di essi sia stato disegnato sulla carta nei suoi pi piccoli particolari - Vedo che Ella assai minutamente informata. Congratulazioni! L'avr istruita il suo caro amico Croce, che non ho mai capito perch si occupi con tanto zelo di ci che fanno e di ci che non fanno universit, accademie e musei. L'intrigante! Gli manderei un certo augurio di cuore, se non sapessi che egli usa portare alla catenina dell'orologio un piccolo phallos antico di bronzo (che, tra parentesi, ho ragione di credere che sia stato sottratto a questo Museo, al tempo della passata amministrazione) A questo punto dellintervista, Croce mette una nota a propria firma, precisando: Oh, questo poi no! L'oggetto, al quale allude il prof. Pais, un'anticaglia d'imitazione; e mi stato regalato da un amico, perch oggetti simili, per essere efficaci, non debbono aversi per compra, ma per dono. Consultare in proposito la Cicalata sul fascino detto volgarmente iettatura di Nicola Valletta.

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La presunta intervista proseguiva: - Di modo che, professore, Ella crede che il capitale di errori, accumulato dal suo predecessore, sia inesauribile? - Inesauribile ! - E che il male presente venga pienamente scusato dal male passato ? - Pienamente, anzi con sovrabbondanza. - E che perci il Museo di Napoli potr ancora procedere come disgraziatamente ora procede? Il prof. Pais ha allargato le braccia, e con un' espressione che al nostro amico sembrata oltremodo sincera : - Che cosa vuole ? - ha esclamato - Ne dia la colpa alla passata amministrazione! L intervista apparsa il 14 gennaio 1903 era firmata Don Fastidio. Dopo numerose inchieste, fu messa in chiaro la verit di tutte le accuse formulate dal Croce, e il Pais venne rimosso dalla direzione del Museo di Napoli. Croce espresse il suo compiacimento in una lettera a Giornale dItalia, concludendo: Spesse volte, discorrendo di questo o quel particolare di pubblica amministrazione con amici giornalisti, mi stato offerto con prontezza e con larghezza: - Scrivi, mandaci tutto quel che vuoi, e noi pubblicheremo. - Grazie, o amici, ma ci non sufficiente. Ci muta l'adempimento di un dovere e l'esercizio di un diritto in un atto di fiducia e in una cortesia personale; e mette in grande imbarazzo chi deve profittare di siffatta cortesia e recare fastidi in casa altrui. Noi, che non siamo giornalisti, possiamo indicare, suggerire, richiamare l'attenzione

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LA BIBLIOTECA NAZIONALE IN PALAZZO REALE Ero presente nel novembre 1953 alla celebrazione di Benedetto Croce a un anno dalla sua scomparsa, nella Biblioteca Nazionale di Napoli; una manifestazione particolarmente significativa anche perch fu loccasione di far conoscere un volume che recava la prefazione di Croce (era stato lultimo suo scritto). Francesco Flora, cos legato al maestro, pronunci un commosso discorso prendendo lo spunto proprio da quel libro: si trattava delledizione della commedia cinquecentesca La Vedova di G.B. Cini, ideata e patrocinata dal Croce, attuata dalla direttrice della Nazionale, Guerriera Guerrieri, e curata da Costantino del Franco, in una superba veste tipografica dovuta ad Angelo Rossi, costituendo una nuova gemma dello scrigno dei volumi dellArte Tipografica. La prima copia era stata offerta al presidente Luigi Einaudi, impossibilitato ad intervenire. Il pensiero di tutti andava alla tenacia con cui Benedetto Croce si era battuto per far s che Napoli avesse la pi prestigiosa sede di una biblioteca nazionale italiana, il Palazzo reale (e c ora chi coltiva il progetto di spostarla in un qualche colossale edificio, magari tecnicamente perfetto ed idoneo ma anonimo, senza storia, senzanima. Ma a Palazzo reale lanima c, quella di Benedetto Croce). In quelloccasione ci fu anche e se ne fece portavoce il periodico La Riviera - chi propose di intitolare al Croce la Biblioteca, eliminando la denominazione di Vittorio Emanuele III. Non se ne fece niente, anche perch qualcuno obiett che in fondo i locali prestigiosi erano stati assegnati col consenso dellallora sovrano. Al centro dellattenzione di Croce fu per vari anni la sistemazione della Biblioteca Nazionale di Napoli: ne parl in vari articoli su giornali e riviste, e present nel gennaio del 1922 uninterrogazione in Senato. Quando nel 1919 il Palazzo reale di Napoli con gli altri beni della Corona fu retrocesso al Demanio, da ogni parte sorsero richieste di associazioni, di enti e di privati per occupare i locali disponibili; senza pensare che il Ministero della Pubblica Istruzione, al quale quel Palazzo era assegnato, aveva a Napoli sottolineava Croce - suoi propri Istituti, bisognosi di migliore assetto, e, in prima linea, il Museo Nazionale e la Biblioteca Nazionale, che, entrambi collocati nell' edifizio degli Studi, si ostacolano a vicenda; e gravissime sono sopratutto le condizioni della Biblioteca Nazionale, la quale form oggetto, dal 1901, di ben quattro successivi e diversi disegni di

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ampliamento o trasferimento, tutti approvati e nessuno eseguito. Nel bilancio della Pubblica Istruzione rimase anche stanziata, dal 1908, una somma per una nuova sistemazione. Ma le cose andavano per le lunghe, e Croce sottoline ripetutamente le varie fasi della complicata vicenda. Notava tra laltro: L' on. Nitti, presidente del Consiglio, nella parte del decreto di assegnazione del 1919 che si riferiva alla Reggia di Napoli, fece due ottime cose: l) mise un veto all' occupazione di essa per ogni altro uso che non fosse d'istituti dello Stato, dipendenti dal ministero dell' Istruzione; 2) procur di risolvere il problema annoso della Biblioteca e del Museo di Napoli, disponendo il trasferimento nella Reggia del Museo e lasciando cos alla Biblioteca l'intero edifizio degli Studi, nel quale, certo, si sarebbe potuta distendere per secoli. Senonch, dovendo io, come ministro dell' Istruzione, provvedere l'anno dopo a tradurre in atto questo disegno, e studiandolo nei particolari, come l' on. Nitti non aveva potuto fare, mi persuasi che il trasferimento del Museo nel Palazzo Reale sarebbe urtato in difficolt quasi insormontabili. Lasciando stare che questo trasferimento non incontrava favore nella pubblica opinione, e non era accettato con entusiasmo neppure dal direttore del Museo, sarebbe stata necessaria per esso una profonda trasformazione delle sale e dei cortili della Reggia, e una spesa ingentissima, e molti anni di attesa Perci, raccolti gli avvisi dei competenti e anzitutto dei direttori del Museo e della Biblioteca, io proposi all'on. Giolitti d'introdurre un ritocco nel decreto Nitti, consistente in ci: al Museo si lasciava intero l'edifizio degli Studi, rimovendone la Biblioteca, e questa veniva collocata in una parte della Reggia, con entrata separata; mentre l'appartamento reale rimaneva sotto il nome di Museo storico della monarchia napoletana, per poterlo offrire a S. M. il Re nell' occasione di sue dimore nella nostra citt, e accanto a esso si apriva un Museo di arti minori. In una suggestiva pubblicazione fatta dalla Biblioteca in occasione di una mostra collegata alla celebrazione dei cinquantanni dalla morte di Croce, il direttore dott. Mauro Giancaspro sottolineava con grande efficacia il profondo rapporto tra chi lavora alla Biblioteca Nazionale di Napoli e la figura di Benedetto Croce, al quale era stata gi dedicata una sala: C' un legame solidissimo di riconoscenza. Non certo la sola intitolazione di una grande sala a dare la testimonianza e la misura di una gratitudine che, piuttosto, si manifesta, quasi quotidianamente, nel costante impegno a gestire un organismo cosi

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prestigioso e complesso e ad allargarne gli spazi per consentire la sua naturale e inarrestabile crescita lungo un indirizzo che proprio il filosofo di fatto indic, sia con gli interventi ufficiali, che con la sua appassionata attivit a favore della nostra biblioteca. Eppure l'operazione semplice e naturale dell'intitolazione d'una stanza, destinata a custodire i libri da lui donati e, pi tardi, quelli a lui dedicati, era un atto, in fondo, di amore, tanto di chi lo aveva seguito e gli era riconoscente quanto dello stesso Croce, che pur notoriamente restio ad accettare riconoscimenti ed encomi, desiderava che fosse ricordato, piuttosto che il suo nome, questo suo grande amore. Giancaspro sottolineava liniziativa di una precedente direttrice, la dott. Guerrieri, che cos ricordava un incontro con Croce avvenuto nel 1950. Alla proposta fattagli di costituire alla Biblioteca Nazionale di Napoli una Sala Croce, il filosofo - scriveva nel 1952 Guerriera Guerrieri poco dopo la sua scomparsa - ader, e, nella sua penultima visita, si ferm nella sala che gli sarebbe stato gradito conservasse il suo nome. Fu una proposta di omaggio - continuava la Guerrieri dettata da viva riconoscenza. Egli, pur schivo da ogni manifestazione che potesse apparire laudativa, accett, certo perch sentiva la necessit del suo sopravvivere in questa Biblioteca, del rimanere per sempre in essa, costituendo con la sua incomparabile produzione una parte che avesse il suo nome, a gloria dell'Istituto, a monito di coloro che dovranno anche nel futuro valorizzarla e, ove necessario, difenderla. Guerriera Guerrieri - notava Giancaspro - coglieva in pieno il significato e il valore di quella intitolazione, che era gradita al filosofo perch aveva ritenuto sempre la Nazionale un vero e proprio 'rifugio', avvertendo anche per i suoi spazi fisici quell'attaccamento istintivo che si conserva per i luoghi ai quali si legano i ricordi pi belli della giovinezza. Nella Biblioteca Nazionale - confess Croce nel 1918 - ho passato molta parte dei miei migliori anni giovanili; e il luogo perci mi familiare e caro... In questi tempi nei quali tanti legami con persone e con cose si scindono o sono destinati a scindersi, bramosamente si cercano, per alcune parti almeno di noi, per le migliori, luoghi di rifugio. Il trasferimento fu deciso con il decreto del 1922 del ministro Antonino Anile, e realizzato nel 1927, anche con l'accorpamento delle biblioteche napoletane negli spazi di Palazzo Reale. Ma linteressamento di Croce si evidenzi anche dopo il secondo conflitto mondiale con il sostegno insostituibile per il ripristino delle parti

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danneggiate gravemente dai bombardamenti, la trepidazione per il salvataggio delle collezioni librarie, la partecipazione attiva agli eventi culturali pi significativi della biblioteca nella faticosa ma inarrestabile ripresa della vita delle sue strutture e del suo lavoro dopo la guerra. I pi gravi danni alla Biblioteca furono causati nel marzo del 1943 dall'esplosione di un piroscafo carico di munizioni, il 10 aprile e il 4 agosto dello stesso anno, dai bombardamenti aerei che ebbero fatali conseguenze per i locali e la suppellettile. Ma gi nel 1948, grazie proprio allabnegazione e alla tenacia di Benedetto Croce, la Nazionale riusciva, anche se parzialmente e faticosamente, a riprendere la sua attivit.

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PER LACQUARIO DOHRN Un notevole impegno di Croce fu dedicato a una complessa vicenda sulla condizione giuridica della Stazione zooologica di Napoli fondata dal tedesco Antonio Dohrn e che nel 1920, dopo la prima guerra mondiale, era oggetto di proposte contrastanti sulla propriet e sulla sopravvivenza dellistituzione. Parlando come ministro in Senato, Croce tagli corto alle polemiche affermando tra laltro: Qui n litalianit n il decoro della scienza italiana hanno nulla da vedere. La questione tuttaltra: giuridico-amministrativa, tecnica, ed io lho studiata per debito dufficio, sono in essa pi competente di tutte le accademie e i sodalizi che non lhanno studiata. Fino alla prima guerra mondiale l'istituto, fondato dal naturalista Dohrn, fu propriet privata, ma fu demanializzata durante la guerra del '15-18 proprio perch appartenente a un cittadino della Germania; successivamente fu eliminato questo carattere pubblico e l'istituto torn privato, divenendo infine un ente morale nel 1923. Alla fine del 1920 bisognava decidere sulla qualificazione giuridica della Stazione zoologica, dopo la guerra, e Croce, ministro dellIstruzione, dovette appunto affrontare il problema. Parlando in Senato ricord con tono pungente le difficolt che il Dohrn super per realizzare la sua iniziativa: Come tutti coloro che hanno una idea utile e nuova - disse il filosofo-ministro - Antonio Dohrn dovette durare molte lotte e vincere moltissimi ostacoli per attuarla, a Berlino non meno che a Napoli; a Berlino, dove dapprima il governo prussiano gli rifiut il modesto sussidio richiesto e l'Accademia prussiana rifer in modo sfavorevole sul suo disegno; a Napoli, dove suscit diffidenza e gelosia. Solo quando il capo della maggioranza del consiglio comunale di allora, il barone Savarese, dopo aver letto uno scritto del Dohrn, intu l'importanza del suo disegno e volle conoscere lo scienziato, la concessione chiesta fu concessa. Benedetto Croce ricord che il Dohrn fu circondato a Napoli da stima ed affetto e fu nominato persino cittadino onorario nel venticinquesimo anniversario della fondazione della Stazione zoologica; dopo la sua morte fu collocato nella Villa Comunale un suo busto marmoreo. Il contratto stipulato tra il Dohrm e il Comune di Napoli stabiliva che questo concedeva il suolo per la costruzione e l'esercizio dell'istituto, e dopo un trentennio (poi, ampliato l'edificio, si decise per un novantennio) il Comune sarebbe diventato pieno ed assoluto proprietario della

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Stazione e di tutti i suoi annessi e connessi. Morto Antonio Dohrn nel 1909 gli successe nella concessione il figlio Rinaldo, il quale, quando l'Italia entr in guerra contro la Germania nel maggio del 1915, part da Napoli per consiglio del console tedesco e lasci la procura per la gestione della Stazione zoologica a un italiano, il prof. Federico Raffaele, dell'universit di Roma. Di ci fu subito informato il governo italiano, che ritenne opportuno insediare nell'istituto una commissione per la gestione temporanea e straordinaria. Ma nel maggio del 1918 ci fu una decisione del governo, definita mostruosa da alcuni giuristi: con un decreto legge il dottor Rinaldo Dohrn era spogliato dei diritti che gli venivano dal contratto stipulato con il Comune di Napoli e la Stazione zoologica assumeva la natura di un ente autonomo. Veniva di fatto estromesso anche il Comune che conservava la propriet dell'istituto solo a parole, perch il nuovo ente aveva una durata illimitata e quindi non si parlava pi di un novantennio. Fin la guerra e il decreto non era stato ancora convertito in legge. Il nodo venne al pettine quando Benedetto Croce divenne ministro. Il filosofo non volle presentare il decreto per la conversione, ed facile immaginare le polemiche che furono sollevate dalla sua decisione. Gi era qualificato come germanofilo per la sua stima mai taciuta per la cultura tedesca; ora che si levava come paladino di un istituto tedesco piovvero critiche da ogni parte, dall'Italia e dall'estero, perch anche dagli alleati dell'Intesa (francesi ed inglesi) giunsero proteste. Ma Croce affront il dibattito alla Camera e al Senato non tanto con argomenti culturali quanto con pi semplici ragionamenti di natura economica ispirati naturalmente alle sue idee politiche: E' noto che sempre assai pericoloso - disse polemicamente - sostituire l'organizzazione statale a ci che stato creato ed amministrato dai privati, che vi portano il loro entusiasmo e il loro interesse. A me tre direttori, nominati per concorso, con tre relativi gabinetti e istituti, che la commissione per l'assetto proponeva, facevano paura. La sola salvazione mi appariva la ricerca di un nuovo concessionario. E, se bisognava ricorrere a un intraprenditore e concessionario, perch mai rifiutare l'antico? Perch mai non cogliere l'occasione, da una parte di chiudere la lite col Dohrm (che gi si annunciava con un ricorso al Consiglio di Stato e con una protesta inviata al ministro degli Esteri) e, dall'altra, di compiere opera di pacificazione internazionale abolendo un provvedimento preso con la psicologia, anzi con la

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psicosi, della guerra. Il Croce prese contatti con Rinaldo Dohrn, ottenne una sua dichiarazione di ampia e piena rinuncia a tutti i suoi diritti e ragioni verso lo Stato italiano per quello che era accaduto dal 1915 in poi, prepar un decreto con il quale abolire il decreto legge del maggio 1918 e lo port in consiglio dei ministri, che l'approv.

