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La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo

di Ernst J. Grube

Storia dellarte Einaudi

Edizione di riferimento:

in La pittura in Italia. LAltomedioevo, a cura di Carlo Bertelli, Electa, Milano 1994

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Da quando larcivescovo di Taormina, Filagato da Cerami1, pronunci lomelia davanti a re Ruggero II di Sicilia e ai suoi figli, nella cappella Palatina di Palazzo Reale a Palermo nel corso della cerimonia inaugurale per la festa di San Pietro e Paolo, il 29 giugno 11432 omelia nella quale egli parl con tono ammirato e stupito della cappella Palatina, e descrisse la straordinaria bellezza delledificio e della sua decorazione (con riferimento particolare, il primo documentato, al soffitto ligneo dipinto della navata centrale) la cappella considerata una delle meraviglie del mondo cristiano. In effetti, Filagato parla di impressione meravigliosa, e paragona il soffitto a un cielo vespertino in cui una schiera di stelle doro rifulge nellaria trasparente della sera3. Chiunque ne avesse lopportunit visitava la cappella, e tutti esprimevano le loro osservazioni al proposito4: infatti, la letteratura sulledificio, e sulla sua eccezionale decorazione, immensa5. Come stato fatto notare6, sembra che nessuno fosse pienamente consapevole, o disposto a riconoscere, che la decorazione di questa cappella non era opera esclusivamente di artisti cristiani, ma anche musulmani, dato che non fu pubblicamente riconosciuto prima della met del XIX secolo7. Mentre i mosaici che decorano le pareti della cappella appartengono alla tradizione corrente dellarte bizanti-

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na, adottata dallOccidente e portata a una straordinaria fioritura nella Sicilia normanna8, i dipinti che decorano il soffitto ligneo della cappella appartengono a una tradizione completamente diversa, ed forse questo elemento curiosamente straniero del soffitto e dei suoi dipinti, oltre alla sua posizione notoriamente inaccessibile (, infatti, molto alto sulla navata centrale della cappella debolmente illuminata, e dipinto su una superficie straordinariamente irregolare, sfaccettata, invece che su ampi pannelli e travi rettangolari, come le decorazioni dei due soffitti lignei delle navate laterali), ad aver impedito ai visitatori contemporanei o posteriori di esaminarlo con la dovuta attenzione. Bench immensamente ammirato per la sua bellezza complessiva, esso non veniva preso seriamente in considerazione come opera darte indipendente, importante e significativa. In realt, nonostante la continua attenzione dedicata al monumento nel corso dei secoli e qualche erudito commento su di esso, si sa ancora poco del vero significato o della vera funzione di questa straordinaria opera darte. Bench sia stata resa pi visibile nelle pubblicazioni della fine del XIX secolo9, e bench una documentazione fotografica completa sia stata prodotta pi di quarantanni fa (grazie alliniziativa infaticabile di uno dei maggiori studiosi italiani di arte islamica, Ugo Monneret de Villard10), non esiste n una descrizione completa di queste immagini, n una ben documentata interpretazione della loro iconografia11. Esattamente il contrario avvenuto per le decorazioni musive delle pareti della cappella, documentate e studiate in modo esauriente, oltre che oggetto di una rigorosa interpretazione sul piano iconografico, simbolico e del significato teologico, liturgico e politico12. I dipinti del soffitto ligneo della cappella Palatina sono unopera unica13, la sola sopravvissuta (su questa scala monumentale) di una lunga ma quasi completa-

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mente scomparsa tradizione. I paralleli pi immediati di questo tipo di decorazione potrebbero essere stati i soffitti dei due palazzi fatimidi al Cairo, di cui rimangono solo piccole parti14, ma che, nelliconografia delle travi lignee, scolpite e dipinte in policromia su una sottile preparazione gessosa, invece che semplicemente dipinte, dovevano creare un effetto molto simile a quello della cappella Palatina15. possibile che vi fossero precedenti ancora pi immediati nelle decorazioni dei palazzi degli ziridi e degli aghlabidi di Ifriqiyyah, ma di questi non rimane nulla16. Lo stretto contatto tra Africa del Nord e Sicilia, la conquista di Madhiyyah e la fondazione di un Regno normanno nordafricano17, oltre allaffinit, ampiamente riconosciuta, tra una larga parte dellarchitettura siculo-normanna e larchitettura di quella regione18, fanno pensare che le origini sia del soffitto ligneo in quanto tale sia della sua decorazione pittorica siano un risultato diretto di questi contatti. Ma pare che occorra guardare altrove per individuare il retroterra culturale di questo straordinario monumento. Da un esame anche superficiale di questo cielo dipinto infatti possibile rendersi conto che il loro stile deriva da una lunga tradizione, che conduce fino allAsia centrale ellenizzata del III secolo, una tradizione che sopravvisse per oltre un millennio. Nella citt di Miran, nel bacino del Tarim del Turkestan cinese, sono venuti alla luce dipinti parietali, attribuibili al III secolo, in cui le tradizioni asiatica ed ellenistica si fusero nella creazione di una forma della fisionomia umana che deve aver dato ai contemporanei limpressione della forma di espressione perfetta, se non ideale19. stata probabilmente questa consapevolezza a portare alla sua adozione da parte delle future generazioni di mecenati e artisti. Essa incontr immediato favore nellAsia centrale, come dimostrano i dipinti parietali sogdiani di Balalik-

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Tepe, in Uzbekistan, attribuibili al VI secolo20, e la contemporanea ceramica dipinta di Merv, in Turkmenistan21. Sembrerebbe che questo tardo stile classico orientale sia stato adottato dai turchi dellAsia centrale della regione del Turfan, e che sia penetrato a ovest in seguito alla loro migrazione dallAsia alle coste del Mediterraneo. I suoi primi riflessi possono essere individuati nei dipinti dei palazzi omayyadi in Siria e in Giordania (inizio VIII secolo)22. Tale stile domina i dipinti che decorano i palazzi del califfo e le residenze delle classi al potere a Samarra, la citt-presidio abbaside sulla riva orientale del Tigri (IX secolo), centodieci chilometri a nord di Baghdad23. Da qui penetr in Egitto24, dove incontr ovviamente sufficiente favore da sopravvivere nei periodi tulunida e fatimida. Bench nulla rimanga dei dipinti parietali tulunidi e fatimidi, ampiamente documentati nei testi storici25, sono invece pervenuti alcuni frammenti di miniature di manoscritti26 e una notevole quantit di ceramiche decorate con elementi figurativi27, rendendo possibile una ricostruzione abbastanza accurata di questa forma darte28. Questo stile pittorico fondamentalmente uno stile grafico: un disegno lineare preciso eseguito con tratto netto e nitido, risolutivo nella definizione delle forme e dominante in virt della sua specifica qualit grafica, determina laspetto principale del dipinto e lo dota di una struttura di base che rimane sempre visibile, e che non si altera dopo lapplicazione del colore. Anche se questo particolare elemento grafico stato rafforzato nella pittura omayyade, pu gi essere riconosciuto come una delle caratteristiche pi evidenti della pittura parietale centroasiatica, e sopravvive quasi inalterato nellEgitto e nella Sicilia nel XII secolo, cos come la caratteristica rappresentazione della fisionomia umana. Non solo la forma generale dei lineamenti il viso arrotondato, gli occhi grandi con enormi pupille,

