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SINDROME METABOLICA
Perchè ad un corso di Naturopatia, un allievo del primo anno decide di fare una tesi
(tesina) su una patologia così vasta e complessa come la Sindrome Metabolica?
Semplicemente perché penso che questa patologia si possa prevenire e curare con
un’educazione Naturopatica.
Ho una formazione infermieristica, esercitando la professione e stando a stretto
contatto con la classe medica, ho sempre visto curare le patologie in modo allopatico;
essendo però anche un osservatore, devo dire che troppo spesso le cure allopatiche
lasciano “effetti collaterali” che devono poi essere a loro volta”curati”. L’istinto e il
buon senso mi hanno spinto alla ricerca di metodi meno invasivi, più naturali ,quindi
allo studio prima di tutto, alla ricerca della semplicità, e oggi posso dire a frequentare
una scuola che riconosco vicino al mio pensiero.
Ho voluto parlare della Sindrome metabolica in quanto si potrebbe definire il”killer
del 21° secolo, racchiude un insieme di patologie, tutte aventi causa l’alimentazione
moderna e la vita sempre più sedentaria, due abitudini che possono essere cambiate,
e qui può entrare” in gioco” la Naturopatia.
Anche se in quest’anno ho imparato che la Naturopatia non cura ma porta ad un
equilibrio, mi sento autorizzato a dire che proprio in questo caso, nella Sindrome
metabolica, i consigli naturopatici e quindi la ricerca dell’equilibrio psico-fisico
possono portare a regredire da questa patologia.
Alla fine del terzo anno potrò affrontare questo argomento con una visione più
globale, oggi mi limiterò a discutere la patologia e a proporre gli interventi più idonei
in base alle mie conoscenze.
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1. Sindrome metabolica
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2. Fattori genetici e comportamentali
2.1.Alimentazione e sedentarietà
2.2.Predisposizione – Ereditarietà
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che normalmente provvede a rifornire di ossigeno tutte le cellule dell’organismo,
provoca una diminuzione del numero dei mitocondri con una conseguente
diminuzione dell’energia prodotta. Questo vuol dire che, a parità di cibo ingerito,
l’aumento di peso è dovuto alla scarsa dispersione energetica. In laboratorio è stato
visto che le cavie che non producono ossido nitrico ingrassano più delle altre, ma
sono anche ipertese, diabetiche e con un’eccessiva presenza di grassi nel sangue, tutti
fattori che rientrano nella definizione di sindrome metabolica. La ricerca scientifica
ha evidenziato come vi sia una rete complessa di segnali ormonali e nervosi in grado
di regolare l’appetito e la spesa energetica. Questa rete, grazie all’azione di specifici
ormoni, esplica queste azioni di collegamento con le strutture centrali, come
l’ipotalamo(area cerebrale che regola il senso di fame) e strutture periferiche, quali il
tessuto adiposo e il sistema gastro-intestinale, oggi considerati dei veri e propri
organi endocrini capaci di produrre ormoni. La letteratura più recente evidenzia come
i fattori più importanti al momento siano l’insulina, che pur essendo
abbondantemente prodotta nei pazienti con sindrome metabolica, non riesce ad agire
sugli organi (resistenza all’insulina) e la leptina che è in grado di indurre senso di
sazietà agendo a livello dell’ipotalamo. Numerose altre molecole di controllo
dell’appetito e del metabolismo energetico vengono oggi via via identificate, tra
queste stanno destando sempre più interesse la grelina e la resistina.
La grelina è prodotta dallo stomaco ed è coinvolta nel processo dell’appetito, agendo
a livello cerebrale e attivando particolari neuroni che inducono il senso della fame.
La resistina è un ormone prodotto dagli adipociti che aumenta nelle persone obese o
affette da diabete di tipo 2, non si conosce tuttavia la normale funzione fisiologica di
questo ormone.
Il significato di questi studi è cercare di capire quale ruolo possa avere ognuno di
questi agenti nello sviluppo e nel mantenimento della sindrome metabolica nelle sue
varie manifestazioni patologiche. Va sottolineato come ciascun soggetto possa avere
un profilo genetico differente e quindi possa ad esempio ammalarsi di obesità e
diabete mellito tipo 2 oppure possa sviluppare salamente obesità, o ancora possa
essere più o meno soggetto a dislipidemia. Dal momento che sui fattori genetici non
si può intervenire, si deve cercare di agire modificando quelli ambientali. Per poter
comprendere una sindrome così complessa non si può prescindere dai meccanismi
molecolari degli stati patologici che ne stanno alla base.