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LA CRITICA Come stato rilevato da vari studiosi, il primo decennio del secolo XX contraddistinto dall'affermazione di riviste culturali completamente diverse dalle tradizionali riviste accademiche in voga nel secolo precedente. La loro presenza contribuir a creare, in particolare durante l'et giolittiana, un clima culturale nuovo, incentrato sulla trasformazione del ceto colto e contraddistinto dalla nascita dell'intellettuale militante. In questo contesto si inserisce l'esperienza della Critica, rivista anch' essa militante ma soprattutto espressione della variet e della complessit dei contenuti dell'itinerario culturale crociano. La Critica di Croce, fondata il 20 gennaio 1903, probabilmente il pi rappresentativo di questi veicoli di comunicazione e di dibattito e lascer un segno tangibile nel rinnovamento della cultura italiana attraverso quarant'anni di vita nazionale. Il ruolo che il filosofo assegna alla rivista chiaramente espresso in un'intervista rilasciata a Luigi Ambrosini del Marzocco l11 ottobre 1908: Sapete perch l'ho fondata? L'ufficio al quale io la destinava era quello di promuovere un' attivit degli spiriti del mio paese pi larga e pi viva che non potessi far nascere coi soli miei volumi di speculazione astratta e solitaria Ora, perch una teoria filosofica abbia presa specialmente in un paese antifilosofico come il nostro, necessario che il pensiero scenda dalla larga astrazione e si fissi in determinati punti... La mia Critica la mia filosofia in azione; e i singoli scrittori, di cui io parlo, sono per me tante singole esperienze teoretiche e pratiche. Queste, ed altre analoghe considerazioni, saranno ribadite in altre occasioni: La fondazione della Critica segna il cominciamento di un'epoca della mia vita, quella della maturit, ossia dell' accordo con me medesimo e con la realt. Nel lavorare alla Critica mi si form la tranquilla coscienza di ritrovarmi al mio posto, di dare il meglio di me e di compiere opera politica, di politica in senso lato: opera di studioso e di cittadino insieme, cos da non arrossire del tutto, come pi volte m'era accaduto in passato, innanzi a uomini politici e cittadini socialmente operosi. Negli anni dell' et giolittiana, La Critica un terreno di confronto, a volte di scontro, tra il filosofo e le diverse espressioni dell'idealismo italiano come quelle rappresentate dagli scrittori fiorentini. Interessante per la comprensione dei termini di

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questo confronto un passo di Giovanni Papini inserito in un articolo del 1905 sulla logica di Croce pubblicato da Leonardo, rivista fiorentina di grande prestigio. Si vanno formando due gruppi filosofici che hanno dei punti di contatto e delle zone di coincidenza, ma che sono, malgrado le amicizie personali, in aperta opposizione per le origini, le tendenze e le teorie. I due gruppi si son polarizzati uno a Napoli e l'altro a Firenze, e perci corriamo il pericolo di avere una scuola napoletana e una scuola fiorentina, o, meglio ancora, una scuola tedesco-napoletana e una scuola anglo-fiorentina. Dopo aver evidenziato come le due scuole siano formate l'una da La Critica, l'altra dal Leonardo, Papini individua le rispettive ascendenze - per l'una la filosofia classica tedesca, per l'altra l'empirismo anglosassone - e le caratteristiche filosofiche di ciascuna: La prima francamente idealista e razionalista, ama le grandi sintesi a priori... L'altra invece prevalentemente empirista e pragmatista... e ricerca a preferenza il particolare e le questioni particolari. Unico motivo di alleanza la battaglia contro i comuni nemici: In due cose, e non delle meno importanti, i due gruppi si trovano a fianco: nell' ostilit contro quell'ignobile contaminatio di cattivo spinozismo e di puerile naturalismo che fra noi ha preso il nome di scuola positivista, e nella vivacit della critica contro i capoccia dei nostri circoli accademici e universitari. Ma nel resto mi pare che il contrasto sia quasi completo, e i due gruppi, pur restando buoni amici, e in certe occasioni buoni alleati, possano cominciare allegramente a guerreggiarsi. Ma il fascismo non gradiva la presenza di una rivista di ispirazione liberale anche se non strettamente di impegno politico, ed arriv perfino al tentativo di sopprimerla con unesplicita intimazione alleditore barese Laterza. In un articolo sul Messaggero di Roma veniva raccontato nel 1966 lepisodio dellincontro tra Croce e Giovanni Laterza nel quale il filosofo apprese la notizia della decisione del ministero della Cultura Popolare e si concord la reazione per evitare la soppressione. Il diciannove giugno del 1940 scriveva Matteo De Monte alle diciotto Benedetto Croce era a Foggia, seduto in un bar del viale della stazione, in compagnia dell'ing. Raffaele Tramonte. La giornata era stata eccezionalmente calda. Il filosofo aveva voluto scendere in strada, per rinfrancarsi con una spremuta allarancia. Croce era calato in Puglia da Sorrento, due o tre giorni prima, per sistemare di persona l'intricata questione dell'appoderamento della sua propriet terriera

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che, per gran parte, raggruppata nella Daunia. Anche quel giorno Croce aveva avuto il suo da fare, tra progetti, piante, sopralluoghi in campagna e formalit burocratiche, accompagnato dall'ing. Tramonte. Al calar del sole una carrozzella da nolo si arrest in Viale XXIV Maggio e ne scese in fretta un signore trafelato con una grossa borsa di cuoio in mano e la paglietta sottobraccio. Era l'editore Giovanni Laterza giunto da Bari col diretto della sera, latore di una notizia poco confortante. Accasciatosi su una sedia Laterza tir fuori dalla borsa un telegramma e in silenzio lo spieg sotto gli occhi del filosofo. Il messaggio, firmato da Bottai, annunciava la soppressione de La Critica, giustificando il provvedimento con la necessit di limitare nelle attuali circostanze il numero delle riviste. Croce accus il colpo senza perdere la calma. Prima o poi disse cera da aspettarselo. Si pens subito ad una protesta. Laterza voleva che Croce si recasse di persona da Bottai, ma il filosofo fu irremovibile: Ma quando mai! Io da Bottai e perch non da Mussolini? Mai visti da ventanni questi signori, ed ora, sia pure per salvare La Critica No, amico mio, questo affar tuo. Io non mi impiccio. Mi spiace per La Critica, ma da Bottai non ci vado. Pi tardi nel salotto delling. Tramonte il senatore si lasci convincere a scrivere di persona una lettera indirizzata allamico Laterza che poi leditore avrebbe trasmessa a Bottai. Croce in meno di venti minuti stese la lettera che per anni fu conosciuta soltanto da pochi intimi del filosofo. Ling. Tramonte trascrisse a macchina la missiva, che consegn a Laterza. Loriginale rimase tra i cimeli di famiglia del professionista foggiano. Nella lettera (pubblicata nel 1945 nel volume Pagine politiche, lugliodicembre 1944 da Laterza) Croce scriveva tra laltro: Caro Amico, ricevo la Vostra comunicazione che La Critica soppressa per limitare nelle attuali contingenze il numero delle riviste, e poich la comunicazione fatta a voi, a voi invio, perch la comunichiate a vostra volta, la mia risposta, che una doverosa protesta. Per trentasette anni e mezzo La Critica ha esercitato unassidua opera per la formazione e lapplicazione di un metodo moderno e scientifico negli studi di filosofia, storia e letteratura, e per contribuire a togliere alla cultura italiana quel che di chiuso e di provinciale ancora le rimaneva Certo non mi nascondo che la mia rivista era di un uomo rimasto fedele (n poteva altrimenti per ragioni di coscienza, con la quale non si transige) agli ideali che aveva preso ad amare nella sua giovinezza, e che non sono quelli che dominano nel nuovo tempo

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della storia italiana ed europea. Ma La Critica non era una rivista politica e perci non intervenuta nelle cose politiche propriamente dette, come tali che uscivano dai confini del suo programma Se qualcosa io ho dovuto dire o fare come cittadino nella politica attiva, lho detto e fatto in altra sede, nei giornali politici quando ci era possibile, o nel Senato del regno Per il danno che da essa viene agli studi italiani e per la mancanza che proveranno i molti studiosi che, anche quando dissentivano, traevano indirizzo, aiuto, e informazioni dalla lettura della Critica, ho dunque il dovere di fare questa protesta, quale che possa essere la sua sorte. Abbiatemi con affetto, Vostro aff.mo B. Croce. (Tuttavia, nel 1925, sulla rivista fu pubblicata la Protesta contro il Manifesto degli intellettuali fascisti e nello stesso anno il testo del discorso tenuto da Croce come presidente del Partito liberale). Si seppe poi che Bottai, appena venne in possesso della protesta, si rec a Torino dove in quei giorni si trovava Mussolini e sollecit la revoca della sospensione della rivista, facendo notare al duce le ripercussioni negative che un gesto di intransigenza avrebbe determinato nel mondo culturale italiano e internazionale, in un momento politicamente difficile come quello che si attraversava. In una conferenza che Alfredo Parente aveva stesa per la Radio italiana prima della scomparsa di Croce, e letta per il terzo programma il 7 dicembre del 1952 (Croce era morto in novembre) si ricordavano i collaboratori della rivista, principalmente Adolfo Omodeo, Guido De Ruggiero, Francesco Flora e Giovanni Gentile, la collaborazione del quale fin con lannata del 1923. Inoltre Parente ricordava Papini e Borgese, Cecchi e Gargiulo, Volpe e Schipa, Nicolini e Brognoligo, Vossler e G. Lombardo Radice, Citanna e Ragghianti e Ciardo, e negli ultimi anni le figliuole del Croce, Elena ed Alda, la prima con articoli di letteratura tedesca, la seconda di letteratura spagnola. Egli volle associarle entrambe, come un patetico suggello nellultimo quaderno de La Critica. Lo stesso Parente collabor solo in due occasioni. La pubblicazione della rivista, bimestrale, cess nel 1944, proseguendo poi, dal marzo del 1945, appunto con i Quaderni.

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UNA LAPIDE PER GIAMBATTISTA VICO Nel cuore della vecchia Napoli era nato, nel 1668, colui che sar per Benedetto Croce lantenato spirituale e ispiratore, Giambattista Vico. A breve distanza dal locale dove Vico vide la luce (e dove fu posta anni fa una targa commemorativa oggi pressoch celata), Croce, nella casa di via Atri, iniziava a comporre una monografia sul filosofo napoletano pubblicandola nel 1911. Nel terzo centenario della nascita di Vico la Rivista di Studi Crociani, di Alfredo Parente, pubblicava una ricchissima documentazione sullattuale, diffusa conoscenza dellautore della Scienza nuova. Risultava soprattutto che da qualche tempo Giambattista Vico era divenuto oggetto di sollecitudini che soltanto alcuni decenni prima sarebbero apparse inverosimili. Significativo soprattutto linteresse di studiosi degli Stati Uniti d'America. Oltre a Croce il furore vichiano era dovuto anche agli studi del suo amico e collaboratore di mezzo secolo, Fausto Nicolini. Stupende edizioni critiche, vastissime e minuziose ricerche e preziosi apparati esegetici risvegliarono un moto di studi quando, in alcune regioni della cultura, di Vico s'ignorava perfino il nome, se uno storico della filosofia della grandezza di Guglielmo Windelband - al quale Croce dedic, assai significativamente, la sua grande monografia del 1911 su La filosofia di Giambattista Vico - ne aveva fatto un appena fuggevole cenno nella Storia della filosofia moderna, e confessava di non averne letto le opere. Ma torniamo alla singolare vicenda della lapide apposta nella casa dove era nato Vico. Il racconto di Fausto Nicolini vivacissimo e sottilmente polemico verso il regime imperante: Molti anni fa afferma Nicolini - attraverso una ricerca archivistica alquanto lunga e complessa, riuscii ad assodare che Giambattista Vico - nato il 23 giugno 1668 - vide la luce non gi, come si credeva, nel vico dei Miliorani, bens nella via San Biagio dei Librai. Con ci non da credere che il futuro autore della Scienza nuova venisse al mondo in una vera e propria casa. Non per nulla suo padre - il semi analfabeta Antonio de Vico, come allora si chiamava la famiglia, - era il pi povero fra quanti librai e libraiucci avessero bottega in quella strada. L'abitazione, dunque, in cui, dal 4 maggio 1658 al 4 maggio 1685, dimorarono lui, la moglie e i non pochi figliuoli venuti via via al mondo, si riduceva a un bugigattolo lungo sei metri, largo tre e alto non pi di altrettanti: quello che sovrasta alla bottega era tappezzata

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dai libri che Antonio de Vico esponeva in vendita, e dalla quale s'accedeva all'anzidetto bugigattolo o mezzanino per una scala interna, ora murata. Quante volte, la notte, il piccolo Giambattista, levatosi silenzioso, scendeva in questa botteguccia per darsi a studiare. Nicolini spiega poi come si giunse alla decisione di porre una lapide: Sin dal principio del 1941, il Croce prese a manifestarmi il suo vivo desiderio che, accanto alla finestretta aprentesi in quella topaia, il Municipio di Napoli facesse apporre una lapide commemorativa. E, rapidissimo, qual era, nel tradurre in atto qualunque suo proposito, al tempo stesso che mi offici a condurre col Municipio le pratiche del caso, mi fece tenere questa sua iscrizione, bellissima: IN QUESTA CAMERETTA / NACQUE / IL XXIII GIUGNO MDLXVIII GIAMBATTISTA VICO / QUI DIMOR / SINO AI DICIASSETTE ANNI / E NELLA SOTTOPOSTA / PICCOLA BOTTEGA / DEL PADRE LIBRAIO / US PASSARE LE NOTTI / NELLO STUDIO / VIGILIA GIOVANILE / DeLLA SUA OPERA SUBLIME / LA CITT DI NAPOLI / P. / IL XXIII GIUGNO MCMXLI Condurre le pratiche del caso col Municipio! In pieno regime fascistico, quando qualunque parola uscisse dal labbro o dalla penna di Benedetto Croce doveva essere o ignorata o ricordata al solo scopo di divenir segno a ogni sorta di contumelie, Nicolini riusc nell'intento grazie anche al suo amico Mario Forges-Davanzati, che occupava un posto di prestigio ma gli chiese esplicitamente di presentare la proposta come propria. Nicolini si confid con Croce che si spass un mondo a quella piccola gherminella. Avendo avuto carta bianca anche per la spesa, ci si avvalse dell' opera del miglior marmoraio napoletano, il quale, guidato da Roberto Pane, consegn una lapide, che, anche sotto l'aspetto artistico, riusc un vero gioiello. Ma cera il problema del rito dello scoprimento della lapide. Croce, testardissimo sempre che avesse deliberato qualcosa, manifest l'intenzione di assistere in incognito alla cerimonia. In incognito lui, le cui fattezze erano note a tutta Napoli! E se da qualche nerocamiciato indisciplinato e impulsivo gli si fosse fatto un affronto? Per fortuna, sua accompagnatrice abituale era la figliuola Alda, adusata, sin da quando era in fasce, a considerarmi un vecchio e affettuoso zio. E Alda e io gli propinammo una piccola spiritosa invenzione, consistente nell'annunziargli fissato per le ore tredici l'inizio della celebrazione, stabilito, invece, alle undici. vero che, more neapolitano, essa invece che alle undici, ebbe principio quasi

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alle dodici e mezza. Tuttavia, quando il nostro Benedetto, lento pede, giunse sul posto con la figliuola, non vi trov se non me, circondato da uno stuolo di popolani e femminelle, curiosi di conoscere chi fosse quel tal Vico. E il Croce, a cui non riusc difficile farsi, come sempre, umilissimo fra gli umili, sottentr a me nell'ufficio di cicerone, riuscendo a giungere al cuore e alla mente di quella povera gente, con lo spiegar che il Vico era quasi un popolano come loro; che, come loro, aveva sofferto la fame; e che, ci nonostante, a furia di duro lavoro, era divenuto, pur restando sempre povero, un grand'uomo.