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generalmente attaccate alla palpebra superiore, il naso diritto e la bocca piccola ma anche elementi tipici come lattaccatura smerlata dei capelli, che attraversa la fronte, e i lunghi riccioli che ricadono sulle tempie davanti alle orecchie, sono caratteristiche comuni ai dipinti centroasiatici, fatimidi e della cappella Palatina. Anche se quasi certo che gli autori dei dipinti della cappella Palatina trassero ispirazione dallEgitto fatimida, si dovrebbe tener conto del fatto che esiste un documento di questo stile pittorico che stato generalmente attribuito alla Spagna o al Nordafrica: le miniature del poema amoroso romantico Bayad e Riyad, conservato alla Biblioteca Vaticana. Il manoscritto non datato e non esiste alcuna indicazione del luogo e del periodo in cui il poema fu composto, n della possibile committenza: varie ipotesi sono state avanzate, ma il testo, scritto con una calligrafia inequivocabilmente magrebina29, non lascia dubbi sulla sua origine islamico-occidentale30. Il manoscritto documenterebbe, in altri termini, una sopravvivenza dello stile pittorico qui in esame in un centro culturale islamico dellOccidente che potrebbe aver prodotto altre opere simili e formato artisti che potrebbero aver lavorato al servizio dei re normanni in Sicilia. Ma al momento attuale il manoscritto e le sue miniature sembrerebbero rappresentare un fenomeno unico e isolato, non esistendo alcuna documentazione comprovante la fioritura di uno stile di pittura simile in qualche luogo del Magreb o in Spagna, non essendo stati individuati suoi riflessi in altre opere della pittura islamica di quel periodo e di quella regione31. Poich la data del manoscritto non nota, e gli studiosi tendono ad attribuirlo pi al XIII che al XII secolo, esso pu effettivamente costituire un riflesso della versione arabo-siciliana dello stile fatimida del periodo postnormanno, e comunque successivo alla cappella Palatina.

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certamente un fenomeno degno di nota che dopo un secolo di studi e di critica, e quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione del brillante saggio di Monneret de Villard, sia ora chiaro che le riflessioni di questo studioso su unopera darte cos straordinaria rappresentano il punto di partenza corretto e indiscutibile per ogni ulteriore indagine. Monneret fu il primo a osservare che mentre le forme dellarte cristiana riprendono le contemporanee tradizioni dellOriente cristiano, i dipinti di questo soffitto non possono essere spiegati e compresi nello stesso contesto. Monneret giunge infatti alla conclusione che larte cristiana dellEgitto il paese a cui giustamente egli si volse nella sua ricerca di modelli che potevano essere serviti agli artisti che lavoravano per il re normanno fra il secondo secolo IX e la met del XII non ci d alcun aiuto per comprendere la genesi e lessenza della contemporanea arte musulmana32. Egli riconosce nellarte musulmana dellEgitto fatimida la fonte principale di questi pittori. Se questorigine dello stile dei dipinti della cappella Palatina oggi generalmente riconosciuta, resta da stabilire se essi siano da attribuire ad artisti fatti venire appositamente dallEgitto alla Sicilia33, o ad artisti che continuavano una tradizione locale ben radicata. Il fatto che un altro importante esempio di tale pittura straordinaria sia sopravvissuto in alcune parti del soffitto ligneo della Cattedrale di Cefal34 indicherebbe che i dipinti della cappella Palatina non furono un fenomeno unico n isolato. Unaltra ragione, ancor pi convincente, per ipotizzare la presenza nella Sicilia normanna di pittori che adottarono questo stile islamico naturalmente lampia produzione, nellisola, di cofanetti davorio dipinti con una variet di soggetti sia decorativi sia figurati, che corrispondono molto da vicino allo stile e alliconografia dei dipinti della cap-

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pella Palatina35. Uno dei pezzi pi raffinati, nel Tesoro della cappella Palatina36, presenta affinit cos evidenti con la pittura fatimida, sia dal punto di vista stilistico che delle peculiarit iconografiche, da fugare ogni dubbio circa lo stretto contatto dei decoratori di molti di questi pezzi con la tradizione fatimida. Le scene venatorie sui fianchi del cofanetto, ma soprattutto le figure dellelefante e della giraffa sul coperchio, rivelano strette analogie con la ceramica decorata a lustro metallico fatimida37. I dettagli dellabbigliamento, come i curiosi stivali a punta indossati dai cacciatori, appaiono in forma identica su una ciotola lustrata, mentre il dettaglio dellincisione a V della parte superiore appare in un piccolo frammento pittorico su carta38. Lintero repertorio di elementi figurativi su questi cofanetti corrisponde fedelmente sia a quello sui soffitti della cappella Palatina e di Cefal, sia alla pittura fatimida in generale. Queste osservazioni portano dunque direttamente alla questione delliconografia dei dipinti di questi soffitti. Il loro rapporto con liconografia dellarte islamica in generale e con quella del periodo esaminato in particolare, deve essere accuratamente studiato se vogliamo definire il significato e forse la funzione di queste opere darte. I dipinti di Cefal sono stati studiati nei dettagli da Mirjam Gelfer-Jorgensen39 allo scopo di dimostrare che essi rientrano chiaramente nella lunga tradizione della generale, consolidata e ben nota iconografia di corte del mondo musulmano medievale. Se lidentificazione di tali tradizioni indubbiamente corretta e di notevole importanza, resta da chiarire il motivo per cui tali schemi iconografici fossero ancora presenti e a quale scopo (se mai uno scopo vi fosse) essi servissero nella Sicilia normanna del XII secolo. Se il numero di dipinti sul soffitto della Cattedrale di Cefal limitato, ed impossibile ricostruire

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laspetto originario dellintero ciclo, la situazione nella cappella Palatina ben diversa. Bench parzialmente perduto a causa di restauri e ridipinture successive, il ciclo originario , sotto ogni aspetto, ancora intatto e qualsiasi studio serio che lo riguardi deve iniziare con una semplice descrizione dellesistente. E non un compito facile. Bench la parte centrale del soffitto, ripartita secondo un sistema ornamentale a croci e stelle di antica tradizione, inframmezzate con una serie di piccoli elementi a cupola, possa essere comodamente osservata dal basso, e bench gli elementi scanalati costituiti dalle stelle e dalle piccole cupole contengano molteplici elementi figurati, questi rappresentano una minima parte della decorazione e la loro importanza, per quanto si trovino in una posizione prominente e visivamente pi accessibile, sembra trascurabile. Il ciclo principale dei dipinti si trova nelle complesse strutture a stalattiti (muqarnas) che si sviluppano lungo i quattro lati del soffitto. Queste stalattiti assumono due diverse forme, ma in entrambe si dispongono in cinque file. La struttura principale (A) si basa su un pannello ad arco largo e piatto (fila 1), sormontato da una nicchia piccola, stretta e appuntita, fiancheggiata da due nicchie pi larghe e tronche che poggiano su un elemento a forma di T (che le collega alla linea di base della fila 1 (fila 2). Al terzo livello due nicchie tronche sono fiancheggiate da due pannelli rettangolari che si curvano in avanti, per cos dire, creando una straordinaria superficie convessa che ha paralleli immediati nella contemporanea decorazione architettonica nordafricana, elemento che forse in questo contesto pu essere significativo (fila 3)40. Sopra questa fila si trovano tre piccole nicchie, separate dagli stessi elementi a T che tengono insieme gran parte di questa complessa struttura (fila 4). Allultimo livello, il pi alto, si trovano due