2.3.Diagnosi
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3. Obesità
Il calcolo della massa adiposa è indispensabile, per il fatto che un indice concepito in
questo modo non discrimina tra l’eccesso ponderale da obesità e da ipertrofia
muscolare. Quando l’obesità esordisce durante l’infanzia si definisce come obesità
“iperplastica” o “ipercellulare” ed è dipendente dall’aumento del numero degli
adipociti(questo tipo di obesità è condizionato dal tipo di dieta durante le fasi di
accrescimento “rapido”, tipiche dei primi due anni di vita e dell’adolescenza);
l’obesità dell’adulto è di tipo ipertrofico(aumento delle dimensioni degli adipociti).
In base alla distribuzione del grasso si distinguono diverse forme di obesità:
- Obesità centrale(o viscerale o androide o a mela): caratterizzata dal deposito
di adipe nella parte superiore del corpo e soprattutto a livello addominale. E’
tipica degli individui maschi adulti e brevilinei.
- Obesità periferica(o sottocutanea o ginoide o a pera): caratterizzata dal
deposito di adipe attorno alla cintura pelvica, nella parte inferiore del
corpo(fianchi, glutei), tipica delle donne.
- Obesità mista: distribuzione globale dell’adipe.
L’obesità di tipo androide è la forma più pericolosa, in questo tipo di obesità sono
frequenti le complicanze cardiovascolari quali l’ipertensione arteriosa, le
coronaropatie e le patologie associate a dismetabolismi. Quanto detto spiega il
motivo per cui la circonferenza addominale è considerata il fattore predittivo della
sindrome metabolica. E’ stato dimostrato che l’eccesso di grasso corporeo conferisce
un rischio per la malattia coronarica. L’obesità è inoltre associata a disturbi cronici
come l’ipertensione, il diabete mellito, la dislipidemia, ecc.
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Rispetto all’eccesso di grasso sottocutaneo, l’aumento di grasso intra-addominale o
viscerale predispone alla resistenza insulinica e all’obesità. L’eccesso di grasso intra-
addominale è il fattore di rischio principale per le malattie cardiovascolari come
evidenziato dalla presenza di un’anormale distribuzione lipoproteica nel
sangue(livelli di trigliceridi elevati e colesterolo lipoproteico ad alta densità
diminuito). Le anomalie metaboliche peggiorano perché il rapporto tra grasso
sottocutaneo e viscerale aumenta a favore di quest’ultimo. Sono stati ottenuti
miglioramenti dell’indice di sensibilità all’insulina e dei livelli di acidi grassi liberi in
seguito alla riduzione dell’obesità viscerale, indotta da una restrizione calorica,
indicando che la resistenza insulinica può essere relazionata al volume di grasso
viscerale. Negli ultimi anni è emerso il concetto che il tessuto adiposo è formato da
cellule capaci di sintetizzare e secernere proteine ed altri metaboliti che svolgono la
loro funzione nel sistema vascolare e in altri distretti del nostro organismo. Gli
adipociti infatti, oltre ad essere la principale sorgente di acidi grassi, si sono rivelati
centri di produzione di proteine, con funzioni altamente specializzate, di ormoni e di
fattori di crescita cellulare, secreti sia in condizioni basali che sotto stimolo
ormonale. I fattori secretori adipo-derivati o adipocitochine(dette anche adipochine)
possono essere coinvolti nello sviluppo della resistenza insulinica fornendo così un
apparente legame tra obesità, resistenza insulinica e altre caratteristiche chiave della
sindrome metabolica come l’ipertensione e la dislipidemia.