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LA RELIGIOSITA POPOLARE E ALFONSO DE LIGUORI Sulle manifestazioni della religiosit popolare di Napoli si scritto moltissimo, soprattutto con aspre critiche, anche da visitatori stranieri. Ma anche su questo tema Croce intende mettere le cose in chiaro, dedicando largo spazio alla Vita religiosa di Napoli nel Settecento (inserita nel volume Uomini e cose della vecchia Italia. Serie seconda). Croce d una interpretazione respingendo le frequenti polemiche da parte di osservatori che vedevano solo manifestazioni superstiziose senza cercare di intenderne il significato e le radici profonde. Accenna tra laltro a un argomento scottante ma usa un tono sereno: Il famoso miracolo del sangue di san Gennaro, che dava materia, da parte dei miscredenti, alle pi strane dicerie e congetture, e ai tentativi di riprodurlo artifizialmente e chimicamente. Croce sottolineava che si trattava spesso di giudizi partigiani e superficiali nel quale lintera nazione veniva coinvolta con la plebe e si commetteva anche ingiustizia sia col non tener conto dei sentimenti morali e religiosi che spiravano in quelle pratiche, sia col porre in falsa relazione i tipi della credenze con virt e vizi, che possono stare con essi e senza essi. Croce afferma che per intendere la religiosit popolare conviene guardarla con benevolenza e simpatia; benevolenza e simpatia che egli trova per due personaggi tipici a Napoli in quel tempo, il famoso cappuccino padre Rocco, che tramezzava, nel suo atteggiamento, il guappo e il Pulcinella. Corpulento comera, lo si vedeva per le vie di Napoli armato di una corona di quindici poste, un crocifisso di quasi due palmi e un saldo bastone col quale minacciava i peccatori. Tuttavia, osserva Croce, a lui, tra le molte opere di devozione e di beneficenza, si dovette lilluminazione notturna della citt, che fu opera di polizia, compiuta merc il pio espediente di moltiplicare nelle strade le immagini sacre con le lampade accese; a lui lidea del regio reclusorio, o Albergo dei poveri; a lui quella di un camposanto; a lui molteplici provvidenze nella carestia del 1764. Diverso il discorso per laltro religioso di fama, il principe Alfonso Maria de Liguori, Gentiluomo di nascita, avvocato nei suoi primi anni finch Dio non lo volle tutto per s - come dice con una bella espressione un laico quale Benedetto Croce Alfonso diventer il grande asceta e il grande teologo. E riferendosi al molto simpatico santo napoletano, sempre Croce, su un fascicolo della Critica,

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sottolineava nel 1949 che il teologo moralista di lultima e ancora vivente forma alla casistica per confessori che, togliendo da mani i peggiori, si adoper, da napoletano di buon senso e non da fanatico spagnolo (i moralisti gesuiti di quei tempi) a moderare quanto pi potr, non certo a servigio nostro o dellalta morale, ma a servigio delle occorrenze pratiche della sua Chiesa. Croce tratta anche delle poesie religiose del de Liguori, ma le giudica negativamente sul piano estetico anche se ne riconosce lefficacia edificante. La religiosit, popolare e non, si alimentata e si alimenta pure del canto, della musica di ogni livello. Alfonso de Liguori volle sfruttare per il suo apostolato anche questa via. Benedetto Croce lo ricorda come autore di un gran numero di opere ascetiche, apologetiche, teologiche e morali, ancora oggi assai studiate tra i cattolici di tutti i Paesi e aggiunge che ritm canzonette spirituali, anch'esse cantate dappertutto, tra le quali notissima quella del Natale: Tu scendi dalle stelle. Ma a questo tema il de Liguori aveva dedicato anche una lunga pastorale in napoletano; una composizione che non una versione in dialetto di quella scritta in italiano ma una creazione del tutto nuova, anche se si snoda, in parte, sullo stesso motivo musicale. Direi di pi: alla concettuosit teologica che ispira la canzoncina in italiano il testo dialettale contrappone una liricit pi immediata, immagini pi efficaci; ed anche se la composizione appare disuguale e non sempre raggiunge lo stesso livello, risulta artisticamente pi valida. C comunque chi, come il musicologo Roberto De Simone, contesta lassegnazione al de Liguori e parla mi sembra paradossalmente di origine popolare. Forse oggi non siamo pi in grado di intendere perfettamente il significato dei versi: questo parlare settecentesco che nemmeno il popolo pi modesto usa pi, ci appare lontanissimo, e anche molti napoletani che pur conoscono il dialetto stentano ad interpretarlo o non riescono a cogliere con immediatezza la freschezza di certe immagini. Il Croce, che pure aveva dedicato pi volte la sua attenzione alla questione del dialetto, non sembra conoscesse questa composizione in napoletano del de Liguori. Approfondisce invece la canzoncina natalizia in italiano e, a proposito della traduzione in spagnolo delle poesie del Liguori apparse a Citt del Messico nel 1949 scrive che, anche a mettervi tutta la buona volont, nei versi di Alfonso non si rinviene altro che una sequela di frasi devote, non splendenti di coerenza n di concisione n di propriet, ritmate in

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metri e in rime perch pi facilmente venissero ricordate e scorressero dalle ugole dei fanciulli, delle donne e dei popolani che il Liguori raccoglieva nelle sue "cappelle serotine"; canzoni che furono poi adattate ad altre adunate simili. Un giudizio sostanzialmente negativo, sul piano artistico, viene espresso dal Croce anche per la pi popolare di queste canzonette, che ci commosse e ci commuove, accompagnata dal suono delle cornamuse a Natale e che talvolta anche oggi, se si riode in lontano per qualche istante, ci riporta alle sensazioni della nostra infanzia. Pur ammettendo che ci sia - ne tratta in particolare nelle sue Conversazioni critiche - una poesia popolare da qualificare poesia minore, ossia di minore complessit, con minori sottintesi e riferimenti spirituali, il Croce non trovava nulla di ci nelle rime del Liguori, gentiluomo e coltissimo. A questo punto il discorso ci porta alla questione del dialetto, sul quale si scritto tutto e il contrario di tutto. Da una parte i dialettofili che considerano l'uso della parlata locale come segno di vitalit culturale, dall'altra parte c' chi si rinchiude in una dialettofobia che identifica arbitrariamente dialetto e povert culturale. Il dialetto fa storcere la bocca a molti che si piccano di essere avanzati politicamente, mentre il borghese Benedetto Croce nel 1932, in pieno fascismo, respinse il concetto che allora si andava diffondendo sul dialetto come di cosa triviale e vieta e contrastante al culto della nazionalit italiana, e critic le guerre contro il dialetto che oltre il resto sono prova di ignoranza circa lo storico e vero rapporto che corre tra letteratura dialettale e letteratura nazionale. Molti anni prima, nel 1906, lo stesso Croce aveva affermato che la geniale produzione artistica di Salvatore di Giacomo, pur essendo scritta in dialetto, era una delle pochissime vere poesie dellItalia contemporanea. Su questo tema Croce scriver numerosissime pagine e simpegner nella pubblicazione di unopera seicentesca di Giambattista Basile, il Cunto de li cunti, che poi, come vedremo, tradurr anche in italiano.

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LA VALIDITA DEL DIALETTO Benedetto Croce difensore del dialetto. Ma parlava egli in napoletano? E interessante sapere che nella Discoteca di Stato che si trova a Roma nel Palazzo Antici-Mattei, migliaia di dischi racchiudono le voci degli italiani pi illustri e celebri, da quelli dei generali della prima grande guerra (Cadorna, Diaz, Thaon di Revel) a quelle di Pirandello, di Marconi, di Grazia Deledda, di Adelina Patti ed anche di Benedetto Croce. Nel 1981 sul giornale Provincia di Como, un certo Corrado Benevenuti, che si dichiarava grande amico del letterato sannita Francesco Flora che frequentava a Milano, affermava che Croce parlava spaccatamente un napoletano imbastardito con il basilicatese; Alfredo Parente, che aveva ricevuto un ritaglio di stampa, nella sua Rivista replicava duramente a queste assurde affermazioni e scriveva: La verit che Croce, della cui voce, nella mia ricca e per certi aspetti rara raccolta di cose che lo riguardano, serbo anche una riproduzione discografica, conosceva a fondo, gustava ed amava il dialetto napoletano che aveva letto e studiato in mille testi, dai Ricordi del puteolano quattrocentesco Loise de Rosa a il Cunto de li cunti di G.B. Basile, alle poesie e canzoni di Salvatore di Giacomo, ed aveva quotidianamente colto dalla fanciullezza nella lingua viva del popolo della sua citt; ma egli parlava non quel dialetto, bens, quantunque non aulicamente, anzi con spontanea naturalezza, la lingua italiana, non senza un proprio personalissimo accento, in modo piano, disteso e limpido. Il dialetto faceva entrare nei colloqui confidenziali suolo quando avvertisse il bisogno dellefficacia unica di un vocabolo o di una locuzione intraducibili, per dare al discorso un tocco di colore o di arguzia partenopea. In un articolo del giornalista Tommaso Martella, riportato poi nel volume Senatori in graticola, si parla di una visita a Benedetto Croce nel 1949 per un servizio da pubblicare sul Corriere della Sera. Tra gli altri argomenti trattati nellincontro, Martella dice che Croce, che laveva accolto con grande affabilit, cominci a sfogarsi contro i tempi che quasi non gli permettevano pi di starsene tranquillo a leggersi e a meditarsi i suoi libri. Lospite, a questo sfogo, rimase piuttosto interdetto. S, s riprese a dire Croce proprio cos. Devo fare, adesso, o giornalista, a ottantanni suonati. Tutti mi

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chiedono articoli, anche i giornali stranieri, e io come faccio a dire di no? E quello che peggio che spesso mi chiedono articoli su argomenti che non sono di mia competenza. Li vogliono lo stesso. Ma caggia fa? Questo un esempio di parole dialettali. Ma un altro esempio in un aneddoto che Giovanni Artieri riporta nel suo volume Napoli, punto e basta? Croce era una sera a fare la consueta lenta passeggiata, quella volta accompagnato dal comune amico Costantino Del Franco, quando gli si avvicin con piglio deciso un fascista in uniforme. Questi voleva semplicemente accendere la sigaretta a quella del filosofo, il quale con buona grazia gli porse il mozzicone, volgendosi sottovoce al Del Franco per dirgli: Chisto nun sape niente. Ma c una sostanziale differenza tra chi parla in dialetto e chi scrive in dialetto. Significativa la scelta di un uomo di cultura che ha maturato esperienze artistiche di alto livello in vari campi, il romagnolo Tonino Guerra, trapiantato a Roma ma che conserva solidi legami con il suo paese dorigine, sceneggiatore cinematografico (ha collaborato con Fellini, Antonioni, Tarkovskij), romanziere in lingua italiana, che ha scelto di scrivere le proprie poesie in dialetto santarcangiolese. Interessante anche unaffermazione di Federico Fellini: In tutti i miei film il dialetto, sia esso romagnolo o romanesco o quello dellentroterra napoletano, il linguaggio verbale pi diffuso, non soltanto per motivo di credibilit, di coerenza, di folklore o di suggestione, ma perch il dialetto riesce ad esprimere con una forza, una violenza addirittura visive, folgoranti connotazioni di tipo storico, psicologico, sociologico, emotivo. Insomma, dei tanti segni in cui la vita e la storia si coagulano, il dialetto il riverbero pi vivido, una sonora, incessante metafora da proteggere e conservare. Il problema che Croce affrontava tanti anni fa , insomma, di attualit e forse anche pi pressante. In Parlamento sono state presentate in varie legislature (ed anche in quella in corso, con iniziative dei deputati Pecoraro Scanio e Molinari) proposte di legge per la tutela e la valorizzazione dei dialetti. Nelle relazioni che accompagnano i progetti legislativi si , in genere, fatto sfoggio di erudizione citando linguisti e semiologi illustri come De Mauro ed Eco, concordi nel sostenere che al rischio di una eccessiva standardizzazione e massificazione si risponde con la riscoperta e la valorizzazione delle 'lingue altre'. Per l'antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani ritenere in ogni caso positiva la

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perdita del dialetto per l'acquisizione della lingua posizione estremamente generica e acritica. In varie proposte di legge presentate si chiedeva tra l'altro che le Regioni sostengano le attivit per la tutela del patrimonio dialettale, quali la narrativa, il teatro, la poesia e il canto. Le parlate locali che parlate non saranno pi, potranno restare ci si augura - come materie di studio nelle scuole superiori e universitarie, come il latino, il greco e, nelle varie nazioni, altre lingue moribonde. Scompariranno dalla vita di ogni giorno per 'esaurimento' della loro funzione pratica di comunicazione, ed entreranno nei sacrari della cultura, mentre le nuove generazioni, sempre pi immerse nell'ambiente globalizzato della tecnica, del computer, dei mass-media si allontaneranno dalle parole, dalle immagini, dalle tradizioni secolari, e solo l'impegno degli studiosi specifici potr conservare vivo il ricordo dei dialetti attraverso la storia, la linguistica, la semiologia, la glottologia. Benedetto Croce ha dedicato a questo problema varie opere oltre alla fondamentale Estetica come scienza dell' espressione linguistica generale. Nel volume Poesia popolare e poesia d'arte scrive che la poesia popolare , nella sfera estetica, l'analogo di quel che il buon senso nella sfera intellettuale e la candidezza o innocenza nella sfera morale. Essa esprime moti dell' anima che non hanno dietro di s, come precedenti immediati, grandi travagli del pensiero e della passione; ritrae sentimenti semplici in corrispondenti semplici forme. L'alta poesia muove e sommuove in noi grandi masse di ricordi, di esperienze, di pensieri, di molteplici sentimenti e gradazioni e sfumature di sentimenti; la poesia popolare non si allarga per cos ampi giri e volute per giungere al segno, ma vi giunge per via breve e spedita. Le parole e i ritmi in cui essa s'incarna sono affatto adeguati ai suoi motivi, come adeguati ai motivi della poesia d'arte sono le parole e i ritmi a lei propri, di cui ciascuno grave di sottintesi, che mancano nell' altra. E la poesia 'popolareggiante'? Senza impegolarci in polemiche legate a concetti sociologici piuttosto che estetici diremo, col Dizionario della Treccani, che si tratta di componenti letterari o musicali (meno comuni in altre forme d'arte) che si ispirano all'arte popolare e cercano di imitarla. E sempre Croce ribadisce, in Conversazioni critiche, il concetto di fondo: Col negare come ho sempre negato, e ancora nego in pura estetica, la possibilit di una graduatoria delle opere d'arte, non voglio gi negare l'opportunit di

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classificare empiricamente certe poesie in maggiori o minori. E la poesia che si chiama popolare , in genere, poesia minore, ossia di minore complessit, con minori sottintesi e riferenze spirituali, e pu paragonarsi all'idillio rispetto al dramma e alla tragedia della vita. Ed aggiunge: Gli che gli autori di questi canti erano umile e povera gente, che non potevano mettere nelle loro parole e nelle loro melodie cose pi grandi delle loro anime.