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piccolissime nicchie sormontate da ampie fasce ad arco (fila 5). Vi sono ventotto strutture a stalattiti di questo tipo lungo il perimetro del soffitto (ventidue sui lati lunghi e sei su quelli corti). Tra luna e laltra (in alternanza con la forma A) si trova la seconda forma (B) basata su una doppia nicchia nella parte inferiore, separata dallormai familiare elemento a T (fila 1). Sopra questa doppia nicchia si trova un pannello rettangolare (fila 2). Una piccola nicchia fiancheggiata da due elementi a T riempie il livello successivo (fila 3), il quale sostiene una piccola nicchia sormontata da una fascia ad arco simile a quelle nella fila 5 della struttura A (fila 4). Gli elementi a T che fiancheggiano questa fascia sostengono una nicchia/pannello ad arco tronco (fila 5). Vi sono ventotto strutture di questo tipo (B). Lievi modifiche, con la perdita di qualche elemento, sono state eseguite nelle quattro soluzioni dangolo, in cui lultima forma A prima dellangolo e la prima forma A dopo di esso si congiungono con la forma B che circonda langolo, il quale risulta a sua volta lievemente modificato (con leffetto principale di una non perfetta corrispondenza con il registro superiore (B10). Anche se la maggior parte degli elementi a T sono dipinti con elementi puramente decorativi, floreali (bench vi siano anche elementi semifigurativi), e senza contare le zone dangolo, piuttosto compresse, il numero complessivo di superfici decorate con scene composte di elementi figurativi di una certa complessit altissimo. Vi sono, in effetti, pi di settecentocinquanta dipinti di questo tipo. Unanalisi dettagliata della straordinaria serie di immagini chiarisce immediatamente molte cose: esiste una notevole ripetizione, e sembra non esserci alcun punto focale, il che significa che le immagini non appaiono dirette verso luno o laltro dei soffitti, n verso i centri delluno o dellaltro dei lati lunghi.

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Si direbbe anche che non vi sia una zona specifica riservata a immagini specifiche. Per esempio, ci si aspetterebbe che le ventotto immagini piatte che formano la base delle strutture A (da A1 ad A28), le pi ampie e le pi visibili di tutte, fossero dedicate a un tema particolarmente importante, ma quando le si osserva in successione non possibile individuare alcun tema del genere: una scena di lotta (A1) seguita da una coppia di leoni araldici (A2), seguiti da unaltra scena di lotta (A3). Limmagine successiva una sostituzione, poi si vede un uomo sospeso al di sopra di unestesa iscrizione cufica dorata (A5); unaltra sostituzione; la scena di un uomo in groppa a un cammello seguito dalla sua donna, seduta sul palanchino di un secondo cammello (A7); una coppia di leoni disposti secondo gli schemi araldici (A8); uno strangolatore di leoni, visto di fronte (A9); unaltra coppia di leoni araldici (in gran parte ridipinta) (A10); un cavaliere in lotta con un mostro met drago e met serpente (A11); altre tre coppie di leoni araldici (A12-A14); un uomo in groppa a un leone (?) (A15); un altro cavaliere in lotta con un leone (A16); una coppia di falconi con la loro preda (A17); un cavaliere, forse in fuga da un enorme leone sputafuoco (?) (A18); un uomo che reca in spalla un animale, forse la preda del cacciatore, e dietro di lui un cavaliere in lotta con un orso (A19); unaltra coppia di leoni araldici (A20); un uomo in groppa a un felino (A21); unaltra coppia di leoni araldici (A22); un secondo cavaliere in lotta con un drago a forma di serpente (A23); ancora una coppia di leoni araldici (A24); un cavaliere (in gran parte ridipinto) (A25); una coppia di leoni araldici quasi interamente ridipinta (A26); una sostituzione; e, bench forse rifatta in sostituzione di un dipinto originale, unultima coppia di leoni araldici (A28). Questi dipinti potrebbero essere interpretati come le diverse versioni di uno dei temi fondamentali delliconografia

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regale: la caccia; tuttavia, n le scene di lotta, n gli uomini in groppa ai cammelli, n, in quanto a ci, le figure ricorrenti dei leoni araldici, sembrerebbero accordarsi con questinterpretazione. Altrettanto oscuro il significato dellinsieme delle immagini nella serie successiva dei dipinti pi ampi, B4. Se si scorre lelenco delle identificazioni dei soggetti (si veda la leggenda relativa al soffitto) si scoprir che le immagini non formano un continuum logico di un tema o una successione di temi interconnessi. Falchi, pavoni, lottatori, uomini in groppa a strani mostri, figure sedute, in gran parte intente a bere o a suonare strumenti musicali, due aquile viste di fronte con due figure umane iscritte nei loro corpi (che richiamano il tema di Ganimede), e una variet di leoni (alcuni dei quali intenti a lottare con mostri met draghi e met serpenti che avviluppano i loro corpi) si susseguono in un ordine casuale. Il gruppo successivo di dipinti ampi, quelli sulle superfici curve nella terza fila delle strutture A, comprende diverse immagini di significato indubbiamente pi specifico, ma, di nuovo, non sembra possibile individuare nella loro successione un tema progressivo o cumulativo. in questa zona che le figure dei sovrani seduti, le raffigurazioni dei carri del sole e della luna e altre immagini sono tali da indurre unidentificazione con temi Imperiali, o almeno regali, che potrebbero rappresentare un utile indizio per comprendere il significato complessivo di questo ciclo pittorico. Ma, ancora una volta, sono troppe (in realt la maggior parte) le generiche immagini di bevitori, musicisti, uomini in groppa a elefanti, oltre alla rappresentazione di un monastero e della chiesa vicina, per poterle considerare come lo sviluppo logico di un certo tema. Vi sono anche strane figure di leoni in lotta con draghi-serpenti, gi incontrate nelle strutture B, e vi sono scene di carattere quasi domestico, come i celebri uomini alla

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fonte, al pozzo, gli uomini che giocano a scacchi, e altri ancora impegnati nella lotta contro mostri, tutti appartenenti a quella che si presenta come una successione abbastanza incoerente. La maggior parte di queste immagini, quando non sono semplicemente circondate da ulteriori bevitori, musicisti, comici e danzatori, sono incorniciate da motivi floreali o da motivi araldici con leoni, grifoni e falchi, in gran parte ripetitivi. Si osservi come i dipinti raffiguranti i re seduti visti di fronte e il loro seguito, di cui esistono una coppia (A23, 5 e 6) e un esempio singolo (A26, 5), appaiono strettamente collegati ad altre composizioni figurative pi complesse: gli uomini alla fonte (A22, 6), gli uomini al pozzo e i giocatori di scacchi (A24, 5 e 6), una scena con falchi in caccia (?) e un uomo in groppa a un elefante (A26, 5 e 6), oltre a una serie di tende reali (A27, 5 e 6). Ci farebbe pensare a un gruppo di scene intenzionalmente collegate alla vita di corte del sovrano. Ma poi vi sono, ovviamente, altri modi di guardare queste immagini, non come un continuum orizzontale, che in ogni caso molto difficile da vedere dal basso, ma come unit singole o gruppi di unit. Se la prima unit sul lato orientale del soffitto, che si trova esattamente sopra limmagine di Cristo sul trono (fiancheggiata dai Santi Pietro e Paolo, sopra il trono di Ruggero nella cappella), danneggiata troppo gravemente per poter essere utilizzata ai fini di uninterpretazione, lunit successiva, che si trova esattamente al centro di questa zona, ha nella sua terza fila le due immagini dei carri del sole e della luna (A2, 5 e 6), che potrebbero essere forse spiegate come allusioni al ruolo di governante universale del re (si pensi anche alluso, da parte di Filagato, della formula imperiale bizantina basileus, quando acclama Ruggero e le sue grandi gesta)41. Delle altre immagini non resta abbastanza per comprendere se il ciclo completo fosse espressione di questidea, ma il