3.1.Leptina
Tra le proteine secrete dal tessuto adiposo quella che ha suscitato più interesse e la
leptina. Essa svolge un ruolo molto importante, in quanto costituisce il principale
messaggero che stimola i centri cerebrali della sazietà in maniera proporzionale alle
dimensioni raggiunte dal tessuto adiposo. I meccanismi mediante i quali la proteina
esercita degli effetti negativi sul tessuto adiposo non si limitano comunque alla
modulazione dei centri nervosi che regolano l’appetito, ma si estendono a più fini
controlli di tipo endocrino, metabolico e nutrizionale. Poiché la leptina viene
prodotta proporzionalmente alla massa adiposa, il digiuno prolungato provoca un
calo della sua sintesi, mentre il ripristino della alimentazione riporta velocemente le
concentrazioni tissutali di leptina ai valori normali. Anche i livelli plasmatici di
leptina seguono questo stesso andamento. La leptina agisce inoltre come sensore
della disponibilità di nutrienti per il tessuto adiposo, poiché la sua sintesi viene
indotta da un aumento della glicemia e della lipemia. La leptina è capace inoltre di
esercitare un’azione diretta sul metabolismo, inibendo la lipogenesi e stimolando la
lipolisi. Infine, essa è in grado di svolgere numerose altre funzioni di regolazione che
riguardano la riproduzione sessuale, l’ematopoiesi, l’angiogenesi, la risposta
immunitaria, il controllo della pressione arteriosa e la formazione di tessuto osseo.
La leptina mostra quindi di essere un composto sempre più paragonabile ad un
ormone, considerata la molteplicità dei tessuti bersaglio che rispondono alla sua
stimolazione ed il meccanismo di azione cellulare che richiede l’interazione con
specifici recettori.
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3.2.Adiponectina
Nel tessuto adiposo viene anche sintetizzata l’adiponectina chiamata con vari termini
tra cui Arc 30, AdipoQ, apM1, la cui espressione risulta drasticamente diminuita nei
soggetti obesi. La secrezione dell’adiponectina è modulata dall’insulina, e ciò mette
in risalto la possibilità che la sua produzione sia regolata dallo stato nutrizionale. In
particolare, essa esalta le azioni metaboliche dell’insulina, così come, al contrario, i
bassi livelli riscontrabili nei soggetti diabetici favoriscono il fenomeno dell’insulino-
resistenza. L’adiponectina impedisce inoltre ai monociti di aderire alle cellule
endoteliali, evento precoce nella genesi della placca aterosclerotica, suggerendo un
suo ruolo protettivo nei confronti del danno vascolare.
3.3.TGF-beta
3.4.TNF-alfa e IL-6
3.5.PAI-1
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plasmatico che è altamente correlato con tutti i componenti della sindrome
metabolica inclusa la resistenza insulinica. Infatti diversi studi hanno suggerito che il
PAI-1 potrebbe essere un marcatore della sindrome metabolica. Un’ulteriore
conoscenza della funzione e della regolazione delle adipocitochine può essere utile
nel comprendere il metabolismo del tessuto adiposo e lo sviluppo di obesità e
resistenza insulinica.
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4. Resistenza insulinica
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dell’insulina in persone con resistenza insulinica, diabete di tipo 2 e obesità. I
meccanismi molecolari, che attraverso l’esercizio fisico, portano ad un
miglioramento dell’utilizzo del glucosio e della sensibilità insulinica, sono correlati
all’aumentata espressione e/o attività di alcune proteine coinvolte nel metabolismo
del glucosio del muscolo scheletrico. Una di queste proteine è il trasportatore-4 del
glucosio(GLUT4). L’esercizio fisico provoca un aumento dell’espressione della
proteina GLUT4 nel muscolo allenato, che è stato dimostrato essere fortemente
associato ad un miglioramento dell’azione insulinica sul metabolismo del glucosio.
Nei pazienti sedentari diabetici di tipo 2, l’esposizione totale della proteina GLUT4 è
simile a quella dei soggetti sensibili all’insulina, mentre è stato dimostrato che
l’allenamento aumenta la proteina GLUT4 e l’Mrna per questa proteina nei soggetti
diabetici tipo 2. Ciò suggerisce che un’insufficiente produzione ed esposizione sulla
membrana plasmatica del GLUT4 sono una causa probabile di resistenza insulinica
nel muscolo. Comunque, miglioramenti nell’utilizzo del glucosio dopo l’esercizio
fisico non sono esclusivamente dovuti all’aumentata esposizione in superficie del
GLUT4. Un aumentato trasporto di glucosio mediato da insulina appare essere
correlato ad aumentata traduzione del segnale a livello di proteine-recettore per
l’insulina(IRS) e inositol-tri-fosfato-chinasi(IP3-chinasi). Ciò assume un significato
clinico diretto perché la fosforilazione tirosinica dell’IRS stimolata dall’insulina e
l’attività della IP3-chinasi sono ridotte nei muscoli scheletrici di pazienti diabetici di
tipo 2 e obesi. Quindi miglioramenti della sensibilità insulinica attraverso
l’allenamento fisico potrebbero vincere insufficienze nella trasduzione del segnale
insulinico nel muscolo di pazienti con diabete di tipo 2.
