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Colle, gli 11 presidenti Pertini, al Colle il socialista che sapeva resistere - Il Fatto Quotidiano

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Colle, gli 11 presidenti Pertini, al Colle il socialista che sapeva resistere


Antifascista, arriva al Quirinale nel 1978. La questione morale era il suo pallino, anche contro il Psi. Craxi mise il cappello sulla sua elezione che, in realt, ha osteggiato fino all'ultimo
di Marco Travaglio | 15 aprile 2013

Dicevano che giocavamo a perdere. Invece giocavamo a vincere. E con Pertini abbiamo vinto. Oggi, per la prima volta nella storia, va al Quirinale un socialista. Bettino Craxi tenter di mettere il cappello sul Presidente Partigiano. Ma la verit opposta: nel 1978, quando si trattato di cercare il successore di Giovanni Leone, lui Pertini lha osteggiato finch ha potuto. E vi si rassegnato soltanto in extremis. Pur di non aprire la strada allennesimo democristiano, o allodiatissimo Ugo La Malfa. La campagna presidenziale di 35 anni fa si apre con sei mesi danticipo sulla tabella di marcia. Giovanni Leone se ne dovrebbe andare solo a dicembre, ma si dimette sei mesi prima, per mettere fine alla campagna politico-giornalistica delle sinistre. Il 1978 forse lanno pi nero della Repubblica italiana: i grandi scandali, il nervosismo atlantico per lingresso dei comunisti nellarea di governo, il terrorismo che dilaga nelle strade, la strage di via Fani seguita dal sequestro di Aldo Moro, la spaccatura dei partiti tra il fronte della fermezza e quello della trattativa con le Br, e alla fine quella terribile Renault rossa parcheggiata in via Caetani, a met strada fra Botteghe Oscure e piazza del Ges, con il corpo del presidente della Dc crivellato di colpi e rannicchiato nel bagagliaio.

La morte di Moro, candidato numero uno al Quirinale, con le drammatiche dimissioni del ministro dellInterno Francesco Cossiga, del 9 maggio. Luscita di scena di Leone, del 15 giugno. I papabili per la successione sono il segretario Dc, Benigno Zaccagnini, il segretario repubblicano La Malfa, i socialisti di sinistra Francesco De Martino e Antonio Giolitti. I primi due portati dal fronte della fermezza (segreteria Dc, Pci, Pri), gli altri due da quello della trattativa, che ruota intorno al Psi. Ma nei primi tre scrutini quelli che richiedono la maggioranza dei due terzi delle Camere ciascun partito vota il proprio candidato di bandiera. ormai la fine di giugno e nemmeno nelle successive votazioni limpasse accenna a sbloccarsi: altre dodici fumate nere. Il socialista e il compagno Berlinguer

Per ammazzare il tempo fra una tornata e laltra, alcuni giovani deputati democristiani organizzano partitelle a calcetto in periferia e rientrano a Montecitorio con la sacca sportiva: tra questi, ci sono un tal Clemente Mastella e un certo Antonio Segni. Craxi, a questo punto, fa la voce grossa con Zaccagnini: O un socialista (Giolitti, ndr) sale al Quirinale, o il Psi scende dal governo Andreotti. I toni sono quelli perentori e ricattatori del miglior Ghino di Tacco. E gli altri partiti sembrano daccordo con lui. Tranne la Dc, che tiene duro su Zac, e il Pri, tetragono su La Malfa. Il leader dellEdera, come poi Pertini, fa finta di non ambire alla poltrona, e per affettare distacco si trasferisce per qualche giorno in Val dAosta annunciando: Mi sono definitivamente allontanato dalla politica. Salvo poi ripiombare a Roma non appena si comincia a fare sul serio. Enrico Berlinguer, che i socialisti li detesta (chiama Craxi il gangster), ha una sola preoccupazione se socialista devessere il nuovo Presidente, che almeno sia il pi lontano possibile da Craxi. Ecco cos affiorare, a sorpresa, il nome di Sandro Pertini.