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poco che sopravvive, le arpie nelle zone delle piccole nicchie, sopra limmagine centrale (A2, 1), che stata completamente ridipinta, e i compagni seduti che bevono, nella quarta fila (A2, 11 e 13), farebbe pensare che non sia cos. Lultima unit in questa parte del soffitto presenta di nuovo una scena di lotta nel primo registro (A3, 1), e un enorme uomo barbuto che siede con una coppa in mano nel quinto registro (A3, 5). Di difficile interpretazione sono anche le altre unit disposte lungo ciascuno degli altri lati del soffitto. I registri superiori, con leccezione di quelli menzionati (da A 23 ad A 27), recano quasi esclusivamente immagini di bevitori e musicisti, circondati da servitori, musicisti e danzatori. Effettivamente, questo ciclo di dipinti comunica unimpressione che stata probabilmente espressa nel modo pi efficace dalla valutazione che ne ha offerto Umberto Scerrato: Il tema fondamentale delle pitture del soffitto della cappella Palatina la glorificazione del principe, un corrispondente laico della celebrazione del Sovrano celeste, come Cristo trionfante, nei mosaici del presbiterio. Gli artisti islamici hanno fatto ricorso alle iconografie che si erano andate definendo alla corte dei califfi abbasidi in Iraq nel IX secolo e che si erano diffuse in tutto lIslam. I soggetti rappresentati sono quelli dei piaceri della vita di corte e degli svaghi del principe: il simposio con i cortigiani allietato da musiche e danzatrici; la caccia, le partite di scacchi, e tutto il bestiario reale e fantastico bene augurale e proprio del principe cui i piaceri del giorno e della notte mai vengono meno. Secondo la tendenza antinaturalistica islamica il cielo delle rappresentazioni non legato in un sistema narrativo, ma frazionato e sconnesso in tante singole figurazioni senza altra relazione fra loro che un astratto riferimento simbolico42. Unanalisi dettagliata della straordinaria serie di immagini chiarisce immediatamente molte cose: esiste

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una notevole ripetizione, e sembra non esserci alcun punto focale, il che significa che le immagini non appaiono dirette verso luno o laltro dei soffitti, n verso i centri delluno o dellaltro dei lati lunghi.

Vorrei esprimere il mio ringraziamento al mio vecchio amico e collega Umberto Scerrato, titolare dellunica cattedra di Arte islamica in Italia, allUniversit La Sapienza di Roma, che a causa di una seria malattia, da cui ringaziando Dio ora completamente guarito, mi ha passato lincarico di scrivere questo saggio. Anche se stato necessario lavorare in tempi ristretti, in un clima di urgenza, devo confessare, comunque, che ho avuto un grande piacere nel tornare sullo studio di un monumento che ha affascinato me, come molti miei amici e colleghi, negli ultimi trentanni. Devo infatti esprimere la mia gratitudine per una lunga conversazione e molte indicazioni bibliografiche a Dalu Jones che ha scritto un testo molto interessante sullargomento. Molti altri colleghi mi hanno aiutato, ma devo dei ringraziamenti speciali a Maria Vittoria Fontana, dellIstituto Universitario Orientale di Napoli, che mi ha aiutato moltissimo, con rara devozione e grande sacrificio di tempo e fatica, per procurarmi fotocopie di articoli difficilmente reperibili a Londra, immagini dal volume di Terzi e un immenso numero di riferimenti bibliografici, testuali e chiarimenti di dettagli. Senza la sua collaborazione questo testo non sarebbe stato scritto in un arco di tempo cos ristretto, e per questo le sono profondamente grato. Sulla paternit di questomelia vedi ora la dettagliata trattazione nellintroduzione di G. Rossi Taibbi alla sua edizione di Filagato da Cerami, Omelie per i vangeli domenicali e le feste di tutto lanno, I, Omelie per le feste fisse, Palermo 1969, pp. VII-XXV; il testo stato pubblicato per la prima volta in Migne, Patrologiae Cursus Completus, Series graeca posterior, tomo CXXXII, Paris 1864, coll. 951-970. Lautore di questo, e di tutti i testi in questo volume, stato identificato come Theophanou Kerameos (Archiepiskopou Tauromenio tes Sikelias/Teophanis Ceramei). Il testo di questa omelia (n. LV in Migne), attribuito a Filagato da Cerami, arcivescovo di Taormina, da Rossi Taibbi che lo ha pubblicato nella sua forma definitiva nella sua edizione delle omelie di Filagato, n. XXVII, pp. 174-182. 2 Curiosamente, in tutta la letteratura era insistentemente ripetuta lincertezza a proposito della data in cui venne pronunciata que1

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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo stomelia, ci che dovrebbe essere dovuto al fatto che la fonte usata da G. Di Marzo, Delle Belle Arti in Sicilia dai Normanni fino alla fine del secolo XIV, I, Palermo 1858 e II, Palermo 1859, non indicava che Filagato aveva offerto il suo testo al re, alla cerimonia inaugurale, come invece far Taibbi (si veda nota precedente). Mentre lomelia non era datata, si possono sollevare pochi dubbi sulla data dellinaugurazione della Cappella Palatina, 1143, come appare nel mosaico della volta, generalmente accettata nella letteratura come quella del completamento della costruzione e della decorazione della cappella. Secondo le considerazioni, spesso ripetute, lomelia deve essere stata pronunciata tra il 1143 e il 1149, ma non oltre; si veda A. Pavlovskij, Iconographie de la Chapelle Palatine, Revue archeologique, XXV, 1894, p. 361. Egli, infatti, osserva che nel manoscritto dellomelia di Madrid si afferma che essa fu pronunciata alla presenza del re e dei suoi due figli, Ruggero duca di Puglia e Anfuso principe di Capua, e il secondo figlio di Ruggero mor prima del 1149. Questo stato innanzitutto suggerito da G. Di Marzo, op. cit., II, p. 63; le sue indicazioni sono state seguite da Pavlovskij e dagli altri studiosi fino ad oggi. 3 Il testo completo dellomelia non mai stato tradotto, con la sola eccezione della traduzione latina di Migne (si veda nota precedente). Una traduzione parziale, concentrata sul passaggio in cui viene descritta la cappella, venne pubblicata da G. Di Marzo, op. cit., II, pp. 6263, si veda anche D. Salazaro, Studi dei monumenti dellItalia meridionale dal IV al XIII secolo, I, Napoli 1871, pp. 11-12, che cita la traduzione di Di Marzo e II, Napoli 1881; U. Monneret de Villard, Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina, Roma 1950, p. 22, ne cita solo tre righe, in greco; E. Caspar, Roger II (1101-1154) und die Grndung der normannisch-sicilischen Monarchie, Innsbruck 1904, p. 468, fornisce una traduzione tedesca pi o meno dello stesso brano. Potrebbe essere interessante citare qui integralmente il testo che descrive la Cappella Palatina nella traduzione di G. Di Marzo, in quanto la sua antichit e la sua ricchezza di particolari rappresentano un fenomeno decisamente inusuale. Teco mi congratulo, o citt, e teco ancora divin tempio reale, poich in te oggi affluiscono uomini di ogni et e per fortuna cospicui, e codesti sacerdoti che fan corona allorazion nostra. Di tutto ci prima cagione Dio, da cui ogni bene agli uomini proviene e deriva, indi il pio imperante (basileus), salvatore benigno, poich i suoi soggetti reguarda e contro i nemici il suo sdegno conserva. Egli di molti beni non solamente ci fu prodigo, ma super colla piet e colla magnanimit sua i presenti tutti e i passati, come il lume delle stelle vinto dallo splendore del sole. Una cosa, ed questa, pose il segno dellanimo grande e veramente regio di lui, il presente tempio giocondissimo pei proclamatori, il quale siccome base edific della reggia, amplissimo e bel-