4.1.Dislipidemia
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4.2.Glicemia alterata
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5. Ipertensione
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6. Prevenzione e trattamento
In Italia ogni anno si spendono per l’assistenza 22,8 miliardi di euro per l’obesità e
patologie correlate, un infarto con successiva riabilitazione costa al nostro Sistema
Sanitario Nazionale 10-15 mila euro, un ictus con successiva riabilitazione costa 20-
25 mila euro. Si comprende perciò la necessità di frenare un fenomeno di così vasta
portata. La prevenzione dell’obesità e quindi della sindrome metabolica rappresenta
un fattore chiave in questo processo, dato che, queste due patologie(anche se ormai
non ha più senso parlare di una senza includere l’altra) sono strettamente correlate a
infarto ed ictus. Il trattamento della sindrome metabolica prevede un approccio
articolato incentrato sul cambiamento dello stile di vita. I più importanti fattori
ambientali su cui si deve intervenire, sono senza dubbio l’attività fisica e le abitudini
alimentari. Anche la terapia farmacologica trova una importante collocazione in
questa patologia dal quadro clinico così complesso, così come un opportuno
intervento comportamentale.
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7. Esercizio fisico
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gestione dell’allenamento. Visto quanto detto, la collaborazione tra medici e
operatori qualificati è indispensabile.
Presi tutti i provvedimenti necessari a tutelare la salute del soggetto con sindrome
metabolica, si dovrà differenziare/adeguare il tipo di lavoro in relazione alla
situazione specifica: per esempio se un settantenne che presenta tutti e 5 i fattori di
rischio per la sindrome metabolica e che ha condotto una vita sedentaria, dovrà per
forza dicose essere trattato diversamente da un diciottenne che presenta soltanto 2
fattori di rischio, quest’ultimo infatti non rientra nella condizione di sindrome
metabolica, ma non ne è poi così distante, visto che basta un altro valore alterato e la
sindrome è conclamata. Il primo soggetto dovrà lavorare per limitare i danni che lo
stato patologico avanzato può indurre e una semplice “passeggiatina”, in questo
specifico caso, potrebbe rappresentare un evento allenante. Nel secondo caso, si
dovrà evitare che si sviluppi il terzo fattore di rischio e si cercherà di far rientrare
quei fattori di rischio che rappresentano il preludio della sindrome metabolica.
Diversamente dal primo caso però, a meno che non presenti a noi un soggetto
policomplicato, difficilmente per un diciottenne una passeggiata si rivela la scelta
migliore. Si intuisce quindi, la necessità di dedicarsi alla ricerca di soluzioni
personalizzate ma con un minimo di programmazione e di scientificità(calcolo della
frequenza cardiaca,del VO2max, periodizzazione,ecc.). Per elaborare un piano
d’allenamento ottimale, è necessario capire cosa accade ai muscoli dei soggetti
decondizionati.
Ogni individuo alla nascita ha un pool di fibre che all’età di circa 8 anni si
differenziano; 50% veloci 50% lente. La successiva specializzazione(ovvero il
differenziamento delle fibre) dipenderà dal corredo genetico e dal tipo di allenamento
al quale il soggetto si sottoporrà. Studi hanno dimostrato che nell’uomo sedentario le
fibre diventano per la maggior parte bianche, nel soggetto paraplegico le fibre
diventano tutte bianche. I soggetti affetti da sindrome metabolica hanno quindi una
percentuale molto alta di fibre di tipo II(bianche o veloci) perdendo in questo modo
adattabilità metabolica cioè la capacità di passare da un meccanismo metabolico
all’altro con facilità. Una breve classificazione dei diversi tipi di fibre muscolari dal
punto di vista biochimico/metabolico consentirà di chiarire il concetto.