dagli anni 50, allindomani della Resistenza, che questo anziano socialista savonese classe 1896 considerato una vecchia gloria dallo stesso Psi: un monumento da venerare, ma purch resti sul piedistallo e soprattutto chiuso in una teca, alla larga da incarichi partitici e governativi, al massimo da issare come una
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bandiera su una poltrona istituzionale di rappresentanza, come la presidenza della Camera dal 1968 al 76. A quel punto, pare a tutti che il vegliardo possa ritirarsi in buon ordine. Pochi sospettano che la sua vera carriera politica sta appena per cominciare. Pertini piace ai comunisti per le stesse ragioni che lo rendono inviso a Bettino: predica il ritorno ai rapporti unitari nella sinistra, suo vecchio pallino, sferza la nuova generazione socialista, avversa la linea molle dei craxiani sul terrorismo ed un alfiere della questione morale berlingueriana. Ne ha dato prova nel 1974, da presidente della Camera, prima respingendo laumento dellindennit dei deputati (Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dallinflazione voi date questesempio dinsensibilit? Io deploro liniziativa, ho detto. Entro unora potete eleggere un altro presidente della Camera . Siete 630, ne trovate subito 640 che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo).

E poi schierandosi dalla parte dei tre giovani pretori della sua Liguria Mario Almerighi, Carlo Brusco Adriano Sansa che avevano scoperchiato il primo scandalo dei petroli: i partiti e quasi lintero Parlamento a libro paga dellUnione Petrolifera in cambio di leggi fiscali di favore. Mentre politici e grande stampa attaccavano i pretori dassalto, Pertini li ricevette a Montecitorio (ma nella lavanderia, perch gli uffici erano infestati di microspie, o almeno cos lui pensava) e prometteva loro il suo pieno appoggio. E in effetti li difese pubblicamente, come in una memorabile intervista a Nantas Salvalaggio su La Domenica del Corriere: Non accetter mai di diventare il complice di coloro che stanno affossando la democrazia e la giustizia in una valanga di corruzione. Non c ragione al mondo che giustifichi la copertura di un disonesto, anche se deputato. Lo scandalo pi intollerabile sarebbe quello di soffocare lo scandalo. Lopinione pubblica non lo tollererebbe. Io, neppure. Ho gi detto alla mia Carla: tieni pronte le valigie, potrei piantare tuttoIo spero che i documenti dei famosi pretori dassalto siano vagliati con rigore. Spero che tutto sar discusso in aula, e nessuna copertura sar frettolosamente inventata dai padrini dellassegno sottobanco Mi fanno pena i magistrati e i politici che cercano di tagliare le gambe ai pretori dellinchiesta sullo scandalo del petrolio. Dicono che sono troppo giovani: ma da quando la giovinezza un reato? Se mai un sintomo esaltante e meraviglioso: significa che il Paese ha una riserva di coraggio e di onest nelle nuove generazioni. E poi, mi creda: questi giovani (beati loro!) sono stati esemplari, rapidissimi. In tredici giorni hanno vagliato quintali di documenti. Hanno perduto ciascuno tre o quattro chili, mi dicono. Ma quel sudore, quella fatica, che possono ora lavare le macchie dei piccoli e grandi corruttori. Nel mio partito mi accusano di non avere souplesse. Dicono che un partito moderno si deve adeguare. Ma adeguare a che cosa, santa Madonna? Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo. Meglio allora il partito non adeguato e poco moderno. Meglio il nostro vecchio partito clandestino, senza sedi al neon, senza segretarie dalle gambe lunghe e dalle unghie ultralaccate Dobbiamo tagliarci il bubbone da soli e subito. Non basta i borotalco a guarire una piaga. Ci sono i ladri, gli imbroglioni? Bene, facciamo i nomi e affidiamoli al magistrato.