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IL CUNTO DE LI CUNTI Croce non si limit alle teorie sui dialetti. Venne al concreto, pubblicando un testo del Seicento di grande rilievo, il Cunto de li cunti di Giambattista Basile. I primi amori di Benedetto Croce con la letteratura dialettale napoletana del Cinque e Seicento risalgono al 1886, quando consacr gli anni della prima giovinezza a studiare storicamente la citt da lui tanto amata, e a studiarla non soltanto nella sua storia politica, civile e culturale, ma altres nella sua topografia, nei suoi monumenti, nel suo dialetto e nella sua letteratura dialettale. In una modesta rivista col titolo Giambattista Basile (che usciva a intervalli quanto mai irregolari sotto la direzione di Luigi Molinaro del Chiaro, curioso tipo di bohmien) Croce si occupava di dialettologia e di folklore con alcuni suoi scritti di cui qualcuno, rifatto, raccolto nelle Storie e leggende napoletane, qualche altro negli Aneddoti di varia letteratura, altri ancora nelle Pagine sparse. Divenuto sempre pi esperto in lavori di questo genere, Croce, intorno al 1890, volle affrontare lo studio della maggiore opera dell'antica letteratura dialettale napoletana: quella raccolta di cinquanta fiabe ripartite in cinque giornate, e che perci l'autore, Giambattista Basile, nato a Napoli intorno al 1575, morto a Giugliano il 23 febbraio 1632, intitol anche Pentamerone e dette a esse il titolo principale di Cunto de li cunti, cio Fiaba delle fiabe. In un documentato scritto pubblicato nel volume Il Croce minore, Fausto Nicolini d molti dettagli su questa pubblicazione, notando tra laltro che di quel libro meraviglioso, il grande valore artistico era stato messo in forte rilievo da Vittorio Imbriani. Croce nell'atto stesso che si risolveva a pubblicare, sotto la sua direzione e a sue spese, una Biblioteca napoletana di storia e letteratura, assegnava a se medesimo il compito di dar fuori un'edizione critica e commentata di quella raccolta di fiabe che, anteriore di oltre mezzo secolo ai Contes del Perrault, viene a essere la prima apparsa nelle moderne letterature europee. Compito, a dir vero, quanto mai difficile. Anzitutto occorreva una perizia consumata in lavori del genere per restituire il testo, del quale, nelle varie ristampe fattesene dal 1674 in poi, compresa quella vulgata inserita alla fine del secolo decimottavo dal libraio Porcelli nella sua collezione degli scrittori del dialetto napoletano, correva una raffazzonatura lavorata da Pompeo Sarnelli (il futuro autore della Posillecheiata, divenuto poi vescovo di Bisceglie).

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Raffazzonatura ben diversa, dalla stesura originaria, pubblicata postuma negli anni 1634-36 in cinque volumetti, introvabili (non meno di quarant'anni occorsero al Croce stesso per procurarseli tutt'e cinque) e, per soprammercato, esemplati su un disperso manoscritto, che in molti punti era stato lasciato dall'autore quasi nello stato di abbozzo, e che i primi editori, a lor volta, non mancarono, spesso e volentieri, di fraintendere. Che dire poi dell'interpretazione del testo medesimo? Conoscitore minuzioso del dialetto, il Basile si compiacque, anche troppo spesso, di vocaboli, frasi e costrutti napoletani bens, ma affatto inconsueti. Non contento di ci, storpi in forma pseudonapoletana voci comuni all'italiano e al dialetto, al tempo medesimo che ne napoletanizz a suo modo altre non poche, esistenti nell'italiano, ma non nel dialetto, e altre ancora esib in significati e costrutti totalmente ignoti all'uso comune. Per ultimo, costrettovi dai bisogni del suo stile e dai suoi intenti caricaturali, foggi molte altre parole e frasi, segnatamente astratte, che il popolo non possiede punto. E il risultato di tutto ci fu precisamente quello additato dal Croce: che quando si legga ora il Cunto de li cunti avendo riguardo al dialetto vivente, che non pu essere molto diverso da quello di tre secoli fa, il dialetto del Basile sembra, pi che una lingua realmente parlata, una di quelle lingue arbitrarie create dai letterati per fini letterari, come la lingua maccheronica o la lingua pedantesca. N, con ci, l'elenco delle difficolt giunto al termine. Ne restava, un'altra ancora, e forse la pi aspra di tutte, ch nel Cunto de li cunti abbondano, frammiste a 'riferimenti classici e mitologici, le allusioni a giuochi fanciulleschi, nonch a canti, danze, divertimenti e ogni altra sorta di usanze popolaresche napoletane del tardo Cinquecento o del primo Seicento. Xio a cose di cui oggi s' spento del tutto il ricordo Croce super tutte le sue difficolt aggiungendo al testo esaurienti note. Ma quando nel 1891 comparve il primo volume comprendente le prime due giornate se ne vendettero pochissime copie. Si rinunzi quindi a pubblicare il secondo volume progettando comunque di dar piuttosto, quando ne avesse avuto tempo e agio, una traduzione italiana del difficile testo. Senonch lavori pi urgenti non gli consentirono di attuar subito codesto proposito, divenuto un fatto compiuto soltanto trentaquattro anni dopo. Nel frattempo Croce condusse altri studi intorno allantica letteratura dialettale napoletana interessandosi tra laltro di una farsa del cinquecentesco Velardiniello,

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di un cantastorie del primo Seicento conosciuto col soprannome di Giovanni della Carriola e pubblicando anche un saggio intitolati La letteratura dialettale riflessa, la sua origine nel Seicento e il suo ufficio storico: letteratura dialettale riflessa, cio non dialettale ma darte. Nel 1924 Croce riprese in mano i racconti di Basile, e in un paio di mesi realizz una traduzione in italiano scrivendo una quindicina di cartelle al giorno. Racconta sempre Nicolini: La sera, dopo pranzo, lieto della fatica compiuta, leggeva, con gli opportuni tagli, la fiaba o le fiabe tradotte durante la giornata alle figliole piccolette, che avide di quei racconti attendevano quel momento con ansia. Nellaprile 1925 leditore Laterza stamp due volumi che smentivano lantica convinzione che la traduzione o brutta fedele o bella infedele. In realt senza cascare nellinfedelt, Croce non lasciava perdere nemmeno una sfoglia di quella patina barocca e serio-burlesca, e nemmeno una sfumatura di quel forte colorito napoletanesco che distinguono loriginale.

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SALVATORE DI GIACOMO GRANDE POETA Poteva un napoletano, un grande poeta come Salvatore Di Giacomo, che scriveva versi in dialetto, avere lonore di entrare nel Senato del regno? Il Senato della Repubblica ha reso omaggio, conferendo il laticlavio a vita, a due scrittori di esperienze dialettali, il romano Trilussa (Carlo Alberto Salustri) e il napoletano Edoardo De Filippo. Ma a Salvatore Di Giacomo fu detto no. Una esatta ricostruzione della vicenda si legge in un volume (pubblicato dalla Newton Compton) di un acuto studioso dellopera di Di Giacomo, Arturo Fratta. La candidatura, data dai giornali di tutta Italia con molta evidenza, doveva cadere il mese successivo, nel novembre del 1924. Il ministro Casati aveva proposto la nomina al Senato di Salvatore Di Giacomo (insieme con quelle del giornalista Ugo Ojetti, dello storico dell'arte Adolfo Venturi e del musicista Giacomo Puccini), e fu scelto Benedetto Croce per la perorazione dinanzi al Comitato segreto del Senato. Tutti sapevano dell'amicizia che legava il filosofo a Casati e di come la rivelazione di Di Giacomo e la pubblicazione del volume di poesie fossero opera sua. Quando, dopo avere illustrato i meriti artistici che rendevano Di Giacomo meritevole della nomina, Croce disse che la notizia della scelta del suo nome per il Senato aveva dovuto fargli la stessa impressione che proverei io se il papa mi nominasse cardinale era facile intendere come questa dichiarazione dovesse servire soltanto a descrivere il carattere semplice del poeta, che nel settembre precedente aveva inviato a Croce uno scherzoso telegramma: Domine, non sum dignus. Insomma l'elegante understatement del filosofo fu frainteso, ma non fu causa della caduta della candidatura di Di Giacomo. La stessa sorte sub Ugo Ojetti, il quale, peraltro, scrisse al poeta una lettera affermando: Arrossirei al pensiero di entrare per censo in Senato, dove, solo perch povero, non ha potuto entrare un grande poeta! Ne nacquero vivaci polemiche, e la vicenda contribu a guastare i rapporti tra il poeta e il filosofo, rapporti gi diventati difficili per motivi politici dopo lavvicinamento di Di Giacomo al fascismo. Di fronte a pubblicazioni inesatte, Croce prese carta e penna e scrisse una

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lettera al Giornale dItalia il 29 novembre: Poich vedo riferita nei giornali una frase staccata del breve discorso che pronunciai in Senato per l'applicazione della categoria 20 a Salvatore di Giacomo, discorso che, con nuovo esempio, stato perfino sottoposto a critica pubblica, quantunque tenuto in Comitato segreto, sono costretto a prendere la parola affinch da coloro che non erano presenti non sia stortamente interpretato il senso in quella mia frase. Io dunque, dopo aver illustrato il carattere e il pregio dell'opera del Di Giacomo, dissi che questi vive chiuso nel cerchio della pura poesia, e tanto estraneo alle cose pratiche e politiche, e lontano da ogni ambizione di questa sorta, che la nomina a senatore giuntagli inaspettata, aveva dovuto fargli la stessa impressione che proverei io se il papa mi nominasse cardinale (questa la frase incriminata). Ed aggiunsi che n io, suo antico e saldo estimatore, n altri dei suoi amici napoletani, avevamo mai pensato a proporlo per quella nomina; tanto la sua figura ci portava in una sfera al di sopra e anche, se si vuole, al disotto del Senato e, insomma, diversa; ma che noi siamo spesso ingiusti con le persone a noi vicine e che, quando poi un ministro lombardo, guardando all' alto valore artistico del Di Giacomo, aveva proposto quella nomina, io avevo provato un grande compiacimento. E che mi sarebbe parso assai mal compensare un uomo di anima candidissima, che tutta la vita aveva consacrata all'arte, col ridargli la solenne testimonianza di stima, che gli era stata resa. E infine, che era bens ottima cosa riportare a uso pi rigoroso l'applicazione della categoria 20, ma che non bisognava dimenticare che l'Italia non era solo l'Italia della politica, ma anche l'Italia della poesia. Precisiamo che la categoria 20 prevedeva la nomina per alti meriti culturali e la polemica di Croce si riferiva in particolare al senatore V. Morello, che aveva partecipato alla riunione della commissione ma, non rispettando il segreto, spiattell in pubblico (con nuovo esempio! lo redargu infatti il Croce) informazioni sulla seduta del Comitato. Quando conobbe Croce, Di Giacomo aveva pubblicato le sue poesie sparsamente e raccogliendole in tre volumetti: O Funneco verde, 'O munasterio e Zi' munacella. Le Canzoni erano in un altro volume, ma soprattutto nei fogli volanti che apparivano a ogni Piedigrotta. E a questo proposito va ricordato che Di Giacomo aveva chiesto a Benedetto Croce una presentazione di un fascicolo di canzoni ricordando la nascita e la storia della secolare festa napoletana, e Croce laccontent. Un articolo rivelatore della

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grandezza del poeta apparve nella Critica il 21 novembre 1903, ma successivamente sempre sulla stessa rivista Croce scriver: Quando or sono otto anni io pubblicavo nella Critica un saggio su Salvatore Di Giacomo, dopo aver trattato nei saggi precedenti del Carducci, del Fogazzaro, del De Amicis, del Verga e della Serao (e trattando subito dopo del D'Annunzio), ricordo che non pochi mi attestarono la loro meraviglia che mettessi quasi in linea con scrittori stimati tra i maggiori della nuova Italia un poeta dialettale, novelliere e drammaturgo non ignoto al certo, ma di poca fama. La meraviglia sarebbe stata maggiore se io avessi detto allora apertamente tutto il mio intimo pensiero; cio che, da lungo tempo, stimavo il Di Giacomo uno dei pochissimi odierni poeti italiani, assai superiore a taluni di quelli dianzi nominati e a moltissimi che godevano maggiore reputazione di lui. Ma preferii di non urtare per allora troppo violentemente l'opinione comune; mi restrinsi perci a dare saggi dell'arte del Di Giacomo e a sradicare il pregiudizio che si opponeva a una giusta estimazione di esso, il pregiudizio della letteratura dialettale come genere chiuso e inferiore di arte, lasciando pel resto che si facesse strada a poco a poco negli animi la persuasione del vero. Considero vanto non piccolo della Critica l'aver contribuito a far s che si rendesse giustizia al Di Giacomo, col toglierlo dal gruppo dei poeti regionali e porlo in quello dei poeti nazionali o, meglio, dei poeti senz'altro. Nel suo primo saggio Croce nota Arturo Fratta - dopo aver affermato la possibilit di aggregarlo in un certo senso al cosiddetto verismo, arricchito di elementi fantastici, affronta la questione del dialetto. Molta parte dell'anima nostra dialetto , come tanta altra parte fatta di greco, latino, tedesco, francese, o di antico linguaggio italiano. Il dialetto non una veste, perch la lingua non veste. Suono e immagine si compenetrano perfettamente. Sopravviene il grammatico e, pei suoi fini e in modo del tutto arbitrario e convenzionale, stacca le categorie di queste e quelle lingue, e di lingue e dialetti. Ma siffatte categorie grammaticali non sono giudizi di valutazione, e non possono servir di base a esclusioni o a delimitazioni estetiche... E allorquando sembra che il dialetto suoni male, si guardi meglio e si vedr che la colpa non della poesia dialettale , ma della poesia senz'altro, che manca. Fratta prosegue: Ci siamo dilungati nel citare Croce perch i critici che verranno dopo di lui, e non sono pochi n poco importanti (Gaeta, Russo, Serra, Vossler, De Robertis, Flora, Tilgher, Pasolini