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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo lissimo, esimio per una nuova bellezza, splendido senza esempio, ricchissimo di oro, e per le pietre e le pitture fiorentissimo; il quale da ognuno molte volte veduto e tornato a vedere, come allora per la prima volta veduto reca meraviglia e stupore per ogni sua parte si volga lo sguardo. Il tetto veramente non pu saziarsi dammirare, e sorprende vederlo ed intenderlo; ornato di certe sculture minutissime e variate in forma di canestrini; e in ogni sua parte doro rilucendo, imita il cielo quando risplende nel puro aere col suo coro di stelle. Le colonne poi, sostenendo archi magnifici, sollevando il tetto ad unaltezza immensa. Il santissimo pavimento del tempio, maestrevolmente ornato a fiori di pietruzze di marmi variatissimi, simile ad un prato in primavera; con ci per che il fiore ivi svanisce e si muta, ma questo prato incorruttibile e perenne, contenendo in s fiori immortali. Ogni parete coperta di variet di marmi, dei quali son fregiate le estremit superiori con aurei sassolini, per quanto vi ha dinterstizio con le venerande rappresentazioni di figure. Ma il luogo dellineffabil cerimonia pei sacerdoti da ripari di marmo racchiuso; il quale argine impedisce a qualche temerario o profano di appressarsi ai penetrali, dove la mensa divina, splendente di oro e di argento, sorprende chiunque la vede. Il resto onoro del silenzio. Tutto il tempo, echeggiando, ripercuote dolcemente, come negli antri, la voce di coloro che cantano glinni divini. E quantit di drappi pendono dallalto, ai quali dieron materia fili di seta tessuti doro in diversi colori; eseguito il lavoro con arte cos perfetta e tanto ammirabile come dei fenici (G. Di Marzo, op. cit., II, pp. 62-63). Lultima frase non chiara. Nella traduzione latina di Migne, op. cit., col. 955, questo passaggio viene interpretato cosi: Aulaeorum magna multitudo suspensa, quibus materiam quindem serica praebuere fila versicolore circumtexta subtegmine: opus vero admirabili quadam et exquisita arte elaboravere Phoenices, un passaggio che il mio amico Yanni Petsopoulos in una traduzione inglese dei passaggi pi rilevanti del testo di Filagato, letto nelledizione curata da Taibbi, ha interpretato cos: Una moltitudine di tappezzerie appese con fili di seta variopinti intrecciati con oro, e ricamata nei pi ammirevoli e pi elaborati laboratori artigianali Fenici. Ci si potrebbe domandare se questo possa essere un riferimento ad artigiani musulmani. Se cos fosse, si tratterebbe di un dato di massima rilevanza, perch indicherebbe che il soffitto dipinto non era il solo prodotto artistico musulmano che ornava la Cappella Palatina. Di Marzo termina qui la sua traduzione, ma c qualche altro testo che offre affascinanti dettagli sulla cappella, e che contengono la frase cruciale che data lomelia. Filagato, in effetti, prosegue dicendo: Disposte fittamente le lampade fanno a gara con i loro raggi per illuminare la chiesa senza soste, con lumi ad olio accesi giorno e notte. Cos come per la volta doro e dargento che avvolge le sacre cerimonie, quale parola potreb-

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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo be descrivere una tale qualit di bellezza? Ma ora di tornare a interpretare le sacre scritture. Avendo pagato il nostro debito alla cerimonia inaugurale, ascoltiamo il sacro verbo. 4 Per altri antichi commenti si consulti utilmente U. Monneret de Villard, Le pitture..., cit., p. 22. 5 Non esiste una bibliografia moderna completa su questo monumento, ma la pi completa e assortita senzaltro quella contenuta nelleccellente ricerca di G. Bellafiore, Architettura in Sicilia nellet islamica e normanna (827-1194), Palermo 1990, pp. 195-212; ulteriori riferimenti si trovano nelle note allintroduzione di U. Monneret de Villard alla sua pubblicazione. Le pitture..., cit., e nel saggio sulla pittura di U. Scerrato in: F. Gabrieli-U. Scerrato, Gli arabi in Italia, Milano 1979, pp. 359-398; vedi anche il brillante saggio dello stesso U. Scerrato, Arte normanna e archeologia islamica in Italia, in I Normanni Popolo dEuropa, catalogo della mostra a cura di M. dOnofrio, Roma 1994, pp. 339-349; altri importanti riferimenti storici si trovano in J. Johns, The Norman Kings of Sicily in the Fatimid caliphate, in AngloNorman Studies, XV, 1993, pp. 133-159 e Id., Malik Ifrigiya: The Norman Kingdom of Africa and the Fatimids, Libyan Studies, 1987,18, pp. 89-101. 6 A. PavIovskij, Iconographia..., cit., p. 336. 7 Si veda G. Di Marzo, op. cit., I, pp. 150-153. E interessante osservare che altri avevano attribuito lopera ad artisti cristiani, profondamente influenzati dalle locali tradizioni artistiche musulmane, poich era inimmaginabile che artisti musulmani avessero lavorato allinterno di una chiesa cristiana (vedi D. Salazaro, op. cit., II, p. 52), mentre S. Nicola Buscemi, Notizie della basilica di san Pietro detta la Cappella Regia di Palermo raccolte esposte, Palermo 1840, p. 17, riteneva che i soggetti figurativi fossero opera di artisti cristiani, dal momento che il Corano proibiva tali rappresentazioni, e che solo lopera di decorazione fosse attribuibile ad artisti musulmani. 8 O. Demus, The Mosaics of Norman Sicily, London 1940. 9 Si veda La Cappella di San Pietro nella reggia di Palermo, dipinta e cromolitografata, da Andrea Terzi, ed. illustrata dai professor M. Amari, C. Cavallari, G. Meli et Carini, Palermo 1875-1890; e A. Pavlovskij, Zipovis Palatinoskoi Kapelly v Palermo, San Pietroburgo 1890. Entrambe le pubblicazioni sono, tuttavia, estremamente rare, e non mi stato possibile consultare nessuna delle due. Ringrazio lamica Maria Vittoria Fontana per avermi procurato le diapositive di alcuni dipinti del soffitto pubblicate da Terzi. 10 U. Monneret de Villard, Le pitture..., cit. 11 Si vedano, tuttavia, i diversi tentativi di interpretare il programma iconografico del soffitto: A. Pavlovskij, Iconographie..., cit., p. 311 e sgg., e, pi recentemente, D. Jones, The Cappella Palatina in Paler-