Per questo, quattro anni dopo, non solo Craxi, ma anche la Dc storce il naso su Pertini: a parte let (81 anni suonati), il vecchio Sandro puzza di Fronte Popolare distante un miglio (anche se nel 1948 si era opposto allalleanza Pci-Psi, ritenendola un tragico errore). Cos il 2 luglio, nel tentativo di bruciarlo, Craxi lancia Pertini presentandolo come il candidato di tutta la sinistra. Il vegliardo per annusa la trappola e lindomani lui stesso, furibondo, a chiedere di non essere votato. Mossa geniale. Mentre tutti lo credono fuori gioco, lui allinsaputa del suo partito comincia a muoversi in ogni direzione per allacciare i rapporti con i vecchi amici (Alessandro Natta, Giorgio Amendola, La Malfa). Giolitti, intanto, tramonta, mentre sembra decollare La Malfa, simbolo vivente del compromesso storico dopo la scomparsa di Moro. Proprio per questo Craxi lo osteggia e, pur di sbarrargli il passo, ripesca Pertini. Anche Andreotti, per evitare che Sandro salga al Quirinale con i voti determinanti dei craxiani, convince la Dc ad appoggiarlo dopo una lunga serie di astensioni. Pertini, con laria di quello che non ci tiene, ostenta indifferenza. Ma non si perde un passaggio della partita a scacchi e segue ogni mossa di amici e nemici dalla sua bella casa in piazza Navona. Qui, il 7 luglio, lo raggiunge la notizia che il pi fatto. Non ha mai capito granch di politica politicante, ma stavolta si gioca la partita da maestro. Diffidente, continua a tessere abilmente la sua tela, ma anche a fingersi rassegnato alla sconfitta. E, per rendere pi credibile la sceneggiata, prepara i bagagli per le vacanze estive a Nizza che lo sa benissimo dovr rimandare. Dire che l8 luglio venga colto di sorpresa dallannuncio dello scrutinio decisivo, sarebbe una bugia. Ma lui lo dice. Affermare che ha gi pronto il discorso dinvestitura sarebbe la verit. Ma lui lo nega. Mesi dopo rievocher cos quelle ore cruciali, con una dose di sfrontatezza pari soltanto alla simpatia: Quando mi hanno offerto la presidenza della Repubblica, a 82 anni, io sono diventato pallido come un morto. Questi miei giovani compagni del Psi, invece, quando gli offrono una carica se la prendono senza batter ciglio. Comunque son sicuro che, dei mie
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832 elettori, almeno la met si sono gi pentiti. Lelezione a sorpresa Dunque l8 luglio, al sedicesimo e ultimo scrutinio, Pertini raccoglie 832 voti su 995 (l83.6%): la maggioranza pi ampia mai raccolta fino a quel momento da un presidente della Repubblica italiana. Praticamente lintero arco costituzionale, che taglia fuori soltanto il Msi. Il discorso dinsediamento, lindomani, un abile cocktail di antifascismo, resistenzialismo e partito degli onesti, con le nobili aggiunte di un ricordo di Moro, un onore delle armi a Leone e un fermo appello contro ogni cedimento al terrorismo. Tutti felici, contenti e plaudenti. Almeno finch Pertini, uscendo dallaula, non minaccia sia pure bonariamente: Chi si illude che io duri poco, se lo levi dalla testa. Mia madre mor a 90 anni, e solo perch cadde da una sedia. Mio fratello ha felicemente raggiunto quota 94. Indro Montanelli, che abita con la moglie Colette in un attico su Piazza Navona prospiciente le finestre della sua casa, gli invia un telegramma agrodolce di benvenuto sul Colle: Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e che si debbono fare; lumilt di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre. Non ne far granch tesoro, Pertini, accompagnato da cori di giubilo ed esaltazione dei media, che fanno a gara a esaltare la sua biografia di socialista onesto nato a Stella (Savona), educato dai salesiani, eroe della Grande guerra, socialista e fin da subito antifascista tutto dun pezzo, compagno di fuga di Filippo Turati, esule in Francia dove si guadagn da vivere facendo il manovale (ma il muratore lo fece un giorno solo, e quel giorno riusc a farsi fotografare, lo corbellava Nenni), arrestato in Italia nel 1929 e sbattuto in carcere con Gramsci e poi al confino fino al 1943, ardimentoso capo della Resistenza. Su altri particolari pi controversi, come il ruolo nella fucilazione di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, o le scalmane allindomani della Liberazione nellattesa della rivoluzione socialista che per fortuna non venne, o ancora le lodi allinvasione sovietica dellUngheria nel 1956, gli agiografi sorvolano. Cos come sorvoleranno sui molti strappi alla Costituzione che costelleranno la presidenza Pertini, inaugurando quel presidenzialismo strisciante a base di esternazioni a ruota libera, poi ampiamente sviluppato e istituzionalizzato da Cossiga, Scalfaro e dopo la parentesi Ciampi Napolitano.