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per ricordarne solo alcuni), non aggiungeranno molto, n muteranno questa impostazione sistematica. Tanto per esemplificare, si possono fare rapidi accenni. Francesco Gaeta afferma, a ragione, che Di Giacomo con il dialetto si libera dalla letteratura; che non una personalit conclusiva di generi di poesia vernacola ma un iniziatore; che i suoi caratteri distintivi sono l'essenzialit, la sapiente povert, la musicalit straordinaria, l'economia espressiva. Karl Vossler, che scrive nel 1908 facendo conoscere Di Giacomo in Germania, afferma: Nemmeno un rigo di tutto ci che Di Giacomo ha scritto deturpato dalla malattia di moda dell'odierna letteratura europea. Nessuna affettazione o frivolezza, nessun estetismo o artificio retorico. Luigi Russo alluvionale. Chiama in causa Tasso, Ariosto, Metastasio, Carducci, Pascoli, la musa popolare ecc. E conclude dicendo, e non poco: Egli ci si rivela non solo compiutissimo artista ma il solo che, dopo il grandissimo esempio leopardiano, nella poesia moderna italiana abbia saputo restaurare nella loro primitiva intensit e purit le espressioni della passione amorosa. Flora, nel suo primo saggio parla di parole liberate da ogni peso e da ogni inerzia, afferma che Di Giacomo presta agli altri i suoi sentimenti e prende su di s i sentimenti altrui nel secondo coglie una serie di verit profonde e tra le altre questa: Di Giacomo toccher le sue cime nella lirica, quando avr esaurito i temi narrativodrammatici delle prove che egli comp dai primi sonetti a quelli che nel 1895 intitol A San Francisco. E accenna a una ricerca di sincerit lirica, che conferisce alle parole il segno della necessit, avvicinandolo in ci a Leopardi. Pasolini, infine, vede Di Giacomo vivere in una fusione un poco torbida con la realt tutto assorbito nellalone della sua sensualit, in cui il mondo si faceva puro fervore, puro ardore, entusiasmo, felicit. La sensibilit di Croce verso la poesia di Di Giacomo o di Gaeta smentisce chi talvolta ha parlato di freddezza, di aridit spirituale del filosofo, quasi vivesse in un olimpo goethiano, staccato dal mondo di un Mastriani o di un Viviani, e insensibile anche allarte di un Roberto Bracco al quale era pure legato da cordiale amicizia e fede antifascista. Ma leggiamo questa pagina riportata da un giornalista di classe, di solito brillante e pungente, ma scosso da un aneddoto autobiografico raccontato dallo stesso Croce. Vincenzo Talarico lo cita in un articolo celebrativo di Di Giacomo a venti anni dalla scomparsa. Ecco le parole di Croce: La sua arte, oltre lincanto della

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debolezza e della classicit, mi faceva soccorrevole in certi casi innanzi ai quali sarei passato indifferente. Per un piccolo e quasi comico esempio. Mi misuravo, una volta, certe camicie nuove o rinnovate, e poich, nel tentare di abbottonarle alla gola, mi stringevano in modo fastidioso, gridai stizzito alla persona di famiglia che me le porgeva: Ma da qual bestia le avete fatte cucire cos?. Mi fu riposto che era una signora che stava in un piccolo monastero o ritiro in un umile luogo di Napoli e mi fu detto il nome popolare del ritiro; - e di colpo, nella mia fantasia, si dipinse una di quelle povere vecchiette, naufraghe della vita, di quelle dignitose miserie che sindustriavano, con cuore doloroso, a guadagnarsi il pane con le loro mani lavorando come meglio sapevano, una di quelle che il Di Giacomo aveva raffigurato in suoi bozzetti e novelle; e subito nel mio interno non solo un placamento, ma una sorta di rimprovero, quasi mi dicessi: Ti commuovi alle pagine del Di Giacomo, e resti insensibile innanzi la realt che le ha ispirate Naturalmente concludeva Vincenzo Talarico - le camicie furono salve dallira del filosofo, e la poesia comp unaltra buona azione. Negli ultimi anni i rapporti che erano stati calorosissimi tra Croce e Di Giacomo si raffreddarono soprattutto per i suddetti motivi politici. Il poeta mor la notte del 15 aprile 1934. Accompagn il corteo funebre la musica di Marechiare. Benedetto Croce era assente perch per ragioni politiche si asteneva dal mostrarsi in manifestazioni pubbliche. Invi alla vedova, signora Elisa, questo commosso biglietto: Cara Signora, Voi sapete quel che stato per me Salvatore Di Giacomo: sapete come io gli abbia voluto gran bene e quanto abbia amato larte sua. Non sono venuto alla dolorosa cerimonia, perch, purtroppo, le condizioni dei tempi distaccano ora gli amici dagli amici e chiamano al loro luogo gente nuova ed estranea.

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PULCINELLA, DON FELICE E IL FIGLIO DI JORIO Fra i tanti temi legati a Napoli e trattati da Benedetto Croce non poteva mancare quello di Pulcinella: ne parl a lungo nel volume I Teatri di Napoli e vi ritorn su pubblicando, nell Archivio storico per le Province napoletane, una recensione del libro di un noto filologo tedesco, Alberto Dieterich, su Pulcinella e le pitture murali pompeiane. Croce dimostr, contro la tesi del Dieterich, che non sussisteva continuit storica tra la commedia popolare romana e la commedia italiana dellarte, e questa dimostrazione fu poi accolta da tutti gli studiosi dellargomento fino al volume su Pulcinella di quellinfaticabile ricercatore di cose di teatro che fu Anton Giulio Bragaglia, edito nel 1953. Qualche politico a corto di argomenti culturali ricorse a un volgare e balordo avvicinamento tra il filosofo e la maschera napoletana e altri suoi pari lo ripeterono, ma Croce reag con pungentissima ironia augurando ai suoi critici, tra i quali un docente universitario, di essere in grado di scrivere anchessi qualcosa di simile a quella sua diligente e metodica recensione. La molteplice vita della maschera napoletana fu largamente sottolineata da Croce: essa assumeva significati diversi nei molteplici canovacci, nelle diverse interpretazioni date dai diversi, numerosissimi attori, e che non sempre si estrinsecavano in burle rudimentali, in battute anche licenziose, ma spesso diveniva arma per colpire con la satira i potenti. Significativo un aneddoto citato appunto da Croce: lo spagnolo conte di Monterey, vicer di Napoli, intorno al 1635, nutriva tutte le sue grazie per i comici, tanto che conduceva volentieri con s in gondola, alle quotidiane ricreazioni di Mergellina, il Coviello Buonuomo e il Pulcinella Calcese o Ciuccio; i quali, coi loro motteggi, poterono persino qualche volta echeggiare il malcontento popolare e produrre qualche bene: come quando, messosi il Monterey, sullesempio dei suoi predecessori, a riscuotere per suo conto il terzo degli arrendamenti, ossia degli appalti di gabelle assegnati ai privati, andando un giorno quei due con lui in gondola e fingendo essi di litigare tra loro sopra non so qual punto, a un tratto il Coviello propose di chiamare un terzo a decidere la differenza, e il Pulcinella replic che terzi non ce nerano pi, perch se li erano presi tutti Sua Eccellenza. Il Monterey rise e fece sospendere lodiosa esazione. Ma la maschera di Pulcinella and perdendo nel tempo la sua

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forza di rappresentazione e ci fu un cambiamento di rotta, il teatro popolare diventava borghese e tra gli innovatori si afferm lattore Eduardo Scarpetta. Croce che aveva frequentato, amato, studiato il teatro ebbe rapporti cordiali con Scarpetta fino a scrivere, nel 1899, la prefazione ad un libro dellattore che si era rivolto a lui quale storico dei teatri di Napoli, e a difenderlo in tribunale in una vertenza giudiziaria contro Gabriele DAnnunzio. Quel che Croce scrisse nella prefazione alle memorie scarpettiana Dal San Carlino ai Fiorentini conferma limpegno, la seriet e lamore con cui il filosofo e storico guardava alle vicende di Napoli. Croce ricordava innanzitutto di avere sulla coscienza un grosso volume di ricerche sulla storia dei teatri di Napoli dal secolo XV a tutto il secolo XVIII, pubblicato una decina di anni addietro. E aggiungeva che il sottoscritto anche di recente, stuzzicato dagli arzigogoli di un bravo archeologo tedesco, e tornando per poco a quegli amori giovanili, ha messo fuori una monografia sul glorioso personaggio di Pulcinella. Croce si congratulava, poi, con lo Scarpetta per queste Memorie, cos divertenti pei lettori contemporanei, cos utili ai curiosi futuri. E aggiungeva un esame di importanti aspetti culturali del teatro: Napoli non ha avuto parte molto importante nella storia del teatro letterario di prosa in Italia. Essa non pu vantare n la splendida fioritura della commedia italiana del Rinascimento, il primo dei teatri moderni, precursore ed educatore degli altri di Europa; n laffermazione di realismo artistico del Goldoni con accanto la fantasiosa protesta di Carlo Gozzi, che la Venezia del settecento ci offre; n quel grido di riscossa dello spirito nazionale che fu la tragedia del piemontese Alfieri. Nel secolo XV, seguendo esempi venuti daltre parti dItalia, produceva rozze rappresentazioni sacre e fredde farse allegoriche e cortigiane; nel XVI, non ebbe se non pochi e sparsi e deboli scrittori di cose sacre, e solo nella seconda met di quel secolo un commediografo dingegno, Giambattista della Porta, abile nella composizione, brioso nella forma, ma in fondo poco originale in quelle opere drammatiche, laddove originale fu come scienziato e inventore della camera oscura e del telescopio. Nel XVII, o ripetette con senile borbottio le situazioni e i caratteri della commedia cinquecentesca, o tradusse e guast le opere geniali della contemporanea letteratura drammatica spagnola. Qual nome di autore nostro di tragedie, commedie e drammi possiamo pronunziare con vanto pel secolo passato e per la prima met del presente? Certo potrei

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snocciolare parecchie decine di nomi, ma da bibliografo e da erudito, non da critico. Bisogna giungere al decennio tra il 1860 e il 1870 per trovare qualche autore drammatico napoletano che prenda posto nella storia generale del teatro in Italia; ma in quel tempo spariscono anche le condizioni che rendevano opportuno di parlare dei teatri delle varie parti dItalia come distinti tra loro. Limportanza che Napoli sottolineava Croce - non ha avuta nel teatro letterario lha avuta invece nella commedia popolare e dialettale, nellopera buffa, nelle rappresentazioni allimprovviso, negli attori o nei personaggi comici che ha messo in circolazione. E gi nel secolo decimoquinto accanto alla farsa allegorica sorgeva la farsa cavaiola, e il personaggio del cavaiolo era accolto nelle corti e sulle piazze del resto dItalia. Sulla fine del Cinquecento e ai primi del secolo seguente, fondato il teatro pubblico, nascevano qui in folla e a gara i Covielli, i Pascarielli, i Policinelli, gli Scaramuccia e tanti altri personaggi che, incarnati da attori quali Silvio Fiorillo, Andrea Calcese, Ambrogio Buonuomo, Tiberio Fiorino, portarono per tuttItalia e anche allestero la giocondit, i balli, le canzoni e la fantasia satirica napoletana. Lazzi alla napoletana e soggetti alla lombarda era il proverbio che allora correva tra i buongustai di commedia; e si voleva dire che se linvenzione e la disposizione del dramma meglio si lavoravano dagli attori dellalta Italia, nel dialogo e nelle trovate mimiche valevano pi i napoletani. La vita del popolo era ritratta, e non sempre burlescamente ma talora con seriet e con certa vena di affetto di passione, nellopera musicale dialettale e nella commedia letteraria in dialetto. Ora, nel teatro nel quale si venne accentrando il meglio di siffatte recite di ispirazione popolare, il San Carlino, questo volume di Memorie contiene, con ricchezza di particolari e impressioni dirette e personali, la storia degli ultimi tempi. Storia tanto pi attraente in quanto lautore di esse non stato solo testimone e collaboratore dellarte degli ultimi comici del San Carlino, ma anche un rinnovatore fortunato che ha saputo espellere da quellarte elementi invecchiati e aggiungervene altri vivi e freschi. Si tratta, in queste Memorie, di un periodo, per cos dire, critico del teatro popolare napoletano, narrato per bocca di uno degli autori principali della crisi. Dopo di aver sottolineato le migliori di quelle sue abilissime riduzioni, che spesso savvantaggiano sugli originali e sempre li rinnovano, trasportandoli nellambiente partenopeo, Croce arrivava ad una gustosa conclusione: Badi lo Scarpetta voglio dargli un

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saggio delle noie che potr avere dai posteri gli eruditi faranno allora diligenti confronti tra le sue prime e le seconde Memorie, cercando il pelo nelluovo e investigando semmai vi fossero tra le une e le altre divergenze in qualche particolare. Precursore di quegli eruditi futuri, di divergenze ne ho gi scoperto io una una sola, ma grave proprio nelle rispettive prime pagine dei due volumi, e tale che mostra che egli comincia ad avere (posso dirlo?) la civetteria di scemarsi gli anni. Perch, come mai sedici anni fa, nel 1883, stampava di esser nato nel 1853, e ora stampa di esser nato nel 1854? Lo storico futuro, insospettito, andr a frugare nei registri dello stato civile, e chiss che non scopra che nessuna delle due date la vera e che Eduardo Scarpetta nacque nel 1852? E ne dedurr che voi che ridevate cos bene di ogni cosa, non sapevate ridere, nemmeno voi, del tempo che vola!. Era lanno 1890. Ventitr anni dopo Scarpetta torn da Croce annunciandogli la ristampa delle sue Memorie con laggiunta di nuovi capitoli e gli chiese unaggiunta alla vecchia prefazione. Croce scrisse poche righe, ricordando in particolare la storia del processo per la parodia della Figlia di Jorio, nel quale fu perito di difesa, insieme con Giorgio Arcoleo (come narrava lo stesso Scarpetta nel volume), ed in particolare sottoline un significativo dettaglio di una seduta in tribunale: Ricordo che quel giorno sedeva tra i periti di accusa un buono e dotto professore nostro amico, il quale sostenne nel suo discorso la tesi alquanto temeraria che ogni parodia plagio; e ne segu questo spunto di dialogo. Il professore (disse lo Scarpetta, volgendosi a lui, nel rispondere al tribunale), il professore qui afferma che la parodia plagio e non lecito farne. Professore, noi abbiamo parodiato persino Dante!. Ma Dante (ribatt laltro) morto. Professore, per me Dante non morto mai!. Chi rimase male fu lamico professore, che si trov non solo sorpassato nello zelo per Dante, ma accusato di lesa ortodossia dantesca. Ma vediamo nel dettaglio come si svolse la questione dellaccusa di DAnnunzio contro Scarpetta. Poich lopinione pubblica era sfavorevole allattore, e i letterati e giornalisti tutti parziali per DAnnunzio (in particolare Roberto Bracco e Salvatore Di Giacomo), Croce spontaneamente si offerse di difendere lattore comico contro quello che gli pareva un sopruso; e si un nella perizia di difesa Giorgio Arcoleo. Fu presentata al Presidente e ai Giudici dell8 Sezione del Tribunale di Napoli una breve relazione, il 27