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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo mo: Problems of Attributions, in Art and Archeology Research Papers, 1972, 2, pp. 41-57; e Id., Romanesque, East and West? in The Connoisseur, vol. 191, 1976, n. 770, pp. 280-285, in cui si tenta di inserire questi dipinti in un contesto pi occidentale, romanico. Lanalisi pi dettagliata di una pi ampia serie di questi dipinti, la tesi di dottorato di A. Simon-Cahn, Some Cosmological Imagery on the Ceiling of the Palatine Chapel in Palermo, Columbia University, 1978 (purtroppo inedita, che non mi stato possibile consultare per questo lavoro). 12 La bibliografia molto ampia, ma si deve almeno fare riferimento a F. Di Pietro, La Cappella Palatina di Palermo. I mosaici, Palermo 1954, e agli importanti studi di B. Rocco, La Cappella Palatina: lettura teologica, B. C. A. - Sicilia, IV, 1983, pp. 21-74, e I mosaici delle chiese normanne in Sicilia. Sguardo teologico, biblico, liturgico, Ho Theologos, I, 1974, pp. 173-219: La Martorana; II, 1976, pp. 121-174: La Cappella Palatina; V, 1978, pp. 9-70: La Cappella Palatina; V, 1978, pp. 77-94: La cattedrale di Cefal. Si veda anche E. Kitzinger, The Mosaics of the Cappella Palatina: An Essay on the Choice and Arrangement of the Subject, in Art Bulletin, 1949, 31, pp. 269-292; e E. Borsook, Messages in Mosaic. The Royal Programmes of Norman Sicily 1130-1187, Oxford 1990. 13 Su altri soffitti lignei dipinti coevi o precedenti in Spagna e nel Nordafrica si veda F. Hernandez, Arte musulman. La techumbre de la grand Mezquita de Cordoba, in Archivio Espaol de Arte y Arqueologia, IV, 1928, 12, pp. 191-225; sulla ricostruzione del soffitto perduto della moschea di Cordova, che U. Monneret de Villard, Le pitture..., cit., p. 24, definisce giustamente un soffitto di legno intagliato e policromato, non un soffitto dipinto, si veda anche G. Marais, Coupoles et plafonds de la Grande Mosque de Kairouan, Tunis-Paris 1925 (Protectorat Franais, Gouvernement Tunisien, Notes & Documents publis par la Direction des Antiquits aux Arts, VIII), e Id., Plafond peints du IXme sicle la Grande Mosque du Kairouan, in Revue des Arts Asiatiques, IX, 1935, pp. 1-8, tavv. I (a colori) e II. Si deve anche tener conto del fatto che i due soffitti, in quanto appartenenti a moschee, non erano decorati con soggetti figurativi. 14 Si veda E. Pauty, Les bois sculpts jusqu lpoque Ayyoubide (Catalogue gnral du Muse Arabe du Caire), Il Cairo 1913, pp. 48-50, e le tavv. XLVI-LVIII per le travi del palazzo fatimida; K.A.C. Creswell, The Muslim Architecture of Egypt, I, Oxford 1952, p. 129; e, per un soffitto recentemente scoperto nel palazzo fatimida occidentale del Cairo, V. Meinecke-Berg, Materialen zu fatimidischen Holzdekorationen in Kairo, I, Holzdecken aus dem fatimidischen Westpalast in Kairo, in Mitteilungen des Deutschen Archologischen Instituts. Abteilung Kairo, 1991, 47, pp. 227-233 e tavv. XXIII-XXIV. 15 Si vedano gli studi sulliconografia di queste travi, ora al Museo

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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo dArte Islamica del Cairo, di M. Herz-Pacha, Boiseries fatimites aux sculptures figurales, in Orientalisches Archiv, III, 1912-1918, 4, pp. 169-174, tavv. XXVII-XXIX, specialmente la tav. XXIX, 18-19, che mostra scene non incluse nel catalogo di E. Pauty; si veda anche G. Marais, Les figures dhommes et des btes dans les bois sculpts de lpoque fatimite conserves au Muse arabe du Caire. tude diconographie musulmane, in Mlanges Maspero, III, Orient Islamique, Il Cairo 1940, pp. 214-257; e Id., Les figures dhommes et de btes dans les bois sculpts dpoque fatimite conservs au Muse arabe du Caire, tudes diconographie musulmane, in Mlanges dhistoire et darchologie de l'Occident musulman, I, Paris 1957, pp. 81-92. 16 Si veda H. R. Idris, Contribution lhistoire de lIfrikiya. Tableau de la vie intellectuelle et administrative Kairouan sou les Aghlabites et Fatimites (4 premiers sicles de lHgire) daprs le Riyad en Nufus de Abu Bakr el Maliki, in Revue des tudes islamiques, 1935, pp. 105-177, 273-305; e 1936, pp. 45-104. Per larchitettura si veda G. Marais, LArchitecture musulmane dOccident. Tunisie, Algerie, Maroc, Espagne et Sicilie, Paris 1954; A. Lezine, Architecture de lIfriqiya. Recherches sur les monuments aghlabides, Paris 1966, e Id., Mahdiya. Recherches darchologie islamique, Paris 1965; inoltre U. Monneret de Villard, Le pitture..., cit., pp. 18-20. 17 Si veda limportante studio di J. Johns, Malik Ifriqiya.... cit., che contiene i riferimenti pi recenti. 18 Sulla stretta relazione tra architettura nordafricana e siciliana in questo periodo, si veda anche il confronto fatto da U. Monneret de Villard tra il manar del Qala di Beni Hammad e la Torre Pisana del Palmo Reale di Palermo (U. Monneret de Villard, Le pitture..., cit., p. 20). Sul Qala si veda L. Golvin, Recherches archologiques la Qala des Banu Hammad, Paris 1965. Si vedano anche, dello stesso autore, gli studi su Les plafonds muqarnas de la Qala des Banu Hammad et leur influence possible sur lart de la Sicilie de la priode normande, Revue de lOccident Musulman et de la Mditerrane, XVII, 1974, pp. 63-69; Note sur quelques fragments de pltre trouvs rcemment la Qala des Banu Hammad, in Mlanges dhistoire et darchologie dOccident musulman, II, in Hommage George Marais, II, Alger 1957, pp. 75-94; e La Magrib central lpoque des Zirides. Recherches dArchologie et dHistoire, Paris 1957. 19 Sui dipinti parietali di Miran si veda M. Bussagli, Painting of Central Asia, Genve 1963, pp. 18-29. Su alcune miniature di manoscritti eseguite nello stesso stile si veda A. von Le Coq, Die buddistische Sptantike in Mittelasien, Zweiter Teil: Die Manichaeischen Miniature, Berlin 1923 (Ergebnisse der kgl. preussischen Turfan-Expedition), tavv. 5/1-2, 6/c, e 7/d2. Ora si veda anche G.-J. Klimkeit, Manichaen Art and Calligraphy, Leiden 1982, tav. XIX, fig. 32, e tav. XXI, figg. 37-38.