La presidenza Pertini un lungo terremoto durato sette anni. Nel Quirinale un po grave o lento lasciato da Leone & famiglia, o almeno dalla loro rappresentazione mediatica che vi ha aggiunto del suo, il vecchio Sandro porta odore di bucato: la sua onest unanimemente riconosciuta, la sua immagine di bonariet rigorosa quel che ci vuole per restituire un po di prestigio e di popolarit alle istituzioni. Il suo settennato non sar mai sfiorato dallombra di uno scandalo e registrer tra i non pochi pregi quello di aver rotto il quarantennale monopolio della Dc su Palazzo Chigi con la nomina dei due primi governi a guida laica: prima quello di Giovanni Spadolini (dopo un vano incarico a La Malfa), poi quello di Craxi (che si presenta al Quirinale in blue jeans, e lui lo rispedisce a casa a cambiarsi: Vai, vai, ne riparliamo pi tardi). In pi Pertini, diversamente da Leone, non tiene famiglia: non ha figli, e la moglie Carla Voltolina, donna schiva e bizzarra ai limiti della scontrosit, non metter mai piede a Palazzo e non poser mai da first lady, evitando di aggiungere altre dosi di sale e pepe a quelle che lintemperante marito semina in giro per lItalia e per il mondo. Perch lui, Sandro, un gaffeur da competizione. Gaffes lungamente studiate a tavolino, le sue, come quelle di Mike Bongiorno, per apparire ancor pi spontaneo, scomodo e vicino alla gente di quanto gi non sia di suo. Il nonno degli italiani, assecondato e incoraggiato da una stampa conformista e da una classe politica che tenta di usarlo come foglia di fico (Guido Ceronetti definisce il fenomeno papagiovannificazione, e anche Montanelli non perde occasione per canzonare il suo voluttuoso presenzialismo mediatico), bacia migliaia di bambini, abbraccia decine di migliaia di madri e nonne, lacrima copiosamente a migliaia di funerali, intralcia i soccorsi in varie sciagure: dal pozzo di Vermicino al terremoto in Irpinia. E proprio nei giorni del disastro avellinese va in tv ad accusare, in un famoso messaggio alla Nazione, di collusione col sisma il governo da lui stesso nominato e la classe politica di cui ha sempre fatto parte.

Ma questo anche il bello di nonno Sandro: avvicinare unistituzione fino ad allora lontana e irraggiungibile, il Quirinale, alla gente comune che dei politici ha smesso di fidarsi da un pezzo. Anche perch Pertini, col suo pane al pane e vino al vino, d limpressione di credere a quel che dice. E, anche quando piange, di non farlo a comando. Piange nellagosto 1980 in piazza Maggiore a Bologna, accanto a sindaco Renato Zangheri, per i funerali delle vittime della strage. Piange nel giugno 1984, quando si ritrova
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a Padova dove Berlinguer s appena sentito male nel famoso comizio. Arriva fra i primi in ospedale e, insieme a Tonino Tat, si fa portare nella stanza dove il leader comunista intubato alle macchine. Si fa allestire una stanza, ha un lieve malore ma non si muove di l, ascolta i medici dire che non c pi niente da fare, piange e conforta i famigliari: Lo porto a casa io, come un fratello, un amico. Un compagno di lotta. Si carica la bara del compagno Enrico sullaereo presidenziale e laccompagna ai funerali in piazza San Giovanni, il 13 giugno, con un milione di persone, ancora in lacrime. Diplomazia a stile libero

Per converso, glincidenti diplomatici provocati dalle sue esternazioni pesudo-improvvisate non si contano. Confonde il Guatemala col Nicaragua. Imputa la strage di Sabra e Chatila agli israeliani anzich ai falangisti libanesi. Tira in ballo lUrss come mandante delle Br senza uno straccio di prova. Fraternizza con papa Wojtyla come se fosse il cappellano del Quirinale. Confida alla stampa di aver saputo da re Hussein di Giordania che il capo druso Jumblatt un morfinomane. Annuncia il ritiro del contingente italiano dal Libano senza che il governo ne sappia nulla (me lha detto coso: che, per la cronaca, il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini). Quando muore Berlinguer, trasforma i funerali in un mega-spot elettorale che frutta al Pci il sorpasso sulla Dc alle elezioni europee. Quando defunge il presidente sovietico Cernenko, non proprio un campione di democrazia, interrompe una visita ufficiale in Sudamerica per volare a Mosca a piangere sulla sua bara. E quando i controllori di volo Alitalia ufficiali dellAeronautica entrano in sciopero, anzich farli arrestare come comandante delle Forze Armate per violata consegna, li riceve al Quirinale per avviare una mediazione col governo.