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ottobre 1907. Vi si leggeva tra laltro: La domanda che ci viene rivolta, : se, tenute presenti le circostanze risultanti dagli atti, e fatto il confronto tra la Figlia di Jorio del DAnnunzio e Il figlio di Jorio dello Scarpetta, possa dirsi che questi abbia commesso reato di contraffazione, merc rappresentazione e riproduzione abusiva; o se egli invece si sia mantenuto nei limiti di una parodia, non vietata dalle leggi e ammessa da tutti i popoli e in tutti i tempi. E noi, eseguito il confronto ed esaminati gli atti, non dubitiamo di rispondere nel pi preciso modo negativo alla prima parte della domanda, e nel pi reciso modo affermativo alla seconda. Contraffare unopera darte non pu significare altro se non appropriarsene leffetto artistico e poetico, sia col tradurla e ridurla, sia col mutare qualche nome o qualche particolare, sia con altri espedienti, che possano mai escogitarsi, dello stesso genere; sempre mirando a sostituire, con lopera cos camuffata e alterata, lopera originale, e dando luogo per tal modo ad una vera concorrenza sleale. I periti difensori sottolineavano alcuni aspetti fondamentali della vertenza: La contraffazione, - la quale, per le forme ingannevoli onde si riveste, non sempre pu essere colpita dalla legge, - consiste, dunque, nel mutare, se questo giova, in maggiore o minor misura, lingua e particolari, serbando lo spirito dellopera. La parodia, invece, pu serbare moltissimi particolari, e persino quasi integro in apparenza il linguaggio dellopera parodiata; ma ne cangia sempre lo spirito animatore. Il criterio distintivo dei due fatti perci nettissimo; e non vale, per determinare se unopera sia contraffazione anzich parodia, mettersi a cercare i particolari, che in quellopera si trovino, simili alloriginale, e a compitarne il numero. La ricerca da fare , invece, se lo spirito animatore o il tono delloriginale sia stato o no cangiato: di tragico in comico, di serio in ridicolo, di triste in giocondo. Che questo cangiamento si abbia di fatto nel Figlio di Jorio dello Scarpetta, in relazione alla tragedia pastorale del DAnnunzio, sembra a noi cosa non dubitabile. Non solo il titolo delle due opere diverso, ma diverso il sesso dei protagonisti, e diversi i personaggi, con la stessa radicale differenza di sesso, che basta da solo a cangiare sostanzialmente idee, affetti, linguaggio, azione. Diverso lambiente, saturo di tradizioni selvagge, di paure mistiche, di pregiudizi religiosi, di forze brutali, che d rilievi e contrasti violenti sopra uno sfondo scuro e tragico, nellopera del DAnnunzio: laddove, in quella dello Scarpetta, si trasforma o deforma in una serie volgare di equivoci, di

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sorprese, di pettegolezzi, nei quali prevale il trivio, che vuol essere comico sempre, con lunico intendimento di destare riso, non piet. Diversa la fine, che una catastrofe nellopera dannunziana, e diventa una lieta soluzione nellopera scarpettiana. Si aggiunga la forma dialettale, che in questa adoperata non gi a fornire lequivalente del pathos dannunziano, ma a darne la caricatura. Se tutto ci non bastasse a far conoscere nel caso presente la parodia, basterebbe considerare che il lavoro dello Scarpetta quello di un autore-attore, ed di un attore radicalmente comico, e capo di compagnia comica, per persuadersi che era del tutto impossibile, in questo caso, perfino il tentativo di una contraffazione. La tragedia del pensiero, dellamore o della vita, Amleto, Otello e Faust, si capovolge e diventa commedia, anzi farsa, se viene rappresentata dallo Scarpetta: lattore, in questo caso, d inevitabilmente, anche contro sua voglia, la fisionomia comica dellautore. Perci qui manca del tutto la possibilit della frode, dellinganno, della concorrenza: e il lucro stesso viene attinto a fonte ben diversa, cos rispetto al lettore come allo spettatore. I difensori di DAnnunzio asserivano che non esistono nellarte teatrale precedenti di parodie ordite, condotte e sceneggiate come Il figlio di Jorio dello Scarpetta. E noi potremmo ben rispondere che esistono, e proprio nella letteratura teatrale napoletana, e sono, per esempio, le parodie dei drammi metastasiani, la Didone, il Demetrio, lArtaserse, fatte da Michele Zezza nel 1834, 35 e 36, coi titoli: Metastasio a la Conciaria, zo lArtaserse acconciato a usanza nostra; Metastasio a lu Mandracchio, zo la Dedone abbandonata; Metastasio a lu Mercato, zo lu Demetrio co la marca de bazzareota : parodie nelle quali si seguono i drammi del Metastasio non solo scena per scena, ma quasi verso per verso. Ma, se anche non ci fosse tale precedente affermavano Croce e Arcoleo - noi crediamo che sarebbe arbitrario restringere il concetto di parodia a un tipo particolare senza tener conto delle diverse situazioni e necessit, in cui pu essersi trovato il parodista di unopera. Nel caso della Figlia di Jorio, lo Scarpetta aveva innanzi unopera di argomento e forma rara e ricercata, che si svolge in un ambiente di usi, sentimenti e tradizioni recondite o ignote, e dove si fa uso di parole nomi nuovi e non facili, e perci egli si sentito costretto a riprodurne i punti salienti, affinch fosse possibile allo spettatore, che ride, il chiamo del dramma, che aveva destato invece terrore e piet.

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Il processo, trascinatori per quattro anni, termin nel maggio del 1908 con la piena assoluzione dello Scarpetta, avendo il Tribunale accolto le conclusioni dei periti Arcoleo e Croce.

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LA STORIA DEL REGNO DI NAPOLI Nel 1925 usc la Storia del Regno di Napoli, primo compiuto esempio di storiografia etico-politica. Croce aveva cominciato a raccogliere materiale fin dagli anni 1896-98 ma, attratto da altri argomenti, mise da parte il progetto e fu buona sorte annota Alfredo Parente nel volume Croce per lumi sparsi perch Croce torner su quellidea quando avr compiuto il suo lungo viaggio attraverso la provincia filosofica e la prima densa esperienza eticopolitica che gli consentiranno di scrivere la Storia del Regno di Napoli da alcuni studiosi considerata il suo capolavoro storiografico. Resta fondamentale il giudizio che ne diede Giuseppe Galasso in un acuto saggio pubblicato nel 1963 nella Rivista Storica Italiana (allora edita a Napoli dalle Edizioni scientifiche italiane). Galasso scriveva che il grande albero della Storia crociana ancora vigoreggia, vegeto e robusto, quale unica ricostruzione dinsieme della storia meridionale; e le ripulse, le condanne e gli studi degli ultimi anni sembrano averne semplicemente tagliato dove qualche ramoscello e dove anche qualche prezioso germoglio; ed aggiungeva che quella Storia poneva una serie di problemi che da pi articolati e complessi svolgimenti potrebbero ricevere pi soddisfacenti anche se, ovviamente, mai definitive risposte. Ma qui interessa trattare, anche se brevemente, solo qualche aspetto riguardante strettamente Napoli, e precisamente la rivolta di Masaniello, lopera di Carlo di Borbone, la rivoluzione del 1799, la fine del Regno e accennare a quel particolare tipo di plebei che furono i lazzaroni, che ebbero in due fasi addirittura un ruolo storico sia pure in senso negativo. Fermiamoci, innanzitutto, su Carlo di Borbone, sottolineando peraltro un caso significativo. A questo re aveva dedicato un volume il grande storico Michelangelo Schipa ( Il Regno di Napoli al tempo di re Carlo di Borbone ed. Pierro, 1904), e Croce lo aveva recensito con serenit, facendo per varie riserve sul giudizio globale che lo Schipa dava del re borbone. Ma i rapporti erano sempre cordiali, la stima profonda e Croce dedic la Storia del Regno di Napoli proprio a Michelangelo Schipa, che lintera vita ha consacrata a illustrare la storia del Mezzogiorno dItalia, dedica non soppressa rileva Giuseppe Galasso ma intenzionalmente datata per metterne in rilievo lappartenenza a un periodo precedente, nelle

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edizioni posteriori a seguito del ralliement dello Schipa al fascismo. Ecco, in sostanza, come Croce giudicava re Carlo, recensendo il libro di Schipa: Il risorgimento dell'Italia meridionale non accadde in quel tempo: spetta ad altre epoche, anzi, in gran parte, aspetta: re Carlo non fu grand uomo, n grande statista, n grande militare, n re filosofo. E lo Schipa mette in mostra, servendosi di frequente anche dell'arma dell'ironia, il fallimento dell' opera di quel governo. Senonch, in altro luogo egli stesso osserva benissimo che venticinque anni sono ben corto spazio nella vita di un popolo: osservazione che doveva indurlo, mi sembra, a non applicare una misura troppo alta al movimento progressivo di quei venticinque anni Non bisognava attendersi n che le vecchie classi sparissero o mutassero fisionomia, n che l'agricoltura, il commercio, la forza politica vigoreggiassero rapidamente. Ma il racconto dello Schipa ci mostra che il Regno di Napoli ricevette il gran beneficio dell' indipendenza e cess il secolare sfruttamento di esso, che era continuato anche nel periodo austriaco; che si mise qualche ordine alle finanze e si accrebbero le pubbliche entrate; che si cre una piccola marina e un non piccolo esercito, il quale fece buona prova a Velletri, e dette al nuovo re e al nuovo stato la coscienza della forza, la fiducia, la serenit; che si concluse un concordato con Roma, il quale in certa misura fren le immunit e gli arbitri del clero e cominci a sottoporlo alle imposte; che si tent lunificazione della legislazione, sebbene, per allora, non si riuscisse; che si cerc di promuovere il commercio col negoziare trattati e con l'istituire un Supremo Magistrato del Commercio; che s'inizi il riscatto delle rendite pubbliche dalle mani degli arrendatori, con la Giunta delle ricompre; che si fondarono grandiose opere di beneficenza sociale come l'Albergo dei Poveri. Nel campo della cultura, fu riformata l'Universit e collocata in un adatto edifizio; si cominciarono gli scavi archeologici importantissimi della regione vesuviana; architetti e pittori di grido ebbero agio di lavorare a monumenti, che ancora ammiriamo; Napoli fu una delle sedi principali dell'arte musicale, alla quale fu dato un magnifico teatro, il San Carlo. E si potrebbe continuare. Ma fermiamoci brevemente su Masaniello, che fu uno strumento daltri e divenne presto dimpaccio, e che da molti stranieri fu visto poi con simpatia (si coniarono in Europa medaglie che portavano nellun verso leffige di Cromwell e nellaltro quella di Masaniello). Croce esamina a fondo le vicende e conclude che la rivoluzione detta

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di Masaniello fin, insomma, come sempre le rivolte proletarie, prive di sodi e attuosi concetti politici e perci incapaci di intima resistenza e di perseveranza. Ma aggiunge Croce - la repressione di quel tumulto segn insieme il tracollo del baronaggio napoletano, perch il governo spagnolo si avvide che i baroni avevano pari o maggior bisogno del suo sostegno di quel che esso avesse dellaiuto loro; che la forza della plebe e dei comuni era impetuosa e veemente, e andava tenuta in conto; e che a ribellare il popolo avevano certamente concorso gli stolti espedienti finanziari e le odiose gabelle fatte imporre dai vicer, ma altrettanto le prepotenze e legoismo economico della nobilt. Sulla Rivoluzione napoletana del 1799, nella ricorrenza del primo centenario della repubblica napoletana, era stato pubblicato un Albo a cura di Croce, Ceci, dAyala, Di Giacomo, e fu dato a Croce lincarico di raccogliere e ordinare il materiale illustrativo e di scrivere quasi tutte le note (ben 175) ricche di documenti e notizie inedite. Gli avvenimenti del 1799 avevano attratto lattenzione di Croce fin da quando aveva 21 anni, e vi aveva dedicato alcuni saggi, unendo poi in un volumetto quelli relativi ad Eleonora de Fonseca Pimentel, a Vincenzio Russo e a Luisa Sanfelice, che costituiranno poi la prima edizione dellopera definitiva La Rivoluzione napoletana del 1799. Biografie. Racconti. Ricerche. Fu ripubblicata da Bibliopolis, in occasione del bicentenario per iniziativa dellUniversit Federico II, in uno splendido volume stampato dallArte Tipografica, con una presentazione di Fulvio Tessitore, il quale sottolineava come molti problemi connessi agli studi crociani sul 1799 fossero le grandi questioni della nostra vita contemporanea, questioni non ancora chiarite e risolte. Tessitore fa notare, tuttavia, che le tesi di Croce sulla storia di Napoli e sul 1799 hanno subto non poche revisioni e critiche, talora aspre e radicali, pur quando non infondate. Tra i critici vorrei sottolineare il nome di Carlo Zaghi, lultimo grande studioso del giacobinismo italiano, napoletano di adozione, scomparso di recente nella sua Ferrara. Ha dedicato sei volumi al giacobinismo italiano e lultimo riguarda la Rivoluzione napoletana. Ho avuto la fortuna di poter pubblicare uno scritto di Carlo Zaghi nel periodico Iter parlamentare: gli avevo chiesto un articolo che puntasse soprattutto sulle difficolt di intese per realizzare le prime riforme, e Zaghi fece una precisa scelta mandandomi un testo su Vincenzio Russo (non

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saprei accettare lattuale scrittura Vincenzo!) come figura pi emblematica ed esaltante della rivoluzione partenopea, e in una lettera aggiungeva: Larticolo che le ho mandato corregge linterpretazione dei miei due amici pi cari: Croce e Galasso. Unaffermazione sulla quale si dovrebbero pronunciare gli studiosi specifici, ma che confermano che sul testo di Croce non mancano, anche ora, riserve. Si potr controllare il vero scritto di Zaghi? Purtroppo i sei volumi consegnati allIstituto Storico per let moderna e contemporanea di Roma giacciono in qualche cassetto e non si sa bene che fine faranno Tuttavia il testo di Benedetto Croce rimane fondamentale e vivo, e vi traspare tutta la passione per i protagonisti di quella eroica vicenda. Nella Storia Croce dedica a quellepisodio pagine ricche di pathos, elenca i vari patrioti che avevano preparato la rivolta notando tra laltro che erano tra essi le legioni dei seguaci e degli scolari del Giannone e del Genovesi, gli scienziati e letterari ed economisti di Napoli, i giovani e i provetti. Mancava il Filangieri, che era morto alcuni anni prima, ma tra i giacobini comparvero la sorella di lui e la vedova coi due giovinetti figliuoli. Numerosi particolarmente gli studenti dell'universit, e pi ancora delle scuole private, dove maggiore era la libert degli spiriti; e, per mezzo degli studenti, le fila di quelle societ si allungavano nelle province. Tra i pi fervidi cerano frati, sacerdoti, vescovi, anch'essi quasi tutti noti in scienza e letteratura. L'aristocrazia napoletana vi rifulgeva coi nomi delle sue pi antiche famiglie, Carafa, Caracciolo, Pignatelli, Filomarino, e poi ancora coi Riario, i De Marini, i Serra, i Doria. Croce sottolinea: Come nel seicento primi in Italia gli ingegni napoletani accolsero il pensiero di Cartesio, cos sul cadere del settecento, primi in Italia, cio, fin dal 1792, essi si misero in corrispondenza con le societ patriottiche francesi, e i pi giovani e ardenti riformarono le loro logge massoniche in clubs giacobini, tramando una cospirazione per rovesciare la monarchia e introdurre istituzioni democratiche, repubblica o, in ogni caso, libert. I giacobini di Napoli (scrisse uno di quei giovani, il Mattei, che mor sul patibolo nel 1799) furono i primi che dettero il grido all'Italia sonnacchiosa. Quando altri appena ardiva pensare, quando pareva ancor dubbia la sorte della Francia medesima, essi, giovani, inesperti, privi di mezzi, ma pieni d'entusiasmo per la libert, d'odio per la tirannia, tentarono un' impresa difficile, vasta, perigliosa, che, se non