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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo L. I. Albaum, Balalyk-Tepe, Tashkent 1960; C. Silvi Antonini, Le pitture di Balalyk Tepe, Annali dellIstituto Universitario Orientale di Napoli, nuova serie, 1972, 22, pp. 35-77, tavv. I-XVII. 21 B. Brentjes, Mittelasien. Eine Kulturgeschichte der Volker zwischen Kaspischem Meer und Tien-Schan, Wien 1977, tav. XXXII, e C. Silvi Antonini, op. cit., p. 59 e sgg., tav. XI. 22 Sui dipinti di Qasr al-Hayr al-Gharbi, alcuni frammenti dei quali si trovano ora al Museo Nazionale di Damasco, si veda E.J. Grube, The Classical Style in Islamic painting. The Early School of Herat and its Impact on Islamic Painting of the Later 15th, the 16th and 17th Centuries, Lugano 1968, p. 12, fig. 2. 23 E. Herzfeld, Die Malerein von Samarra, Berlin 1927 (Die Ausgrabungen von Samarra, III). Ora si veda anche E. Esin, The Turk al-Agam of Samarra and the paintings attributable to them in the Gausaq al-Haqani, in Kunst des Orients, IX, 1975, pp. 47-88. 24 Riguardo a una recente attribuzione al periodo abbaside dei celebri dipinti provenienti dallhammam vicino al santuario di Abu alSuud a Fustat, ora al Museo darte islamica del Cairo, si veda E.J. Grube, A Drawing of Wrestlers in the Cairo Museum of Islamic Art, Quaderni di studi Arabi, Venezia 1985, 3, pp. 89-106, con relativa bibliografia (e anche in Id., Studies in Islamic Painting, London 1994). Per un commento importante, corredato di una riproduzione a colori, si veda J. Zick-Nissen, Die Kunst des Islam, Propylen Kunstgeschichte, IV, a cura di J. Sourdel-Thomine e B. Spuler, Berlin 1973, tavv. XXXIV e p. 262. 25 La maggior parte di queste fonti sono citate, e parzialmente tradotte, in R. Ettinghausen, Painting in the Fatimid Period. A Reconstruction, Ars Islamica, IX, 1942, pp. 112-124. 26 Si veda il materiale in E.J. Grube, Fostat Fragments, in B.W. Robinson-E.J. Grube-G.M. Meredith-Owens R.W. Skelton, The Keir collection. Islamic painting and the Arts of Book, London 1976, pp. 25128, e la lista, quasi completamente illustrata, di tali frammenti nella ristampa di E.J. Grube, Studies..., cit. 27 Sulla ceramica fatimide decorata con soggetti figurativi, e sulla loro iconografia, si veda E.J. Grube, Islamic Pottery from the Eight to the Fiftheenth Century in the Keir Collection, London 1976, p. 126 e sgg., con unampia bibliografia. Si veda anche J. Zick, Einige fatimidische Schalenmalerien: Fragen zu ihrer Monographie, XX, Deutscher Orientalistentag Erlange, 1977, Zeitschrift der Deutschen Morgenlndischen Gesellschaft, supplemento IV, 1980, pp. 541-543, e M. Garrido, Escenas cortesanas en la loza dorada fatimi del Museo Nacional de Arte Hispanomusulman de Granada, Estudios dedicados a Don Jesus Bermudez Pareja (1908-1986), Asociacin Cultural de Amigos del Museo Hispanomusulman de Granada, Granada 1988, pp. 37-54, figg. 11-15.
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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo Il primo tentativo si deve a R. Ettinghausen, Painting..., cit., ripreso poi in Id., Arab Painting, Genve 1962, p. 54 e sgg.; si vedano ora gli studi di E.J. Grube, A couloured drawing of the Fatimid Period in the Keir Collection, Rivista di Studi Orientali, LIX (1985), Roma 1987, pp. 147-174, e Id., Realism and Formalism: Notes on Some Fatimid Lustre Painted Ceramic Vessels, in Studi in onore di Francesco Gabrieli nel suo ottantesimo compleanno, a cura di R. Traini, Roma 1984, pp. 423-432. Sul perdurare di questo stile pittorico (dal III al XII secolo), si veda E.J. Grube, The Classical..., cit., pp. 11-13. 23 Sulla scrittura magrebina: Y. H. Safadi, Islamic Calligraphy, London 1978, p. 21 e sgg. 30 SullHadith Bayad wa Riyad, Citt del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Ar. 368, si veda U. Monneret de Villard, Un codice arabo-spagnolo con miniature, La Bibliofila, XLIII, 1941, pp. 209223, che descrive e analizza nei dettagli nove delle quattordici miniature del manoscritto; A. R. Nykh, Historia de los Amores de Bayad y Riyad, una chantefable oriental en estilo persa (Va. Ar. 368), New York 1941, pubblica il testo e una traduzione spagnola, corredati di dieci delle quattordici miniature del manoscritto in bianco e nero; R. Ettinghausen, Arab..., cit., pp. 126-127, 129, riproduce a colori tre delle quattordici miniature, data le miniature al XIII secolo e le attribuisce al Magreb (Spagna e Marocco); F. Gabrieli-U. Scerrato, op. cit., fig. 211, riproducono a colori la miniatura del foglio 17r, gi riprodotta a colori da R. Ettinghausen; E.J. Grube, The Classical..., cit., p. 15, fig. 9, descrive la miniatura del foglio 10r, collocandola nel contesto della tradizione fatimide-abbaside centroasiatica. Le miniature, purtroppo irrimediabilmente danneggiate, dei fogli 1r, 2v e 3v non sono mai state riprodotte. La miniatura del foglio 4v, riprodotta da A. R. Nykh, op. cit., p. 7, stata nel frattempo opportunamente restaurata e alcune parti, tra cui i visi delle due figure femminili pi vicine al centro danneggiato, sono ora venuti alla luce; in altri termini, limmagine riprodotta da NykI non corrisponde alloriginale cos come giunto fino a noi. 31 Rimane una discreta quantit di ceramica magrebina decorata con elementi figurativi, la quale, esattamente come la ceramica fatimide, riflette probabilmente il modo di dipingere tipico della regione di provenienza. Nulla di quel che giunto fino a noi sembrerebbe in alcun modo collegato con gli stili delle corti abbasidi e fatimidi, che rappresentano lispirazione dei dipinti della Cappella Palatina. Su questo materiale si vedano gli studi di S. -M. Zbiss, Contribution ltude de la cramique tunisienne dpoque musulmane: trois fragments dpoque ziride, Revue archologique, XXXVII, 1951, pp. 47-55; Les sujets anims dans le dcor musulman dIfriqiyah (Tunisie), Bulletin archologique, 1954, pp. 297-302, figg. 1-19; La reprsentation des tres
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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo anims dam le dcor musulman dIfriqiyah, Cahiers des Arts et Techniques dAfrique du Nord, 1955, 4, pp. 3-14; Mahdia et Sabra-Mansouriya, nouveaux documents dart fiatimite dOccident, Journal Asiatique, CCXLIV, 1956, pp. 79-93, e Sance de la Commission de lAfrique du Nord: Fouilles, Bulletin archologique, 1955-1956, pp. 5861 e tavv. II-V. Si veda anche il materiale pubblicato da G. Berti-L. Tongiorgio, I bacini ceramici medievali delle chiese di Pisa, Roma 1981, e Id., I bacini ceramici del duomo di S. Miniato (ultimo quarto del XII secolo), Genova 1981; e inoltre anche limportante studio di G. Vassalla Ventrone, La problematica della ceramica islamica del Nord-Africa, Atti VII convegno internazionale della ceramica, Albisola 1974, pp. 85102, con unampia bibliografia. Lo stesso vale per la ceramica decorata con elementi figurativi provenienti dalla Spagna omayyade: R. Velazquez Bosco, Medina. Azzahra y Almiriya, Madrid 1912, tavv. XLVI e LIV, e M. Gomez-Moreno, El arte arabe espaol hasta los Almohades. Arte mozarabe, Madrid 1951 (Ars Hispaniae, III), pp. 317-319, figg. 378-380. 32 U. Monneret de Villard, Le pitture..., cit., p. 14. Monneret aveva indubbiamente ragione quando insisteva sulla stretta relazione esistente tra la tradizione irachena abbaside e il Nordafrica per ci che riguarda il progetto e la decorazione architettonici. Ma sembra che non vi siano prove di una fiorente scuola di pittura in quella regione, mentre la pittura era una delle pi importanti forme darte nellEgitto fatimida, ed in questa direzione che occorre procedere per risalire alle fonti dei dipinti. Oggi, grazie al brillante lavoro di un giovane studioso inglese, J. Johns, dellUniversit di Oxford, disponiamo di prove evidenti di un immediato e proficuo contatto tra lEgitto fatimida e la corte normanna di Sicilia. Sembra che i normanni abbiano tratto gran parte della loro ispirazione dallEgitto fatimida, e che ne abbiano adottato forme e idee per lorganizzazione politica e amministrativa del loro nuovo regno. I contatti diretti erano molto frequenti: Giorgio di Antiochia, lultimo visir di Ruggero, fu inviato come suo rappresentante di fiducia al Cairo, dove fu ricevuto tra gli onori, e con scambio di doni, come documentato nella corrispondenza straordinariamente interessante tra il califfo musulmano e il re cristiano. Si veda a questo proposito: M. Canard, Une lettre du Caliph fatimide al-Hafiz (524544/1130-1149) Roger II, VIII Centenario della morte di Ruggero II. Atti del convegno internazionale di studi ruggeriani, I, 1955, pp. 125146, e J. Johns, The Norman Kings.... cit., p. 145 e sgg. perci pi che logico che a questo scambio di idee sullorganizzazione politica e amministrativa fosse seguito uno scambio culturale. 33 Su questa questione vedi in particolare D. Jones, Romanesque..., cit., voi. 191, 1976, n. 770, p. 284 e sgg. 34 I dipinti sono ora tutti pubblicati in M. Gelfer-Jorgensen, Medie-