-Fibre tipoI o rosse definite anche toniche o lente(slow twitch fibers,sigla STF):
producono basse tensioni per un periodo di tempo molto lungo. Sono fibre molto
vascolarizzate e si affaticano poco. I substrati utilizzati per la risintesi dell’ATP sono
glucidi e lipidi. Fibre che presentano maggior numero di capillari, maggiore quantità
di mioglobina ovvero la proteina che trasporta l’ossigeno all’interno dei muscoli e
che contribuisce a dare a queste fibre il colore rosso, più mitocondri, più glicogeno,
più acidi grassi e meno parte contrattile. Sono muscoli favoriti dai processi
energetici. Le innervazioni arrivano da assoni(la terminazione nervosa che trasmette
l’impulso contrattile al muscolo) di diametro inferiore, ciò determina una contrazione
più lenta. Biochimicamente l’idrolisi dell’ATP è molto più lenta. Meno forti ma più
resistenti perché hanno una massima capacità di utilizzare ossigeno, quindi rientrano
nel metabolismo aerobica.
-Fibre tipoII o bianche definite anche fasiche o rapide (fast twitch fibers,sigla FTF):
fibre poco vascolarizzate, hanno meno mioglobina, meno mitocondri, meno
glicogeno e meno acidi grassi ma più parte contrattile con idrolisi dell’ATP veloce e
un assone di diametro maggiore che determina una maggiore velocità di contrazione.
Queste fibre si dividono in fibre di tipo Iia e in fibre di tipo Iib. Le fibre IIa sono
fibre di tipo intermedio, il metabolismo è misto anaerobico-aerobico,sviluppano una
tensione media e sono mediamente vascolarizzate, hanno una discreta capacità
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ossidativa sono molto rapide e veloci ma anche con una parte resistente. Le fibre Iib
sono fibre rapide per eccellenza, sviluppano altissime tensioni, sono scarsamente
vascolarizzate, il metabolismo è di tipo anaerobico, si affaticano rapidamente, hanno
una bassa capacità ossidativa, sono molto veloci perché i meccanismi energetici sono
molto ridotti. Esistono anche le fibre di tipo Iic: intermedie, ovvero bianche e
rosse(dette anche rosa).
Nei soggetti affetti da sindrome metabolica vi sono degli oggettivi problemi di
utilizzazione dei substrati energetici a causa del fatto che i muscoli di queste persone,
essendo bianchi, non possiedono un’attività ossidativa importante e quindi bisogna
rieducarli all’esercizio aerobico o di resistenza. E’ importante dire però che quella
parte di fibre rosse dei soggetti sedentari diventate bianche, sono scolorite a causa del
mancato utilizzo, ma se allenate tendono a diventare di nuovo rosse. Diversi trial
riportati in letteratura internazionale hanno mostrato l’efficacia dell’allenamento di
tipo aerobico nel miglioramento del quadro clinico di soggetti affetti da sindrome
metabolica. Il training aerobico migliora la capacità di produrre energia meccanica
attraverso l’ossidazione di substrati glucidici e lipidici. La capacità della fibrocellula
di utilizzare i grassi come fonte energetica aumenta. La ragione di ciò è legata a
molteplici fattori quali il miglioramento del trasporto dell’ossigeno, l’aumento del
corredo mitocondriale ed enzimatico. Il miglioramento della capacità aerobica
promuove una maggiore produzione di Ossido Nitrico seguito dall’aumento della
vasodilatazione e quindi aumento del trasporto di ossigeno. Aumenta la sensibilità
dell’insulina che porta alla riduzione(maggior utilizzo) degli FFA(acidi grassi liberi)
intracellulari.
I dati a disposizione confermano che per ottenere benefici metabolici ci si dive
attenere ai seguenti parametri: frequenza 3-5 sedute settimanali di durata maggiore ai
60 minuti, intensità del 40-60% del VO2 max.
In uno studio condotto dall’Health Risk Factors Exercise Training e dal Genetics
Family Study, della durata di 20 settimane eseguito su 621 soggetti sedentari in cui il
NCEP ATP III (National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III)
aveva calcolato una prevalenza della sindrome metabolica del 16,9% alla fine dello
studio la prevalenza della stessa scese all’11,8%.
I soggetti eseguivano 3 sessioni di allenamento a settimana su ciclo ergometro.
Iniziavano l’allenamento al 55% del loro VO2 max per 30 minuti ed incrementavano
l’intensità e la durata ogni due settimane fino ad arrivare al 75% del VO2 max per 50
minuti.
Dei 105 soggetti con sindrome metabolica dopo 20 settimane, 32 pazienti non erano
più affetti dalla sindrome. I soggetti sperimentarono: nel 43% riduzione dei
trigliceridi; nel 16% aumento colesterolo HDL; nel 38% riduzione pressione
arteriosa; nel 9% miglioramento glucosio ematico a digiuno; nel 28% diminuzione
circonferenza vita.