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fosse andata a vuoto, li avrebbe resi immortali e felice l'Italia. La cospirazione del 1794 fu scoperta e sventata: seguirono carcerazioni, supplizi, esili, e, mentre quelli che restavano nel paese fremevano e si preparavano, aspettando gli eventi, gli esuli napoletani si spargevano per l'Italia, segnatamente in Lombardia, in Liguria e poi a Roma, e prendevano parte operosa nelle repubbliche che le armi francesi vi andavano suscitando. L'Italia (diceva un altro di quei primi giacobini, il Lauberg) ha trovato tanti piccoli vulcani in quanti napoletani ha raccolti nel suo seno, n tra i fasti della sua rigenerazione l'ultimo luogo occuperanno i figli del Sebeto Quei giacobini napoletani, uniti coi loro fratelli di tutta Italia, trapiantarono in Italia l'ideale della libert secondo i tempi nuovi. Una fiera condanna contro la reazione del Borbone: Una reazione che forse non ha pari nella storia, perch non mai come allora in Napoli si vide il monarca mandare alla morte e agli ergastoli o scacciare dal paese prelati, gentiluomini, generali, ammiragli, letterati, scienziati, poeti, filosofi, giuristi, nobili, tutto il fiore intellettuale e morale del paese. E concludendo la sua Storia, Croce scrive parole di altissimo valore morale: Ricercando la tradizione politica nellItalia meridionale ho trovato che la sola di cui essa possa trarre intero vanto appunto quella che mette capo agli uomini di dottrina e di pensiero, i quali compierono quanto di bene si fece in questo paese, all'anima di questo paese, quanto gli confer decoro e nobilt, quanto gli prepar e gli schiuse un migliore avvenire, e lun all'Italia. Benedetta sia sempre la loro memoria e si rinnovi perpetua in noi l'efficacia del loro esempio! Sia nella rivolta di Masaniello sia nella reazione del Borbone fu negativamente notevole il ruolo dei lazzari, che Croce in uno studio specifico sullargomento defin: linfima classe dei proletari di Napoli, quella classe che i sociologi moderni contrappongono al proletariato industriale, del quale infatti forma spesso lantitesi e talvolta lavversaria, col nome di proletario cencioso (Lumpenproletariat). Soprattutto allestero si sottoline spesso questa presenza dei lazzaroni e perfino il maggiore rappresentante dellidealismo tedesco, Hegel, se ne interess: La povert in s non trasforma alcuno in plebe; questa determinata, soltanto dal sentimento che si connette con la povert, dalla ribellione interna contro i ricchi, la societ, il governo, eccetera. Inoltre collegato a questo il fatto che luomo, il quale diretto dallaccidentalit, diviene

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frivolo e pigro come, per esempio, i lazzaroni a Napoli. In un libro della signora Dora Marra Beth, lattenta bibliotecaria di Croce (Conversando con Croce su alcuni libri della sua biblioteca ), sono riportate alcune annotazioni che il filosofo faceva su vari libri acquistati e in proposito interessantissima proprio la nota che Croce apponeva allopuscolo Neapel un die Lazzaroni (Frankfurt und Lipzig 1700) che dice: E una sorta di excerpta di tutto ci che fino a quel tempo si era stampato sullargomento. Allopuscolo va unita unincisione rappresentante in caricatura larmamento dei lazzaroni: sfilano una schiera di straccioni, dei quali uno reca una bandiera con leffige di un teschio e la scritta Evvia il Santo Januario il nostro Generalissimo (sic); altri portano sulle spalle la statua del santo che tiene preso con mano, a guisa di lanterna, il suo capo reciso (quasi fosse San Dionigi!); altri suonano veri strumenti. Ai lati balla un Pulcinella con un coltello insanguinato. Ma Croce aggiunge una notazione che una acuta puntura polemica, una sorridente vendetta: Curioso peraltro notare che quei lazzari rassomiglian fisicamente in modo mirabile ai villani tedeschi dei dipinti Luca Cranach e dello Holbein!. In sostanza questa specie di subumani non era caratteristica solo di Napoli! Per concludere sul contributo di Croce alle ricerche sulle vicende del Regno, vorrei ricordare linteressamento di Croce perch tornasse a Napoli lArchivio Borbonico che era in possesso del vecchio principe, gi pretendente al trono, Pio Ferdinando duca di Calabria, figlio del conte di Caserta e nipote quindi in linea collaterale dellultimo re di Napoli Francesco II. Le trattative per lacquisto dellArchivio riservato dei Borbone o meglio di quella parte di esso, la pi preziosa dal punto di vista storico che fu portato via nellesilio da Francesco II, erano iniziate nel 1938 tra Riccardo Filangieri, sovrintendente dellArchivio di Stato di Napoli, e la principessa Urraca, figlia del duca di Calabria, dopo che Mussolini aveva promesso il concorso statale di due milioni. Ma la guerra blocc tutto e i contatti furono ripresi solo dopo una lettera personale di Benedetto Croce al presidente Einaudi. Ci fu una visita del conte Filangieri in Baviera per un esame sommario dellimponente massa archivistica, e il contratto fu stilato a Napoli l11 settembre 1951 in Prefettura. Prezzo: 80 milioni con la sola ritenuta del 3 per cento dellIGE. Difficolt burocratiche, finanziare e doganali fecero perdere due anni e solo nellagosto 1953 settantasette casse sigillate arrivarono per

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ferrovia a Napoli e furono chiuse nella sala reale della sede dellArchivio. Croce, morto lanno prima, non aveva potuto vedere conclusa una iniziativa alla quale aveva validamente cooperato.

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LISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI STORICI Fui tra i primi allievi dellIstituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Benedetto Croce nel 1947 e ricordo con commozione la cerimonia dinaugurazione in palazzo Filomarino con lintervento del filosofo. Leggendo la Premessa allo statuto, Croce not tra laltro, che nelle facolt universitarie (e non diciamo solo di quelle italiane) la preparazione all'opera dello storico si compie in relazione quasi esclusiva con la filologia, che comprende l'apprendimento delle lingue antiche e moderne e dell' archeologia e della paleografia e di altrettali specialit, aggiungendo talvolta la raccomandazione agli scolari di seguire qualche corso di economia e di giurisprudenza. Ma affatto trascurato il rapporto sostanziale della storia con le scienze filosofiche, della logica, dell' etica, del diritto, dell'utile, della politica, dell'arte, della religione, le quali sole definiscono e dimostrano quegli umani ideali e fini e valori, dei quali lo storico chiamato a intendere e narrare la storia Da codesta unilateralit e deficienza di preparazione vengono fuori filologi ed eruditi, diligenti ricercatori e indagatori di documenti e costruttori di dotte cronache, i quali, quando sono messi alla prova di interpretare e giudicare pensieri, azioni e avvenimenti, si sentono inferiori all'assunto e, o se la cavano con convenzionali e triviali riflessioni, o applicano, seguendo la qualsiasi moda, concetti e sistemi composti in servigio di tendenze di parte. Ora l'Italia, pel suo passato e pel suo presente culturale, meglio forse di ogni altro paese atta a risanare l'unilateralit e la deficienza che abbiamo descritte; e noi speriamo che le nostre stesse facolt universitarie verranno via via integrando l'utile opera, precipuamente filologica, che esse seguono e che da noi adottata e difesa come strumento indispensabile di lavoro, e daranno una parte delle loro forze all' altra opera che da promuovere e che del pari necessaria, e certo pi urgente, sia perch pi difficile e sia perch troppo in passato negletta. Ma, per intanto, giova che intervenga il concorso dei singoli volenterosi; e appunto da un gruppo di questi, che ha trovato consenso ed aiuto cos da parte di privati come di enti pubblici, sorge il presente Istituto. Croce mise in evidenza che lIstituto sorgeva nella citt in cui Giambattista Vico, in un tempo di grandiosi e rapidi progressi delle

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scienze matematiche, fisiche e naturali, per il primo lev la voce ad ammonire che se queste discipline, volte a soddisfare i bisogni pratici degli uomini, mancano di intima verit perch costruite su convenzioni, ci solo che l'uomo deve e pu veramente conoscere la storia sua, perch l'ha fatta lui e in ci egli simile a Dio, che conosce il mondo naturale per averlo creato; e con la scorta di questo pensiero medit la Scienza Nuova. E questo Istituto trova la sua sede in un antico palazzo napoletano, le cui scale egli soleva ascendere per recarsi a esercitare il suo mestiere d'insegnante in una casa principesca, dove altres, in un'accolta di gentiluomini e di letterati, mentre elaborava la prima trattazione sistematica della Scienza Nuova, anticip le sue discoverte. E questa medesimezza di luogo e questi ricordi sono di fausto auspicio, che innalza il nostro animo nel sentimento della prosecuzione di un compito sacro, a noi trasmesso come per domestico retaggio. Croce concludeva ribadendo le intenzioni tese al rinvigorimento e al progresso, in Italia e oltre l'Italia, del pensiero storico, premessa di seria e feconda vita sociale e politica. Intenzioni che crediamo buone, e tali da meritare che la fortuna le assista nell'opera alla quale ora si d avviamento. Ma, come era facile prevedere, emersero ben presto, soprattutto dopo la morte di Croce, opinioni contrastanti sulle finalit e la prassi attuata nellIstituto. Vivo ancora il filosofo come risulta dal volume La scuola di Croce di Elsa Romeo cera una certa tensione soprattutto verso linsegnante che pi specificamente trattava i temi filosofici, Alfredo Parente (altri docenti erano per la storia antica Giovanni Pugliese Carratelli e per la storia della letteratura Achille Geremicca). Significative le dichiarazioni dellattuale direttore dellIstituto, Gennaro Sasso: A insegnare la filosofia crociana avrebbe dovuto essere naturalmente lo stesso Croce Ma Croce era troppo in l con gli anni per assumersi un compito che non era stato mai il suo. E per questo forse ritenne che ad assolverlo potesse essere Parente, che conosceva bene il suo pensiero e, per conto suo, pensava rigorosamente allinterno del suo quadro categoriale. Credo che fosse, allora, una scelta inevitabile e obbligata. Certo per che, in molti casi, il contatto coi giovani che provenivano da altre esperienze, che magari conoscevano Croce di seconda mano (che il modo peggiore di conoscere) e che, non ritrovandosi nei suoi discorsi, tendevano alla polemica, non fu positivo. Sentendosi aggredito, Parente si faceva, a sua volta, polemico. Anche un altro allievo, Giuseppe Giarrizzo,

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mette in evidenza i contrasti con Parente: Un giorno Alfredo Parente, per spiegare a dei giovani cosa facesse lunit di un libro di storia, ripropose scolasticamente la tesi di Croce; la nostra reazione lo sconcert e fece diretto appello, come spesso gli accadeva, a Croce. Ma, nonostante certi contrasti in realt inspiegabili perch la preparazione specifica e genericamente culturale di Alfredo Parente era molto al di sopra di certe critiche nellIstituto si lavorava con zelo e dallesperienza di studio nascevano spesso lavori di rilievo che venivano pubblicati negli Annali. Giovanni Pugliese Carratelli, che fu alla testa dellIstituto per vari anni, sottolineava, nel ventennale della fondazione, che lIstituto stesso serba inalterato il suo carattere di libera scuola, aperta a quanti diano chiaro segno dessere chiamati agli studi storici ed animati da autentico interesse per la storia, quali che siano le loro ideologie. Di questo infatti pu vantarsi lIstituto, che n i giovani italiani e stranieri che hanno concorso in tanti anni alle borse di studio, n i maestri che li hanno avviati allIstituto hanno mai avvertito nellattivit di questo intolleranze o preclusioni ideologiche. Ma critiche allistituzione vengono ugualmente: nel primo capitolo del singolare volume Il capitale d'avventura. I centri della cultura in Italia (1974) Federico Orlando fornisce una sintesi assai persuasiva dei fini e dei risultati raggiunti dall'Istituto italiano per gli studi storici, da lui definito nel titolo cittadella della ragione nel conformismo delle mode. Orlando osserva che il livello degli allievi discontinuo: forti personalit giovanili si alternano a elementi mediocri, cultori di studi storici si affiancano a contestatori che non ne sono per niente interessati; costoro nel 1971 non gradirono Braudel, uno dei maggiori storici contemporanei, perch non allineato con la sociologia marxista e bench sociologizzante sul piano storico, mostrando cos una incompetenza che fa temere perduti i tempi in cui gli allievi si chiamavano De Caprariis, Matteucci, Violante, Franchini, Romeo. Spesso la preparazione delle nuove leve soltanto lo specchio del disordine portato nella vecchia scuola da riforme prive di nuovi contenuti: le preparazioni, quando ci sono, sono strettamente specialistiche, sicch chi all'Universit abbia studiato storia degli Aragonesi pu arrivare all'Istituto senza sapere nulla del Risorgimento; e pi spesso senza aver letto un rigo di Croce. Strettamente legata allIstituto la ricchissima Biblioteca di Croce, eretta in ente morale nel dicembre del 1956. Ottantamila