Egocentrico, estroverso, collerico, intollerante verso qualunque cenno di dissenso, Pertini si affaccia informale a ogni Capodanno nelle case degli italiani con la pipa e il caminetto accesi, menando fendenti a destra e a manca. Memorabile il discorso di fine 1981, lanno della scoperta della loggia P2: Questa P2 ha turbato, inquinato la nostra vita. Non mi interessa per ora se cada o non cada sotto il codice penale. Io guardo a un altro codice, che il codice morale, il codice che ogni uomo, specialmente di ogni uomo politico, dovrebbe portare scritto nella sua coscienza. Ebbene, la P2 cade sotto questo codice morale. Vi un proverbio che si usa dire: la moglie di Cesare non devessere sospettata, ma prima di tutto Cesare che non devessere sospettato. E allora ogni sospetto devono allontanare dalla loro persona gli uomini politici: non pu rimanere al suo posto chi stato indiziato in questa trappola della P2. La P2 si prefiggeva di compiere atti contro la Costituzione, contro la democrazia e contro la Repubblica. E quindi coloro che ne facevano parte dovranno risponderne prima di tutto dinanzi alla loro coscienza, ai loro partiti e soprattutto dinanzi al Parlamento. Non vi pu essere in questo caso alcuna comprensione e alcuna solidariet. Ripeto quel che ho detto altre volte: qui le solidariet personali, le solidariet di partiti diventano complicit.

Altre volte i fulmini di Pertini si appuntano contro contro i suoi stessi governi, costringendo poi il Presidente a precisazioni imbarazzate e a contorsionismi diplomatici riparatori con gli esecutivi offesi dalla sua furia fanciullesca. Un giorno il povero Maccanico, spinto dalle segreterie dei partiti dopo una delle dirompenti esternazioni dellarzillo misirizzi, gli telefona a Selva di Val Gardena dov in vacanza: Forse, Presidente, se mi posso permettere, troppe interviste potrebbero danneggiarla. E subito viene investito dalla trillante vocetta dallaltro capo del filo: Io parlo con chi voglio, di cosa voglio, quante volte voglio!. Epico il burrascoso licenziamento, dopo soli due anni, del suo capufficio stampa Antonio Ghirelli, grande giornalista napoletano: accade nel 1980, quando una nota del Quirinale annuncia la richiesta di dimissioni del ministro dellInterno Cossiga, accusato di favoreggiamento nei confronti di Marco Donat-Cattin, figlio del leader democristiano Carlo e terrorista di Prima Linea, sfuggito allarresto grazie a una soffiata. Ghirelli riveler anni dopo di aver offerto le proprie dimissioni daccordo con Pertini, in seguito alla solita sfuriata del Presidente, per tutelare un giovane collaboratore che aveva vergato il comunicato al posto suo. Lultima catastrofe la grazia concessa in tutta fretta da Pertini a Flora Pirri Ardizzone, una terrorista rossa condannata per associazione sovversiva, ma molto speciale: la figlia di Ninni, seconda moglie di Emanuele Macaluso. E molti commentano: cosa non si fa per gli amici. Ne vien fuori un putiferio e il segretario generale del Quirinale, Antonio Maccanico, costretto ad addossarsene tutta la colpa. Nel 1985, a fine settennato, i partiti esausti respingono al mittente le perentorie avances dellarzillo ottantottenne per essere riconfermato. E votano in massa per Francesco Cossiga. Il mite, il taciturno, il riservato, il notarile Cossiga. Insomma, lAntipertini. O almeno cos credono. Se ne accorgeranno. da Il Fatto Quotidiano del 15 aprile 2013

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