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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo val Islamic Symbolism and the Painting in the Cefal Cathedral, Leiden 1986. Su alcune riproduzioni a colori si veda anche F. Gabrieli-U. Scerrato, op. cit., figg. 238-244. 35 E. Khnel, Sizilien und die islamische Elfenbeinmalerei, Zeitschrift fr bildende Kunst, XLIX, 1914, pp. 162-170; P. B. Cott, Siculo-Arabic Ivoires in the Museo Cristiano, in Art Bulletin, XII, 1930, pp. 131-146; Id., Siculo-Arabic Ivoires, Princeton 1939; e J. Ferrandis, Marfiles arabes de Occidente, tomo II, Madrid 1940. Si vedano, tuttavia, le pesanti critiche rivolte da U. Monneret de Villard, Le pitture..., cit., p. 29 e sgg., a queste pubblicazioni. Per una valutazione recente si veda U. Scerrato, in F. Gabrieli-U. Scerrato op. cit., pp. 447475, e le belle riproduzioni a colori di molti esemplari di pregio appartenenti a collezioni italiane, ibidem, figg. 157, 345-346, 447-479, 482490, 606-610, 621-622. 36 B. Cott, op. cit., pp. 36-37, n. 38, tav. XIX, figg. 38a e b, R. Pinder-Wilson-C.N.L. Brooke, The Reliquary of St. Petroc and the Ivories of Norman Sicily, Archeologia, CIV, 1973, p. 281 e sgg., p. 296 e sgg. e tav. LXXIV. Per una riproduzione a Mori, F. Gabrieli-U. Scerrato, op. cit., fig. 157, i quali citano (p. 451) lipotesi di G. Di Marzo che questo cofanetto possa essere stato fabbricato per Federico II nel 1233, in occasione del suo ritorno a Palermo, e che la giraffa e lelefante rappresentati possano essere collegati con gli animali raccolti in Palestina da Federico per il suo zoo, tra i quali vi era anche un elefante donatogli dal sultano mamelucco al-Malik al-Kamil, e che egli port in Italia nel 1229. Il cofanetto, il pi grande rimasto di questo genere, viene anche identificato dal Di Marzo con quello in cui, secondo linventario della Cappella Palatina, furono riposte nel 1225 le lettere con cui Federico II riconfermava alla Cappella i privilegi accordati da Ruggero II nel 1140 (A. Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Cappellae Collegiatae Divi Petri in Regio Panormitano Palatio, Palermo 1835, pp. 11-13). Queste date, per quanto contraddittorie, farebbero comunque pensare che loggetto risalga pi al XIII secolo che al XII. In realt U. Scerrato lo attribuisce al primo quarto del XIII secolo. 37 Si veda G. Wiet, Deux pices de cramique gyptienne, Ars Islamica, III, 1936, pp. 172-179, in cui egli attribuisce una ciotola con un elefante, firmata da Ibrahim, allora appartenente alla collezione di Ali Pasha Ibrahim, alla prima met del X secolo (p. 47 e fig. 1). Frammenti di una ciotola con un elefante, completa di supporto, si trovano al Brooklyn Museum, New York, n. inv. 69.122.1, che non sembra essere mai stata pubblicata. Un vassoio con una giraffa e il suo guardiano si trova al Museo Benaki di Atene (H. Philon, Benaki Museum Athens Early Islamic Ceramic. Ninth to late Twelfth Centuries, Islamic Art Publications, 1980, p. 220, figura 464, e la tavola XXI a colori, che la attribuisce al X o allinizio dellXI secolo.

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Ernst J. Grube La pittura islamica nella Sicilia normanna del xii secolo Nella Keir Collection, si veda E.J. Grube, A Coloured..., cit., p. 148, fig. l. 39 M. Gelfer-Jorgensen, op. cit. 40 Si veda il confronto tra un dettaglio della cost:ruzione a stalattiti del soffitto della Cappella Palatina con la decorazione a stucco del Qala di Beni Hammad in L. Golvin, Notes sur quelques fragments..., cit., in Mlanges dhistoire et darchologie dOccident musulman, II, in Hommage George Marais, II, Alger 1957, pp. 75-94 e soprattutto pp. 86-87, figg. 17-18. Confronta anche larticolazione molto simile del soffitto in stucco nella moschea Qarawiyin di Fez; si veda H. Terrassa, La Mosque al-Qaraouiyin a Fes, Paris 1968, tavv. 28-29, 232-233. Per lo sviluppo della stalattite o muqarnas in Egitto: K. A. C. Creswell, op. cit., pp. 159-160, 189 e 241-245; J. M. Bloom, The introduction of Muqarnas into Egypt, in Muqarnas, V, 1988, pp. 21-28. Bloom identifica le nicchie dei muqarnas dipinte nel Museo del Cairo (cfr. fig. 4 a p. 24) come provenienti dalla sala da bagno di Abul-Suud mentre provengono da un piccolo hamman sito vicino al santuario di AbulSuud. Le ha datate allXI secolo (p. 22) seguendo J. Zick-Nisse. Cfr. nota 4 per la discussione su questo punto e la proposta di una datazione al IX secolo. 41 Si veda nota 3. 42 F. Gabrieli-U. Scerrato, op. cit., didascalia 43. Per le immagini del soffitto dipinto nelle navate laterali si veda U. Monneret de Villard, Le pitture, cit., figg. 5-13, 141-142, 168, 181, 197-198, 204, 210, 218, 231-232, 246-250. Liconografia del dipinto consiste fondamentalmente nello stesso tipo di immagini: busti maschili con calici ai termini di lunghi pannelli scanalati, e alternati a riserve con motivi floreali, con falconi con la preda, pavoni, leoni, montoni, arpie e talvolta cavalieri, falconieri, cammellieri, cacciatori e un paio di sirene (figg. 11 e 218 per i particolari) che, curiosamente, appaiono impegnate in una lotta.
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