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volumi e cinquantamila opuscoli raccolti amorevolmente da Croce sono rimasti in sette stanze del palazzo Filomarino a disposizione degli studiosi. Ma anche questi libri avevano dovuto superare numerosi travagli. Il giornalista Tommaso Martella, del Corriere della Sera, che si incontr con Croce nel 1945, ne parl direttamente con il filosofo: Dopo qualche minuto di anticamera, passato col batticuore, lo scrivente ebbe la sorpresa di vedere Croce che, uscito dalla porta dello studio, gli andava incontro a passettini rapidi, gli stringeva affabilmente le mani e lo faceva accomodare in una poltrona dello stesso studio, di fronte a lui che s'era seduto in un'altra. L'imbarazzo pass subito perch Croce era la semplicit fatta persona; chiestogli quanti fossero i libri giacenti ancora nei sotterranei del Museo Nazionale, si mise a sorridere e raccont argutamente che aveva temuto per la loro sorte assai di pi con l'arrivo e la permanenza delle truppe alleate che non quando la citt era martoriata dai continui bombardamenti. Gi, perch alcuni soldati americani prendevano i loro pasti in quegli stessi sotterranei; e delle casse in cui i libri erano racchiusi si servivano come tavole da pranzo, lasciando che i brodi e i sughi colassero per gli interstizi a rovinare, pi o meno irrimediabilmente, le edizioni rare, i volumi introvabili. Col cuore in tumulto, non appena seppe del pericolo che correva parte della sua biblioteca, s'affrett a scrivere al generale Clark, manifestandogli tutta la sua pi fiera preoccupazione che, peraltro, non ebbe modo di prolungarsi molto perch il comandante americano, di l a un paio di giorni, mise a disposizione di Croce alcuni autocarri militari per mezzo dei quali le casse dei libri ritornarono felicemente al palazzo di Trinit Maggiore, salve dai sughi e dai brodi delle truppe alleate. Qualche cassa era ancora da riaprire e Croce, ormai trasportato in pieno da quell'argomento prediletto, si alz dalla poltrona, affettuosamente prese l'ospite sotto braccio e, felice, lo accompagn in giro per le vaste stanze ripiene di libri fino al soffitto. Davanti a un solenne scaffale, mont su una scaletta e, a colpo sicuro, trasse da un palco un volumetto, ridiscese e, sempre sorridendo, ne apr la prima pagina per mostrarmi la firma d'un Benedetto Croce quindicenne. A quindici anni - disse - aveva acquistato il libriccino e s'era affrettato, con quella gioia che solo chi ama i libri pu capire, a metterci la sua firma, come per un'affermazione di propriet che nessuno ormai avrebbe pi potuto contestargli. Come vede - aggiunse, con una punta d'arguzia non priva di malinconia, facendo scorrere un dito sulla

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firma fatta con scolastica diligenza - scrivevo meglio allora che adesso Riprese a parlare dei suoi libri; anzi, per una seconda volta, ebbe la condiscendente amabilit di rialzarsi dalla poltrona per accompagnare di nuovo l'ospite in un altro degli stanzoni, dove con la felicit d'un ragazzo che ha un ghiotto segreto da svelare, trasse, ancora a colpo sicuro dall'imponente schieramento, un vecchissimo, rarissimo libro sul quale era caduto il discorso. Questo - egli disse l'ho trovato a 17 anni. Ecco, infatti, la mia firma e la data. Anche due anni dopo, come vede, ancora riuscivo a scrivere bene. Torn a sorridere con la consueta arguzia, mentre carezzava amorosamente sul dorso il prezioso volume. LIstituto Italiano per gli Studi Storici e la ricchissima, qualificatissima Biblioteca, costituiscono la pi grande eredit che Benedetto Croce ha lasciato alla sua amata Napoli.

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NOTA BIBLIOGRAFICA A Napoli Benedetto Croce ha dedicato alcuni volumi specifici, ed in particolare in ordine di tempo I Teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo (1891); La Rivoluzione Napoletana del 1799. Biografie, racconti, ricerche (1911); Storie e leggende napoletane (1919); Storia del Regno di Napoli (1925). Ma in numerose altre opere ci sono capitoli che trattano argomenti collegati a Napoli. Nelle indicazioni che seguono verr citato lanno della prima edizione dei vari volumi, ma va anche tenuto presente che gran parte dei testi inseriti in questi lavori erano gi stati pubblicati in giornali, riviste, Atti accademici (tra gli altri Napoli nobilissima, Atti dellAccademia Pontaniana, Archivio storico della provincia di Napoli, La Critica) Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, 1911 - Giambattista Basile e il Cunto de li Cunti (commento alledizione critica pubblicata dallo stesso Croce); Soggiorno di Miguel Cervantes a Napoli alla fine del Seicento; Studio su Pulcinella e la Commedia dellArte, in polemica col tedesco Albrecht Dietricht, che sosteneva la tesi della derivazione di Pulcinella dal teatro romano antico; Il tipo del napoletano nella commedia; Un descrittore di Napoli: Carlo Celano autore di una notevole guida della citt per gli stranieri. La letteratura della nuova Italia: saggi critici, 1914 - Saggi su Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo, Francesco DOvidio, Giovanni Bovio; La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900. La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza , 1915 - La corte spagnuola di Alfonso dAragona a Napoli; Memorie degli spagnuoli nella citt di Napoli; Alcuni artisti spagnuoli che lavoravano a Napoli; Unosteria famosa di Napoli e una parola della lingua spagnola (losteria era quella del Cerriglio, parola derivata da un nomignolo spagnuolo affibbiato a soldati frequentatori di quella taverna).

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Una famiglia di patrioti ed altri saggi storici e critici , 1919 - La monografia una famiglia di patrioti, quella dei Poerio con riferimenti anche al marito di Carlotta, Paolo Emilio Imbriani; Le lezioni del De Sanctis nella sua prima scuola privata a Napoli. Uomini e cose della vecchia Italia, 1927 - Il paradiso abitato da diavoli, riferendosi a Napoli con un proverbio scherzoso preso sul serio da alcuni stranieri tra cui il tedesco Adlerhold; Sentenze e giudizi di Bernardo Tanucci; La vita religiosa a Napoli nel Settecento; Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie; Gli ultimi borbonici. Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento , 1931 - Donne letterate nel Seicento, tra le quali suor Orsola Benincasa di Napoli e Margherita Sarrocchi anchessa napoletana; Sulla letteratura dialettale e i costumi napoletani (Giambattista Basile, Giulio Cesare Cortese, Francesco Antonio Giusto, Gabriele Fasano e considerazioni su alcune voci dialettali come farinello, scuietato, mozzarella; Shakespeare, Napoli e la Commedia napoletana dellarte, con particolare riguardo a The Tempest. Conversazioni critiche, 1932 - Villanelle napoletane; Il Pentamerone del Basile e le sue traduzioni; La poesia di Francesco Gaeta e altri scritti del poeta (suicidatosi a Napoli subito dopo la morte della madre). Poesia popolare e poesia darte: studi sulla poesia italiana dal Tre al Cinquecento, 1933 - Saggi, tra gli altri, su Vittorio Colonna, sul Pontano e sul Sannazaro. Variet di storia letteraria e civile, 1935 - I lazzari negli avvenimenti del 1799; Il linguaggio dei gesti, come commento a un volume dellarcheologo Andrea De Iorio dal titolo La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano. Vite di avventure, di fede, di passione, 1935 - Il marchese di Vico, Galeazzo Caracciolo, che abbandon lItalia, la moglie e sei figli, per professare il calvinismo a Ginevra; Isabella di Morra e Diego

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Sandoval de Castro, due poeti che si erano scambiati lettere damore e furono trucidati dai fratelli di lei. La letteratura della nuova Italia, 1940 - Memorie e fantasie di artisti (tra i quali Domenico Morelli, Gioacchino Toma, Eduardo Dalbono); Storici (tra cui Raffaele De Cesare); Traduttori (tra cui Michele Kerbaker); Scrittori in dialetto (tra cui Ferdinando Russo), e ancora saggi su Edoardo Scarfoglio e Francesco Gaeta. Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, 1945 - Intorno alle parodie, in particolare la traduzione parodistica dellEneide del gesuita Nicola Stigliola in dialetto napoletano, alla parodia della Gerusalemme Liberata dovuta a Gabriele Fasano in napoletano, e quella dei primi libri dellIliade stesa nello stesso dialetto da Nicola Capasso; Letterati e poeti in Napoli sul cadere del Cinquecento e il sorgere del Marinismo (con particolare riferimento alla gara poetica celebratasi tra letterati napoletani in compianto della bellissima Maria dAvalos, uccisa, insieme con lamante Fabrizio Carafa, dal marito Carlo Gesualdo, autore di madrigali); Il cantastorie napoletano Velardiniello. La letteratura del Settecento, 1949 - La Cicalata di Nicola Valletta, sul fascino volgarmente detto iettatura; Opuscoli e disegni giocosi dellabate Galiani. Variet di storia civile e letteraria , 1949 - Servi di Dio, beati e santi napoletani, tra il Seicento e lOttocento; La Riconquista del Regno di Napoli nel 1799 e la politica del cardinal Ruffo; Don Gaspare Selvaggi, gi giacobino, esule in Francia dove fu maestro di musica, rientrato a Napoli nel 1848 e a ottantacinque anni nominato prefetto della Biblioteca borbonica. Aneddoti di varia letteratura, 1942 - Poesia volgare a Napoli nella prima met del Quattrocento; Vedute della citt di Napoli nel Quattrocento; Il primo descrittore di Napoli: Benedetto De Falco; I seggi di Napoli (Capuana, Nido, Montagna, Porto, Portanuova e del Popolo); Lodi di dame napoletane del Cinquecento; Recensione del libro di Ferdinando Russo sul poeta napoletano Velardiniello; Napoli, Roma e Venezia: paragoni di citt italiane; Piedigrotta: lorigine della

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chiesa e della festa in una lettera aperta a Salvatore Di Giacomo nel settembre 1942 e curiosit storiche sulla citata festa nella vita e nella storia; Canti politici del popolo napoletano (da una canzone del 1432 ai canti composti nel 1860 contro Francesco II di Borbone e Maria Sofia); Stampatori e librai napoletani nella prima met del Settecento; Il Conservatorio dei Poveri di Ges Cristo e la leggenda degli amori del Pergolesi; La casa di Caffarello, che il celebre soprano castrato Gaetano Magliorato si era fatto costruire nel vico Carminiello apponendovi una sua lapide; Il palazzo Cellammare a Chiaia e il principe di Francavilla; Il primo pallone aerostatico a Napoli, elevato nel settembre 1789; Wolfang Goethe a Napoli; Federico Munter e la massoneria in Napoli nel 1785-86; I Rinaldi o i cantastorie in Napoli; I lazzari: origine seicentesca del nome; Il divorzio nelle province napoletane: ammesso nel 1809 col Codice Napoleonico e soppresso nel 1815 da re Ferdinando; Monsignor Perrelli nella storia (il prototipo del prelato balordo, che secondo Croce sarebbe lespressione di due persone effettive di tal nome); Francesco De Sanctis e lo scioglimento e la ricomposizione della Societ reale di Napoli; Carlo Poerio, commemorato alla Camera italiana nel 1877. Pagine sparse, 1943 - Difesa di una chiesetta barocca, la Croce di Lucca; Polemica sul Museo Nazionale; Sistemazione della Biblioteca Nazionale a Palazzo Reale; Intervento in Parlamento per la Stazione zoologica Dohrn; La mancata nomina a senatore di Salvatore Di Giacomo; Perizia in tribunale a favore di Edoardo Scarpetta nella vertenza con DAnnunzio per Il figlio di Jorio; Relazioni alla Societ di Storia Patria e allAccademia Pontaniana. Quando lItalia era tagliata in due, 1946 - Una toccante dedica alla mia Napoli.

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INDICE DEI NOMI

Ainslie, Douglas Ambrosini, Luigi Angirsani, Franco Anile, Antonino Arcoleo, Giorgio Artieri, Giovanni Basile, Giambattista Benincasa, suor Orsola Benvenuti, Corrado Bernari, Carlo Boccaccio, Giovanni Borraro, Pietro Bottai, Giovanni Bovio, Giovanni Bracco, Roberto Bragaglia, Anton Giulio Buonuomo, Ambrogio Calcese, Andrea Capasso, Bartolomeo Carafa, Fabrizio Carafa, Riccardo Carlo di Borbone Caracciolo, Galeazzo Carratelli, Giovanni Pugliese Caserta, Ernesto G. Cassandro, Giovanni Ceci, Giuseppe Celano, Carlo Cerulli, Enrico

Chabod, Federico Cini, G.B. Colonna, Vittorio Compagna, Francesco Conforti, Luigi Corbino, Epicarmo Cortese, Giulio Cesare Cortese, Guido Cranach, Luca Croce, Adele Croce, Alda Croce, Elena Croce, Pasquale D'Avalos, Maria D'Ovidio, Francesco Dalbono, Eduardo De Cesare, Raffaele De Falco, Benedetto De Filippo, Edoardo De Fonseca Pimentel, Eleonora De Iorio, Andrea De la Ville-Sur-Yllon, Lodovico De Leva, Enrico De' Liguori, Alfonso Maria De Mauro, Tullio De Monte, Matteo De Nicola, Enrico De Rinaldis, Aldo De Rosa, Loise De Sanctis, Francesco

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De Simone, Roberto Del Franco, Costantino Della Porta, Giambattista Di Giacomo, Salvatore Di Morra, Isabella Dieterich, Alberto Dohrn, Antonio Dohrn, Rinaldo Doria, Gino Eco, Umberto Einaudi, Luigi Fasano, Gabriele Federico d'Aragona Fellini, Federico Ferdinando IV Filangieri, Gaetano Filangieri, Riccardo Fiorillo, Silvio Fiorino, Tiberio Flora, Francesco Forges-Davanzati, Mario Fortunato, Ernesto Fortunato, Giustino Francesco II Franchini, Raffaello Fratta, Arturo Fusc, Franco Gaeta, Francesco Galasso, Giuseppe Galiani (abate) Gemito, Vincenzo Gentile, Giovanni Geremicca, Achille Gesualdo, Carlo Giancaspro, Mauro Giarrizzo, Giuseppe

Gigante, Marcello Giusto, Francesco Antonio Goethe, Wolfgang Gozzi, Carlo Guerra, Tonino Guerrieri, Guerriera Imbriani, Paolo Emilio Imbriani, Vittorio Kant, Emmanuel Kerbaker, Michele Labriola, Antonio Laterza, Giovanni Leone, Giovanni Lombardi Satriani, Luigi Maria Lucrezi, Bruno Maffei, Salvatore Magliorato,Gaetano Manselli, Raoul Maria Cristina di Savoia Marra Beth, Dora Martella, Tommaso Medicus, Fritz Marini, Giuseppe Molinaro, Luigi Monterey (vicer) Morelli, Domenico Munter, Federico Nicolini, Fausto Nicolini, Nicola Nitti, Francesco Saverio Ojetti, Ugo Omodeo, Adolfo Orlando, Federico

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Pais, Ettore Pane, Roberto Papini, Giovanni Parente, Alfredo Parrino, Domenico Antonio Pedull, Walter Perrelli (monsignor) Peyrefitte, Roger Pierro, Luigi Pio Ferdinando duca di Calabria Poerio (famiglia) Pontieri, Ernesto Porzio, Giovanni Puccini, Giacomo Raffaele, Federico Ragghianti, Carlo Ludovico Rea, Domenico Ricciardi, Riccardo Rocco (padre) Romeo, Elsa Rossi, Angelo Russo, Ferdinando Russo, Luigi Russo, Vincenzio Ruta, Enrico Salustri, Carlo Alberto detto Trilussa Sandoval de Castro, Diego Sanfelice, Luisa Sannazaro, Jacopo Sarnelli, Pompeo Sarrocchi, Margherita Sasso, Gennaro

Scanio, Pecoraro Scarfoglio, Edoardo Scarpetta, Edoardo Scarfoglio, Edoardo Schipa, Michelangelo Selvaggi, don Gaspare Serao, Matilde Sipari, Francesco Sipari, Luisa Spaventa, Silvio Spinazzola, Vittorio Talarico, Vincenzo Tanucci, Bernardo Tessitore, Fulvio Toma, Gioacchino Torraca, Francesco Tramonte, Raffaele Troya, Carlo Valletta, Nicola Velardiniello Venturi, Adolfo Vico, Giambattista Viviani, Raffaele Vorluni, Giuseppe Vossler, Karl Windelband, Guglielmo Zaghi, Carlo Zampanelli, Angiolina Zezza, Michele

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