Fino ad ora gli studi sul miglioramento delle variabili metaboliche sono stati
effettuati soprattutto sull’esercizio aerobico. Recentemente però si è notato che anche
l’esercizio anaerobico apporta dei benefici. Quando l’intensità delle contrazioni
supera il 60% 1 RM(ripetizione massimale), si ha un reclutamento delle fibre IIa e
IIb che generano energia attraverso substrati glucidici. L’allenamento al di sopra di
tali intensità comporta uno stimolo ipertrofizzante che potrebbe favorire
l’immagazzinamento di quantità maggiori di glicogeno. Viene quindi stimolato
ulteriormente l’utilizzo dei substrati glucidici, tramite meccanismi insulino
indipendenti attraverso la stimolazione dell’AMPK(adenosin mono fosfato chinasi).
Eseguire sessioni di allenamento anaerobico con un carico pari al 40-60% dell’1 RM
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per 12-15 ripetizioni con un recupero di 2-2,5 minuti sembra dare buoni risultati sia
nell’aumentare il consumo di zuccheri, che sul trofismo di questi soggetti
decondizionati, per andare a migliorare nel lungo termine la composizione corporea
generale. Il problema principale che si riscontra è quello del calcolo dell’1 RM che
non può essere effettuato direttamente in quanto i soggetti sedentari-obesi, oltre ad
avere oggettive problematiche funzionali, non sono motivati ad effettuare un’alzata
massimale come invece lo farebbe un bodybuilder, sarebbe meglio far eseguire il 10
RM, o ancor meglio per i soggetti anziani il 15 RM, e da questo ricavare l’1 RM.
La scelta degli esercizi dovrà ricadere principalmente su quelli base che permettano
un condizionamento importante sulle componenti organiche oltre che muscolari, gli
esercizi di isolamento serviranno a poco visto che abbiamo bisogno di adattamenti
generalizzati e che abbiano un impatto globale sui principali
sistemi(cardiocircolatorio, resperatorio, endocrino ecc.).
La combinazione di allenamento aerobico e anaerobico è la soluzione migliore in
quanto permette di utilizzare al meglio i vari substrati energetici tramite le diverse
vie metaboliche.
E’ opportuno prestare la giusta attenzione alla fase di riscaldamento, che soprattutto
nel periodo iniziale dovrà avere una durata maggiore, proseguire con la tonificazione
dove verranno utilizzati prevalentemente i substrati glucidici, che lasceranno spazio
ad una miscela energetica sempre più ricca di grassi quando passeremo al lavoro
aerobico, per concludere con un buon defaticamento che comprenda anche brevi
sessioni di stretching o di lavoro posturale.
I fattori individuali, esogeni, endogeni,ecc. da tenere in considerazione sono
molteplici, per questo non esistono esempi di protocolli di allenamento, ma solo
direttive generali, che devono essere personalizzate al massimo con ogni individuo.
L’allenamento deve essere funzionale all’obiettivo, in questo caso, migliorare la
salute.
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8. Strategie alimentari - Integrazione -
Supplementazione
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ad insegnare comportamenti che favoriscano il controllo dei fattori di rischio
cardiovascolare. E’ l’intervento educativo l’approccio unificante alla gestione della
sindrome metabolica. La partecipazione consapevole della persona agli interventi
terapeutici richiede quello che viene definito “empowerment” del paziente, un
processo attraverso il quale il paziente acquisisce e mantiene nel tempo le
conoscenze, le abilità, il modo di pensare, i comportamenti e l’impegno necessari per
affrontare con successo la gestione quotidiana della malattia. La persona in cura
diventa l’elemento centrale del percorso terapeutico, ed il suo pieno coinvolgimento
diventa essenziale per la realizzazione del piano terapeutico, l’operatore deve essere
in grado di promuovere l’autonomia del paziente. Ogni intervento rivolto alla
modificazione dello stile di vita, per l’intrinseca interazione con la persona, non può
realizzarsi senza la sua piena motivazione e partecipazione, che andrebbe testata
all’inizio del processo.
In conclusione, per limitare la diffusione della malattia e per il trattamento della
stessa, bisogna mettere in atto diverse strategie, si dovrà quindi mettere a punto un
programma personalizzato che tenga conto delle specifiche esigenze del paziente.
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Bibliografia
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